possibilità economiche per i nostri figli

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E-BOOK Possibilità economiche per i nostri figlidi Ernesto HofmannSIGLA CONVIVIUM 2011

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Page 1: Possibilità economiche per i nostri figli

ernesto hofmann2011

Page 2: Possibilità economiche per i nostri figli

premessa

Per comprendere la natura dell’attuale crisi economica riteniamo che occorra

inquadrarla in una cornice di riferimento che sia la più ampia possibile.

Ciò è necessario perchè pensiamo che questa crisi dipenda dal concorso e

dall’interazione delle quattro fondamentali componenti dell’odierna società umana

che sono la religione, la tecnologia, la politica e l’economia. Per ciascuna di esse

cercheremo di individuarne l’etimologia al fine di averne ben chiara la natura.

Si vedrà anche come ognuna di esse presenti un’intima contraddizione che

indica la simultanea presenza di due realtà conflittuali. La profondità dell’attuale

crisi discende secondo noi anche dall’intersezione di queste quattro contraddizioni.

La premessa che segueè quanto mai semplificata e il suo scopo è

esclusivamente quello di essere, oltre che uno stimolo alla riflessione personale,

un’introduzione alla successiva più approfondita analisi.

- la religione

Tra le innumerevoli etimologie della parola religione ci sembra che la più

significativa (soprattutto in termini linguistici) sia quella che Cicerone dette ne La

natura divina (Libro II, 72) : “…coloro che trascorrevano le intere giornate a pregare e a

far sacrifici perché i loro figli sopravvivessero, perché fossero cioè dei « superstiti », furono

detti « superstiziosi »,... coloro invece che riconsideravano e, per così dire, « rileggevano »

tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo rélegere così come elegantes deriva

da eligere, diligentes da diligere e intellegentes da intellegere…”. Di cosa si occupa la religione? Dell’individuo e del ruolo di quest’ultimo nel

mondo nel quale vive. La religione intende trascendere le contingenze della vita per

dare all’uomo una dimensione meno soggetta alla casualità della vita stessa. La

religione, e il senso del sacro, sono probabilmente connaturati nella stessa natura

umana, indipendentemente dal fatto che si creda o meno, nel senso banale o riduttivo

che può avere quest’ultima frase. La finalità della religione è il governo delle anime.

La società Occidentale con l’avvento del Cristianesimo ha sviluppato un

senso di unicità della persona umana che conferisce a quest’ultima un valore

originale e inalienabile: la libertà individuale.

Ma nel mondo c’è il male e ovunque si guardi si riconosce la sofferenza

umana. L’unicità del dio cristiano è proprio nell’essersi fatto persona e quindi aver

accettato anche per sè la sofferenza e la morte.

Nella religione Cristiana c’è tuttavia una sottile contraddizione: se l’uomo è

libero è libero anche di peccare. E l’uomo tende a peccare. Ma perchè ?

Il mondo protestante, nato dopo lo scisma di Lutero e Calvino, ha risposto che

la causa della fragilità umana è soprattutto la miseria. Bisogna lottare contro la

miseria e creare una forte economia per migliorare la vita e peccare di meno.

Poco alla volta l’economia e la religione hanno cominciato così a convergere

verso un comune sentire e non ci può quindi stupire che siano apparsi economisti

quali Adam Smith, John Mill, Karl Marx e Robert Owen, che in un certo senso

sembravano anch’essi dei profeti.

- la tecnologia

Tecnologia è una parola nata dalla fusione di due termini: technè e loghia.

Technè è una parola sfuggente, usata già da Eschilo nel Prometeo incatenato (254 e

Page 3: Possibilità economiche per i nostri figli

segg.) :” E oltre a questo ho dato loro il fuoco,.., dal quale essi hanno imparato molte

tecniche… (pollas technas)”. Tecnica vuol dire genericamente un insieme di regole da applicare

nell’esercizio di un’attività intellettiva o manuale. Ma, come esiste una “loghia”

dell’anima (la psicologia), o una “loghia” della società (la sociologia) serve una

“loghia” della technè: una tecnologia.

La tecnologia, poi, non è sempre la figlia della scienza, come talora si è

sostenuto, ma anzi storicamente l’ha spesso preceduta. L’uomo ha imparato a fare

ancor prima di comprendere e ha così costruito la macchina a vapore prima ancora

di comprendere i principi della termodinamica, dando così inizio alla Rivoluzione

Industriale.

Di cosa si occupa la tecnologia? Di eliminare la fatica dell’uomo. In questo

senso, e solo in questo, la finalità della tecnologia è il progresso, per quello che questo

termine così ambiguo vuol significare.

Ma anche qui si nasconde una contraddizione. Infatti per utilizzare le machine,

quali che esse siano, bisogna saperle usare. La macchina riduce la fatica e apre nuove

prospettive. Ma, in questo passaggio da un mondo naturale a un mondo artificiale a

chi non ha le machine, o a chi non le sa sa usarle, non resta quasi nulla da poter

offrire. La tecnologia che doveva creare progresso quindi può in realtà creare

forti disuguaglianze. Pochi ben preparati saranno sempre più efficienti (e ricchi)

mentre una moltitudine di persone non qualificate dovrà lottare per sopravvivere.

- la politica

La prima definizione di politica risale ad Aristotele che nella Politica scrisse

(1253 a) “…da queste considerazioni è evidente che lo Stato è un prodotto naturale e che

l’uomo per natura è un essere socievole (politicon zoon)”.

Ma Platone era stato persino più sottile di Aristotele e nel Protagora (321 E)

aveva detto :”All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma

non la virtù politica. Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile

accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. …la perizia pratica

era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata… Zeus dunque, temendo che

la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e

giustizia…”. La politica si occupa quindi del governo degli uomini e a questo scopo emana

regole e norme e pianifica strategie. La sua finalità è quindi proprio quello di

favorire la comunità alla quale inerisce. Dovrebbe quindi proteggere i singoli,

alleviare le diseguaglianze, favorire i più deboli, e in sostanza assicurare il benessere

generale della comunità.

Ma anche nella politica è latente una contraddizione che in un certo senso

ricorda quella della religione. Lo stato che pensa solo in termini di se stesso finisce

col diventare autoritario, mentre un eccesso di liberismo può sfociare nell’anarchia.

E nella politica può essere insita una volontà di potenza che porta una

comunità a voler prevalere su altre con conseguenze in generale deleterie.

- l’economia

Ancora Aristotele ci fornisce una definizione di economia nel suo Trattato

sull’economia (1343 a): “…L’amministrazione domestica (oikovomichè) e la politica

differiscono non solo quanto famiglia e stato…”; da cui si comprende che egli aveva in

Page 4: Possibilità economiche per i nostri figli

mente l’utilizzo di scarse risorse, mentre successivamente il termine si è esteso a

un’intera comunità, per quanto grande sia quest’ultima.

L’economia si occupa quindi dell’amministrazione delle risorse di una

comunità e la sua finalità è proprio quella di mantenere o accrescere il benessere di

quella comunità.

Fin quando la comunità umana si è evoluta più o meno in accordo con i ritmi e

i meccanismi della natura c’è stato un certo equilibrio tra economia e società.

Ma da un paio di secoli sembra essere apparsa un’ulteriore contraddizione.

Come ha per primo osservato Karl Polanyi, con la Rivoluzione Industriale e la

cosiddetta economia di mercato (La grande trasformazione, Capitolo V): "…Non è più

l’economia a essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali a essere inseriti

nel sistema economico…. La società deve essere formata in modo da permettere a questo

sistema di funzionare secondo le proprie leggi". In sostanza dopo la Rivoluzione Industriale, secondo Polanyi, non è l’uomo

che fa l’economia, ma è quest’ultima che determina il comportamento dell’uomo.

- l’intersezione delle contraddizioni e l’attuale crisi

Si è detto quindi che in ciascuna delle quattro fondamentali componenti

dell’attuale società umana è insita una sostanziale contraddizione.

A ciò occorre aggiungere tre fenomeni concorrenti che sono la

sovrappopolazione, l’invecchiamento e la necessità di energia, fenomeni che tuttavia

non hanno realmente concorso all’attuale crisi economica. Quest’ultima sembra

piuttosto determinata, in estrema sintesi, sia da una confusione di ruoli sia da attriti

tra le quattro componenti.

Da alcuni decenni la cosiddetta tettonica delle placche è il modello su cui si

fonda la dinamica della Terra, modello che sembra in grado di spiegare, in maniera

integrata e con conclusioni interdisciplinari, la natura dei terremoti.

Con un’azzardata metafora, proprio quella del terremoto, si può forse intuire

che l’attuale crisi economica sia dovuta anch’essa alle collisioni tra le componenti

della società, quasi anch’esse fossero delle placche tettoniche.

C’è stato innanzitutto uno scontro tra le placche della tecnologia e

dell’economia, soprattutto negli USA. La tecnologia (e con essa la globalizzazione)

ha cambiato le carte in tavola distruggendo posti di lavoro: milioni di lavoratori dei

paesi industralizzati si sono dovuti mettere in competizione con un numero molto

maggiore di lavoratori dei paesi emergenti poco pagati e senza diritti. Ciò ha finito per

creare forti disuguaglianze economiche in paesi come USA e UK con

l’impoverimento di un’ampia fascia di lavoratori.

Allora è subentrato un ulteriore attrito tra la placca dell’ economia e quella

della politica. Negli USA e in UK i politici, invece di migliorare la competitività

industriale delle loro nazioni, hanno creduto che la soluzione fosse quella di fornire

denaro a basso costo a chi (pur non potendolo fare) volesse acquistare una casa: cioè

patrimonio a debito contro reddito.

E il denaro è arrivato sotto forma di obbligazioni finanziare di varia natura,

abilmente costruite intorno ai mutui erogati dalle banche di USA e UK, e acquistate

da cittadini e istituzioni di paesi come la Cina e la Germania dove la decisione politica

era invece quella di puntare al massimo sull’industrializzazione e sull’esportazione,

piuttosto che sui mercati interni, e quindi di creare liquidità da investire.

Page 5: Possibilità economiche per i nostri figli

Come si può facilmente intuire questa confusione di ruolo tra politica ed

economia ha portato a forti contrasti e distorsioni negli equilibri esistenti tra le varie

placche tecnologiche, economiche e politiche.

Il terremoto finanziario del 2008 era quindi prevedibile.

Alcuni ritengono la moneta un non

senso, una semplice convenzione legale,

senz’alcun fondamento in natura, perchè,

cambiato l’accordo tra quelli che se ne

servono, non ha più valore alcuno e non è

più utile per alcuna delle necessità della

vita, e un uomo ricco di denari può spesso

mancare del cibo necessario…

Aristotele, Politica I (A), 9, 1257b

La grande depressione, ovvero la crisi del 1929, viene tuttora considerata la

più grande crisi economica del Novecento e spesso viene usata come termine di

paragone per valutare l’entita delle crisi successive.

Intorno al 1929 la domanda interna americana era fortemente diminuita e una

conseguente crisi di sovrapproduzione iniziò a colpire le principali industrie e le

attività agricole. Dopo diverse settimane di oscillazioni il 24 ottobre 1929 - il

cosiddetto “giovedì nero” - tredici milioni di azioni vennero vendute a prezzi irrisori.

Salvo brevi periodi di ripresa, il ribasso continuò fino all'8 luglio 1932.

