pooi cirri patologia e chirurgia d’oo del duodeno

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11 Patologia e chirurgia del duodeno Coordinatore: Fabio Cianchi 11.1 Malformazioni congenite e patologie rare 11.2 Patologia peptica 11.3 Tumori SEZIONI ASA: acido acetilsalicilico DCP: duodenocefalopancreatectomia D-NET: tumori neuroendocrini del duodeno EGDS: esofagogastroduodenoscopia EMR: resezione endoscopica della mucosa ERCP: colangio-pancreatografia endoscopica retrograda EUS: ecoendoscopia esofagogastrica FANS: farmaci antinfiammatori non steroidei FAP: poliposi adenomatosa familiare GIST: tumori stromali gastrointestinali G-NET: tumori neuroendocrini gastrici HP: Helicobacter pylori MEN 1: neoplasia endocrina multipla di tipo 1 NBI: narrow band imaging PPI: inibitori della pompa protonica SC: sindrome di Cushing ZES: sindrome di Zollinger-Ellison Acronimi CAPITOLO

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Patologia e chirurgia dell’esofagoA cura di Lugi Bonavina

7.1 Cenni di anatomia, embriologia e semeiotica

7.2 Malattia da reflusso gastroesofageo ed esofago di Barrett

7.3 Disturbi della motilità esofagea

7.4 Diverticoli esofagei

7.5 Neoplasie benigne e cisti paraesofagee

7.6 Neoplasie maligne

7.7 Perforazioni, corpi estranei, lesioni da ingestione di caustici, varici esofagee

S E Z I O N I

CRT: chemioradioterapiadCRT: chemioradioterapia definitivaEUS: ecoendoscopia esofagogastricaPEG: gastrostomia endoscopica percutaneaPET: tomografia a emissione di positroniPOEM: miotomia endoscopica transorale

RGE: reflusso gastro-esofageo RM: risonanza magneticaTC: tomografia computerizzataTIPS: shunt portosistemico transgiugulare

intraepatico

Acronimi

CAPITOLO

11Patologia e chirurgia del duodenoCoordinatore: Fabio Cianchi

11.1 Malformazioni congenite e patologie rare

11.2 Patologia peptica

11.3 Tumori

S E Z I O N I

ASA: acido acetilsalicilicoDCP: duodenocefalopancreatectomiaD-NET: tumori neuroendocrini del duodeno EGDS: esofagogastroduodenoscopiaEMR: resezione endoscopica della mucosaERCP: colangio-pancreatografia endoscopica

retrograda EUS: ecoendoscopia esofagogastricaFANS: farmaci antinfiammatori non steroidei

FAP: poliposi adenomatosa familiareGIST: tumori stromali gastrointestinali G-NET: tumori neuroendocrini gastriciHP: Helicobacter pyloriMEN 1: neoplasia endocrina multipla di tipo 1NBI: narrow band imagingPPI: inibitori della pompa protonicaSC: sindrome di CushingZES: sindrome di Zollinger-Ellison

Acronimi

CAPITOLO

11.1S E Z I O N E

MALFORMAZIONI CONGENITE E PATOLOGIE RARE DEL DUODENOFabio Cianchi, Caterina Foppa

11.1.1 CENNI DI ANATOMIA DEL DUODENO

Il duodeno ha una lunghezza di circa 25-30 cm e un diametro trasverso di circa 2,5 cm, con un tratto a de-corso intraperitoneale e uno a decorso extraperitoneale. Il duodeno è un segmento di intestino a forma di C che ha inizio dal piloro e termina al legamento di Treitz. È suddiviso anatomicamente in quattro porzioni. La pri-ma porzione, detta bulbo duodenale, decorre a livello intraperitoneale e si estende da piloro gastrico fino al-la flessura o ginocchio superiore. La seconda porzio-ne (discendente) decorre verticalmente alla destra del pancreas dalla prima alla seconda flessura duodenale nello spazio pararenale anteriore. Lungo il suo margi-ne mediale è presente la papilla duodenale maggiore in corrispondenza della quale si aprono il dotto coledoco e il dotto di Wirsung, separatamente o fusi insieme a formare l’ampolla di Vater. La terza porzione duodenale (orizzontale) decorre dietro il peritoneo da destra verso sinistra al davanti della vena cava inferiore e dell’aorta ed è incrociata anteriormente dai vasi mesenterici. La quarta porzione (ascendente) decorre superiormente fino alla flessura duodenale-digiunale ed è mantenu-ta in situ da legamento di Treitz. La vascolarizzazio-ne arteriosa del duodeno è rappresentata dalle arterie pancreatico-duodenali, superiore (ramo dell’arteria ga-stroduodenale) e inferiore (ramo dell’arteria mesenteri-

ca superiore), anastomizzate tra loro a formare l’arcata pancreatico-duodenale. Le vene duodenali sono satelliti delle rispettive arterie e drenano nella vena mesenterica superiore e nella vena porta.

11.1.2 ATRESIA DUODENALE

L’atresia duodenale è la più frequente causa congenita di ostruzione gastrointestinale (incidenza: 1/7500-10 000 nati vivi) ed è conseguente alla mancata ricanalizzazione di questo tratto intestinale durante il 2° mese di vita feta-le. L’atresia risulta essere competa nel 40-60% dei casi. Si associa spesso ad altre malformazioni, tra cui l’atresia del digiuno, l’atresia dell’esofago, le fistole tracheo-esofagee, la malrotazione colica (28%) e il pancreas anulare (33%). Si associa inoltre a sindrome di Down (20%-30%), pre-maturità (46%) e polidramnios materno (33%). La loca-lizzazione sottoampollare è la più frequente.

La sintomatologia è rappresentata da:

●● vomito biliare (se l’atresia è in sede sottoampollare, la più frequente), disidratazione e alterazioni elettroliti-che, la cui gravità e momento di insorgenza dipende dal grado di atresia;

●● distensione dell’addome superiore;●● stipsi;●● ittero.

Sezione 11.1 ¢ Malformazioni congenite e patologie rare del duodeno 3ISBN 978-88-08-32049-0

Capitolo 11

La diagnosi strumentale può essere effettuata mediante ecografia o Rx diretta dell’addome: caratteristica è l’im-magine a “doppia bolla”, corrispondente allo stomaco e duodeno distesi e separati dal piloro. La somministra-zione di mezzo contrasto per via orale non è necessaria e può aumentare i rischi di aspirazione tracheale.

La terapia è chirurgica mediante il confezionamento di un by-pass e quanto più precoce è l’intervento tan-to migliore è la prognosi. Il tipo di intervento dipende dalla sede dell’atresia e può essere condotto con tecnica open o videolaparoscopica. I possibili interventi sono:

●● duodenodigiunostomia, ●● gastrodigiunostomia (se l’atresia è localizzata nella

prima porzione duodenale),●● duodeno-duodenostomia.

La mortalità è di circa il 6% ed è spesso causata dalle altre malformazioni congenite associate.

11.1.3 CISTI DA DUPLICAZIONE DUODENALE

La cisti da duplicazione duodenale interessa nella mag-gioranza dei casi la parete mediale della seconda e terza porzione del duodeno e deriva dall’incompleta ricana-lizzazione del tratto alimentare durante la vita fetale. Si presenta come una lesione cistica ben circoscritta a contenuto liquido non comunicante con il lume duo-denale e risulta rivestita internamente da mucosa ed esternamente da uno strato muscolare. La cisti è gene-ralmente asintomatica costituendo un reperto occasio-nale durante esami radiologici dell’addome. La diagnosi differenziale si pone con le pseudocisti pancreatiche, le cisti mesenteriche e le cisti coledociche. Talvolta la cisti può provocare ostruzione biliare o pancreatite e andare incontro a rottura in seguito a un trauma. Raramente è stata segnalata l’insorgenza di adenocarcinoma all’in-terno della cisti: la presenza di vegetazioni o polipi alle indagini radiologiche, in particolare alla TC con mezzo di contrasto, devono indurre il sospetto di malignità.

11.1.4 DIVERTICOLI DUODENALI

Il duodeno, dopo il colon, è la porzione di tubo digerente dove si localizzano più frequentemente i diverticoli. Si riscontrano in circa il 5-10% di tutti gli esami endosco-pici e radiologici del digerente superiore. Si tratta nella maggioranza dei casi di diverticoli acquisiti da pulsione e quindi costituiti solo da mucosa e sottomucosa che erniano attraverso i punti di passaggio dei vasi pene-

tranti della parete duodenale. In circa il 90% dei casi i diverticoli si localizzano lungo la parete mediale della II e III porzione duodenale, a circa 2-5 cm dall’ampolla di Vater.

La diagnosi viene effettuata mediante esame endo-scopico, studio radiologico del digerente superiore con mezzo di contrasto per os oppure esame TC. Quest’ul-tima mette in evidenza una estroflessione sacculare del duodeno al cui interno vi può essere un livello idroae-reo o la presenza di materiale alimentare. Quando com-pletamente ripieni di materiale liquido, i diverticoli pe-riampollari pongono la diagnosi differenziale con le cisti pancreatiche o coledociche.

I diverticoli duodenali sono solitamente asintoma-tici. Nel 10% dei casi si può manifestare dolore di tipo colico postprandiale, mentre solo l’1% dei pazienti ri-chiede un trattamento per l’insorgenza di una compli-canza come l’emorragia, la diverticolite acuta e la per-forazione. Quest’ultima può determinare l’insorgenza di ascessi retroperitoneali o di fistole con il colon o la colecisti. I diverticoli periampollari possono comprime-re o dislocare la papilla di Vater e la testa del pancreas determinando l’insorgenza di stasi biliare, colangite e pancreatite acuta.

Un particolare tipo di diverticolo duodenale è quello intraluminale: deriva da una alterazione del processo embrionario di ricanalizzazione del lume duodenale ed è costituito da una membrana congenita dotata di una piccola apertura che all’esame radiologico si caratterizza per un’immagine cosiddetta “a manica a vento”. Se tale apertura risulta troppo piccola per consentire la fuori-uscita del materiale intraluminale si può determinare una ostruzione duodenale.

11.1.5 PANCREAS ANULARE Il pancreas anulare è una malformazione congenita ra-ra in cui un anello di tessuto pancreatico normale cir-conda completamente la II porzione duodenale. Tale anello è connesso direttamente alla testa pancreatica e deriva dalla incompleta rotazione dell’abbozzo pancre-atico ventrale durante lo sviluppo embrionario. Questa malformazione si associa spesso ad atresia del duode-no, fistole tracheo-esofagee, malrotazione del colon e sindrome di Down. Le forme sintomatiche si rendono evidenti durante l’infanzia con manifestazioni legate alla difficoltà di svuotamento gastrico (episodi di vo-mito postprandiale). Nell’adulto la malformazione è asintomatica e costituisce solitamente un reperto oc-casionale durante l’esecuzione di una TC o di una RM dell’addome.

