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U n misto di novità, sorpre- se e conferme. La prima sorpresa è la netta pre- dominanza lombarda (for- se dovremmo allargare il giro dei nostri ascolti): Tremezzo per Van De Sfroos, Erba per i Sulutumana, Monza per i Mercanti di Liquore. Ma non è finita: Luca Ghielmetti è di Valmorea provincia di Como, Mi- chele Gazich di Brescia, Vinicio Ca- possela, pur irpino di origine (e te- desco di nascita), vive a Milano e "Da solo" è un disco eminentemen- te milanese. A Milano vive pure il ca- tanese Cesare Basile e in parte mi- lanesi sono i Baustelle (toscani d'o- rigine). A Milano vive pure il salenti- no Alessio Lega e anche la sorpre- sa (per la canzone d'autore) del ro- ma-toscano Lorenzo Cherubini Jo- vanotti che quest'anno ha conteso ai Baustelle la targa Tenco per il di- sco dell'anno. Cristina Donà è bresciana a sua volta e Luca Bonaffini è di Manto- va. Peraltro è consistente la pre- senza emiliana: in primo luogo con la sorpresa dell'anno Vasco Bron- di, ossia Luci della centrale elettri- ca, ma tra Emilia e Romagna si di- stribuiscono anche gli OfflagaDi- scoPax, Giuseppe Righini (di Rimi- ni) e i Dodici corde. Tre (e mezzo) i toscani: Massimiliano Larocca, Maurizio Geri, Paolo Benvegnù (e i Baustelle). Tre i pugliesi: Fabulara- sa, Umberto Sangiovanni e Ales- sio Lega (di origine). Un napoletano (Edoardo Bennato), un calabrese (Domenico Fiumanò Violi) e un sici- liano (Carlo Muratori). Per finire due liguri (Max Manfredi e Antonio Lombardi) e un gruppo piemonte- se (Yo Yo Mundi). Infine una pre- senza sigola, quella di Angelica Lu- bian, unica trentina, terra avara di cantautori. L L L e e e B B B i i i E E E L L L L L L E E E N N N E E E W W W S S S Numero 65 14 dicembre 2008 Quindicinale poco puntuale di notizie, recensioni, deliri e quant’altro passa per www.bielle.org le bielle novità Sul sito lo speciale per i 10 anni dalla morte di Fabrizio de André, un’intervista a Daniele Sepe e tante nuove recensioni Inoltre radioBielle, il nostro podcasting per ascoltare le voci dei bielleartisti in strea- ming oppure, scarican- dole sul vostro lettore mp3, dove, quando e come volete... bielle pensieri

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Un misto di novità, sorpre-se e conferme. La primasorpresa è la netta pre-dominanza lombarda (for-

se dovremmo allargare il giro deinostri ascolti): Tremezzo per VanDe Sfroos, Erba per i Sulutumana,Monza per i Mercanti di Liquore.Ma non è finita: Luca Ghielmetti èdi Valmorea provincia di Como, Mi-chele Gazich di Brescia, Vinicio Ca-possela, pur irpino di origine (e te-desco di nascita), vive a Milano e"Da solo" è un disco eminentemen-te milanese. A Milano vive pure il ca-tanese Cesare Basile e in parte mi-lanesi sono i Baustelle (toscani d'o-rigine). A Milano vive pure il salenti-no Alessio Lega e anche la sorpre-sa (per la canzone d'autore) del ro-ma-toscano Lorenzo Cherubini Jo-vanotti che quest'anno ha contesoai Baustelle la targa Tenco per il di-sco dell'anno.

Cristina Donà è bresciana a suavolta e Luca Bonaffini è di Manto-va. Peraltro è consistente la pre-senza emiliana: in primo luogo conla sorpresa dell'anno Vasco Bron-di, ossia Luci della centrale elettri-ca, ma tra Emilia e Romagna si di-stribuiscono anche gli OfflagaDi-scoPax, Giuseppe Righini (di Rimi-ni) e i Dodici corde. Tre (e mezzo) itoscani: Massimiliano Larocca,Maurizio Geri, Paolo Benvegnù (e iBaustelle). Tre i pugliesi: Fabulara-sa, Umberto Sangiovanni e Ales-sio Lega (di origine). Un napoletano(Edoardo Bennato), un calabrese(Domenico Fiumanò Violi) e un sici-liano (Carlo Muratori). Per finiredue liguri (Max Manfredi e AntonioLombardi) e un gruppo piemonte-se (Yo Yo Mundi). Infine una pre-senza sigola, quella di Angelica Lu-bian, unica trentina, terra avara dicantautori.

