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PER UNA SEMIOTICA DELLA CULTURA JURIJ M. LOTMAN (1922-1993)

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Page 1: PER UNA SEMIOTICA DELLA CULTURA JURIJ M. LOTMAN … · Alcuni testi • Tesi per un’analisi semiotica delle culture, 1973 • Tipologia della cultura, 1973 (contiene: Lotman- Uspenskij,

PER UNA SEMIOTICA DELLA CULTURA

JURIJ M. LOTMAN (1922-1993)

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Alcuni testi •  Tesi per un’analisi semiotica delle culture, 1973 •  Tipologia della cultura, 1973 (contiene: Lotman- Uspenskij, Sul

meccanismo semiotico della cultura), Bompiani 1975 •  La semiosfera, 1985 •  La cultura e l’esplosione, 1993 Influenza del modello saussuriano (opposizione tra dimensione sincronica e diacronica e tra statico e dinamico) e dei formalisti russi.

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Cultura

«Della cultura esistono numerose definizioni. […]: ogni cultura data storicamente genera un determinato modello culturale suo proprio.[…] In primo luogo, alla base di tutte le definizioni c’è la convinzione che la cultura possieda dei tratti distintivi[…] ne deriva l’asserto che la cultura non rappresenta mai un insieme universale, ma solo un sottoinsieme con una determinata organizzazione[…]. La cultura è pensata solo come una porzione, come un’area chiusa sullo sfondo della non cultura. Il carattere della contrapposizione varierà: la non cultura può apparire come estraneità a una determinata religione, a un determinato sapere, a un determinato tipo di vita e di comportamento. Sempre però la cultura avrà bisogno di una tale contrapposizione. Sarà proprio la cultura, inoltre, a intervenire come membro marcato dell’opposizione […] sullo sfondo della non cultura, la cultura interviene come sistema di segni» (Sul meccanismo semiotico della cultura (1971), in Tipologia della cultura, Bompiani 1975: 39-40)

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Cultura come strutturazione del mondo •  «Il “lavoro” fondamentale della cultura sta nell’organizzare

strutturalmente il mondo che circonda l’uomo. La cultura è un generatore di strutturalità; è così che essa crea intorno all’uomo una sociosfera che, allo stesso modo della biosfera, rende possibile la vita, non organica, ovviamente, ma di relazione» (1971:42)

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Sistemi modellizzanti •  Modello: ciò che riproduce in qualche misura l’oggetto e lo rende conoscibile •  Il sistema modellizzante primario è la lingua naturale (mezzo e modello degli

altri linguaggi). •  La lingua naturale è il dispositivo stereotipante che permette di svolgere il

lavoro di strutturazione del mondo, è una sorgente di strutturalità.

•  «Per “sistemi modellizzanti secondari” si intendono quei sistemi semiotici con cui si costruiscono i modelli del mondo o di frammenti di esso. Questi sistemi sono secondari in rapporto alla lingua naturale primaria, e sono costruiti al di sopra di essa direttamente (come nel caso del sistema sovralinguistico della letteratura artistica), o come forme a essa parallele (musica e pittura).

•  La cultura (l’insieme cioè di forme culturali testualizzate come testi artistici, folklorici, religiosi, mitici ecc.) è un sistema modellizzante secondario.

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Modelli semiotici discreti e non discreti

«Nel sistema delle opposizioni semiotiche costitutive della cultura, un ruolo particolare è svolto dalla contrapposizione dei modelli semiotici discreti e non discreti (dei testi discreti e non discreti), una manifestazione particolare della quale può essere considerata l’antitesi di segni iconici e verbali. Acquista così un senso nuovo il problema tradizionale del confronto delle arti figurative e delle arti verbali: si può dire che esse sono reciprocamente necessarie per la formazione del meccanismo della cultura, e che è per esse necessario essere diverse in base al principio della semiosi, ossia equivalenti per un verso e, per l’altro, non completamente traducibili le une nelle altre».

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Cultura e testi •  La cultura in generale può essere rappresentata come un insieme di testi; ma

dal punto di vista del ricercatore, è più esatto parlare della cultura in quanto meccanismo che crea un insieme di testi e parlare dei testi in quanto realizzazione della cultura» (1971: 50).

•  Il testo è l’unità di base della semiotica, il «programma condensato di tutta la cultura» (Lotman, 2006).