4 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

Capitolo 11

11.1.6 SINDROME DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE

Questa rara sindrome è causa di occlusione duodenale per la compressione della terza porzione duodenale tra l’aorta e i vasi mesenterici, in particolare l’arteria me-senterica superiore. Una cospicua perdita di peso che riduce il tessuto adiposo retroperitoneale posto tra aorta e arteria mesenterica associato alla presenza di un lega-mento di Treitz molto corto e rigido che fissa il duodeno sembrano essere le due condizioni necessarie per ridurre l’angolo aorto-mesenterico e determinare l’insorgenza dell’occlusione duodenale. Si riconoscono poi altri fat-tori scatenanti quali l’immobilizzazione prolungata in posizione supina, una lordosi dorsale molto marcata e traumi o interventi sulla colonna vertebrale con appli-cazione di corsetti gessati.

La sintomatologia può essere acuta con distensione e dolore addominale cui fa seguito vomito biliare, oppure

cronica con dispepsia, dolore epigastrico ed episodi di vomito. In entrambe le forme, la sintomatologia clinica può attenuarsi con l’assunzione della la posizione prona o del decubito laterale sinistro.

L’esame radiologico con mezzo di contrasto per via orale mette in evidenza la distensione delle prime due porzioni duodenali fino a un punto di compressione ab estrinseco della terza porzione. La diagnosi definitiva è possibile mediante angio-TC che permette di dimostra-re la riduzione sia dell’angolo aorto-mesenterico (25°-60° in situazioni normali con riduzione a 6°-22° nella sindrome) che della distanza aorto-mesenterica (10-28 mm nel normale, 2-8 mm nella sindrome). Il trattamen-to è inizialmente conservativo mediante l’incremento ponderale e l’assunzione della posizione del decubito prono o laterale sinistro per prevenire l’insorgenza dei sintomi. Se tale trattamento è inefficace, si può ricorrere alla chirurgia mediante sezione del legamento di Treitz o il confezionamento di un by-pass mediante duode-no-digiunostomia.

11.2S E Z I O N E

PATOLOGIA PEPTICA Massimo Chiarugi, Ismail Cengeli (Università degli Studi di Pisa)

La patologia peptica raggruppa una serie di alterazioni anatomo-patologiche e di espressioni cliniche che tro-vano la loro base eziopatogenetica in uno squilibrio tra i fattori aggressivi per la mucosa duodenale e quelli di-fensivi. Si passa dalla duodenite erosiva limitata all’ero-sione dell’epitelio duodenale e caratterizzata da rapida e completa restituito ad integrum e quindi di rilevanza clinica minore, fino allo stadio finale di questa patologia, l’ulcera peptica duodenale, che si presenta come lesione focale distruttiva di diametro superiore a 3 mm che in-teressa la mucosa e spesso si può approfondire oltre la muscolaris mucosae interessando gli strati più profondi.

11.2.1 EPIDEMIOLOGIA

La prevalenza stimata della malattia peptica va dal 5 al 15% nella popolazione occidentale. Sebbene i tassi d’in-cidenza e di ospedalizzazione per ulcera peptica siano diminuiti a partire dagli anni Ottanta del secolo scor-so, questa rimane una delle patologie gastrointestinali a maggiore prevalenza e più costose. Mentre agli inizi del Novecento la diagnosi di ulcera peptica era rara, il numero è aumentato costantemente fino agli inizi degli anni Settanta. Da allora, negli Stati Uniti, Gran Bretagna ed Europa, l’incidenza delle ulcere, specie quelle duo-denali, è andata diminuendo. Anche il tasso dell’ospe-dalizzazione per le complicanze dell’ulcera è diminuito e questo ha portato a una significativa riduzione della

mortalità ulcera-correlata, dal 3,9% nel 1993 al 2,7% nel 2006. I motivi di queste variazioni epidemiologiche so-no da ricercarsi principalmente nell’introduzione nel-la pratica clinica di una terapia farmacologica efficace (antagonisti dei recettori H2 e, successivamente, inibitori della pompa protonica (IPP), farmaci capaci di azione citoprotettiva sulla mucosa) e nella diminuita diffusio-ne dell’infezione da Helicobacter pylori (HP), che cer-tamente ha un ruolo importante nella patogenesi della malattia peptica. Infatti, l’infezione ha subìto una rile-vante contrazione non solo per la frequente attuazione di terapia antibiotica mirata alla sua eradicazione, ma anche per l’enorme diffusione attuale della terapia anti-biotica aspecifica, della quale spesso si abusa.

L’ulcera duodenale ha una frequenza 4 volte maggio-re rispetto a quella gastrica e il rapporto maschi/fem-mine è di circa 3/1. L’età più colpita è più bassa per l’ulcera duodenale (30-40 anni) che per l’ulcera gastrica (50-70 anni). Anche se c’è stata una diminuzione sostan-ziale, il numero stimato di decessi attribuibili alla ma-lattia peptica nel 2010 è stato circa 246 000: facendo dei paragoni, sette volte il tasso di mortalità per appendicite acuta, e simile al tasso di mortalità per tumore alla pro-stata negli uomini e per tumore ovarico e della cervice uterina nelle donne. Quasi il 70% dei decessi per ulcera peptica sono attribuibili alla perforazione della stessa.

EziopatogenesiLa patogenesi della malattia peptica duodenale può es-sere considerata come uno squilibrio tra fattori difensivi

6 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

Capitolo 11

(produzione di muco-bicarbonato da parte delle cellule della mucosa, l’effetto citoprotettivo delle prostaglandi-ne, integrità della mucosa e la sua rigenerazione cellula-re, la vascolarizzazione della mucosa) e fattori aggressivi (aumento della secrezione di acido cloridrico, aumenta-ta secrezione di pepsina, l’etanolo, sali biliari, farmaci) per la mucosa duodenale.

Questa patologia può essere divisa in tre principali categorie:

●● HP-correlata,●● FANS-correlata,●● non-HP-correlata e non-FANS-correlata.

Malattia peptica HP-correlataStudi epidemiologici rivelano un’associazione mol-to forte tra l’infezione da HP e la malattia peptica. Più della metà della popolazione mondiale ha un’infezione cronica da HP della mucosa gastroduodenale, ma solo il 5-10% sviluppa ulcere. Si stima che il 90% delle ulcere duodenali e il 75% delle ulcere gastriche siano associati a infezione da HP.I tre principali meccanismi con cui l’HP provoca un danno a livello della mucosa gastrointestinale sono:

●● la produzione di sostanze tossiche, che provocano un danno tissutale locale. I mediatori tossici prodotti localmente comprendono i prodotti di degradazione che provengono dall’attività dell’ureasi (per es., am-monio), di citotossine, della mucinasi che degrada il muco e le glicoproteine, delle fosfolipasi che danneg-giano le cellule epiteliali e le cellule mucipare, e fatto-ri attivanti le piastrine, che sappiamo essere causa di danno mucosale e di trombosi del microcircolo. Fra le numerose tossine prodotte da HP quelle più impor-tanti sono la citotossina VacA e la citotossina CagA;

●● l’induzione di una risposta immunitaria locale. L’HP può causare una risposta infiammatoria locale nella mucosa gastrica, richiamando neutrofili e mo-nociti, che poi producono citochine pro-infiammato-rie e metaboliti reattivi dell’ossigeno. Il batterio pro-duce, infatti, numerose sostanze antigeniche come l’ureasi e i lipopolisaccaridi che attivano linfociti T e macrofagi nella mucosa con conseguente liberazio-ne da parte di questi di citochine pro-infiammatorie quali IL-1β, IL-6 e IL-8 che perpetuano una risposta immunitaria di tipo acuto seguita da una risposta di tipo cronico. L’infezione da HP induce inoltre una risposta anticorpale sistemica e locale caratterizzata dalla produzione di IgA, IgM, IgG, il cui ruolo nella modulazione dell’infiammazione e del danno tissu-tale è ancora oggi sconosciuto. Ciò che è noto è la loro inefficacia nell’eliminazione dell’infezione. Si presume che la risposta immunitaria acuta e cronica

sia facilitata da cellule Th1 che promuovono una ca-scata immunogenetica che risulta nell’attivazione di clusters di cellule T CD8+ producenti autoanticorpi con un conseguente danno alla mucosa di tipo cel-lulo-mediato;

●● nei pazienti con infezione da HP, i livelli di gastrina basali e in seguito a stimolazione sono significativa-mente aumentati. L’HP è un potente produttore di ureasi che è in grado di scindere l’urea in ammonio e bicarbonato, creando un microambiente alcalino che protegge il microrganismo dall’ambiente acido. L’ambiente alcalino indotto dal batterio sulla super-ficie epiteliale e nelle ghiandole dell’antro inibisce le cellule D nel rilevamento del vero grado di acidità che porta al rilascio inadeguato di somatostatina e conse-guente ipergastrinemia. Questo dato può essere spie-gato anche dalla riduzione, a causa dell’infezione da HP, del numero di cellule D antrali. Inoltre la produ-zione di ammonio, in alte concentrazioni può portare alla formazione di complessi tossici, quale il cloruro di ammonio, che, insieme alle fosfolipasi batteriche A e C danneggiano lo strato ricco di fosfolipidi della mucosa che mantiene l’idratazione e l’integrità della barriera della mucosa gastrica.

La malattia peptica duodenale si associa in genere a una gastrite cronica antrale, in assenza di atrofia delle ghian-dole ossintiche acido-secernenti. Questo pattern di di-stribuzione della gastrite si associa, nella maggior parte dei soggetti con ulcera duodenale, a un’ipersecrezione acida gastrica, conseguenza di un’aumentata secrezione di gastrina che determinerebbe lo sviluppo, nel bulbo duodenale, di aree di metaplasia gastrica, come rispo-sta all’aumentato carico acido duodenale. L’HP presen-te nello stomaco può quindi colonizzare le aree di me-taplasia gastrica duodenale con conseguente ‘aumentata suscettibilità della mucosa all’acido e predispone allo sviluppo di duodenite fino all’ulcera peptica duodenale. 

Malattia peptica FANS-correlataL’assunzione cronica di FANS o aspirina a basse dosi è la più frequente causa di malattia peptica non HP-correla-ta ed è responsabile di circa il 15% delle ulcere gastriche e del 5% delle ulcere duodenali.