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Numero 6514 dicembre 2008

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Sul sito lo speciale per i10 anni dalla morte diFabrizio de André,un’intervista a DanieleSepe e tante nuoverecensioni

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Ci sono ormai molte certezze e pochi dub-bi attorno a Davide Bernasconi in Van DeSfroos. La prima certezza è che sia un

narratore sopraffino e che questa, in fondo siala sua vera natura. Che poi per narrare scelgala forma-canzone, la forma-libro o la forma-tea-tro-concerto è questione in fondo marginale. Laseconda certezza è che "il" Davide, come si di-ce dalle nostre parti, sappia anche di musica ein particolare conosca bene, da ascoltatore eanche da praticante, la musica americana:country, bluegrass, rock. Ma, varcando l'ocea-no si può dire che anche punk e folk irlandesenon gli siano alieni. In un'intervista di qualche an-no fa mi diceva: "Che musica posso fare io chevengo dal lago di Como? Non c'è musica loca-le! Di tradizione. E' chiaro che mi devo appog-giare ad altre tradizioni". "Pica!" contiene tuttiquesti pregi e queste considerazioni. Un discoche entusiasma.

Siamo, per un verso, nell'ambito della tradizio-ne vandesfrosiana: un disco fluviale, compostodi 15 brani, per un minutaggio che rischia diriempirne tre di dischi degli altri. All'incirca68'17" di musica e canzoni: dai 6'47" de "Il ca-valiere senza morte", il brano più lungo, fino ai3'08" de "La grigna", il più corto. E, sempre percontinuare a dare i numeri, 12 grandi canzonisu 15, una sola che risica la sufficienza e conalmeno tre brani in odore di guadagnarsi un po-sto imperituro nella piccola storia della canzo-ne italiana, disegnano bene i confini di "Pica!".

Andiamo a spasso sulla riva del lago, che tornasempre, ma ce ne allontaniamo anche. Passia-mo da New Orleans a Milano, dalle montagnedella Valtellina alle strade percorse dai Fore-stieri di qualsiasi posto e di qualsiasi epoca. Pas-siamo dalla Terra Santa del soldato eterno, al-le Fuentes e Boffalora dello "Sciamano" e tor-niamo ancora a Lenno, a Brienno, al ponte di Az-zano, a Lenno. E passiamo con la massima in-differenza dal dialetto all'italiano, andata e ri-

torno, anche nella stessa canzone. "Lo sciama-no" ha titolo italiano, ma testo in dialetto, comepure "Il cavaliere senza morte". Per contro "L'A-lain Delon de Lenn" ha titolo in dialetto e testofondamentalmente in italiano. "Il minatore diFrontale" è in italiano, come quasi tutta "Loenade picch", mentre "New Orleans" è un continuoentrare e uscire.

Ma, tutto sommato, il fatto è irrilevante. Comediceva di recente Gigi Maieron a proposito delsuo "Une primavere", dove a sua volta ha abban-donato a volta la lingua friulana per scegliere l'i-taliano: "la lingua si usa come uno strumento,per esprimere quello che hai dentro", così co-me useresti una viola al posto di una fisarmo-nica". E così Davide: accorda lo strumento vo-ce con le parole che gli servono e lo fa con gran-de maestria.

Ci sono dei punti altissimi nel disco e vale esau-rirli per primi. "New Orleans" è una ballata in sti-le cajun, dolente e tenera, costruita in memo-ria della disastrosa alluvione del 2006. La vo-ce di Davide nelle parti in italiano ricorda stra-namente quella di Francesco De Gregori, maquesto aggiunge solo fascino ulteriore al bra-no, dominato dal violino di Anga, ma costruito

I piccoli racconti

quotidiani di un grande

autoredi Giorgio Maimone

Davide, il raccontastorieDavide Van De Sfroos ha dovuto scon-tare la diffidenza legata alla sua presun-ta vicinanza alla Lega. A poco a poco idubbi si sono sciolti, per lasciare postoall'interesse per la sua capacità di rac-contare storie. Su una base country-blues-rock Davide inannella storie di pro-vincia che partono dal suo lago ma si al-largano alle altre vie d'acqua del mon-do. Ne esce "Pica!", ancor più bello di"Akuaduulza", già imperdibile del 2005,davanti a "Decanter" dei Sulutumana esui livelli di "E semm partì" del 2001, for-se il suo disco migliore. Davide sa rac-contare storie. E l'esempio migliore èforse il suo "Loena de picch", così dyla-niano nel suo andamento da talkingblues lombardo: Ma anche il "Cimino" o"Il costruttore di motoscafi" spiccanoper capacità drammaturgica.

