principali cicli in natura degli elementi nutritivi...
TRANSCRIPT
393 Il terreno
PRINCIPALI CICLI IN NATURA DEGLI ELEMENTI NUTRITIVI
DELLE PIANTE
Il ciclo di un elemento in un sistema ecologico indica il percorso che esso subisce attraverso i vari componenti viventi e non viventi. In un sistema ecologico si distinguono quattro componenti fondamentali: la materia non vivente, i produttori di sostanza organica (gli organismi autotrofi), i consumatori (gli organismi eterotrofi) ed i decompositori (gli organismi che degradano e mineralizzano la materia organica). Fra questi componenti si realizza una continua circolazione di materia. Questa diviene di volta in volta, alternativamente e ciclicamente, costituente dei sistemi viventi e non viventi, secondo dei cicli che sono chiamati biogeochimici. I più importanti cicli sono quelli del carbonio, dell’azoto, dell’acqua, dell’ossigeno e della maggior parte degli elementi minerali di cui si nutrono le piante.
In generale, con la morte degli organismi terrestri, gli elementi sono nuovamente incorporati nel terreno, in prevalenza sotto forma organica e non sono direttamente utilizzabili dalle piante. Si deve alle attività biochimiche della flora e della fauna, microscopica e macroscopica, che si alimenta del materiale organico del suolo, se gli elementi necessari alla nutrizione delle piante sono riportati ad uno stato energetico e chimico che ne rende possibile l’assorbimento da parte delle radici. Si stabilisce, in tal modo, un’interdipendenza essenziale tra le piante e gli esseri viventi nel terreno, i microrganismi in particolare, che sta alla base dei cicli degli elementi nutritivi. Affinché il ciclo degli elementi non subisca interruzioni o circuitazioni è necessario che le piante, cui spetta la fase anabolica o costruttiva del processo, ed i microrganismi del terreno, cui compete la fase catabolica o demolitiva del ciclo, costituiscano un sistema perfettamente integrato che permetta la rapida circolazione degli elementi.
Le velocità con le quali si completa un ciclo biogeochimico sono molto diverse. Si calcola che tutta l’acqua del globo terrestre è decomposta dalle piante e ricostruita dalle cellule vegetali ed animali, in media, ogni due milioni di anni. Il ciclo dell’ossigeno si calcola in appena 2.000 anni e quello dell’anidride carbonica in soli 300 anni. L’azione dell’uomo tende a ridurre la lunghezza dei cicli naturali degli elementi, poiché mira ad un immediato utilizzo dei materiali che gli pervengono per l’agricoltura e per l’industria. Questo cortocircuito del ciclo indotto dalle azioni antropiche non deve avvenire, altrimenti s’innescano processi aciclici che spesso si risolvono in uno sperpero delle risorse naturali.
Sono descritti, di seguito, i cicli biogeochimici di alcuni elementi nutritivi delle piante, strettamente connessi con il terreno.
Ciclo del carbonioIl carbonio, elemento non metallico del quarto gruppo della tavola periodica,
costituisce lo 0,08% della crosta terrestre. Il carbonio è un elemento molto particolare, poiché la sua spiccata capacità di combinarsi con sé stesso, per formare catene più o meno lunghe e ramificate, ne fa l’elemento fondamentale di tutti i composti organici e biologici.
Il ciclo del carbonio prende origine dall’anidride carbonica dell’aria, con l’organicazione del carbonio da parte degli organismi autotrofi, attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana delle piante. L’anidride carbonica è immessa continuamente
Fiume Francesco 394
nell’atmosfera a seguito della combustione del carbonio, o dei suoi composti, in eccesso di ossigeno, e della respirazione, aerobica o anaerobica (fermentazione) degli organismi viventi. Le piante trasformano, mediante la fotosintesi, il carbonio minerale della CO2 in composti organici più o meno complessi, come gli zuccheri, le emicellulose, le pectine, la chitina, la lignina. I microrganismi del terreno, a loro volta, convertono il carbonio organico di tali composti in carbonio minerale che ritorna, come anidride carbonica, all’atmosfera. Ma non tutto il carbonio minerale ritorna nell’atmosfera, perché una certa parte va a costituire la frazione organica del suolo, l’humus, la cui mineralizzazione avviene ad una velocità relativamente bassa. L’insieme dei processi di fotosintesi e di respirazione costituisce il ciclo del carbonio (figura 102). Il contenuto di CO2 nell’atmosfera è 0,03%, con tendenza a salire a causa della crescente industrializzazione che determina un aumento della combustione. L’aumento di CO2, che sarebbe maggiore se buona parte di essa non si sciogliesse negli oceani, causa l’aumento della biomassa vegetale ed una diminuzione della trasparenza dell’atmosfera, con conseguente forte riduzione della dispersione del calore terrestre (effetto serra).
Fig. 102 – Schema del ciclo del carbonio in natura.
Il primo gradino del ciclo del carbonio è la fotosintesi per la quale le piante verdi catturano l’energia solare e la trasformano in energia chimica.
Le piante ed i prodotti vegetali sono le principali fonti alimentari per tutti gli organismi viventi della terra. La massa totale di organismi viventi, la biosfera, è molto piccola rispetto alle parti non viventi del pianeta; infatti, la crosta terrestre (litosfera) pesa 1,5⋅1019 t, gli oceani (idrosfera) 1,4⋅1019 t, l’atmosfera 5,1⋅1015 t, mentre la biosfera
ANIDRIDE CARBONICA DELL’ATMOSFERA
Combustione del carbonio
Respirazione
degli animali FOTOSINTESI
CLOROFILLIANA Respirazione
delle piante
Alimento
Respirazione delle radici
Respirazione della pedofauna e della pedoflora
Decomposizione dei detriti
organici e degli organismi morti
395 Il terreno
ammonta soltanto a 1,2⋅1012 t (peso secco). Nonostante la notevole differenza di peso, le attività degli organismi della biosfera
contribuiscono in modo notevole al mantenimento ed all’attività della litosfera, idrosfera ed atmosfera.
La quantità globale di anidride carbonica fissata ogni anno sulla terraferma (149⋅106 km2) è poco più di 110⋅1012 t, mentre quella fissata ogni anno dall’idrosfera (oceani, laghi e fiumi, per una superficie di 361,2⋅106 km2) è di 29,3⋅1012 t, per un totale di 139,3⋅1012 t (stime di produttività, cioè quantità di carbonio assimilato in materiale vegetale meno la perdita di carbonio dovuta ai processi respiratori).
Se si confronta la quantità di carbonio fissato annualmente dalle piante terrestri ed acquatiche con quella usata dall’uomo sotto forma di carbone, petrolio e gas naturale è necessario utilizzare per quest’ultima un coefficiente moltiplicatore di 105 per ottenere, all’incirca, l’uguaglianza delle cifre, dimostrando che la fotosintesi vegetale è una grossa industria naturale.
Il processo di fotosintesi avviene in presenza di luce e quindi, per la massima parte, al di fuori del terreno. Nel suolo di realizza, invece, il successivo gradino del ciclo del carbonio, ovvero la demolizione delle sostanze organiche prodotte con la fotosintesi vegetale, una volta che hanno svolto la loro funzione. Al terreno giungono i detriti organici e gli organismi morti contenenti i composti del carbonio.
Fra i più importanti si ricordano gli zuccheri semplici, l’amido, la cellulosa, le emicellulose, le pectine e la chitina che vanno incontro al processo di degradazione, corrispondente alla fase catabolica del metabolismo del carbonio (la fase anabolica è la fotosintesi).
Il catabolismo del carbonio si conclude con la mineralizzazione, cioè con la trasformazione finale in anidride carbonica che in parte viene fissata nel terreno come carbonato ed in parte ritorna nell’aria tellurica ed soprattutto in quella atmosferica.
DEGRADAZIONE DEGLI ZUCCHERI SEMPLICI
Gli zuccheri semplici sono costituiti principalmente da triosi, pentosi, esosi, a seconda che possiedono tre, cinque, sei atomi di carbonio e sono caratterizzati dal gruppo aldeidico –CHO (aldosi, come il glucosio) o dal gruppo chetonico =CO (chetosi, come il fruttosio).
Insieme agli aminoacidi ed agli acidi organici costituiscono i componenti solubili e rappresentano circa il 5-30% dei tessuti vegetali.
Gli zuccheri semplici sono rapidamente metabolizzati dai batteri aerobi del suolo con produzione finale di acqua ed anidride carbonica, secondo la via biochimica della normale respirazione. I prodotti intermedi sono l’acido piruvico, lattico e acetico.
I funghi aerobi danno luogo ad acido citrico, ossalico, fumarico e succinico. I batteri anaerobi determinano la fermentazione degli zuccheri con produzione di
acidi volatili con uno fino a cinque atomi di carbonio, di acido lattico (fermentazione lattica), di idrogeno, metano ed anidride carbonica.
I funghi anaerobi producono acido fumarico ed alcool (ad esempio, la fermentazione alcolica dei saccaromiceti).
I microrganismi del suolo utilizzano come fonte energetica gli zuccheri semplici che sono degradati in composti a tre, quattro e cinque atomi di carbonio (ad esempio il ribosio ed il desossiribosio), a loro volta impiegati nei processi biosintetici
Fiume Francesco 396
protoplasmatici, con formazione di DNA, RNA e proteine diverse. Gli zuccheri, pertanto, sono sottoposti ai processi anaerobi di fermentazione che
determinano una incompleta mineralizzazione, in relazione al fatto che l’accettore finale è una molecola organica ed il prodotto di riduzione si accumula e contiene ancora elevata energia libera.
I processi di fermentazione che avvengono nel terreno sono particolarmente favoriti dalla presenza di accettori inorganici di idrogeno come gli anioni nitrici, solforici e carbonici, i sali di ferro quelli del manganese.
Gli zuccheri, in ambienti aerobi, soggiacciono alla respirazione in cui l’accettore finale è l’ossigeno dell’aria e la molecola organica viene via via frammentata, fino alla completa mineralizzazione, con produzione di H2O e CO2. Nella situazione reale di degradazione degli zuccheri nel terreno si realizzano una serie di casi intermedi che vanno dai processi respiratori a quelli fermentativi, in proporzioni variabili in relazione alla disponibilità di ossigeno, del tipo di meccanismo glicolitico prevalente e delle associazione e successioni di microrganismi che intervengono.
La biochimica degli zuccheri esosi avviene via glicolisi secondo Embden-Meyerhof, con i cicli dell’esoso-monofosfato o del pentosio-fosfato, secondo la via di Entner-Doudoroff.
La glicolisi secondo Embden-Meyerhof parte dal glucosio che viene fosforilato dall’ATP a glucosio-6-fosfato (ad opera dell’esochinasi), isomerizzato a fruttosio-6-fosfato (fosfoesochinasi) ed ulteriormente fosforilato, sempre da ATP, a fruttosio-1,6-difosfato o estere di Harden e Young (fosfofruttochinasi). Questo viene scisso in fosfodiossiacetone ed aldeide 3-fosfoglicerica (aldolasi), in equilibrio statistico tra loro, ad opera della triosofosfatoisomerasi. Il processo continua a carico dell’aldeide 3-fosfoglicerica e man mano che quest’ultima si trasforma, in quanto impiegata nel proseguimento delle reazioni, il fosfodiossiacetone si modifica nel suo isomero, l’aldeide 3-fosfoglicerica. Questa è fosforilata ed ossidata ad acido 1,3-difosfoglicerico (fosfogliceraldeide deidrogenasi) il quale è defosforilato ad acido 3-fosfoglicerico (fosfoglicerilchinasi) che dà acido 2-fosfoglicerico (fosfogliceromutasi), acido fosfoenolpiruvico (enolasi), quindi, acido piruvico (piruvato chinasi). L’acido piruvico si trasforma in anidride carbonica ed aldeide acetica e quest’ultima ridotta in alcool etilico nella fermentazione (anaerobica). Oppure l’acido piruvico è completamente ossidato ad acqua ed anidride carbonica nella respirazione (aerobica). Lo schema ora descritto è il seguente:
CHO CHO CH2OH CH2OH2PO3 CH2OH2PO3 CHOH CHOH C=O C=O C=O Fosfofrutto- CHOH Esochinasi CHOH CHOH chinasi CHOH Aldolasi CH2OH ATP→ ADP ATP→ ADP ↑ ↓ Isomerasi CHOH → CHOH ← → CHOH → CHOH ← → CHO CHOH CHOH CHOH CHOH CHOH CH2OH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 Glucosio Glucosio-
6-fosfato Fruttosio- 6-fosfato
Estere di Harden e Young
Fosfodiossiace-tone + Aldeide 3-
fosfoglicerica
397 Il terreno
Nella fermentazione, l’acido piruvico si trasforma in anidride carbonica ed aldeide acetica, per azione della piruvico deidrogenasi.
L’aldeide acetica è ridotta ad alcool etilico. Ciò avviene per azione del NADH (NAD ridotto), che si trasforma in NAD+ (NAD ossidato), e dell’enzima alcool deidrogenasi.
Lo schema è il seguente:
Alcool deidrogenasi
CH3CHO + NADH + H+ → CH3-CH2OH + NAD+
Alcool etilico
Nella respirazione, l’acido piruvico procede attraverso la via del ciclo di Krebs, che prevede la formazione di una serie intermedia di acidi bicarbossilici e tricarbossilici, consumati e riformati in una sequenza di reazioni che avvengono in modo ciclico e che portano alla formazione metabolica di anidride carbonica ed acqua.
La reazione generale, catalizzata da un complesso enzimatico talvolta chiamato deidrogenasi piruvica, richiede l’intervento di parecchi coenzimi, compresi tra questi il NAD+ ed il coenzima A.
CHO COO-H2PO3 Fosfogli- COOH Fosfoglice- COOH 2NAD+PPi→ 2NADH cerilchinasi romutasi CHOH ↑ ↓ CHOH ADP→ ATP CHOH CHO- H2PO3 → → ← → ↔ CH2O-H2PO3 Fosfoglicealdeide CH2O-H2PO3 ↑ CH2O-H2PO3 CH2OH deidrogenasi 2ADP Aldeide 3-
fosfoglicerica Acido 1,3-di-
fosfoglicerico Acido 3-
fosfoglicerico Acido 2-
fosfoglicerico
COOH Piruvato chinasi COOH Enolasi ADP→ ATP
← → C-O- H2PO3 → C=O ↑ ↓ ↑
H2O CH2 2ADP CH3 Acido fosfoenol-piruvico Acido piruvico
COOH Piruvico decarbossilasi C=O → CO2 + CH3CHO CH3 Aldeide acetica
Acido piruvico
Fiume Francesco 398
Lo schema può così semplificarsi:
Vi sono parecchie differenze tra la fermentazione e la respirazione. La fermentazione comporta una scissione soltanto parziale del glucosio (fino ad alcool etilico ed anidride carbonica) e la trasformazione netta di due sole molecole di ADP ad ATP e di due sole molecole di NAD ridotte a NADH2, per ogni molecola di glucosio trasformata in due molecole di acido piruvico. La respirazione determina la completa ossidazione dell’acido piruvico ad anidride carbonica ed acqua, mentre è prodotto un numero di molecole di ATP più elevato.
Esaminando lo schema della glicolisi, da un punto di vista energetico, si riscontra assorbimento d’energia per il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP alla molecola di zucchero (un ATP per ogni reazione), fino alla formazione delle due molecole a tre atomi di carbonio.
Nelle reazioni successive si ha produzione d’energia. Quando l’aldeide 3-fosfoglicerica si trasforma in acido 1,3-difosfoglicerico due molecole di NAD (nicotinamideadenindinucleotide) sono ridotte a NADH2, accumulando parte dell’energia liberata nell’ossidazione dell’aldeide 3-fosfoglicerica.
Nelle successive reazioni, dove indicato, l’ADP è fosforilato ad ATP, con immagazzinamento di parte dell’energia che si libera nelle trasformazioni. Il guadagno energetico che si ottiene nella conversione di una molecola di glucosio a due molecole di acido piruvico è costituito da due molecole di NADH2 e da due molecole di ATP e, se due moli di acido piruvico possiedono una quantità d’energia di 546 kcal ed in una mole di glucosio sono presenti 686 kcal, l’energia accumulata è pari a 140 kcal.
Esiste un’altra via di degradazione degli zuccheri semplici, come il glucosio, ed è quella generalmente chiamata via del pentoso fosfato, detta anche via dell’esoso monofosfato o via dell’acido fosfogluconico.
La via del pentoso fosfato ha un ruolo secondario nella trasformazione del glucosio, rispetto alla via glicolitica e numerose stime fanno ritenere percentuali variabili che vanno da valori molto bassi fino al 30% del glucosio trasformato.
La differenza fondamentale tra la glicolisi di Embden-Meyerhof e la via del pentoso fosfato sta nel coenzima dell’ossidoriduzione: nella glicolisi è il NAD, mentre nella via del pentoso è il NADP (nicotinamide adenin dinucleotide fosfato).
La via del pentoso fosfato parte dal glucosio che si trasforma in glucosio-6-fosfato (esochinasi ed ATP che si trasforma in ADP), poi in 6-fosfoglucono-δ-lattone (mentre il NADP si trasforma dalla forma ossidata a quella ridotta), poi acido 6-fosfogluconico, quindi, in ribulosio-5-fosfato (6-fosfogluconico deidrogenasi, riduzione del NAD e produzione d’anidride carbonica).
COOH Deidrogenasi piruvica C=O + CoASH + NAD+ → CH3-CO-S-CoA + CO2 + NADH
CH3
Acido piruvico
399 Il terreno
Il ribulosio-5-fosfato, a seguito dell’ossidazione del gruppo alcolico primario e riduzione del gruppo chetonico, dà ribosio-5-fosfato, poi utilizzato per la sintesi dei nucleotidi. I due composti sono mantenuti in equilibrio dall’enzima riboso-fosfato-isomerasi che consente lo spostamento della reazione verso destra man mano che il ribosio è impiegato nella sintesi dei nucletidi o, in altre circostanze, verso sinistra, quando il ribulosio è utilizzato in sottocicli costituiti dalla reazione di epimerizzazione, da quella della transchetolasi e da quella della transaldolasi, con formazione di frammenti da 3 a 7 atomi di carbonio per le sintesi aromatiche. Sono riportate l’epimerizzazione del ribulosio-5-fosfato e le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi:
HCOH HCOH C=O COOH HCOH HCOH HCOH HCOH O O Glucosio-6-fosfato O HOCH Esochinasi HOCH deidrogenasi HOCH Lattonasi HOCH ATP→ ADP NADP+ → NADPH + H2O HCOH → HCOH ← → HCOH ← → HCOH → - H2O HC HC HC HCOH CH2OH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 Glucosio Glucosio-
6-fosfato 6-fosfoglucono-
δ -lattone Acido 6-fosfo-
gluconico
CH2OH CHO C=O Ribosofosfato HCOH
6-fosfogluconico isomerasi deidrogenasi HCOH ← → HCOH
NADP+ → NADPH → HCOH HCOH
↓ CO2 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3
Ribulosio-5-fosfato Ribosio-5-fosfato
CH2OH CH2OH C=O Ribulosio C=O fosfato-3-epimerasi HCOH ← → HOCH HCOH CHOH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 Ribulosio-5-fosfato Xilulosio-5-fosfato
Fiume Francesco 400
Le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi non solo catalizzano la conversione di pentosi ed esosi per la successiva degradazione nella glicolisi e nel ciclo di Krebs, ma rendono anche possibile, con l’aiuto di enzimi della sequenza glicolitica, l’interconversione di zuccheri a tre, fino a sette atomi di carbonio, mediante il trasferimento reversibile di gruppi a due o a tre atomi di carbonio. Una delle reazioni più importanti catalizzata dalla transchetolasi è:
transchetolasi
xilulosio-5-fosfato + eritrosio-4-fosfato ←→ fruttosio-6-fosfato + aldeide-3- fosfoglicerica
in cui due intermedi della via dell’acido fosfogluconico possono essere convertiti reversibilmente in due intermedi della via glicolitica. In molti microrganismi del suolo la via dell’acido fosfogluconico è utilizzata per catalizzare la degradazione fermentativa dei pentosi, con una via che inizia con l’enzima fosfochetolasi, catalizzante la seguente
CH2OH CH2OH CHO C=O C=O HCOH HOCH CHO Transchetolasi HOCH + HCOH ← → HCOH + CHOH HCOH HCOH HCOH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 HCOH CH2O-H2PO3
Xilulosio-5-fosfato Ribosio-5-fosfato Sedoeptulosio-7-fosfato
Aldeide 3-fosfoglicerica
CH2OH CH2OH C=O C=O HOCH CHO HOCH CHO Transaldolasi HCOH + HCOH ← → HCOH HCOH HCOH CH2O-H2PO3 HCOH HCOH HCOH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3
Sedoeptulosio-7-fosfato
Aldeide 3-fosfoglicerica
Fruttosio-5-fosfato
Eritrosio-4-fosfato
401 Il terreno
reazione:
fosfochetolasi
xilulosio-5-fosfato + –H2PO3 ←→ aldeide-3-fosfoglicerica + acetil fosfato + H2O
Quindi, un’enorme varietà di reazioni ossidative e di riduzione di zuccheri semplici può avvenire per l’azione di enzimi della via dell’acido fosfogluconico che interagiscono indipendentemente o in connessione con altri enzimi della via glicolitica.
La via dell’acido fosfogluconico non è quindi una sequenza ben definita che porta ad un singolo e specifico prodotto finale, ma una serie di vie divergenti che possiedono una grande flessibilità metabolica.
Il metabolismo dei glucidi semplici nel terreno è ancora più complesso di quello dei singoli microrganismi, perché le proprietà colloidali del suolo interferiscono in maniera significativa, alla stessa stregua della natura e del tipo fisiologico della biomassa specifica dei microrganismi.
DEGRADAZIONE DELL’AMIDO L’amido esiste nelle due forme di α-amilosio e di amilopectina. L’α-amilosio è formato da lunghe catene prive di ramificazioni, in cui tutte le unità
di glucosio (lo zucchero semplice che per condensazione anidritica forma l’amido) sono unite in legame α(1→4).
Le catene sono polidisperse e variano in peso molecolare da poche migliaia a 500.000 dalton (un dalton è la massa d’un atomo di idrogeno ed è uguale a 1,67⋅10-24 g).
L’amilosio non è veramente solubile in acqua, ma forma delle micelle idratate, che danno una colorazione blu con iodo-ioduro di potassio.
In queste micelle, la catena del polisaccaride è attorcigliata in un avvolgimento elicoidale.
L’amilopectina possiede moltissime ramificazioni, ciascuna, mediamente, formata da 24-30 residui di glucosio, secondo la specie.
Il legame glicosodico dello scheletro è α(1→4), ma i punti di ramificazione possiedono legami α(1→6).
L’amilopectina forma delle soluzioni colloidali e si riconosce perché con lo iodio dà una colorazione rosso-violetta. Il suo peso può raggiungere i 100 milioni di dalton.
L’amilosio può essere idrolizzato dall’α-amilasi che rompe a caso i legami α(1→4) formando una miscela di glucosio e maltosio (bisaccaride costituito da due molecole di glucosio). Quest’ultimo non è scisso dall’α-amilasi.
L’amilosio può essere idrolizzato anche dalla β-amilasi, la quale stacca unità successive di maltosio, a partire dall’estremità non riducente.
Ambedue le amilasi attaccano anche l’amilopectina. I polisaccaridi a lunghezza intermedia, che si formano dall’amido per azione delle amilasi, sono chiamati destrine.
Le amilasi non possono idrolizzare i legami α(1→6) che si trovano ai punti di ramificazione dell’amilopectina e, pertanto, il prodotto finale della loro azione completa è un grosso nucleo completamente ramificato, detta destrina limite, perché rappresenta il
Fiume Francesco 402
limite dell’attacco delle amilasi. L’enzima che idrolizza i legami α(1→6) dell’amilopectina è un’α(1→6)-
glucosidasi, prodotta da molti funghi che, insieme alle amilasi, può degradare completamente l’amilopectina a glucosio e maltosio. Le modalità di degradazione dell’amido nel terreno sono diverse e molti microrganismi lo idrolizzano parzialmente, lasciando come residui le destrine.
I batteri, gli actinomiceti ed i funghi producono amilasi e soltanto i lieviti non sono amilolitici. Bacillus macerans, B. cereus e B. subtilis sono batteri aerobi facoltativi e stretti che attaccano l’amido; Azotobacter ed Endosporus filamentosus sono, oltre che proteolitici, azotofissatori e denitrificanti anche attivi amilolitici; Clostridium butyricum, C. perfrigens e C. amylolitycum sono batteri anaerobi, in grado di attaccare anche la cellulosa, oltre che l’amido.
DEGRADAZIONE DELLA CELLULOSA
La cellulosa rappresenta il polisaccaride della parete cellulare e della struttura extracellulare delle piante sicuramente più abbondante nel mondo vegetale.
La cellulosa si trova anche in alcuni vertebrati inferiori. La degradazione della cellulosa è senz’altro un importante processo nella vita del terreno e nell’economia del carbonio in natura.
L’unica differenza tra l’amido e la cellulosa, entrambi omopolisaccaridi del glucosio destrogiro (D-glucosio, che ruota a destra la luce polarizzata), è che l’amido ha legami α(1→4), mentre la cellulosa β(1→4). Si ricorda, a tal proposito, che le forme α e β del D-glucosio non sono strutture a catena aperta, ma strutture ad anello a sei atomi di carbonio, ottenute dalla reazione del gruppo alcolico secondario dell’atomo di carbonio 5 con il gruppo aldeidico del carbonio 1. Queste strutture ad anello sono chiamate piranosiche perché derivate dal composto eterociclico del pirano (si confronti la formula razionale del glucosio riportata nelle reazioni della glicolisi che è a catena aperta, con quella riportata nella via del pentoso fosfato che è una struttura piranosica). Orbene, la forma α del D-glucosio presenta l’ossidrile del carbonio 1 a destra nella formula di proiezione, mentre la forma β lo presenta a sinistra:
Le forme isomere di monosaccaridi, che differiscono tra loro soltanto per la
HCOH HOCH HCOH HCOH O O HOCH HOCH HCOH HCOH HC HC CH2OH CH2OH
α -D-glucosio o α -D-glucopiranosio
β -D-glucosio o β -D-glucopiranosio
403 Il terreno
configurazione intorno all’atomo di carbonio carbonilico, sono dette anomeri e l’atomo di carbonio è chiamato carbonio anomerico. Naturalmente, le forme α e β presentano
proprietà fisiche molto diverse: la prima devia il piano della luce polarizzata con un angolo di + 112,2°, ha un punto di fusione di 146 °C, una solubilità, in 100 mL d’acqua, di 82,5 g, una velocità relativa d’ossidazione da parte della glucosio-ossidasi pari a 100; la seconda ha una rotazione specifica di + 18,7°, fonde a 150 °C, ha una solubilità di 178 g, ha una velocità di ossidazione da parte dello stesso enzima inferiore all’unità.
Queste differenze si ripercuotono profondamente e determinano le diversità tra l’amido e la cellulosa. Il peso molecolare minimo della cellulosa proveniente da fonti diverse è stato stimato tra 50.000 e 2.500.000 in specie diverse, equivalente (considerato che il peso molecolare del glucosio è 180) a 278-14.000 residui di glucosio. L’analisi della diffrazione ai raggi X indica una struttura fisica variabile, con catene elementari riunite in fibrille in cui si distinguono le maglie cristalline separate le une dalle altre da zone amorfe (figura 103). In corrispondenza delle maglie, le catene sono saldamente unite, probabilmente, dai ponti idrogeno e dalle forze di Van der Waals, mentre nelle zone amorfe i legami sono meno forti.
Fig. 103 – Le pareti cellulari sono costituite da fili lunghi ed interconnessi, le microfibrille, abbastanza grandi da poter essere viste al microscopio elettronico. Le microfibrille sono costituite da micelle, ossia fasci di fili. Le micelle sono a loro volta formate da catene di cellulosa, chimicamente strutturate secondo la formula riportata in alto.
Fiume Francesco 404
Le fibrille hanno nella parete cellulare primaria un orientamento casuale, mentre in quella secondaria (figura 104) ogni strato è caratterizzato dal fatto che l’angolo, costituito dalla fibrilla e dall’asse principale della fibra di cellulosa, ha un valore costante e specifico e serve per la valutazione delle qualità meccaniche della cellulosa. Le catene di cellulosa delle membrane cellulari possono integrarsi ed associarsi con lignina, cere, resine, tannini e pigmenti, in rapporto al tessuto ed alla specie della pianta.
Fig. 104 – Catene di cellulosa in strati successivi, in una tipica fibra con elevati depositi di parete secondaria (ben tre strati). Gli strati sono costituiti da molecole di cellulosa che avvolgono la cellula secondo anelli a spirale.
Tali caratteristiche fisiche, chimiche, strutturali e la presenza d’altri componenti determinano anche il comportamento biologico della cellulosa.
Nelle pareti cellulari delle piante, le fibrille di cellulosa sono stipate fittamente in fasci paralleli regolari intorno alla cellula (figura 104) e spesso sono sistemati in strati incrociati. Queste fibrille sono cementate tra loro da una matrice costituita da tre materiali polimerici: l’emicellulosa, la pectina e l’estensina. Il legno contiene un’altra sostanza polimerica, la lignina, che costituisce quasi il 25% del suo peso secco. Le cellulose naturali, non quelle ottenute con trattamenti meccanici e chimici (ad esempio la carta), rappresentano un substrato d’origine molto varia, in grado di dar luogo a risposte diverse alle azioni microbiche. La degradazione della cellulosa pura è molto più semplice di quella della cellulosa naturale, sia per la differente suscettibilità all’idrolisi della porzione cristallina rispetto all’amorfa, sia per la maggiore difficoltà di penetrazione degli enzimi, sia per il numero dei composti di sostituzione, sia per la natura degli stessi composti (effetti sterici). La composizione della matrice influenza altrettanto la suscettibilità della cellulosa naturale all’idrolisi: le emicellulose e le pectine rendono più facile la degradazione, mentre la lignina conferisce una maggiore resistenza.
L’enzima in grado di attaccare la cellulosa è la cellulasi che è costituita da un complesso enzimatico, distinto in frazioni ad attività differenti. La cellulasi è in grado prima di attivare la cellulosa nativa, forse attraverso primi processi idrolitici e di ossidazione, poi di idrolizzare i legami β(1→4) delle sequenze di glucosio, producendo frammentazioni in unità sempre più piccole – tetrasaccaridiche (cellotetraosio),
405 Il terreno
trisaccaridiche (cellotriosio), bisaccaridiche (cellobiosio) – ed infine, mediante un altro enzima costitutivo, la cellobiasi (che è una β-glucosidasi), di dar luogo alla produzione finale di glucosio. Le prime frazioni enzimatiche, quelle che danno luogo a cellobiosio, devono essere diffusibili, perché la cellulosa, pur avendo con l’acqua un’elevata affinità, è in essa completamente insolubile. Le stesse frazioni hanno un comportamento che allo stato delle cose rimane ancora inspiegabile, dato che i filtrati colturali di microrganismi cellulolitici sono assolutamente inattivi sulla cellulosa nativa. Una delle ipotesi avanzate è che questa frazione enzimatica sia molto diffusibile, ma soggetta, in vitro, a rapida inattivazione. Tale frazione sarebbe costituita da un enzima in grado di trasferire elettroni nei punti di attacco della cellulosa, mediante trasportatori del tipo delle flavine o dei citocromi, e da un altro enzima (precisamente un gruppo variabile d’isoenzimi) capace di attaccare le catene della cellulosa. L’attacco delle catene di glucosio avverrebbe inizialmente a caso, probabilmente in corrispondenza delle regioni amorfe, fino ad avere l’idrolisi in frammenti più o meno corti per attività endoglucanasica. Poi la cellobiasi agirebbe sui frammenti solubili per attività esoglucanasica, con liberazione di molecole di glucosio.