•  «Da un punto di vista semiotico, la cultura può essere considerata come una gerarchia di sistemi semiotici particolari, come una somma di testi cui è collegato un insieme di funzioni, ovvero come un congegno che genera questi testi. Considerando una collettività come un individuo costruito in modo più complesso, la cultura può essere interpretata, in analogia con il meccanismo individuale della memoria, come un congegno collettivo per conservare e elaborare informazione. La struttura semiotica della cultura e la struttura semiotica della memoria rappresentano fenomeni funzionalmente omogenei, situati a diversi livelli» (Lotman 2006: 130)

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Cultura e memoria •  «Noi intendiamo la cultura come memoria non ereditaria della collettività,

espressa in un determinato sistema di divieti e prescrizioni» (Lotman 1971:43).

•  «La definizione della cultura come memoria della collettività pone, in termini generali, il problema del sistema di regole semiotiche, secondo le quali l’esperienza di vita del genere umano si fa cultura. L’esistenza stessa della cultura sottintende la costruzione di un sistema di regole per la traduzione dell’esperienza immediata in testo» (ivi: 44).

•  «L’esigenza di un costante autorinnovamento, di diventare altro pur rimanendo se stesso, costituisce uno dei fondamentali meccanismi di lavoro della cultura» (ivi: 64).

•  La memoria non è un serbatoio di conoscenze ma un ‘lavorio’ costante di ridefinizione del passato e traduzione del passato nel presente, una forza attiva nella società.

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Dinamica della cultura •  Ruolo della traduzione nel processo di costante rigenerazione della cultura

per assimilazione di testi appartenenti ad altri sistemi semiotici. Ogni testo genera dentro di sé zone di traducibilità e intraducibilità, senso e non senso, sistematicità e caos. L’imperfezione della traduzione garantisce la vitalità della cultura.

•  Trasformazione semiotica di ciò che appare non organizzato semioticamente (il “barbaro” per i greci e per i romani)

•  Tesi del 1973: la cultura «non si limita a lottare con il ‘caos’ esterno, ma allo stesso tempo ne ha bisogno, non solo lo annienta, ma costantemente lo crea».

•  > antinomia statico/dinamico, sincronico/diacronico: la cultura deve dialogare con la non-cultura.

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«La cultura è un congegno [system] che trasforma la sfera esterna in quella interna: la disorganizzazione in organizzazione, i profani in iniziati, i peccatori in giusti, l’entropia in informazione. In forza del fatto che la cultura non vive soltanto grazie all’opposizione tra sfera interna ed esterna, ma anche grazie al passaggio da un ambito all’altro, essa non si limita a lottare con il caos esterno, ma allo stesso tempo ne ha bisogno, non solo lo annienta, ma costantemente lo crea. Uno dei legami della cultura con la civiltà (e il “caos”) sta nel fatto che la cultura si priva ininterrottamente, a favore del suo antipodo, di taluni particolari elementi da essa esauriti che si trasformano in cliché e funzionano nella non cultura. Si realizza così nella stessa cultura un aumento di entropia a spese del massimo di organizzazione. […] A ciascun tipo di cultura storicamente dato corrisponde un certo tipo di non cultura che appartiene solo a esso» (Lotman 2006: 109).

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«l’ampliamento della sfera dell’organizzazione porta all’ampliamento della sfera della non organizzazione. Al mondo ristretto della civiltà ellenica corrispondeva il mondo ristretto dei “barbari” che la circondavano […]. È significativo che il secolo XX, esaurite le riserve per un ampliamento della cultura nello spazio (tutto lo spazio geografico è diventato “culturale” e l’”anticampo” è scomparso), si sia rivolto al problema del subcosciente, costruendo così un nuovo tipo di spazio contrapposto alla cultura.[…] Come fatto di cultura, il problema del subcosciente non è tanto una scoperta quanto una creazione del secolo XX» (ivi 110-11).