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con una vastità di orizzonti meritevole di gran-di sfondi sonori e visivi. Canzone senza confini."E adess che canzon te canti, che la chitara l'hapurtada via el fioemm / e adess che canzon tesoni che la mia trumba l'ha bufada via el vent /le nostre lacrime sul Mississippi sono difficili dafar vedere / le nostre urla dentro l'uragano equqeste assenze da lasciar tacere / e comemai piovono aghi da lassù e siamo bambole voo-doo trafitte in ogni punto ormai / E te desmettde piang o mon amour / te tegneroo la mantoujour ... e ti riporto a New Orleans"

Ha invece confini molto precisi, geografici, "Ilminatore di Frontale", a cui si deve il titolo del-l'album: "Pica!" (picchia), infatti è il grido con cuii minatori ritmano il loro picchiare. E la canzo-ne ha dentro un che di primitivo che si spandeper l'aria, tra cori sudafricani alla Paul Simon ecanti sciamanici: "La vita a volte è un ponte ouna ferrovia / la mia se ci ripenso è stata gal-leria / sfidare tutti i giorni la strega silicosi /la foto di una donna tampona le ferite / ma perla nostalgia ... non c'è la dinamite". Commoven-te, essenziale e densa, come qualcosa di buo-no di cui non si dovrebbe mai perdere il gusto.Musicalmente scarna, vocalmente superba.Grande canzone.

Mi tocca fatica passare sopra, per ora, ad al-tra canzoni piene di fascino come "40 pass","La terza onda" e "Il costruttore di motoscafi",ma lo spazio impone che si parli prima di "Loe-na de picch". Avete presente "I ann selvadechdel Francu"? Ossia la versione in lariano di"Frankie's wild years" di Tom Waits? Fatto te-

soro di quella lezione, Davide ci propone unapiccola novella in musica: una storia del lagoche si svolge in pizzeria, forse negli anni '50,forse prima, in un'epoca cheaveva comunquefrequenti "cali di tensione". E' la storia di un ba-cio tra la pizzaiola "con un culo come un frigo"e il ragazzo che tornava dal militare "con trop-pe cicche in bocca e un cielo in testa". Si cono-scevano fin da bambini, ma solo nel buio di quel-la sera, approfittando di un calo di tensione e diuno scontro fortuito sgorgò "quel bacio che nes-suno seppe mai" se non la luna che rimbalzavasopra il lago. Alta letteratura per il nostro Ray-mond Carver di Mezzegra! Applausi a scenaaperta.

Citiamo di passaggio che ci stanno tutti i toposdi Davide: le carte, la luna, il lago, lo sciamane-simo, l'invenzione di lingue sconosciute, persi-no il vento, che, come di prammatica soffia nel-l'ultima canzone ("Retha Mazur"). Ma tre annida "Akuaduulza" non sono passati invano: Davi-de adesso è un passaggio obbligato per il can-tautorato italiano e non solo lombardo. "Pica!"è un disco che ascolteremo a lungo e con gran-de piacere, come una summa estremamentepiacevole di ottima musica e grande letteratu-ra. Cose che riescono solo ai migliori. Ma Davi-de sta tra i migliori.

Davide van de Sfroos“Pica!Dvds - 2008In tutti i negozi di dischi

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Ho ascoltato e gradito tantissimo questoPica. Oramai penso che con Davide nonsi debba più utilizzare un approccio mu-

sicale ma letterario. Perché i suoi dischi inrealtà son libri: si leggono, si sfogliano. Sono av-venture dove si impara a conoscere i personag-gi.

Davide, lo sbocco naturale sembra quasi ilteatro per te. Uno che scrive, che componecanzoni, che canta e racconta alla fine nonpuò che andare a recitare le sue storie!.