Poco prima di questa crisi, nel 1928, il grande economista inglese John

Maynard Keynes aveva parlato di fronte a un gruppo di studenti a Cambridge

affrontando un tema che avrebbe ripreso a Madrid nel 1930, per poi darlo alle stampe

nel 1931 col titolo Possibilità economiche per i nostri nipoti.

Il saggio si apriva con alcune affermazioni che sembravano preludere alla crisi

imminente, ma che sono interessanti anche a fronte dell’attuale crisi economica: “ Negli ultimi tempi ci troviamo a soffrire di una forma particolarmente virulenta di

pessimismo economico. E’ opinione comune, o quasi, che l’enorme progresso economico che

ha segnato l’Ottocento sia finito per sempre; che il rapido miglioramento del tenore di vita

abbia imboccato, almeno in Inghilterra, una parabola discendente; e che per il prossimo

decennio ci si debba aspettare non un incremento, ma un declino della prosperità…. La fase

di assestamento fra un periodo economico e l'altro non è mai indolore. La tecnica ha

progredito talmente in fretta da non consentire un adeguato riassorbimento della forza

lavoro; il miglioramento del tenore di vita è stato persino troppo rapido…”

In realtà le conclusioni del breve discorso di Keynes erano comunque

ottimistiche: “…si tratta di uno scompenso temporaneo. Nel lungo periodo l’umanità è

destinata a risolvere tutti i problemi di natura economica. Mi spingo a prevedere che di qui a

cento anni il tenore di vita nei Paesi avanzati sarà fra le quattro e le otto volte superiore a

quello attuale….”

E’ proprio tale ottimismo che deve far riflettere sull’attuale crisi economica

che forse è ancora più profonda di quella del 1929 perchè quest’ultima è

probabilmente di natura strutturale.

Si è più volte indicata la crisi dei mutui subprime come la causa della crisi

attuale, ma ciò forse non è vero. A nostro parere è come confondere la febbre con la

malattia. I mutui subprime, così come la rapida industrializzazione di India e Cina, la

Page 6: Possibilità economiche per i nostri figli

crescente globalizzazione e la distruzione creativa dei posti di lavoro causata dalla

tecnologia informatica, sono piuttosto manifestazioni che non cause di un

malfunzionamento dell’economia insito nella sua stessa attuale struttura.

In termini molto generali l’economia è quella disciplina che studia la gestione

delle risorse per soddisfare necessità individuali e collettive. In realtà l’economia ha

anche ambizioni previsionali in quanto si propone di pronosticare quali possano

essere in futuro le possibilità della comunità umana che si vale di quel tipo di

economia.

Gli economisti tuttavia tendono, in generale, a occuparsi piuttosto degli

aspetti tecnici, certamente sempre più complessi al crescere delle comunità, che non

degli aspetti sociali e storici di quelle stessa comunità.

L’economia peraltro si evolve come si evolvono le diverse comunità umane, e

quindi per essere compresa deve essere collocata in un contesto evolutivo che possa

aiutare a capire fenomeni che potrebbero risultare di difficile comprensione se

considerati esclusivamente nell’ambito tecnico.

Per individuare la natura dell’attuale crisi economica, le cui dimensioni e i cui

effetti non sono ancora pienamente valutabili, può allora essere utile cercare di capire

come si sia arrivati a fruire, quasi su scala mondiale, di un modello economico ormai

diffuso presso le nazioni più evolute, un modello che in maniera molto semplificata si

può anche definire come capitalistico.

Questo modello, che è oggi ben più complesso di quel capitalismo cui si

riferiva Karl Marx, si è affermato di fatto persino in Russia e Cina, ossia in nazioni

che fino a pochi decenni erano le antesignane di un’economia di tipo comunista.

economia e religione

Sigmund Freud, in un saggio che può essere considerato il suo testamento

spirituale (il disagio della civiltà, 1929), aveva affermato che: ” …il programma del

principio di piacere stabilisce lo scopo dell’esistenza umana… gli uomini tendono alla

felicità, vogliono diventare e rimanere felici”. Ma Freud aggiungeva anche che : ”…la

sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo, destinato a deperire e a disfarsi,…dal

mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili… e infine dalle

nostre relazioni con gli altri uomini”.

In un certo senso Freud accennava al problema del male presente nel mondo,

quasi insito in esso. E una simile convinzione è tipica di molte religioni, e in

particolare del Cristianesimo.

Il male, viene spesso visto secondo una concezione dualistica che fa

discendere bene e male rispettivamente da una divinità buona e da una cattiva.

Persino Platone affermava nelle Leggi che che esistono due anime, una che produce il

bene e l'altra che produce il male:” … ponendo l’anima come causa di tutte le cose si

finisce con l’attribuirle anche la causa del bene e del male… e si tratterà di un’anima sola o

di una pluralità di anime? Ammettiamone almeno due: quella che è operatrice di bene e

quella che, all’opposto, può operare il male” (Leggi, X 896 B-897 C)

Platone peraltro negava che il male derivasse da Dio: la responsabilità dei vizi

umani è interamente degli uomini. Un pensiero simile sarebbe stato riproposto da

sant’Agostino, ma in maniera più complessa rispetto a Platone, perchè Agostino

intuiva le difficoltà che nascono nel voler raccordare la libertà del volere umano con

la prescienza di Dio, con i dogmi della grazia e della predestinazione, e in definitiva

con il rapporto che esiste tra grazia e giustizia.

Page 7: Possibilità economiche per i nostri figli

Il tema verrà ripreso quasi mille anni dopo dal grande poeta John Milton che nel

Paradiso perduto disegnerà un personaggio, Lucifero, che si staglia come una delle

figure più straordinarie della poesia mondiale. Lucifero, l’angelo portatore di luce,

era il più bello degli angeli ma era anche terribilmente orgoglioso. Già Dante lo

aveva così descritto: “S'el fu sì bel com' elli è ora brutto, e contra 'l suo fattore alzò le

ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto “ (Inferno, XXXIV, 34-36)

Il giorno in cui Dio nominò il Figlio suo successore al potere, Lucifero si

ribellò e riuscì a portare via con con sé un terzo degli angeli del Paradiso,

abbandonando quest’ultimo e nascondendosi all’interno della Terra.

Non è questa la sede nella quale affrontare un poema epico nel quale vengono

affrontate sottili questioni teologiche, come il fato, la predestinazione, la Trinità…

Ma il riferimento è significativo perchè il Paradiso Perduto, il peccato

originale e il Redentore sono entità sorprendentemente presenti nei vari modelli

economici che l’ Occidente ha costruito nel corso degli ultimi due secoli.

In un simile schema è insito un meccanismo che dalla colpa originale, causa

del male, cerca il riscatto verso una realtà ultraterrena, il Paradiso, che ricompenserà

gli uomini del male terreno.

L’uomo aveva maturato una simile sensibilità nel corso di alcuni millenni

osservando la realtà della miseria e del lavoro umano. E non è casuale che nella

cacciata dall’Eden Dio dica ad Adamo: “…col sudore del tuo volto mangerai il pane,

finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: infatti sei polvere e polvere

ritornerai ” (Genesi, 3,19).

E non c’è dubbio che l’uomo moderno (per moderno si intenda l’uomo delle

grandi civiltà) si sia evoluto attraverso la comunità sociale e la produzione. Ma le

disuguaglianze dei terreni acquisiti dai singoli, il miglioramento dei mezzi di

produzione, le guerre di vario genere, hanno via via creato ineguaglianze sociali che

alla lunga si sono cristallizzate tanto da generare continue lotte tra gruppi diversi

anche nell’ambito di una stessa comunità.

Dalla schiavitù alla servitù feudale, al lavoro sulla catena di montaggio, si è

così assistito alla perenne presenza di disuguaglianze sociali.

il paradosso della libertà

Il fatto è che fin dall’inizio, l’economia come la religione, è fondata su di un

paradosso che è quello della libertà. Nella religione se l’uomo è completamente libero

è anche libero di fare il male, con conseguenze che ben si possono immaginare.

La religione, concepita come collante sociale, è allora stata fondamentale nel

mutare l’egocentrismo istintivo nell’ altruismo universale per mezzo di norme che

potessero istituzionalizzare il reciproco rispetto tra gli individui di una comunità.

E la religione è stata anche fondamentale per consentire all’uomo di

razionalizzare il suo rapporto con il male, purtroppo così diffuso.

Così per oltre un millennio il Cristianesimo ha plasmato e unificato la

coscienza del mondo occidentale

Poi sono arrivati il Rinascimento italiano, le prime forme di capitale create

dalle nascenti banche italiane, la scienza e alla fine del Settecento l’industria.

In questo stesso periodo il Cristianesimo si è frantumato in due grandi

correnti, quella cattolica e quella protestante, che hanno guardato all’economia in

modo molto diverso.

Page 8: Possibilità economiche per i nostri figli

Nella visione protestante di Lutero e Calvino l’uomo diventa più autonomo

rispetto alla Chiesa e più responsabile individualmente, potendo accedere direttamente

alle Sacre Scritture, ma dovendo anche contribuire in maniera più fattiva alla crescita

economica della comunità cui appartiene.

E questo perchè inizia a farsi strada l’idea che il male discenda dalla miseria e

che l’uomo povero sia più fragile moralmente: se l’economia va meglio anche l’uomo

è più buono.

In sostanza occorre una forte economia per migliorare la vita e peccare di

meno. Poco alla volta l’economia e la religione convergono così verso un comune

sentire e non ci può quindi stupire che appaiano degli economisti che in un certo

senso sembrano anch’essi dei profeti.

i profeti dell’economia

Con Adam Smith, e il suo “Saggio sulla ricchezza delle nazioni”, nasce

probabilmente la scienza economica moderna che viene fondata sostanzialmente su di

un’unica idea: l’apparente contrapposizione di interessi tra i tanti componenti di una

società non genera un conflitto permanente, ma piuttosto si crea e si stabilizza una

una situazione di equilibrio tra i reciproci interessi che genera un vantaggio generale

per la comunità.

Nella visione ottimistica di Adam Smith, l'equilibrio nato dalla

contrapposizione di interessi personali rappresenta una condizione economica

naturale, che può essere peggiorata dall'intervento di uno Stato che voglia

regolamentare l'economia e limitare le libertà di commercio.

Se il mercantilismo seicentesco, figlio delle repubbliche italiane, prevedeva

l’intervento dello Stato, con Adam Smith nasceva un totale liberismo economico.

Ognuno poteva perseguire i propri interessi perchè esisteva una mano invisibile che

regolava la somma dei comportamenti egoistici individuali secondo il più generale

interesse della collettività.

Adam Smith aveva probabilmente derivato la sua mano invisibile dal terzo

atto del Macbeth di Shakespeare, nel quale lo stesso Macbeth esclama :” Vieni notte

che sigilli le palpebre. Fascia il tenero occhio pietoso, e con la mano sanguinaria e invisibile

annulla e fà a pezzi il grande contratto che mi fa impallidire.” Se per un attimo si riflette

sull’attuale situazione economica, nell’ambito di una visione liberista, ci si accorge

che la mano invisibile è veramente sanguinaria, come dice Macbeth!