Tab. 47 – Principali specie di microrganismi celluloliticiGeneri e specie microbiche cellulolitiche
Batteri aerobi Batteri anaerobi FunghiPseudomonadales Clostridium omelianskii Chaetomium
Vibrio Clostridium werneri TrichodermaCellvibrio ochraceus Clostridium dissolvens StachybotrysCellvibrio flavescens Clostridium spumarum BotrytisCellvibrio viridis Clostridium myxogenes GliobotrysCellvibrio mucosa Plectridium spp. PenicilliumCellvibrio fusca Caduceus spp. SimpodiellaCellvibrio rosea Terminosporus spp. HelicomaCellfalcicula Endosporus spp. Desmatierella
Eubacteriales PoriaCellulomonas TermofiliBacillus Terminosporus monocellus
Myxobacteriales Terminosporus thermocellulolyticusCytophaga hutchinsoniiCytophaga aurantiaca Del tubo digerente degli erbivoriCytophaga rubra Ruminobacter flavescensCytophaga tenuissima Ruminococcus flavusSporocytophaga myxococcoides Ruminococcus albusSporocytophaga ellipsospora Cillobacterium cellulosolvensSorangium cellulosum
Fiume Francesco 406
Esistono microrganismi cellulolitici autentici e dotati di un corredo enzimatico completo (endoglucanasi ed esoglucanasi), in grado di idrolizzare la cellulosa fino a glucosio.
Esistono, poi, microrganismi (cellulolitici facoltativi e secondari) altamente cellulolitici e microrganismi meno attivi, capaci di esercitare una differente attività: i primi degradano in maniera incompleta la cellulosa, mentre i secondi utilizzano e degradano i frammenti man mano che si formano.
Numerosissimi sono i microrganismi con attività cellulolitica: batteri, actinomiceti, funghi, protozoi. Essi possono essere aerobi (batteri e funghi), anaerobi (batteri), termofili (batteri e funghi) e possono vivere nel tubo digerente dei mammiferi (rumino-batteri). Nella tabella 47 sono riportate le principali specie di microrganismi cellulolitici.
Tra queste specie si evidenziano quelle più importanti ai fini della degradazione della cellulosa. Il genere Cytophaga possiede al completo il complesso enzimatico cellulasico e, pertanto, può aggredire a fondo la cellulosa, mostrando grande attività perché capace di demolire 80-90% della cellulosa presente. La completa attività cellulolitica è dovuta al fatto che, essendo la cellulosa l’unica sorgente di carbonio, il genere Cytophaga è da considerarsi un cellulolitico obbligato. Le specie di questo genere utilizzano, come sorgente d’azoto, i sali ammoniacali ed i nitrati, mentre alcuni impiegano urea e qualche aminoacido (asparagina e acido aspartico). Nei riguardi della temperatura essi sono mesofili, mentre il pH favorevole è 6-8,5. Sono aerobi stretti, ma alcuni ceppi tollerano tensioni d’ossigeno più ridotte, rispetto a quelle normali. Questi batteri attaccano la cellulosa e formano una sostanza mucosa e viscosa detta gelatina citofagea, costituita da poliuronidi.
I generi Cellvibrio e Cellfalcicula sono cellulolitici meno attivi, rispetto al genere Cytophaga. Attaccano solo il 20-30% della cellulosa presente e mostrano un’attività debole ed incompleta. Il genere Cellvibrio comprende batteri aerobi che si sviluppano anche in ambienti poveri di ossigeno, con un pH neutro o leggermente alcalino ed a temperatura di 28-30 °C. Alcune specie si riconoscono per il colore del pigmento formato su silico-gel alla carta filtro: giallo ocra in Cellvibrio ochraceus; giallo crema in C. flavescens; verde in C. viridis; rosa in C. rosea. I batteri anaerobi sono frequenti nel terreno, nel letame, nel tubo digerente d’alcuni animali e possono essere anaerobi stretti o anaerobi facoltativi. Gli anaerobi stretti svolgono attività cellulolitica soltanto in ambiente anaerobico. La temperatura ottimale di crescita è di 33-40 °C. Essi utilizzano azoto minerale o amminico ed hanno bisogno di fattori di crescita. Nella degradazione della cellulosa producono gas (anidride carbonica, idrogeno e metano), acidi organici (acido acetico, acido propionico, acido butirrico) ed alcoli (alcool etilico).
I funghi completano l’attività cellulolitica dei batteri ed in alcuni casi, come nei terreni acidi, dove l’azione batterica è ridotta, essi svolgono un ruolo fondamentale. I funghi idrolizzano aerobicamente la cellulosa con formazione di zuccheri semplici. Mentre i batteri degradano la cellulosa a livello delle zone amorfe, ma non nel lume delle fibre, e prosegue fino alle lamelle e nella parte centrale della struttura molecolare, i funghi attraversano le pareti cellulari in corrispondenza di soluzioni di continuità e la degradazione della cellulosa parte dal lume, dall’interno, con successivo rigonfiamento delle fibre che si deformano e si modificano fisicamente e chimicamente, fino alla formazione di prodotti intermedi simili alle destrine.
I fattori che agiscono sui rapporti fra le diverse popolazioni di microrganismi cellulolitici sono il potenziale di ossidoriduzione o rH, il pH e la temperatura del terreno. Si ricorda che l’ossidoriduzione è una reazione chimica in cui si ha trasferimento di elettroni da un donatore ad un accettore e che il potenziale di ossidoriduzione è una
407 Il terreno
misura della tendenza di un sistema ad ossidare o ridurre determinate sostanze. Il valore di rH è molto legato al contenuto di ossigeno nel terreno ed alla quantità d’acqua in esso contenuta. La struttura del terreno ed il suo tasso d’umidità determinano i valori di rH. Più elevati sono l’umidità e la temperatura del suolo, più bassi risultano i valori di rH. In linea generale i batteri aerobi si trovano nella zona con rH superiore a 19, i batteri anaerobi permangono in zone con rH inferiore a 9,3. I funghi vivono in ambienti con un intervallo di rH molto più ampio, inferiore a 9 e superiore a 19. In un terreno saturo d’acqua ed alla temperatura di 30 °C, che fa registrare un valore di rH = 8, si evidenziano solo batteri anaerobi e funghi.
Il pH agisce sull’equilibrio di una popolazione microbica. In linea generale, i batteri aerobi prevalgono in terreni ben aerati e neutri, i funghi predominano in suoli arieggiati ed acidi, i batteri anaerobi si sviluppano prevalentemente in terreni pesanti e non aerati.
La disponibilità d’azoto gioca un ruolo importante nella cellulolisi. Per ogni 100 g di cellulosa decomposta sono necessari circa 3 g di azoto e se il rapporto tra cellulosa decomposta ed azoto assimilabile scende al disotto di 35:1, si ha un rallentamento del processo.
Ogni anno, la quantità di residui vegetali che cade sul terreno varia tra 5 e 100 q/ha. L’ampiezza di tale intervallo è legata a fattori pedologici e climatici, alla copertura vegetale ed alla distribuzione stagionale di caduta dei materiali organici. L’attività cellulolitica su questa ingente massa di residui vegetali è in relazione alla composizione chimica ed alle fluttuazioni periodiche dell’attività dei microrganismi cellulolitici del terreno. La presenza di lignina nei residui vegetali rallenta la velocità di degradazione della cellulosa, non solo perché la lignina è lentamente degradata, ma anche perché l’idrolisi della cellulosa è tanto più lenta quanto più elevata è la quantità di lignina che ad essa si accompagna.
L’eccesso d’acqua nel terreno si oppone alla circolazione dell’aria e riduce la quantità d’ossigeno disponibile e, di conseguenza, ostacola la cellulolisi aerobica. L’umidità ottimale, per la maggior parte delle attività microbiche nel suolo, corrisponde ad un contenuto idrico del 60-80% della capacità idrica e quando tale contenuto scende al disotto del 40% si ha un rallentamento, tanto più evidente quanto più scarsa è l’acqua esistente. Nei periodi siccitosi si verifica un arresto delle attività microbiche nello strato superficiale del terreno, proprio a causa della carenza idrica.
DEGRADAZIONE DELLE EMICELLULOSE
Le emicellulose non sono correlate strutturalmente alla cellulosa, ma sono polimeri pentosi, specialmente i D-xilani, polimeri di D-xilosio in legame β(1→4) con catene laterali di arabinosio e di altri zuccheri (mannosio, galattosio).
Numerosi sono i microrganismi del terreno capaci di attaccare queste sostanze eterogenee denominate emicellulose. Tra i batteri aerobi si annoverano i generi Achromobacter, Pseudomonas, Sporocytophaga (S. myxococcoides) ed Azotobacter; quest’ultimo svolge un ruolo fondamentale non tanto nell’attacco diretto delle emicellulose, quanto nell’utilizzazione dei prodotti di demolizione.
Tra i batteri anaerobi emicellulolitici prevale il genere Clostridium ed alcuni cellulolitici derivanti dal tubo digerente dei ruminanti; i prodotti di degradazione che si formano sono acido acetico, acido propionico, acido butirrico ed acido succinico.
Tra gli actinomiceti prevalgono i generi Streptomyces e Micromonospora. Tra i funghi, i generi Penicillium, Aspergillus, Trichoderma e Rhizopus. Molti di questi
Fiume Francesco 408
microrganismi in grado di attaccare le emicellulose hanno anche buone capacità cellulolitiche.
Numerosi sono gli enzimi che intervengono nei vari gradini del processo di degradazione delle emicellulose. Quello più conosciuto è la xilanasi, scoperto da Sörensen nel 1957.
Molti di questi enzimi possono essere indotti ed attivati sotto l’influenza dello specifico substrato. Così, la carbossimetilcellulosa induce la sintesi di xilanasi, il mannano stimola la produzione del suo enzima, la mannanasi
Molti enzimi hanno un’attività così ampia da degradare vari substrati. Così, la cellulasi di alcuni funghi idrolizza oltre che la cellulosa anche lo xilano; il filtrato colturale di Sporocytophaga determina anche l’idrolisi dello xilano, anche se questo genere di microrganismo non utilizza lo xilosio.
In generale, un microrganismo in grado di attaccare le emicellulose è incapace di realizzare la cellulolisi, anche se la degradazione delle emicellulose e quella della cellulosa hanno molti punti in comune e diverse analogie. I due processi avvengono con
intensità proporzionali alla disponibilità dei relativi substrati, anche se l’attività di degradazione delle emicellulose è molto più ampiamente rappresentata di quella di degradazione della cellulosa.
DEGRADAZIONE DELLE PECTINE
Le pectine sono esteri metilici dell’acido pectico il quale è a sua volta costituito da acido poligalatturonico, arabinosio e xilosio. I numerosi gruppi carbossilici conferiscono proprietà di complessare i cationi, di formare esteri metilici e di gelificare. Le pectine sono più omogenee delle emicellulose perché comprendono polimeri α(1→4) dell’acido D-galatturonico associato a pentosi ed esosi.
La degradazione delle pectine avviene prima ad opera della pectina-metil-esterasi che induce una reazione di demetilazione, con formazione di acido pectico ed alcool metilico. Poi intervengono gli enzimi poligalatturonasi e polimetilgalatturonasi che causano l’idrolisi delle catene di acido pectico o della pectina. Quindi, per azione della pectina-transeliminasi si ottiene frammentazione, per trasferimento di protoni, fluidificazione del substrato e formazione di corte catene e di unità galatturoniche. Le sostanze polifenoliche ed i prodotti d’ossidazione possono inattivare gli enzimi pectici.
Molto pochi sono i microrganismi pectinolitici del terreno. Tra i batteri aerobi si menziona il Bacillus subtilis, il Bacillus cirulans, l’Erwinia carotovora, molto attiva e patogena di vegetali. Tra gli anaerobi si ricorda il Plectridium pectinovorum, molto attivo perché in 24 ore demolisce tutta la pectina presente nel mezzo ed il P. virescens, abbastanza attivo, ma lento ed in grado di degradare 80% delle pectine. Tra gli anaerobi stretti si ricordano il Clostridium aurantium, C. butyricum, C. pectinolyticum, C. omnivorum. Il C. felsineum, C. maymonei, C. roseum e C. corallinum hanno proprietà pectinolitiche soltanto in vivo (nella macerazione) e perdono questa proprietà in coltura pura (in vitro). C. macerans, C. polymixa sono pectinolitici microaerofili capaci di utilizzare anche la cellulosa. Proprietà pectinolitiche molto attive sono possedute da alcuni funghi, spesse volte più attive dei batteri aerobici. Funghi pectinolitici molto attivi sono il genere Aspergillus, Penicillium, Cladosporium, Mucor, Sclerotinia, Rhizopus. La Pullularia pullulans è un fungo epifita componente la fillosfera che colonizza, prima fra tutti, le foglie morte e scompare rapidamente in presenza della microflora del terreno.
409 Il terreno
DEGRADAZIONE DELLA CHITINA
La chitina è un polisaccaride strutturale, presente nell’esoscheletro degli animali del phylum Uniramia e nelle pareti cellulari di molti funghi. Il componente principale della chitina è la glucosamina, un amino-zucchero in cui il gruppo alcolico secondario dell’atomo di carbonio 2 è sostituito da un gruppo ammininico. Specificatamente, la chitina è un omopolimero di N-acetil-D-glucosamina in legame β(1→4), contenente azoto (6,9% nella chitina pura).
La chitina è presente nel terreno dove è apportata dalle spoglie di animali ad esoscheletro chitinoso e dalle membrane cellulari dei funghi. Difficilmente si trova da sola, ma spesso è associata a proteine, melanine, chitosani e poligalattosamina. Gli actinomiceti, fra questi Streptomyces antibioticus, ed alcuni batteri (Bacillus cereus) sono molto attivi nella degradazione della chitina, poiché essi producono alcuni enzimi, la chitinasi e la chitobiasi, in grado di spezzare le lunghe catene di amino-zuccheri in molecole più semplici di chitobiosio e chitotriosio, fino ad acetil-glucosamina. I prodotti finali, per deacetilazione, sono glucosamina, acido acetico, glucosio ed ammoniaca. Altri batteri sono in grado di idrolizzare la chitina soltanto quando convivono in associazione, poiché sviluppano azioni sinergiche. In particolare, alcune specie di batteri del genere Cytophaga ed Arthrobacter sono inattive sulla chitina in coltura pura, mentre diventano attivi chitinolitici quando sono coltivati insieme (cocoltivati).
DEGRADAZIONE DELLA LIGNINA La lignina è un polimero aromatico che costituisce una porzione cospicua della
parte legnosa delle piante e di molte altre biomolecole aromatiche, quali l’ubichinone ed il plastochinone.
La parte aromatica della lignina è rappresentata da fenoli, acidi benzoici, cumarine, flavoni, antociani, oltre i fenoli semplici o condensati d’origine microbica come i pigmenti e gli antibiotici.
La lignina, a differenza della cellulosa e degli altri costituenti delle membrane cellulari, non forma catene molecolari ed ai raggi X si presenta come una sostanza amorfa. Come colloide la lignina presenta una grande superficie, tanto che, si è calcolato, un grammo di lignina ha una superficie pari a circa 180 m2.
La lignina è contenuta nei tessuti collenchimatici e sclerenchimatici delle piante, è parte integrante del legno e costituisce quasi il 25% del suo peso secco.
La lignina è una delle sostanze più resistenti alla degradazione microbica. Di conseguenza diviene relativamente più abbondante nella sostanza organica residua in decomposizione e costituisce la principale sorgente del materiale umifero nel terreno. La decomposizione microbica della lignina riveste una particolare importanza nel processo d’umificazione, giacché esistono analogie chimiche e chimico-fisiche tra questo composto e le sostanze umiche.
La composizione chimica della lignina è differente nei vari gruppi tassonomici di piante e, per questo motivo, è meglio parlare di lignine. Fra i costituenti fondamentali della lignina si ricordano due classi di composti, costituiti entrambi da un anello aromatico a cui è legata una catena alifatica costituita da un atomo di carbonio (vanillina) o da tre atomi di carbonio (alcool coniferilico, costituente la lignina delle gimnosperme; alcool sinapilico, costituente la lignina delle angiosperme; alcool cumarilico, presente, insieme agli altri due, nella lignina delle piante erbacee). L’attacco microbiologico della lignina libera questi composti e ne determina profonde trasformazioni. Così la vanillina, per ossidazione del gruppo aldeidico in carbossile, produce acido vanillico il quale, per
Fiume Francesco 410
demetilazione, dà luogo ad acido p-idrossibenzoico e poi ad acido protocatechico. Per ossidazione e decarbossilazione, l’acido protocatechico si trasforma in idrossi p-benzochinone o in acido carbossi-mucoico, privo di anello aromatico. L’idrossi p-benzochinone, per dimerizzazione, dà origine ad un diidrossi-difenil-dichinone e per polimerizzazione e policondensazione a sostanze complesse che, flocculate dai cationi calcio, magnesio, ferro, idrogeno ed altri, vanno a costituire l’humus. L’acido carbossi-mucoico per ulteriore ossidazione si mineralizza in anidride carbonica ed acqua.
I microrganismi che provocano la degradazione della lignina sono essenzialmente fungini e sono la maggior parte di quelli precedentemente indicati a proposito della microflora del terreno. Essi svolgono attività ligninolitiche attraverso dei processi di marciume del legno a carico dei materiali della copertura morta e dei resti vegetali incorporati nel suolo. Si possono distinguere differenti processi di alterazione microbica che producono differenti tipi di marciume:
a) i marciumi molli che consistono nella decomposizione dei costituenti glucidici, utilizzati come fonte di energia da parte dei funghi, con liberazione di lignina che si altera e si trasforma in una massa scura ed amorfa, con diminuzione di peso.
b) i marciumi bruni che comportano una rapida decomposizione dei polisaccaridi con produzione di sostanza riducenti e profonda e varia modificazione della lignina.
c) i marciumi bianchi che danno luogo alla contemporanea demolizione dei polisaccaridi e della lignina la quale diminuisce di peso, si decolora, diviene fragile e fibrosa, mantenendo la propria impalcatura fin quando non è degradata a prodotti cellulolici e sostanze fenoliche semplici.
I prodotti della decomposizione fungina della lignina sono composti solubili nel caso dei marciumi bianchi e prodotti parzialmente alterati ed insolubili, di colore scuro, nel caso dei marciumi molli e bruni.
I terreni agrari e quelli forestali contengono funghi basidiomiceti che sono gli agenti più attivi della ligninolisi, insieme con ascomiceti e deuteromiceti. Questi microrganismi producono enzimi esocellulari del tipo della laccasi e della perossidasi, nel caso dei marciumi bianchi. In altri casi l’attività enzimatica, dovuta alla laccasi ed alla tirosinasi, è di tipo endocellulare e l’azione di questi enzimi sul substrato è strettamente connessa alla morte dei microrganismi fungini ed alla demolizione delle pareti miceliari. Il ruolo degli enzimi ossidasici sembra fondamentale sia nella biosintesi della lignina, sia nella sua degradazione: nel primo caso le ossidasi trasformano i precursori della lignina in radicali liberi, senza intervenire nei processi di polimerizzazione e policondensazione; nel secondo caso le ossidasi rompono il polimero della lignina e lo trasformano in tanti dimeri del tipo dell’estere guaiacil-glicerol-β-coniferilico che si scindono ulteriormente in unità di fenil-propano.
Circa l’attività ligninolitica dei batteri, essi sembrano meno importanti dei funghi. I generi Pseudomonas ed Achromobacter sembrano capaci di ossidare la lignina ed è anche noto che la stessa è decomposta lentamente in anaerobiosi da specie batteriche anaerobie.
La degradazione della lignina è favorita da temperature di 37-40 °C e dalla presenza d’ossigeno (in anaerobiosi la degradazione è lenta) ed è condizionata dalla specie vegetale da cui proviene e dall’età delle piante.
UMIFICAZIONE E MINERALIZZAZIONE DEI COMPOSTI ORGANICI DEL CARBONIO
Il processo di umificazione dei materiali organici comporta il passaggio attraverso tre stadi fondamentali: a) l’idrolisi enzimatica dei polimeri finora menzionati e di altri ancora, come le sostanze proteiche, componenti il substrato di partenza, fino alla
411 Il terreno
formazione di composti semplici di natura variabile; b) la trasformazione, prevalentemente ossidativa, delle molecole ottenute e caratterizzate da un forte aumento della loro reattività chimica per l’enorme presenza di radicali liberi; c) la polimerizzazione e la policondensazione, in parte spontanea, di tali prodotti, i quali, in presenza dei diversi cationi del complesso di scambio del terreno, danno finalmente origine alle micelle umiche di dimensioni e caratteri colloidali.
La decomposizione della sostanza organica del terreno (humus) e la conversione dei complessi organici fino allo stato di carbonio inorganico elementare, costituisce il processo di mineralizzazione. Questo processo porta alla produzione di anidride carbonica la cui quantità, che si evolve durante il processo di mineralizzazione delle molecole umiche, varia significativamente, in rapporto alle caratteristiche del terreno. In condizioni controllate ed alle temperature comprese tra 20 e 30 °C, la quantità di CO2 prodotta nelle 24 ore varia da 5 a 50 mg per chilogrammo di terreno, con massimi fino a 300 mg. In pieno campo, la quantità di CO2 prodotta nelle 24 ore è di 0,5-10 g/m2 di superficie, fino a rare punte di 25 g. L’anidride carbonica deriva dalla respirazione endogena del terreno e dai processi biologici e non biologici.
La respirazione endogena del suolo è quella del terreno non arricchito e consiste nella perdita di CO2 derivata esclusivamente dalla mineralizzazione dell’humus. La quantità di carbonio presente nell’humus, che annualmente viene mineralizzata a CO2, varia dal 2 al 59%. Le condizioni pedoclimatiche influenzano molto questo dato e ciò non toglie che una gran quantità di carbonio umico è annualmente mineralizzata. Tale quantità persa, tuttavia, è generalmente compensata da un’attiva sintesi a partire dai residui organici vegetali ed animali.
I processi biologici che portano alla formazione di CO2 sono determinati dalla respirazione degli organismi viventi nel suolo (le radici delle piante, la pedoflora e la pedofauna) e dalla decarbossilazione dei diversi substrati sotto l’azione degli enzimi del suolo (enzimi extracellulari, enzimi emessi dagli organismi viventi, enzimi intatti nei frammenti delle cellule morte, enzimi adsorbiti sui colloidi del terreno).
I processi non biologici che causano produzione di CO2 consistono nella decarbossilazione chimica di una certa quantità di composti, nella decarbossilazione catalizzata dai diversi complessi organo-minerali e dai colloidi del terreno, nell’azione
degli acidi del metabolismo microbico o apportati al suolo (ad esempio attraverso l’acqua meteorica) sui carbonati liberi del terreno.
Tutti i composti organici del terreno sono in ogni caso completamente ossidati con formazione di CO2. La quantità di CO2 emessa dal terreno può essere misurata allo scopo di ottenere un indice generale del grado di attività microbiologica del suolo. Il rapporto tra la quantità di CO2, emessa in un certo intervallo, e la quantità totale di carbonio organico, contenuto nel terreno, fornisce un indice di mineralizzazione del carbonio, utile per valutare in quale misura la sostanza organica del terreno è soggetta alla degradazione dei microrganismi.
I fattori principali che regolano la mineralizzazione delle molecole umiche sono il contenuto di sostanza organica nel terreno, il tipo e la frequenza delle lavorazioni, la temperatura, l’umidità, il pH, il contenuto di elementi nutritivi, la profondità e l’aerazione.
L’entità della mineralizzazione del carbonio è direttamente correlata al contenuto di carbonio organico del terreno. Pertanto, la quantità di CO2 aumenta se è incrementato il
Fiume Francesco 412
contenuto di materia organica del terreno.Le lavorazioni e le pratiche agronomiche, in generale, influenzano positivamente la
mineralizzazione del carbonio organico. E’ stato calcolato che dopo 25 anni di coltivazione è possibile registrare una diminuzione del contenuto medio di sostanza organica dal 3,3% a 1,4%, pari ad una perdita superiore al 50% di carbonio organico. La curva del contenuto di carbonio organico declina rapidamente all’inizio, dopo i primi anni, poi tende a stabilizzarsi nonostante l’incremento delle coltivazioni.
La temperatura influenza notevolmente la degradazione del materiale umico. Temperature vicine a 0 °C possono far procedere, anche se lentamente, la demolizione dei colloidi organici, ma questa subisce un rapido incremento se i valori termici aumentano. L’alternanza del freddo e del caldo porta ad un aumento di produzione di CO2. L’umidità influenza la respirazione del suolo il quale deve contenere un certo quantitativo d’acqua per agevolare l’attività dei microrganismi. L’alternanza della siccità e dell’umidificazione del terreno aumenta il tasso di produzione di CO2 ed è noto che cicli ripetuti d’umido e di secco stimolano l’attività microbica maggiormente rispetto ai terreni stabilmente umidi. Il pH influenza la mineralizzazione delle molecole umiche che è più veloce nei terreni neutri o debolmente alcalini.
La presenza di elementi nutritivi come l’azoto ed il fosforo può agevolare la degradazione della sostanza organica.
La produzione di CO2 varia anche con la profondità. Essa assume i massimi valori vicino alla superficie, dove si trova la più elevata quantità di residui vegetali, mentre diminuisce a maggiori profondità, per diventare irrilevante a profondità superiori ai 50 cm.
Il fenomeno della subsidenza è un aspetto negativo della decomposizione biologica della sostanza organica e dei cambiamenti microbiologici che avvengono nel terreno. Tale fenomeno consiste nell’abbassamento del livello del suolo a seguito dei processi di degradazione della materia organica. La subsidenza del terreno è di grande importanza pratica, perché comporta la perdita più o meno grave della risorsa del suolo, con conseguenze negative per la produttività agricola e per la costruzione ed il mantenimento delle strade. L’abbassamento del livello del terreno per fenomeni di subsidenza è di 0,2-7 cm per anno ed è dovuta a cause biotiche, legate alla degradazione
della sostanza organica. Probabilmente altre cause intervengono nel fenomeno della subsidenza, come l’erosione eolica e quella causata dai diversi atmosferili.
L’aerazione ed il drenaggio dei terreni giocano un ruolo importante nella decomposizione delle sostanze organiche e nella mineralizzazione del carbonio. In terreni ben drenati ed aerati si formano sostanze acide ed alcoliche, ma raramente questi composti si accumulano, poiché rapidamente metabolizzabili dai microrganismi aerobi del suolo.
Ciclo dell’azotoL’azoto è un elemento che allo stato di molecola biatomica (N2) costituisce circa i
quattro quinti in volume dell’atmosfera e come componente delle proteine è presente in tutti gli organismi viventi.
L’azoto si ritrova in alcuni minerali sotto forma di combinazione (nitro del Cile) o di occlusioni gassose, con riserve stimate in 108 t. Il nome gli fu dato da Lavoisier, che lo identificò nel 1786, durante le sue celebri esperienze sulla composizione dell’aria e lo
413 Il terreno
chiamò azote (dal greco alfa privativo e zoé, vita), perché non mantiene la respirazione.Il ciclo dell’azoto è dato dall’insieme delle trasformazioni chimiche che
quest’elemento dell’aria subisce nel corso della sua utilizzazione da parte degli organismi viventi. Esso è costituito da una serie di anelli o sottocicli rappresentati dalla fissazione dell’azoto atmosferico, ammonizzazione dell’azoto organico, nitrificazione dell’azoto ammoniacale, denitrificazione dell’azoto nitrico, con ritorno all’atmosfera di azoto molecolare. Nella figura 105 è riportato sinteticamente il ciclo dell’azoto in natura.
Fig. 105 – Schema semplificativo del ciclo dell'azoto in natura.
FISSAZIONE DELL’AZOTO ATMOSFERICO
Il primo gradino del ciclo dell’azoto è la fissazione di N2 presente nell’atmosfera.
La quantità di questo gas nell’aria atmosferica è stimata intorno a 36· 1014 t. La fissazione dell’azoto si realizza direttamente nell’atmosfera, con formazione di
protossidi ed ossidi d’azoto, fino alla formazione di acido nitroso e nitrico, reazioni, queste, catalizzate dalle alte temperature che si raggiungono nelle scariche elettriche (fulmini), durante i temporali. Questi composti dell’azoto pervengono poi al suolo
AZOTO ATMOSFERICO
Fissazione
atmosferica
Proteine animali
e vegetali Attività
vulcanica
Fissazione industriale
↓
Residui animali
e vegetali Acqua
meteorica
Piante con simbionti e azotofissatori liberi Fissazione biologica dell’azoto atmosferico
↓
Nitrati
Ammoniaca o catione ammonio
Nitriti
Dilavamento
D
enitr
ifica
zion
e
←
Rid
uzio
ne d
ei n
itrat
i
Falda freatica
TERR
ENO
Fiume Francesco 414
attraverso l’acqua meteorica. Questa è una via naturale, ma non biologica, di fissazione dell’azoto molecolare e si calcola che in tal modo giunga alla superficie terrestre una quantità annua dell’elemento combinato di cui si tratta pari a circa 109 t.
Un’altra via di fissazione dell’azoto atmosferico, non biologica e neanche naturale, è la sintesi industriale. Questa è iniziata nel 1913, quando Haber e Bosch, in Germania, riuscirono a produrre industrialmente ammoniaca a partire dall’azoto molecolare ed è proseguita fino ai giorni nostri, soprattutto per la produzione di concimi chimici, con progressione particolarmente intensa fino a qualche anno fa.
Le vie finora descritte di fissazione dell’azoto atmosferico sono ben poca cosa rispetto a quelle biologiche che riescono ad apportare in un terreno quantità di azoto di gran lunga superiori che possono andare da 3 kg per ettaro all’anno, fino a valori di un centinaio di volte maggiori (in un campo di leguminose).
La fissazione dell’azoto atmosferico avviene in modo aerobico ed anaerobico com’è possibile dimostrare con una semplice esperienza. Un tubo viene riempito con terreno e glucosio, nel rapporto di 100:1, chiuso, da una parte con materiale permeabile all’aria (ovatta) e dall’altra con un elemento impermeabile (tappo di gomma), e posto ad incubare per 3 giorni a 30 °C. Il prelievo e l’esame microbiologico evidenziano presenza di Azotobacter, aerobio, dalla parte dell’ovatta e di Clostridium, anaerobio, dalla parte del tappo di gomma.
La fissazione dell’azoto elementare dell’aria avviene attraverso un processo d’assimilazione, realizzato dai microrganismi del suolo, attraverso il quale l’azoto molecolare è trasformato in azoto organico (amminoacidico e proteico), quindi in azoto organizzato che va a costituire la biomassa corporea degli stessi organismi viventi.
Questi organismi vivono liberamente nel suolo ed allora si parla d’azotofissazione diretta, oppure vivono in simbiosi con altri esseri viventi, comprese le radici di molte piante coltivate (quelle appartenenti alla famiglia delle leguminose) ed allora l’azotofissazione è simbiotica.
Nella tabella 48 sono riportati i principali organismi viventi liberamente ed in grado di realizzare l’azotofissazione diretta.
Tra i generi indicati, quelli più importanti tra i batteri, sono Azotobacter, Beijerinckia e Clostridium. Il genere Azotobacter comprende numerose specie, distinte in base alla formazione di microcisti, alla mobilità ed alla produzione di pigmenti, che danno il caratteristico colore alla colonia coltivata in piastra Petri. Le specie più rappresentative sono A. chroococcum e A. vinelandii, ambedue mobili per ciglia, il primo bruno-nero, il secondo verdastro e fluorescente; A. beijerinckii, immobile e giallastro. Questi tre azotobatteri possiedono microcisti, mentre A. agilis, A. insignis ed A. macrocytogenes sono privi di microcisti e sono mobili per la presenza di ciglia laterali, il primo, di ciglia polari, gli altri due. Come dice lo stesso nome, l’ultimo possiede grosse cellule sferiche.