L’1% della popolazione generale fa uso quotidiano di FANS assunti non solo su prescrizione medica, ma anche come automedicazione; va considerata inoltre la sempre più diffusa prescrizione di aspirina a basse dosi per la prevenzione dell’infarto cardiaco e degli eventi ischemici cerebro-vascolari. Il 25% dei consumatori abi-tuali di FANS svilupperà un’ulcera peptica e il 2-4% una complicanza come emorragia o perforazione. I FANS danneggiano la mucosa gastrica attraverso un’azione topica e un’azione sistemica. 

Sezione 11.2 ¢ Patologia peptica 7ISBN 978-88-08-32049-0

Capitolo 11

L’azione lesiva topica deriva dalle modificazioni delle proprietà biochimiche dello strato di muco che riveste la superficie della mucosa gastrica. Il legame tra il far-maco e i fosfolipidi costituenti il muco aumenta infatti la permeabilità del muco con retrodiffusione degli H+ e danno della mucosa da parte dell’acido gastrico. 

L’azione lesiva sistemica dei FANS, dimostrata dal-la comparsa di ulcere gastroduodenali dopo sommini-strazione parenterale di tali farmaci, è invece esplicata attraverso l’inibizione degli enzimi COX, che permet-tono la sintesi delle prostaglandine a partire dall’acido arachidonico. La COX-1 è una forma presente costitu-tivamente in alcuni tessuti tra i quali la mucosa gastrica ed è responsabile delle prostaglandine fisiologiche che proteggono l’integrità della mucosa stessa. Esse stimola-no la secrezione di muco e bicarbonati, il mantenimento di un adeguato flusso ematico della mucosa, regolano il turnover cellulare e i sistemi di riparazione. La COX-2 è invece una forma inducibile dell’enzima, la cui sintesi è stimolata da insulti flogogeni. Essa è infatti respon-sabile della sintesi di prostaglandine infiammatorie. I FANS inibiscono in modo non selettivo sia la COX-1 che la COX-2. L’inibizione delle ciclossigenasi (COX-1 e COX-2) causerebbe un’aderenza dei neutrofili alla mu-cosa gastrica responsabili del danno, provocando rila-scio di radicali liberi dell’ossigeno, rilascio di proteasi e riduzione del flusso sanguigno capillare.

Altre cause di malattia pepticaNel 3-5% dei casi l’ulcera peptica non è causata né da HP né dall’assunzione di FANS o aspirina. In questi casi può essere provocata da condizioni patologiche che de-terminano un aumento della secrezione acida, come la Sindrome di Zollinger-Ellison, la mastocitosi sistemica, la sindrome di Cushing o può essere idiopatica.

11.2.3 ANATOMIA PATOLOGICA

L’ulcera peptica duodenale si localizza quasi esclusiva-mente nel bulbo duodenale, entro 3 cm dal piloro. La parete anteriore è la sede più frequentemente interes-sata; seguono in ordine di frequenza la parete posterio-re, il margine superiore e il margine inferiore del bulbo duodenale. La presenza di ulcere post-bulbari di solito disposta sul margine mediale immediatamente sopra l’ampolla di Vater deve fare sospettare la presenza di sindrome di Zollinger-Ellison o di neoformazione ulce-rata maligna. Di solito presenta diametro medio di circa 1 cm. Si presenta come lesione focale singola ma a volte vi può essere una duplice localizzazione in posizione af-frontata (kissing ulcers). Si presenta come lesione roton-da od ovalare con margini netti su mucosa iperemica,

con fondo liscio e deterso e si estende in profondità alla sottomucosa e oltre, diversamente per quanto avviene nella duodenite erosiva dove il danno non supera mai la muscolaris mucosae.

La localizzazione dell’ulcera è responsabile anche del-le sue eventuali complicanze. Infatti le ulcere della parete anteriore vanno incontro più facilmente a perforazione libera in peritoneo. Tale complicanza è più frequente che nelle ulcere peptiche gastriche in quanto la parete duodenale presenta uno strato muscolare in meno ri-spetto alla parete gastrica. Le ulcere della parete poste-riore invece possono penetrare nella testa del pancreas dando origine a pancreatite acuta o penetrare nei tessuti periduodenali ed erodere rami collaterali dell’arteria ga-stroduodenale andando a definire la cosiddetta ulcera peptica sanguinante.

11.2.4 SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI

In alcuni casi la malattia peptica del duodeno è com-pletamente silente e si può manifestare con una com-plicanza, più frequentemente emorragica. Solitamente invece si presenta con dolore sordo, urente, talvolta ri-ferito come senso di fastidio o di fame. Si localizza in epigastrio o a destra della linea mediana e si può irra-diare alla spalla destra o in regione dorso-lombare a se-conda della localizzazione dell’ulcera. Quest’ultima può essere segno dell’approfondirsi dell’ulcera nel pancreas. Il dolore insorge tipicamente dopo circa 3 ore dai pasti (post-prandiale tardivo) e in molti casi è responsabile di risvegli notturni del paziente. In altri casi il dolore può avere caratteristiche meno specifiche e può essere accompagnato o sostituito da altri sintomi dispeptici come senso di ripienezza post-prandiale, digestione len-ta, nausea talvolta accompagnata da vomito indotti da modificazioni funzionali del piloro oppure da stenosi cicatriziale dello stesso. La sintomatologia si presenta in modo ricorrente. Questi pazienti possono presenta-re periodi sintomatici della durata di giorni o settimane alternati con remissioni che possono durare mesi o anni cosi come possono presentare recrudescenza stagionale in primavera o autunno. In caso di dolore non perio-dico e persistente o in caso di brusche modificazioni della sintomatologia sospettare sempre l’insorgenza di neoplasia o di una complicanza.

L’esame obiettivo dell’addome, in assenza di compli-canze, può essere muto o rilevare lieve dolorabilità in ipocondrio destro. L’esame endoscopico è l’indagine di prima scelta nella diagnosi della malattia peptica del duo-deno. Oltre a permettere una diagnosi visiva, l’endosco-pia consente anche di eseguire prelievi bioptici multipli nell’antro e nel corpo gastrico che permettono di fare dia-

8 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

Capitolo 11

gnosi d’infezione da HP mediante il test rapido dell’urea-si (sensibilità e specificità > 90%) e l’esame istologico (sensibilità e specificità > 95%). La sensibilità di questi test diagnostici per la ricerca dell’HP può essere ridotta dalla recente assunzione di potenti antisecretori, come gli IPP, o di antibiotici, che, riducendo marcatamente la ca-rica batterica, possono provocare dei falsi negativi, quin-di tutti questi test devono essere eseguiti dopo almeno due settimane dalla sospensione dell’IPP e dopo almeno 4 settimane dalla sospensione dell’antibiotico. L’esame radiologico con mezzo di contrasto baritato, ormai in disuso nella pratica diagnostica, può evidenziare nel caso di ulcera peptica un’immagine di plus con convergenza delle pliche mucose o può evidenziare alcuni segni indi-retti di malattia peptica come lo spasmo o l’eccentricità del piloro. Può essere utile invece nella stenosi cicatriziale del piloro per valutare la sede e la lunghezza della stenosi. Inoltre l’esame radiologico con mezzo di contrasto iodato idrosolubile può essere utile nella diagnosi e follow-up di ulcera peptica con perforazione coperta.

11.2.5 COMPLICANZE

L’incidenza della malattia peptica è diminuita nel corso degli ultimi anni a seguito di una terapia farmacologica più mirata e una maggiore comprensione della sua ezio-patogenesi. Invece l’incidenza delle complicanze dell’ul-cera peptica, vale a dire la perforazione, il sanguinamento e la stenosi cicatriziale, risulterebbe essere invariata. La migliore gestione diagnostico-terapeutica della malattia peptica ha praticamente eliminato la necessità di un in-tervento chirurgico definitivo di acido-riduzione, come le vagotomie, la resezione gastrica e gli interventi chirur-gici derivativi per stenosi cicatriziale della prima porzio-ne duodenale. Un largo uso di aspirina e FANS e la quasi scomparsa della chirurgia elettiva definitiva per l’ulcera peptica potrebbero spiegare l’aumento di incidenza rela-tiva dell’ulcera peptica complicata negli ultimi vent’anni.

PerforazioneSi verifica per l’erosione progressiva della parete duode-nale in seguito alla penetrazione dell’ulcera attraverso la parete. L’ulcera peptica perforata è la seconda perfora-zione di viscere cavo più frequente, dopo la perforazione da appendicite acuta, in cui è necessario un intervento chirurgico d’urgenza. I tassi di incidenza annuale sti-mati sono 3,8-14/100 .000 abitanti. Nella maggior par-te dei casi la perforazione interessa la prima porzione duodenale (60%), nel 20% l’antro e nel rimanente 20% la piccola curva gastrica. Circa il 25% delle ulcere pep-tiche perforate può essere attribuito all’uso di FANS, un

fattore di rischio di particolare importanza negli anziani. Complica il 5-10% delle ulcere peptiche ed è responsa-bile del 70% dei decessi da ulcera peptica.

La maggior parte di ulcere peptiche perforate si loca-lizzano sulla parete anteriore del bulbo. Il motivo è da ricercare nella posizione anatomica in quanto la parete anteriore della prima porzione duodenale risulta libe-ra in cavità peritoneale e non risulta adiacente a vasi di calibro significativo. In caso di ulcere croniche però la reazione infiammatoria della sierosa viscerale può cre-are aderenze con tessuti contigui (colon ed epiploon) prima che si verifichi la perforazione e successivamente può svilupparsi il quadro di una perforazione coperta.

Il quadro clinico dell’ulcera peptica perforata è quello di una peritonite acuta. Fino a circa 5-6 ore dalla per-forazione siamo di fronte a una peritonite chimica do-vuta alla fuoriuscita di materiale gastro-duodenale. La via di diffusione è quella anatomica, il materiale scolla lungo la doccia parietocolica destra per poi diffondersi a tutto l’addome. Dopo le 6 ore fino a 12 ore abbiamo una progressione della peritonite dovuto alla diluizione del materiale in quanto si mescola col siero prodotto dal peritoneo e successivamente siamo di fronte a una peri-tonite purulenta diffusa (Figure 11.1 e 11.2)

Il dolore è tipico e viene descritto come “pugnalata” in epigastrio o ipocondrio destro per poi diffondersi ini-zialmente in fianco destro e fossa iliaca destra e successi-vamente a tutto l’addome. Al dolore possono associarsi conati di vomito improduttivo. La febbre compare entro poche ore. Il paziente si presente spesso in posizione antalgica per detendere i muscoli dell’addome. L’esame obiettivo dell’addome presenta reazione di difesa dif-fusa che impediscono una palpazione adeguata “addo-me a tavola”. La percussione a volte può evidenziare la scomparsa dell’aia di ottusità epatica. La peristalsi risulta assente in quanto siamo di fronte a un quadro di ileo paralitico riflesso. Se il paziente viene visitato a distanza dall’evento possiamo già trovare segni di shock settico come cute pallida e sudata, ipotensione e tachicardia.