Pochi decenni dopo la teoria di Smith veniva perfezionata da un altro grande

profeta liberista, John Stuart Mill, che proponeva un’altra metafora di grande

successo: quella del mulino. L’economia è come un grande mulino per il quale

occorrono sia una forza naturale, come l’acqua o il vento, capace di produrre l'energia

necessaria al funzionamento della macchina, sia un meccanismo in grado di

trasformare l’energia stessa in lavoro, e quindi in ricchezza.

L’energia umana presente in una società sarebbe inutile, e potenzialmente

dannosa, se non fosse guidata e trasformata da un meccanismo sociale, determinato

secondo le leggi dell'etica, capace di distribuire questa ricchezza e di trasformarla in

ricchezza sociale.

E all’incirca nello stesso periodo, di fronte ai grandi sacrifici imposti dalla

prima industrializzazione che egli osservava in Inghilterra, il terzo grande profeta

dell’economia, Karl Marx, arrivava ad affermare che il lavoro non è la fonte ma

Page 9: Possibilità economiche per i nostri figli

addirittura la ricchezza stessa. Secondo Marx l’elemento chiave dell’economia era la

merce, ma quale prodotto dell’uomo. La merce non è altro che lavoro umano

cristallizzato, e come tale è il fondamento di ogni economia.

Marx paradossalmente era un vero e proprio profeta cristiano. Credeva nel

progresso, nell’uguaglianza generale, in una società a venire che qualcuno ha

scherzosamente definito il paradiso rosso. Il suo era un vero e proprio universo

religioso in cui il Ggiudizio sarebbe stato rinviato a più tardi.

Marx e il Paradiso in Terra

Lo schema di Marx è abbastanza semplice. Il valore di una merce discende

dalla quantità di lavoro che la produce. Ma se il capitalista riesce a impegnare il

lavoratore più di quanto dovuto quello che acquisisce è un plusvalore che alla lunga

arrichisce il primo e immiserisce il secondo. Il lavoro viene suddiviso mentre la

necessità di nuove macchine industriali richiede ulteriori investimenti che finiscono

col far sì che i piccoli capitalisti vengano assorbiti dai grandi.

I profitti in parte vengono investiti in ulteriori macchine e in parte vanno ad

aumentare la parte stabile del capitale e così ad arricchire i proprietari, e via dicendo.

Alla fine resteranno solo pochi padroni e la classe dei lavoratori si potrà rivoltare

contro di loro.

Sarà possibile allora far nascere una società nella quale capitale e lavoro si

potranno finalmente integrare in un modello superiore e più etico di produzione.

La visione religiosa di Marx è così completa. Il male è nel modello

economico, il redentore che deve soffrire ed essere crocifisso è il proletariato, ma il

paradiso è alle porte.

Marx non giustifica tuttavia la violenza. Anzi afferma con chiarezza che un

fine che abbia bisogno di mezzi ingiusti non è un fine giusto; e la sua protesta contro i

privilegi dei pochi non è affatto ingiustificata. Come i profeti Marx credeva che

l’evoluzione dell’uomo fosse razionale e destinata al bene.

Conosceva Darwin, ma non lo aveva ben compreso. Non si era reso conto

dell’intima aggressività dell’uomo, ossia di ciò che Freud avrebbe indicato come una

delle tre sofferenze dell’uomo. Credere che la storia dell’uomo potesse in breve

tempo diventare razionale e morale è un po’ lo stesso errore che commettevano gli

evangelisti quando promettevano il paradiso a venire in pochi anni.

“In verità vi dico che non passerà questa generazione che tali cose non accadano”

(Marco 13,30); “In verità vi dico che non passerà questa generazione prima che tutto

avvenga” (Matteo 24, 34); “In verità vi dico che qui vi sono taluni i quali non moriranno

prima di aver veduto il regno di Dio” (Luca, 9,26)…

La Storia che, da tedesco qual era, Marx credeva dialettica gli ha finito col

dare torto in diversi modi. Le nazioni nelle quali credeva che il suo modello

economico si sarebbe affermato, e tra queste soprattutto la Germania, si sono rivelate

restie a diventare comuniste. Invece di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che

verranno assassinati, si affermerà un fascista, Adolf Hitler, con un modello economico

nel quale il capitalismo verrà in un certo senso portato agli estremi eccessi perché

esiste un unico capitalista e questo è lo Stato: ein Volk, ein Reich, ein Fuehrer.

Il modello di Marx si affermerà invece in una paese, la Russia, nel quale

proprio la formidabile base religiosa si prestava a una fede rivoluzionaria disposta a

sacrificare l’oggi per un domani a venire. E così piuttosto che il Capitale di Marx il

Page 10: Possibilità economiche per i nostri figli

testo di riferimento sarebbe diventato Stato e Rivoluzione di Lenin. La socializzazione

dei mezzi di produzione sarebbe durata un tempo indeterminato e sarebbe stata una

sparuta classe di dirigenti a guidare l’economia e il popolo socialisti.

Ma in realtà lo stesso modello capitalista si è evoluto perchè il capitalismo ha

imparato a pianificarsi meglio, ha creato società per azioni, ha coinvolto lo Stato, si è

servito dei progressi tecnologici per alleviare la fatica di certe attività, ha fatto nascere

nuovi proprietari e nuove professioni, ha creato reti di imprese grandi e epiccole che

lavorano in sinergia.

dal Capitale al progressismo nordamericano

Intanto negli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento, si affermava impetuosamente

un protestantesimo imprenditoriale che enfatizzava anch’esso una forma di

progresso economico in grado di condurre al paradiso, ma in tutt’altro modo.

Gli economisti nordamericani pensavano che se prevaleva l’idea che il

mercato fosse di per sè dannoso allora si sarebbe generata l’illusione che lo Stato

fosse l’unica soluzione. Ma l’uno e l’altro sono creazioni dell’uomo e quindi

naturalmente imperfette. Anche lo Stato può fallire, con enormi conseguenze quali la

mancanza di libertà, di democrazia , di diritti civili, e l’apparizione di tiranni.

Un’economia liberista offrirebbe invece grandi virtù, quali soprattutto il senso

del rischio e della libertà individuale, e soprattutto della responsabilità.

Gli economisti nordamericani, e tra loro soprattutto Richard T. Ely, si

servirono anche di un'impostazione evoluzionistica per affermare che l'evoluzionismo

liberale, per non cadere nella barbarie del dominio del più forte o nella lotta di classe,

dovesse servirsi di istituzioni razionali affidate a esperti capaci di organizzare in modo

efficiente i singoli comparti della vita sociale.

In tal modo essi si rivelarono assai creativi e svilupparono teorie sociali che,

abbandonando gradualmente il naturalismo biologico a favore di approcci

psicosociologici, si dimostrarono in grado di misurarsi con le trasformazioni in corso

e con gli aspetti potenzialmente pericolosi della lotta politica, ideando riforme

tecnocratiche e solidaristiche che divennero tipiche del liberalismo nordamericano.

Il contributo del più originale economista nordamericano di quel periodo,

Thorstein Veblen, The theory of the leisure class, nacque nel 1899 da un'analisi quasi

darwinistica del susseguirsi delle istituzioni economiche, susseguirsi determinato da

interessi economici che si evolvevano in base ai principî della selezione naturale.

Nasceva in quegli anni anche un sentimento della nazione americana che

nell’immaginario collettivo avrebbe preso il nome di Mito della frontiera e che era

intimamente legato al senso di progressismo protestante.

Il Mito della frontiera rimase per decenni nell'immaginario di molti storici

degli Stati uniti come l’ideale che determinava la formazione di un'identità americana.

Tale mito era popolato di un insieme di ostacoli il cui progressivo superamento

avrebbe contribuito a creare il carattere della Nazione.

Il Mito della frontiera, e non la frontiera stessa, venne così a costituire

l’essenza di una presa di coscienza della propria identità nordamericana. I cowboy e

gli squadroni di cavalleria, la melodia irlandese Garry Owen che sarebbe diventata la

marcia del Settimo cavalleggeri di tanti film, le innumerevoli tribù indiane, la

devozione dei pastori che citavano a memoria la Bibbia, la brutalità dei cacciatori di

pellicce o dei cercatori d'oro, vennero a costituire le diverse realtà sociali dell' Ovest

Page 11: Possibilità economiche per i nostri figli

nordamericano che, ancorchè selvaggio, era tuttora intriso di quella civiltà europea

che idealmente si lasciava alle spalle.

Una scena cinematografica tra tutte potrebbe riassumere questo sentimento.

Nel capolavoro di John Ford, Sentieri selvaggi, che viene considerato oggi il miglior

film western di tutti i tempi, si vede il protagonista Ethan (John Wayne), che ha

appena riportato a casa la giovane Debbie che era stata rapita da una tribù indiana,

allontanarsi da solo verso il deserto della Monument Valley nel controluce di una

porta.

La porta che si chiude alle sue spalle potrebbe rappresentare quasi il simbolo

della separazione fra il mondo civile della casa e il mondo selvaggio che sta al di

fuori, mentre in sottofondo si può udire una maliconica canzone: “A man will search his

heart and soul; Go searchin' way out there; His peace of mind he knows he'll find; But where,

oh Lord, Lord where? Ride away, ride away, ride away”.

In un simile contesto etnie diverse e differenti realtà socioeconomiche si

sarebbero dovute adattare a una reciproca accettazione, creando così una società nella

quale le varie culture si sarebbero amalgamate nel creare la società nordamericana.

dal progressismo alla crisi del 1929

Nel solco di questo pensare, fatto di progressismo tecnico-religioso e di senso

di avventura, l’America costruiva intanto una prodigiosa tecnostruttura fatta di

ferrovie, di elettricità, di grandi imprese come anche di una grande moltitudine di

piccole officine che andavano a creare uno strato sociale intermedio.

Un contributo determinante alla produttività dell’economia nordamericana

venne da un ingegnere, Frederick Winslow Taylor, che osservando attentamente le

attività di dirigenti e operai specializzati ritenne che esistesse un solo modo (one best

way) per compiere una qualsiasi operazione. La teoria di Taylor prevedeva lo studio

accurato dei singoli movimenti del lavoratore per poter ottimizzare il tempo di lavoro:

nasceva la catena di montaggio.

Henry Ford avrebbe fatto proprie le idee di Taylor creando la Ford Motor

Company nella quale, ottimizzando la riduzione dei tempi di lavorazione, avrebbe

prodotto su grande scala la Ford T, un’autovettura economica, semplice e disponibile

solo nel colore nero, e soprattutto la prima ad essere prodotta su grande scala: dal

1908 al 1927 ne furono costruite 15 milioni di esemplari.

Con Ford sembrava che il paradosso tra libertà imprenditoriale e principi di

socialità venisse in gran parte attenuato. Ma era in agguato un’enorme crisi

economica che sarebbe scoppiata nel 1929.

dalla crisi del 1929 alla Seconda Guerra Mondiale

Nel 1929, come apparentemente oggi, la grande crisi dei consumi aveva

impoverito una gran parte della popolazione, soprattutto a causa di una crescente

disoccupazione. Secondo Keynes la crisi economica del 1929 era dovuta ad

un’insufficienza di domanda, da parte dei consumatori per i beni di consumo, e da

parte delle imprese per i beni di investimento.