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Scienza della correlazione funzionale dei differenti sistemi segnici

•  La cultura è pensata come uno spazio in cui coesistono diversi sistemi di significazione (lingua, scrittura, moda, arte, religione, architettura, musica ecc.); condizione minima della cultura è l’esistenza di almeno due sistemi correlati:

«Per il funzionamento della cultura e, corrispondentemente, per giustificare la necessità di una applicazione nello studio della cultura di metodi complessi, ha un’importanza fondamentale il fatto che un singolo sistema semiotico isolato, per quanto perfettamente organizzato, non può costituire una cultura: a questo scopo il meccanismo minimo richiesto è costituito da una coppia di sistemi semiotici correlati. Un testo in lingua naturale e un disegno rappresentano il sistema più comune formato da due lingue, costituente il meccanismo della cultura. La tendenza alla eterogeneità delle lingue è un tratto tipico della cultura» (Lotman, Tesi per una semiotica delle culture, Meltemi, 2006: 133)

•  Di qui la necessità di una semiotica della cultura, intesa come «scienza della correlazione funzionale dei diversi sistemi segnici» (ivi: 107)

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Tesi per un’analisi semiotica delle culture (1973)

«I singoli sistemi segnici, pur presupponendo strutture con una organizzazione immanente, funzionano soltanto in unione, appoggiandosi l’uno all’altro. Nessun sistema segnico possiede un meccanismo che gli consenta di funzionare isolatamente. Ne consegue che, accanto a una impostazione che permetta di costruire una serie di scienze relativamente autonome del ciclo semiotico, anche un’altra è lecita, dal punto di vista della quale tutte queste scienze considerino aspetti particolari della semiotica della cultura, intesa come scienza della correlazione funzionale dei diversi sistemi segnici». La semiotica studia la correlazione tra diversi sistemi segnici. Così l’analisi di testi letterari ci consente di studiare il comportamento dei decabristi come semioticamente significativo: semiotizzazione del comportamento quotidiano.

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Il decabrista nella vita. Il gesto, l’azione, il comportamento (1975)

•  Decabristi: da dekabr = dicembre: “rivoluzionari nobili, membri delle società segrete (appartenenti alla borghesia e alla nobiltà) che prepararono il moto di rivolta del dicembre 1825 in Russia (San Pietroburgo) contro l’assolutismo e a sostegno di una economia liberale.

•  Caratterizzati da un «comportamento speciale, un modo particolare di parlare, agire e reagire, proprio appunto di un membro di una società segreta» (p. 188). «è difficile indicare un’altra epoca della vita russa nella quale il discorso orale – conversazioni, discorsi amichevoli, colloqui, orazioni, sdegnate filippiche – abbia svolto una parte così importante. […] i decabristi stupiscono per la loro “loquacità”» (191-2). Perciò spesso erano anche accusati di vuota retorica e di incapacità a passare dalle parole ai fatti.

•  Tale comportamento non può essere compreso se non in relazione al comportamento del nobile russo tra il 1810 e il 1825.

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•  Lotman prende in esame il comportamento, le sue azioni, non il mondo interiore, le emozioni: «tutto ciò che la vita attiva di un decabrista aveva in comune con quella di un qualsiasi nobile russo del suo tempo sarà da noi escluso dal campo di analisi (190-91).

•  «i decabristi profusero particolari energie creative per dare vita a un

tipo particolare di russo, nettamente distinto, per il suo modo di comportarsi, da ogni antecedente storico. In questo senso essi furono degli autentici innovatori. Questo specifico comportamento di un rilevante gruppo di giovani […] esercitò un forte influsso su tutta una generazione di russi, per i quali rappresentò un’esemplare scuola di impegno civile. Il movimento politico-intellettuale della nobiltà rivoluzionaria produsse anche un carattere umano, dotato di specifici aspetti e un particolare tipo di comportamenti. Individuarne alcuni tratti fondamentali è lo scopo del presente lavoro» (191).

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Le forme dell’espressione «I contemporanei non si limitavano a porre in rilievo la “loquacità” dei decabristi: essi sottolineavano anche l’aspra franchezza dei loro giudizi, la categoricità delle sentenze, la tendenza “sconveniente” dal punto di vista delle norme del gran mondo, a chiamare le cose con il loro nome, evitando le convenzioni eufemistiche delle formule mondane, la loro aspirazione costante a esprimere senza tanti rigiri la loro opinione, incuranti del rituale avallato dalla consuetudine e della gerarchia osservata nel comportamento linguistico mondano. Per questa asprezza e per l’ostentata trascuranza del “galateo linguistico” era celebre Nikolaj Turgenev. Negli ambienti vicini ai decabristi la marcata inurbanità e ‘sgarbatezza’ del comportamento linguistico erano definite come comportamento “spartano” o “romano” ed erano contrapposte a quello “francese”, valutato in termini negativi» (193).