Il genere Beijrinckia è costituto da azotobatteri a forma di bastoncini, con due globuli polari di grasso, di dimensioni inferiori a quelli del genere Azotobacter, acido-tolleranti. Le specie più comuni di questo genere sono B. indica, B. lacticogenes, B. mobilis, mobili o immobili, formanti colonie rotonde, a bordi regolari, sopraelevate, lisce mucose, ialine ed opache, di colore sfumato verso il bruno ed il rosso, con gomme; B. fluminensis che forma colonie a bordi irregolari, sopraelevate, rugose, asciutte, granulose, opache, con pigmento castano e prive di gomme; B. derxii, B. acida, B. congensis, immobili, formanti colonie tonde, a bordi regolari, sopraelevate, lisce, mucose, opache, spesso iridate e plicate, con pigmento giallo-verde fluorescente e diffusibile, con gomme.
415 Il terreno
Tab. 48 – Principali organismi viventi liberamente, in grado di attuare la fissazione dell’azoto atmosferico.
Ordine Famiglia Genere mg di azoto fissato per g di carbonio consumato
BATTERI: Eubacteriales Azotobacteriaceae Azotobacter 1,0-1,5Beijerinckia 1,0-1,5Derxia 2,5-2,8
Pseudomonadaceae Pseudomonas 0,1-0,5Azotomonas 0,1-0,4
Enterobacteriaceae Aërobacter 0,4-0,5Klebsiella 0,4-0,5
Achromobacteriaceae Achromobacter 0,1-0,2Spirillaceae Desulphovibrio
MethanobacteriumSpirillum
Bacillaceae Bacillus 1,2-1,3Clostridium 0,2-2,7
Thiorhodaceae ChromatiumAthiorhodaceae Rhodospirillum
RhodopseudomonasRhodomicrobium
Chlorobacteriaceae ChlorobiumCIANOBATTERI: Nostocales Nostocaeae Nostoc 1,5-2,0
Anabaena 1,5-2,0AulosiraAnabaenopsisCylindrospermum 1,0-1,2Chlorogloea
Rivulariaceae Calotrix 1,0-1,4Scytonemataceae Tolypothrix
Scytonema Stigonematales Stigonemataceae Fischerella
HapalosiphonMastigocladusStigonemaWestillopsis
FUNGHI: Endomycetales Saccharomycetaceae SaccaromycesRhodotorulaLipomycesCandidaPullularia
Fiume Francesco 416
Il genere Clostridium è rappresentato da batteri anaerobi, sporigeni, a forma di bastoncello le cui principali specie, con i principali caratteri fisiologici differenziali sono: C. butyricum (fermenta l’amido di patata e di mais), C. butylicum (fermenta l’amido di patata, ma non quello di mais), C. beijerinckii (non fermenta l’amido di patata e di mais), C. multifermentans (provoca emolisi del sangue), C. pasteurianum (non fermenta amido e lattato di calcio), C. madisonii (produce acido solfidrico), C. acetobutylicum (fluidifica l’albumina coagulata, fermenta e coagula il latte tornasolato, non fermenta le pectine), C. kluyveri (trasforma l’alcool etilico in acido caproico), C. lactoacetophilum (fermenta lattato e produce acido butirrico), C. felsineum (fluidifica la gelatina e forma pigmenti giallo-arancioni sui mezzi di coltura), C. pectinovorum (liquefa la gelatina).
I cianobatteri, le alghe verdi-azzurre, si riconoscono all’esame microscopico per la presenza di eterocisti, un tipo caratteristico di cellula a contenuto ialino e con parete spessa e rifrangente, con funzione di riproduzione, di sporogenesi o di riserva. I caratteri morfologici delle principali specie di cianobatteri fissatrici che fissano direttamente l’azoto atmosferico sono schematizzate nella figura 48, nella parte in cui la pedoflora del suolo è descritta.
Ma la fissazione dell’azoto atmosferico avviene anche per opera di organismi che vivono in simbiosi con piante, dalle epatiche fino alle angiosperme. Il microrganismo normalmente è ospitato in speciali strutture, rimanendo al riparo dalla forte competizione che si realizza nel terreno ed utilizzando tutti i prodotti a lui necessari che sono forniti dall’essere macroscopico, in generale la pianta. Questa ha il vantaggio di poter utilizzare direttamente l’azoto che il simbionte è in grado di fissare. La simbiosi che meglio si conosce ed assume una grande importanza agronomica è quella che si stabilisce tra le leguminose coltivate ed i batteri del genere Rhizobium. La fissazione dell’azoto avviene in speciali strutture della radice, i tubercoli, che offrono ricovero ai batteri. I tubercoli radicali sono posseduti da almeno 85% di specie delle Mimosoideae e Papilionatae e da 35% di specie delle Cesalpinoideae. In generale, la simbiosi è più frequente nelle specie erbacee che in quelle arbustive ed arboree.
Il genere Rhizobium (figura 44) è costituito da batteri a forma di bastoncini, aerobi ed eterotrofi. Comprende sette specie in base alla specificità per l’ospite. La classificazione delle specie di Rhizobium è fondata sui gruppi d’inoculazione incrociata, perciò un ceppo isolato da una determinata specie di leguminosa (ad esempio fagiolo) non può indifferentemente colonizzare e produrre tubercoli radicali su un’altra specie (ad esempio pisello). Sono noti molti gruppi di rizobi di inoculazione incrociata e sei di essi sono stati elevati al rango di specie: Rhizobium leguminosarum, R. trifolii, R. phaseoli, R. meliloti, R. lupini, R. japonicum. Nei ceppi di rizobio sono stati individuati fatti di trasgressione e di instabilità, oltre che variazioni di recettività da parte delle specie di leguminose. Per esempio, i ceppi di rizobi isolati da pisello e quindi appartenenti alla specie R. leguminosarum potevano colonizzare anche piante di trifoglio e comportarsi come R. trifolii. I molteplici tentativi di dare una sistemazione delle specie del genere Rhizobium sono ancora imperfetti, compresi quelli basati su tecniche di biologia molecolare. Una rapida analisi dei caratteri morfologici, citologici, colturali, insieme con lo studio del processo di nodulazione e dell’attività azotofissatrice, potrà rappresentare un valido aggiornamento delle conoscenze sui simbionti delle leguminose.
Oltre a questo tipo di simbiosi mutualistica obbligata tra batteri del genere Rhizobium e le leguminose, sono note altre forme simbiontiche formanti tubercoli radicali. Sono provvisti di tubercoli radicali i generi Alnus, Casuarina, Coriaria, Eleagnus, Hippophaë, Stepherdia, Arctostaphylos, Myrica, Comptonia, Ceanothus,
417 Il terreno
Discaria, Dryas, Purschia, Cercocarpus. Il microrganismo endofita è rappresentato da specie del genere Rhizobium, Bradirhizobium, Acrinomyces. Sono note ancora altre simbiosi finalizzate alla fissazione dell’azoto atmosferico: i licheni del genere Peltigea e Collema, le epatiche del genere Blasia, Cavilaria e Anthoceros stabiliscono rapporti di simbiosi con cianobatteri del genere Nostoc; le pteridofite del genere Azolla (A. caroliniana) e molte specie di Cycadaceae costituiscono rapporti simbiontici con cianobatteri del genere Nostoc e Anabaena; molte Gimnospermae danno luogo a simbiosi azotofissatrici con endofiti fungini; Angiospermae, come il genere Gunnera, entrano in simbiosi con Nostoc. Alcune piante della famiglia delle Rubiaceae formano tubercoli fogliari, anziché radicali, ospitanti un batterio, un endofita delle foglie, la Klebsiella rubiacearum.
L’importanza pratica dei rapporti di simbiosi azotofissatrice tra i microrganismi e le piante è sicuramente rilevante nella valorizzazione dei terreni primitivi e nel ripristino delle condizioni di fertilità nei suoli che hanno subito uno sfruttamento eccessivo e si presentano depauperati.
Tutti questi organismi e molti altri noti o ancora da scoprire, da soli od associati alle piante, sono in grado di trasformare un gas inerte, come l’azoto dell’aria, di attivarlo e di integrarlo in complesse sintesi biochimiche. Per avere ammoniaca, se si volesse combinare direttamente l’azoto molecolare con l’idrogeno, dovremmo applicare elevate temperature e pressioni, sicuramente anormali in ordinarie condizioni naturali. I microrganismi sono in grado di attuare reazioni analoghe, dello stesso tipo, a temperatura e pressione ambientale. Questo perché il meccanismo biochimico di fissazione dell’azoto, lo stesso per qualunque microrganismo, libero o in simbiosi, è di tipo catalitico. Il catalizzatore, trattandosi di un processo biologico, è un enzima, la nitrogenasi. Esso è costituito da due proteine il cui gruppo prostetico è il ferro per la prima ed il ferro e molibdeno per la seconda. La nitrogenasi è capace di catalizzare la reazione per la quale l’azoto molecolare dell’aria è ridotto ad ammoniaca.
La Fe-proteina è un dimero costituito da due sub-unità identiche, con peso molecolare che varia da 55.000 a 65.000, con quattro atomi di ferro. La Fe-Mo-proteina è un tetramero di peso molecolare di 200.000-250.000, con due atomi di molibdeno e 28-34 atomi di ferro. Nella reazione enzimatica per ogni molecola di Fe-Mo-proteina è richiesta una o due molecole di Fe-proteina. Un aspetto interessante è che la nitrogenasi è la stessa in qualunque microrganismo azotofissatore. Basta isolare, infatti, la Fe-proteina da un batterio e la Fe-Mo-proteina da un altro, anche di specie e di genere differente, accoppiarle ed ottenere un enzima attivo, in grado di fissare azoto molecolare ad ammoniaca. La nitrogenasi è ossigeno-labile ed i microrganismi dispongono di adeguati accorgimenti atti a determinare nell’intorno dell’enzima un ambiente assolutamente riducente.
Tuttavia, nei confronti dell’ossigeno dell’aria, la nitrogenasi dei diversi gruppi di microrganismi evidenzia un differente tipo di comportamento. In particolare, i cianobatteri azotofissatori e gli azotofissatori anaerobi del genere Clostridium posseggono una nitrogenasi molto sensibile all’ossigeno, che inattiva irreversibilmente l’enzima.
Al contrario, i batteri azotofissatori eterotrofi aerobi, tipo Azotobacter e Mycobacterium flavum, danno luogo ad una nitrogenasi di estratti grezzi che risulta essere stabile all’aria.
Nel processo di riduzione dell’azoto molecolare intervengono sostanze riduttrici come l’acido piruvico, proveniente dal ciclo degli idrati di carbonio, e l’acetilfosfato. Quest’ultimo partecipa, poi, nella sintesi di ATP, a partire da ADP:
Fiume Francesco 418
CH3–CO–COOH + P organico → CH3–CO∼P + CO2 + 2H
CH3–CO∼P + ADP → CH3–COOH + ATP
L’azotofissazione richiede una grande quantità di energia la quale è fornita da ATP, a seguito della sua trasformazione ad ADP, tanto che occorrono dalle 4-5 molecole di ATP (per Azotobacter) fino a 29 (per Klebsiella pneumoniae) per ottenere sufficiente energia per il completamento del processo. Il trasporto degli elettroni sulla nitrogenasi avviene per mezzo della ferridoxina che passa reversibilmente dallo stato ossidato a quello ridotto. I batteri dei tubercoli radicali contengono anche una globina, che conferisce il colore rossatro alla sezione del nodulo, la cui funzione non è ancora ben nota, che non è presente nelle cellule in coltura pura di rizobi e che certamente è elaborata dalla pianta sotto lo stimolo della colonizzazione batterica delle radici. Molto evidente è la correlazione tra l’intensità dell’azotofissazione e la concentrazione di questa globina, tanto che nei tubercoli, incapaci di azotofissazione, essa è mancante, così come nelle leguminose non colonizzate dai rizobi. Tale globina funziona, probabilmente, come trasportatore di ossigeno nella catena di trasporto degli elettroni, analogamente all’emoglobina del sangue. I composti riduttori che ne derivano e che producono ATP (che fornisce l’energia necessaria al processo) ed i tre sistemi che passano reversibilmente dalla forma ridotta a quella ossidata e viceversa (il sistema di trasporto degli elettroni, la Fe-proteina e la Fe-Mo-proteina) inducono il passaggio dell’azoto molecolare (N2) dell’aria ad ammoniaca (NH3). Quest’ultima si combina con chetoacidi per formare amminoacidi. Così, per esempio, l’acido piruvico riceve il gruppo amminico e si trasforma in alanina, secondo il seguente schema:
Ferridoxina ridotta + Nitrogenasi + N2 → Ferridoxina ossidata + Nitrogenasi–N2 ridotta
Nitrogenasi–N2 ridotta + 12 ATP → Nitrogenasi + NH3 + 12 ADP + 12P
CH3–CO–COOH + NH3 → CH3–CH–COOH + H2O
NH2 Molto interessante è lo schema proposto da Florkin e Schoeffieniels riguardante il meccanismo
di azione del molibdeno, contenuto nella Fe-Mo-proteina della nitrogenasi e la cui esigenza nella fissazione è ben nota, circa la trasformazione dell’azoto biatomico in due gruppi amminici.
Man mano che il molibdeno passa ad una forma sempre più ossidata, si assiste alla progressiva riduzione dell’azoto biatomico.
Al termine il molibdeno ritorna nella forma più ridotta, per ricominciare il ciclo. L’andamento ossidativo del molibdeno e quello di riduzione dell’azoto molecolare sono di seguito schematicamente riportati:
419 Il terreno
Nel bilancio energetico dell’assimilazione dell’azoto atmosferico bisogna includere, oltre l’energia spesa per la riduzione enzimatica dell’azoto dell’aria, anche l’energia per la formazione e la crescita dei tubercoli radicali, per il trasporto dei carboidrati dalle foglie alle radici e per il trasferimento, in senso opposto, degli amminoacidi.
Nelle leguminose, circa un terzo del carbonio organicato con la fotosintesi viene utilizzato per la nodulazione e l’azotofissazione. In cambio le piante ricevono dai rizobi quasi i nove decimi dell’azoto da essi fissato, che rappresenta una grande quantità, se si pensa che gli azotofissatori liberi trattengono nel loro corpo fino al 95% di azoto fissato.
La biosintesi della nitrogenasi da parte dei microrganismi azotofissatori è in stretta dipendenza con la concentrazione di NH+ del substrato e se i cationi ammonio sono presenti, essi bloccano la produzione dell’enzima. Anche il rapporto tra il carbonio e l’azoto assimilabile influenza il processo di azotofissazione, nel senso che tanto più tale rapporto è alto, tanto più attiva è l’azotofissazione. Ciò ha un importante risvolto agronomico, in quanto una concimazione azotata può bloccare la fissazione dell’azoto atmosferico da parte dei microrganismi, con conseguenze facilmente immaginabili.
Il riconoscimento delle cellule vegetative dei rizobi azotofissatori che si trovano nella rizosfera è fondato sui seguenti caratteri colturali: cellule a bastoncino di dimensioni di 0,6-0,8 x 1,4 µ, con una membrana tristratificata, Gram-negativi, mobili, producenti una gomma idrosolubile che per idrolisi dà glucosio ed, a volte, acido galatturonico, con presenza, all’interno della cellula, di granuli di poli-β-idrossibutirrato, molto rifrangenti, insieme a corpuscoli polari ed un nucleoide fibrillare centrale. Le cellule che vanno a colonizzare le radici delle leguminose hanno maggiori dimensioni delle cellule vegetative e si presentano irregolari, a clava, a forma di X, Y e T. Alcune specie di rizobi possono mostrare cellule con membrane intracitoplasmatiche, ossia invaginazioni della membrana cellulare che si presenta avvolta da un involucro prodotto dalle cellule radicali della pianta, avente una funzione di controllo, poiché il microrganismo non è libero nei tessuti della radice.
La colonizzazione delle radici di leguminose da parte dei rizobi e la formazione e l’evoluzione dei tubercoli si realizza attraverso tre fasi: la precolonizzazione della radice, per la quale i rizobi specifici si moltiplicano nella rizosfera e deformano i peli radicali; la colonizzazione e la generazione del tubercolo attraverso cui avviene la penetrazione del batterio e la moltiplicazione delle cellule tetraploidi e diploidi del tessuto del tubercolo, con differenziazione dello stesso; la degenerazione del tubercolo a seguito della quale si ha liberazione dei rizobi nel terreno. Durante queste fasi, i rizobi si moltiplicano attivamente, ossidano il triptofano in acido 3-indolacetico, danno luogo a polisaccaridi, mentre le piante, in una interazione con gli stessi batteri, producono essudati radicali non specifici, eliminano triptofano, curvano i peli radicali, sintetizzano ed eliminano poligalatturonasi.
I rizobi penetrano nel pelo radicale disponendosi secondo un filamento continuo e mucoso, circondato da una guaina cellulosica. La formazione del tubercolo dipende dall’affinità genetica tra la specie di rizobio e le cellule corticali della radice. I tessuti
Mo++ Mo++ Mo++++ Mo++++ Mo++++++ Mo++
2H+ 2H+ → e → e → e → e → e → e / \ / \ / \ / \ / \ N=N H+N=NH+ HN–NH H+HN–NHH+ H2N NH2
Fiume Francesco 420
corticali, costituiti oltre che da normali cellule diploidi, anche da cellule tetraploidi, ricevono dai microrganismi lo stimolo a dividersi per l’azione di auxine, come le citochinine. I batteri penetrano soltanto nelle cellule tetraploidi, man mano che si originano, mentre il nodulo si differenzia quando i rizobi sono penetrati nelle cellule provviste di 8n cromosomi. La penetrazione nelle cellule tetraploidi giunge fino alla zona centrale del meristema del tubercolo dove i microrganismi assumono la forma di batteroide e sono circondati, da soli o in piccoli gruppi, dall’involucro di isolamento generato dai tessuti della pianta. In questa fase viene sintetizzata quella globina, simile all’emoglobina del sangue, che induce colorazione rossatra al tubercolo. Soltanto in tale stadio inizia l’azotofissazione.
Il tubercolo, completamente sviluppato, si presenta, in sezione, distinto in una zona corticale esterna, in una zona meristematica sottostante, nella quale è diffuso il sistema vascolare e dove si trova (subito sotto la zona corticale) l’endodermide del nodulo, ed infine, in una zona centrale, separata dai vasi da vari strati di cellule parenchimatiche. Soltanto nella zona centrale del tubercolo si trovano i batteri azotofissatori. La degenerazione del nodulo avviene con la lisi delle cellule del rizobio, con la liberazione dei batteri nel terreno e con la sostituzione della globina con pigmenti biliari.
Le leguminose stimolano lo sviluppo dei rizobi, probabilmente producendo essudati radicali, ma ben poco è noto circa la loro composizione ed il meccanismo d’azione. E’ certo che i rizobi si concentrano nella rizosfera, concorrono alla solubilizzazione dei fosfati ed al miglioramento della struttura (ciò è legato alla produzione di gomme e mucillagini che inducono le particelle terrose ad un’aggregazione glomerulare) o semplicemente costituiscono una massa d’inoculazione che entra subito in attività quando l’ambiente edafico favorisce la simbiosi con le radici.
Molto forti sono i rapporti di competizione che i batteri azotofissatori simbionti possono stabilire con altri miscrorganismi del suolo. Forti antagonisti sono gli actinomiceti, tanto che la microflora totale del terreno supporta fino al 25% di antagonisti del genere Rhizobium, senza calcolare i virus infettanti i batteri del suolo, i batteriofagi che, nel caso specifico, sono detti rizobiofagi. La presenza di un’elevata densità di antagonisti dei rizobi è una concausa della stanchezza dei terreni coltivati, ripetutamente, a leguminose. Il deperimento della coltura prolungata di leguminose viene anche correlato all’accumulo di sostanze tossiche prodotte dalle piante ed alla pressione selettiva dei microrganismi fitopatogeni e non solo all’antibiosi esercitata dai microrganismi del suolo o dai rizobiofagi. Un terreno si considera sano quando è in equilibrio biologico, in rapporto alla sua produttività. La fertilità diminuisce se l’equilibrio biologico del suolo viene negativamente modificato e se la coltivazione della stessa specie è oltremodo prolungata, senza ricorrere alle rotazioni colturali. Forse un terreno affetto da “stanchezza” detiene biocenosi inadatte, come, per esempio, una microflora fitotossica equilibrata, che non differisce, sotto l’aspetto morfologico, da quella utile e tale che la sua azione, sfavorevole alla pianta coltivata, si traduce in una diminuzione di produttività del suolo. D’altra parte è noto che molti antibiotici sono fitotossici e che alcune microflore si oppongono all’assorbimento di alcuni microelementi come il manganese ed il rame.
AMMONIFICAZIONE DELL’AZOTO ORGANICO Consiste nella degradazione microbica dei composti organici azotati, fino alla
produzione di composti minerali, sotto forma di ioni ammoniacali NH4+. L’azoto può
essere liberato anche sotto forma di ammoniaca gassosa NH3, ma ciò avviene
421 Il terreno
generalmente soltanto durante la decomposizione di grandi quantità di materiale ricco di azoto come, per esempio, nelle concimaie od in celle zimotermiche. L'ammoniaca prodotta per ammonificazione si solubilizza nell’acqua del terreno dove si combina con i protoni per formare lo ione ammonio:
NH3 + H2O → NH4+ + OH¯
L’ammonificazione costituisce una fase fondamentale del ciclo dell’azoto, da cui dipende il mantenimento della fertilità del suolo. La progressiva degradazione dei resti e dei rifiuti organici lasciati nel terreno dalle piante, dagli animali e dall’uomo è accompagnata dalla mineralizzazione dell’azoto sotto forma di ammoniaca nuovamente assimilabile, direttamente o previa nitrificazione, dalle piante. I batteri ed i funghi del suolo svolgono un ruolo fondamentale nel processo di ammonificazione e, senza di loro, il processo non potrebbe verificarsi. Tuttavia, l’intensità e la velocità della degradazione della sostanza organica dipendono molto dall’abbondanza o dalla scarsezza delle specie di microrganismi ammonificanti, ma dipendono ancor più dallo stato fisico-chimico del terreno, le cui condizioni, a loro volta, influenzano l’attività dei microrganismi. Bisogna anche sottolineare che il valore del pH poco influenza l’ammonificazione che può avvenire entro limiti molto ampi, anche se i valori più favorevoli sono 7-8,5.
Molto più importante è il contenuto d’acqua del terreno. Un terreno, di cui è saturato il 60% della capacità idrica, possiede un’attività di ammonificazione ottimale. L’aerazione del terreno è un aspetto secondario, in relazione al fatto che la flora ammonificante va dai batteri putrefacenti, anaerobi obbligati, agli eumiceti, strettamente aerobi.
Molto importante è la temperatura ambientale che deve essere relativamente mite. Temperature invernali molto basse o estive molto elevate contrastano l’andamento dell’ammonificazione che, invece, procede normalmente ed in maniera ottimale in autunno e nell’avanzata primavera.
Le condizioni chimiche del terreno influenzano l’ammonificazione. L’aggiunta al terreno, in quantità non eccessive, di paglia, erbe da sovescio e letame aumenta in notevole misura la formazione di ammoniaca e favorisce lo sviluppo e l’attività dei microrganismi.
La flora ammonificante viene stimolata dalla concimazione azotata e fosfatica e da microelementi ad azione catalitica come manganese e ferro.
Anche i terreni che subiscono trattamenti geodisinfestanti fisici (calore) o chimici (bromuro di metile) intensificano i processi di ammonificazione e dopo la loro esecuzione si osservano le piante che manifestano chiari effetti di rigoglio vegetativo, dovuti ad intensa produzione di ammoniaca nel terreno. Ciò è dovuto al fatto che il trattamento al terreno è meno sensibile nei confronti della flora ammonificante e che la morte di un numero infinito di organismi viventi nel suolo costituisce un immenso pabulum per gli ammonificanti, con conseguente grande produzione di ammoniaca.
Il potere ammonificante di un terreno è possibile misurarlo con il metodo di Brown: a 100 g di terreno in esame si aggiungono 10 cc di una soluzione al 10% di albumina o di caseina, in acqua alcalinizzata con carbonato di sodio, e tanta acqua fino a portare l’umidità al 30%. Dopo 3-7 giorni di incubazione a 20 °C si dosa l’ammoniaca. Il potere ammonificante del terreno, cioè la liberazione di ammoniaca da parte della microflora, non tiene conto di altre vie che l’azoto segue nella degradazione aerobica ed anaerobica delle proteine. Con la degradazione aerobica, le proteine subiscono un vero
Fiume Francesco 422
processo digestivo, si trasformano in peptoni e peptidi che, per idrolisi enzimatica, producono amminoacidi liberi e, per desaminazione microbica, azoto ammoniacale, ma possono anche essere assimilati dalla microflora o assorbiti dalle piante o adsorbiti dalla particelle terrose del suolo (argilla ed humus). Nella degradazione anaerobica delle proteine (putrefazione), una parte dell’azoto viene convertito in ammoniaca, mentre un’altra parte è trasformato in azoto amminico che, per ossidazione, libera ammoniaca.
Con l’applicazione della metodica di Brown, molti ricercatori hanno tentato di stabilire una correlazione tra la fertilità dei vari terreni ed il loro potere ammonificante. Ciò sarebbe stato un indice abbastanza sicuro di valutazione. Purtroppo, l’applicazione pratica ha fornito risultati molto scadenti ed è ormai riconosciuto che il potere ammonificante di un terreno non può essere considerato un indice assoluto di fertilità di quel suolo. Di fronte ad un fenomeno molto complesso, di dimensioni planetarie, nessuna sicura indicazione poteva derivare dalla valutazione di uno solo dei parametri fisici, chimici e biologici che ne regolano l’andamento. Le determinazioni del potere ammonificante di un suolo presentano gravi imperfezioni ed anche se riescono a dare indicazioni sull’attività dei microrganismi decomponenti e sull’influenza di vari stimoli fisici e chimici, non riescono a fornire sufficienti informazioni circa l’andamento ed i risultati del processo di degradazione della materia organica, in condizioni naturali.
Numerosi sono stati i tentativi d’inoculazione nel terreno di microrganismi ammonificanti, molto attivi in condizioni sperimentali di laboratorio, che dovevano mettere rapidamente a disposizione delle piante tutto l’azoto organico. Nessun esperimento ha avuto un seguito pratico ed applicativo e più nessuno parla, oggi, di un Bacillus ellembachensis, che era semplicemente un normale Bacillus subtilis, a cui erroneamente si attribuivano delle attività azotofissatrici, e del cosiddetto ammoniogeno che altro non era che una miscela di spore di Bacillus megatherium e di B. mycoides.
Il terreno agrario è sempre più o meno ricco di microrganismi ammonificanti, tipicamente ubiquitari, la cui vita è regolata dalle condizioni fisiche e chimiche del terreno. Se le condizioni edafiche non sono favorevoli a nulla giova l’introduzione di microrganismi ammonificanti i quali, comunque, non riusciranno ad ambientarsi. Se le condizioni pedologiche sono favorevoli allora è inutile qualunque inoculazione, perché i
microrganismi ammonificanti, per le loro caratteristiche ubiquitarie, colonizzeranno quel suolo e daranno luogo ad un normale processo di degradazione della sostanza organica, fino alla produzione dei cationi ammonici o di ammoniaca.
Il processo di ammonificazione è un processo biologico molto aspecifico, poiché moltissimi sono i microrganismi capaci di realizzare la degradazione delle proteine, dai batteri, fino agli actinomiceti ed ai funghi, anche in condizioni ambientali più diverse.
La materia organica, inoltre, non viene tutta degradata con la stessa velocità. Alcuni compostaggi sono rapidamente degradati, mentre altri sono molto refrattari alla degradazione microbica e sono mineralizzati lentamente. Per avere un’idea circa la velocità di degradazione delle proteine si ricorre al periodo di semitrasformazione, che indica il tempo necessario affinché le forme organiche azotate riducano alla metà la loro concentrazione. Sulla base del periodo di semitrasformazione è possibile distinguere quattro frazioni di azoto organico: quello della biomassa microbica, una frazione facilmente mineralizzabile, una frazione stabile ed una frazione molto resistente; quest’ultima rappresenta il 50% dell’azoto organico totale del terreno.
NITRIFICAZIONE DELL’AZOTO AMMONIACALE
La nitrificazione dell’azoto ammoniacale è un altro anello del ciclo dell’azoto e
423 Il terreno
consiste nell’ossidazione biologica dell’ammoniaca, fino alla formazione di azoto nitrico. I microrganismi che determinano questa trasformazione sono un gruppo non molto numeroso di specie chemio-autotrofe, aerobie obbligate, la cui crescita colturale è bloccata da composti organici.
La nitrificazione eterotrofa è realizzata da Aspergillus flavus ed Arthrobacter globiformis e da diverse specie del genere Achromobacter, Corynebacterium, Nocardia, Agrobacterium ed Alcaligenes.
La reazione del terreno condiziona molto la nitrificazione, nel senso che essa è inibita da valori di pH inferiori a cinque ed, in terreni con simili valori, tutto l’azoto minerale del suolo si trova sotto forma ammoniacale. La correzione dell’acidità dei terreni può favorire la nitrificazione.
Anche il rapporto carbonio/azoto (C/N) influenza la nitrificazione tanto che il suo andamento può essere ostacolato nello strato superficiale di residui della vegetazione, dove tutta l’ammoniaca prodotta è totalmente assimilata, perciò, fissata dai microrganismi eterotrofi e sottratta alla trasformazione nitrica.
La nitrificazione è un processo tipicamente ossidativo, messo in atto da microrganismi aerobi. L’eccessiva umidità del terreno ed altri fattori che diminuiscono l’ossigeno del suolo rappresentano un’importante causa d’ostacolo al normale decorso del processo.
L’individuazione e l’isolamento dei batteri della nitrificazione furono risolti da Winogradsky alla fine dello scorso secolo, quando ebbe l’idea di escludere dai substrati di coltura ogni traccia di sostanza organica, ottenendo, così, la conferma che si trattava di batteri chemio-autotrofi obbligati.
Per poter fare una prima distinzione di questi batteri bisogna considerare che la nitrificazione avviene in due fasi separate, la nitrosazione e la nitrificazione. La prima consiste nell’ossidazione dell’ammoniaca ad idrossilamina e nella successiva ossidazione a nitrito, con l’intervento di un’ossigenasi e di un’idrossilamina ossidoreduttasi e probabile esistenza di una tappa intermedia non ancora dimostrata. La seconda induce la trasformazione del nitrito a nitrato, in presenza di una catena di trasporto degli elettroni, comprendente il citocromo a2 e la sintesi di ATP.
La nitrosazione avviene secondo il seguente schema, in tre fasi (idrossido di ammonio, idrossilamina, nitrossile e acido nitroso), in ognuna delle quali si ha perdita di due elettroni e di due protoni, con sviluppo di 63,8 Kcal:
- 2H - 2H - 2HNH4OH → NH2OH → NOH → HNO2
+ H2O
Il nitrossile NOH si troverebbe sotto forma polimerica, in forma di acido iponitroso (OH–N=N–OH), di nitramide (H2N–NO2) o di acido imidonitrico (HN=NO–OH).
La nitrificazione dà luogo alla deidrogenazione della forma idrata dello ione nitroso, con assorbimento di 17,8 Kcal.
+ H2O - 2HHNO2 → HON(OH)2 → HNO3
Fiume Francesco 424
I batteri che determinano la nitrosazione sono detti nitrosanti o nitrosi. Essi sono batteri del genere Nitrosomonas, costituiti da cellule ovali, non sporigene, riunite in zooglee (N. europaea, immobile e Gram-negativo, N. oligocarbogenes, mobile e Gram-positivo, N. monocella); del genere Nitrosococcus, raro, a forma di cocchi; del genere Nitrospira, cellule lunghe e spiralate; del genere Nitrosocystis, con la specie N. coccoides formanti colonie dense e viscose, con aggregati cellulari circondati da capsula o cisti; del genere Nitrosoglaea, costituenti isolati cellulari non rivestiti da cisti; del genere Nitrosolobus, con la specie N. multiformis.
