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Centro EmpowerNet Lombardia-LEDHA FISH Onlus Persone con disabilità e Piani di zona

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Centro EmpowerNet Lombardia-LEDHA

FISH Onlus

Persone con disabilitàe Piani di zona

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Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favorisconol'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimentodi attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.Costituzione italiana art. 118, co. 4

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a cura diCentro EmpowerNet Lombardia

presso LEDHALega per i diritti delle persone con disabilità

FISH OnlusFederazione Italiana Superamento Handicap

Persone con disabilitàe Piani di zona

Sento

d età.C

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2 Prefazione

‘Niente su di noi senza di noi’.Sono queste le parole scelte negli ultimi anni dalle persone condisabilità e dai loro familiari per riassumere lo spirito delle loroazioni e delle loro richieste.Con questa intenzione è nato il progetto che ha creato le condi-zioni per la nascita dei Centri EmpowerNet. Un’iniziativa conobiettivi concreti, primo fra tutti il rafforzamento della rete inter-associativa, non solo delle realtà aderenti alla FISH (FederazioneItaliana Superamento Handicap), ma in generale delle risorseassociative e personali che costituiscono il movimento dellepersone con disabilità. Il progetto, nel corso degli ultimi dueanni, si è sviluppato su tre assi di lavoro:1 Formazione Un percorso intenso e impegnativo, che ha coinvolto 11 gruppiregionali formati dai leader associativi del territorio e che, attra-

verso incontri di formazione e percorsi diformazione a distanza, ha affrontato i temicentrali legati alla promozione e tutela dei

diritti delle persone con disabilità.2 Ricerca Due ricerche, condotte con la Fondazione Zancan di Padova,centrate su due aspetti cruciali: le scelte adottate a livello regio-nale in materia di livelli essenziali di assistenza e il processo dipresa in carico, dal punto di vista delle persone con disabilità,delle famiglie e degli operatori.3 Centri EmpowerNetCostituire luoghi di “conoscenza”a disposizione della rete asso-ciativa e delle persone con disabilità per lo sviluppo di azioni,progetti e interventi per meglio utilizzare opportunità e risorseesistenti, per rivendicarne di nuove, per meglio incidere nellerealtà territoriali e meglio rappresentare i diritti delle persone.Proprio sull’obiettivo dei Centri EmpowerNet LEDHA (Lega per idiritti delle persone con disabilità) ha agito in profondità, forteanche dell’esperienza svolta in questi anni dai propri servizi

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informativi e della bella e concreta esperienza condotta con le associa-zioni che la costituiscono. Il primo impegno del Centro EmpowerNetLombardia è stato all’insegna della concretezza e dell’attualità: i Pianidi zona della legge 328 del 2000.Quello che avete tra le mani è il risultato di questa prima azione, nataper sostenere le associazioni nelle iniziative territoriali di promozione etutela dei diritti dei cittadini con disabilità e dei loro familiari in rela-zione alla redazione dei Piani di zona. Un’iniziativa pensata per raffor-zare il movimento delle persone con disabilità e per rendere piùincisivo il nostro lavoro. Questo documento propone quindi una seriedi temi, informazioni e proposte, che speriamo possano facilitare illavoro di rappresentanza a livello territoriale. Un punto di partenza, uncontributo concreto, uno strumento a disposizione di tutti, anche perdiscutere e stimolare confronti tra noi, le Istituzioni e le realtà sociali.Con la speranza che tutto ciò sia gradito,è non formale il mio ringrazia-mento a chi ha lavorato a questo prodotto e altrettanto non formale èil mio augurio di buon lavoro a tutti noi.

Salvatore GiambrunoPresidente LEDHA - Lega per i diritti delle persone con disabilità

Il Centro EmpowerNet Lombardia nasce nel marzo 2005.Mette in rete e valorizza le migliori esperienze e competenze del mondodella disabilità regionale. Promuove raccolte di dati e documenti e gruppidi lavoro interassociativi.La segreteria si trova presso la sede LEDHA di Milano. Questo volume èstato redatto per conto del Centro EmpowerNet Lombardia da DanielaPolo (Ass. Oltre noi la vita), Marco Faini (Anffas Brescia), Carla Torselli(Anffas Pavia), Chiarella Gariboldi (Ass. Stefania), Dario Scotti (AusNiguarda) e Giovanni Merlo (LEDHA) che nel giugno 2005 hanno iniziatoun confronto su come fosse possibile sostenere le associazioni nelle inizia-tive territoriali di promozione e tutela dei diritti dei cittadini con disabilitàe dei loro familiari in relazione alla redazione dei Piani di zona.

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4 Introduzione

Nel 2000 viene emanata la legge 328 "Legge quadro per larealizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali".Un provvedimento di riforma che contiene molte novità,valutato dalle associazioni come un importante passo in avantinella direzione di un welfare che restituisca centralità ai dirittiuniversali di cittadinanza, riconoscendo il terzo settore qualesoggetto titolato ad essere coinvolto nelle scelte di politicasociale del territorio.