Era stato, secondo Keynes, il basso livello della spesa per i consumi e per gli

investimenti (da parte delle imprese) ad aver causato la crisi e l’allontanamento del

sistema dalla piena occupazione. Occorreva un intervento dello Stato per uscire dalla

crisi e per evitarla in futuro: manovra pubblica in grado di rialimentare la domanda

Page 12: Possibilità economiche per i nostri figli

sia dei consumatori sia quella delle imprese.

Keynes pensava che la strategia migliore fosse quella di un’accorta politica

fiscale e di un’altrettanto vivace politica di investimenti statali nella costruzione di

opere pubbliche, nei servizi d’istruzione, di difesa, e di assistenza sanitaria.

Attraverso la spesa pubblica lo Stato poteva aumentare la domanda complessiva di

beni e quindi la conseguente ripresa dei consumi che avrebbe a sua volta spinto

l’intero sistema verso il pieno impiego.

Dopo crisi del 1929, il messaggio di Keynes era comunque abbastanza

pessimistico ed esso sembra oggi ancor più attuale alla luce dell’odierna crisi

economica. Keynes diceva infatti che: “… il capitalismo internazionale, eppure

individualistico, nelle cui mani siamo finiti non è un successo. Non è intelligente, non è bello,

non è giusto, non è virtuoso, non fornisce alcun bene…”. Sono parole amare ma forse profetiche. Quando dice ancora: …è opinione

comune che il progresso economico sia finito per sempre; che il miglioramento della vita

abbia imboccato una parabola discendente,..” sembra quasi riecheggiare il pessimismo di

Oswald Spengler sul tramonto dell’Occidente.

Eppure alcuni decenni dopo queste parole, e soprattutto dopo il trauma della

Seconda Guerra Mondiale, il mondo sembrava aver ripreso la sua marcia verso un

comune benessere e quindi aver smentito le profezie di Keynes.

Ma non è facile ancor oggi comprendere quale ruolo abbia avuto la Seconda

Guerra Mondiale nell’evoluzione dell’economia.

Forse il testo più intrigante, ancorchè arduo, per comprendere come questa

guerra abbia modificato il contesto dell’economia è un romanzo di Thomas Pynchon,

L’arcobaleno della gravità, nel quale viene affrontata proprio la grande

contraddizione di una guerra combattuta tra scoperte tecniche incredibili e aberrazioni

inimmaginabili, come soprattutto l’Olocausto.

La V2, l’arma di rappresaglia che i tedeschi lanciano a centinaia

sull’Inghilterra, percorre un arco di cielo che sembra proprio un arcobaleno e diventa

quasi l’emblema della rottura del patto con Dio. “Quindi Dio disse:…io pongo il mio

arco nelle nubi e sarà il segno del patto fra me e la terra” (Genesi, 9,13).

L'ultima guerra mondiale prelude alla rivoluzione elettronica di un’epoca

protesa verso l’immateriale del software e del ciberspazio, della realtà virtuale e delle

biotecnologie, insieme a una fede incondizionata nel progresso. Il romanzo di

Pynchon è molto importante perché affronta in modo nuovo e originale, come solo un

grande narratore saprebbe fare, un tema così inquietante come la moderna pretesa di

un progresso continuo e inarrestabile.

Ma progresso di cosa? Della felicità umana, della qualità della vita, dei

rapporti tra le persone, della giustizia? Nel romanzo tecnologia e misticismo, ragione

e irrazionalità, morale e immoralità, si confrontano in maniera ora drammatica ora

ironica perchè le componenti irrazionali prevalgono spesso su quelle razionali.

Secondo Pynchon, non è il progresso che sta alla base della civiltà, bensì il

mistero, il magico, l’inesprimibile.

Le grandi industrie (come soprattutto la IG Farben) hanno utilizzato la guerra

come banco di prova delle nuove tecnologie. E il castigo sarà tremendo, sarà la nostra

“trasformazione silenziosa in macchine di indifferenza”.

La storia del Ventesimo Secolo è una storia spaventosa solitudine e

desolazione che il razzo attraversa nella sua parabola matematicamente calcolata

come un algoritmo.

Page 13: Possibilità economiche per i nostri figli

Ma c’è chi può controllare la tecnologia e se necessario rallentarla, guidarla,

fermarla: essa è la politica. La politica, essendo sapienza e temperanza, (sophia kai

sophrosune aveva detto Platone nel Protagora) è soprattutto ragione.

E lo stato moderno nasce nel Rinascimento come frutto della prodigiosa

razionalità italiana. Scriveva Jacob Burckhardt “ La più elevata coscienza politica e la

maggior varietà nello sviluppo delle forme di Stato si trovano riunite nella storia di Firenze,

la quale in questo rispetto merita il nome di primo fra gli stati del mondo moderno… La

mente meravigliosa del fiorentino, ragionatrice acuta e al tempo stesso creatrice in fatto

d’arte, muta e rimuta incessantemente le sue condizioni politiche e sociali, e incessantemente

pure le giudica.” (La civiltà del rinascimento in Italia).

Non è quindi sorprendente che proprio in una città come Firenze sia apparso

un gigante quale Machiavelli che, quasi riecheggiando Platone, riteneva che la

competizione tra gli uomini potesse determinare confusioni e ingiustizie che solo lo

Stato, con le sue leggi razionali, avrebbe potuto impedire. L’indagine di Machiavelli

sulla natura umana, affermando il primato della politica, diventava allora una vera

scienza politica e apriva la strada ai futuri scontri tra politica ed economia.

Oggi però sembra essere la tecnologia a dare potenza a Stati ed economie, e

Pynchon infatti scrive: “ la politica … segretamente era dettata dalle necessità della

tecnologia … le vere crisi erano crisi di stanziamenti e di priorità, non fra le varie aziende,

ma fra le varie Tecnologie, la Plastica, l’Elettronica, l’Aviazione, e le loro necessità,

comprese solo dall’élite dominante “

E forse oggi la politica non è solo dettata dalla tecnologia ma ancor più

dall’economia.

L’economia di Paul Samuelson

Non è casuale quindi che dopo la Seconda Guerra Mondiale venisse

pubblicato un testo, L’economia, di Paul Samuelson nel quale veniva tentata una

vera prima matematizzazione dell’economia, e che avrebbe costituito un punto di

riferimento per generazioni di economisti e di politici nordamericani.

Ne L’economia Samuelson cercava di innestare la nuova teoria

macroeconomica di derivazione keynesiana, e con essa le nuove concezioni sul ruolo

attivo dell'intervento pubblico in economia, sul corpo della più antica teoria

microeconomica neoclassica, favorevole alla libertà dei mercati.

Samuelson voleva così mostrare quali fossero i vantaggi di un’economia

"mista" (mercati liberi, ma corretti dalla presenza della politica economica e dalle

redistribuzioni di reddito dello Stato assistenziale) nei confronti sia dei sistemi

economici collettivistici sia dei sistemi di mercato non regolati.

Ma quella di Samuelson non era solo teoria, ma anche soluzione di problemi

attraverso modelli matematici necessari per affrontare e spiegare i rapporti causa

effetto. Insieme a Wolfgang Friedrich Stolper, uno studente di Schumpeter,

Samuelson dimostrò, per esempio, che le importazioni tessili e di prodotti di

abbigliamento da un paese sottosviluppato si traducevano in un calo dei salari negli

Stati Uniti.

In un’intervista data a Piergiorgio Odifreddi nel 2004 (Incontri con menti

straordinarie), Samuelson avrebbe peraltro affermato: “Non c’è motivo di credere che il

capitalismo selvaggio sia ottimale, da un punto di vista pragmatico. La cura per una

regolamentazione sbagliata non è la deregolamentazione, ma una regolamentazione

razionale e fattibile: in medio stat virtus.”

Page 14: Possibilità economiche per i nostri figli

Più avanti nella stessa intervista: “Personalmente sono sfavorevole alle

disuguaglianze, e favorevole a un’azione governativa che attenui quelle che dipendono dai

meccanismi di mercato. Non cullando sogni napoleonici. Non pretendo che tutti concordino

con me, ma devo dire che gli economisti dell’ultima generazione stanno diventando tanto

meno altruistici, quanto più ci allontaniamo dalla Grande Depressione, che ci aveva

insegnato la dipendenza e l’aiuto reciproco.” E in un saggio della fine del 2008 (Farewell to Friedman-Hayek libertarian

capitalism) parlando della recente crisi economica Samuelson aggiungeva con molto

pessimismo: ”All' origine di quello che risulta essere il peggior terremoto finanziario da

un secolo a questa parte, troviamo il capitalismo libertario e all'insegna del laissez-faire di

Milton Friedman e Friedrich Hayek, cui è stata permessa una crescita selvaggia e senza il

rispetto di alcuna regola. È questa la causa principe delle tribolazioni odierne….

…le mie considerazioni si riallacciano direttamente alle numerose incognite che

gravano sulle operazioni di salvataggio messe in campo in tutti e cinque i continenti.

Innanzitutto, occorre fare chiarezza sui responsabili della deriva che, dal trend di stabilità e

crescita di metà anni '90, ci ha fatto scivolare nel caos odierno, destinato a protrarsi ancora

per chissà quanto…

…la promozione mirata della sperequazione non è servita a rilanciare la produttività

totale dei fattori negli Stati uniti. Piuttosto, la scandalosa impennata delle remunerazioni dei

top manager ha compromesso la funzionalità dell'intero sistema di governance aziendale.

Spregiudicati Ceo hanno curato soltanto i propri interessi a suon di bugie sugli utili effettivi

delle società…

…La gran parte delle perdite oggi accusate saranno permanenti, come avvenne nel

1929-'32… È indubbio, tuttavia, che il meltdown globale di questi giorni rechi in bella vista

le parole Made in America. Le generazioni future, dall'Islanda all'Antartide, impareranno a

rabbrividire al nome di Bush, Greenspan e Pitt. Sto esagerando, naturalmente. Ma non

troppo.”

Karl Polanyi e La grande trasformazione

Il recente pessimismo di Samuelson, che pure era stato per decenni il teorico

dell’economia nordamericana era in realtà già stato proposto, in una visione ancora

più strutturale di una crisi dell’economia, una vera e propria crisi di civiltà, in un testo

del 1944, La grande trasformazione, del sociologo ungherese Karl Polanyi.

La grande trasformazione è un libro molto originale ancorchè complesso.

L’essere apparso nel 1944, mentre infuriava la fase finale della Seconda Guerra

Mondiale, e soprattutto l’aver criticato alla radice il modello economico liberista, in

un'ottica non marxista ma essenzialmente umanitaria e culturale, non ne ha

certamente favorito il successo che invece avrebbe meritato e che invece sta

sorprendentemente avendo oggi.

Il mercato autoregolato è destinato a concludersi, secondo Polanyi, con una

crisi violenta; forse quella cui si sta assistendo oggi.

Ne La grande trasformazione la critica centrale è rivolta a un’utopia, quella di

un libero mercato autoregolato, i cui effetti, dopo un secolo e mezzo dalla sua

invenzione saranno, secondo Polanyi, una completa desertificazione dell'ambiente

sociale e culturale.

Non è possibile sintetizzare brevemente una tesi così complessa che, partendo

dalla definizione della società di mercato, passa quindi a esaminare le tensioni che la

affliggono e che alla lunga ne determineranno la caduta oppure la trasformazione.

Page 15: Possibilità economiche per i nostri figli

E’ forse possibile, tuttavia, intuirne l’importanza culturale attraverso alcune

tra le affermazioni più significative che vengono via via proposte nel testo.