I batteri che inducono la nitrificazione sono detti nitricanti o nitrici. Essi sono batteri del genere Nitrobacter dotato di cellule ovali, non sporulate, Gram-negativi, con due specie, N. winogradskyi, immobile e N. agile, mobile. Altri generi e specie sono accessori al processo di nitrificazione e spesse volte dubbio è il loro potere. I batteri nitricanti sono aerobi stretti, prediligono un pH compreso tra 8,3 e 9,3, la loro azione è favorità dall’oscurità, la temperatura ottimale è di 24-28 °C, la loro unica fonte di carbonio è data dall’anidride carbonica e dai carbonati, la fonte azotata è costituita da ammoniaca per i nitrosanti e da nitriti per i nitricanti. Tali microrganismi non utilizzano le sostanze organiche, che svolgono azione inibitrice anche a basse concentrazioni. Essi hanno bisogno, inoltre, di calcio.
Numerosi microrganismi eterotrofi, già citati, sono capaci di dar luogo all’ossidazione dell’ammoniaca e dei nitriti, fino alla produzione di nitrati. Questi microrganismi sono incapaci di utilizzare l’ossidazione dell’azoto come fonte di energia per le biosintesi cellulari e devono utilizzare il carbonio organico. Il differente trofismo di questi microrganismi (eterotrofismo) produce, naturalmente, un meccanismo biochimico di nitrificazione completamente diverso, rispetto a quello dei microrganismi autotrofi obbligati. Probabilmente intervengono catalasi e perossidasi, ma non è noto il loro ruolo nelle reazioni. In coltura pura o associata, i diversi microrganismi eterotrofi nitrificanti trasformano composti azotati ridotti, come l’ammoniaca e gli ossimi di acidi organici, in nitriti, con un rendimento maggiore di quello ottenuto a partire da azoto ammoniacale e pari a 40-70 ppm di azoto nitroso. Tale quantità, rispetto alla produzione del classico nitrificante Nitrosomonas, che è in grado di produrre fino a 1.000-2.000 ppm di azoto nitroso nello stesso tempo, è sicuramente da giudicare irrisoria. Tuttavia, il ruolo dei microrganimi eterotrofi, ossidanti i cationi ammonici ad anioni nitrosi e nitrici, anche se con un risultato meno imponente da un punto quantitativo, è assolutamente molto importante, sia per la diversificazione dei meccanismi del processo, sia perché i diversi meccanismi possono integrarsi o diventare alternativi e reciprocamente sostituirsi ed assicurare la degradazione della materia organica per qualunque condizione ambientale. L’importanza dei microrganismi eterotrofi è fondamentale nella determinazione degli equilibri biologici e nell’economia dei cicli naturali.
DENITRIFICAZIONE DELL’AZOTO NITRICO
La denitrificazione dell’azoto nitrico rappresenta l’ultimo anello del ciclo biologico dell’azoto. Attraverso questo processo l’anione nitrico nel terreno, non assorbito dalle piante o fissato dai microrganismi e non dilavato dall’acqua meteorica o di irrigazione (si ricorda che il suo adsorbimento da parte delle particelle colloidali minerali ed organiche del suolo è minimo), viene ridotto in prodotti volatili, come l’azoto molecolare e l’ossido nitroso che ritornano all’atmosfera. Da un punto di vista ecologico e dell’economia della natura, il processo di denitrificazione è fondamentale perché evita il depauperamento della riserva azotata contenuta nell’atmosfera che, per l’appunto, si mantiene costante nel
425 Il terreno
tempo. Da un punto di vista agronomico e dell’economia dell’agricoltore, la denitrificazione è un processo negativo poiché conduce ad una diminuzione di quell’azoto particolarmente disponibile per le piante coltivate. D’altra parte, questa frazione eccedente di azoto non utilizzata dalle piante sarebbe comunque perduta per effetto del dilavamento, perché non trattenuta dal terreno.
I nitrati subiscono una prima riduzione nelle cellule dei microrganismi edafici, per il semplice fatto che essi sono temporaneamente bloccati per essere utilizzati nella sintesi delle proteine. Queste ultime assolvono ad una funzione plastica, cioè di costituzione della struttura cellulare. Non si tratta di denitrificazione, ma di immobilizzazione momentanea dell’azoto nitrico che, pertanto, non può essere disponibile per le piante. La vera denitrificazione è la riduzione disassimilativa dei nitrati, per la quale gli stessi sono utilizzati soltanto come accettori finali degli elettroni che si originano nelle reazioni di ossidazione delle cellule microbiche e che sono la causa della riduzione ad azoto gassoso, N2, oppure ad ossido nitroso, N2O.
I microrganismi della denitrificazione sono principalmente batteri eterotrofi dei generi Pseudomonas, Achromobacter, Micrococcus e Bacillus e batteri autotrofi, come la specie Thiobacillus denitrificans. I batteri eterotrofi ed autotrofi sono tutti anaerobi facoltativi, in relazione al fatto che, soltanto in condizioni di anaerobiosi, i processi di ossidazione avvengono a seguito della protonazione del substrato e produzione degli elettroni che vanno a ridurre i nitrati. In presenza di ossigeno è questo che ossida il substrato per produrre energia, poiché si realizza il tipo normale di respirazione.
L’anaerobiosi facoltativa dei batteri denitrificanti può dar luogo a diversi livelli anaerobiotici e, schematizzando, questi possono essere molto stretti oppure abbastanza moderati. Nel primo caso, nell’anaerobiosi stretta, il processo di denitrificazione avviene, partendo dall’acido nitrico, con formazione di acido nitroso, nitroidrossilamina, ossido nitroso ed azoto molecolare, secondo il seguente schema:
2 HNO3 → 2 HNO2 → NO2NHOH → N2O →↑ N2↑
Nel secondo caso, nell’anaerobiosi moderata, partendo sempre dall’acido nitrico, si ottiene acido nitroso, nitroidrossilamina, acido nitroso di nuovo, idrossilamina ed, infine, ammoniaca, secondo lo schema seguente:
2 HNO3 → 2 HNO2 → NO2NHOH → HNO2 → NH2OH → NH3 ↑
In certe condizioni la nitroidrossilamina può ossidarsi ad ossido nitrico, secondo la seguente reazione:
NO2NHOH → 2 NO
Nel processo di denitrificazione intervengono il NADH, flavoproteine, chinoni, il citocromo b, che insieme all’enzima nitrato riduttasi libera anioni NO3¯, il citocromo c-d, che insieme all’enzima nitrito riduttasi riduce gli anioni NO3¯ ad anioni NO2¯, il citocromo C, che insieme alla NO riduttasi trasforma gli anioni NO2¯ in ossido nitrico NO, lo stesso citocromo C, che insieme alla N2O riduttasi dà luogo ad ossido nitroso N2O ed azoto gassoso N2 che, ambedue, volatilizzano nell’atmosfera.
Fiume Francesco 426
La microflora denitrificante è presente nei terreni equilibrati sotto l’aspetto microbiologico, anche se la presenza di una flora denitrificante non sta ad indicare che nel terreno esistano condizioni favorevoli alla denitrificazione, né che il processo si stia realizzando. La denitrificazione è favorita nei terreni asfittici, con eccessi idrici o nei terreni dove periodi di aridità (durante i quali si formano nitrati) si alternano con periodi di eccesso idrico (durante i quali si ha denitrificazione). Naturalmente, la denitrificazione è condizionata dall’intensità della nitrificazione e più questa è intensa, tanto più la denitrificazione sarà attiva, a causa della presenza di apprezzabili quantità di nitrati. Al contrario, se nel terreno ci sono pochi nitrati (per scarsa nitrificazione), anche la denitrificazione sarà ridotta ai minimi livelli.
La reazione del terreno influenza l’andamento della denitrificazione e tanto più basso è il pH tanto meno attiva sarà la volatilizzazione dell’azoto.
L’aerazione del terreno, anche attraverso le lavorazioni, riduce le perdite di azoto ed, in linea generale, la presenza di nitrati nel terreno induce, comunque, una volatilizzazione continua di azoto, sia pure in quantità impercettibile.
Una via agronomica per ridurre la denitrificazione consiste nella riduzione della concimazione con prodotti nitrici e nella somministrazione di concimi ammoniacali.
Un aspetto molto importante legato al ciclo dell’azoto nel terreno ed alle concimazioni azotate e che ha un notevole riflesso sulla qualità della produzione agricola, in particolare di ortaggi, è quello dell’accumulo dei nitrati nel suolo. Questo è uno dei problemi più gravi riguardante le coltivazioni degli ortaggi, soprattutto in serra, dove gli interventi di fertilizzazione azotata sono molto spinti e l’accumulo dei nitrati può arrecare serie conseguenze alla salute del consumatore. I nitrati sono normalmente ingeriti dall’uomo senza alcun problema (fanno parte, entro certi limiti, del contenuto minerale delle acque potabili) e gli ortaggi contribuiscono per il 70-80% nell’assunzione giornaliera, in quanto nelle piante essi sono naturalmente presenti per subire la conversione in azoto organico, prima aminoacidico e poi proteico. Tuttavia, se nel terreno le disponibilità sono superiori alle esigenze, come accade in quelle serre dove l’agricoltore ha spinto la concimazione azotata per forzare lo sviluppo della coltura, i nitrati si accumulano nelle piante e solo una parte è trasformato in azoto organico.
Accade allora che i nitrati in eccesso sono ridotti, nelle piante ed anche direttamente nell’organismo umano, in nitriti. Questi provocano la formazione di nitrosamine e nitrosamidi, sostanze notoriamente cancerogene ed aventi un’azione fortemente negativa sull’emoglobina del sangue, la quale si trasforma in metaemoglobina incapace di ossidarsi ad ossiemoglobina e, quindi, di assolvere alla normale funzione di trasporto dell’ossigeno.
L’intervento più importante, per evitare che questo tipo di problema possa insorgere, è quello che agisce sulla concimazione azotata.
Più la raccolta è vicina all’ultima concimazione azotata, maggiore è il rischio di alta presenza di nitrati; più la quantità distribuita eccede il fabbisogno della pianta, più si favorisce l’accumulo. Pertanto, ottenere una produzione sana di ortaggi significa mettere in atto una serie di accorgimenti e conoscenze: effettuare l’analisi chimica del terreno; conoscere il fabbisogno in azoto della coltura ed alle diverse fasi fenologiche della pianta; tenere presente l’epoca colturale ed il ritmo di accrescimento della varietà; fornire una formulazione di concime a lento effetto e meno prontamente disponibile come l’azoto ammoniacale; ricorrere alla fertirrigazione oppure alla coltura idroponica oppure alla coltura fuori suolo; in quest’ultimo caso, in considerazione del problema dei residui, utilizzare un impianto di coltivazione senza suolo ed a ciclo chiuso.
La temperatura e l’irradianza influenzano l’accumulo dei nitrati nelle foglie di
427 Il terreno
alcune specie coltivate, in funzione della disponibiltà di anioni nitrato. Così, nella rucola, in condizioni di bassa disponibilità di ioni nitrato, l’accumulo dei nitrati nelle foglie è maggiore a temperatura più alta ed a luminosità più bassa; all’aumento della disponibilità di azoto nitrico, all’incremento della luminosità e con temperatura alta, la concentrazione dei nitrati nei tessuti diminuisce.
Tutto ciò è coerente con l’attività della nitrato riduttasi che è un enzima del processo di denitrificazione, come già visto, che è attivato non solo dalla luce, ma anche dalla presenza del substrato specifico, cioè di azoto nitrico.
Ciclo dello zolfo
Lo zolfo presenta un ciclo reso possibile dai suoi numerosi stati d’ossidazione e dal gran numero di composti inorganici ed organici presenti nei tre stati della materia e spesso idrosolubili.
Fig. 106 – Schema semplificato del ciclo dello zolfo in natura.
La riserva totale di zolfo, sul nostro pianeta, ammonta a circa 311.500 milioni di tonnellate, di cui circa il 60% è localizzato nelle rocce ignee della litosfera, oltre il 24% in quelle metamorfiche, oltre il 9% nelle sedimentarie e circa 1% nei sedimenti. Inoltre, il 4,5% si trova nell’idrosfera, mentre nell’atmosfera è presente soltanto lo 0,02% dello zolfo totale.
Nella figura 106 è riportato schematicamente il ciclo dello zolfo in natura, nelle fasi di ossidazione e riduzione degli anioni solfidrico e solforico e di organicazione e mineralizzazione dello zolfo minerale ed organico, rispettivamente.
Lo zolfo nel terreno è contenuto nella quantità dello 0,01-0,5% e non supera, di solito, lo 0,6%, mentre le combinazioni organiche raggiungono spesso il 90% del totale. Lo zolfo organico perviene al terreno con i resti animali e vegetali, è mineralizzato a zolfo elementare e poi ossidato ad anione solforico che ritorna di nuovo alla forma organica quando è assimilato dalle piante e dagli animali.
Confrontando il ciclo dello zolfo e quello dell’azoto appare subito evidente la prima differenza rappresentata dal fatto che, nel primo caso, la sorgente primaria è localizzata nella litosfera terrestre, nel secondo, nell’atmosfera.
L’altra differenza, come già accennato, è da ravvisare nelle reazioni ossidoriduttive, molto più complesse nel caso dello zolfo (anche per le numerose forme di ossidazione
Apporti di zolfo Ossidazione Ossidazione Perdite di zolfo al terreno S minerale dal terreno
Piogge Lisciviazione Animali Vegetali Fitofarmaci Correttivi
Solfuri S2-
Ossidazione → ←
Riduzione
Solfati SO4
2- H2S
SO2
Ammendanti Concimi Assorbimento S organico Adsorbimento Mineralizzazione Organicazione
Fiume Francesco 428
dell’elemento: -2, +4, +6).Nel terreno, lo zolfo, oltre allo stato inorganico, è presente come zolfo organico
nelle proteine ferro-zolfo (la prima ad essere scoperta è stata la ferridoxina) contenute in molti batteri, negli amminoacidi solforati con legame C–S– (cistina e cisteina, metionina), nei solfati organici (ad esempio il solfato di colina, i solfati fenolici, i polisaccaridi solfatati) contenenti legami C–O–S–, negli esteri solforici dei glucidi e dei lipidi, nelle particelle colloidali umiche cui i biopolimeri dello zolfo sono adsorbiti.
Molti microrganismi del terreno dovrebbero rappresentare una buona riserva di zolfo organico, in particolare per quanto riguarda le tipiche molecole biologiche come le vitamine (tiamina e biotina), gli antibiotici (penicellina e gliotossina), composti metabolici (glutatione, acido lipoico, coenzima a). Questi composti raramente sono stati trovati liberi nel terreno e ciò è stato spiegato con il fatto che essi sono rapidamente demoliti dagli stessi microrganismi del suolo di cui ne sono avidi.
Esiste, infine, una frazione non conosciuta di zolfo organico che può essere presente come prodotti ottenuti da complesse reazioni di condensazione dei composti solforati con chinoni.
Lo zolfo presente nel suolo naturale ed agrario è di 30-81 mg/g di terreno e di questo, il 21-30% del totale ed il 45-47% di quello legato al carbonio è zolfo amminoacidico.
Il ciclo dello zolfo, come quello degli altri elementi in natura, è caratterizzato da una fase anabolica, mediante la quale avviene la sua organicazione, ed una fase catabolica attraverso cui si realizza la mineralizzazione dei composti tiorganici, fino alla produzione di solfuri, solfati, con composti volatili intermedi, come i mercaptani, in relazione alla presenza di determinati microrganismi ed all’ecologia del terreno.
L’organicazione dello zolfo avviene attraverso l’assorbimento dell’anione solfato da parte delle radici delle piante superiori.
L’anidride solforosa, presente in tracce nell’atmosfera, può essere assorbita ed assimilata dalle foglie ma, è stato dimostrato, deve essere trasformata prima ad ione solfato. Il solfato può essere evidenziato nella linfa grezza dei fasci xilematici di campioni di fusto ed è trasportato nella corrente traspiratoria fino alle foglie, dove viene assimilato.
L’assimilazione del solfato avviene anche in radici escisse. Nella realtà, è stato stabilito che l’assimilazione del solfato avviene in tutte le cellule, sia che si trovino nel fusto che nelle radici. Nei batteri, nei funghi (lieviti) e nelle alghe l’assimilazione dei solfati avviene secondo meccanismi più o meno simili a quello delle piante superiori.
La prima fase di organicazione dell’anione solfato inizia con la sua attivazione: l’anione solfato reagisce con ATP per produrre adenosin-5-fosfosolfato, indicato con l’acronimo APS, con l’azione dell’enzima ATP-solforilasi. Poi, APS reagisce con un’altra molecola di ATP per produrre 3-fosfoadenosin-5-fosfosolfato, indicato come PAPS. La reazione è catalizzata dall’enzima noto come APS-chinasi. APS e PAPS sono in equilibrio tra loro a seguito di assunzione o perdita di un gruppo fosfato e l’enzima che controlla questo equilibrio non è ancora ben noto.
Le due forme di solfato, APS e PAPS, sono chiamate solfato attivato. PAPS è la forma con cui il solfato attivato si accumula nelle cellule organicanti lo zolfo, APS è il substrato che riduce il solfato a gruppo solfidrile, poi utilizzato, ad esempio, nella biosintesi dei tioamminoacidi (metionina, cistina). Di seguito è indicata la trasformazione del solfato (come APS) fino a solfito (come adenosin-5-fosfosolfito) e quindi a solfuro (come adenosin-5-fosfo-solfuro):
429 Il terreno
O O O O O O ATP-solforilasi
Adenosin–O–P–O–P–O–P–OH + – O–S–O – + 2H+ → Adenosin–O–P–O–S–OH + H2PO3–O–H2PO3 OH OH OH O OH O
ATP Anione solfato APS acido pirofosforico
+ gruppo fosfato ↑ ↓ – gruppo fosfato
O O O O APS chinasi
Adenosin–O–P–O–S–OH + ATP → Adenosin–O–P–O–S–OH + ADP
OH O HO–P = O OH O OH
APS PAPS
In sintesi:
+ H +H
SO42- → SO3
2- → S2-
APSolfato Apsolfito APsolfuro
I singoli enzimi ed i trasportatori di elettroni e le fonti di potere riducente non sono perfettamente noti nelle piante superiori ed il termine solfato riduttasi o APS riduttasi viene usato per indicare il complesso enzimatico completo che catalizza le due fasi di riduzione dell’ultima reazione. Il potere riducente in quest’ultima reazione è indicato semplicemente con il simbolo +H. Il solfuro (come adenosin-5-fosfo-solfuro) che si è prodotto nella stessa reazione è incorporato nella cisteina per reazione dell’adenosin-5-fosfo-solfuro (qui indicato semplicemente come radicale solfidrico) con O-acetil-serina, come rappresentato:
CH2O–CH2COOH CH2–SH CH–NH2 + S2- + 2H+ → CH–NH2 + CH3COOH + H2O COOH COOH
O-acetil-serina Cisteina Acido acetico
Fiume Francesco 430
Questa reazione è catalizzata da un enzima noto come O-acetil-serina-solfoidrasi e la cisteina è un amminoacido che rappresenta il punto di partenza di molti composti vegetali contenenti zolfo. In particolare, nella conversione dell’omoserina in metionina, l’atomo di zolfo della metionina deriva dalla cisteina, mentre la catena carboniosa dall’omoserina.
Lo zolfo minerale, oltre che un processo di organicazione, tipico degli organismi autotrofi, subisce altre trasformazioni ossidative e di riduzione.
L’ossidazione dell’acido solfidrico avviene nelle acque ad opera dei batteri autotrofi, i quali sono capaci di ossidarlo a zolfo elementare. Quest’ultimo si deposita nelle loro cellule sotto forma di globuli, ma può anche essere depositato all’esterno. In molti casi l’ossidazione è spinta fino alla formazione di acido solforico o dell’anione solforico che si combina con diversi cationi del terreno. L’ossidazione di H2S si realizza anche, semplicemente, attraverso una via unicamente chimica, ad opera dell’ossigeno dell’atmosfera.
I batteri capaci di ossidare l’acido solfidrico fino a zolfo elementare o fino all’anione solforico sono batteri fotosintetici e chemiosintetizzanti, con pigmenti simili alla clorofilla (batterioporporina e batterioclorofilla), appartenenti alla famiglia delle Thiorhodaceae e delle Beggiatoaceae; sono batteri unicamente fotosintetici, con batterioclorofilla, appartenenti alla famiglia Chlorobacteriaceae; sono batteri solo chemiosintetizzanti come quelli della famiglia delle Thiobacteriaceae i quali si riconoscono perché non contengono granuli di zolfo all’interno delle loro cellule. La famiglia delle Thiobacteriaceae comprende batteri autotrofi specializzati, che svolgono la loro azione principalmente nel terreno e batteri eterotrofi non specializzati, i quali sostituiscono i primi quando sono carenti nel terreno. Tra gli autotrofi si ricordano il Thiobacillus thioparus (aerobio, non cresce a pH inferiore a 5, ossidante vari composti dello zolfo fino a solfato), T. denitrificans (anaerobio facoltativo, utilizza i nitrati come accettore finale di elettroni per ossidare lo zolfo fino a solfati), T. novellus (autotrofo facoltativo), T. tioxidans, T. ferroxidans (con pH ottimale intorno a 3, capace di ossidare contemporaneamente ed indipendentemente ferro e zolfo). Tra gli eterotrofi capaci di determinare l’ossidazione dello zolfo si ricordano i generi Proteus, Pseudomonas, Achromobacter, actinomiceti, funghi e lieviti.
La riduzione dello zolfo minerale, parzialmente e completamente ossidato, in condizioni di anaerobiosi, in terreni saturi d’acqua, pesanti ed argillosi avviene a carico di batteri autotrofi specializzati, detti solfatoriduttori, a forma di vibrione, mobili, Gram negativi, anaerobi, diffusi nelle acque e nel terreno e la cui specie più importante è Desulfovibrio desulfuricans. La riduzione dei composti dello zolfo viene effettuata anche da batteri eterotrofi non specializzati, come alcuni anaerobi (Clostridium) ed alcuni aerobi (Bacillus megatherium).
La mineralizzazione dello zolfo, la fase catabolica del ciclo, consiste nella formazione di solfuri a partire dallo zolfo organico. Il processo può avvenire in aerobiosi ed anaerobiosi ed è diverso a seconda del tipo del composto organico dello zolfo. I composti organici con legame C–S– sono mineralizzati quando i microbi utilizzano la componente organica come fonte di energia. I composti organici con legame C–O–S– sono idrolizzati ad opera dell’enzima solfatasi, con il rilascio dell’anione solfato e senza la concomitante utilizzazione della componente organica. La solfatasi gioca un ruolo molto importante nella mineralizzazione dello zolfo soprattutto quando nel terreno sono presenti quantità di solfati a basse concentrazioni. I batteri aerobici sono eterotrofi e sono rappresentati dai generi Pseudomonas, Proteus, Clostridium, Serratia, mentre quelli anaerobici sono specie del genere Desulfovibrio.
431 Il terreno
La mineralizzazione dello zolfo organico è stata dimostrata con lo studio di colture pure e sul terreno stesso addizionato di amminoacidi solforati, ottenendo diverse trasformazioni ad opera dei batteri i quali utilizzano lo zolfo come donatore di protoni e sorgente di energia o come agente riduttore nell’assimilazione dell’anidride carbonica atmosferica (ossidazione dello zolfo minerale) o come accettore di protoni (riduzione dei solfati).
Nel terreno l’ossidazione dello zolfo ha un’azione correttiva sui suoli alcalini e sulla nutrizione delle piante, con la formazione dei solfati, dà luogo a fenomeni di flocculazione dei colloidi, con miglioramento della struttura dei terreni alcalini ed agevola la solubilizzazione degli elementi nutritivi rendendoli disponibili per le piante.
Va anche detto che la deficienza di zolfo nelle piante coltivate è un evento relativamente difficile a verificarsi in quanto considerevoli sono le quantità di solfati che si trovano normalmente nei comuni fertilizzanti azotati, fosfatici e potassici. Ciò spiega anche le scarse conoscenze sulle relazioni tra fertilità e conversione dei composti dello zolfo nel terreno, proprio per la scarsità di ricerche in questo specifico ed importante settore.
Ciclo del fosforo Il fosforo totale del nostro pianeta è valutato intorno a 1019 tonnellate. La quantità
di fosforo contenuta nella crosta terrestre è di circa 1015 tonnellate. Il fosforo presente nel terreno e negli organismi di tutti gli esseri viventi è stimato in 1010 tonnellate.
Tutto il fosforo diffuso sul globo terrestre, nel terreno e nelle acque, prende origine dalla decomposizione e dall’erosione delle rocce, a seguito dell’azione dei fattori climatici e dell’acqua.
Una frazione di fosforo del nostro pianeta è andata a costituire i sedimenti marini, un’altra parte è precipitata per costituire i giacimenti fosfatici terrestri, una certa porzione rappresenta la disponibilità della pedosfera e delle acque (mari, fiumi, laghi) per gli organismi viventi i quali hanno incorporato la restante quantità.
Nella figura 107 è schematizzata la dinamica del fosforo in natura.Nel corpo umano il fosforo rappresenta circa 1% in peso ed è essenziale in tutti gli
organismi quale componente degli acidi nucleici, dei fosfoprotidi, dei fosfolipidi, oltre che di molecole organiche aventi una funzione determinante nei trasferimenti di energia. Il fosforo solubile del terreno viene utilizzato ed assimilato dalle piante e da queste passa agli animali che lo restituiscono al suolo sotto forma di resti o residui organici.
La quantità di minerale fosfatico contenuto nella roccia madre del suolo è il fattore prevalente che agisce sui valori della dotazione in fosforo di un terreno, insieme ad altri fattori pedogenetici. Nel terreno e nella biomassa pedologica, il fosforo si trova principalmente come anione ortofosforico trivalente.
Il fosforo presente nella soluzione circolante del terreno, in modo predominante come HPO4
2¯, ma anche come H2PO4¯, specialmente nei suoli acidi, in parte è disponibile in tempo reale per le piante, che lo assorbono attraverso l’apparato radicale, ed in parte serve per saturare la capacità assorbente del suolo. Una certa quantità di fosforo viene asportata con il raccolto ed una minore quantità per erosione e per dilavamento. Pertanto, per rimpiazzare queste perdite, è indispensabile che i fertilizzanti fosfatici, provenienti dai giacimenti terrestri, siano somministrati al terreno. Per fortuna, ciò può attuarsi ancora per un lungo periodo, perché in questi ultimi anni il numero di giacimenti fosfatici utilizzabili da un punto di vista economico si è incrementato.
Fiume Francesco 432
Fig. 107 – Ciclo del fosforo in natura. In rosso la parte che interessa direttamente gli organismi viventi.
Parte del fosfato è assorbito dalle radici delle piante superiori ed è trasportato nella corrente della circolazione linfatica e della traspirazione fino alle foglie. E’ probabile che il fosfato sia assimilato tanto nelle radici quanto nelle foglie.
Circa il fosforo organico del terreno, nelle varie forme chimiche, le conoscenze sono ancora scarse. Può largamente oscillare da un minimo del 2% ad un massimo di 80%, rispetto al fosforo totale. Esso deriva dalle spoglie vegetali, dal protoplasma o dai prodotti metabolici degli organismi del suolo. Meno del 50% delle forme organiche di fosforo può essere ricondotto a composti noti, quali i fosfati di inositolo (2-50%), i fosfolipidi (1-5%), gli acidi nucleici (0,2-2,5%), tracce di fosfoproteine e di altri fosfati metabolici. Altre forme di fosforo presenti nel suolo sono rappresentate da polimeri contenenti fosfati, come gli acidi tecoici delle pareti cellulari microbiche, complessi di fosforo inorganico e di esteri fosfatici semplici (nucleotidi e fosfati di inositolo) con le sostanze umiche.
La sintesi dei composti organici del fosforo avviene da parte delle piante, degli animali e dei microrganismi del terreno. L’assimilazione del fosforo è fondamentale per le sintesi protoplasmatiche e, per questo, i microrganismi e le piante sviluppano
Uomo Rocce ignee Alterazione ed
erosione
Animali
Sintesi del protoplasma
Fiumi
Piante
Escrezione e residui
Fosfati disciolti
Sedimenti di mari poco profondi
Sedimenti di mari profondi
Microrganismi
Uccelli, pesci ed organismi marini
Suolo
Rocce sedimentarie
Concimi Giacimenti fosfatici
Depositi di ossa fossili
Depositi di guano
Rocce metamorfiche
433 Il terreno
perfettamente quando i composti disponibili del fosforo sono presenti nell’ambiente edafico. Le sintesi cellulari portano all’accumulo di composti del fosforo non utilizzabili dalle piante e per tale motivo i microrganismi del terreno sono in forte competizione con le piante coltivate circa la disponibilità, l’asportazione e l’impiego del fosforo del suolo. Quando un terreno è ricco in carboidrati, l’aggiunta di sostanza organica, inducendo un intenso sviluppo della microflora che va a trasformare il fosforo solubile in fosforo organico, potrebbe essere negativa riguardo alla disponibilità di fosforo per le piante.
L’assimilazione del fosfato si verifica nelle cellule vegetali soprattutto per incorporazione nell’ADP e formazione di ATP ed acqua. Lo stesso meccanismo si riscontra, unitamente all’ossidazione di NADH, nei mitocondri. Oltre all’assimilazione del fosfato nella fosforilazione ossidativa è probabile che parte del fosfato assorbito dalla pianta sia assimilato nelle foglie verdi esposte alla luce nel processo di fosforilazione fotosintetica. In tal caso, la fosforilazione dell’ADP ad ATP avviene contemporaneamente alle reazioni luminose della fotosintesi nei cloroplasti. Il fosfato che è assimilato in ATP è rapidamente trasferito, mediante successive reazioni metaboliche, in molti composti vegetali fosforilati, fra cui si ricordano gli zuccheri fosfati, i fosfolipidi ed i nucleotidi. Oltre all’incorporazione nell’ATP, il fosfato inorganico può anche essere assimilato in altri modi come quando, ad esempio, è incorporato nell’acido 1,3 difosfoglicerico nella reazione di glicolisi.
Dopo l’assorbimento del fosforo da parte delle piante e la sintesi di composti organici attraverso l’assimilazione, segue la mineralizzazione dei composti organici del fosforo, contenuti nei resti vegetali ed animali. Ciò avviene ad opera dei microrganismi edafici. La mineralizzazione dei composti organici fosfatici è molto rapida nei terreni naturali e più lenta in quelli agrari, è favorita dalle alte temperature, dalla reazione neutra o sub-alacalina e dalla buona dotazione di fosforo nel terreno.
La mineralizzazione del fosforo comporta il distacco del radicale fosforico dalla restante parte della molecola organica. Gli enzimi che operano tale separazione sono chiamate fosfatasi. Tra le fosfatasi si ricorda la fitasi che causa il distacco del fosfato dall’acido fitico o dai suoi sali e conseguente accumulo di inositolo. Le fitasi possono essere prodotte all’interno oppure all’esterno delle cellule e molte fosfatasi, oltre che specifiche, possono essere aspecifiche.
Gli acidi nucleici che pervengono al terreno sono rapidamente privati del fosforo per un attacco microbico che procede prima con una rottura delle catene di RNA, ad opera della ribonucleasi e di DNA, per mezzo della desossiribonucleasi e poi con il distacco del fosfato.
I fosfolipidi sono utilizzati come fonte di fosforo da numerosi batteri, funghi ed actinomiceti. Nei terreni neutri le condizioni di mineralizzazione microbica del suolo sono migliori, mentre nei terreni umiferi si formano complessi di fosforo organico molto resistenti alle azioni microbiche.
Tra i microrganismi isolati dal terreno in grado di mineralizzare il fosforo organico si ricordano alcuni batteri, come Bacillus megatherium var. phosphaticum e Serratia carollera var. phosphatica, alcuni generi di lieviti, come Saccharomyces e Candida ed alcuni funghi, come Aspergillus, Penicillium ed Alternaria.