Concetti chiave della riforma sono:l La riorganizzazione del sistema integrato dei servizi e degliinterventi sociali l La legittimazione del terzo settore a partecipare alla defini-zione delle politiche sociali l La programmazione partecipata e la co-progettazione degliinterventi socialil Il perseguimento degli interessi generali della comunitàl L’integrazione socio-sanitarial Il progetto globale di presa in caricol La definizione dei livelli essenziali di assistenza.

Il Piano di zona è lo strumento principale per la programma-zione e il governo dei servizi e degli interventi sociali e socio-sanitari. Adottando uno slogan, potremmo chiamarlo il PianoRegolatore dei Servizi e degli Interventi Sociali.

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Lo prevede l’art. 19 della L. 328/00 che individua nei Comuni associatinegli ambiti territoriali (che coincidono con i distretti socio-sanitari)d’intesa con le Asl (Azienda Sanitaria Locale) i responsabili della defini-zione del Piano di zona.Un’elaborazione che deve vedere la partecipazione attiva delle asso-ciazioni come definito dall'art. 1, c. 4 “Gli enti locali, le regioni e lo Stato,nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolodegli organismi non lucrativi di utilità sociale,degli organismi della coope-razione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fonda-zioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, deglienti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipu-lato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione,nell’organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi eservizi sociali.”A 5 anni dall’entrata in vigore della legge, il bilancio è fatto di luci eombre:l I primi Piani di zona si sono caratterizzati per la grande varietà diimpostazione e per le difficoltà riscontrate nell’avvio del nuovoprocesso. In molti casi i rappresentanti degli enti locali sono fermi aduna idea di partecipazione intesa come diritto all'informazione e noncome diritto alla co-programmazione e co-progettazione.l Sono presenti problemi oggettivi connessi alle scarse risorse umaneed economiche,oltre che per i limiti normativi connessi all’applica-zione della legge 328 (ad esempio la mancata definizione dei livelliessenziali di assistenza).l Le associazioni e le organizzazioni del terzo settore non hannosempre offerto un contributo positivo.La partecipazione è stata scarsa,in alcuni casi poco competente, a volte conflittuale.Una presenza frammentata che non ha correttamente risolto ilproblema della rappresentanza riconosciuta nel terzo settore.Nonostante tutto il percorso è iniziato. Sebbene ci sia ancora moltastrada da fare, la partecipazione delle associazioni, oggi più che mai,sarà determinante affinché le future scelte di politica sociale siano fatte‘con noi e mai senza di noi’.

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6 Diritti di partecipazionedei cittadini

I Piani di zona rappresentano la concreta occasione per speri-mentare in modo diffuso esperienze di programmazione parte-cipata, intendendo con questo la possibilità di orientare l’inter-vento sociale in direzione del miglioramento della qualità di vitadelle persone e delle comunità.Il processo di definizione del Piano viene indicato dal PianoSociale Nazionale come un processo nel quale si“…deve preve-dere l’attivazione di azioni responsabilizzanti, concertative, comu-nicative che coinvolgano tutti i soggetti in grado di dare apportinelle diverse fasi progettuali”.

L’elemento della partecipazione assume quindi un ruolocentrale, strategico e decisivo, e quanto più sarà qualitativa-mente alto tale livello tanto più il Piano potrà assumere fisiono-mie e valori importanti per la vita della comunità.

Il primo banco di prova per le associa-zioni e le forme di rappresentanza deidiritti dei cittadini è rappresentato

dall’ ESSERCI: esserci non solo nei momenti in cui il Piano vienedefinito, ma esserci anche nei momenti e nelle fasi successiveall’approvazione, verificandone l’andamento, lo sviluppo e,soprattutto, l’efficacia.Diviene quindi importante, ancora prima di affrontare le prioritàproposte da questo lavoro, assumere l’obiettivo del coinvolgi-mento in tutte le fasi progettuali ed attuative del Piano di zona,in modo da rendere la presenza sociale delle associazioni dellepersone con disabiltà una presenza vera, non formale e nonburocratica. Al fine di facilitare il lavoro di noi tutti, è utile ricor-dare brevemente i passaggi della L. 328/00 che affrontano iltema della partecipazione attiva dei cittadini nella definizionedelle politiche sociali:

- art.1 c. 6 “…la presente legge promuove la partecipazione attiva

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dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazionisociali e di tutela degli utenti …”- art.1 c. 5 “…Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gliscopi anche la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazionedelle iniziative e delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità della solidarietà organizzata”- art. 2 c. 5 “gli erogatori dei servizi e delle prestazioni sono tenuti ad infor-mare i destinatari degli stessi sulle diverse prestazioni di cui possonousufruire,sui requisiti per l’accesso e sulle modalità di erogazione per effet-tuare le scelte più appropriate”- art. 6 c. 1 “I Comuni …adottano sul piano territoriale gli assetti piùfunzionali alla gestione, alla spesa e al rapporto con i cittadini…”- art. 6 c. 3 lett. a “…nell’esercizio delle proprie funzioni i Comuni provve-dono a promuovere ... risorse delle collettività locali tramite forme innova-tive di collaborazione per lo sviluppo di interventi di auto-aiuto e perfavorire la reciprocità tra cittadini” e lett.e) “garantire ai cittadini i diritti dipartecipazione al controllo di qualità dei servizi, secondo le modalitàstabilite negli statuti comunali”- art. 8 c. 4 “... le regioni disciplinano le procedure amministrative, lemodalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delleprestazioni sociali e l’eventuale istituzione degli Uffici di Pubblica Tuteladegli utenti stessi…”- art.13 c. 2 “... al fine di tutelare le posizioni soggettive e di rendere imme-diatamente esigibili i diritti soggettivi riconosciuti, la carta dei servizisociali - di cui ogni ente erogatore dovrà dotarsi - prevede per gli utenti lapossibilità di attivare ricorsi nei confronti dei responsabili preposti allagestione dei servizi”

Infine, è opportuno ricordare che tutto ciò può e deve essere collocatonell’ambito dei diritti di partecipazione e consultazione popolare giàprevisti dalla normativa vigente in materia funzionamento degli entilocali (D. Lgs. 267/00: consultazione popolare, accesso ai documenti eagli atti, istituzione del difensore civico).

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zona e specificatamente al tavolo tematico sulla disabilitàpromuovano, in maniera concertata, azioni concrete volte araggiungere i risultati sui seguenti temi, uniformemente ricono-sciuti come prioritari:

A. Il progetto individuale di presa in caricoB. La Porta socialeC. La partecipazione alla spesa dei serviziD. La protezione giuridica delle persone fragili

I materiali che seguono propongono informazioni e spunti dilavoro concreti per facilitare l’impegno di chi rappresenta leassociazioni nell’ambito dei Piani di zona.La speranza è di ottenere su tutti i territori lombardi, quindi pertutti i cittadini disabili che vivono nella nostra regione l’applica-

L’esperienza condotta nel corso della prima generazione deiPiani di zona (riferiti al periodo 2002-2005) ha messo in luce ladifficoltà di sostenere azioni comuni e condivise al fine diottenere i cambiamenti sociali che le famiglie, tramite le associa-zioni, si aspettano. Al di là dei bisogni locali e delle legittimerichieste per sviluppare e potenziare una rete di servizi e presta-zioni sempre migliori e sempre più in grado di soddisfarebisogni concreti, il Centro EmpowerNet Lombardia ritienenecessario proporre un impegno locale concentrato intorno adalcune azioni comuni, ritenute fondamentali per la salvaguardiadei diritti delle persone disabili e per consentire una presa incarico dei loro bisogni più qualificata e più omogenea.Si propone pertanto che tutte le associazioni che rappresentanoi diritti dei disabili e delle loro famiglie all’interno dei Piani di

Il ruolo delle associazioni nei Piani di zona:come partecipare?cosa chiedere?Alcune priorità

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zione di norme specifiche previste dalle leggi in vigore e un riconosci-mento omogeneo dei propri diritti.

A. Il progetto individuale di presa in caricoL’art.14 della L.328/00 prevede che per realizzare la piena integrazionedelle persone con disabilità, i Comuni, d’intesa con le ASL, predispon-gano, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale checomprenda, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le presta-zioni di cura e riabilitazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale, iservizi alla persona a cui provvede il Comune, nonché le misure econo-miche necessarie per il superamento di condizioni di povertà.Questo articolo di legge rappresenta la concreta possibilità di vedererispettato il diritto della persona con disabilità di essere messa alcentro del processo di presa in carico.Un’indicazione fondamentale che per ora non ha trovato un’applica-zione diffusa e che le associazioni devono imporre quale elementobase su cui costruire i Piani di zona. Il progetto individuale è un dirittoesigibile perchè la legge non pone alcuna condizione, economica o dialtra natura, all'obbligo di rispondere alla richiesta dell'interessato o dichi lo rappresenta.Un progetto globale riferito all’intero arco della vita,che si pone l’obiettivo della piena inclusione sociale in tutti gli ambitidi vita della persona (scuola, lavoro, famiglia, vita nella comunità)garantendo il coinvolgimento della persona con disabilità e di chi larappresenta,perchè basato sulle reali e concrete condizioni esistenzialie sulle possibilità personali e familiari. Il progetto individuale diventacosì il documento generale a cui devono coerentemente uniformarsi idiversi progetti e programmi specifici previsti dalla normativa vigente:1. il progetto riabilitativo di cui al D. M. 7/5/98 “linee-guida per le attivitàdi riabilitazione”2. il progetto di integrazione scolastica di cui agli art. 12 e 13 della L.104/923. il progetto di inserimento lavorativo mirato di cui all’art. 2 della L.68/994. il progetto di inserimento sociale che può avvalersi dei programmi

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della L. 162/98, della rete dei servizi di cui alla L. 104/92, del sistemaintegrato previsto dalla L. 328/00, delle disposizioni di cui all’allegato1C del D.P.C.M.29/11/01 e degli emolumenti economici di cui all’art.24della L. 328/00.5. la protezione giuridica delle persone con disabilità maggiorenni (L. 6/04).