Secondo Polanyi: “Tutti i tipi di società sono limitati da fattori economici. Tuttavia

la civiltà del diciannovesimo secolo era economica in un senso diverso e distinto poiché

sceglieva di fondarsi su di un motivo soltanto raramente riconosciuto come valido nella

storia delle società umane e certamente mai prima sollevato al livello di una giustificazione

di azione e di comportamento nella vita quotidiana, e cioè il guadagno. Il sistema del mercato

autoregolantesi era derivato da questo principio.” E poco più avanti aggiunge: “La nostra tesi è che l'idea di un mercato

autoregolato implicasse una grande utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per

un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza naturale e sociale della società;

essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un

deserto.” L’economia è un fatto sociale prima ancora di essere una fatto squisitamente

mercantile: “… l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali.

L’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni

materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i

suoi vantaggi sociali. Egli valuta i beni materiali soltanto nella misura in cui essi servono a

questo fine. Né il processo di produzione né quello di distribuzione sono legati a specifici

interessi economici vincolati al possesso dei beni; tuttavia ogni passo di questo processo è

collegato a una molteplicità di interessi sociali, che alla fine assicurano che il passo

necessario venga compiuto" . Ossia, detto molto più sinteticamente, "il sistema economico è in realtà una

semplice funzione dell’organizzazione sociale"

Con l’invenzione del mercato autoregolato, invece: "Non è più l’economia a

essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali a essere inseriti nel sistema

economico…. La società deve essere formata in modo da permettere a questo sistema di

funzionare secondo le proprie leggi".

E aggiunge poco dopo che: “ Un’economia di mercato è un sistema economico

controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e nella

distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi”.

Sembra quasi di udire Martin Heidegger nella sua ormai celebre conferenza La

questione della tecnica (tenuta a Monaco nel 1953), quando affermava che si era

ormai verificato un vero e proprio capovolgimento di ruoli tra uomo e tecnologia. Se

nel Prometeo incatenato di Eschilo l’uomo era padrone della tecnologia, pur nelle

limitazioni di quest’ultima, con Heidegger appariva un uomo “a disposizione” della

tecnologia.

L’ambizione di quest’ultima è infatti di fare tutto ciò che può fare, mentre

l’uomo vorrebbe capire cosa si deve fare e cosa non si deve fare. La tecnica

(tecnologia), secondo Heidegger, appare ormai indipendente dalle finalità dell’uomo e

si evolve secondo una propria volontà di potenza, che sembra inarrestabile.

L’economia e le tendenze della società sembrano completamente determinate dalle

evoluzioni tecnologiche. Le onde distruttive di Schumpeter ridefiniscono, in funzione

delle tecnostrutture disponibili, gli scenari economici e le tendenze sociali seguono,

per così dire, a ruota.

Nella visione di Polanyi l’uomo finisce in ugual modo per dipendere da

un’economia che in definitiva persegue solo le proprie intrinsiche finalità, quasi che

queste fossero sfuggite all’uomo stesso: “Un’economia di mercato è un sistema

economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e

nella distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Un’economia

Page 16: Possibilità economiche per i nostri figli

di questo tipo deriva dall’aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da

raggiungere un massimo di guadagno monetario…. Essa assume la presenza della moneta

come potere di acquisto nelle mani dei suoi possessori. La produzione sarà poi controllata

dai prezzi poiché i profitti di coloro che dirigono la produzione dipenderanno da essi… L’autoregolazione implica che tutta la produzione è in vendita sul mercato e che tutti i redditi

derivino da questa vendita. Di conseguenza vi sono mercati per tutti gli elementi

dell’industria, non soltanto per le merci (e i servizi) ma anche per il lavoro, la terra e la

moneta" E ancora:” Il lavoro è soltanto un altro nome per un’attività umana che si

accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta ma per

ragioni del tutto diverse… La terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta

dall’uomo. La moneta infine è soltanto un simbolo del potere d’acquisto che di regola non è

affatto prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o della finanza di stato.

Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della

terra e della moneta come merci è interamente fittizia.”

Allora il liberismo si deve spiritualizzare e divenire: “il principio organizzativo

di una società impegnata nella creazione di un sistema di mercato. Nato come semplice

inclinazione verso metodi non burocratici esso si evolse in una vera fede nella salvazione

secolare dell’uomo attraverso un mercato autoregolato….il credo liberale assumeva il suo

ferovre evangelico soltanto in risposta alel necessità di un’economia di mercato pienamente

sviluppata”.

In sostanza, dice Polanyi, l’aggressività del liberismo non consiste soltanto del

grado di sfruttamento dell’uomo e della natura che esso provoca, ma soprattutto nella

sua ambizione di creare una nuova cultura che tagli i legami che l’uomo ha sempre

avuto con società e natura, legami che costituiscono il tessuto umano e naturale della

vita sociale, per creare alla fine un individuo che abbia come unica finalità quella di

perseguire soltanti i propri interessi.

Ma : "separare il lavoro dalle altre attività della vita e assoggettarlo alle leggi di

mercato significa annullare tutte le forme organiche di esistenza e sostituirle con un tipo

diverso di organizzazione, atomistico e individualistico".

La conclusione di Polanyi (qui estremamente abbreviata) è sopratttutto di

ordine morale, e non potrebbe essere diversamente in una visione così pessimistica

dell’economia liberista: “ Se la civiltà industriale non si disgregherà o non volgerà verso

soluzioni degenerative, una ricostituzione delle fondamenta della coscienza umana si

presenta come imperativa. Soltanto a questo prezzo potrà essere conservata la libertà.” La grande trasformazione non è soltanto un testo di economia, ma anche di

storia e di sociologia, e come tale permette di inquadrare l’attuale crisi economica in

una visione più ampia, generale e soprattutto non settoriale.

l’attuale crisi economica

L’attuale situazione economica sembra manifestare alcune macrotendenze ben

evidenti. L’odierna crisi potrebbe innanzitutto sembrare una delle cicliche crisi che

accompagnano di volta in volta l’affermarsi di una nuova tecnostruttura: quelle che

Schumpeter denominava onde di distruzione creativa.

Inoltre non c’è dubbio che i computer, e più in generale l’Information and

Communication Techonology (ICT), eliminano lavori algoritmici e ripetitivi

creando di fatto disoccupazione.

Page 17: Possibilità economiche per i nostri figli

Infine la globalizzazione dell’economia si accompagna anche a un’intensa e

rapida industrializzazione di due giganti come l’India e la Cina, con le conseguenze

economiche per il mondo occidentale che ben si possono intuire.

Ma se si riflette un poco su quanto detto da Polanyi si deve fare l’ipotesi che

la crisi attuale sia molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Essa

sembra ancora una volta essere frutto dell’eterno paradosso che esiste tra liberismo e

socialità, ovvero tra libertà individuale e società.

Inoltre si comincia a comprendere che l’attuale modello capitalista neo-

liberista si fondi su alcuni assunti che in realtà non sono veri. Il mercato non si

autoregola e non c’è alcuna mano invisibile che lo possa regolare. Il capitale non

sempre arriva. E infine i rischi non sono sempre calcolabili.

Di fatto quello che si è invece constatato è che la rapida evoluzione della

tecnologia e la delocalizzazione della manodopera in paesi industrialmente emergenti

hanno consentito di creare fin troppe merci da distribuire a un numero non

sufficientemente ampio di consumatori.

La pubblicità è stata quindi costretta a iniettare desideri e fiducia e ha finito

con l’investire oltre 500 miliardi di dollari nel solo 2009.

Ma soprattutto liberalizzare i capitali e muoverli con i computer è diventata

l’essenza della globalizzazione finanziaria.

Nel corso degli ultimi 30 anni si è così assistito all’affermarsi di un’economia

globalizzata, al crollo delle tariffe doganali, a rilevanti miglioramenti

nell’organizzazione della produzione, e ancor più ai mutamenti tecnologici avvenuti

nell’ ICT. Tutti questi elementi, insieme ad altri che verranno esaminati più avanti,

hanno contribuito alla crisi economica del 2008 che sembra aver impoverito non solo

gli operai e i precari, ma anche i bancari, gli impiegati, e perfino certi professionisti.

Ma alcune élite (manager, grandi professionisti, star del mondo dello

spettacolo e dello sport, stilisti, cantanti, conduttori televisivi,…) hanno acquistato

potere e denaro, creando enormi diseguaglianze che la stessa crisi economica ha reso

addirittura ancor più vistose.

Sembra ormai che persino il normale lavoro professionale, creativo e orientato

alla soluzione di problemi, svolto nei servizi avanzati e nell’industria manifatturiera,

stia perdendo di valore.

Tuttavia se si riflette per un attimo sul semplice schema del mulino di Mill si

può osservare che, oltre alla tecnologia, nella produzione economica ci sono due

componenti che si erano più o meno bilanciate fino a un paio di decenni fa, ossia il

capitale e il lavoro.

Se allora si analizzano i dati economici ci si accorge che nel corso degli ultimi

trent’anni la quota di ricchezza (ossia di prodotto interno lordo: PIL) prodotta dal

capitale è cresciuta più rapidamente della quota prodotta dal lavoro (ossia dai salari).

Il PIL delle nazioni OECD ( ovvero l'Organizzazione per la Cooperazione e lo

Sviluppo Economico (OCSE)) era intorno ai 40 mila miliardi di dollari nel 2007. In

tale quota la parte capitale si era avvantaggiata di circa il 5% rispetto alla parte lavoro,

e quindi di circa 2000 miliardi di dollari che non andavano in salari, il che per una

popolazione di oltre un miliardo di persone vuol dire quasi demila dollari a testa.

C’è stato quindi un sostanziale impoverimento soprattutto delle classi medie.

In realtà il fenomeno sembra ancora più complesso. Probabilmente il meccanismo è

stato innescato negi USA dove l’economia dei consumi è stata sempre molto vivace.

Tuttavia a fronte della minore liquidità disposibile negli ultime decenni il

mercato ha cercato di adattarsi creando una forma artificiale di liquidità giocando

Page 18: Possibilità economiche per i nostri figli

sulla speranza di guadagni a venire. E simili guadagni potevano apparire concreti

soprattutto nel settore immobiliare.

Allora perchè non indebitarsi per alcuni decenni verso un bene che comunque

col tempo si sarebbe rivalutato più del debito contratto? E così sono entrati in gioco

meccanismi finanziari molto complicati e soprattutto audaci. Per dirla con grande

semplicità sono stati concessi mutui quanto mai facilitati, e pressochè a tutti. La

crescita dell’edilizia ha stimolato a sua volta un’ampia infraststuttura industriale e di

servizi. E le banche sono diventate il motore del flusso denaro.

E tale flusso di denaro è dilagato negli USA soprattutto attraverso i cosiddetti

mutui subprime, ossia mutui concessi a persone che non avevano accesso a un tasso

più favorevole perchè considerati a rischio di insolvenza. Le condizioni dei mutui

subprime imponevano quindi tassi di interesse più alti. A partire dal 2000, molte

banche americane hanno così concesso mutui a persone che forse non sarebbero state

in grado di restituire il denaro.