Il fosforo mineralizzato dai microrganismi è presente nel terreno come fosfato tribasico insolubile e, pertanto, immobile. La mobilizzazione del fosfato tribasico avviene a seguito della sua trasformazione in fosfato bibasico e, soprattutto, monobasico. Ciò avviene per azione microbica, con la respirazione e il metabolismo degli organismi viventi nel terreno, a seguito della produzione di anidride carbonica che con l’acqua forma acido carbonico. Ma anche la produzione di anioni nitrici e solforici, da parte dei
Fiume Francesco 434
microrganismi chemioautotrofi ossidanti l’ammonio e lo zolfo, svolge un ruolo fondamentale nella conversione dei fosfati insolubili in fosfati solubili.
Numerose sono le ricerche condotte per aumentare la quota di fosforo disponibile nel terreno mediante l’inoculazione nel suolo di microrganismi fosfatolitici. In tutti i casi sono stati osservati significativi incrementi delle produzioni agricole. Studi in questo campo dovrebbero essere intrapresi con la massima cura, allo scopo di ridurre gli apporti di concimi fosfatici, in relazione al fatto che, di solito, i terreni italiani hanno una buona dotazione in fosforo, anche se molto spesso non è disponibile per le piante.
Prima di concludere, va sottolineato che tra i diversi cicli degli elementi del sistema ecologico terrestre esistono sicuramente dei collegamenti, anche se non si hanno a disposizione, in proposito, dei dati quantitativi certi. Va anche detto che tutti gli elementi del nostro pianeta sono caratterizzati da uno specifico ciclo per il quale la quantità globale dello stesso elemento tende a non subire drastiche variazioni quantitative. E non soltanto gli elementi, ma anche alcuni composti possiedono un loro ciclo in natura e fra questi si ricorda l’acqua, il cui ciclo rappresenta il fattore più importante capace di collegare il movimento degli elementi nell’ecosistema pedologico.
La quantità, la qualità e la distribuzione delle piogge e dell’acqua allo stato solido (neve, ghiaccio), l’evaporazione, la traspirazione, il drenaggio e tutte le quote idriche disponibili per la vita animale e vegetale e per il mondo minerale influenzano la circolazione degli elementi in natura. Per esempio, la percolazione e l’evapotraspirazione agiscono in modo opposto: la prima determina perdite di elementi nutritivi in proporzione alla quantità di acqua percolata, la seconda causa la riduzione del flusso degli elementi fuori del sistema, poiché l’evapotraspirazione è acqua sottratta alla percolazione. Così pure l’acqua causa erosione, traslocazione, dilavamento decomposizione, mineralizzazione e le azioni antropiche possono alterare la qualità delle acque, modificare il corso dei fiumi, deforestare, urbanizzare, bonificare zone paludose.
Alcuni elementi svolgono, inoltre, un’azione cruciale nelle azioni ed interazioni degli elementi. Per esempio, il carbonio instaura in’infinita rete di rapporti con l’azoto, il fosforo, lo zolfo ed altri elementi, regolando l’organicazione e la mineralizzazione e causando l’immobilizzazione o la liberazione degli elementi nutritivi. Anche in questo caso le attività umane possono indurre profondi squilibri. Così, l’utilizzazione dei combustibili fossili fa diminuire gli organismi fotosintetizzanti su scala mondiale e fa aumentare l’anidride carbonica dell’atmosfera con la grave conseguenza di indurre l’effetto serra, causa dell’aumento della temperatura sul pianeta e di una serie di effetti negativi (fusione dei ghiacci delle calotte polari, modificazione del clima, desertificazione).
L’uomo moderno, utilizzando il progresso tecnologico, ha il dovere di evitare ogni squilibrio dell’ecosistema terrestre e deve consentire un equilibrato aumento della fertilità del suolo o, comunque, non accelerarne la perdita. Facendo prevalere forze organizzative diventa possibile assicurare la salvaguardia di quel sistema aperto, provvisto di un numero infinito di entità biotiche ed abiotiche, che è il suolo.
435 Il terreno
BIBLIOGRAFIA
ABBOTT M.M., VAN NESS H.C., 1975. Termodinamica. Coll. Schaum. Etas Libri, Milano
ABEELS P., DECLERQ D., 1977. La locomotion tout terrain. La compaction du sol. Rev. Agric., 1, 131.
ABRAHAM R.J., LOFTUS P., 1978. Proton and Carbon-13 NMR Spectroscopy. Heyden, London.
ADAM N.K., 1941. The physics and chemistry of surfaces. Oxford University Press, London.
AHMADJIAN V., HALE M.E., 1973. The lichens. Academic Press, New York, USA.AL MOUDALLAL Z., BRIAN J.P., VAN REGENMORTEL M.H.V., 1982. Monoclonal
antibodies as probes of the antigenic structure of tobacco mosaic virus. EMBO J., 1, 1005-1010.
ALEXOPOULOS C.J., MIMS C.W., 1979. Introductory Mycology. Wiley, New York, USA.
ALLISON F.E., 1968. Soil aggregation. Some facts and fallacies as seen by microbiologist. Soil Sci., 106, 136-143.
AMATO M., DE LORENZI F., OLIVIERI B., 1993. Riflettometria nel dominio del tempo (TDR) per la misura dell’umidità volumetrica del terreno. I: principi generali ed applicazioni. Riv. Agron., 27, 1, 1-8.
AMATO M., DE LORENZI F., OLIVIERI B., 1993. Riflettometria nel dominio del tempo (TDR) per la misura dell’umidità volumetrica del terreno. II: misura in terreni diversi e profili idrici. Riv. Agron., 27, 2, 97-105.
AMATO M., PAGLIAI M., LA MARCA M., 1996. Misure di porosità del terreno a scale diverse in relazione alle modalità di lavorazione. Rivista di Agronomia, 30, 113-120.
AMATO M., RITCHIE J.T., 1995. Small spatial scale soil water content measurement with time-domain reflectometry. Soil Sci. Soc. Amer. J., 59, 325-329.
ANDERSON R.V., COLEMAN D.C., COLE C.V., 1981. Effects of saprotrophic grazing on net mineralization. Ecol. Bull., 33, 210-216.
ARINGHIERI R., BELLONI P., GIACHETTI M., 1977. Effetto del SAR e della concentrazione dell'elettrolita sulla conducibilità idraulica di alcuni sistemi colloidali. Atti XIV Convegno Nazionale della SICA, Rimini, 25-27 Settembre 1997, 47-54.
AYANABA A., VERSTAETE W., ALEXANDER M., 1973. Formation of dymethylnitrosamine, a cancerogen and mutagen, in soil treated with nitrogen compounds. Soil Sci. Am. Proc., 37, 565-568.
AYERS R.S., WESTCOT D.W., 1976. Water quality for agriculture. Irrigation and drainage paper 29, FAO, Roma.
Fiume Francesco 436
BAKER J.M., LASCANO R.J., 1989. The spatial sensitivity of the time-domain reflectometry. Soil Sci., 147, 378-384.
BAKR H.M.A., FATHI A.M., GHEIBEH A.R.S., 1979. Evaluation of the parameters involved in Gardner’s relation between unsaturated hydraulic conductivity and soil water matric suction. Agric. Water Manag., 2, 25-35.
BAILEY G.W., WHITE J.L., 1970. Factors influencing the adsorption, desorption and movement of pesticides in soils. Residue Rev., 32, 29-92.
BALL B.C., 1981. Pore characteristics of soil from two cultivations experiments as shown by gas diffusivities and permeabilities and air-filled porosities. J. Soil Sci., 32, 483-498.
BANERJEE B., 1967. Seasonal changes in the distribution of the millipede Cylindroiulus punctatus in decaying logs and soil. J. Anim. Ecol., 36, 171-177.
BARADAS M.W., BLAD B.L., ROSEMBERG N.J., 1976. Reflectant induced modification of soybean canopy balance. Agron. J., 68(6).
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1996. Valutazione critica delle procedure analitiche per la determinazione della mobilità dei metalli pesanti nei siti contaminati. In: Smaltimento e Recupero dei Rifiuti (GSISR ed.), 33-42.
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1996. Characterization of pollution in sites contaminated by heavy metals: a proposal. Annali di Chimica, 86, 585-594.
BARBAFIERI M., LUBRANO L.,PETRUZZELLI G., 1996. Caratterizzazione della mobilità dei metalli pesanti nei siti contaminati: valutazione di differenti test di cessione. II Convegno Nazionale di Chimica Ambientale, Rimini 18-20 settembre 1996, 162-163.
BARBAFIERI M., PEZZAROSSA B., PETRUZZELLI G., LUBRANO L., 1996. Lead monitoring in agricultural soil contaminated with industrial sludges. 3rd International Symposium and Exibition on Environmental Contamination in Central and Eastern Europe, Warsaw (Polonia), 10-13 settembre 1996.
BARBAFIERI M., 1997. Tecnologie di phytoremediation per la bonifica di suoli contaminati da metalli pesanti. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 62-73.
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1997. Speciazione del Nichel in suoli naturali e contaminati. Accumulo da parte di Medicago sativa L. III Congresso Nazionale di Chimica Ambientale su La salvaguardia e la valorizzazione delle risorse, SICA, Gallipoli, 24-26 settembre 1997, 102-103.
BARBAFIERI M., DADEA C., 1997. Preliminary studies for the characterization of heavy metals hazards in abandoned mining area in Sardinia (Italy). 2nd International Scientific-Technical Conference on the Element Cycling in the Environment, Varsavia, 27-29 ottobre 1997, 15-19.
BARBAFIERI M., LUBRANO L., PETRUZZELLI G., 1997. Different patterns of nickel mobile species in natural soil and spiked soil, uptake effect by alfalfa. 2nd
International Scientific-Technical Conference on the Element Cycling in the Environment, Varsavia, 27-29 ottobre 1997, 20-23.
BARBER S.A., 1984. Soil Nutrient Bioavailability. John Wiley and Sons, New York.
437 Il terreno
BARBIERI G., 1996. Consumi idrici, fotosintesi e contenuto di nitrati in spinacio. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 409-410.
BARBIERI G., DE PASCALE S., SIFOLA I., 1994. Effetti della frequenza di irrigazione sulle funzioni di risposta produttiva della melanzana (Solanum melongena L.) alla salinità. Riv. Agron., 28, 3, 235-246.
BASOCCU L., NICOLA S., 1996. Effetti della concimazione azotata e dell’epoca di somministrazione sulla crescita in vivaio e sulla produzione di pomodoro (Lycopersicon esculentum Mill.). III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 329-330.
BATRA L.R., 1979. Insect-Fungus Symbiosis: Nutrition, Mutualism and Commensalism. John Wiley & Son, Inc., New York.
BATU V., GARDENER W.R., 1978. Steady-state solute convection in two dimensions with nonuniform infiltration. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 18-22.
BAVER L., GARDNER H., GARDNER W.R., 1972. Soil physics. J. Wiley, New York.BAVEYE P., SPOSITO G., 1984. The operational significance of the continuum
hypothesis in the theory of water movement through soils and aquifers. Water Resour. Res., 20, 521-530.
BAZZOCCHI R., CASALICCHIO G., GIORGIONI M.E., LOSCHI B., PASSAGLIA E., 1996. Effetti dell’utilizzazione di zeoliti italiane nella coltivazione del sedano (Apium graveolens L.). III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 431-432.
BEEK K.J., 1978. Land evaluation for agricultural development. Pub. N. 23. Intern. Inst. For Land Reclamation and Improvement, Wageningen.
BERGER E., 1976. Partioning the parameters of stony soils, important in moisture determinations into their constituents. Plant Soil, 44, 201-207.
BERTACCINI A., 1991. L’amplificazione genica (PCR) per la diagnosi in patologia vegetale. Inf. Fitopat., 11, 16-20.
BIANCO V.V., ELIA G., DE PALMA E., 1996. Dosi di azoto, scarducciatura, epoca di raccolta, produzione e qualità del carciofo. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 481-482.
BIBBY J.S., MAcKNEY D., 1969. Land use capability classification. Soil Survey England and Wales, Tech. Mon., 1.
BIDDINGER E.J., LIU C., JOLY R.J., RAGHOTHAMA K.G., 1998. Physiological and molecular responses of aeroponically grown tomato plants to phosphorus deficiency. J. Amer. Soc. Hort. Sci., 123, 2, 330-333.
BIRD R.B., STEWART W.E., LIGHFOOT E.N., 1960. Transport Phenomena. J. Wiley, New York.
BJORKMAN O., BERRY J., 1974. Fotosintesi ad alta efficienza. Le Scienze, 65.BLOEMEN G.W., 1980. Calculation of hydraulic conductivities of soils from texture and
organic matter content. Zeitschr. Pflanzenernaer. Bodenkunde, 143, 581-605.BOLD H.C., WYNNE M.J., 1979. Introduction to the Algae. Prentice-Hall, Englewood
Cliffs, New Jersey, USA.BOLD H.G., ALEXOPOULOS C.S., DELEVORYAS T., 1980. Morphology of Plants
Fiume Francesco 438
and Fungi. Harper & Row, Publishers, Inc., New York.BOLT G.H., FRISSEL M.J., 1960. Thermodynamics of soil moisture. Neth. J. Agric.
Sci., 9, 57-78.BONCIARELLI F., 1976. Agronomia. Edagricole, Bologna.BONCIARELLI F., 1975. Sostanza organica e fertilità agronomica. Rivista di
Agronomia, 9, 5-8.BORSELLI L., CARNICELLI S., FERRARI G.A., PAGLIAI M., LUCAMANTE G.,
1996. Effects of gypsum on hydrological, mechanical and porosity properties of a kaolinitic crusting soil. Soil Technology, 9, 39-54.
BRADSHAW A.D., FITTER A.H., HANDLEY J.F., 1973. Why use topsoil in land reclamation?. Surveyor 39-41.
BRESLER E., 1973. Simultaneous transport of solutes and water under transient unsatured flow conditions. Water Resor. Res., 9, 975-986.
BRESLER E., 1975. Two-dimensional transport of solute during nonsteady infiltration from a trickle source. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 604-917.
BRESLER E., McNEAL B.L., CARTER D.L., 1982. Saline and sodic soil. Advanced Agricultural Science Series V. 10. Springer Verlag, New York.
BRETZEL F., LUBRANO L., BARBAFIERI M., PETRUZZELLI G., 1997. Heavy metals in soils and plants in the city of Pisa. 2nd International Scientific-Technical Conference on the Element Cycling in the Environment, Versavia, 27-29 ottobre 1997, 29-32.
BRETZEL F. LUBRANO L. e PETRUZZELLI G., 1997. La qualità del suolo in ambiente urbano. Studio preliminare nella città di Pisa. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo, Milano, 28 Febbraio 1997, 82-88.
BRISTOW K.L., CAMPBELL G.S., 1984. On the relationship between incoming solar radiation and daily maximum and minimum temperature. Agric. For. Meteorol., 31, 159-166.
BRISTOW K.L., CAMPBELL G.S., CALISSENDORF C., 1984. The effects of texture on the resistance to water movement within the rhizosphere. Soil Sci. Soc. Amer. J., 48, 266-270.
BRISTOW K.L., CAMPBELL G.S., CALISSENDORFF K., 1993. Test of a heat-pulse probe for measuring changes in soil water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 57, 930-934.
BROCK T.D., 1979. Biology of Microorganism. Prentice-Hall, Inc. Englewood, N.J.BROCK T.D., SMITH D.W., MADIGAN M.T., 1984. Biology of Microorganism.
Prentice-Hall, Englewood Cliffs, New Jersey, USA.BROOKS R.H., COREY A.T., 1966. Properties of porus media affecting fluid flow. J.
Irrig. Drainage Div., ASCE Proc. 72(IR2), 61-88.BROWN D.J.F., PLOEG A.T., TRUDGILL D.L., 1989. Specificity of transmission of
nematode transmitted viruses. Med. Fac. Landb. Rijksun. Gent, 54, 3b, 1105-1113. BRUTSAERT W., 1975. On a derivable formula for long-wave radiation from clear
skies. Water Resour. Res., 11, 742-744.
439 Il terreno
BUCKMAN H., BRADY N., 1966. Le sols. Paris.BURGESS T.M., WEBSTER R., 1980. Optimal interpolation and isorithmic mapping of
soil properties. I. The semi-variogram and punctual kriging. J. Soil Sci., 31, 315-331.
BURNS R.G., 1977. The soil microenvironments: aggregates, enzymes and pesticides. CNR, Lab., Chim. del terreno, conf. 5, Pisa.
BUSINGER J.A., 1975. Aerodynamics of vegetated surfaces. In De Vries and Afgan, Heat and Mass Transfer in the Biosphere, J. Wiley, New York.
CALZECCHI-ONESTI A., 1954. Sistemazione del terreno e fertilità in collina. R.E.D.A., Roma.
CALZECCHI-ONESTI A., 1957. Crepacciamento. Enc. Agr., 3, 8-10.CAMPBELL G.S., 1974.A simple method for determining unsatured conductivity from
moisture retention data. Soil Sci., 117, 311-314.CAMPBELL G.S., 1977. Introduction to Environmental Biophysics. Springer Verlag,
New York, USA.CAMPBELL G.S., CAMPBELL M.D., 1982. Irrigation scheduling using soil moisture
measurements: theory, and practice. Advances in Irrigations, 1, 25-42.CAMPBELL G.S., 1985. Soil physics with basic. Transport models for soil – Plant
systems. ELSEVIER, N.Y., USA. CAMPBELL G.S., CALISSENDORFF C., WILLIAM J.H., 1991. Probe for measuring
soil specific heat using a heat-pulse method. Soil Sci. Soc. Amer. J.. 55, 291-293.CANARUTTO S., PERA A., LA MARCA M., VALLINI G., 1996. Effects of humic
acids from compost-stabilized green waste or leonardite on soil shrinkage and microaggregation. Compost Science and Utilization, 4, 40-46 (1996).
CARLSON R., 1962. Silent Spring. Oughton Mifflin, Boston.CARR N.G., WHITTON B.B., 1982. The Biology of Cyanobacteria. University of
California Press, Berkeley.CARRAVETTA R., SANTINI A., 1977. Mathematical model for analysis of water
infiltration and redistribution in soil. Symp. on Hydrodinamic diffusion and dispersion in porous media, Pavia, 233-251, Int. Ass. Hydr. Res.
CARY J.W., 1978. Soil water flowmeters with the thermocouple outputs. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 37, 176-180.
CASS A., CAMPBELL G.S., JONES T.L., 1984. Enhancement of thermal water vapor diffusion in soil. Soil Sci. Soc. Amer. J., 48, 25-32.
CASSEL D.K., VAN GENUCHTEN M.T., WIERENGA P.J., 1975. Predicting anion movement in disturbed and undisturbed soil. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 1015-1019.
CAVAZZA L., 1953. L’azione del gradiente termico sul movimento dell’acqua nel terreno in un sistema chiuso. Edagricole, Bologna.
CAVAZZA L., 1975. Considerazioni sul potenziale di sovraccarico dell’acqua nel terreno. Agrochim., 19, 192-200.
CAVAZZA L., 1981. Fisica del terreno agrario. UTET, Torino.
Fiume Francesco 440
CAVAZZA L., 1992. Valorizzazione e tutela delle risorse idriche per fini agronomici. Riv. Agron., 26, 4 suppl., 543-558.
CAVAZZA L., GUARNIERI A., PATRUNO A., BENTINI M., LIBERATI P., PESCI C., GARDI C., 1998. Influenza di rotazione colturale, concimazione e caratteristiche del suolo sull’indice penetrometrico. Riv. Agron., 32, 28-38.
CECCANTI B., MASCIANDARO G., GALLARDO-LANCHO J.F., 1995. Pratica del set-aside come metodo di recupero biofisico di un terreno fragile in clima semi-arido. Atti del Convegno della SISS su Il ruolo della pedologia nella pianificazione e gestione del territorio (Aru A. e Tomasi D. ed.), Cagliari, 6-10 giugno 1995, 147-154.
CECCANTI B., MASCIANDARO G., GARCIA C., 1995. Bio-monitoraggio e funzionalità dell’ambiente. Boll. Soc. It. Sci. Suolo, 5(6), 53-72 (1995).
CECCANTI B., GARCIA C., NOGALES R., BENITEZ E., MASCIANDARO G., 1997.Attività e ruolo delle sostanze umiche nell'ambiente, aspetti chimico-strutturali e biochimici. Atti del II Convegno Nazionale del Capitolo Italiano dell'IHSS. Udine, 12-13 dicembre 1977, 1-9.
CHANG J., 1968. Climate and agriculture. Aldine Publ. Co., Chicago.CHIAVERINI S., GRAS R., 1977. Comparison de quelques méthodes d’évaluation au
laboratoire de la capacité au champ. Ann. Agron., 28, 445-461.CHILDS E.C., 1969. An introduction to the physical basis of soil water phenomena. John
Wiley and Sons, London.CHRISTENSEN C.M., 1965. The Molds and Man: An Introduction to the Fungi.
University of Minnesota Press, Minneapolis, USA.CHRISTENSEN C.M., 1975. Molds, Mushrooms and Mycotoxins. University of
Minnesota Press, Minneapolis, USA.CERVELLI S., 1979. L’uso dei pesticidi e la fertilità del terreno. L’Italia agricola, 116(4-
7), 160-177.CERVELLI S., PERRET D., 1996. Mathematical models and their significance in
environmental chemistry. The soil. Annali di Chimica, 86, 635-652.CERVELLI S., PERRET D., 1997. Effetto di sostanze xenobiotiche sul movimento e la
trasformazione dell’azoto nel suolo. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati editori), Milano, 28 Febbraio 1997, 204-221.
CERVELLI S., PERRET D., 1997. Modello isotopico per lo studio delle trasformazioni della azoto nel sistema suolo-pianta. Atti XIV Convegno Nazionale della SICA, Rimini, 25-27 Settembre 1977, 365-374.
CERVELLI S., PERRET D., 1997. I modelli matematici come ausilio fondamentale nella valutazione dell'impatto ambientale dei pesticidi. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 191-203.
CHILD E.C., COLLIS-GEORGE N., 1950. The permeability of porus materials. Proc. Roy. Soc. London, A 201, 392-405.
CHISCI G., LODI G., 1974. Ricerche parcellari sulla conservazione dei suoli argillosi. Ann. Ist. Sper. Studio e Difesa Suolo, 5, 103-116.
441 Il terreno
CIAVATTA C., FIGLIOLA A., LEITA L., PETRUZZELLI G., 1997. Evaluation of heavy metals during stabilization of organic matterin compost produced in municipal solid wastes: chemical, agronomical and environmental aspects. In: Ecological Issues and Environmental Impact Assessment (P.N. Cheremisinoff, Ed.), Gulf Publishing Company Houston, London, Cap. 26, 613-631.
CLARK M.F., ADAMS A.N., 1977. Characteristics of the microplate method of enzyme linked immunosorbent assay for the detection of plant viruses. J. Gen. Virology,
CLINE R.G., CAMPBELL G.S., 1976. Seasonal and diurnal water relations of selected forest species. Ecology, 57, 367-373.
CLOTHIER B.E., SCOTTER D.R., KERR J.P., 1977. Water retention in soil underlain by a coarse-textured layer: theory and a field application. Soil Sci., 123, 392-399.
COLLMER C.W., HOWELL S.H., 1992. Role of satellite RNA in the expression of symptoms caused by plant viruses. Ann. Rew. Phytopath., 30, 419-442.
COMEL A., 1972. Il terreno. Manuale di pedologia per gli agricoltori. Edagricole, Bologna.
CONVERSA G., ELIA A., GONNELLA M., SERIO F., 1996. Effetto della dose di azoto sul contenuto dei principali anioni inorganici del basilico. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 401-402.
COREY J.C., PETERSON S.F., WAKAT M.A., 1971. Measurement of attenuation of 137Cs and 241Am gamma rays for soil density and water content determinations. Soil Sci. Soc. Am. Proc., 35, 215-219.
COWAN I.R., 1965. Transport of water in the soil-plant-atmosphere system. J. Appl. Ecol., 2, 221-239.
CRESCINI F., 1959. Agronomia generale. REDA, Roma.CRESPI S., ACCOTTO G.P., CACIAGLI P., GRONENBORN B., 1991. Use of
digoxigenin-labeled probes for detection and host range studies of tomato yellow leaf curl geminivirus. Res. Virol., 142, 283-288.
CULLIMORE D.R., 1971. Interaction between herbicides and soil microorganism. Residue Rev., 35, 65-80.
CURRIE J.A., 1965. Diffusion within soil microstructure: a structural parameters for soil. J. Soil Sci., 16, 279-289.
DALTON F.N., VAN GENUCHTEN M.T., 1986. The time-domain reflectometry for measuring soil water content and salinity. Geoderma, 38, 237-250.
DASBERG S., HOPMANS J.W., 1992. Time domain reflectometry calibration for uniformly and nonuniformly wetted sandy and clayey loam soils. Soil Sci. Soc. Amer. J., 56, 1341-1345.
DA SILVA F.F., WALLACH R., POLAK A., CHEN Y., 1998. Measuring water content of soil substitutes with time-domain reflectometry (TDR). J. Amer. Soc. Hort. Sci., 123, 4, 734-737.
DATTA B., PATRUNO A., CAVAZZA L., 1988. Interramento della paglia e concimazione azotata dopo 14 anni. I. Influenza sulla stabilità di struttura del terreno. Agrochimica, 33, 85-97.
DAVENPORT J.R., 1996. The effect of nitrogen fertilizer rates and timing cranberry
Fiume Francesco 442
yield and fruit quality. J. Amer., Hort. Sci., 121, 6, 1089-1094.DE BOODT M., 1972. Proceedings symposium on the fundamentals of soil
conditionings. State Univ. Fac. Agricul. Sci., Ghent.DE CILLIS E., LEGGIERI L., 1938. Il terreno agrario. V. II, Op. Naz. Comb., Roma.DE DOMINICIS A., 1919-20. La crosta pugliese e la sua origine. Annali R. Scuola
Superiore di Agricoltura di Portici.DE JONG E., REDMANN R.E., RIPLEY E.A., 1979. A comparison of methods to
measure soil respiration. Soil Sci., 127, 300-306.DEMAIN A.L., 1981. Industrial Microbiology. Science, 214, 987-995.DENG S., HIRUKI C., 1990. Enhanced detection of a plant pathogenic mycoplasma-like
organism by polimerase chain reaction. Proc. Japan Acad., 66, ser. B, 140-144.DE SMEDT F., WIERENGA P.S., 1978. Solute transport through soil with nonuniform
water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 7-10.DEVIES D.A., 1963. Thermal properties of soils. In Van Wijk W.R. (ed.) Physics of Plant
Environment. North-Holland Publishing Co., Amsterdam.DE WIEST R.M., 1969. Flow through porous media. Academic Press Inc., New York.DIENER T.O., 1983. The Viroid – A Subviral Pathogen. American Scientist, 71, 481-489.DI TOLA L., VIGNA GUIDI G., CERVELLI S., PETRUZZELLI G., 1997.
Monitoraggio della qualità del suolo e delle acque all'interno e nelle vicinanze di una discarica di RSU. Giornata di Studio GSISR "Rifiuti" (A. Frigerio e Schieppati M. ed.), Milano, 27 Febbraio 1997, 57-63.
DOMSCH H.H., GAMS W., ANDERSON T.H., 1981. Compendium of Soil Fungi. Academic Press, New York, USA.
DOUBLEDAY G.P., 1974. The reclamation of land after coal mining. Outlook on Agriculture, 8, 156-162.
EDWARDS M.L., COOPER J.I., 1985. Plant virus detection using a new form of indirect ELISA. J. Vir. Methods, 11, 309-319.
EISENSTEIN B.I., 1990. The polimerase chain reaction. A new method of using molecular genetics for medical diagnosis. Engl. J. Med., 322, 178-183.
ELIA A., SANTAMARIA P., CRISTIANO G., MONTEMURRO N., 1996. Azoto, fosforo, potassio e produzione di piantine di melanzana. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 355-356.
EMERSON W.W., 1959. The structure of soil crumbs. J. Soil Sci., 10, 235-244.EMERSON W.W., 1967. A classification of soil aggregates based on their coherence in
water. Aust. J. Soil Res., 5, 47-57.
EMERSON W.W., 1968. The dispersion of clay from soil aggregates. Trans. 9th Congr. Soil Sci., 1, 617-626.
ERLICH H.A., 1989. PCR technology. Principles and applications of DNA amplifications. Stockton press.
EVET S.R., STEINER J.L., 1995. Precision of neutron scattering and capacitance type soil water content gauges from field calibration. Soil Sci. Soc. Amer. J., 59, 961-968.
443 Il terreno
EWEIDA M., SIT T.L., ABOUHAIDAR M.G., 1989. Molecular cloning of the genome of the carlavirus potato virus S: biotinylatedRNA transcripts for virus detection in crude potato extracts. Ann. Appl. Biol., 115, 253-261.
FALKENSTEIN K.F., TOOLEY P.W., GOODWIN S.B., FRY W.E., 1991. Differentiation of group IV Phytophthora species by PCR amplification of nuclear ribosomal DNA internal transcribed spacer region 2. 1991 APS annual meeting St. Louis Abs., 169.
FAURE M.A., 1978. Comportement sel sols au compactage, rôle de l’argile et conséquence sur l’arrengement des grain. C.R. Sèances Acad. Agric. France, 11, 914-916.
FEAGLE R.G., BUSINGER J.A., 1963. An introduction to atmospheric physics. Ac. Press, New York.
FEINBERG A.P., VOGELSTEIN B., 1983. A technique for radiolabeling DNA restriction fragments to high specific activity. Anal. Biochem., 132, 6-13.
FEINBERG A.P., VOGELSTEIN B., 1984. A technique for radiolabeling DNA restriction fragments to high specific activity “addendum”. Anal. Biochem., 137, 266-267.
FENWICK D.W., 1940. Methods for recovery and counting of cysts of Heterodera schachtii from soil. J. Helminth., 23, 91-96.
FEODOROFF A., 1970. Une méthode pour l’étude de l’infiltration au champ. Premiers resultats. Science du sol, 1, 19-30.
FIUME F., NERVO A., CRESCENZI A., RESTAINO F., 1993. Comportamento di varietà ed ibridi di peperone dolce (Capsicum annuum L.) verso infezioni virali miste ed Oidiopsis taurica Lev. Sementi Elette, 39(6), 19-22.
FIUME F., PALUMBO A., PETRALIA S., 1993. Tomato root-knot nematode Meloidogyne incognita (Kofoid et White) Chitwood control by chemical treatments, soil solarization and resistant varieties. Abstract Book of the 5th ISHS International Symposium on the processing tomato, Sorrento - Italy, 23-27 November 1993.
FIUME F., 1994. L’impiego dell’apprestamento protettivo per la solarizzazione del terreno nelle colture protette in Italia meridionale. Informatore fitopatologico, 44(3), 52-57.
FIUME F., 1994. La solarizzazione del terreno in serra per il contenimento dei nematodi galligeni della lattuga. Atti delle Giornate Fitopatologiche di Montesilvano (Pescara), 9-12 maggio 1994, 2, 227-234.
FIUME F., PARISI B., 1995. La difesa del pomodoro in coltura protetta contro nematodi galligeni (Meloidogyne Goeldi) e Pyrenochaeta lycopersici (Schneider et Gerlach) in associazione. Informatore fitopatologico, 45(7-8), 44-50.
FIUME F., 1995. Influenza della solarizzazione del suolo su nematodi galligeni e resa ed anticipo produttivi di lattuga. Nematologia mediterranea, 23 (suppl.), 135-142.
FIUME F., 1995. Control of Corky Root Caused by Pyrenochaeta lycopersici (Schneider et Gerlach) on tomato in protected cultivations. Mededelingen Faculteit Landbouwkundige en Toegepaste Biologische Wetenschappen Universiteit Gent (Belgium), 60(2b), 381-392.
FLAIG W., 1960. Comparative chemical investigations on natural humic pompounds and
Fiume Francesco 444
their model substances. Scientific Proceedings of the Royal Dublin Society, 4, 49-62.