Il progetto individuale potrà divenire tutto ciò a patto che si iden-tifichi:. un luogo, centro della valutazione e della definizione del progettoglobale, che sia l'unico punto di riferimento per la persona disabile e/oper le famiglie.Presso ogni distretto socio-sanitario deve costituirsi unaunità multifunzionale di valutazione che possa svolgere la valutazionemultidisciplinare del bisogno prevista dall’art.2 del D.P.C.M 14/02/01.. un responsabile del progetto che sia il riferimento costante pernome e per conto del Comune. La redazione del progetto individualeè un processo che racchiude in sé aspetti sanitari, socio-sanitari esociali e che richiede un'attività di coordinamento.In relazione alla normativa che più volte richiama il valore dell’integra-zione socio-sanitaria (D. Lgs. 229/99, L. 328/00, D.P.C.M 14/02/01, D.P.R.3/05/01) proporre una soluzione che favorisca questo processo erappresenti gli interessi della persona con disabilità e la sua famiglia,appare come una richiesta legittima.. un dossier unico che raccolga e aggiorni tutta la documentazionerelativa all’andamento del progetto al fine di favorire l’integrazionesocio-sanitaria. Il dossier unico è un elemento indispensabile per unamigliore qualità degli interventi.Una lettura “non burocratica”del terzocomma dell’art. 14 L. 328/00 rafforza la richiesta rendendola legittimaanche dal punto di vista legislativo.

B. La porta unitaria di accesso ai servizi socio-sanitari e socio-assistenziali

La “porta unitaria di accesso ai servizi socio-sanitari e socio-assisten-ziali” (per brevità Porta Sociale) non va pensata come un semplice

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elemento di natura organizzativa a cui affidare il compito di “farefunzionare bene e meglio”il sistema integrato di interventi e servizi.Che il cittadino faccia fatica ad orientarsi nel sistema sanitario, socio-sanitario e sociale risponde certamente al vero, ed è indubbio che ilsistema ha effettivamente bisogno di maggiore fluidità e coordina-mento.Tutto ciò attiene al diritto del cittadino/utente di potere goderedi una buona amministrazione.

La Porta Sociale è invece uno strumento utile per rispondere in modoglobale e continuativo ai bisogni e ai diritti della persona e dellafamiglia. Si tratta di allestire presso ogni ambito un servizio di segreta-riato sociale che assicuri l’informazione sulle risorse che il territorio e ilsistema integrato dei servizi è in grado di offrire, in modo che lapersona che si rivolge alla Porta Sociale sia ben orientata e messa nellacondizione di sapere esattamente dove andare, a chi rivolgersi, conquali modalità, con quali diritti, con quali costi.

La Porta Sociale deve inoltre assicurare il servizio di fornitura di dati einformazioni sulla congruità del sistema ai bisogni della popolazione.Tale funzione coincide con quanto già l’Ufficio di Piano dovrebbegarantire e quindi non si tratta certo di “sprecare”risorse, ma di impo-stare le cose in modo che ciascuno svolga bene il proprio lavoro nellaconsapevolezza di essere tutti parti integranti e fondamentali di unsistema che deve avere come unico obiettivo il benessere dellapersona. Ci dobbiamo immaginare quindi la porta unitaria come ununico luogo in cui le prestazioni socio-sanitarie e socio-assistenzialisiano a disposizione del cittadino che in un medesimo luogo emomento ne apprende l’esistenza in relazione al proprio bisogno e lemodalità di accesso (compresi gli aspetti del concorso alla spesa) e,soprattutto, da quel medesimo luogo e in quel medesimo momento,riceve tutte le informazioni per l’invio ai servizi e alle prestazioni (listed’attesa, ulteriori accertamenti e verifiche, ecc.).Un’attività complessa che presuppone l’esistenza di operatori qualifi-cati e preparati non solo alle operazioni di sportello, ma anche a quelle

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di aggiornamento costante della rete dei servizi. Il tema della PortaSociale assume una portata strategica affinché il sistema integrato diinterventi e servizi mantenga un costante monitoraggio dei bisognidella popolazione e sia quindi capace di orientare le proprie risposte.La Porta Sociale assume per il movimento delle persone con disabilitàil valore di un vero e proprio indicatore per verificare la “bontà”o menodi un Piano di zona, in quanto la presenza di tale elemento significache si è compiuto un reale processo di integrazione socio-sanitaria.In previsione della seconda generazione dei Piani di zona si potrebbequindi assumere come elemento centrale da inserire nelle proprierichieste la costituzione della Porta Sociale o almeno l’avvio di speri-mentazioni in tal senso, partendo dalla costituzione di équipe inte-grate - Distretto ASL e Comuni - a cui demandare le operazioni prelimi-nari per la redazione del Piano quali la lettura dei bisogni sociali e lamappatura delle risorse.