Ma come è potuto accadere, e in una misura così grande? Il fatto è che dal

2000, e fino a quasi tutto il 2006, il prezzo delle abitazioni è cresciuto così tanto da

creare una vera e propria “bolla immobiliare”. La continua crescita del prezzo delle

abitazioni ha creato l’illusione che l’attività di erogazione dei mutui fosse poco

rischiosa. Se il mutuo non fosse stato ripagato l’abitazione poteva essere sequestrata e

rimessa in vendita a un prezzo più alto. Al tempo stesso i tassi di interesse stabiliti

dalla Banca Centrale Americana (la Federal Reserve) erano progressivamente scesi

proprio per stimolare l’economia.

Ma c’era un altro aspetto molto importante: gli enormi investimenti che la

Cina continuava a fare negli USA. Si vedrà meglio più avanti la natura di questo

meccanismo.

Per il momento basti considerare che la quantità di denaro immessa dalla Cina

nel mercato statunitense è stata veramente colossale (trilioni di dollari) rendendo

disponibile un’ulteriore enorme liquidità.

Tornando al meccanismo dei mutui immobiliari è importante osservare che le

banche americane erano riuscite a concedere tanti mutui anche in virtù di un

meccanismo finanziario, la cosiddetta cartolarizzazione, per mezzo del quale

potevano rivendere ad altri gli stessi mutui, trasferendone così il rischio.

Si può riassumere, brevemente e in modo del tutto semplificato, il

meccanismo complessivo della cartolarizzazione.

Una banca dispone di una certa liquidità (decine o centinaia di milioni di

dollari o di euro) che può erogare in mutui. Una volta che tale liquidità si sia esaurita

la banca dovrebbe attendere il rientro di tutte le rate (o di gran parte di esse) per

erogare nuovi mutui. Invece può innestare un nuovo processo per ottenere ulteriore

liquidità e ridurre i rischi. Può rivolgersi a un altro ente (la cosiddetta società veicolo),

che potrebbe essere persino stato creato dalla banca stessa e il cui capitale è

rappresentato proprio dai crediti vantati verso i clienti che hanno contratto dei mutui.

La società veicolo puo' farsi finanziare dal mercato dando in garanzia sotto

forma di obbligazioni i crediti vantati nei confronti dei clienti della banca dalla quale

ha ottenuto i mutui e cui ha fornito in cambio la liquidità.

La banca stessa con la nuova liquidità può erogare nuovi mutui e ha così

ridotto, in linea di principio, i suoi rischi. A questo punto si potrebbe inserire una

nuova banca, una cosiddetta banca affari, la quale potrebbe acquistare obbligazioni

dalla società veicolo e potrebbe, a sua volta, costituire una nuova società cui destinare

le obbligazioni appena acquistate. Quest’ultima società a sua volta potrebbe emettere

Page 19: Possibilità economiche per i nostri figli

obbligazioni,… e così via.

Una persona ragionevole di fronte a un simile meccanismo cosa può pensare?

Non è certamente possibile creare ricchezza con questa sola sequenza di ingegneria

finanziaria. E allora? L’unica spiegazione è che il valore delle case deve aumentare

nel tempo (coprendo i rischi) e il denaro da restituire dovrà essere prodotto dal lavoro

a venire dei mutuatari.

Il pericolo era insito proprio nel meccanismo di rischio. Se qualcosa non

avesse funzionato correttamente l’intero meccanismo si sarebbe inceppato e le

conseguenze sarebbe state essere molto gravi: come infatti è avvenuto. E già intorno

al 2005 qualcosa cominciava a scricchiolare nell’economia americana. I tassi di

interesse iniziavano nuovamente a crescere, i mutui da ripagare diventavano più

costosi, mentre il prezzo delle abitazioni cominciava a scendere.

Le banche iniziavano così a registrare perdite sempre più grandi. I titoli

fondati sulle rate dei mutui subprime scendevano drammaticamente di valore e

diventavano, come si dice, tossici: in virtù della globalizzazione in atto la crisi si

estendeva poi rapidamente all’intero mondo finanziario. Nasceva così una crisi di

liquidità e veniva meno l’accesso al credito per persone e imprese.

il ruolo della finanza nell’attuale crisi

Una delle caratteristiche più significative dell’odierno scenario economico è la

globalizzazione dei mercati finanziari. La possibilità di lavorare in tempo reale e su

scala mondiale attraverso reti di computer interconnessi in vario modo ha dato agli

investitori un potere crescente, che essi hanno immediatamente utilizzato per ottenere

dai loro investimenti i massimi rendimenti e nei tenpi più brevi.

In questo contesto si colloca anche la strategia americana di concedere prestiti

a basso costo per l’acquisto di abitazioni, con i meccanismi e le conseguenze

precedentemente descritti.

E ancora occorre sottolineare il ruolo svolto dalla Cina che ha

progressivamente aumentato la sua produzione di merci (spesso di basso costo)

ricavandone una liquidità che non ha voluto reinvestire nel suo sistema paese. A

seguito della grande crisi finanziaria asiatica degli anni Novanta la Cina ha preferito

puntare su mercati finanziari evoluti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che

hanno visto così arrivare ingenti investimenti. Tra il 2000 e il 2007 negli Stati Uniti è

arrivata una quantità di denaro cinese equivalente al 40% del PIL americano di un

anno, e in Gran Bretagna l’equivalente di un 20% del PIL inglese di un anno.

C’è da aggiungere che gli enormi investimenti effettuati in dollari hanno

mantenuto basso il valore della moneta cinese e quindi molto appetibile la forza

lavoro cinese, il che ha consentito tante delocalizzazioni industriali dall’Occidente in

Cina.

Ora che la crisi economica fa sentire il suo peso diventa ancora più difficile

esportare prodotti in Cina e ciò determina un forte arretramento di economie che dale

esportazioni verso la Cina ricavavano molti benefici per la loro bilancia commerciale.

Tutto questo denaro offerto dalla Cina doveva essere sapientemente investito e

sembrava che i mercati finanziari americano e inglese possedessero tecnologie

adeguate per gestire i modelli di rischio.

I dati finanziari relativi al periodo in cui la crisi ha cominciato a manifestarsi

sono veramente impressionanti. Nel 2007 gli attivi finanziari delle imprese sono stati

infatti uguali a circa 5 volte il PIL mondiale (che equivale a circa 60 mila miliardi di

Page 20: Possibilità economiche per i nostri figli

dollari). Ciò ha evidentemente creato un eccesso di liquidità virtuale.

Al tempo stesso le transazioni finanziarie nel corso del 2007 sono state

equivalenti a quattro milioni di miliardi di dollari di cui l’80% circa di natura

puramente speculativa.

Ma il dato forse più inquietante è che il debito che famiglie, imprese,

organizzaioni di vario genere e Stati, hanno contratto è ormai dell’ordine di 100 mila

miliardi di dollari. Se si ipotizza un interesse annuo intorno al 3% si può

approssimativamente dedurre che il PIL dovrebbe crescere del doppio (visto che è

crica la metà di questo valore) solo per pagare gli interessi.

Infine si deve anche osservare che le prime dieci banche del mondo detengono

circa 2/3 del PIL mondiale.

Simili dati sembrano confermare la previsione di Polanyi sull’avvento di una

profonda crisi di civiltà.

l’economia non è una scienza

Già Keynes negli anni Settanta aveva parlato di Animal Spirits per indicare le

instabilità insite nel capitalismo. I diversi aspetti degli Animal Spirits come fiducia,

correttezza, avidità, corruzione non fanno parte di un modello matematico. Si è quindi

sovrastimato l’approccio razionale, tanto che Edmund Phelps, premio Nobel per

l’economia nel 2006, ha detto che i modelli di rischio non hanno mai avuto un buon

fondamento.

Secondo Phelps è impossibile prevedere in dettaglio il comportamento di un

sistema complesso come un mercato finanziario, e quindi ciò che occorre tuttora è una

certa dote di intuito, soprattutto manageriale, che è palesemente mancata. Attraverso

l’ingegneria finanziaria, globalizzata per mezzo di computer e modelli di rischio, si è

così creata un’enorme liquidità virtuale e chi è stato incaricato di gestirla è stato

superpremiato.

Di fatto le famiglie americane sono oggi indebitate in misura tale che il loro

indebitamento è pressochè equivalente all’intero PIL nordamericano. E dietro

all’attuale crisi economica si nasconde anche un altro spettro, quello degli algoritmi

matematici con i quali si credeva che fosse finalmente possibile domare o esorcizzare

il rischio.

In un lavoro del 1973 Fischer Black e Myron Scholes avevano formulato

un’equazione matematica che sarebbe stata ampiamente utilizzata dai modelli

finanziari nei decenni successivi. L’equazione si basava anche su precedenti ricerche

di Robert Merton. Quest’ultimo, insieme a Scholes, avrebbe poi vinto il premio Nobel

per l’economia nel 1997.

L’idea su cui si basava l’equazione di Black e Scholes era che un titolo

derivato è implicitamente prezzato se il cosiddetto strumento sottostante (ossia

quell’attività da cui dipende il derivato) viene scambiato sul mercato. Il modello di

Black e Scholes era diventato un vero e proprio manifesto della finanza, in grado di

convincere gli investitori che quest’ultima fosse quasi una scienza esatta.

Dopo che nel 1971 era stata abbandonata la parità monetaria con l’oro i

mercati finanziari desideravano avere uno strumento che in qualche modo li

proteggesse contro le variazioni dei cambi tra le valute e successivamente contro le

variazioni dei tassi di interesse. In sostanza si desiderava uno strumento che

Page 21: Possibilità economiche per i nostri figli

proteggesse dai rischi. Il modello di Black-Scholes sembrava la risposta a una simile

esigenza.

Per dirla molto semplicemente, sarebbe stato bello poter disporre di una

formula che permettesse di conoscere il prezzo di un prodotto come composto dai

prezzi dei suoi componenti. Ma l’equazione di Black-Scholes resta un modello

matematico, con tutte le semplificazioni adottate da un modello. La struttura

dell’equazione, senza entrare nei dettagli, ricorda quella delle equazioni che in fisica

descrivono la diffusione del calore.

La volatilità dei prezzi sono però risultate più discontinue di quanto il modello

matematico prevedesse. E i meccanismi di cartolarizzazione avevano introdotto un

altro elemento di incertezza, difficilmente quantificabile.

Venti anni fa, l’uso indebito del modello di copertura del rischio sul crollo dei

mercati azionari entrò nella spirale del crack borsistico dell’ottobre 1987: un crollo

del 23% in un solo giorno, tanto da far apparire quasi minori i recenti ondeggiamenti

dei mercati. E fu proprio l’uso del modello anti crack Black-Scholes a destabilizzare

il mercato!

Il punto è che il sistema economico non è statico e le informazioni per

descriverlo non sono sufficienti. Le grandi corporation sono nate proprio per ridurre i

costi di gestione delle informazioni.

In definitiva il sistema economico è troppo complesso e in un certo senso la

scienza dell’economia è come quella della metereologia: non si possono costruire

previsioni a lungo termine.

La differenza fondamentale tra le scienze fisiche e le scienze economiche, o la

matematica finanziaria, è nel ruolo dei concetti, delle equazioni e dei dati empirici.

L’economia classica si basa su ipotesi molto forti che diventano rapidamente assiomi;

mentre le scienze fisiche sono molto più caute e procedono attraverso una continua

falsificabilità delle ipotesi scientifiche a fronte anche di un solo esperimento.