Agli esami ematochimici ci sarà leucocitosi prevalen-temente neutrofila. La diagnosi deve essere confermata mediante una radiografia diretta dell’addome per la ri-cerca di una falce d’aria tipica dello pneumoperitoneo (sensibilità del 74%). Se il sospetto clinico è forte e non viene confermato dalla radiografia diretta dell’addome sarebbe opportuno eseguire una TC dell’addome con mezzo di contrasto che può evidenziare alcuni segni ti-pici della perforazione del tratto gastroduodenale come lo pneumoperitoneo (sensibilità 92-96%), microbolle aeree nella retrocavità degli epiploon e nel legamento epato-duodenale e versamento sottodiaframmatico de-stro e sottoepatico-parietocolico destro (Figura 11.3)All’ammissione il paziente necessita di un adeguato supporto idro-elettrolitico endovenoso. È necessario

Sezione 11.2 ¢ Patologia peptica 9ISBN 978-88-08-32049-0

Capitolo 11

il posizionamento di un sondino naso-gastrico per de-tendere le prime vie digestive e ridurre al minimo lo spandimento del contenuto gastroduodenale. Inoltre è necessario impostare un’adeguata terapia antibiotica empirica ad ampio spettro e antisecretiva mediante IPP per via endovenosa.

Il paziente deve essere immediatamente preparato per intervento chirurgico. Come nella maggior parte delle complicanze dell’ulcera peptica duodenale la te-rapia chirurgica è limitata nella cura della complicanza e non della malattia in sé, essenzialmente a causa dell’ef-ficacia della successiva terapia medica antisecretiva ed eradicante l’HP. In questi casi la semplice raffia dell’ul-cera perforata con eventuale patch omentale è diventa-ta la terapia chirurgica di prima scelta. La laparoscopia d’urgenza, in questi casi, è un’opzione attraente in quan-to non solo ha un ruolo diagnostico nell’identificare la sede della perforazione ma può essere efficace nell’ese-guire un’eventuale raffia, nell’eseguire un ampio e ac-curato lavaggio della cavità peritoneale (Figura 11.4). Diversi studi hanno dimostrato che questi pazienti pos-sono giovarsi dei vantaggi della laparoscopia, quali mi-nor dolore post-operatorio, una degenza ospedaliera più breve e un ritorno all’attività lavorativa più veloce e infi-ne una migliore cosmesi. Pazienti invece che si presen-tano in stato di shock presentano una controindicazione alla laparoscopia che di per sé provoca una riduzione del ritorno venoso, e quindi dovranno andare incon-tro a raffia laparotomica. I pazienti in cui l’intervento chirurgico definitivo (gastroresezione, vagotomia) per ulcera peptica perforata dovrebbe essere preso in consi-derazione sono quelli con ulcera perforata recidivante o con ulcera perforata maggiore di 2,5-3 cm di diametro.

Il rischio di mortalità (6-30%) e di morbidità (21-43%) correlati alle ulcere peptiche perforate purtroppo non sono cambiati nel corso degli ultimi decenni. Il tasso di mortalità a causa dell’ulcera peptica perforata è 10 volte superiore rispetto ad altre patologie addominali acute quali l’appendicite acuta e colecistite acuta. Sulla base di dati provenienti da 11 studi europei, ci sono tra 4750 e 17 750 decessi per perforazione di ulcera peptica ogni anno. La mortalità sembra correlata alla presenza di se-gni di shock al momento del ricovero, alle comorbidità del paziente, all’età e al tempo passato tra l’evento della perforazione e l’inizio dell’intervento chirurgico.

EmorragiaIl sanguinamento è la complicanza più frequente dell’ul-cera peptica; compare in circa 15-20% dei portatori di ulcera peptica gastroduodenale. Il sanguinamento da ulcera peptica è la causa più comune di sanguinamento digestivo superiore, 31-67% dei casi. Il sanguinamento da ulcera peptica duodenale è leggermente più frequente

di quello da ulcera peptica gastrica. Diversi studi hanno evidenziato un calo significativo del sanguinamento da ulcera peptica molto probabilmente dovuto alla diminu-zione di colonizzazione da HP come esito della terapia antibiotica eradicante cosi come alla diffusione di te-rapia con IPP sia in modo aspecifico sia nei pazienti in terapia cronica con FANS o cortisonici. Dall’altra parte però, il paziente con ulcera peptica sanguinante tende a essere sempre più anziano, con comorbidità importanti e in trattamento cronico con FANS e terapia antiaggre-gante. Di riflesso il sanguinamento in questi pazienti ha un notevole impatto nella morbidità e mortalità.

La sede per eccellenza dell’ulcera peptica duodenale sanguinante è la parete posteriore dove l’ulcera appro-fondendosi nella parete erode rami arteriosi dell’arteria gastroduodenale e a volte anche l’arteria stessa. L’emor-ragia acuta si manifesta con ipotensione, anemizzazio-ne acuta e melena. Il paziente può riferire lipotimia e presentare cute pallida, polso esile e tachicardia. Nelle

Figura 11.1 ¢ Peritonite acuta da ulcera duodenale perforata.

Figura 11.2 ¢ Peritonite acuta purulenta in corso di laparoscopia d’urgenza per ulcera peptica duodenale perforata.

10 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

Capitolo 11

emorragie copiose compare anche ematemesi come esi-to di distensione gastrica, cosi come può esserci anche enterorragia come risultato dell’iperperistalsi, conse-guenza del passaggio di sangue nell’intestino.

L’esame obiettivo dell’addome è raramente signifi-cativo.

All’ammissione l’obiettivo principale è il ripristino della volemia inizialmente con cristalloidi. Pazienti con san-guinamento in atto, con anemizzazione importante e pazienti a rischio di ipoperfusione tissutale (pazienti car-diopatici con bassa frazione d’eiezione) devono essere sottoposti a emotrasfusione d’urgenza. Questi pazienti beneficiano inoltre di terapia infusionale endovenosa continua di IPP per almeno 72 ore. Sarebbe utile anche la correzione dello stato coagulativo in pazienti in tera-pia con anticoagulanti orali, di solito mediante plasma fresco congelato.

Il posizionamento di un sondino naso-gastrico di grosso calibro permette di vedere se c’è un sanguina-mento in atto (portata di sangue rosso vivo) anche se a volte i pazienti con sanguinamento digestivo dal duo-deno possono non avere tracce di sangue nello stomaco. Inoltre permette di monitorare la ripresa di eventuale sanguinamento dopo terapia endoscopica.

Il trattamento di questi pazienti mediante endoscopia operativa ormai è validato ed è associato con riduzio-ne di emotrasfusioni e riduzione dell’ospedalizzazione, La gestione non operativa che consiste nell’endoscopia operativa d’urgenza, eventuale radiologia interventisti-ca e terapia medica (IPP per via endovenosa) ha dimi-nuito il ruolo della chirurgia d’urgenza in meno del 2% dei pazienti. Le ulcere sanguinanti vengono considera-

Figura 11.4 ¢ Ulcera duodenale perforata: alcune fasi della raffia duodenale eseguita con tecnica laparoscopica.

Figura 11.3 ¢ TC addome con mezzo di contrasto in caso di perforazione di ulcera duodenale: le frecce indica-no pneumoperitoneo e versamento sottodiaframmatico e microbolle nel legamento epato-duodenale e retrocavità.

Sezione 11.2 ¢ Patologia peptica 11ISBN 978-88-08-32049-0

Capitolo 11

te ormai prevalentemente come un’urgenza medica. Il trattamento endoscopico può essere iniettivo (iniezione sottomucosa di adrenalina), termico (coagulazione mo-nopolare o bipolare o coagulazione con argon plasma) e meccanico (clip metalliche). Recentemente è stato in-trodotto un altro metodo di emostasi endoscopica me-diante lo spruzzo di un collante sotto forma di polvere a ricoprire l’ulcera sanguinante i cui risultati sembrano ottimi. Fattori di rischio di recidiva di sanguinamento entro 48 ore dall’endoscopia operativa sono instabilità emodinamica all’ammissione, la presenza di comorbi-dità importanti, sanguinamento attivo e la presenza di ulcera gigante del duodeno.

L’embolizzazione arteriosa in corso di angiografia operativa eseguita per via percutanea potrebbe essere un’alternativa in ospedali attrezzati.

Il ruolo della chirurgia durante un’emorragia acuta è ora limitato ai pazienti con un sanguinamento persi-stente o quelli in cui la terapia endoscopica non riesce a eseguire una adeguata emostasi per motivi tecnici, o in pazienti con un sanguinamento recidivo dopo un se-condo tentativo endoscopico. In tal caso si rende ne-cessaria una duodenotomia longitudinale a carico del bulbo che può essere allargata al piloro e più a monte in caso di incertezza del sanguinamento. Attraverso la duodenotomia è possibile vedere il vaso beante (ramo dell’arteria gastroduodenale o a volte l’arteria gastroduo-denale) sulla base dell’ulcera che viene suturato con filo non riassorbibile. La duodeno-pilorotomia viene sutu-rata in modo trasversale in modo da non creare stenosi del lume (piloroplastica).

StenosiLa stenosi cicatriziale della prima porzione duodenale si verifica nel 6-8% dei pazienti con ulcera peptica duo-denale. Viene provocata da flogosi cronica del tessuto adiacente all’ulcera con repentini episodi di guarigione che provocano produzione di tessuto cicatriziale con-tinuo a infiltrare anche il piloro in maniera circonfe-renziale.

In presenza di stenosi modesta il paziente può lamen-tare dispepsia e senso di ripienezza precoce. Sintomi che si possono aggravare e può comparire anche vomito nel-le fasi di recrudescenza della malattia come esito anche della stenosi funzionale del piloro che si sovrappone alla stenosi organica. A lungo andare lo stomaco all’inizio riesce a compensare mediante ipertrofia degli strati mu-scolari per poi comparire atonia gastrica con scompenso gastrico definitivo. Compare vomito alimentare sempre più frequente. Si instaura un calo ponderale. Allo stadio definitivo i pazienti si presentano con squilibrio impor-tante idro-elettrolitico, disidratati con alcalosi metabo-lica come conseguenza del vomito persistente.