C. La partecipazione alla spesa dei servizi sociali e socio-sanitari

Tra i temi che devono essere affrontati nei Piani di zona vi è quello dellapartecipazione alla spesa dei servizi, e questo perché:l la maggior parte dei Comuni lombardi chiede alle famiglie dellepersone con disabilità di contribuire al costo dei servizi, siano essidiurni o residenziali. Una richiesta che sta diffondendosi per la semprepiù difficile situazione economica degli enti localil in diverse situazioni la frequenza delle persone con grave disabilitàai servizi sta diventando una causa di impoverimento dell’interonucleo familiarel sempre di più, le persone con disabilità e i loro familiari si chiedonose è giusto pagare per poter accedere ai servizi.La risposta delle associazioni è che “E’ giusto pagare il giusto”.

Ma come definire criteri trasparenti e equi per determinare lacontribuzione alla spesa per i servizi per le persone con disabilità?E’ ormai convinzione diffusa che i servizi sociali pubblici debbano

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essere sostenuti in qualche misura anche dai diretti beneficiari, inproporzione al reddito e al patrimonio. Un principio affermato perlegge nel 1998 con l’introduzione del ‘redditometro’ (D.Lgs.109/98).Una norma che stabilisce criteri omogenei per valutare la situazionieconomica dei cittadini che richiedono interventi di carattere sociale.In particolare viene affermato il principio di prendere in considera-zione i redditi e i patrimoni dell’intero nucleo familiare attraverso lostrumento dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente).Da questa norma nascono le decisioni dei comuni di chiedere allefamiglie di partecipare al costo per molti servizi.La legge fa riferimento alla famiglia come descritta dalla certificazioneanagrafica (stato di famiglia) lasciando però la possibilità agli enti localidi poterne definire diversamente la composizione a seconda delservizio erogato. Le situazioni di grave disabilità producono nellamaggior parte dei casi una dipendenza importante della persona inprimo luogo verso il proprio nucleo familiare.Questa situazione si protrae spesso nell’età adulta limitando forte-mente le possibilità di accesso al reddito della persone con disabilità ein parte dei familiari. La permanenza delle persone con grave disabilitàin famiglia anche in età adulta è frutto di una impostazione dei serviziche valorizza la capacità affettiva e relazionale del nucleo familiare.Un sistema però che scarica i costi assistenziali sui nuclei familiarispesso indeboliti e socialmente svantaggiati rispetto alle altre famiglie.Uno svantaggio che si sposta ben presto anche sul versante econo-mico, in quanto a carico del nucleo familiare rimangono anche tutte leprestazioni non assicurate dal sistema stesso, si pensi per esempio aimaggiori costi che una famiglia con disabile deve sostenere pergodere di periodi di sollievo o per acquistare farmaci o ausili nonpienamente coperti dal sistema sanitario nazionale, ecc.

Queste e altre considerazioni hanno indotto il legislatore ad affermareun principio importante: anche le persone con grave disabilità,crescendo, diventano adulte e quindi devono essere considerareindipendentemente dai propri genitori sul piano dei redditi.

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Nel 2000, il D. Lgs. 130 correttivo e integrativo del precedente decreto109/98, all’art. 3, 4° c. 2 ter, afferma che per determinare l’entità dellapartecipazione al costo dei servizi socio-sanitari rivolti a personeadulte affette da disabilità grave certificata ai sensi della L. 104/92, art.3 c. 3, si debba valutare la situazione economica del “solo assistito”.

Come mai allora a 5 anni di distanza i Comuni continuano a farriferimento al reddito del nucleo e al patrimonio familiare?

Con un comportamento che le associazioni giudicano arbitrario, glienti locali rifiutano di applicare il decreto 130/00 perché non è statoancora emanato il decreto attuativo che definisce l’ambito di applica-zione della legge. Il risultato è che vengono imposte richieste econo-miche sempre più onerose che impediscono o limitano la possibilitàdella famiglia di accedere ai servizi o operare scelte di attività servizicomplementari a quelle già avviate come ad esempio attuare unprogetto di vita autonoma o utilizzare collaborazioni domestiche.In questo senso le associazioni ritengono che le famiglie di personecon disabilità stanno pagando troppo e non stanno pagando “ilgiusto”. Sono diverse le iniziative che le associazioni e i singoli possonointraprendere per vedere affermato il diritto a “pagare il giusto”come ildecreto 130/00 prevede.

l A livello nazionale la FISH si è attivata affinché il Governo, con l’av-vallo della Conferenza Stato/Regioni, emani il previsto decreto attua-tivo che imporrebbe l’attuazione immediata del decreto 130/00 sututto il territorio nazionale.l A livello di Regione Lombardia la LEDHA ha posto con forza il temadel concorso alla spesa, presentando un documento che illustra leragioni dei cittadini con disabilità e dei loro familiari e invitando l’am-ministrazione regionale ad emanare un regolamento che preveda l’ap-plicazione di questa norma della legge.l Alcune persone e associazioni hanno scelto la via del ricorso legale,impugnando di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale i provve-

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dimenti con cui i Comuni richiedono i contributi alle famiglie (ad oggisi sta ancora attendendo la sentenza definitiva da parte della magistra-tura). Un’opportunità ulteriore è oggi offerta alle associazioni dallapartecipazione ai Piani di zona, ponendosi l’obiettivo di definire ununico regolamento per l’intero ambito territoriale che recepisca il prin-cipio del “reddito individuale”in modo da evitare che almeno i cittadiniresidenti in quei Comuni debbano subire una seconda inaccettabilediscriminazione, causata dai diversi regolamenti.