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•  «il decabrista con il suo comportamento eliminava la gerarchicità e la varietà di stili dell’agire. In primo luogo veniva eliminata la differenza tra linguaggio scritto e parlato: l’alto grado di organizzazione, la terminologia politica rigorosa, la compiutezza sintattica del discorso scritto erano trasferite nella sfera orale» (194-5)

•  «i decabristi coltivavano la serietà come norma di comportamento […] altrettanto negativo era l’atteggiamento dei decabristi verso il gioco verbale come forma di comportamento linguistico»: antitesi tra gioco e impegno (196).

•  «Questo, da una parte, porta a un aumento della funzione del gesto nel comportamento quotidiano. Il “gesto” è un atto che non tanto, e non soltanto ha una finalità pratica, quanto un riferimento a un significato. Il gesto è sempre segno e simbolo. […]

•  Da questo punto di vista il comportamento quotidiano del decabrista a un osservatore moderno sembrerebbe teatrale, calcolato per uno spettatore. Ma si deve ben capire che la “teatralità” del comportamento non significa affatto una sua insincerità o una qualsiasi altra caratteristica negativa. È soltanto un segnale del fatto che il comportamento acquista un senso sovraquotidiano, diventa cioè oggetto d’attenzione, e a essere valutati non sono gli atti ma il loro senso simbolico. D’altro lato, nel comportamento quotidiano del decabrista si invertono i consueti rapporti tra parola e azione.» (199).

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«Il comportamento linguistico del decabrista era estremamente specifico. Abbiamo già rilevato che un suo tratto caratteristico era la tendenza a nominare ciò che, pur effettuandosi nella sfera quotidiana, diventava un tabù nel linguaggio. Questa nominazione aveva tuttavia un suo carattere specifico e non era accompagnata dalla riabilitazione del lessico basso, volgare o anche semplicemente quotidiano. Nella coscienza del decabrista era insita una netta polarizzazione delle valutazioni morali e politiche: ogni azione veniva a trovarsi nel campo dell’abiezione, della viltà, della tirannia, oppure del liberalismo, dei lumi, dell’eroismo. Non si davano azioni neutre o irrilevanti e non se ne presupponeva la possibilità. […] Il comportamento quotidiano cessa di essere soltanto quotidiano: esso assume un alto significato etico-politico; in secondo luogo, i consueti rapporti tra il piano dell’espressione e quello del contenuto per quel che riguarda il comportamento mutano: non è la parola a designare l’azione, ma l’azione a designare la parola. […]. Egli chiama pubblicamente le cose con il loro nome, “tuona” ai balli e in società, dal momento che proprio in questa nominazione egli vede la liberazione dell’uomo e l’inizio della trasformazione della società. Quindi la perentorietà, una certa ingenuità, la facilità a cadere in situazioni ridicole (dal punto di vista del gran mondo) sono compatibili col comportamento decabrista non meno dell’asprezza, dell’orgoglio, e persino dell’alterigia. Ma esso esclude assolutamente l’ambiguità, le acrobazie concettuali, la capacità di “stare al gioco”» (201-2)

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Tipologia della cultura •  Ricerca di costanti nella diversità delle culture. •  Le culture hanno bisogno di sintesi unificanti, di crearsi una immagine di sé

unitaria, un’autodescrizione coerente.

•  Ogni cultura si crea la propria concezione dello sviluppo culturale, cioè la propria tipologia della cultura (Lorusso, Semiotica della cultura, Laterza 2010: 63).

•  «Un connotato essenziale della caratterizzazione tipologica della cultura può considerarsi il modo in cui essa si definisce da sé» (1971:50), cioè il modo in cui essa si autodefinisce e si autovaluta, attraverso testi automodellizzanti.

•  L’automodello (autocoscienza ideale) è un fondamentale strumento di unificazione della cultura. Esso può essere molto prossimo alla cultura reale, porsi come modello ideale cui la cultura cerca di approssimarsi, o come modello separato dalla cultura e che tale resta e viene percepito.