Guarda, ne abbiamo parlato prima, di quanto atanta gente siano rimaste nel cuore quelle dueserate al Piccolo Teatro, dove c’era proprio sta-to un approccio di questo tipo. In un certo sen-so in Pica ho cercato di fare un’operazione ana-loga. E’ impossibile comprimere in un disco tut-to quello che può accadere su un palco, però l’in-dole è quella. Hai detto giustamente che c’è unapproccio letterario. Pensa che ultimamente, ache mi chiedeva se stessi scrivendo un libro iorispondevo “no, sto scrivendo un disco”. Perchéper me il processo è quello: non ho “suonato”un disco, ho “scritto” un disco. Fa niente se hoin mano la chitarra. Ci pensa poi AlessandroGioia il produttore a trasformare in suoni quel-lo che io gli racconto: si passa attraverso la ci-nematografia e si passa attraverso la realtà.L’iper-realtà. Ci si avvicina alle cose come nellefotografie che faccio.Si ha rispetto perfino per la ruggine. Si ha rispet-to per le vite. Non in base a un generico “vole-

mose ben”. Rispetto per le vite in quanto sonostate vite. Chiunque è stimolante nel momentoin cui lo hai dall’altra parte del tavolo che ti rac-conta., E non giudichi quanto lui sia stato politi-camente corretto, nel momento in cui lui è cor-retto raccontandoti la sua vita. I minatori di fron-tale hanno davvero visto l’inferno. Hanno lavo-rato davvero dove noi non vorremmo mai met-tere piede nemmeno da morti., Sono tornati acasa e alcuni sono morti di mal della mina. E unosi chiede: cosa può spingere un uomo a dedicar-si a un lavoro tanto estremo? La pica, tra l'al-tro, informatevi bene, è anche una malattia chetoglie il gusto. (Ci siamo informati: la pica è undisturbo del comportamento alimentare carat-terizzato dall'ingestione continuata nel tempo disostanze non nutritive: terra, sabbia, carta, ges-so, legno, etc.).Io non ho mai fatto tatuaggi, ma ho fatto prelie-vi di sangue e iniezioni. Un chiudo che entra famale. E quando lo togli stai bene. E’ come averavuto dentro dei chiodi che si sono formati edera ora di toglierli per conficcarli dentro a que-sto disco., Non potevo fare in questo momentoun disco diverso da questo. Questa volta i per-sonaggi hanno nomi e cognomi: sono reali. L’A-lain Delon de Lenn esiste, il Cimino c’è, il co-struttore di motoscafi c’è.

"Ho scritto undisco, non l'ho

suonato"

di Giorgio Maimone

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Avevamo parlato una volta di come Le parolesognate dai pesci poteva ricordare Spoon Ri-ver. E questa è un’altra parata di personaggi.Perché?

Perché alla fin dei conti non è possibile non rias-sumere il vivere che in persone e luoghi. Si fan-no nomi di luoghi: Nesso, Boffalora, Tresenda,Fuentes. Si va da Milano alla Valtellina. C’è Mi-lano, siamo arrivati a Milano... Si entra nel Duo-mo, non si ha più paura della grande città. E’ co-me un C’era una volta in America dei poveri. Lo-ro vengono giù, sono in tre, hanno imparato i co-lori delle tre linee del metrò e gli sembra di co-noscere Milano. Poi scoprono il carcere e c’èla redenzione e La Madonnina non è più soltan-to una cosa naif di una canzone, ma forse pos-siamo anche entrare a ringraziarla.

I 40 passi nello specifico cosa sono?

E’ lo spazio simbolico che permette a tre pro-tagonisti della canzone di entrare nel Duomo.Questa chiesa che per noi è forse troppo gran-

de. Forse per entrare ci vuole anche il Telepass.Adesso l'ecopass. Sei stato profetico (ridiamo)!E alla fine dicono: è tutta per noi questa chiesacosì grande e forse per entrarci basta fare 40passi. Pica! è un disco musicalmente molto va-rio che cambia spesso atmosfera e percorrepraticamente tutti gli stili americani ed euro-pei. Non ha paura di contaminarsi

E passi anche da una lingua all’altra, anche al-l’interno della stessa canzone...

Questo mi serve perché crea dei chiaroscuri

Usi, mi sembra, sia la musica che la lingua co-me fossero strumenti tutti di un narrare. Seper scrivere ti è necessario un colore che èdato o da una viola o da una fisarmonica o daldialetto o dall’italiano, tu, semplicemente loadoperi...