GlossarioISE, indicatore della situazione economica. E’ il risultato derivante dallasomma “ragionata”di redditi e patrimoni. L’ISE è riferito, generalmente,all’intero nucleo familiare, salvo le eccezioni fissate dalla legge (anzianiultra 65enni non autosufficienti e disabili in condizione di gravità)

ISEE, indicatore della situazione economica equivalente.Dopo avere calcolato l’ISE si tratta di dividere quel risultato per il coef-ficiente relativo al numero dei componenti il nucleo familiare. I coeffi-cienti sono fissati dalla legge (D. Lgs.109/98)

Scala di equivalenza, è il meccanismo di calcolo che consente dipassare dall’ISE all’ISEE.

Numero dei componenti Parametro1 1,00 2 1,573 2,044 2,465 2,85

I parametri cambiano ulteriormente (+ O,5) inpresenza di ogni componentecon disabilità psico-fisicapermanente di cui all'art. 3,comma 3, della L.104/1992 odi invalidità superiore al 66%.

Autodichiarazione, è l’atto con cui il richiedente la prestazione socialeagevolata presenta al proprio Comune, su richiesta dello stesso, i datiutili ai fini del calcolo dell’ISE e dell’ISEE.

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D. Lgs. 130/00, è il provvedimento che ha introdotto il principio del“reddito individuale” (art. 3 c. 2 ter).Tale principio è riferito alle personecon disabilità in condizione di gravità (certificate ai sensi dell’art. 3 c. 3della L. 104/92) che utilizzano prestazioni socio-sanitarie erogate inregime domiciliare, diurno o residenziale.

Condizione di gravità, è il certificato che attesta la condizione digravità. Il certificato è rilasciato dalla Commissione di accertamentodell’invalidità civile della ASL, integrata dall’operatore sociale.

D. Lgs., Decreto Legislativo.D. P. C. M., Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Principio della gerarchia delle fonti, non tutte le norme emanate dalGoverno e dal Parlamento hanno il medesimo valore. La legge (apartire dalla Costituzione) ha un valore superiore ai provvedimenticosiddetti amministrativi (decreti, decreti legge, regolamenti, ecc.).In altri termini,anche in presenza di una difformità tra la legge e il prov-vedimento amministrativo (anche perché spesso l’una precede l’altro),ciò che vale è quanto espresso dalla legge, a scapito dei contenuti delprovvedimento di natura amministrativa.

LEA, livelli essenziali di assistenza. Con questa definizione ci si riferisceai livelli di assistenza in sanità, stabiliti dal D. P. C. M.29/11/01.

LEP o LIVEAS, livelli essenziali delle prestazioni sociali. Sono i servizi ele prestazioni descritti dalla L. 328/00 e dal Piano Sociale Nazionale2001-2003. I LEP (o LIVEAS) avrebbero dovuto essere poi precisati daun provvedimento del Governo nel corso del 2004; tale provvedi-mento non è mai stato emanato.

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D. La protezione giuridica delle persone fragili

Con l’introduzione nel nostro Codice Civile del nuovo capitolo sulle“misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte dell’auto-nomia” la legge 6/2004 crea le condizioni per un cambiamentoradicale del modo di concepire la protezione giuridica delle personecosiddette fragili.

La protezione giuridica diventa quindi uno degli elementi del pianoindividualizzato d’intervento; diviene pertanto necessario che i Piani dizona recepiscano l’importanza della protezione giuridica e formulinoprogrammi finalizzati a:1. informare e formare le famiglie,2. aggiornare e formare il personale dei servizi sociali,3. organizzare servizi pubblici o convenzionati per gestire le tutele.

Il bisogno di protezione giuridica può riguardare tutte le personemaggiorenni che, a causa di una patologia di qualsiasi natura, indipen-dentemente dalla sua durata dalla sua estensione e dalla sua gravità(quindi anche totale), si trovano nella condizione di non poter autono-mamente badare ai propri interessi, amministrare i propri beni,compiere scelte per la propria vita, firmare contratti e negozi giuridici,dare consensi, compreso il consenso informato per le cure sanitarie.

Prima dell’entrata in vigore della legge 6/04 per attivare una forma diprotezione giuridica (interdizione o inabilitazione) era necessarioavviare azioni legali costose e di impatto emotivo pesante.Le famiglie delle persone con disabilità ritenevano,a torto,di esercitarela potestà sul figlio disabile non autosufficiente e ritenevano che il“tutore”servisse solo in caso di morte o incapacità del genitore stesso.Di conseguenza il provvedimento veniva rimandato il più a lungopossibile o addirittura mai attivato con la conseguenza che i servizisociali dovevano agire d’ufficio per la promozione della tutela degliorfani che venivano accolti in emergenza nelle strutture residenziali o

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dovevano agire i parenti per far fronte principalmente a problemiconnessi con l’eredità. C’è poca consapevolezza intorno al fatto cheogni persona al raggiungimento della maggiore età acquista la pienacapacità d’agire anche se la patologia la condiziona in tutto o in partee che solo un provvedimento giuridico permette di affidare ad unterzo la sua legittima rappresentanza.