In questi pazienti è dirimente l’esecuzione di un’endo-scopia digestiva superiore per escludere neoformazioni stenosanti maligne e per diagnosticare eventuale colo-nizzazione da HP. Infatti in presenza di infezione da HP la dilatazione della stenosi mediante balloon per via endoscopica associata a terapia eradicante per l’HP ha evidenziato ottimi risultati a breve-medio termine. Nel caso di pazienti non-responder andrebbe presa in con-siderazione il trattamento chirurgico che consiste nella gastroresezione distale e gastro-digiuno anastomosi su ansa digiunale a Y secondo Roux.

11.2.6 TERAPIA MEDICA

Prima della scoperta dell’infezione da HP, la terapia della malattia peptica si basava esclusivamente sull’uso di far-maci antisecretori che riducendo l’acidità intragastrica, erano in grado di alleviare i sintomi, ma non di modifica-re la storia naturale della malattia ulcerosa, caratterizzata dalla recidiva nell’80% dei casi entro un anno. Oggi la te-rapia medica dell’ulcera peptica comprende farmaci che appartengono a tre principali categorie: quelli che hanno come target l’eradicazione di HP, quelli che riducono i livelli di acido tramite la riduzione della secrezione o la neutralizzazione chimica e quelli che incrementano la barriera protettiva della mucosa. Nei pazienti con ulcera peptica e infezione da HP, la terapia si focalizza sull’era-dicazione del batterio. Oltre alla terapia farmacologica, alcuni cambiamenti dello stile di vita, come la cessazione dell’abitudine al fumo, l’interruzione dell’assunzione di FANS e di aspirina e l’astinenza dall’assunzione di caffè e alcool, insieme favoriscono la guarigione dell’ulcera.

Gli antiacidi sono stati i primi farmaci a essere utiliz-zati nella terapia dell’ulcera peptica. Essi riducono l’aci-dità gastrica reagendo con l’acido cloridrico, formando un sale e alcalinizzando così il pH gastrico. I diversi tipi di antiacidi differiscono ampiamente tra loro per po-tere tamponante, assorbimento, sapore ed effetti col-laterali. Sebbene gli antiacidi possano guarire le ulcere duodenali con un’efficacia comparabile a quella osser-vata per gli antagonisti dei recettori H2, molti pazienti ne hanno trovato intollerabile l’assunzione frequente di dosi elevate.

Gli antagonisti dei recettori H2 sono strutturalmente simili all’istamina. Studi randomizzati hanno dimostra-to che l’uso di antagonisti dei recettori H2 produce un aumento del tasso di guarigione dell’ulcera duodenale dal 70 all’80% dopo 4 settimane e dall’80 al 90% dopo 8 settimane di terapia.

Gli IPP sono i più potenti agenti antisecretivi: essi im-pediscono ogni tipo di secrezione acida da tutti i tipi di secretagoghi. Come risultato, inducono una più comple-ta e prolungata inibizione della secrezione acida rispetto

12 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

Capitolo 11

agli antagonisti dei recettori H2. Gli IPP determinano un tasso di guarigione dell’85% a 4 settimane e del 96% a 8 settimane e inducono una guarigione più rapida ri-spetto agli antagonisti dei recettori H2. Necessitano di un ambiente acido all’interno del lume gastrico per essere at-tivati, quindi antiacidi e antagonisti dei recettori H2 non devono essere usati in combinazione con gli IPP. Sono i farmaci più efficaci nel trattamento delle ulcere peptiche non HP correlate, delle ulcere peptiche da FANS e nella prevenzione delle recidive e delle complicanze.

Il sucralfato, che fa parte della classe dei citoprotet-tori, è un sale di alluminio del saccarosio solfato che si dissocia nell’ambiente acido dello stomaco. È stato ipo-tizzato che il saccarosio polimerizzi e si leghi a proteine nel cratere dell’ulcera per produrre un rivestimento pro-tettivo che duri circa 6 ore. È stato anche suggerito che possa legare e concentrare il fattore endogeno basico di crescita per i fibroblasti, che sembra essere importante per la guarigione della mucosa. La guarigione dell’ulcera duodenale dopo 4 - 6 settimane di trattamento con su-cralfato è superiore a quella che si osserva con placebo e comparabile a quella che si ottiene con antagonisti del recettore H2 come la cimetidina.

Quando divenne chiaro che l’aumento della secre-zione acida era un effetto dell’infezione da HP, si iniziò a vedere la malattia peptica come una malattia infetti-va; di conseguenza il trattamento iniziò a focalizzarsi sull’eradicazione dell’agente infettivo. L’eradicazione del batterio aiuta nella guarigione iniziale, ma la sua effica-cia primaria è nella prevenzione della recidiva. L’era-dicazione dell’HP ha mostrato un tasso di recidiva del 2% e una guarigione iniziale del 90%, contro il tasso di recidiva del 25% nel caso del solo trattamento con far-maci anti-ulcera. Il trattamento della malattia peptica duodenale HP-correlata è una terapia antibiotica volta all’eradicazione del batterio, assieme alla soppressione acida. Come antagonista della secrezione acida solita-mente è utilizzato un IPP, sebbene talvolta siano ancora utilizzati anche gli antagonisti dei recettori H2, insieme a due antibiotici, di solito amoxicillina con claritromicina o metronidazolo, per due settimane.

11.2.7 TERAPIA CHIRURGICA

Il ruolo della chirurgia definitiva per la malattia pep-tica (piloroplastica con vagotomia, resezione dell’an-tro gastrico) e per le sue complicanze è diminuita radi-calmente negli ultimi decenni, essenzialmente a causa dell’efficacia dei farmaci antisecretori e dei farmaci per l’eradicazione dell’HP. Le attuali indicazioni per il trat-tamento chirurgico sono le ulcere peptiche complicate, ma non la malattia peptica, il che significa che l’obiettivo primario e più importante è il trattamento delle com-

plicanze e non necessariamente la cura della malattia. La guarigione e il tasso di recidiva sono ragionevoli se i pazienti dopo il trattamento chirurgico della compli-canza vengono trattati con IPP o antagonisti del recet-tore H2 e terapia eradicante per l’HP. Inoltre, l’aumento dell’età, delle comorbidità e di conseguenza del rischio chirurgico dei pazienti con ulcera peptica complicata, li rendono candidati meno idonei per una chirurgia defi-nitiva. I pazienti in cui l’intervento chirurgico definitivo per ulcera peptica dovrebbe essere preso in considera-zione sono quelli con ulcera peptica duodenale perforata maggiore di 25-30 mm di diametro, pazienti con ulcere recidivanti nonostante la triplice terapia e pazienti con scarsa compliance al trattamento medico.

La resezione gastroduodenale si rende necessaria nelle ulcere perforate della prima porzione duodenale con diametro tale da non permettere la raffia semplice. In questi casi si esegue una resezione della prima porzio-ne duodenale e dell’antro gastrico con ricostruzione me-diante gastro-digiuno anastomosi su ansa a Y secondo Roux. L’obiettivo di questo intervento consiste nel fare cascare il margine di resezione del duodeno su tessuto non patologico e quindi cercando di spostare tale mar-gine il massimo possibile verso il ginocchio superiore del duodeno. Le difficoltà di questa manovra consistono in un mancato piano di clivaggio del duodeno dal margine superiore della testa del pancreas dove compaiono anche i vasi perforanti del duodeno e nell’isolare abbastanza tessuto duodenale tale da permettere l’affondamento della rima di sezione in sicurezza. Infatti una delle com-plicanze di questo intervento è la formazione di ascesso sottoepatico da deiscenza dell’affondamento della rima di sezione duodenale.

Le vagotomie ormai quasi in disuso sono state so-stituite dalla efficace terapia antisecretiva medica. Tale procedura mira ad abolire gli stimoli vagali che arrivano all’antro gastrico dove stimolano la produzione di HCL e la produzione di gastrina. La vagotomia tronculare comporta la sezione dei nervi vaghi subito al di sotto dello iato esofageo. Si verifica una completa denervazio-ne gastrica con conseguente atonia e mancato control-lo del rilascio del piloro. Infatti viene sempre associata una piloroplastica. L’atonia gastrica continua fino alla ripresa spontanea dell’attività peristaltica in seguito alla comparsa di attività nervosa del plesso intrinseco auto-nomo dello stomaco. Inoltre circa 2/3 di questi pazienti presentano diarrea persistente nella maggior parte dei casi controllabile con terapia medica. La vagotomia se-lettiva evita una sindrome post-vagotomica e consiste nella sezione dei nervi vaghi poco dopo la biforcazione in ramo gastrico e ramo extragastrico. Invece con la va-gotomia superselettiva vengono sezionati in prossimità della parete solo i rami per i 2/3 prossimali dello stomaco ottenendo cosi la denervazione della parte acido-secer-nente conservando l’innervazione dell’antro e del piloro.

11.3S E Z I O N E

TUMORI Fabio Cianchi e Giuliano Perigli (Università degli Studi di Firenze)

11.3.1 TUMORI BENIGNI

AdenomiEpidemiologiaGli adenomi rappresentano la più frequente tipologia di polipi a livello duodenale, seguiti dai polipi infiam-matori, dagli adenomi delle ghiandole di Brunner e dai polipi amartomatosi. Gli adenomi del duodeno possono essere sporadici oppure associati a sindromi genetiche, in particolare la poliposi adenomatosa familiare (FAP). Gli adenomi duodenali sporadici rappresentano una pa-tologia rara: la prevalenza degli adenomi non ampollari è inferiore allo 0,5% mentre quella delle forme peri-am-pollari (entro 2 cm dalla papilla di Vater) è valutata tra lo 0,04 e lo 0,12%. La maggior parte delle forme non ampollari si localizzano sulla parete posteriore o laterale della II porzione duodenale.

Similarmente agli adenomi del colon, anche quelli duodenali presentano una potenziale evoluzione verso la malignità per cui il loro trattamento assume grande importanza. La progressione da adenoma con displasia di basso grado a carcinoma è più lenta rispetto alle forme coliche, potendo durare fino a 15-20 anni. Tuttavia, le forme di dimensioni maggiori di 2 cm, quelle che presen-tano una displasia di alto grado e le forme ampollari pre-sentano un più alto rischio di trasformazione maligna.