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Varietà nell’unità Gli elementi dominanti che rendono omogeneo il sistema, coesistono accanto a isole, strutture diversamente organizzate: es. il monastero nella cultura medievale, il carnevale, gli zingari nella Pietroburgo dell’Ottocento: •  «Accanto all’opposizione di “vecchio” e “nuovo”, “fisso” e “mobile”, nel sistema della

cultura si dà un’altra opposizione radicale: quella di unità e pluralità. […] La presenza di strutture organizzate diversamente e di gradi diversi d’organizzazione è condizione indispensabile perché il meccanismo della cultura sia operante. Non sapremmo nominare una sola cultura storica reale i cui livelli e sottolivelli siano tutti organizzati su una base strutturale rigorosamente identica e sincronizzati nella loro dinamica storica. All’esigenza di varietà strutturate è connesso, evidentemente, il fatto che ogni cultura, oltre allo sfondo extraculturale posto al di sotto del suo livello, distingue sfere particolari organizzate diversamente, che dal punto di vista assiologico godono di un altissimo apprezzamento, benché si situino fuori del sistema generale di organizzazione. Tali sono il monastero del mondo medievale, la poesia nella concezione del Romanticismo, il mondo degli zingari o delle quinte teatrali nella cultura pietroburghese dell’Ottocento […] isole inserite nel comune massiccio di una cultura ma dotate di una organizzazione “altra”, e aventi come fine quello di accrescere la varietà strutturale, di vincere l’entropia dell’automatismo strutturale» (Tesi per una semiotica delle culture).

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Autovalutazione della cultura

•  Attraverso quali criteri?

•  1. Modi di intendere il segno (culture mitologiche / culture non mitologiche) •  2. Testualizzazione / grammaticalizzazione •  3. Comunicazione io-egli / io-io •  4. Topologia: metalinguaggio spaziale

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1. Modelli di segno (culture mitologiche/culture non mitologiche)

•  Modo in cui una cultura rappresenta la propria origine e la propria natura semiotica; come si rapporta ai segni: «il rapporto con il segno e la segnicità rappresenta una delle caratteristiche fondamentali della cultura».

•  Anzitutto è essenziale stabilire se il rapporto fra espressione e contenuto va

considerato come necessario o come arbitrario e convenzionale.

•  Nel primo caso acquista un’importanza di principio il problema: come si chiama un dato fenomeno; identificazione tra parola e cosa nominata, propria delle culture mitologiche in cui il nome comune diviene nome proprio [esempio: ricerca medievale del nome, rituale massonico, tabù linguistici; la Russia di Pietro I (1682-1724): la rigenerazione politica e sociale passa attraverso una rinominazione generale dello Stato, delle istituzioni ecc.]

•  Nel secondo caso il problema della denominazione e, in generale, dell’espressione non ha valore di principio; si può dire che l’espressione si presenta in questo caso come un fattore aggiuntivo e, nel complesso, più o meno fortuito rispetto al contenuto» (Tesi, 48-49).

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2. Culture testualizzate e culture grammaticalizzate

«Se è proprio di certe culture il rappresentarsi come un insieme di testi regolati (può servire ad esempio il Domostroj*), altre culture modellizzano se stesse come un sistema di regole che determinano la creazione dei testi. (Si potrebbe dire, con altre parole, che nel primo caso le regole si definiscono come una somma di precedenti, mentre nel secondo il precedente esiste soltanto qualora venga descritto come una regola corrispondente). Risulta evidente che è proprio delle culture caratterizzate appunto da un prevalente orientamento sull’espressione il rappresentarsi come un insieme di testi, mentre è proprio delle culture dirette prevalentemente sul contenuto il rappresentarsi come un sistema di regole. Questo o quell’orientamento di una cultura genera l’ideale del Libro o del Manuale, compresa anche l’organizzazione esterna di simili testi. […] E’ quanto accade con l’insegnamento di una lingua in quanto sistema di regole grammaticali oppure in quanto assortimento di modi d’uso» (1971: 50-2)

*Domostroj: Opera anonima della metà del Cinquecento, “organizzazione, governo della casa”; disciplinava il comportamento etico-religioso e sociale della famiglia.

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Opposizione tra Consuetudine e Legge: alcune culture sono rette da sistemi di regole e altre governate da repertori di esempi o modelli di comportamento Esempio di cultura grammaticalizzata: il diritto romano, dove si prescrivono regole per ogni caso escludendo ogni tipo di devianza; Esempio di cultura testualizzata la Common Law anglosassone, in cui le sentenze già prodotte costituiscono i modelli per risolvere nuovi casi analoghi (Eco 1975: 194) Testo esemplare della cultura grammaticalizzata (basata sul contenuto) è il manuale: Testo esemplare della cultura testualizzata (basata sull’espressione per contenuti più nebulosi) è il Libro (Sacro). L’apprendimento della lingua nei bambini si basa sul modello testuale (atti di ipocodifica per poi sviluppare atti di ipercodifica); l’apprendimento di una lingua da parte di un adulto si basa al contrario su modelli grammaticalizzati (processi di ipercodifica).