Le famiglie devono essere messe in grado di comprendere questiproblemi, vanno informate che la legge 6/04 consente loro di presen-tare un ricorso al Giudice tutelare per ottenere la nomina di ammini-stratore di sostegno, vanno aiutate a presentare ricorsi adeguati epertinenti, vanno istruite per svolgere il ruolo di amministrazione disostegno e gli impegni conseguenti.Analogo bisogno di formazione e aggiornamento riguarda gli opera-tori dei servizi perché la legge 6/04 detta loro il dovere di presentare ilricorso o di fare una segnalazione al pubblico ministero nelle situazioniin cui si rende necessario nominare un amministratore di sostegno.Questa legge prevede che l’amministratore di sostengo tuteli i bisognie le aspirazioni della persona con disabilità che rappresenta, confron-tandosi con lui sulle scelte che devono essere compiute, nei limiti dellesue capacità: si tratta del “cuore”della legge, la valenza affettiva che siaggiunge, con lo stesso peso alla gestione degli interessi patrimoniali.

La scelta dell’amministratore di sostegno/tutore/curatore ricadrà anzi-tutto sui familiari, ma non bisogna nascondersi che a volte la famiglianon ha la possibilità di reperire per il cosiddetto “dopo di noi” unadeguato successore, così come a volte non è opportuno che lagestione della tutela sia svolta da un familiare: per far fronte a questobisogno molti enti locali e ASL hanno istituito veri e propri “ufficitutela”. Da queste brevi considerazioni è possibile delineare alcuniscenari di intervento sociale e, analizzandone i limiti e le potenzialità, èpossibile offrire uno o più modelli operativi per costruire quel “sistemadella protezione giuridica” che è necessario e indispensabile perrappresentare la persona maggiorenne con disabilità, per gestire i suoi

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bisogni e per dargli garanzie in ordine ad una adeguata qualità di vita.

La protezione giuridica affidata a volontari.Una scelta che a fronte di costi sociali contenuti comporta moltivantaggi nella qualità dei rapporti interpersonali che si possonocreare, nella diminuzione dei livelli di ansia delle famiglie, nel conteni-mento delle gestioni d’ufficio delle tutele.E’ necessaria un’adeguata preparazione degli operatori sociali, azionidi sensibilizzazione per sollecitare disponibilità e attrarre al compito ivolontari e percorsi formativi adeguati.

La protezione giuridica affidata ad un professionista.Guardando alle esperienze europee si pone in risalto la Germania doveesiste la figura del tutore professionista, il “betreuer”, che ha una forma-zione professionale di tipo universitario e opera per conto degli organidella Pubblica Amministrazione ed è retribuito dalle regioni.In Italia, salvo poche eccezioni definite dal Codice Civile, tutti possonoessere nominati tutori o amministratori di sostegno, ma accade piùfrequentemente che siano nominati d’ufficio professionisti qualiavvocati, notai e commercialisti.Al di là della spinta motivazionale di ciascuno, va considerato che sitratta di professionisti impegnati a tempo pieno, che potrebberoessere indotti a privilegiare maggiormente l’amministrazione del patri-monio rispetto ai bisogni di cura personali e ai rapporti con gli enti chelo hanno in carico.

La protezione giuridica affidata ad un ente pubblico.Sono numerose in Lombardia le esperienze di questo tipo condottepresso i comuni e le ASL.Nei territori dove esistono più servizi di questa natura è auspicabilel’attivazione di un coordinamento che potrà confluire successiva-mente in un coordinamento provinciale e regionale.Oggi è già evidenziabile la sproporzione tra la quantità di tutele/ammi-nistrazioni di sostengo da gestire ed esiguità di risorse di personale

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destinate, una sproporzione destinata ad aumentare mano a manoche la legge 6/04 sarà applicata.

La protezione giuridica affidata ad una organizzazione no-profit.La legge prevede che possono essere nominati tutti gli enti indicati daltitolo II del Codice Civile (fondazioni, associazioni, IPAB…) con la solalimitazione che non possono essere nominati gli operatori che hannoin cura o in carico gli utenti.Si tratta di un ambito in Italia ancora da esplorare.Ad esempio in Spagna esistono le Fondazioni Tutelari che operano siaper gestire il patrimonio in maniera professionale che a sostegno dellaqualità della vita delle persone. Un modello interessante da adattarealla nostra sensibilità e alla nostra organizzazione sociale.