Le scienze fisiche hanno inoltre sviluppato alcuni modelli matematici che

permettono di comprendere, almeno a grandi linee, in che modo piccole

perturbazioni possano generare in un sistema complesso effetti incontrollabili.

La teoria della complessità, sviluppata durante gli ultimi trent’anni, mostra

che, quantunque un sistema possa avere uno stato ottimale - come, per esempio, uno

stato di energia più basso - tale stato sia spesso difficile da identificare poichè il

sistema non si pone mai in quella condizione.

Questa soluzione ottimale non solo è inafferrabile, è anche fragilissima

rispetto a piccole modifiche dell’ambiente, e quindi spesso irrilevante per capire cosa

stia succedendo. Vi sono buone ragioni per credere che questo paradigma della

complessità dovrebbe essere applicato ai sistemi economici in generale e ai mercati

finanziari in particolare.

Semplici idee di equilibrio e di linearità (l’ipotesi che piccole azioni

producano piccoli effetti) non funzionano.

C’è quindi la necessità di rivedere i modelli dell’economia classica e occorre

sviluppare strumenti del tutto nuovi, come si è cercato in modo ancora frammentario e

disorganizzato da parte dei cosiddetti econofisici.

Page 22: Possibilità economiche per i nostri figli

il caso Italia

Per quanto riguarda le prospettive dell’economia italiana occorre ricordare che

anche l’Italia vive in un contesto globale e quindi solo se l’intero scenario mondiale

tornerà a essere più sereno anche l’Italia potrà beneficiarne.

Si è detto che forse, come sostiene Polanyi, l’intero modello dell’economia

liberista va rivisto e rinovato. Ma nell’immediato l’economia deve continuare a

rispondere ai bisogni della società e deve quindi in qualche modo continuare a

crescere.

Negli ultimi decenni, infatti, l’economia mondiale (e soprattutto quella dei

paesi più evoluti), è costantemente cresciuta ed è diventata globale attraverso un

utilizzo pervasivo delle nuove tecnologie dell’ICT che hanno creato non solo nuovi

modelli di attività produttive ma anche nuove tipologie di imprese.

Ma al tempo stesso, consumi e produzione si sono via via trasferiti in misura

sempre maggiore dagli Stati Uniti e dall’Europa verso l’Asia, la quale sta crescendo a

ritmi molto più elevati rispetto all’Occidente..

In Europa la crescita del prodotto interno lordo viene stimata per i prossimi

anni tra il 1.5% e il 2,2% l’anno, con un valore alquanto inferiore per l’Italia.

Se così fosse diventerebbe molto difficile per l’Italia sostenere l’attuale debito

pubblico e creare occupazione, sia per coloro che entrano nel mercato del lavoro sia

per quelli che ne sono stati recentemente espulsi.

La domanda che allora sorge spontanea è: “perché la crisi economica italiana

sembra più profonda rispetto ad altri paesi occidentali?”

La risposta consiste probabilmente in una triade di elementi che

concorrentemente deprimono lo sviluppo italiano e che sono rispettivamente: una

produttività inferiore agli standard dei paesi più evoluti, una carenza di cultura

tecnologica, e una sostanziale arretratezza dello Stato.

La minore produttività deriva anche dal ridotto livello di investimenti, sia

pubblici sia privati, in ICT, livello significativamente inferiore rispetto ai paesi più

evoluti. L’ICT, infatti, non è solo un abilitatore di attività esistenti, ma è anche un

motore di trasformazione e di creazione di nuove produzioni e di nuovi servizi…

Inoltre in Italia c’è tuttora una carenza di capillarità della cosiddetta banda

larga, che riguarda soprattutto aziende che devono mettere a disposizione i propri

servizi, come la Sanità, gli Enti Locali, le banche, le anagrafi,…

I ridotti investimenti in ICT discendono anche da una scarsa percezione di

quali possano esserne i ritorni di investimento, che non sono facilmente misurabili se

non esiste una sufficiente cultura sia d’impresa sia informatica.

E l’attuale cultura tecnologica italiana, per quanto riguarda l’ICT, è una

cultura essenzialmente di massa, che privilegia un uso intensivo della tecnologia

stessa ma per scopi consumistici o edonistici, quali soprattutto gli smartphone o gli

ipod/ipad per intrattenimenti di vario genere, da Facebook ai videogiochi.

Non c’è quindi reale consapevolezza di quanto l’ ICT potrebbe favorire la

creazione di nuove imprese, di nuovi servizi, o di nuovi processi produttivi.

C’è infine da considerare la sostanziale arretratezza dello Stato, che finisce

con lo scoraggiare investimenti (anche stranieri) e quindi col generare poche nuove

iniziative e conseguentemente nuovi posti di lavoro.

Page 23: Possibilità economiche per i nostri figli

Gli aspetti più vistosi di tale arretratezza sono la complessità e l’inefficienza

della Pubblica Amministrazione, la lentezza della giustizia civile, l’inadeguatezza

delle infrastrutture tecnologiche pubbliche, la scarsa visibilità internazionale delle

Università, una legislazione giuslavorista inadeguata, complessa, e persino

conflittuale, quando invece occorrerebbe - soprattutto ora - molta flessibilità; per non

parlare di una inaccettabile gerontocrazia della classe politica.

Sono quindi urgenti sia una capillare diffusione della banda larga sia lo

sviluppo di applicazioni atte a utilizzarla come, per esempio, la telemedicina e la

telechirurgia, la coprogettazione, le analisi del territorio e della comunità, le

interazioni con i nuovi strumenti analitici di business, e molte altre.

Occorre anche creare tecnostrutture digitali intelligenti per il controllo

dell’utilizzo di risorse come linee elettriche, linee ferroviarie, autostrade, centrali.

Quello che tuttavia sembra particolarmente importante per l’Italia è

incrementare e rendere sostenibili le varie filiere di piccole e medie imprese nelle

quali possano essere reinterpretati, per mezzo delle nuove tecnologie, quei saperi

artigianali che sono stati da secoli un’eccellenza tipicamente italiana.

Questo è tanto più importate se si riflette su di un aspetto molto importante

dell’attuale economia, soprattutto nei paesi più evoluti. Si era pensato nei decenni

passati che la diffusione delle nuove tecnologie avrebbe progressivamente ridotto i

posti lavoro nelle attività più ripetitive, soprattutto in ambito manifatturiero, ma che

tali posti sarebbero stati ricreati in settori intellettualmente più complessi, per lo più

nel settore dei servizi. Questa ipotesi è stata in parte contraddetta dalla realtà e la

disoccupazione di fatto è cresciuta.

E’ bene quindi tenere ben presente che molte attività tipiche delle piccole e

medie imprese sembrano apparentemente meno intellettuali di quelle in atto presso

grandi imprese, mentre in realtà richiedono di saper far leva sulle nuove tecnologie,

proprio per capitalizzare su quelle qualità, quali fantasia, inventiva, abilità, senso del

bello, che sono essenziali per la creazione di manufatti di pregio che tuttora vengono

richiesti all’Italia.

E anche in questi settori economici si comincia a comprendere che occorre

saper fare ricerca e sviluppo, tanto più che proprio quelle imprese italiane che hanno

delocalizzato la propria manodopera in paesi come la Cina si accorgono di dover

delocalizzare anche i reparti di ricerca accanto a quelli di produzione per averli vicini,

e quindi più integrati ed efficaci.

E’ anche vero che una consistente parte dell’industria italiana negli ultimi

anni è riuscita a rinnovarsi e a restare competitiva; è stata in grado di esportare anche

con un cambio euro/dollaro sfavorevole; e soprattutto è riuscita a operare in campo

internazionale non potendo contare né su di uno Stato efficiente né su infrastrutture

d’avanguardia.

L’Italia resta quindi una realtà socio-economica tuttora di difficile lettura.

cosa accadrà?

Cosa accadrà, allora, all’intera economia mondiale? E, quindi, quali potranno

essere le possibilità economiche per i nostri figli? Sono domande lecite, ancorchè sia

molto difficile dare loro una risposta.

Una prima risposta potrebbe essere che ci sarà probabilmente un periodo di

Page 24: Possibilità economiche per i nostri figli

adattamento, di un decennio almeno, per stabilizzare la globalizzazione e sanare i

modelli finanziari.

Tuttavia la vera risposta che sembra emergere a fronte di questa grande crisi è

che la ricchezza non si costruisce sul denaro, ma sulla capacità umana di apprendere e

di applicare quanto si è compreso ai processi di produzione e di consumo: il benessere

deve essere rapportato alla produttività e non all'azzardo finanziario.

E’ quindi fondamentale che la globalizzazione dell’economia accetti nuove

norme e soprattutto una nuova etica.

- nuove norme per mercati finanziari

Negli Stati Uniti è stato recentemente approvato il Dodd-Frank Act, il

pacchetto di misure di regolamentazione dei mercati finanziari che dovrà ridisegnare

il volto della finanza americana nei prossimi anni. La legge arriva dopo un intenso

anno di discussioni su quali regole fossero necessarie per prevenire il ripetersi di una

crisi di proporzioni simili a quella appena vissuta.

In Europa la definizione di un nuovo insieme di regole e norme è in una fase

meno evoluta ma il relativo dibattito è altrettanto vivace.

Naturalmente scelte così complesse, come quella di adottare Dodd-Frank Act,

hanno bisogno di un tempo di riflessione adeguato. Del resto l’efficacia di simili

iniziative dipende da numerosi fattori, tra i quali soprattutto il modo di attuare le

norme adottate, poichè spesso in simili contesti ci sono dettagli che risultano

determinanti ma che vengono in luce solo durante la reale attuazione delle regole.

E ci dovrà anche essere chi deve controllare l’esecuzione di norme restrittive,

ma che a sua volta dovrà essere imparziale, ma: quis custodiet ipsos custodes?

La maggior parte delle regole discusse nel corso di questi mesi, poi,

prescindono in gran parte da obiettivi di efficienza.

Le nuove normative tese a un maggior controllo dei mercati potrebbero

ottenere tale controllo, ma a scapito dell’efficienza del mercato stesso. E tale

efficienza, si è già detto, dipende in grande misura dale informazioni disponibili: un

mercato finanziario è tanto più efficiente quanto più il rendimento di un titolo riflette

le informazioni a disposizione.

La creazione di adeguati organismi in grado di valutare i potenziali rischi

potrebbe migliorare la qualità delle informazioni a disposizione dei mercati finanziari,

fornendo dati utili per la valutazione del rischio da parte degli operatori.

Ma data l’attuale dinamica evolutiva dei mercati finanziari per essere efficaci

occorre essere in grado di operare in tempo reale.

La disponibilità di computer, reti telematiche e software sempre più evoluti,

insieme alle nuove norme, farebbe pensare che una nuova strategia di governo dei

mercati finanziari sia tutt’altro che un’utopia.

- la nuova governance e la superclasse

In aggiunta alle nuove norme finanziare c’è poi, a fronte del fenomeno della

globalizzazione, una crescente necessità di un governo mondiale che vada

sostanzialmente al di là di quelle che sono le iniziative delle Nazioni Unite.

C’è tuttavia un primo sostanziale problema da affrontare che è costituito dal

fatto che negli ultimi decenni si è affermata una classe dirigente transnazionale e

Page 25: Possibilità economiche per i nostri figli

descritta da David Rothkopf nel suo libro Superclass. La nuova élite globale e il

mondo che sta realizzando.