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Cultura /non cultura / anticultura «Conformemente alla distinzione formulata sopra, la cultura può contrapporsi sia alla non cultura che all’anticultura. Se nelle condizioni di una cultura che si caratterizzi per il prevalere dell’orientamento sul contenuto e che si rappresenti se stessa sotto forma di un sistema di regole, l’antitesi fondamentale è quella “ordinato vs non ordinato” (antitesi che in casi particolari può realizzarsi come opposizione “cosmo vs caos”, ecc.), nelle condizioni di una cultura diretta prevalentemente sull’espressione e rappresentata come un insieme di testi regolati, l’antitesi fondamentale sarà quella “corretto vs erroneo” […]: un’antitesi che può avvicinarsi – fino a coincidere – alla contrapposizione “vero” e “falso”. In quest’ultimo caso la cultura non si contrappone al caos (all’entropia), ma a un sistema di segno opposto» (1971: 52-3). Esistono culture nelle quali è corretto ciò che esiste, altre in cui esiste e può esistere solo ciò che è corretto. Le prime sono culture testualizzate, in cui il principio base è quello della consuetudine; le seconde sono grammaticalizzate: assumono a proprio criterio la legge.

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Espansione /difesa •  «una cultura diretta prevalentemente sul contenuto, antitetica all’entropia (al

caos), e la cui opposizione fondamentale è quella tra “ordinato” e “non ordinato”, concepisce sempre se stessa come un principio attivo che deve propagarsi, mentre vede nella non cultura la sfera di una propria potenziale diffusione. Nelle condizioni invece di una cultura orientata prevalentemente sull’espressione, e in cui interviene come opposizione fondamentale quella tra “corretto” ed “erroneo”, può non aversi in generale la tendenza all’espansione (in simili condizioni può risultare più caratteristica la tendenza della cultura a non uscire dal proprio ambito, a barricarsi contro tutto ciò che le si contrappone, a chiudersi in se stessa senza estendere il proprio raggio di diffusione). La non cultura si identifica allora con l’anticultura e, in questo modo, già per la sua stessa essenza, non può venir percepita come potenziale area di espansione della cultura. […]

•  Si può dire che, se in un certo tipo di cultura la diffusione della conoscenza avviene tramite la sua espansione nell’area della non conoscenza, nelle condizioni di una cultura di tipo opposto la diffusione della conoscenza è possibile solo in quanto vittoria sulla menzogna» (1971:57-8)

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3. Comunicazione Io-Io vs Comunicazione Io-Egli

•  Comunicazione Io-Egli: trasmissione di una informazione (già compiuta) da un mittente a un destinatario, tramite un codice stabile; atto informativo come scambio (es. la cultura europea nell’età moderna). Questo modello appartiene a culture dinamiche, caratterizzate da rapido aumento delle conoscenze, ma più frammentate; la verità è concepita come qualcosa che viene trasmesso in modo compiuto da una parte a un’altra.

•  Comunicazione Io-Io: comunicazione riflessiva (diaristica), mittente e destinatario coincidono; determina una trasformazione qualitativa dell’informazione per intervento di nuovi codici che ristrutturano il contenuto e produce una riorganizzazione dell’io. Questo modello appartiene a culture più orientate in senso spirituale ma poco dinamiche.

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4. Spazialità delle culture

•  Nella elaborazione delle autodescrizioni un ruolo centrale è svolto dalle categorie topologiche: metalinguaggio descrittivo della cultura basato su modelli spaziali.

•  L’autodefinizione implica da un lato definire il proprio spazio, separandolo da quello degli altri: stabilire delle frontiere, dall’altro immaginarsi l’al di là della frontiera e le direzioni di influenza (dall’interno verso l’esterno o viceversa):

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Frontiera

interno

Noi

Esterno altri

Spazio organizzato

Spazio non-organizzato

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Orientamento Orientamento ancorato a uno spazio interno (diretto) Orientamento ancorato a uno spazio esterno (inverso); L’esterno in certi casi può essere marcato in modo positivo (l’aldilà del cristianesimo) e riflettersi sull’interno (vita terrena) (es. Medioevo). L’esterno può essere uno spazio altro, distinto, con cui non si stabilisce un rapporto polemico ma solo dialogico, a volte marcato positivamente (es. delle fiabe rispetto alla vita reale). Ciò che è costante è la necessità di una frontiera: le identità sociali per autodescriversi e modellizzare sé e le altre culture devono situarsi e collocare il resto del mondo. Le categorie topologiche sono fondamentali per ogni cultura, al punto che Lotman arriverà a concepire anche il linguaggio topologico come sistema modellizzante primario.