FLEMING P.M., SMILES D.E., 1975. Infiltration of water into soil. Prediction in catchement hydrology. Aust. Acad. Sci., 83-110.
FLORENZANO G., 1972. Elementi di Microbiologia del Terreno. Ramo Editoriale degli Agricoltori, Roma.
FLORKIN N., SCOFFENIELS S., 1967. Biochimie et biologie moleculaire. Desoer, Liege, Belgique.
FORTUN C., FORTUN A., CECCANTI B., 1977. Changes in water-soluble and EDTA-extractable cations and enzymatic activities of soils treated with a composted solid urban waste. Arid Soil Research and Rehabilitation, 11, 265-276.
FRAENKEL-CONRAT H., KIMBALL P.C., 1982. Virology. Prentice-Hall, Inc. Englewood Cliffs, N.J.
FRATEPIETRO C., 1930. La crosta pugliese. Foggia, 1930.FREAR D.S., HODGSON R.H., SHIMABUKURA R.H., STILL G.G., 1972. Behaviour
of Herbicide in Plants. Adv. Agron., 24, 327-378.FRENKEL H., GOERTZEN J.O., RHOADES J.D., 1978. Effects of clay type and
content, exchangeable sodium percentage, and electrolyte concentration on clay dispersion and soil hydraulic conductivity. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 42, 32-39.
GALLART F., PARDINI G., 1996. Perfilru: un programa para el analisis de la rugosidad de perfiles microtopograficos mediante el estudio de la grometria fractal. IV Reunion de Geomorfologia, Soc. Espanola de Geomorfologia, Coruna, 25 settembre 1996, 163-176.
GARDNER W.R., 1958. Some steady-state solutions to the unsatured flow equation with application to evaporation from a water table. Soil Sci., 85, 228-232.
GARDNER W.R., 1960. Dynamic aspects of water availability to plants. Soil Sci., 89, 63-73.
GARDNER W.R., 1970. Field measurements of soil water diffusivity. Soil Sci. Soc. Am. Proc., 43, 382.
GARDNER W.R., 1974. The permeability problem. Soil Sci., 117(5), 243-248.GATES D.M., 1962. Energy exchange in the biosphere. Harper and Row, New York.GEIGER R., 1966. The climate near the ground. Harvard Un. Press., Cambridge, Mass.GERWITZ A., PAGE E.R., 1974. An empirical mathematical model to describe plant
root systems. J. Appl. Ecol., 11, 773-782.GIBBS A.J., HARRISON B.D., 1979. Plant Virology: The Principles. Halsted Press,
John Wiley & Son, Inc., New York.GIOVANNINI G., 1997. Post fire soil erosion risk: how to predict and how to prevent.
Proc. of Advanced Study Course on Wildfire Management, Atene (Grecia), 6-14 Ottobre 1997, 83-95.
GIOVANNINI G., LUCCHESI S. e CIOMPI S., 1997. Post fire vegetation dynamic and its effect on soil erosion process. Proc. of Int. Workshops on Fire, Landscape and Dynamics in Mediterranean Area, Banyuls sur Mer (France), 15-19 Settembre 1997,
445 Il terreno
186-190.GIRALDES J.V., SPOSITO G., 1978. Moisture profiles during steady vertical flows in
swelling soils. Water Resources Res., 14, 314-318.GOLDSTEIN A.H., MAYFIELD S.P., DANON A., TIBBOT B.K., 1989. Phosphate
starvation inducible metabolism in Lycopersicon esculentum. Plant Physiol., 91, 175-182.
GOLOVANOV A.I., 1969. Measuring thermal conductivity of soil under laboratory conditions. Neth J. Agric. Sci., 17, 71-79.
GRAY T.R.G., WILLIAMS S.T., 1971. Soil Microorganism. Oliver & Boyd, Edinburg.GREEN M.B., McCULLOCH A., 1976. Energy Consideration in the Use of Herbicides.
J. Sci. Food. Agric., 27, 95-100.GREENLAND D.J., 1977. Soil damage by intensive arable cultivation: temporary or
permanent ? Phyl. Trans. R. Soc. Lond., B 281, 193-208.GRIFFIN D.M., 1972. Ecology of soil fungi. Syracuse University Press, Syracuse, New
York.GROENEVELT P.H., BOLT G.H., 1972. Water retention in soil. Soil Sci., 113(4), 238-
245.GUBLER U., HOFFMAN B.J., 1983. A simple and very efficient method for generating
cDNA libraries. Gene, 25, 263-269.HADAS A., SWARTZENDRUBER P.E., RIJTEMA P.E., FUCHS M., YARON B., 1979.
Phisical aspects of soil water and salts in ecosystems. Ecolog. Studies, J. Springer-Verlag Berlin 1979.
HAINES B., 1930. Hygroscopicity of Soils. Londra.HALE M.E., 1983. The Biology of Lichens. University Park Press, Baltimore, Md, USA.HAMMEL J.E., PAPENDICK R.I., CAMPBELL G.S., 1981. Fallow tillage effects on
evaporation and seedzone water content in a dry summer climate. Soil Sci. Soc. Am. J., 45, 1016-1022.
HANKS R.J., ASHCROFT G.L., 1980. Applied soil physic. J. Springer-Verlag Berlin.HARLEY J.L., SMITH S.E., 1983. Mycorrhizal Symbiosis. Academic Press, New York,
USA.HARRIS R.F., CHESTERS G., ALLEN O.N., 1966. Dynamics of soil aggregation. Adv.
Agron., 18, 107-169.HAUSSMANN G., 1950. L’evoluzione del terreno e l’agricoltura. Correlazione tra i
processi pedogenetici, la fertilità, la tecnica e le rese della coltura agraria. 1, Einaudi Ed.
HAVERKAMP R., VANCLIN M., TOUMA J., WIERENGA P.J., VACHAUD G., 1977. A comparison of numerical simulation models for one-dimensional infiltration. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 41, 285-293.
HENIN S., GRAS R., MONNIER G., 1969. Le profil cultural. Masson et C.ie, Parigi.HERKELRATH W.N., HAMBURG S.P., MURPHY F., 1991. Automatic, real time
monitoring of soil moisture in a remote field area with time domain reflectometry. Water Resour. Res., 27, 857-864.
Fiume Francesco 446
HIGASHIYAMA I., 1980. The rheological significance of consistency limits of soil. Bull. Yamagata Univ. Agr. Sci., 8, 601-627.
HILLEL D., 1980. Application of soil physics. Academic Press, New York, USA.HOOK W.R., LIVINGSTON N.J., 1996. Errors in converting time domain reflectometry
measurements of propagation velocity to estimates of soil water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 59, 35-41.
HULL R., 1989. The movement of viruses in plants. Ann. Rev. Phytopathol., 27, 213-240.
HULL R., 1993. Nucleic acid hybridization procedures. In: Diagnosis of Plant Viruses Diseases, R.E.F. Mattews. Ed., CRC Press Inc, Boca Raton, 267-271.
IDSO S.B., JACKSON R.D., KIMBALL B.A., NAKAYMA F.S., 1975. Dependence of bare soil albedo on soil water content. J. Appl. Meteorol., 14, 109-113.
ISRAELIAN O.W., HANSEN V.E., 1962. Irrigation Principles and Practices. J. Wiley, New York, USA.
JENKINSON D.S., 1981. The fate of plant and animal residues in soil. In Greenland D.J., Heyes M.H.B., The chemistry of soil processes, pp.505-561, John Wiley, London.
JENKINSON D.S., LADD J.N., 1981. Microbial biomass in soil: measurement and turnover. In Paul E.A, Ladd J.N., Soil Biochemistry, 5, pp.415-471, Marcel Dekker, New York.
JURY W.A., 1975. Solute travel-time estimates for tile-drained fields. I-II, Soil Sci. Soc. Amer. J., 39, 1020-1028.
KACHINSKII N.A., 1966. Mechanicaland microaggregate composition of soil. Methods of investigation. Israel program for scientific translation, Jerusalem, 1966.
KATAN J., 1980. Solar pasteurization of soil for disease control: status and prospects. Plant Dis., 64, 450-454.
KEEN B.A., 1931. The physical properties of the soil. Longman’s Green & Co., Londra.KEITH D., Mc KEVAN E., 1962. Soil Animals. H.F. & G. Witherby, London.KLUTE A., 1972. The determination of hydraulic conductivity and diffusivity of
insaturated soils. Soil Sci., 113, 264-277.KLUTE A., HEERMANN D.F., 1974. Soil water profile development under a periodic
boundary condition. Soil Sci., 117, 265-271.KNEEBONE W.R., KOPEC D.M., MANCINO C.F., 1992. Water requirements and
irrigations. In: Turfgrass (D.V. Waddington, R.N. Carrow and R.C. Shearman eds.), Amer. Soc. Agron.-Crop Sci. Amer.-Soil Sci. Soc. Amer., Madison, Wisconsin.
KROGMANN D.W., 1981. Cyanobacteria (Blue-Green Algae). Their Evolution and Relation to Other Photosynthetic Organism. Bioscience, 31, 121-124.
LA FLEUR K.S., 1973. Some surface properties of selected soil components. Soil Sci., 115, 145-148.
LAI S.H., TIEDJI J.M., ERICKSON E., 1976. In situ measurements of gas diffusion coefficient in soil. Soil Sci. Soc. Amer. J., 40, 3-6.
LAWREY J.D., 1984. Biology of Lichenized Fungi. Praeger Scientific, New York, USA.
447 Il terreno
LEE I.M., DAVIS R.E., DEWITT N.D., 1990. Non-radioactive screening method for isolation of disease specific probes to diagnose plant disease caused by mycoplasmalike organisms. Appl. Environ. Microbiol., 56, 1471-1475.
LETEY J., KEMPER W.D. NOONAN L., 1969. The effect of osmotic pressure gradients on water movement in unsatured soil. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 33, 15-18.
LIU C., RAGHOTHAMA K.G., 1995. Cloning and characterization of pTPI1, a cDNA (accession no. U38808) for a phosphate starvation induced gene from tomato. Plant Physiol., 109, 1126-1127.
LOCH J.P.G., 1978. Thermodynamic equilibrium between ice and water in porous media. Soil Sci., 126, 77-80.
LUPETTI P., MALATESTA E., DALLAI R., 1989. Observations on soil fauna activity and on midgut content of Collembola. 3rd International Seminar on Apterygota, 307-315, University of Siena, Siena.
LUXMOORE R.J., STOLZY L.H., LETEY J., 1970. Oxygen diffusion in the soil-plant system. Agron. J., 62, 317-332.
MAGGIONI A., VARANINI Z., NARDI S., PINTON R., 1987. Action of soil humic matter on plants roots: stimulation of ion uptake and effects on (Mg2+, K+) ATPase activity. The Science of the Total Environment 62, 355-363.
MALIK R.S., LAROUSSI C., DE BECKER L.W., 1979. Physical components of the diffusivity coefficient. Soil Sci. Soc. Am. J., 43, 633-637.
MALQUORI A., 1979. Lineamenti di chimica del terreno. Ed. Scuola Universitaria, Firenze.
MARSHALL T.J., 1958. A relation between permeability and size distribution of pores. J. Soil Sci., 9, 1-8.
MARSHALL T.J., 1959. The diffusion of gase through porus media. J. Soil Sci., 10, 79-82.
MARSHALL T.J., 1962. The nature, development and significance of soil structure. Trans. Joint Meet Comm. IV and V I.S.S.S., Palmerston North, 243-257.
MARTELLI G.P., 1990. Aspetti ecologici delle virosi delle piante ortensi. Inf. Fitopat., 10, 9-10.
MARTELLI G.P., 1991. Trasformazione genetica per la resistenza alle piante coltivate. Atti Accademia dei Georgofili, 37, 349-368.
MARTELLI G.P., 1993. The new classification of Plant Viruses. Petria, 3, 131-140.MARTIN J.P., MARTIN W.P., PAGE J.B., RANEY W.A., DE MENT J.D., 1955. Soil
aggregation. Adv. Agron. 7, 1.MASCIANDARO G., MARINARI S., GRECO S., CECCANTI B., 1996. Use of
pyrolysis technique to evaluate changes in soil organic matter quality caused by mineral and organic fertilization. 13th Meeting of the International Humic Substances, IHSS, Wroclaw (Polonia), 9-14 settembre, 1996.
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GALLARDO-LANCHO J.F., 1977. Organic matter properties in cultivated versus set-aside arable soils. Agriculture Ecosystems and Environment, 67, 311-319.
Fiume Francesco 448
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GARCIA C., 1997. Acque reflue e sostanze umiche in un microsistema suolo-radice. Atti del XIV Convegno della Soc. It. Chim. Agr., SICA, Rimini, 25-27 Settembre 1977, 263-272.
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GARCIA C., 1997. Soil agro-ecological management: fertirrigation and vermicompost treatments. Bioresource Technology, 59, 199-206.
MASCIANDARO G., CECCANTI B., GARCIA C., 1997. Changes in soil biochemical and cracking properties induced by "living mulch" systems. Canadian Journal of Soil Science, 77(4), 579-587
MASCIANDARO G., MARINARI S., GREGO S., CECCANTI B., 1997. Use of pyrolysis technique to evalutae changes in soil organic matter quality caused by mineral and organic fertilization. In: The role of humic substances in the ecosystems and in environmental protection (J. Drozd, S.S. Gonet, N. Senesi e J. Weber Eds.), IHSS-Polish Soc. Humic Substances, Wroclaw, 425-430.
MATTEI F., CAPONIGRO DE ANGELIS P., 1980. Radiazione solare. Encicl. Agr. It., REDA, Roma.
MATTHEWS R.E.F., 1991. Plant Virology. Academic Press, St. Diego, USA.MAULE A.J., HULL R., DONSON J., 1983. The application of spot hybridization to the
detectionof DNA and RNA viruses in plant tissues. J. Virol. Methods, 6, 215-224.MAYER R.J., 1991. Molecular systematics of Trichoderma species by restriction
analysis of PCR-amplified ribosomal DNA fragments. 1991 APS annual meeting St. Louis Abs., 805.
McKEAGUE J.A., WANG C., TOPP G.C., 1982. Estimating saturated hydraulic conductivity from soil morphology. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 1239-1244.
McINNES K.J.,1981. Thermal conductivities of soils from dryland wheat regions of Eastern Washington. M.S. Thesis, Washington State University, Pullman.
McNEILLY T., JOHNSON M.S., 1978. Mineral nutrition of copper tolerant browntop on metal contaminated mine spoil. J. Environ. Qual., 7, 483-486.
MELTON D.A., KRIEG P.A., REBAGLIATI M.R., MANIATIS T., ZINN K., GEEN M.R., 1984. Efficient in vitro synthesis of biologically active RNA and RNA hybridization probes from plasmids containing a bacteriophage SP6 promoter. Nucleic Acids Res., 12, 7035-7056.
MENICOCCI W., CECCANTI B., 1977. How to combat desertification by improving the fertility of the soil and promoting the recovery of organic waste through earthworm technology. Convention to combat desertification, Conference of the parties, 1st
session held in Rome, F.A.O. Building September 29-October 10, 1997.MENOZZI A., PRATOLONGO U., 1938. Chimica vegetale ed agraria: il terreno. III ed.,
Milano.MILLER E.E., 1980. Similitude and scaling of soil-water phenomena. In Hillel D.:
Application of soil Physics. Academic Press, New York, USA.MILLER D.E., GARDNER W.H., 1962. Water infiltration into stratified soil. Soil Sci.
Soc. Amer. Proc., 26, 115-119.MILLER S.A., MARTIN R.R., 1988. Molecular diagnosis of plant disease. Ann. Rev.
Phytopathol., 26, 409-432.
449 Il terreno
MITCHELL L.G., MUTCHMOR J.A., DOLPHIN W.D., 1999. Zoologia. Zanichelli Ed., Bologna.
MOLDEHAUER W.C., 1975. Soil conditioners. Soil Sci. Soc. Amer. Spec. Pub. N. 7, Madison, Wisconsin.
MONTEITH J.L., 1975. Principles of Environmental Physics. Edward Arnold, London.MOSSE B., 1953. Fructifications associated with mycorrhizal strawberry roots. Nature,
171, 974.MULLER P.E., 1879. Studier over skovjord, som bidrag til skovdyrkningens theori.
Tidssker, Skovbr, 3, 1-24.NANNIPIERI P., 1989. Il comportamento del fertilizzante azotato nel sistema terreno-
pianta. Atti del Convegno su Fertilità del suolo e Nutrizione delle Piante, 75-86, Della Torre, Portici (Napoli).
NANNIPIERI P., 1993. Ciclo della sostanza organica nel suolo. Aspetti agronomici, chimici, ecologici, selvicolturali. Pàtron editore, Bologna.
NIELSEN D.R., BIGGAR J.W., 1961. Miscible displacement in soil. I. Experimental information. Soil Sci. Soc. Am. Proc., 25, 1-5.
NIKOLAU B.J., WURTELE E.S., STUMPF P.K., 1985. Use of streptoavidin to detect biotin-containing proteins in plants. Anal. Biochem., 149, 448-453.
NISBET B., 1984. Nutritional Feeding Strategies in Protozoa. Croom Helm, London and Canberra.
NJOS A., 1978. Effects of tractor traffic and liming on yields and soil physical properties of silty clay loam soil. Meld. Norges Landbrukshogsk., 57, 24.
NORMAN J.N., CAMPBELL G.S., 1983. Application of a plant-environment model to problems in irrigation. Advances in Irrigation, 2, 155-188.
NYE P.H., TINKER P.B., 1977. Solute movement in the soil-root system. Blackwell, Oxford.
ODDSON J.K., LETEY J., WEEKS L.V., 1970. Predicted Distribution of Organic Chemicals in Solution and Adsorbed as a Function of Position and Time for Various Chemicals and Soil Properties. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 34, 412-417.
OKAYAMA H., BERG P., 1982. High-efficiency cloning of full-length cDNA. Mol. Cell. Biol., 2, 161-170.
OLIVA A., 1939. La teoria agronomica della fertilità. L’Italia agricola, 76(6), 71-92.OLSEN S.R., KEMPER W.D., 1968. Movement of nutrients to plant roots. Adv. In
Agron., 20, 91-152.OOSTENBRINK M., 1960. Estimating nematode populations by some selected methods.
In: Sasser e Jenkins, Nematology. Foundamentals and Recent Advances with Emphasis on Plant Parasitic and Soil Forms. The University of North Caroline, 6, 85-102.
OWEN J., PALUKAITIS P., 1988. Characterization of cucumber mosaic virus. I. Molecular heterogeneity mapping of RNA 3 in eight CMV strains. Virology, 166, 495-502.
PAGE A.L., MILLER R.H., KEENEY D.R., 1982. Methods of Soil Analyses. American
Fiume Francesco 450
Society of Agronomy, Madison, Wisconsin.PAGLIAI M., BARBAFIERI M., BENETTI A., 1996. Riflessi dei sistemi colturali sulle
caratteristiche fisiche del terreno. In: Sistemi colturali alternativi in maiscoltura (a cura di E. Bonari e M. Pagliai, ed. STAR - Pisa), 89-107.
PALUKAITIS P., COTTS ., ZAITLIN M., 1985. Detection and identification of viroids and viral nucleic acids by “dot-blot” hybridization. Acta Horticul., 164, 109-118.
PANTANELLI E., 1952. Le terre del Tavoliere di Puglia. Annali di Sperimentazione Agraria, 36, Roma.
PAOLETTI M.G., SOMMAGGIO D., PETRUZZELLI G., PEZZAROSSA B., 1996. Soil invertebrates as monitoring tools for agricultural sustainability. Polskie Pismo Entomologiczne, 64, 113-122.
PAPENDICK R.I., CAMPBELL G.S., 1980. Theory and measurement of water potential. In relations in microbiology. Am. Soc. of Agron. Spec., Pubblicazione n. 9, 1-22.
PAPPU S.S., BRAND R., PAPPU H.R., RYBICKI E.P., GOUGH K.H., FRENKEL M.J., NIBLETT C.L., 1993. A polymerase chain reaction method adapted for selective amplification and cloning of 3’ sequences of potyviral genomes: application to dasheen mosaic virus. J. Virol. Methods, 41, 9-20.
PARDINI G., PLANA F., QUERALT I., 1996. Chemical and mineralogical characteristics of Alpine Spodosol: evidence for allophane in Bh horizon. Agrochimica 40, 180-190.
PARIKH R.J., HAVENS J.A., SCOTT H.D., 1979. Thermal diffusivity and conductivity of soils as a function of temperature and water content. Soil Sci. Soc. Amer. J., 43, 1323-1325.
PARLANGE J.Y., STARR S.L., 1978. Dispersions in soil columns: effect of boundary conditions and irreversible reactions. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 15-17.
PARLANGE J.Y., HILL D.E., 1979. Air and water movement in porous media. Compressibility effects. Soil Sci., 127, 257-263.
PASSIOURA J.B., 1972. The effect of root geometry on the yield of wheat growing on stored water. Aust. J. Agric. Res., 23, 745-752.
PATRUNO A., TODERI G., CAVAZZA L., GIORDANI G., 1992. Influenza di ammendanti organici su stabilità di struttura, contenuto in materia organica e produttività del terreno. Riv. Agron., 26, 1, 33-42.
PAUL E.A., CLARK, F.E., 1989. Soil Microbiology and Biochemistry. Academic Press, New York.
PECK A.J., 1969. Determining diffusivity from the redistribution of soil water. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 33, 6, 980.
PECK A.J., 1969. Entrapment, stability, and persistence of air bubbles in soil water. Aust. J. Soil Res., 7, 79-90.
PETERSON H., 1982. Quantitative ecology of microfungy and animals in soil and litter. Oikos, 39, 288-482.
PETRONIO B.M., D'ORAZIO D., PETRUZZELLI G., GENNARO M.C., VANNI A., LIBERATORI A., 1996. Characterization of the liquid phase of sewage sludge. Effects on copper adsorption by soil. Environmental Technology, 17, 439-444.
451 Il terreno
PETRUZZELLI G., 1979. Recupero agronomico di aree di scarico contaminate. L’Italia agricola, 116(4-7), 107-115.
PETRUZZELLI G., 1996. Metalli pesanti nel compost e loro effetto sulla qualità del suolo. Acqua Aria, 3, 311-315.
PETRUZZELLI G., BARBAFIERI M., 1996. La funzionalità del suolo, proprietà indispensabile per la protezione della qualità delle acque. In: Acque Destinate al Consumo Umano (GSISR ed.), 185-195.
PETRUZZELLI G., PETRONIO B.M., GENNARO M.C., VANNI A., LIBERATORI A., BARBAFIERI M., PEZZAROSSA B., PETRUZZELLI G., PICCOTINO D., MALORGIO F., SHENNAN C., 1996. Effetti della competizione tra ione solfato e ione selenato sull'accumulo di selenio nei vegetali. II Convegno Chimica Ambientale, Rimini, 18-20 settembre 1996, 21.
PETRUZZELLI G., PEZZAROSSA B., LUBRANO L. e BARBAFIERI M., 1996. Heavy metal speciation and sorption in soil under traditional and sustainable agriculture. In: "Euroanalysis IX - European Conference on Analytical Chemistry", Bologna, 1-7 Settembre 1996, Book of Abstracts, Tu P31.
PETRUZZELLI G., 1997. Soil sorption of heavy metals. In: Ecological Issues and Environmental Impact Assessment - Advances in Environmental Control Technology, Series (Gulf Pub. Co., Houston, USA), 145-174.
PETRUZZELLI G., PETRONIO B.M., GENNARO M.C., VANNI A., LIBERATORI A., BARBAFIERI M. PEZZAROSSA B., 1997. Residual effect application of sewage sludge on heavy metals sorption by soil. Annali di Chimica, 87, 733-742.
PETRUZZELLI G., PICCOTINO D., 1997. La qualità del suolo negli equilibri ambientali. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 121-132.
PERRIER E.R., PRAKASH O.M., 1977. Heat and vapor movement during infiltration into dry soils. Soil Sci., 124, 73-76.
PEZZAROSSA B., 1996. Effetto residuo dell'impiego di fanghi urbani sulle proprietà adsorbenti del terreno nei confronti dei metalli pesanti. II Convegno Nazionale di Chimica Ambientale, Rimini, 18-20 settembre 1996, 16.
PEZZAROSSA B., DI TOLA L., PICCOTINO D., GIANQUINTO G., ABU RAYYAN A., 1996. Primi risultati sull'assorbimento di zinco in fagiolo e radicchio in relazione a diversi livelli di concimazione fosfatica. Atti III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 541-542.
PEZZAROSSA B., PICCOTINO D., CANARUTTO S., 1996. Riflessi dei sistemi colturali sulle caratteristiche chimiche del terreno. In: Sistemi colturali alternativi in maiscoltura (a cura di E. Bonari e M. Pagliai, ed. STAR - Pisa), 109-125.
PEZZAROSSA B., PICCOTINO D., MALORGIO F., SHENNAN C., 1996. Assorbimento e trasporto di selenato in piante di pomodoro, in relazione al contenuto di solfato nel substrato di crescita. XIII Convegno Nazionale Società Italiana di Chimica Agraria, Rimini, 25-27 settembre 1996.
PEZZAROSSA B., PICOTTINO D., PETRUZZELLI G., MALORGIO F., SHENNAN C., 1996. Selenium uptake in tomato plants in relation to sulphate content in the soil. In: Euroanalysis IX - European Conference on Analytical Chemistry", Bologna, 1-7 Settembre 1996, Book of Abstracts, Tu P160.
Fiume Francesco 452
PEZZAROSSA B., PETRUZZELLI G., PICCOTINO D., MALORGIO F., HILLHOUSE C.J., JONES J., SHENNAN C., 1997. Selenium uptake and partitioning in tomato plants in relation to sulphate concentration in soil. In Contaminated Soils: Third International Conference on the Biogeochemistry of Trace Elements, Paris, May 15-19, 1995, Coll. 85, INRA Editions, Paris, France.
PEZZAROSSA B., PICCOTINO D., 1997. La problematica del selenio nel terreno e nelle piante. Giornata di Studio GSISR sulla Qualità del Suolo (A. Frigerio e M. Schieppati ed.), Milano, 28 Febbraio 1997, 74-81.
PHILIP J.R., 1957. The theory of infiltration. Sorptivity and algebraic infiltration equations. Soil Sci., 84, 257-264.
PHILIP J.R., 1964. Similarity hypothesis for capillary hysteresis in porous materials. J. Geophys. Res., 69, 1553-1562.
PHILIP J.R., 1967. Sorption and infiltration in heterogeneous media. Aust. J. Soil Res., 5, 1-10.
PHILIP J.R., 1968. The theory of absorption in aggregated media. Aust. J. Soil Res., 6, 1-19.
PHILIP J.R., 1968. Diffusion, dead end pores, and linearized absorption in aggregated media. Aust. J. Soil Res., 6, 21-30.
PHILIP J.R., 1969. Early stages of infiltration in two-and three-dimensional systems. Aust. J. Soil Res., 7, 213-221.
PHILIP J.R., 1969. Moisture equilibrium in the vertical in swelling soils. I. Basic theory. Aust. J. Soil Res., 7, 99-120.
PHILIP J.R., 1975. Stability analysis of infiltration. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 1042-1049.
PHILIP J.R., DE VRIES D.A., 1957. Moisture movement in porus materials under temperature gradients. Trans. Am. Geophys. Union, 38, 222-231.
PHILIP J.R., FORRESTER R.I., 1975. Steady infiltration form buried, surface, and perched point and line sources in heterogeneous soils. II. Flow details and discussion. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 408-414.
PILATO G., 1973. Guida pratica per il riconoscimento dei gruppi animali. Piccin, Padova.
PINAMONTI F., GENEVINI P., PETRUZZELLI G., 1997. La problematica dei metalli pesanti nel compost. L'Informatore Agrario, 44, 57-59.
PRESCOTT G.W., 1968. The Algae: A Review. Houghton Mifflin, Boston, Massachusetts, USA.
PRINCIPI P., 1957. Crosta o Crostone. R.E.D.A., Roma, 1957.PRINCIPI P., 1964. Geopedologia. Ramo editoriale degli agricoltori, Roma.PRITCHARD D.T., CURRIE J.A., 1982. Diffusion coefficients of carbon dioxide,
nitrous oxide, ethylene and ethane in air and their measurement. J. Soil Sci., 33, 175-184.
PUTCHA H., SANGER N.L., 1989. Sequence analysis of minute amounts of viroid RNA using the polymerase chain reaction. Arch. Virol., 106, 335-340.
453 Il terreno
QIAN Y.L., FRY J.D., WIEST S.C., UPHAM W.S., 1996. Estimating turfgrass evapotranspiration using atmometers and Penman-Monteith model. Crop Sci. 36, 699-704.
QUARONI S., SARACCHI M., 1994. Effetti indotti sulla produttività vegetale dalla batterizzazione dei semi con ceppi di streptomoceti. Riv. Agron., 28, 3, 184-190.
RANKI M., PALVA A., VIRTENAN M., LAAKSONEN M., SODERLUND H., 1983. Sandwich hybridization as a convenient method for the detection of nucleic acids in crude samples. Gene, 21, 77-85.
RAW F., LOFTY R., 1960. Earthworm population in orchards. Rep. Rothamsted Exp. Sta., 134.
RAWN J.D., 1990. Biochimica. Mc Graw Hill, Milano.REDIGER G.J., CAMPBELL G.S., SAXTON K.E., PAPENDICK R.I., 1984. Infiltration
rate of slot mulches: measurement and numerical simulation. Soil Sci. Soc. Amer. J., 48, 982-986.
REECE A.R., 1977. Soil mechanics of agricultural soils. Soil Sci. 123, 332-337.RICE E.L., 1984. Allelopathy. Academic Press, Inc., New York.RIGBY P.W.J., DIECKMSANN M., RHODES C., BERG P., 1977. Labelling
deoxyribonucleic acids to high specific activity in vitro by nick translation with DNA polymerase I. J. Mol. Biol., 113, 237-251.
RIHA S.J., McINNES K.J., CHILD S.W., CAMPBELL G.S., 1980. A finite element calculation for determining thermal conductivity. Soil Sci. Soc. Amer. J., 44, 1323-1325.
ROBBINS C.W., WAGENET R.J., JURINAK J.J., 1980. A combined salt transport – chemical equilibrium model for calcareosus and gypsiferous soil. . Soil Sci. Soc. Amer. J., 44, 1191-1194.
ROBERTSON N.L:, FRENCH R., 1991. Amplification of mite- and fungus- transmitted potyviral 3’-terminal fragments by PCR. 1991 APS annual meetin St. Louis Abs., 378.
ROGERS V.C., NIELSON K.K., RICH D.C., SANDQUIST G.M., MAUSCH M.L., 1982. Radon attenuation with earthen covers. RAE-33-14. Rogers & Associates. Salt Lake City, Utah.
ROSE D.A., 1977. Hydrodinamic dispersion in porous materials. Soil Sci., 123, 277-283.ROSS I.K., 1979. Biology of the Fungi: Their Development, Regulation, and
Associations. McGraw-Hill Book Company, New York, USA.ROTINI O.T., 1972. Correlazioni tra struttura, capacità idrica e stabilità del suolo. Atti
Acc. Naz. Lincei, 169, 369-407.ROTINI O.T., TOMBESI L., LAUCIANI E., SEQUI P., 1973. Indirect determination of
field capacity. Agrochim., 17, 397-412.ROUND F.E., 1973. The biology of the Algae. St. Martin’s Press, New York, USA.RUGGIERO C., DE PASCALE S., BARBIERI G., 1994. Effetto dell’irrigazione con
acque a diverso contenuto salino sullo stato idrico, sull’accrescimento e sulla produzione della melanzana (Solanum melongena L.). Riv. Agron., 28, 3, 222-234.