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21Conclusioni

Le associazioni e i Piani di zona:perché impegnarsi

Perché partecipare insieme con le altre realtà, a tutti i livelli, conla maggiore competenza possibile, può incidere sulle politichesociali e generare azioni concrete che migliorino la qualità dellavita e promuovano i diritti dei cittadini con disabilità.

partecipare…Gli assenti hanno sempre torto. Esserci per rappresentare,controllare, proporre.

…insiemeLa divisione non paga. E' necessario promuovere il coordina-mento tra le associazioni per crescere in autorevolezza verso gliamministratori e verso le persone che rappresentiamo.

…con le altre realtà…Dobbiamo cercare di concordare con l’intero mondo del terzosettore forme di coordinamento e momenti di discussione preli-minare (i Forum) per rafforzare la capacità di presentareproposte.

…a tutti i livelli…Non basta partecipare ai “Tavoli tecnici della disabilità”.Le istanze dei cittadini con disabilità devono trovare riscontroanche ai livelli dove vengono discusse e definite le politiche disviluppo della comunità territoriale, perché così sarà rispettato ilprincipio della piena inclusione sociale.

…con competenza…Rappresentare le persone con disabilità richiede sempre più

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capacità. Appartenere ‘alla categoria’ in quanto persona con disabilitào familiare è importante ma non è più sufficiente.Occorre favorire il confronto con chi ha acquisito competenze specifi-che nella difesa dei diritti di cittadinanza e conosce la realtà della disa-bilità, delle norme e dei servizi.

…per incidere sulle politiche sociali…Il Piano di zona non può diventare una piccola fabbrica di progetti madeve individuare i temi fondamentali per realizzare il diritto di cittadi-nanza attraverso decisioni politiche sulle questioni come la presa incarico, l’accesso ai servizi, le modalità di partecipazione alla spesa,...

…e generare azioni concrete…Dalle parole ai fatti. Le analisi e le discussioni devono produrre lineeprogrammatiche, progetti innovativi, accordi di programma.Il Comune è l’istituzione più vicina al cittadino ed è chiamata a rispon-dere ai bisogni e a promuovere scelte politiche inclusive.

…che migliorino la qualità della vita…Non tutte le azioni sono buone a priori. Le iniziative devono migliorarele condizioni di vita delle persone con disabilità, in particolare di chivive situazioni di isolamento, disagio e marginalità.

…e promuovano i diritti…I progetti,anche quelli di risposta alle emergenze,devono prevedere lapromozione della dignità e dei diritti alle pari opportunità di vita e diinclusione sociale delle persone con disabilità.

…dei cittadini con disabilitàCittadini,non utenti,oggetti di assistenza.Cittadini a cui devono essereofferte le condizioni per esercitare i propri doveri, realizzare i propridiritti, contribuire al progresso della comunità.

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LEDHA è la confederazione delle associazioni che dal 1979tutela e promuove i diritti delle persone con disabilità inLombardia. E’ aggregazione regionale di FISH e parte del Forumregionale del Terzo Settore e del Consiglio Nazionale dellaDisabilità. Oltre a rappresentare la voce delle associazioni alivello regionale, LEDHA gestisce direttamente servizi di carat-tere informativo e di consulenza legale, promuove iniziativeculturali attraverso la Mediateca e in collaborazione con l'ospe-dale San Paolo di Milano gestisce il progetto DAMA.Coordina le attività del Centro EmpowerNet Lombardia.

Promotori

Costituita nel luglio 1994, FISH è una Federazione di associazioninazionali e locali che si propone di promuovere politiche disuperamento dell’handicap, partendo dalla nuova visione bio-psico-sociale della disabilità attraverso i principi di tutela deidiritti umani e civili delle persone con disabilità e le Regolestandard dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.Prioritariamente opera per la promozione delle persone condisabilità complesse non in grado di rappresentarsi da sole.Raccorda, in collaborazione con il Consiglio Nazionale dellaDisabilità (Cnd), le politiche nazionali con quelle Europee.Interviene per garantire la non discriminazione, l’eguaglianzadelle opportunità e l’integrazione sociale in tutti gli ambiti dellavita. Opera prioritariamente per la promozionedelle persone con disabilità complesse non ingrado di rappresentarsi da sole.

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L’Agenzia EmpowerNet è uno strumento della rete FISH che opera peril mainstreaming della cultura della disabilità, coinvolgendo le associa-zioni aderenti e promuovendo relazioni e collaborazioni strutturatecon università, centri di eccellenza, ambiti professionali, istituzioni edenti.Le aree di lavoro dell’Agenzia EmpowerNet sono l’informazione, laformazione, la ricerca e la consulenza. L’articolazione territorialedell’Agenzia è costituita dai Centri EmpowerNet attivi in sette regioni eda un coordinamento nazionale delle attività.

FISH Onlus- Federazione Italiana Superamento HandicapVia Capponi 176 – 00179 Roma - telefono 06 78851262 e-mail: [email protected] web: www.superando.it

LEDHA - Lega per i diritti delle persone con disabilitàVia Livigno 2 - 20158 Milano - telefono 02 6570425e-mail: [email protected] [email protected] web: www.informahandicap.it

Agenzia EmpowerNetPresso sede FISH