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Fissità/mobilità •  Alcuni testi caratterizzano la struttura del mondo chiedendosi “Come

è organizzato?” (fissità) •  Rappresentazioni discrete dello spazio: categorie topologiche di continuità,

vicinanza, frontiera

•  Altri testi caratterizzano l’attività dell’uomo nel mondo circostante, chiedendosi “Che cosa e come avvenne?”, “Che fece lui?” (mobilità) •  Rappresentazioni del movimento all’interno di uno spazio continuo, traiettorie,

spostamento: categoria della narratività

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Movimento attraverso la frontiera Dinamismo narrativo: percorso dell’eroe attraverso una frontiera, spostamento come lotta contro la costruzione del mondo. Dinamismo anarrativo: irruzione dello spazio esterno nello spazio interno; modifiche degli spazi culturali come invasioni di confini, erosione di territori.

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Mondo come luogo di incrocio di una pluralità di prospettive

«La scienza del XIX secolo identificava il punto di vista consueto dello scienziato con la verità e quindi presupponeva possibile la descrizione soltanto dal “mio” (dello scienziato, della scienza) punto di vista, il che si esprimeva, ad esempio, nell’assolutizzazione del punto di vista europeo nell’antropologia e nella linguistica indoeuropea o della grammatica latina nella linguistica. Ogni altra descrizione – cioè la descrizione fatta in altri termini – era considerata sbagliata (non civilizzata, barbara) e in ultima analisi inesistente per la scienza. La scienza del XX secolo, al contrario, parte dall’esistenza di vari sistemi di descrizione e s’interessa quindi molto di più del punto di vista dell’”altro” (l’”io dall’angolo visuale dell’”altro”, l’”altro” dal suo proprio punto di vista)».

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Semiosfera •  Insieme dei segni che insistono all’interno di un determinato spazio culturale

e comunicativo (<Biosfera (Vernadskij): insieme degli organismi vivi) •  Spazio culturale stabile e dinamico, simmetrico e asimmetrico •  Forma che filtra e regola la traduzione dell’esterno non-semiotico in qualcosa

di significativo e segnico. •  La semiosfera ha sempre necessità di un fuori, di una non-cultura –

l’impensato, il non conosciuto, ciò che semplicemente, in un dato momento, ci è estraneo, rispetto a cui definirsi.

•  È a sua volta formata da altre semiosfere. •  Il sovrapporsi delle culture, la loro interna eterogeneità e contraddittorietà, il

muoversi delle persone, il viaggiare di idee e di oggetti culturali, il mescolarsi delle cose del mondo, il passare del tempo, fanno sì che la tenuta di questi nessi sia precaria, che si realizzi in alcune parti e si dissolva in altre, che appaia solida e poi improvvisamente ceda.

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Confine •  «Il confine dello spazio semiotico non è un concetto astratto, ma un’

importante posizione funzionale e strutturale, che determina la natura del suo meccanismo semiotico. Il confine è un meccanismo bilinguistico, che traduce le comunicazioni esterne nel linguaggio interno della semiosfera e viceversa. Solo col suo aiuto la semiosfera può così realizzare contatti con lo spazio extrasistematico e non semiotico» (La semiosfera, p. 60)

•  Dispositivo che unisce e separa •  C’è confine ovunque si dia il tentativo o la necessità di una traduzione •  Zona di passaggio, di creolizzazioni (Russia francesizzata tra Settecento e

Ottocento) •  Spazio dove emerge il nuovo, dove si forma una terza cultura, ibrida, a partire

dall’incontro-scontro tra due culture •  Generatore di riflessività, di necessaria autodefinizione e autocoscienza.

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Centro / Periferia

•  Centro: sistemi più stabili e dominanti •  Periferia: elementi più mobili, instabili, flessibili caratterizzato dalla

destrutturazione del senso dato •  Condizione di intersecazione di corpi singoli e collettivi, di memorie

differenti •  Prefigurazione di un senso a venire.