Gli adenomi duodenali sono presenti in circa il 90% dei pazienti affetti da FAP, una sindrome poliposica auto-somica dominante caratterizzata dalla mutazione ger-minale del gene APC (adenomatous polyposis coli). La localizzazione più frequente in queste forme è la secon-da porzione duodenale, in vicinanza o al di sotto della papilla di Vater. È ipotizzato che questa distribuzione sia correlata alla esposizione della mucosa duodenale al flusso di bile e alle sue proprietà di promozione e cre-scita tumorale. Analogamente alle forme sporadiche, il rischio di progressione a carcinoma degli adenomi asso-ciati a FAP è generalmente basso ed è comunque quanti-ficabile secondo la classificazione di Spigelman. Questa tiene conto del numero degli adenomi (1-4, 5-20, > 20), delle dimensioni (1-4, 5-10, > 10 mm), del tipo istologi-co (tubulare, tubulovilloso, villoso) e della gravità della displasia (lieve, moderata, severa). Nelle forme più gravi, il rischio di sviluppare un carcinoma duodenale è pari a 2,1% in un periodo di 30 anni. La sorveglianza endosco-pica del tratto digestivo superiore per i pazienti affetti da FAP deve iniziare al momento della comparsa dei polipi del colon oppure all’età di 25-30 anni.

Sintomatologia e diagnosiNella gran parte dei casi, i pazienti con adenomi duode-nali sono asintomatici e il loro riscontro è occasionale durante l’esecuzione di esami endoscopici del tratto di-gestivo superiore. La diagnosi degli adenomi duodenali è fondamentalmente endoscopica. L’uso di endoscopi

14 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

Capitolo 11

a visione laterale ad alta definizione e della cromoen-doscopia digitale (narrow band imaging, NBI) in as-sociazione a quella convenzionale ha permesso di in-crementare notevolmente il tasso di diagnosi di queste lesioni. Alla luce convenzionale gli adenomi duodenali appaiono tipicamente piatti o sessili, solitari e con una superficie villosa biancastra. Dimensioni maggiori di 10 mm, la presenza di una depressione centrale nella lesione e l’ulcerazione della superficie sono predittive per la malignità della lesione, per cui deve essere con-siderato sin dall’inizio un trattamento chirurgico. In questi casi è consigliata l’esecuzione di una TC o RM per la visualizzazione di un possibile coinvolgimento linfonodale.

Per gli adenomi localizzati a livello ampollare è ne-cessaria l’esecuzione di una ecoendoscopia che per-mette una più precisa stadiazione locale della lesione. In particolare, questo esame è in grado di definire la profondità di interessamento della parete duodena-le e l’eventuale diffusione a livello del coledoco e del

dotto di Wirsung. Alla ecoendoscopia può essere as-sociata anche l’esecuzione contemporanea di una co-langio-pancreatografia endoscopica retrograda (ERCP) per definire ulteriormente il grado di invasione delle strutture ampollari.

TerapiaL’approccio terapeutico iniziale agli adenomi del duo-deno è sempre endoscopico mediante resezione. Per le sedi non-ampollari sono applicate le tecniche con-venzionali di resezione endoscopica mediante ansa a freddo per le lesioni più piccole (£ 10 mm) o ansa dia-termica per lesioni di dimensioni maggiori (> 10 mm). La tecnica cosiddetta piecemeal risulta efficace con la più bassa percentuale di complicanze procedurali qua-li perforazione duodenale e il sanguinamento tardivo. La procedura può essere facilitata mediante l’iniezio-ne sottomucosa di una soluzione di colorante (indigo carminio) che permette il distacco della mucosa e sot-tomucosa dalla tonaca muscolare propria del duode-no (endoscopic mucosal resection, EMR). Il colorante permette inoltre di eseguire una cromoendoscopia per definire con precisione il limite della lesione rispetto alla mucosa duodenale normale. L’asportazione endo-scopica degli adenomi ampollari (ampullectomia en-doscopica) risulta caratterizzata da un maggior rischio di complicanze procedurali (circa 35%) e per questo deve essere eseguita in centri dotati anche di una ra-diologia interventistica e di una chirurgia epato-biliare (Figura 11.5). Questo è legato alla vicinanza con le altre strutture che compongono l’ampolla, ovvero lo sbocco della via biliare e del dotto pancreatico. La procedu-ra deve essere sempre associata all’esecuzione di una ERCP (vedi sopra) per la precisa individuazione degli sbocchi ed è consigliato il posizionamento di una pro-tesi nel dotto pancreatico per ridurre il rischio di una pancreatite post-procedurale. Il posizionamento di una protesi nella via biliare è riservato solo all’asportazione di lesioni di grandi dimensioni con rischio di sangui-namento e quindi ostruzione della via biliare stessa. Quando non è possibile l’asportazione endoscopia si ricorre alla escissione dell’adenoma per via chirurgica (ampullectomia chirurgica) (Figura 11.6).

Adenoma delle ghiandole del BrunnerQuesto tipo di adenoma, conosciuto anche come amar-toma di Brunner, è una rara lesione del duodeno e rap-presenta circa il 5% di tutti i tumori benigni in questa sede. Deriva dalle ghiandole di Brunner, ovvero ghian-dole della sottomucosa che secernono una mucina vi-schiosa alcalina che ha il compito di proteggere la mu-

Figura 11.5 ¢ Ampullectomia endoscopica: (A) lesione ampollare; (B) aspetto finale dopo asportazione endosco-pica.

B

A

Sezione 11.3 ¢ Tumori 15ISBN 978-88-08-32049-0

Capitolo 11

cosa duodenale dall’acidità del chimo. È localizzato più frequentemente nel bulbo duodenale e nelle porzioni prossimali del duodeno. Tra le ipotesi patogenetiche proposte vi sono la presenza di uno stato di iperclori-dria che stimolerebbe l’iperplasia delle ghiandole stesse e l’ipotesi disembriogenetica (amartoma). Nella mag-gioranza dei casi la lesione è asintomatica ed è diagno-sticata casualmente durante un esame endoscopico o radiologico. Nei casi sintomatici, le manifestazioni più frequenti sono rappresentate dal sanguinamento cro-nico e dall’occlusione intestinale. La diagnosi istopato-logica su biopsia endoscopica risulta difficile in quanto la proliferazione delle ghiandole può essere ricoperta da mucosa sana. Un aiuto nella diagnosi è fornito dalla ecoendoscopia che può dimostrare l’origine sottomuco-sa della lesione. Gli adenomi di piccole dimensioni non necessitano di trattamento e possono essere sottoposti solo a follow-up endoscopico. Le lesioni sintomatiche o di dimensioni cospicue devono essere trattate mediante resezione endoscopica o chirurgica.

Amartomi I polipi amartomatosi solitari del duodeno sono un’en-tità clinica molto rara e comunque distinta dai polipi amartomatosi associati alla sindrome di Peutz-Jeghers. Nei pochi casi descritti in Letteratura, nessun paziente presentava le caratteristiche manifestazioni cliniche, familiari e genetiche della sindrome di Peutz-Jeghers. Queste lesioni possono essere asintomatiche o deter-minare dispepsia e sanguinamento. La polipectomia endoscopica è il trattamento di scelta e permette sia di definire istologicamente la lesione sia di asportare eventuali foci di adenocarcinoma presenti dentro il polipo. Questi pazienti non presentano un aumenta-to rischio di sviluppare altre neoplasie del tratto dige-rente come nel caso dei pazienti affetti da sindrome di Peutz-Jeghers.

Figura 11.6 ¢ Ampullec-tomia chirugica: (A) visione intra-operatoria dopo duo-denotomia; (B) campione operatorio.

Altri tumori benigniI polipi fibrosi infiammatori sono lesioni benigne sot-tomucose che possono insorgere in tutto il tratto ga-strointestinale ma più frequentemente a livello dello stomaco (70% dei casi). La loro incidenza a livello del duodeno è molto rara (< 1%). La diagnosi di queste le-sioni è solitamente accidentale; tuttavia possono deter-minare dolore e occlusione intestinale se raggiungono dimensioni cospicue oppure provocare sanguinamento per ulcerazione della mucosa sovrastante. Non hanno potenzialità di trasformazione maligna. Per la diagno-si può essere di aiuto la ecoendoscopia che dimostra la presenza di una massa iso-ipoecogena con margini ben definiti. La diagnosi definitiva è tuttavia solo istologica con la dimostrazione di cellule fusiformi circondate da abbondanti vasi sanguigni e un infiltrato infiammatorio eosinofilo. I polipi di piccole dimensioni non richiedono trattamento mentre per quelli sintomatici è sufficiente l’asportazione endoscopica mediante polipectomia con ansa diatermica o mucosectomia.

I lipomi sono tumori mesenchimali sottomucosi che originano dagli adipociti. All’esame endoscopico possono presentarsi come polipi con aspetto sia ses-sile che peduncolato e una superficie mucosa liscia di colorito giallognolo. Sono solitamente asintomatici e solo i tumori di più grandi dimensioni necessitano di trattamento sia perché possono provocare dolore e oc-clusione sia per il sospetto di trasformazione maligna (liposarcomi). L’asportazione può avvenire sia per via endoscopica che per via chirurgica (escissione locale previa duodenotomia).

I leiomiomi sono tumori che originano dalle cellule muscolari lisce e la loro localizzazione a livello duode-nale è molto rara (circa il 2% di tutti i tumori benigni del piccolo intestino). Sebbene solitamente asintoma-tici, possono determinare occlusione e sanguinamen-to se raggiungono dimensioni cospicue. La diagnosi è

16 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

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endoscopica con la dimostrazione di una lesione soli-taria, ben circoscritta e ricoperta da mucosa normale. La ecoendoscopia è in grado di rilevare l’origine del tu-more dalla tonaca muscolare. La rimozione sia endo-scopica (polipectomia) che chirurgica (escissione locale o duodenectomia per le localizzazioni periampollari) è indicata per le lesioni sintomatiche o sospette per ma-lignità. L’esame istopatologico potrà stabilire la natura della lesione: una marcata atipia cellulare e la presenza di 5-10 mitosi per campo microscopico in un tumore di dimensioni maggiori di 5 cm depongono per un com-portamento biologico maligno.

11.3.2 TUMORI MALIGNI

Adenocarcinoma duodenaleEpidemiologiaGli adenocarcinomi del duodeno sono una patologia rara costituendo circa lo 0,5% di tutte le neoplasie ga-strointestinali e circa il 10% delle neoplasie peri-am-pollari. In relazione alla sede di insorgenza, sono divisi in adenocarcinomi del duodeno peri-ampollare, ovve-ro se insorgono entro 2 cm dalla papilla di Vater, e ade-nocarcinomi non-ampollari, se insorgono in tutte le altre porzioni duodenali. Secondo i pochi dati di Lette-ratura disponibili sembra che le localizzazioni peri-am-pollari siano più comuni. È difficile stabilire la reale incidenza dei tumori duodenali peri-ampollari per la complessità anatomica della regione ampollare stessa. Infatti questa è la regione di convergenza del coledoco, del dotto di Wirsung e del duodeno e i tumori possono originare da ciascuna di queste strutture. Nella maggio-ranza dei casi, al momento della diagnosi, i tumori in questa sede hanno già coinvolto tutte e tre queste strut-ture ed è quindi spesso impossibile stabilirne l’esatta origine. Esistono comunque dei markers biomolecola-ri che possono caratterizzare l’origine della neoplasia dall’epitelio della mucosa duodenale, quali la positività al fattore di trascrizione CDX2, la negatività a Mucin 1 e la bassa incidenza delle mutazioni di K-RAS.