Fiume Francesco 454
RUSSEL J.E., 1950. Soil conditions and plant growth. Longmans, London.RUSSEL J.S., 1964. Mathematical expresssion of seasonal changes in soil organic
matter. Nature, 204, 161.RUSSEL E.W., 1971. Soil structure: its maintenance and improvement. J. Soil Sci., 22,
137-151.RUSSEL J.S., 1975. Mathematical treatment of the effect of cropping system on soil
organic nitrogen in two longterm sequential experiment. Soil Sci, 120, 37.RUSSEL J.S., GREACEN E.L., 1977. Soil factors in crop production in a semi-arid
environment. Univ. Of Quennsland Press, S. Lucia.RUSSO D., BRESLER E., 1980. Scaling soil hydraulic properties af a heterogeneous
field. Soil Sci., Soc. Amer. J., 44, 681-684.RUSSO D., BRESLER E., 1981. Soil hydraulic properties as stochastic processes. I. An
analysis of field spatial variability. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 682-687.RUSSO D., BRESLER E., 1982. Soil hydraulic properties as stochastic processes. II.
Errors of estimate in a heterogeneous field. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 20-26.SAIKI R.K., GELFAND D.N., STOFFEL S., SCHARF S.J., HIGUCHI R., HORN C.T.,
MULLIS K.B., NERLICH H.A., 1988. Primer-directed enzymatic amplification of DNA with a thermostable DNA polymerase. Science, 239, 487-491.
SALLAM A., JURY W:A:, LETEY J., 1984. Measurement of gas diffusion coefficient under relatively low air-filled porosity. Soil Sci. Soc. Amer. J., 48, 3-6.
SANTAMARIA P., ELIA A., SERIO F., CONVERSA G., GONNELLA M., 1996. Effetti dell’azoto sull’accumulo dei principali ioni inorganici e sulla produzione della rucola. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 425-426.
SANTAMARIA P., SERIO F., CONVERSA G., GONNELLA M., 1996. Azoto, irradianza ed accumulo di nitrati nel prezzemolo. III Giornate Scientifiche SOI, Erice, 10-14 marzo 1996, 423-424.
SANTINI A., 1974. Rilievi del potenziale e del contenuto d’acqua in mezzo non saturo. Univ. Napoli.
SANTINI A., 1974. Processi d’infiltrazione e ridistribuzione dell’acqua in un mezzo non saturo. Univ. Napoli.
SANTINI A., 1978. Bilancio idrico del sistema suolo-vegetazione, l’impiego di un modello matematico di simulazione. Univ. Napoli.
SCHEIDEGGER A.E., 1980 Physics of Flow Through Porous Media. MacMillan, New York, USA.
SCHNITZER M., KHAN S.U., 1972. Humic Substances in the Environment. Marcel Dekker Ed., New York.
SCOGNAMIGLIO A., TALAME’ M., 1971. I principali generi di Nematodi fitoparassiti presenti in Italia e loro determinazione. Boll. Lab. Ent agr. “F. Silvestri”, 29, 1-41.
SCOTT M.C., CAETANO-ANOLLES G., TRIGIANO R.N., 1996. DNA amplification fingerprinting identifies closely related Crhrysantemum cultivars. J. Amer., Hort. Sci., 121, 6, 1043-1048.
SEINHORST J.W., 1956. Quantitative extraction of nematodes from soil. Nematologica,
455 Il terreno
1, 3, 249-267.SEINHORST J.W., DEN OUDEN H., 1966. An improvement of bijloo’s method for
determining the egg content of Heterodera cysts. Nematologica, 12, 170-171. SELIM H.M., DAVIDSON J.M., RAO P.S.C., 1977. Transport of reactive solutes
through multilayered soils. Soil Sci. Soc. Amer. J., 41, 3-10.SEQUI P., 1978. Soil structure. An outlook. Agrochimica, 22, 403-425.SEQUI P., 1979. Parlare di fertilità del terreno nel ventesimo secolo. L’Italia agricola,
116(4-7), 22-24.SEQUI P., 1979 Terreno, agricoltura, ambiente. L’Italia agricola, 116(4-7), 202-205.SEQUI P., 1989. Chimica del suolo. Pàtron Editore, Bologna.SEQUI P., GUIDI G., PETRUZZELLI G., 1973. Sulla determinazione dell’efficacia dei
condizionatori della struttura del suolo. Agrochim., 18, 150-155.SKIDMORE E.L., DICKERSON J.D., SCHIMMELPFENNING H., 1975. Evaluating
surface-soil water content by measuring reflectance. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 238-242.
SIMONSON J.R., 1975. Engineering Heat Transfer. MacMillan Press, London.SMILES D.E., 1974. Infiltration into a swelling material. Soil Sci., 7, 3, 140-147.SMILES D.E., 1977. Further comments on estimating the moisture diffusivity of wet
swelling systems. Soil Sci., 124, 2, 125-126. SMILES D.E., PHILIP J.R., 1978. Solute transport during absorption of water by soil:
laboratory studies and practical implication. Soil Sci. Soc. Amer. J., 42, 537-544.SMITH K.A., 1977. Soil aereation. Soil Sci., 123, 284-291.SMITH O.L., 1979. An analytical model of the decomposition of soil organic matter. Soil
Biology, Biochem., 11, 585-606.SONEA S., PANISET M., 1983. A New Bacteriology. Jones and Bartlett Publishers, Inc.
Boston, Mass.SONG Y., HAM J.M., KIRKHAM M.B., KLUITENBERG G.J., 1998. Measuring soil
water content under turfgrass using the dual-probe heat-pulse techniques. J. Amer. Soc. Hort. Sci., 123, 5, 937-941.
SPOSITO G., 1973. Volume changes in swelling clays. Soil Sci., 115, 315-320.SPOSITO G., 1975. On the differential equation for the equilibrium moisture profile in
swelling soils. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 1053-1056.STEWART W.D.P., 1977. Algal Physiology and Biochemistry. Univ. Of California Press,
Berkeley and Los Angeles.STEVENSON F.J., 1982. Humus Chemistry: Genesis, Composition, and Reactions. John
Wiley and Sons, New York.STEVENSON F.J., 1986. Cycles of Soil Carbon, Nitrogen, Phosphorus, Sulfur,
Micronutrients. John Wiley and Sons, New York.STOUT J.D., BAMFORTH S.S., LOUSIER J.D., 1982. Protozoa. Agron. Monogr. 9.SYVANEN A.C., LAAKSONEN M., SODERLUND H., 1986. Fast quantification of
nucleic acid hybrids by affinity-based hybrid collection. Nucleic Acid Res., 14,
Fiume Francesco 456
5037-5048.TALAME’ M., 1972. Tacniche di laboratorio in nematologia. Ist. Ent. Agr. di Portici,
nota divulgativa 5, Min. Agr. For., circ. 16, 1-79. TAYLOR S.A., STEWART G.L., 1960. Some thermodynamic properties of soil water.
Soil Sci. Soc. Am. Proc., 24, 243-247.TAYLOR S.A., ASHCROFT G.L., 1972. Physical Edaphology. Freeman, San Francisco,
USA.TESTINI C., GESSA C., 1989. Le fasi solide. In Sequi P., Chimica del suolo, 117-149,
Pàtron Ed., Bologna.TOPP G.C., DAVIS J.L., ANNAN A.P., 1980. Electromagnetic determination of soil
water content: measurement in coaxial transmission lines. Water Resour. Res., 16, 574-582.
TOPP G.C., DAVIS J.L., ANNAN A.P., 1982. Electromagnetic determination of soil water content using TDR: I. Applications to wetting fronts and step gradients. Soil Sci. Soc. Amer. J., 46, 672-684.
TOPP G.C., DAVIS J.L., BAILEY W.G., ZEBCHUK W.D., 1984. The measurement of soil-water content using a portable TDR hand probe. Can. J. Soil Sci., 64, 313-321.
TREMBLAY E., 1983. Entomologia applicata. Liguori Ed., Napoli.TROEH F.R., JABRO J.D., KIRKHAM D., 1982. Gaseous diffusion equations for
porous materials. Geoderma, 27, 239-253.TURNER N.C., PARLANGE J., 1975. Two-dimensional similarity solution: theory and
application to the determination of soil-water diffusivity. Soil Sci. Soc. Amer. Proc., 39, 387-390.
VAN DE POL R.M., WIERGENGA P.J., NIELSEN D.R., 1977. Solute movement in a field soil. Soil Sci. Soc. Amer. J., 41, 10-13.
VAN GENUCHTEN M.T., WIERENGA P.J., 1974. Simulation of one-dimensional solute transfer in porous media. New Mexico Ag. Exp. Sta. Bull. 628, Las Cruces.
VAN LOON W.K.P., PERFECT E., GROENVELT P.H., KAY B.D., 1990. A new method to measure bulk electrical conductivity in soil with time domain reflectometry. Can. J. Soil Sci., 70, 403-410.
VANNI A., GENNARO M.C., CIGNETTI A., PETRONIO B.M., PETRUZZELLI G., LIBERATORI A., 1997. Heavy metal speciation in anaerobic municipal sludge. Comparison between single and sequential extraction. Journal of Environmental Science and Health, 32, 1467-1489.
VAN VEEN J.A., LAAD J.N., FRISSEL M.J., 1984. Modeling C and N turnover through the microbial biomass in soil. Plant and Soil, 76, 257-274.
VENTRELLA D., SANTAMARIA P., MAGNIFICO V., SERIO F., DE BONI A., CORDELLA S., 1993. Influenza dell’azoto sull’accumulo dei nitrati in foglie di rucola (Eruca sativa Miller) allevata a differenti condizioni di temperatura ed irradianza. Riv. Agron., 27, 4, 621-626.
VETTORAZZI G., 1975. State of the art of the toxilogical evaluation carried out by the joint FAO/WHO Expert Committee on Pesticide Residues. I. Organohalogenated pesticides used in public health and agriculture. Residue Rev., 56, 107-134.
457 Il terreno
VETTORAZZI G., 1976. State of the art of the toxilogical evaluation carried out by the joint FAO/WHO Expert Committee on Pesticide Residues. II. Carbamate and organophosphorus pesticides used in agriculture and public health. Residue Rev., 63, 1-44.
VETTORAZZI G., 1977. State of the art of the toxilogical evaluation carried out by the joint FAO/WHO Expert Committee on Pesticide Residues. III. Miscellaneous pesticides used in agriculture and public health. Residue Rev., 66, 137-184.
VIGNA GUIDI G., DI TOLA L., CERVELLI S., PETRUZZELLI G., PINI R., 1997. Caratterizzazione chimico-fisica del sito. Rapporto LIFE/97 pp. 16.
VITOLO S., BRESCI B., PINI R., 1997. Treatment of cooling waters containing glass from glass manufacturing plants for recycling. Glass Science and Technology (Glastechnische Berichte), 70, 95-100.
WAKSMAN S.A., 1950. The Actinomyces. Chronica Botanica Comp., Waltham, Mass., USA.
WAKSMAN S.A., 1952. Soil Microbiology. John Wiley and Sons, New York.WALKEY D.G.A., 1985. Applied Plant Virology. William Heinemann Ldt, London.WARRICK A.W., MULLEN G.J., NIELSEN D.R., 1977. Scaling field-measured soil
hydraulic properties using a media concept. Water Resour. Res., 13, 355-362.WARRICK A.W., NIELSEN D.R., 1980. Spatial variability of soil physical properties. In
Hillel D. Application of Soil Physics. Academic Press, New York. USA.WEBB R.H., WILTSHIRE H.G., 1978. An annoted bibliografy of the effects of-road
vehicles on the environment. U.S. Geol. Open File Rep. 78-149.WEBER J.B., 1972. Interaction of Organic Pesticides with Particulate Matter in Aquatic
Environment. Am. Chem. Soc., pp. 55-120, New York.WEBSTER R., 1977. Quantitative and numerical methods in soil classification and
survey. Claredon Press Oxford.WILLIAMS S.T., DAVIES F.L., 1965. Use of antibiotics fo selective isolation and
enumeration of actinomyces in soil. J. Gen. Microbiol., 38, 251-261.WILSON M.A., 1987. NMR Techniques and Applications in Geochemistry and Soil
Chemistry. Pergamon Press, Oxford.WHITE I., COLOMBERA P.M., PHILIP J.R., 1977. Experimental studies of wetting
front is stability induced by gradual change of pressure gradient and by heterogeneous porous media. Soil Sci. Soc. Amer. J., 41, 483-489.
WHITE R.E., 1982. Introduzione ai Principi dell’Applicazione della Scienza del Suolo. Edizioni Libreria Cortina, Torino.
WHITTAKER R.H., 1975. Communities and Ecosystems. Macmillan Publishing Co., Inc., New York.
WRAITH J.M., BAKER J.M., 1991. High-resolution measurement of root water uptake using automated time-domain reflectometry. Soil Sci Soc. Amer. J., 55, 928-932.
YADOV B.R., RAO N.H., PALIWAL K.U., SARMA P.B.S., 1979. Comparison of different methods for measuring soil salinity under field conditions. Soil Sci., 127, 335-339.
Fiume Francesco 458
YONG R.M., WARKENTIN B.P., 1966. Introduction to Soil Behaviour. McMillan Co., New York.
YOUNGS E.G., 1974. The use of Green and Ampt approach in soil-water movement studies. Agrochim., 18, 231-239.
ZARADNY H., FEDDES R.A., 1979. Calculation of nonsteady flow towards a drain in saturated-unsaturated soil by finite elements. Agric. Water Manag., 2, 37-53.
ZASLAVSKY D., GARBER M., 1976. Infiltration through soil with a slightly permeable buried membrane. Soil Sci., 122, 321-330.
ZITTER T.A., SIMONS J.N., 1980. Management of viruses by alteration of vector afficiency and by cultural practices. Ann. Rew. Phytopath., 18, 289-310.
ZUCKERMAN B.M., 1960. A method for concentration of nematodes for mounting from Baermann apparatus. Proc. Helm. Soc. Wash, 27(1), 37-39.
459 Il terreno
INDICE ANALITICO
Aabaco di Suarez 248
Acarapis woodi 359
acari 36, 68, 108, 202, 281, 282, 312,
330, 331, 367, 383, 384, 385, 387
– armadilli 356
– batteriovori 360
– fitomizi 360
– fitoparassiti 360, 386
– fungivori 360
– oribatei 356, 357, 366, 384
Acarina 354, 356, 358
Acarus siro 359
accumulo dei nitrati nel suolo 425, 426
acelomati 338
Acerella 364
Acerentomon doderoi 364
Acerentulus danicus 364
Aceria sheldoni 359
acervulo 294
acetato-malonato 295
Achromobacter 406, 422, 424, 429
acidi 65
– fulvici 188, 204, 205, 210, 219
– lichenici 36
– policarbossilici 238
– silicilici 31
– tecoici 432
– umici 19, 188, 189, 204, 205, 210, 219
Fiume Francesco 460
acidificazione 224, 225, 226, 232, 234, 247
acidità 223, 225, 246, 255, 257
– attiva 226
– attuale 226, 229
– potenziale 226
– titolabile 228
acido
– acetico 224, 394, 405, 408, 429
– alfalichenstearico 36
– benzen-dicarbossilico 210
– benzen-tricarbossilico 210
– benzen-tetracarbossilico 210
– benzen-pentacarbossilico 210
– benzoico 210, 388
– borico 265
– butirrico 405
– carbonico 35, 36, 238, 239
– carbossi-mucoico 409
– cetrarico 36
– citrico 257, 305
– cloridrico 45, 46
– desossiribonucleico 311
– diortosilicico
– EDTA 34
– esasilicico
– etilendiamminotetracetico 34
– fitico 432
– fluoridrico 46
– formico 224
– fosforico 227
– fumarico 36, 394
– fumarprotocetrarico 36
– gallico 295
– idrossibenzoico 409
– indolacetico 337, 419
461 Il terreno
– lattico 394
– lichenici 35, 36
– malico 305
– metadisilicico 32
– metasilicico 32
– metatrisilicico 32
– nitrico 425
– nitroso 425
– nucleinico 204, 310
– orsellinico 295
– ortosilicico 32
– ossalico 224, 305
– pectico 407
– pentasilicico 32
– p-idrossicinnamico
– piruvico 295, 394, 395, 396, 397, 417
– poligalatturonico 407
– propionico 405
– protocatechico 295, 409
– protocetrarico 36
– scichimico 295
– solfidrico 18, 226, 232, 260, 269, 415, 429
– solforico 33, 34, 46, 65, 429
– solforoso 33, 34
– succinico 305
– tartarico 305
– tetrasilicico 32
– triidrossibenzoico 295
– usnico 36
– vanillico 409
acqua 9, 10, 17, 26, 30, 39, 55, 181, 225, 235, 392
– allo stato solido 42– ammissibile 249
– angolare 125
– buona 249
Fiume Francesco 462
– capillare 133, 135, 136, 270
– corrente 26, 39
– del terreno 237
– di adesione capillare 125
– di capillarità 125, 144
– di colatura 252
– di costituzione 125
– di cristallizzazione 125
– di dilavamento 26
– di drenaggio 64, 233, 234, 270
– di falda 66
– di imbibizione
– – capillare 150
– – micellare 125
– di irrigazione 56, 145, 233 274, 424
– di membrana 125
– di percolazione 101, 120, 121, 125, 149, 194
– di pioggia 149, 152, 230, 237, 274
– di ruscellamento 75, 154, 258, 261
– di scorrimento 155, 230
– di sorgente 252
– disponibile per le piante 151
– dura 229, 230, 245, 262
– eccellente 249
– freatica 125, 230, 252
– gravitazionale 110, 115, 120, 121, 125, 126, 133, 135, 149, 150, 194, 270– igroscopica 125, 133, 135, 140, 147, 149
– incerta 249– industriale 252– interstiziale 125– inutilizzabile 249– libera 125
– marina 26, 41, 259
– meteorica 26, 56, 63, 64, 245, 259, 424
– molle 247
– naturale 245
– non disponibile per le piante 151
463 Il terreno
– reflua 251, 252
– salina 247
– salmastra 65, 245
– sotterranea 245, 246
– superficiale 245, 246
Acrinomyces 416
Acrostalagmus 342
Actinomyces 290
– acidophilus 290
Actinomycetaceae 290
actinomiceti 281, 282, 289, 295, 312,
317, 405, 407, 429
Actinomycetales 290
Actinophrys 335
addome 354, 364
adesione del terreno 107, 117, 118, 187, 194
adesività 107, 117, 118
– per il ferro 118
– per il legno 118
adsorbimento 67, 83, 200, 212, 217, 218, 259, 268, 424
– anionico 217, 235
– chimico 218, 219
– fisico 218
– negativo 218
aerazione del terreno 107, 122, 156, 199, 273, 279, 425
aerosol 230, 259
Aërobacter 312
afidi 356
Afrocampa 368
agenti biologici 35agglomerati 186
aggregati 86, 108, 109, 115, 186, 189, 191, 192, 193, 195, 196, 197, 287, 288, 356
– a faccia superiore poligonale 191
– a margine frastagliato 191
– a struttura lamellare 191
Fiume Francesco 464
– cordoniformi 191
– poliedrici 191
agricoltura
– estensiva 11
– intensiva 11
Agriolimax agrestis 349
Agriotes 370
Agrobacterium 284, 312, 422
Agroecosistema 387, 389
Agromyzidae 369
albedo 158, 165
albite 261
albumina 415
alcali 65
Alcaligenes 422
alcalinità 233, 234
– del terreno 65, 222
alcalinizzazione 232, 233
– costituzionale 232
alcool 394
– coniferilico 295, 409
– cumarilico 295, 409
– etilico 405
– metilico 407
– sinapilico 295, 409
aldosi 394
algalizzazione 306
alghe 28, 35, 36, 202, 301, 333, 338, 346, 350, 356, 367, 384, 385, 387, 428
– azotofissatrici 303
– azzurre 35, 301, 302, 333
– brune 302
– giallo-verdi 302
– lichenizzanti 35
– simili a protozoi 302
– unicellulari 333
465 Il terreno
– verdi 35, 301, 307
Alicorhagia fragilis 358
alleloceli 338
AllocampaAllogromia 335
Allolobophora
– caliginosa 350
– terrestris 350
allumina 63, 202
alluminio 24, 34, 85, 219, 222, 224, 225, 226, 228, 229, 269
allumogelo 31
alluvionamento 54
alluvioni
– di delta 40
– di inondazione 40
Alnus 416
Alternaria 296, 297, 298
amebe 346
ameboflagellati 334, 335
ametaboli 368
amido 394, 400, 401
– di mais 415
– di patata 415
amilosio 400
amilopectina 400, 401
aminoacidi 203, 224, 259, 289, 305
ammendanti 116
ammoniaca 18, 46, 225, 254, 269, 288, 291, 388, 408, 422, 425
ammonificazione 420ammonio 239
ammoniogeno 421
Amoeba 335
amplificazione genica 319, 326, 328
Anabaena 302, 306, 416
– azollae 304
Fiume Francesco 466
– cylindrica 303, 304, 305
– laxa 304
– oscillarioides 304
Anabaenopsis 303
anaerobiosi facoltativa 424
Anajapyx – mexicanus 368
– vesiculosus 368
analisi
– della fase gassosa 276
– granulometrica 86, 191
– gravimetrica 240
anametabolia 364
anatomia del lombrico 351
anellidi 36, 50, 111, 282, 346, 350, 373
Angiospermae 416
anidride
– carbonica 10, 18, 30, 35, 36, 46, 56, 122, 161, 162, 188, 225, 226, 232, 237, 252, 261, 262, 268, 269, 271, 280, 288, 392, 394, 405, 434
– – dell’aria tellurica 268, 272, 279– – fissata dall’idrosfera 394– – fissata sulla terraferma 394– – marcata 310– di silicio 31, 32,
– solforica 33, 34
– solforosa 33, 34, 259, 309, 427
anidrite 23, 32
anidrobiosi 331
Animalia 333, 337
Anisocampa 368
Annelida 350
anomeri 401
anortite 261
antagonismo ionico 228
anteridio 293
Anthoceros 416
antibiotici 305 341, 427
467 Il terreno
anticrittogamici 68
apatite 30, 261
AphelenchoidesAphelenchus 341
– avenae 342
Aphodius 370
aplanoconidi 293
apotecio 294
apparecchio
– di Appiani 88
– di Atterberg 88, 92, 95– di Fenwick 379
– di Oostenbrink 376, 377
– di Schöne-Kopecki 88
– di Seinhorst 380
apporto di elementi chimici 253appressori 310
Apterygota 364
Aptyctima 356
arabinosio 407
Arachnida 354
aracnidi 281, 383
Araneae 354, 355
araneidi 329, 330
arbuscoli 299
Arcella 335
Archimycetes 313
Archisotoma Besselsi 367
arcosi 22
Arctostaphylos 416
ardesie 24
areale 390
areazione 17
aree di scarico 14
arenarie 10, 21, 23
Fiume Francesco 468
arenili 41
argento 66
argilla 17, 20, 23, 31, 52, 53, 80, 85, 88, 99, 112, 119, 120, 132, 183, 188, 189, 192, 193, 194, 201, 202, 213, 219, 225, 232, 258, 261, 421
argillificazione 31
argilliti 21
argon 162, 269
aria 18, 330
– atmosferica 18, 33, 71, 268, 270, 274, 330
– confinata 268
– tellurica 18, 71, 115, 267, 268, 269, 270, 274, 276, 279, 280, 330
Ariolimax columbianus 349
Arion 349
Armillariella 296, 297
– mellea 297
arsenico 388
Arthrobacter 284, 285, 408
– globiformis 422
Arthrobotrys anchonia 342
Arthropoda 330, 354artropleoni 365
artropodi 346, 354, 373, 387
artrospora 293
– globiformis 285
ascensione capillare 133, 134, 137
asco 293
ascolicheni 35
ascomiceti 35, 307
Ascomycota 292, 293
ascospora 293
asfissia radicale 126
Aspergillus 68, 296, 297, 298, 342, 407, 408
– flavus 422
– sydowi 295
asportazione di elementi chimici 253
469 Il terreno
assetto
– cubico 108
– piramidale 108
assimilabilità del potassio 261
assimilazione del fosfato 432
assorbimento 262
ateluridi 368
atmidometro 146
atmobios 330, 376
atmobiotici 330
atmometro di Livingston 146, 147
atmosfera 9, 111, 427
ATP 226
Atopogale cubana 375
atrazina 69, 70
attacco fungino ai nematodi
– endozoico 342
– esozoico 342
attinofagi 312
attività delle particelle terrose 211attrito del terreno 117
Atypus 354, 355
Aulosira 303
– fertilissima 306
aureola metamorfica 22
austori 310
autotrofismo delle alghe 303
auxine 305
azione dei batteri del terreno 283
Azolla caroliniana 416
azoto 9, 18, 101, 162, 229, 233, 239, 252, 253, 254, 268, 280, 289, 312, 383, 392, 418, 434
– atmosferico 298
– dell’aria tellurica 269
– minerale 56, 386
Fiume Francesco 470
– nitrico 56, 255
– organico 56
Azotobacter 312, 401, 406, 413, 417
– agilis 414
– beijerinckii 414
– chroococcum 414
– insignis 414
– macrocytogenes 414
– vinelandii 414
azotofissazione 413, 414, 415, 416, 417, 418, 419
azotofissatori 312
BBacillariophyceae 302
Bacillus 284, 424
– cereus 401, 408
– cirulans 407
– ellembachensis 421
– macerans 401
– megatherium 421, 430
– – var. phosphaticum 433
– mycoides 421
– subtilis 401, 407, 421
Bacterium prodigiosum 337
banconi 86
bario 127, 213
basalti 20
– trachiti 49
basidio 293
basidiolicheni 35
basidiomiceti 35, 295, 299, 307
Basidiomycota 292, 293
basiodiospora 293
basi di scambio 212
471 Il terreno
basi scambiabili 223
basoidi 104
batteri 35, 110, 188, 189, 202, 281, 282, 290, 295, 302, 312, 317, 333, 336, 338, 350, 352, 385, 405, 428
– aerobi 225, 394, 405, 407, 430
– – obbligati 288
– anaerobi 269, 394, 405, 407, 430
– – emicellulolitici 407
– – facoltativi 288, 424, 429
– – obbligati 288
– autoctoni 287
– autotrofi 424, 429, 430
– azotofissatori 56, 225, 229
– chemiosintetizzanti 429
– eterotrofi 288, 289, 424, 429, 430
– fotosintetici 429, 429
– gram-negativi 289
– gram-positivi 289
– microaerofili 288
– nitricanti 423
– nitrici 423
– nitrificanti 229, 288
– nitrosanti 423
– nitrosi 423
– solfatoriduttori 420
– termofili 405
– zimogeni 287
batterioclorofilla 429
batteriofagi 312, 384
batterioporporina 429
bauxiti 31
Bdellovibrio bacteriovorus 286, 287
Beggiatoaceae 429
Beijerinckia 414
– acida 415
Fiume Francesco 472
– congensis 415
– derxii 415
– fluminensis 415
– indica 415
– lacticogenes 415
– mobilis 415
Belba 357
Berberentulus 364
Bibio 369
Bibionidae 369
bicarbonato 231, 238, 239, 252, 269
– di calcio 30, 37, 188, 229, 239, 246
– di magnesio 246, 247
bilancio
– idrogeologico 250
– salino 250
biocenosi 390
biodiversità 389, 391
biodosaggio 306
biofase del terreno 280, 282
biomassa 11, 12, 317, 422
Biomyxa 335
biosfera 393
biossido di manganese 264
biotecniche 390
biotipi 391
biotite 262
biotopi 11, 390
Bipalium kewense 338
Bivalvia 349
Blanjulus guttulatus 362
Blasia 416
blastospora 293
Bledius 370
blocchi 79
473 Il terreno
Bodo 335, 336
borato 231, 265, 266
boro 262, 265, 305
borosilicati 265
Botrytis 295
Bourletiella hortensis 367
Bradirhizobium 416
brecce 61
bromuri 65
Ccadmio 66, 388
cainite 30
calcare 10, 23, 30, 37, 45, 46, 49, 52, 56, 61, 101, 102, 112, 118, 157, 228, 232, 262– attivo 46, 262
– nummulitico 334
– totale 46
calcarello 63
calce 65, 228
calcedonio 31
calcimetro 46
calcio 18, 23, 56, 127, 157, 195, 197, 213, 216, 218, 219, 229, 231, 234, 238, 239, 255, 261, 262, 263, 311
calcitazione 228, 255, 257, 262, 306
calcite 19, 261
Calomyia 369
calore
– di umettazione 149
– latente 180
– sensibile 169
Calotrix 303
– brevissima 304
– clavata 304
Candida 433
Fiume Francesco 474
campione 81, 317
Campodea 368
– redii 367
Campodella 368
Candida 298
Canthareus aperta 348
cannibalismo 366, 385
caolinite 29, 32, 103, 200, 202
caolinizzazione 31
caolino 31, 132, 201
capacità
– di campo 110, 126, 194, 279
– di evaporazione 107, 140, 145– di ritenuta 121
– di scambio cationico 212, 261
– idrica 107, 125, 199, 202, 420
– – assoluta 125, 126, 127
– – di saturazione 126
– – massima 135, 151
– – relativa 125
– igroscopica 147, 148
– termica 149, 167, 202, 268
capillarità 107, 108, 133, 152
capo 364
cappellaccio 62capside 311
Carabidae 370
carabidi 387
Carabodes 356, 357
caranto 61caratteri dell’acqua 245, 246
– chimici 246
– fisici 245caratteristiche del terreno 16, 106
– biologiche 202
475 Il terreno
– chimiche 202
– dinamiche 15, 106
– fisiche 202
– statiche 14, 16
carboidrati 203, 260, 263
carbonato 45, 53, 64, 238, 246, 261, 262, 269
– di ammonio 255
– di alluminio 34
– di calcio 30, 43, 53, 56, 60, 188, 219, 223, 228, 232, 238, 248
– di magnesio 34, 53, 248
– di manganese 34, 264
– di potassio 31, 65
– di sodio 65, 86, 232, 234
– di titanio 34
carboni fossili 21
carbonificazione 204
carbonio 392, 434
– anomerico 402
carbossimetilcellulosa 407
Carboxydomonas 288
carica elettrica 83, 84, 103, 104
– batterica 283
– dei microrganismi del suolo 316– netta 201
– permanente 201
– variabile 201
Carmovirus 315
carnivori 383
carotaggio 9
Carpoglyphus passularum 359
carte
– geoagronomiche 49
– geolitologiche 44
– geologiche 38, 49
– pedologiche 158
Fiume Francesco 476
Casuarina 416
categorie tassonomiche 333
catena
– alimentare 383
– dei suoli 77
– trofica 360
cationi
– non scambiabili 212
– scambiabili 212, 265
Cavilaria 416
cavità palleale 349
Ceanothus 416
Cecidomidae 360, 369
cefalodio 35
cefalotorace 354
cellotetraosio 404
cellotriosio 404
cellule poliploidi 419
cellulosa 300, 394, 401
– naturale 403
– pura 403
celoma 350
Cellfalcicula 405
Cellvibrio 405
– flavescens 405
– ochraceus 405
– rosea 405
– viridis 405
centopiedi 330
Cepae nemoralis 348
Cephalochordata 374
Cephalosporium 298
Cepheus 357
ceppo 61
Ceratopogonidae 369
477 Il terreno
cerci 367, 368
Cercocarpus 416
Cercomonas 336
cesio 127, 213
Chaetomium 294, 295, 296, 297