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•  Il dialogo tra le culture si sviluppa sulla base di modelli virtuali, immagini astratte, simulacri enantiomorfi, che influenzano realmente i rapporti tra i sistemi culturali.

•  I testi della cultura esterna devono risultare in una certa misura omogenei ai testi della cultura di accoglienza.

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•  «L’opposizione “cultura - spazio extra-culturale” costituisce l’unità minima su un dato livello. Praticamente ci è fornito un paradigma di spazi extraculturali (“infantile”, “etnico-esotico” dal punto di vista di una certa cultura, “subconscio”, “patologico”, ecc.). In modo analogo i testi medievali costruiscono le descrizioni dei diversi popoli: al centro è collocata una certa entità normale, il “noi”, alla quale sono contrapposti gli altri popoli come un insieme paradigmatico di anomalie. Il carattere attivo del ruolo svolto dallo spazio esterno nel meccanismo della cultura si manifesta, in particolare, nel fatto che determinati sistemi ideologici possono attribuire una fonte generatrice di cultura proprio alla sfera esterna, non organizzata, contrapponendo a essa l’area interna, ordinata, come culturalmente morta. Così nella contrapposizione slavofila della Russia all’Occidente, la prima è identificata con la sfera esterna, non normalizzata, non acquisita alla cultura ma costituente il germe della cultura a venire. L’Occidente viene pensato come il mondo chiuso e ordinato, cioè “culturale”, e al tempo stesso culturalmente morto. Perciò dal punto di vista dell’osservatore esterno, la cultura non viene a rappresentare un meccanismo immobile, bilanciato in una dimensione sincronica, bensì un congegno dicotomico il cui “funzionamento” si attuerà come invasione dell’ordine nella sfera del non ordinato, e come contrapposta irruzione del non ordinato nell’area della organizzazione. In momenti diversi dello sviluppo storico può dominare l’una o l’altra tendenza. L’acquisizione della sfera della cultura di testi provenienti dall’esterno risulta essere talvolta uno stimolo potente di sviluppo culturale» (Tesi per una semiotica delle culture, 111-12)

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Implosione/esplosione La cultura e l’esplosione (1993): per impostare bene la questione della cultura è necessario riflettere sui seguenti nodi problematici: •  Rapporto del sistema con il mondo che si estende al di fuori del

sistema •  Rapporto tra statica e dinamica •  In che modo un sistema può svilupparsi rimanendo se stesso.

•  Movimenti in avanti: basati sulla continuità (gradualità, prevedibilità) o sulla discontinuità (imprevedibilità, esplosione > innovazione)

•  Collasso del vecchio e insorgenza del nuovo: esplosione e sviluppo

graduale convivono in uno spazio sincrono: sistemi più lenti con sviluppo continuo (lingua) convivono con sistemi più dinamici e veloci (tecnologie).

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Emozioni collettive «Le onde della cultura si muovono nel mare della umanità. E questo fa sì che i processi che si verificano siano inseparabili dalla esplosione delle emozioni collettive. […] Lo studio della semiotica della cultura ci conduce alla semiotica delle ‘emozioni culturali’ (La semiosfera, pp. 144-5) L’oggetto della paura è una costruzione sociale, la rappresentazione di un soggetto che, con i suoi tratti negativi, è funzionale alla stabilizzazione della propria immagine (La caccia alle streghe. Semiotica della paura, in «E/C»1998) Le emozioni collettive ci parlano profondamente dei soggetti che le esprimono e della loro cultura. Sono potenti mezzi di regolazione della eterogeneità interna: esse stereotipizzano e uniformano il soggetto medio e chiamano a raccolta, tengono uniti tutti coloro che si riconoscono in quel soggetto medio (Lorusso, 2010: 90)

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Il Novecento secolo delle esplosioni

•  Per Lotman il secolo XX si distingue da tutte le epoche precedenti per la “globalità” del processo storico, delle “esplosioni sociali”: “guerre e rivoluzioni mondiali, mutamento del concetto stesso di testo per effetto [..] dei mass media ecc.”. Una costante novecentesca in particolare è “la tendenza al rimpiazzo delle autodescrizioni della cultura con descrizioni di descrizioni”, e cioè con metatesti che hanno per oggetto non la cultura, ma il meccanismo stesso della descrizione”.