La lesione può originare direttamente dall’epitelio della mucosa duodenale o può instaurarsi su lesioni benigne preesistenti, gli adenomi, che possono esse-re distinti in sporadici (circa il 40% di tutti gli ade-nomi duodenali) e associati a poliposi adenomatosa familiare (il restante 60%). Esistono poi delle condi-zioni a rischio per trasformazione maligna dell’epitelio duodenale, quali l’iperplasia linfoide, il morbo celiaco dell’adulto, eterotopie gastriche e pancreatiche, sindro-me di Peutz-Jeghers, il morbo di Crohn e la sindrome di von Recklinghausen.

Pur essendo così raro nell’ambito dei tumori del tratto digerente, l’adenocarcinoma del duodeno è però rela-tivamente frequente tra i tumori del piccolo intestino. Infatti, pur costituendone solo l’8% della lunghezza, il duodeno rappresenta la localizzazione del 56% degli adenocarcinomi del tenue; seguono il digiuno (16%) e l’ileo (13%). Questo sembra dipendere dal fatto che il duodeno è il primo segmento del digerente a essere esposto a potenziali agenti cancerogeni esterni o all’a-zione patogena di sostanze presenti nel tratto gastro-in-testinale. La minore incidenza di tumori localizzati a livello del tenue mesenteriale trova invece spiegazione nella maggiore velocità del transito in questo segmen-to intestinale, nella ricchezza locale di tessuto linfatico e di IgA, nel rapido turnover cellulare e nell’alcalinità del contenuto.

Dal punto di vista epidemiologico tali neoplasie pre-sentano un picco di incidenza intorno ai 60 anni, men-tre non vengono riportate significative differenze tra i due sessi.

SintomatologiaIl carcinoma duodenale tende ad avere una configura-zione papillare. Le lesioni localizzate più distalmente di solito hanno un aspetto ad “anello di tovagliolo” e producono parziale ostruzione intestinale con marcata dilatazione dell’intestino prossimale. In circa il 20% dei casi il carcinoma duodenale ha un aspetto prevalen-temente polipoide, probabilmente dovuto all’origine da polipi adenomatosi preesistenti. Occasionalmente questi carcinomi si presentano come tumori multipli o in associazione con neoplasie maligne primarie in altri siti.

I sintomi dell’adenocarcinoma del duodeno sono vari e non sempre possono essere tutti presenti. Nella maggior parte dei casi la malattia è asintomatica fino a manifestarsi con sintomi occlusivi quando ormai è in stadio già avanzato. I sintomi più frequenti sono rap-presentati da:

●● perdita di peso●● astenia ●● epigastralgia ●● dispepsia ●● sanguinamento e conseguente anemizzazione, con

quadri che vanno dalla perdita cronica occulta alla melena.

●● occlusione intestinale con nausea e vomito●● ittero di tipo ostruttivo nelle forme peri-ampollari:

in queste forme l’ittero può essere intermittente per la variabile necrosi centrale del tumore che permette il passaggio di bile.

Sezione 11.3 ¢ Tumori 17ISBN 978-88-08-32049-0

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DiagnosiL’iter diagnostico comprende lo studio radiologico me-diante mezzo di contrasto del primo tratto del digerente, con eventuale utilizzo di farmaci ipotonizzanti della pa-rete duodenale che permettono un più accurato studio della superficie mucosa. La esofagogastroduodenoscopia rappresenta l’esame di scelta per la diagnosi in quanto permette la diretta visualizzazione della lesione e l’ese-cuzione di biopsie per la caratterizzazione istopatolo-gica. Tuttavia, sono riportati in Letteratura numerosi falsi negativi soprattutto per le localizzazioni più distali del tumore e per questo viene sottolineata la necessità di ripetere l’esame, con una completa visione della ter-za/quarta porzione duodenale nei pazienti in cui, dopo una endoscopia negativa, persista la sintomatologia con i caratteri originali. Per la stadiazione della malattia, ri-sulta fondamentale l’esecuzione della tomografia assiale computerizzata con mezzo di contrasto ed eventualmen-te della ecoendoscopia. Questi esami sono infatti utili per lo studio della metastatizzazione a distanza (in par-ticolare fegato e polmoni) e linfonodale e per lo studio dei rapporti della neoplasia con le strutture anatomiche contigue. La diagnosi è spesso tardiva con un ritardo diagnostico compreso tra 1 e 26 mesi. Ne consegue il fre-quente riscontro di neoplasie in stadio avanzato (2/3 dei tumori vengono infatti diagnosticati al III-IV stadio), e più del 75% dei tumori operati risultano con coin-volgimento linfonodale (N+), laddove solo la diagnosi precoce può aumentare le possibilità di resecabilità e di intervento chirurgico curativo.

TerapiaLa terapia dell’adenocarcinoma duodenale è fondamen-talmente chirurgica. Quando la neoplasia è asportabile chirurgicamente con intento radicale (assenza di infil-trazione dell’asse mesenterico superiore e di carcino-si peritoneale) è giustificata una chirurgia aggressiva rappresentata, per le localizzazioni nella I e II porzione duodenale, dalla duodenocefalopancreatectomia con linfoadenectomia regionale. È controverso il tipo di trattamento chirurgico in caso di localizzazioni nella III e IV porzione duodenale: soprattutto nei casi più pre-coci, può essere indicata in questi casi la sola resezione segmentaria del duodeno. Il tasso di resecabilità varia dal 43 all’ 87% ed è migliorato negli ultimi anni per una migliore stadiazione pre-operatoria e una migliore as-sistenza intra- e post-operatoria.

Stadiazione e prognosiPer le neoplasie del piccolo intestino è attualmente in uso il seguente schema secondo l’American Joint Com-mittee on Cancer (AJCC): 

●● Stadio 0: la neoplasia è confinata entro la muscularis mucosae (carcinoma in situ);

●● Stadio I: la neoplasia si estende nella parete del duo-deno, senza invaderla a tutto spessore (entro la mu-scolare propria); non interessa i linfonodi regionali e non ha dato metastasi a distanza;

●● Stadio IIA: la neoplasia si estende a tutto spessore nella parete del duodeno, senza tuttavia estendersi oltre la sierosa (peritoneo viscerale); non interessa i linfonodi regionali e non ha dato metastasi a distanza;

●● Stadio IIB: la neoplasia si estende oltre la sierosa op-pure a organi adiacenti; non interessa i linfonodi re-gionali e non ha dato metastasi a distanza; 

●● Stadio IIIA: la neoplasia si estende ai linfonodi regio-nali (3) ma non ha dato metastasi a distanza;

●● Stadio IIIB: la neoplasia si estende ai linfonodi re-gionali (> 3) ma non ha dato metastasi a distanza; 

●● Stadio IV: la neoplasia ha dato metastasi a distanza. 

La prognosi dei pazienti sottoposti a chirurgia è stret-tamente correlata allo stadio del tumore e complessi-vamente si registra una sopravvivenza di circa il 50% a 5 anni per pazienti sottoposti a intervento con intento di radicalità oncologica. Per i tumori peri-ampollari di origine duodenale, la prognosi risulta migliore rispetto ai tumori che originano dal dotto di Wirsung o dalla via biliare: questo sembra legato al più basso grado di mali-gnità dei tumori duodenali e alla loro minore tendenza alla diffusione perineurale e linfonodale.

Per le neoplasie localmente avanzate non asportabi-li chirurgicamente o in presenza di metastasi a distan-za, può essere indicato un trattamento palliativo per la risoluzione dei sintomi correlati alla presenza della neoplasia. In caso di ittero ostruttivo da neoplasie pe-ri-ampollari, è possibile ricorrere al posizionamento di una protesi biliare per via endoscopica o per via percu-tanea transepatica, e in alternativa può essere eseguito un by-pass chirurgico mediante epatico-digiunostomia. In caso di ostruzione del duodeno, può essere posizio-nata una protesi sempre per via endoscopica o eseguito un by-pass chirurgico mediante gastro-digiunostomia.

Non è ancora definito il ruolo della chemioterapia adiuvante nei pazienti sottoposti a chirurgia radicale: sembra comunque che solo i pazienti in stadio III pos-sano ricevere un beneficio in termini di sopravvivenza da questo tipo di terapia. In caso di malattia localmente avanzata o metastatica, il trattamento chemioterapico sistemico basato sulla somministrazione di fluoropiri-midine e oxaliplatino è in grado di ottenere la più alta percentuale di risposta tumorale parziale (34%).

Tumori stromali gastrointestinaliI tumori stromali gastrointestinali (GIST) rappresen-tano i più comuni tumori di origine mesenchimale del tratto alimentare, con una incidenza annuale mondiale

18 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

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di 10 casi per milione di persone. La localizzazione più frequente è quella gastrica, (60-70% dei casi), seguita da quella del piccolo intestino (20-30%) e da quella colo-rettale (10%). Solo l’1-5% dei GIST si localizza a livel-lo del duodeno, costituendo quindi una patologia rara in questa sede. I GIST prendono origine dalle cellule interstiziali del Cajal, considerate le cellule pacemaker del tratto gastrointestinale. A livello duodenale queste cellule sono particolarmente concentrate nella porzio-ne prossimale per cui anche la localizzazione dei GIST risulta maggiormente frequente in questa sede.

La presentazione clinica di questi tumori è variabile: in circa l’80% dei pazienti i sintomi sono rappresentati dalla melena e anemizzazione, mentre il dolore addo-minale è presente in circa il 45% dei casi. Altri sintomi sono la nausea, il vomito, il senso di precoce sazietà e la perdita di peso. Talvolta l’esordio clinico è rappresen-tato da una complicanza come il sanguinamento acuto, l’occlusione intestinale e la perforazione.