Si tratta di circa sei-settemila persone con una formazione e con una visione

del mondo simili, e accomunate da una comune ideologia ispirata a liberismo e alla

diffusione di diritti civili e politici uguali per tutti i cittadini del pianeta. E’ una classe

dirigente che gode di enormi privilegi, sia economici sia sociali, e che in un certo

senso sembra quasi apolide.

All’interno di questa superclasse c’è un generale consenso sugli obiettivi, da

perseguire. Se dissenso esiste questo riguarda il come realizzare un organo di governo

del mondo, con quale quale tipo di struttura e con quale orientamento politico. Ma in

definitiva questa classe pensa soprattutto a se stessa.

La presenza della superclasse comprime tuttavia il ruolo della classe media

che tra l’altro non è presente in molte parti del mondo, come l’Africa, l’Asia e in parte

il Sudamerica. Il reale obiettivo della superclasse è in definitive quello di non perdere

ricchezza e potere in favore di una classe media transnazionale.

Ma in mondo quale quello attuale, costituito di flussi globali e di rischi di

vario genere che che si affacciano alle frontiere nazionali, non è più possibile per un

singolo stato-nazione agire da solo nel conseguire la sua parte del contratto sociale,

Ne è possibile che il governo del mondo venga affidato di fatto alla superclasse.

Eppure è ormai in atto, almeno ideologicamente, una tendenza verso quello

che il poeta Alfred Tennyson in Locksley Heart chiamava il Parlamento dell’uomo:

“Till the war drum throbb'd no longer, and the battle-flags were furl'd In the Parliament of

man, the Federation of the world”. E nel contesto odierno i meccanismi di un governo mondiale sembrano più

attuabili che in passato, e comunque possono essere adottate soluzioni intermedie

prima che l’umanità intera accetti comunque l’idea di un governo globale.

Ma come sarebbe rappresentato, poi, quest’ultimo? Le differenze economiche

e di popolazione favorirebbero certamente le potenze maggiori e alla lunga si

finirebbe forse in un mondo guidato dalla Cina. Come sarebbe possibile allora far

convergere verso un’unica sensibilità etica due culture così diverse come

l’individualismo occidentale l’assenza di individualismo tipicamente orientale.

Tra Cristianesimo, Buddismo e Taoismo c’è una fondamentale differenza che

informa ancora di sè i popoli cresciuti in queste religioni. Nel Cristianesimo il

rapporto con Dio è individuale e carico di senso di responsabilità. Nel Buddismo e

nel Taoismo è invece assente un rapporto personale e individuale con la divinità, il

che in campo etico si traduce in un diverso concetto di responsabilità che deve fare i

conti con i legami fra il soggetto e il suo gruppo sociale.

E ciò conduce al terzo grande tema del futuro: come sviluppare un’etica

mondiale?

- un’etica globale per un mondo globalizzato

Qualche anno fa (1996) Samuel Huntignton aveva affermato in un un suo

libro di grande successo (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale) : “ La

mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà

sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell'umanità e la fonte di

Page 26: Possibilità economiche per i nostri figli

conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori

principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e

gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di

faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro.” Dopo l’attentato alle Twin Towers nel 2001 le sue affermazioni acquistarono

notevole credibilità, anche se oggi vengono in parte riviste. Ma non c’è dubbio che

non v’è pace tra le nazioni se non v’è pace tra le religioni; ma soprattutto non v’è

pace tra le religioni se non ci sono norme etiche globali: occorre un’etica mondiale.

Il teologo Hans Kueng, dopo decenni di personali riflessioni, ha scritto

qualche anno fa (Etica mondiale per la politica e l'economia) che economia e

politica senza una base etica possono condurre al disastro. Un fondamento etico

commune deve essere accettato da tutte le nazioni, da tutti i popoli a da tutte le

religioni.

Ma l’attuale distanza tra come l’etica mondiale dovrebbe essere e come invece

sia è ancora molto grande. Il neocapitalismo con la sua sfrenata attenzione ai profitti

stra creando disuguaglianze sociali, anche nei paesi più evoluti, che non sono più

accettabili.

Kueng affronta un tema così complesso in modo generale, e quasi filosofico,

ma sa essere anche molto pratico e concreto. Si domanda, per esempio, cosa siano la

verità e la giustizia. La verità sembra oggi ridursi alle affermazioni propagandistiche

dei leader politici, mentre le persone non vogliono più accettare le loro menzogne e

l’inquietudine cresce ovunque, soprattutto per la diffusione di nuovi, potenti e

capillari strumenti elettronici di informazione, anche individuale.

La giustizia, a sua volta, consiste anche dell’abolizione degli incredibili e

inaccettabili privilegi e prerogative di cui godono le élite, in particolare politiche e

finanziarie.

Anche il welfare-state (ossia lo stato assistenziale moderno) non può offrire

più di quanto i cittadini non possano a loro volta contribuire volontariamente

attraverso i sistemi fiscali.

In sintesi Kueng individua sei pilastri etici inalienabili: diritti e responsabilità

umane, democrazia, protezione delle minoranze, risoluzione pacifica dei conflitti e,

“last but not least”, uguale trattamento delle generazioni.

Lo scenario mondiale a venire delineato da Kueng si fonda, piuttosto che sul

tradizionale modello di relazione amico-nemico, sulla teoria dei giochi a somma

diversa da zero, ossia su quelle relazioni nelle quali non c'è sempre uno che vince e

uno che perde come è avvenuto, tanto per fare un esempio, nei prodotti derivati del

recente mercato finanzario che hanno ingannato così tanti risparmiatori.

Il pensiero può allora tornare a Polanyi, o persino a Kant. L’uomo non è homo

oeconomicus, ossia un uomo le cui principali caratteristiche sono la fredda razionalità

e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali, ma homo

sapiens, ossia un uomo che riconosce quale valore etico principale la dimensione

inalienabile della dignità umana, fondamento di diritti universalmente riconosciuti.

L’etica globale mondiale può allora essere riassunta in una semplice norma

enunciata da Confucio cinquecento anni prima di Cristo: “non fare agli altri ciò che non

vuoi sia fatto a te”.

Page 27: Possibilità economiche per i nostri figli

In conclusione è peraltro necessario ribadire che una condotta di consumi

spregiudicati quale quella cui si è assistito negli ultimi tre decenni non è più

pensabile.

Le risorse della Terra sono, ancorchè molto grandi, limitate. L’energia, a meno

di non riuscire a catturare sul serio l’energia solare (che in definitiva è ancora quella

che viene immagazzinata in quella fossile), non può essere consumata ai ritmi attuali a

meno di non creare un ambiente veramente ostile per i nostri figli.

Basterebbe per un attimo riflettere sul fatto che nei prossimi anni cinesi e

indiani costruiranno molte centinaia di centrali a carbone per rendersi conto delle

dimensioni del problema energetico, al di là di tanti discorsi, alcuni dei quali quanto

mai confusi sulla natura, sul ruolo e sulla possibile produzione di energia.

E tra le risorse non c’è solo l’energia ma ci sono anche l’acqua, l’agricoltura,

il paesaggio, il mare, il mondo degli animali, ossia la Natura.

Impoverire la Natura è perfettamente equivalente, da un punto di vista etico, a

quell’impoverimento economico delle generazioni a venire che viene attualmente

generato da crescente indebitamento di nazioni, di imprese e di singoli.

Esiste un’impronta ecologica, la quale è un puro indice statistico che mette in

relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di

rigenerarle. Dovrebbe a questo punto esistere anche un’impronta finanziaria, da

coniugare con la precedente, per misurare globalmente il danno che verrà apportato

alle generazioni future se non si adotta una cultura e quindi un modello di civiltà

meno aggressivo.

Circa trent’anni fa, apparve negli Stati Uniti uno straordinario libro,

Overshoot, scritto da un professore universitario, William Catton. Si potrebbe tradurre

il titolo in Esagerazione.

Il libro è straordinario perchè già nel 1982 prevedeva perfettamente cosa

sarebbe potuto accadere. Il libro non è mai stato tradotto in altre lingue, e fino a

qualche anno fa era pressochè sconosciuto anche negli USA. Basterebbe controllare i

commenti entusiastici dei lettori del sito Amazon.com per verificare che in sostanza

anche gli americani hanno cominciato a leggere questo libro solo negli ultimi 6-7

anni.

Ciò deve indurre a una riflessione. L’aggressività dell’economia attuale è

certamente figlia di quel Mito della frontiera cui si era accennato in precedenza:

all’Ovest c’è sempre una nuova terra da scoprire e da conquistare.

In un’ottica di coraggioso liberalismo, che si accompagna a un profondo

sentimento di religiosità e di responsabilità individuale, come già ampiamente

indagato dal Max Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, gli

americani si sono progressivamente spinti verso una società dai consumi esasperati,

ma al tempo stesso fondamentalmente democratica.

Il punto, ed è qui che l’analisi di Polanyi ha forse colpito nel segno, è che

esiste un sottile paradosso tra liberismo e società. Ed è in virtù di questo paradosso

che l’economia è come scappata di mano.

Per offrire alle generazioni future, e soprattutto ai nostri figli, una Terra più

vivibile occorre ora sapersi impoverire materialmente, ma arricchire spiritualmente.

Impoverirsi non vuol dire miseria, ma vuol dire rinunciare a una cultura

dell’eccesso, dello spreco, del consumismo sfrenato. Il singolo voto sembra non

contare nulla in una votazione politica, eppure la vittoria di un partito o di un

candidato discende dalla somma dei singoli voti. In egual modo solo dalla somma dei

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singoli comportamenti potrà nascere una civiltà più equilibrata nelle aspirazioni e nei

consumi; come naturalmente anche dal concorso di più generali iniziative assunte da

Stati e imprese

E’ evidente che non basteranno anni per creare un simile scenario. Troppi

rivolgimenti di varia natura sono in atto in punti diversi del pianeta e troppe culture,

anche locali si contrappongono. Ma occorre iniziare e soprattutto occorre rendersi

conto che tanto vale iniziare da subito.

E’ sufficiente un singolo gesto per avviare una nuova società: quello, per

esempio, di non gettare i mozziconi di sigaretta per terra. Eppure basta girare per una

strada di Roma e osservare i passanti per rendersi conto di quanto sia ancora lontana

la città ideale, quella di cui parlava Calvino nella conclusione di Le città invisibili.

Innumerevoli piccoli gesti conducono a grandi risultati in ogni settore della

società. L’economia è solo un aspetto delle tante dimensioni culturali e sociali

dell’uomo e dipende da quasi tutte queste dimensioni.

É un progetto che si scontrerà certamente con gli egoismi e le ambizioni,

persino biologiche, individuali. Ma homo sapiens è anche un animale culturale e

sociale. Dall’attuale dimensione della nevrosi economica dovrà sapersi muovere verso

un rapporto infinitamente più equilibrato con se stesso, con gli altri, e con la Natura.

Non esiste un’alternativa.

“E apertamente dedicai il cuore alla

terra grave e sofferente, e spesso, nella notte

sacra, promisi d’amarla fedelmente fino alla

morte, senza paura, col suo greve carico di

fatalità, e di non spregiare alcuno dei suoi

enigmi. Così, m’avvinsi ad essa di un

vincolo mortale.” Holderlin, La morte di Empedocle

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