Chamobates schutzi 358
chephalon 361
chelanti 263
chelato 263, 265, 266, 267
chelazione 34, 238
Chelicerata 354
chelicerati 354
cheliceri 354
chemioadsorbimento 218
chemisorzione 218
chetosi 394
Chilodon 336
Chilopoda 362, 363
chilopodi 329, 330, 331, 362, 363, 364, 383, 387
chinoni 427
chitina 334, 394, 408
chitobiosio 408
chitosani 408
chitotriosio 408
chlorfenvinphos 67
Chlorella 302
Chlorobacteriaceae 429
Chlorococcales 35
Chlorococcum 302
Chlorophyceae 301
Chordata 374
Chrysochloris asiatica 375
cianobatteri 35, 302, 307, 333, 416
cianofagi 312
cianoficee 302, 303, 312
Fiume Francesco 478
cianuri 66
cicli
– biogeochimici 392
– degli elementi nutritivi 392– della materia vivente 11
ciclo
– dei rotiferi 345
– dell’azoto 412– del carbonio 392
– del fosforo 430, 431, 432, 433, 434
– dello zolfo 426
Cichlonema 342
Cicindela 370
Cicindelidae 370
ciclosilicati 200
ciglia 334
ciliati 331, 334, 336
Ciliophora 334, 335
ciottoli 39, 58, 64, 79, 80
cisteina 259, 427, 429
cisti 331
cistina 259, 427
citocromo 226, 263
citostoma 336
Cladonia
– cristatella 307, 308
– subtenuis 307, 308
Cladosporium 296, 297, 298, 408
– herbarum 294
clamidospora 293
Clathrulina 335
Claviger 370
cleistotecio 294
clorite 32, 44, 201, 262
cloroficee 306
479 Il terreno
clorosi 263
cloruro 64, 219, 230, 231, 262
– di alluminio 34
– di ammonio 46
– di calcio 32, 65
– di magnesio 34, 65
– di manganese 34
– di potassio 65
– di sodio 65, 247
– di titanio 34
Closterium 306Clostridium 407, 413, 414, 417, 430
– acetobutylicum 415
– amylolitycum 401
– aurantium 407
– beijerinckii 415
– butylicum 415
– butyricum 401, 407
– corallinum 407
– felsineum 407, 415
– kluyveri 415
– lactoacetophilum 415
– macerans 407
– madisonii 415
– maymonei 407
– multifermentans 415
– omnivorum 407
– pasteurianum 415
– pectinolyticum 407
– pectinovorum 415
– perfrigens 401
– polymixa 407
– roseum 407
Clythiidae 369
Clytocybe 297
coefficiente
Fiume Francesco 480
– di appassimento 110, 125, 126, 135, 149, 150
– di conducibilità
– – del terreno per l’aria 276, 277
– – termica 181
– di contrazione 27
– di diffusione 271, 272
– – termica 168
– di dilatazione 27
– di torbida 246
– igroscopico 135, 151, 152, 273
coesione 76, 107, 112, 116, 117, 118, 128, 193Coleoptera 370coleotteri 330, 367, 383, 384Collema 416collemboli 68, 282, 330, 331, 356, 365, 366, 367, 384, 385, 386, 387
colloforo 365
colloide 12
colloidi 79, 83, 84, 197, 268, 430
– argillosi 85, 226, 232, 233, 266
– ferro-alluminici 86
– idrofili 84
– idrofobi 84
– liofili 84
– liofobi 84
– minerali 12, 103, 120, 152, 195, 197, 221, 226, 281, 312
– organici 12, 116, 152, 195, 221, 281, 312
– umici 12, 85
Collybia 296, 297
colonie batteriche 85
colonizzazione micorrizica 300
colore 44, 107, 119, 156
Colpidium 335
Colpoda 336
commensalismo 281, 385
Comovirus 315
complesso 263, 267
481 Il terreno
– assorbente 83, 223, 238, 262, 265
– di scambio 71, 227, 253, 260, 261, 262
composizione
– chimica 233, 268
– della crosta terrestre 10
– della popolazione microbica 284
– fase gassosa 268
– della soluzione circolante 238, 239
– fisica del terreno 14, 17
– granulometrica 79, 81, 182, 199, 267
– meccanica 83
– mineralogica 43, 44
composti umici 85, 156, 264, 291, 292
Comptonia 416
concentrazione
– dell’acqua irrigua 247, 251
– della soluzione circolante 238, 239
– ionica 184, 215
– salina 231, 233, 242
conchiglia 349
– dentellata 349
concimi fisiologicamente acidi 222, 229, 257
condizionatori della struttura 116, 188, 189, 196, 197
condizioni
– del terreno 15
– – biologiche 15, 106, 280, 281, 391
– – chimiche 15, 106, 199, 202, 235
– – di abitabilità 202, 267, 284, 389
– – di nutrizione 202, 284
– – fisiche 202
– di fame 318
– di limite di confine 184
conducibilità 179, 241
– elettrica 179, 231, 233, 234, 247
– idrica 199
Fiume Francesco 482
– termica 27, 168, 179, 180, 181, 182, 183, 242
conduttività
– capillare 136
– termica 168, 181, 182, 268
conduzione del calore 169
conglomerato 21, 61, 86
coni
– di detrito 38
– di frana 39
conidiangio 293
conidio 293, 384
conidiofori 293
conoidi
– alluvionali 40
– di deiezione 40
conservazione del suolo 14
consumatori 383
– primari 281, 383, 384
– secondari 281, 383
– terziari 281, 383
consumo di lusso 261
contrazione 107, 119, 127– principale 132
– residuale 132
controllo biologico 390
– dei nematodi 343
– naturale 390
controllo naturale 390
controradiazione dell’atmosfera 166
convezione 169, 181
Coniothyrium 296, 297, 298coprofagi 331
copulazione planogametica 293
coremio 294
Coriaria 416
483 Il terreno
cornubianiti 23
corona 344
corpo nero 159, 160
corrasione 27, 39
correttivi 65, 228, 234
correzione 228, 229, 234, 235, 255, 257, 259, 262, 266
corteccia
– inferiore 309
– superiore 309
Corynebacterium 284, 422
Cosmarium 306
costante
– di dissociazione 128, 220
– dielettrica 243
– solare 161
costipamento 107, 112, 123costituzione del terreno 15, 17, 79, 105, 152
costituenti del suolo – inorganici del suolo 200 – organici del suolo 202 costolone 63
crepacciabilità del terreno 103, 132, 152, 194
Criconema 341
Criconemoides 341
crioclasi 26
criptobiosi 346, 372
criptopori 110
crisocloridi 375
cristalliti 148
cristallizzazione 28crosta 9, 60, 111
– superficiale 102, 143
– terrestre 10, 31, 54, 393
– – continentale 10
crostacei
– copepodi 330
Fiume Francesco 484
– isopodi 330
crostone 60– di irrigazione 63
– di lavorazione 63
Crustacea 354, 361
Cryptodifflugia 335
Cryptomphalus aspersus 348
Cryptophagidae 370
Cryptophagus 370
Cryptostigmata 358
Cteniza ariana 354
Ctenolepisma 368
– lineata 369
Culicoides 369
Curculinidae 370
curvatura dei menischi 134
Curvularia 297, 298
Cyanophyceae 301
Cycadaceae 416
Cylindracheta 371
Cylindrojulius 363
Cylindrospermum 302, 306
– muscicola 303
Cytophaga 405, 408
D2,4 D 69
danni delle alghe 306, 307
deacetilazione 408
debbio 229
DD 67
DDT 68
decompositori 383, 387, 392decomposizione 16, 25, 29, 79, 80, 86, 224, 229, 232, 237, 260, 343, 352, 357, 386,
485 Il terreno
433– di laterizzazione 31
decorazione 321
deflazione 27, 43
deflocculazione 196
deformazione del terreno 112
degradazione 280, 360, 368
– anaerobica delle proteine 421
– degli zuccheri semplici 394– dell’amido 291, 400
– della cellulosa 282, 291, 295, 300, 401
– della chitina 291, 408– della emicellulosa 291, 297, 406
– della lignina 295, 300, 408
– della sostanza organica 422
– delle pectine 407
– delle proteine 422
– dei glucidi 291, 394
– dei pesticidi 72, 291
– microbica 67
Dematiaceae 294
demoecologia 391
denaturazione 324
denitrificazione 254, 424
densità
– degli actinomiceti 290, 291
– degli artropodi 387
– degli organismi viventi 280
– dei batteri 282, 283, 286, 316
– dei lombrichi 352
– dei microfunghi 316
– dei microrganismi 316
– dei protozoi 316, 336, 337
– della pedofauna 331, 332
– delle alghe 303, 316
Fiume Francesco 486
– del terreno 69, 107, 182, 276
– di flusso 184
– media 390
deposizione 21
deserto 17, 28
Desmatierella 295
destrina limite 400
destrine 295, 401, 405
Desulfovibrio desulfuricans 430
Dermaptera 371
dermatteri 371
desossiribosio 394
determinazione
– conduttimetrica 241– con sonda neutronica 242
– della concentrazione di un gas 278– della diffusività 277– della permeabilità 121
– – all’aria 276– tensiometrica 241– termoelettronica 242
detossificazione dei pesticidi 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 298detriti 11, 367
detritivori 331, 356, 384, 385, 387
deuterolicheni 35
deuteromiceti 35, 292, 294
diaginesi 21
diallilsolfuro 260
diametro equivalente 88
diasporo 31
diatomee 302, 306, 338
dicloropropanodicloropropilene 67
dictiopteri 371
Dictyoptera 371
dieldrin 72
487 Il terreno
Difflugia 335
diffusione dei pesticidi 69
diffusività
– del terreno 272, 273, 274, 277
– relativa 277
– termica 168
digossigenina 325
dilavamento 253, 254, 261, 265, 431, 433
dimensioni
– degli acari 356
– degli actinomiceti 290
– degli anellidi 350
– degli animali del suolo 329, 330
– degli isopodi 361
– degli organismi del suolo 281
– dei chilopodi 362
– dei collemboli 365
– dei dipluri 367
– dei diplopodi 362
– dei pori 108, 110, 386
– dei proturi 364
– dei rotiferi 343
– dei virus 312, 315
dimetilsolfuro 260
dimetoato 69
dinamica delle popolazioni 390
dinamometamorfismo 22, 23
diortosilicati 32
Diplopoda 362
diplopodi 329, 330, 362, 364, 387
diplosomita 362
Diplura 367
dipluri 330, 367, 368, 383
Diptera 369
diquat 67
Fiume Francesco 488
discolicheni 35
Discaria 416
discomicete 35
diserbanti 388
disgregazione 16, 25, 26, 35, 36, 79, 80, 102, 236, 260dispersione dei colloidi 107distribuzione
– dei pori 107, 108
– di Helmholtz 213
– di un pesticida 70, 71
disulfoton 69
ditiocarbammati 260
ditteri 330, 356, 367
diuron 70
dolomie 49
dolomite 261
doppio strato elettrico 127, 131, 195
Dryas 416
dune 42
– continentali 42
– costiere 42
– marine 42
durezza 44
– permanente 246
– temporanea 247
– totale 247
EEchiniscus trisetosus 372
ecologia 12, 375, 379, 380, 381, 382
ecoresistenza 390
ecosistema 390, 434
ecotipi 391
Ectobius 371
489 Il terreno
ectomicorriza 299
ectorizosfera 281
edafobi 330
edafofili 330
edafoxeni 330
Edriocampa 368
effetto serra dell’atmosfera 166
Elateridae 370
elateridi 387
Eleagnus 416
elementi tossici dell’acqua 251
ELISA 321, 322, 323
ematite 32, 33, 112, 262
– laminare 76
Erwinia 284
– amylovora 287
– carotovora 407
esame
– della macrofauna 375
– della mesofauna 375
– – con metodi dinamici 375, 376
– – con metodi meccanici 376
esametafosfato sodico 86, 87
escrezione radicale 36, 237, 263
esosi 394, 395
esosmosi 238
espansione 107, 127esposizione 15, 17, 78, 79
essudato radicale 267
estensina 403
estratto della pasta satura 231
estrattore di Macfadyen 376
estrazione dei nematodi 376, 377, 378, 379, 380, 381
eterocisti 303
eterogameti 293
Fiume Francesco 490
euedafici 330
Euglena 306
Euglenophyceae 302
Euglypha 335
Euparypha pisana 348
Eurotium 296, 297
Eurypauropus 363
eutelia 344
evaporabilità 140, 145evaporimetri 146
evapotraspirazione 433
F fabbisogno
– di dilavamento 250
– di lisciviazione 233
– in calce 228
– in gesso 234
fagi 312
falda freatica 63, 110, 125, 177, 194, 230, 233
falde di detrito 38
famiglie
– di batteri del terreno 283
– di virus 314
farina fossile 21
faringe 353
fase
– adsorbita 18, 19
– amorfa 19
– anabolica 280, 427
– catabolica 280, 427, 430
– cristallina 19
– detritica 17
– di vapore 71, 107
491 Il terreno
– fluida
– gassosa 18, 67, 69, 107, 122, 176, 193, 200, 267, 275, 276
– interna del corpo liquido 19
– ionica 19
– liquida 17, 67, 69, 107, 193, 200, 223, 235, 237, 242, 260, 265, 267, 268, 275
– minerale 17
– organica 17
– organizzata 17, 280
– ossidata 19
– ridotta 19
– solida del terreno 17, 107, 200, 223, 235, 237, 267
– vivente 280
fasi dell’amplificazione 327, 328
fattori
– abiotici 390
– biotici 390
fauna del suolo 14, 116, 168, 389
feldspati 22, 31, 32, 156, 202, 261
feldspatoidi 31, 32, 156, 202
Fe-Mo-proteina 416, 417
fenoli 388
fenolossidasi 295
fenomeno carsico 30
fenuron 70
feoficee 306
Fe-proteina 416, 417
ferretto 61, 62
ferridoxina 417, 427
ferro 9, 19, 34, 56, 60, 85, 186, 219, 224, 226, 228, 232, 238, 262, 263, 264, 265, 269, 429
Ferrobacillus 288
fertilità del suolo 13, 67, 106, 239, 267, 306, 337, 420, 421, 430, 434
– biologica 13
– chimica 13, 234
– fisica 13
Fiume Francesco 492
– microbiologica 13
fessurabilità 152fessurazione
– del terreno 103
– lineare 191
fialide 293
fialospora 293
ficolicheni 35
fillosilicati 32, 200, 201, 217
– cloritici 24
Fischerella muscicola 304
fissazione dell’azoto 126, 229, 253, 280, 282, 298, 302, 303, 303, 413
fitness 391
fitofagi 358, 385, 386, 387
fitofagia 387
fitomizi 386, 387
fitosaprofagi 331
fitotossicità 259, 263, 264, 266
fitovirus 312
flagellati 331, 334, 336
flagelli 334
flocculanti 195, 196
flocculazione 83, 84, 85, 86, 191, 195, 196, 216, 229, 233, 430
flottazione 376
fluitazione del detrito 28
flusso
– di diffusione 272
– energetico 387
foliazione 24
Folsomia 366
– quadrioculata 366
Fomes 297
foraminiferi 334
Forficula auricularia 371
forma dei batteri 283, 284
493 Il terreno
formula
– di Oseen 89
– di Stockes 89
forza di
– ascensione capillare 110
– coesione 116, 128
– di Coulomb 213
– gravità 28, 38, 120, 193, 194, 193
fosfato 219, 227, 229, 238, 239, 246, 255, 262, 432, 433
– bicalcico 227, 257, 258
– di alluminio 34, 238, 255
– di ferro 255, 258
– di inositolo 432
– di magnesio 34
– di manganese 34, 264
– di titanio 34
– ferrico 238, 258
– monocalcico 227, 257, 258
– tricalcico 219, 227, 238, 257, 258
fosforo 18, 56, 233, 255, 258, 298, 299, 300, 301, 434
– radioattivo 300, 325
fosforiti 21, 229
fotodegradazione dei pesticidi 72
fotosintesi 262, 392, 393
Friesea 366
– claviseta 366
fruttosio 394
fulcri 294
fumiganti 68, 343
funghi 28, 35, 36, 68, 202, 281, 282, 290, 292, 312, 313, 317, 337, 352, 356, 358, 366, 384, 385, 387, 401, 405, 407, 408, 428, 429
– aerobi 394, 405
– anaerobi 394
– cellulolitici 295
– emicellulolitici 297
Fiume Francesco 494
– endozoici 343
– esozoici 343
– eterotallici 293
– eucarpici 292
– olocarpici 292
– omotallici 293
– pectinolitici 297, 408
– termofili 405
Fungi 333
– imperfecti 292
fungicidi 68, 388
fungivori 384, 385
funzione 13
– di abitabilità 13, 199, 200, 391
– di nutrizione 13, 199, 200, 391
– ecologica 13, 14, 391
Fusarium 238, 296, 297, 342
G galattosammina 311
galattosidi 36
Gallionella 288
Galumna 356
gametangi 293
gamia 293
gas
– dell’acqua 252
– nobili 18, 268, 269
gasteropodi 111, 383
Gastrotricha 346
gastrotrichi 108, 329, 346gelatina 415
generi
– di batteri del terreno 283
495 Il terreno
– di funghi del terreno 296, 297
genoma
– bipartito 311
– monocistronico 311
– monopartito 311
– policistronico 311
– tripartito 311
Geococcus 335
geofagi 331
Geonemertes 338
– dendyi 338
Geophilus 363
geosmina 292
gesso 23, 32, 52, 53, 231, 234, 241, 255, 259, 261
ghiaccio 26
ghiaia 58, 64, 79, 80
ghiaie 39
ghiaino 53
ghiandole calcifere 351
giacitura 15, 17, 72, 73, 74, 75, 76, 77Gimnospermae 416Glicerolo 346Glicolisi 295, 395, 432Gliotossina 427Globina 417Globodera rostochiensis 341Gloeothrichia echinulata 304Glomeris maculata 362, 363Glomeruli 109, 192, 195Glucosamina 311, 408glucosidi solforati 260glucosio 295, 311, 395, 396, 401, 408glutatione 259Glycyphagus domesticus 359gneis 24
goethite 32, 157, 262
gonfolite 61
Gonostomum 335, 336
gozzo 353
Gracilacus 341
Fiume Francesco 496
gradazione 391
gradiente
– di potenziale 184
– – di calore 184
– geotermico 159
grado di saturazione in basi 212
granati 32
granito 10, 19, 49
granulometria 80, 88, 94, 99, 137, 191, 233, 236, 261, 269
Graphis 36
griglie di lettura 311
grovacche 22
grumi 192
gruppi della pedofauna 333
gruppo
– ecologico 289
– fisiologico 289
Gunnera 416
Gryllotalpa 371
Gryllus 371
H Habrobunus 355
Haematopota 369
Halteria 335, 336
Hantzschia 302
Hapalosiphon fontinalis 304
Haplocampa 368
Harposporium 342
Helicella
– pyramidata 348
– variabilis 348
Helicogena lucorum 348
Helicoma 295
497 Il terreno
Helminthosporium 296, 297
Hemicriconemoides 341
Hemanniella 357
Hendersonula toruloidea 295
Heterodera schachtii 341
Heteromitus 336
Hippophaë 416
Homoptera 371
Humicola 297, 342
humus 103, 112, 116, 188, 195, 202, 210, 211, 280, 291, 352, 358, 365, 393, 409, 421
– mor 352
– mull 352, 354
Hypoxylon 297
hydrobios 330
Hydrodictyon utriculatum 306
Hyphales 294
Hypochtonius rufulus 357
Hypogastrura – armata 366
– manubrialis 366
– purpurescens 366
Hypoxylon 297
Hypsibius scoticus 372
K Klebsiella 414 – pneumoniae 417
– rubiacearum 416
I Iapyx solifugus 367, 368
ibridazione
– a macchia 324
– molecolare 319, 323, 324
Fiume Francesco 498
idrargillite 31
idrobiotici 330
idrocarburi 291
idrometeora 26
idromiche 216, 260
idrossido 30, 217, 246
– di alluminio 31, 86, 104, 196, 201, 217, 266
– di calcio 63, 228
– di ferro 31, 86, 103, 104, 196, 201, 217, 266
– di silicio 32, 201
– di titanio 201
– ferrico 33, 202
– manganese 103, 201
idrossilammina 225, 422, 425
ife fungine 110, 292, 294, 309, 356, 384, 386
igrometri 147
igroscopicità 107, 147, 152illite 29, 34, 103, 128, 216, 260
imbibizione dei colloidi 119
imbuto Baermann 378
imenio ascoforo 294
impedenza di diffusione 273
inclinazione del terreno 76, 77, 143
indicatori biologici 306
indice
– di plasticità 120
– di stabilità di struttura 236
infiltrazione dell’acqua 120, 235, 236
influenze sulla pedofauna 387, 388
ingluvie 353
inoculazione delle micorrize 301
inosilicati 32, 200
inositolo 432
Inoviridae 312
inquinamento 247, 259, 309
499 Il terreno
– microbico 252
inquinanti 246
Insecta 362
Insectivora 375
insetti 36, 50, 108, 202, 281, 282, 298, 312, 329, 383, 386
– apterigoti 330, 364
– eterometaboli 364
– olometaboli 364
– pterigoti 330
– stafilinidi 356
insetticidi 68, 388
insettivori 329, 330, 383
insolubilizzazione 228, 233, 237, 258
interazioni
– dipolo-dipolo 67
– ione-dipolo 67
– tra doppi strati 129
interventi antropici 387, 388,389, 390
invertebrati 68, 366, 367
irraggiamento 181
irrigazione
– a goccia 251
– a pioggia 71, 251
– a solchi 71, 252
– per aspersione 251
– per immersione 251
– per infiltrazione laterale 251
– per scorrimento 251
– per sommersione 251
irudinei 330
ISEM 321
isogametangi 293
isogameti 293
isolichenina 36
Isopoda 361
Fiume Francesco 500
isopodi 329, 331, 361
– oniscoidei 361
Isoptera 371
Isotomurus palustris 366, 367
isotopi 317
isotteri 370
isteresi 149
L Laccaria laccata 297
lamelle argillose 187
Lampyridae 370
Lampyris 370
langar 159
lateriti 17, 31
Latrodectus 354
lattato di calcio 415
lave 20
lavorazione del terreno 72
Lecideaceae 36
legami
– a ponte di idrogeno 67, 68, 176, 187, 188
– idrofobici 67
– ionici 187, 188
– Van der Waals-London, 67, 68, 176, 187, 188
legge
– dell’azione di massa 128
– dello spostamento di Wien 160, 166
– di Coulomb 243
– di Dalton 146, 271, 272
– di Fick 271, 272
– di Guldberg e Waage 128
– di Rayleigh 161
– di Stefan 160, 166
501 Il terreno
– di Stockes 88, 91
– di zonalità 16
Leistus 370
lepidotrichi 368
Lepisma
– saccharina 368
levante 78
levigatori 87
– a circolazione 87, 96– Appiani 94– a sedimentazione 87, 92– a velocità di caduta 87
– di Schöne 96, 97
– di Schöne-Kopecki 97, 98, 99
levigazione 44, 87, 90
Liacarus 357
licheni 28, 35, 36, 30, 302, 307, 356, 372, 416
lichenina 36
lieviti 282, 337
– fototrofi 383
– vegetali 202
Oribotridia 357
origine del terreno 14, 17, 19, 43, 49, 102orizzonte 168, 186, 196
– di transizione 51– eluviale 51– illuviale 51, 60
– organico 53
– tessiturale 17
– umifero superficiale 50, 186
orizzonti 17, 50, 261
– sepolti 53
– impermeabili 120
orneblende 24
oro 66
Fiume Francesco 502
Orthezia 371
Orthoptera 371
ortoclasio 31
ortosilicati 32
ortosilicato acido di potassio 31
ortotteri 371
Oryctopus prodigiosus 371
Oryzorictes 375
Oscillatoria 302, 306
ossalato di ammonio 46
ossidazione 265, 427
– biologica 225, 226
– – dell’ammoniaca 422
– chimica 226
ossido 30, 83, 86, 246
– di alluminio 31, 83, 86, 201, 266
– di azoto 226, 253
– di carbonio 288
– di ferro magnetico 186
– di manganese 201, 264
– di silicio 31, 32, 201
– titanio 201
– ferrico 33, 156, 157, 186
– ferroso 33, 83, 86, 157, 201, 266
ossidoriduzione 263
ossigeno 9, 10, 18, 30, 31, 33, 64, 122, 162, 252, 268, 269, 280, 305, 330, 392, 393, 429
– dell’aria tellurica 269, 272, 279, 330
superdecremento 391
superficie
– di livello 64
– idrostatica 64
suscettività magnetica 185
Symphila 362
Symphylurinus – Grassii 368
503 Il terreno
– Occidentalis 368
– Swani 368
Syritta 369
Syrphidae 369
T Tabanidae 369
talco 32, 44, 200
tallofite 301
talpa 383
– dell’America
– – occidentale 375
– – orientale 375
– dorata del Capo 375
Talpa – caeca 374
– cieca 374
– europaea 374
– romana 374
talpidi 375
taq polimerasi 327
Tardigrada 372
tardigradi 329, 330, 331, 346, 383
tasso 63
tectosilicati 29, 32
tassello 61
TDR 243tecnica
– CP-MASS 209
– delle sezioni sottili 44
– FT-NMR 209
tecniche micromorfometriche 113
Tectiviridae 312
Fiume Francesco 504
Teleschistes perforata 307, 308
Telmatoscopus 369
telson 364
tempera 119, 132, 197
temperatura
– dell’acqua irrigua 245
– del terreno 27, 107, 119, 158tempi
– di levigazione 91, 92
– percorrenza 99
– di sedimentazione 89
tenacità 112
tenrecidi 375
Tenrec ecaudatus 375
tensiometro 177, 241, 275
tensiostato 179
teorema di Gibbs 211
termiti 370
termitofili 368
terra 9– fina 80, 83, 87
– franca 102
terremare 37
terre rosse 30, 43, 55, 229
terreni 9, 10, 54
– accidentati 75
– accumulazione 37
– acidi 221, 223, 227, 228, 229, 261, 265, 300, 301, 306, 405
– a grana fine 102
– a grana grossa 100
– agrari 9, 11, 12, 13, 17, 19, 118, 128, 169, 191, 192, 258, 280, 282
– alcalini 221, 230, 231, 257, 430
– – degradati 157, 191
– – sodici 191, 196
– alloctoni 37, 38, 55
505 Il terreno
– alluvionali 39, 40, 48, 55, 58, 64
– argillo-sabbiosi 104
– argillosi 67, 76, 100, 103, 110, 113, 115, 116, 117, 118, 122, 126, 128, 132, 135, 152, 156, 182, 191, 194, 216, 233, 262, 267, 279, 430
– argilloso-marnosi 360– a roccia
– – affiorante 55
– – nuda 55
– a scheletro prevalente 100, 101, 116– asfittici 269– autoctoni 37, 48, 55, 57
– a zollette 192
– calcarei 86, 234, 255, 257, 261
– calciocarenti 306
– ciottolosi 100
– colluviali 38, 48
– criptolitocromici 157
– declivi 229
– di bosco 37, 229
– diluviali 42
– di medio impasto 102
– di trasporto 38
– dolomitici 261
– dunosi 42
– eolici 42, 55, 58
– ferrettizzati 229
– ferruginosi 112
– gessosi 261
– ghiaioso 100
– glaciali 42
– granitici 223
– grumosi 192
– inclinati 74
– incolti 202
– in posto 37
– in tempera 110
– lacustri 202
Fiume Francesco 506
– leggeri 115, 120
– limo-argillosi 104, 126, 269
– limosi 100, 102, 115, 132, 137
– limo-sabbioso 113
– litocromici 157
– mal strutturati 115
– marini 230
– marnosi 261
– mediamente profondi 55
– mezzano 102
– morenici 42
– naturali 11
– neutri 221, 239, 258
– ondulati 74
– organici 100, 113, 156, 182
– paludosi 204
– palustri 157
– parautoctoni 37, 48, 55
– peracidi 221
– peralcalini 221
– pesanti 115, 430
– pianeggianti 74
– piani 74, 79
– pietrosi 100– piroclastici 39
– plagioclasici 261
– podzolici 157
– polverulenti 192
– poveri 229
– profondi 55
– profondissimi 55
– residuali 37
– rigonfiabili 277
– sabbiosi 100, 101, 102, 110, 113, 115, 117, 120, 122, 126, 132, 135, 137, 154, 156, 182, 193, 216, 233, 236, 258, 261, 262, 267, 279, 360
– sabbioso-limosi 104
– – marnosi 360
507 Il terreno
– salini 230, 231, 232, 260
– salsi 230, 247
– sconvolti 75
– secchi 135, 140
– silicei 223
– sodico 230
– sommersi 204, 258
– subacidi 221, 229, 258
– subalcalini 221, 239, 258
– superficiali 55
– torbosi 37, 82, 132, 202, 229
– tormentati 75
– umiferi 100
– vulcanici 223, 229
– – rimaneggiati 48
– zollosi 192
tessitura del terreno 105, 115, 261, 386
Tetramita 335, 336
Tetranychus 359tettosilicati 200
Theliphonida 354
Thereva 369
Therevidae 369
Thermobia domestica 368
Thermus acquaticus 327
Thiobacillus – denitrificans 424, 429
– ferroxidans 429
– novellus 429
– thioparus 429
– thioxidans 429
Thiobacteriaceae 429
Thiorhodaceae 429
Thysanoptera 371
tiamina 427
Fiume Francesco 508
tiflosole 353
tiocianati 260
Tipula 369
Tipulidae 369
Tisanura 364
tisanotteri 371
tisanuri 331, 368, 369
titolo 259
Tolypotrix 303
– tenuis 306
Tombusviridae 313, 314, 315
Tombusvirus 315
Tomocerus 366
toporagno 375, 383
– comune 375
– d’acqua 375
torace 364
torbe 53, 143
torbidezza dell’acqua 245
torbidità specifica 246
torbiere 37, 56
torbificazione 204, 229
tormaline 32, 265
tossicità 65, 225, 228, 265
Trachelomonas 306
tramontana 78
trappola a caduta 375
trascrittasi inversa 328
trasmissione dei virus 312
trasporto
– dei pesticidi 69, 70, 71, 275
– eolico 230
trealosio 346
Trebouxia 307
Trentepohlia 307
509 Il terreno
Trentepohliales 35
triangolo della tessitura 104
triazine 67, 68
triazoli 67
Trichoderma 68, 295, 296, 297, 342, 407
Trichodorus 313, 341
trifluralin 69
Trilobita 354
triosi 394
triptofano 419
Tritocampa 368
Trochosa singoriensis 354
trofismo dei batteri del terreno 283
Trogula 355
Troglocampa 368
Tuberculariaceae 294
tubercoli radicali 413, 415, 416 418
Tullbergia 366
– quadrispina 366
Tunicata 374
turbellari 329, 330, 383
Turbellaria 338
Tylenchorynchus 341
Tyrophagus putrescentiae 359, 360
U ubichinone 408
Ulothrix 302
ultramicrovuoti 110
umificazione 229, 238, 292, 318, 331, 352, 410
Uniramia 354, 363, 408
uranio 66
Urochordata 374
Uropygi 354, 355
Fiume Francesco 510
V Vachonium 354, 355
valutazione della quantità d’acqua 239vanillina 295, 409
vapore acqueo 18, 161, 273
vasca evaporimetrica 145
velocità
– di caduta 89, 97, 98, 99
– di infiltrazione 236
– di un ciclo biogeochimico 392
vento 27, 42, 55, 141, 274
ventriglio 344
verde antico 61
vermi 202
– di terra 352
– metamerici 350
– segmentati 350
vermiculite 34, 201, 216, 260
Vertebrata 374
Verticillium 296, 297, 342
Verrucariaceae 36
vertebrati 68, 331
vescicole 299
via del pentoso fosfato 397, 398, 399, 400
virioni 310
viroidi 281, 282, 315, 316
virus 281, 282, 310
viscosità dell’aria tellurica 277
vitamine 259, 427
vivianite 262
volatilizzazione 254, 260
– dei pesticidi 70, 72
volume del terreno 112, 114
511 Il terreno
– apparente 114
– totale 114
Vorticella 335, 336
X Xanthomonas 284
Xantophyceae 302
Xilano 407
xilosio 407
Xiphinema 313, 341
Xylaria 297
Z
zolfo 9, 56, 65, 226, 259, 260, 288, 289, 426, 427, 428, 429, 430, 434
zolle 192
zollette 192
zona
– di capillarità 134
– sinecologica ottimale 391
zoofagi 331
zoosaprofagi 331
zoospore 293
Zoraptera 371
zoratteri 371
Zorotypus 371
zuccheri 203, 300, 352, 394
Zygomycota 292
Zygorhynchus 296, 297