All’esame endoscopico i GIST si presentano come tumefazioni sottomucose rivestite da mucosa normale con talvolta aree di ulcerazione o sanguinamento do-vute a necrosi da compressione. Le biopsie endoscopi-che spesso non risultano diagnostiche proprio per la localizzazione sottomucosa della lesione. È necessario ricorrere alla ecoendoscopia che permette sia di dimo-strare l’origine della neoplasia dalla tonaca muscolare propria sia di eseguire un ago aspirato per la definizio-ne istopatologica mediante immunoistochimica (po-sitività alla proteina CD117). A completamento dia-gnostico viene eseguita TC con mezzo di contrasto per lo studio dei rapporti della neoplasia con le strutture anatomiche circostanti e la dimostrazione di eventuali metastasi.

Fattori di rischio di malignità sono le dimensioni del tumore maggiori di 5 cm, un numero medio di mitosi maggiore di 5 su 50 campi microscopici a forte ingran-dimento e un’aumentata attività proliferativa (marcata espressione di Ki-67). In genere, la prognosi dei GIST duodenali risulta peggiore rispetto alle analoghe lesioni localizzate a livello gastrico.

Il trattamento è essenzialmente chirurgico e deve ga-rantire l’asportazione completa della neoplasia sia me-diante resezioni limitate del duodeno sia ricorrendo a interventi più demolitivi come la duodenocefalopancre-asectomia nel caso di localizzazioni in vicinanza della papilla di Vater. Le metastasi linfonodali sono molto rare per cui non è necessario eseguire una linfoadenec-tomia loco-regionale durante l’intervento. In caso di re-cidive tumorali o metastasi, la terapia si avvale dell’uso di un farmaco a bersaglio molecolare, l’imatinib mesi-lato, in grado di bloccare l’attività tirosinchinasica della proteina c-kit. Recentemente, l’uso di questo farmaco è stato proposto anche come terapia adiuvante (dopo

resezione chirurgica radicale) o neoadiuvante (prima dell’intervento chirurgico) al fine di per ridurre le di-mensioni della neoplasia).

Tumori neuroendocriniEpidemiologiaI tumori neuroendocrini del duodeno insieme a quel-li gastrici appartengono al ristretto sottogruppo dei GI-NET del tratto digestivo superiore (upper Gastro-In-testinal -Neuro-Endocrine Tumors), parte della più am-pia famiglia dei NET. Esistono fra loro molte analogie ma anche alcune differenze che li caratterizzano. In par-ticolare quelli a localizzazione duodenale rappresentano dall’1 al 3% di tutti i tumori duodenali primitivi, con incidenza particolarmente rara che non supera lo 0,2 per 100 000 abitanti per anno pur con tendenza a lieve incremento e maggiore presenza nel genere maschile.

Sono generalmente di piccole dimensioni, privile-giano la prima e seconda porzione duodenale (90% dei casi) o la regione peri-ampollare e possono essere asso-ciati a MEN 1 (multiple endocrine neoplasia type 1) o presentarsi sporadicamente.

ClassificazioneLa classificazione riveste notevole importanza non so-lo per il suo valore nosologico ma soprattutto per le indicazioni che fornisce per l’adozione della modalità terapeutica ritenuta più efficace. Mentre per i G-NET (Gastric-NET) si distinguono tre tipi a seconda che si-ano correlati a gastrite atrofica, MEN 1 o sporadici, per i D-NET si privilegia una classificazione istologica che enumera 5 sottotipi:

●● il gastrinoma duodenale (il più frequente: 50-60% dei casi),

●● il somatostatinoma (15%),●● il tumore a serotonina non funzionante (25%),●● il tumore neuroendocrino poco differenziato (< 3%),●● il raro paraganglioma gangliocitico (< 2%).

Alla distinzione istologica corrispondono infatti carat-teristiche cliniche peculiari importanti per le decisioni successive alla diagnosi.

Il gastrinoma duodenale è sempre di piccole dimen-sioni e si presenta o in una forma solitaria e sporadica o in forma multipla associata a MEN 1 e Sindrome di Zollinger-Ellison. Sono state riscontrate frequenti asso-ciazioni con gastrite atrofica, infezione da Helicobacter pylori, uso di farmaci inibitori di pompa protonica, sug-gerendone un possibile legame etiologico. Costante è la localizzazione in un’area che comprende le prime due porzioni duodenali e la testa del pancreas definita ap-

Sezione 11.3 ¢ Tumori 19ISBN 978-88-08-32049-0

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punto “triangolo del gastrinoma“ perché vi si concentra la quasi totalità delle lesioni. Le metastasi linfonodali sono molto frequenti e nel 5-10% anche quelle epatiche. Nonostante questo si registra una sopravvivenza totale di oltre il 60% a 10 anni.

L’area ampollare è invece la localizzazione più fre-quente per il somatostatinoma che in un terzo circa dei casi è presente nella Neurofibromatosi di tipo 1. Più che per una sindrome da iperincrezione di somatostatina, assai rara, è sintomatologicamente caratterizzato da it-tero o pancreatite su base ostruttiva.

I tumori non funzionanti contenenti serotonina, pur secondi come frequenza e non essendo accompagnati da sintomi neuroendocrini, spesso sono di rilievo inciden-tale o diagnosticati in corso di complicanza emorragica od ostruttiva. La presenza di serotonina all’esame im-munoistochimico ne facilita la definizione nosologica.

Anche i carcinomi neuroendocrini poco differenziati prediligono la regione ampollare, non sono secernenti e spesso già metastatizzati alla diagnosi.

Caratteristica dei paragangliomi gangliocitici è quella di essere di dimensioni generalmente superiori a 2 cm e localmente invasivi pur rimanendo biologicamente poco aggressivi.

In generale i D-NET della regione ampollare rispet-to ad altre localizzazioni hanno un andamento più ag-gressivo.

DiagnosiLa diagnosi si basa sul rilievo dei sintomi, della funzione ormonale, delle caratteristiche radiologiche-scintigra-fiche e istopatologiche. Il dosaggio ematico degli ente-rormoni più frequentemente coinvolti come gastrina o somatostatina è di modesta utilità per una diagnosi precoce data la limitata percentuale di lesioni secernenti (circa il 10%), pur rivestendo un indubbio valore con-firmatorio in presenza di sintomatologia di tipo neu-roendocrino. La cromogranina A e la enolasi specifica neuronale (NSE) sono raccomandati come principali neuroendocrini non ormonali anche se al loro specifi-cità non è tale da raggiungere un valore diagnostico o prognostico. In caso di sospetto clinico di MEN-1 è in-dicato il dosaggio del calcio sierico e del paratormone. Le indagini scintigrafiche, specie se associate a esami morfologici come TC e RM, risultano appropriate per indagare la presenza di recettori per la somatostatina (111I-Octreoscan; 68GaPET), l’attività metabolica (FDG-PET) o la produzione di amine specifiche (131I-MBG, 18F-DOPA PET). L’indagine endoscopica e bioptica rap-presenta tuttavia lo strumento diagnostico più impor-tante. La localizzazione nella mucosa profonda di questi tumori induce una precoce invasione della sottomuco-sa (raramente oltre di essa) e conferisce alle lesioni un

aspetto endoscopico emisferico o rilevato ricoperte da mucosa normale o lievemente discromica con tendenza alla depressione centrale e all’ulcerazione solo nei casi più avanzati (Figura 11.7). La diagnosi differenziale con altre lesioni duodenali simili risulta endoscopicamente problematica e risolta alla fine solo dall’esame biopti-co, anch’esso peraltro non sempre efficace e risolutivo per la profondità dei D-NET. L’ecoendoscopia è indi-spensabile per conoscere dimensioni e profondità esatte della lesione e risulta utile anche per la ricerca di linfo-adenopatie loco-regionali che possono essere presenti nel 40-60% dei casi (soprattutto in caso di gastrinomi) (Figura 11.8). Le altre metodiche di imaging come la TC e la RM devono essere riservate ai casi con sospetta diffusione locoregionale o a distanza.

Figura 11.7 ¢ Aspetto endoscopico di tumore neuroe-ndocrino del duodeno.

Figura 11.8 ¢ Immagine all’ecoendoscopia di tumore neuroendocrino del duodeno.

20 ISBN 978-88-08-32049-0Capitolo 11 ¢ Patologia e chirurgia del duodeno

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TerapiaLa sede, le dimensioni, l’istotipo più o meno aggressi-vo, la diffusione loco-regionale o a distanza sono i ca-ratteri che, variamente associati fra loro, condizionano il trattamento, rendendo spesso difficile la scelta. Essa infatti può spaziare dalla semplice osservazione ripe-tuta nel tempo fino a interventi di exeresi estesa anche agli organi contigui. Le linee guida più autorevoli co-me quelle diffuse da ENETS (European Neuroendocri-ne Tumor Society) o NCCN (National Comprehensive Cancer Network) riassumono le varie opzioni in uno schema articolato sulle dimensioni delle lesioni. Per tu-mori inferiori a 1 cm in sede peri-ampollare è indicata

Figura 11.9 ¢ Campione operatorio dopo duodenoce-falopancreatectomia per somatostatinoma periampollare.

Figura 11.10 ¢ Campione ope-ratorio dopo duodenocefalopan-createctomia per gastrinomi mul-tipli del duodeno: (A) campione intero; (B) e (C) particolari delle lesioni.

la resezione chirurgica mediante duodenocefalopancre-atectomia (Figura 11.9); per le altre localizzazioni e in caso di tumori non secernenti è indicata l’asportazione endoscopica mediante resezione mucosa o dissezione sottomucosa. Per tumori fra 1 e 2 cm la scelta fra re-sezione endoscopica o chirurgica è più aleatoria e de-mandata all’operatore. I tumori superiori a 2 cm o con documentata invasione linfonodale devono preliminar-mente essere studiati mediante ecoendoscopia e TC e sottoposti a resezione chirurgica (resezione locale più linfoadenectomia o duodenocefalopancreatectomia) in assenza di metastasi a distanza (Figura 11.10); se sono presenti metastasi una scintigrafia per i recettori della somatostatina orienterà per una terapia radiometabolica con analoghi della somatostatina in presenza di recet-tori o, in alternativa, alla sola chemioterapia. In linea di principio sono sconsigliate le resezioni endoscopiche molto spinte, pur se attualmente assistite da una tec-nologia sofisticata, perché non garantiscono sempre la radicalità oncologica e spesso sono gravate da compli-canze come l’emorragica o la perforazione. In ogni ca-so, per i gastrinomi isolati e per i NET peri-ampollari, a causa della loro maggiore invasività locale, è sempre preferibile la resezione chirurgica.

Un follow-up adeguato con dosaggi ormonali, mar-catori endocrini (cromogranina A), esami endoscopici e radiologici/scintigrafici (TC e Octroscan) è raccoman-dato a scadenze diverse a seconda della aggressività del tumore e della modalità di asportazione.