Beh, hai detto tutto tu. Non aggiungerei altro.(ridiamo) Va bene così come l’hai detto, Ci sono dei climi diversi nelle canzoni: il Forestie-

ro ha un colore “polvero-so” e ci vogliono chitarreche ricordano Ry Coo-der. Lo scavezzacollo Filde ferr è un Pogues, mu-sica irlandese. Il costrut-tore di motoscafi è un po’crepuscolare, quindi ri-chiede la ballata country. Il Cimino è un Jesse Ja-mes locale quindi non sipuò che ricorrere al con-tro & western. L’AlainDelon de Lenn è un bluesperché parla della terradei bordelli. Lo sciamano è un po’ an-dino e un po’ altre cose. Il Puunt è zydeco. NewOrleans è la grande can-zone di grande respiromusicale, il capolavoro diAlessandro Gioia. E’ riu-scito a metterci dentrouna serie tale di suoniche sembra esserci tut-to e niente. Sono flussi diandata e ritorno. Retha Mazur e Il Cavalie-re senza morte sono in-vece i capolavori di Anga,il violinista. Che ha presoun pezzo trasformando-melo in qualcosa di epi-co alla Jetro Tull. Bob Dylan ritorna in Loe-na de picch; Bob Marleyne La Grigna. La terzaonda, infine, è la più filo-sofica.

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"La terza onda" poteva anche essere il titolodell'album, vero?

Poteva. Ma non volevo parlare sempre solo diacqua e ho lasciato perdere. Il minatore di Fron-tale voleva essere un po’ un canto nostro e unpo’ africano. E si ‘ riusciti a ricavare il suono del-la mina. I suoni di questo disco hanno colpito unpo’ tutti e soprattutto me quando l’ho sentitomixato finalmente. Alessandro Gioia, Anga e Da-rio Caglioni hanno fatto il miracolo.

Dario Caglioni soprattutto per il miraggio. E’lui che ha lavorato anche in Creuza de Ma?

Sì anche con De André. Insomma per questecanzoni io musiche diverse non avrei saputo far-ne. L’aiuto di strumenti d’epoca prestatici dal-l’amico Lorenzo hanno fatto la differenza. E’ sta-to un disco molto filologico e, musicalmente, undisco costruito con grande rispetto di ogni sfu-matura. Quando ieri per la prima volta l’ho pre-so in mano mi sono sentito totalmente appaga-to, perché finalmente ho dato una veste a tut-ta quella roba che avevo in mente. Questo disco,anche se fossi stato su un pianeta dove non c’e-rano gli impianti per ascoltarlo, io avrei dovutofarlo per forza!

Anche se, adesso, rifarlo dal vivo non saràsemplice. E’ così ricco!

Credo che dal vivo sia giusto cambiare qualcosa:non puoi fare un concerto con 40 musicisti o conil coro lirico. Ho provato a fare anche Il cavalieresenza morte solo con chitarra e violino e resta unbrano con un suo perché. Le canzoni le puoi scar-nificare o infarcire di mille cose. Alcune nascono dalvivo. Nascono nude. New Orleans, Il Cimino e Picasono state suonate prima dal vivo che su disco,quindi sono figlie del live. Per le altre ci sono luoghipiù adatti e luoghi meno adatti. E quando fai la sca-letta di un concerto ne tieni conto.

Ci sono almeno una quarantina di persone chesuonano nel disco. Non è quasi mai la stessa for-mazione. Nel tour che formazione adotterai?

Per alcuni versi sarà simile a quella di questaestate. Alla chitarra avrò un ragazzo che se-condo me è molto valido, straordinario. Ho avu-to la possibilità di fare concerti conlui ed è dav-vero straordinario. Versatilissimo. Suona chi-tarre acustiche ed elettriche, slide, banjo. Sichiama Francesco Piu.

Intervista rilasciata il 5 febbraio 2008

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Davide van de Sfroos al Club Tenco 2008 con il presentatore, Antonio Silva

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niSulutumana: "Arimo"

Dalla radio, canzoniper un giorno di pioggiadi Leon Ravasi

La cucina è grande, poco ammobiliata. Unastufa a legna su cui bolle dell'acqua, alla fine-stra tendine di mussola. Sopra un centrino

traforato, una radio a valvole illumina di verde colsuo occhio magico l'aria circostante, mentre lamusica si diffonde per l'aria. E' musica fatta di po-chi strumenti: un pianoforte, un violino, un con-trabbasso, una voce. Una musica che sembra ve-nire da lontano, portata dalle onde dell’etere, mache ricorda anche la musica da camera, all'anti-ca italiana. Musica adatta per giorni di pioggia. Senon fate attenzione potrebbe farvi scivolare viatra i rigagnoli.

Diavoli di Sultumana! Ce l'avevano quasi fatta aconvincermi che loro i concept album non li face-vano, ma si "limitavano" a fare raccolte di canzo-ni. Di splendide canzoni. E quest'album più di tuttisi annunciava frammentario. Basta leggere qui difianco. Una canzone viene da uno spettacolo tea-trale, altre 4 da un altro. Due sono ispirate a un li-bro di Vitali, un'altra a un libro di Paolo Monelli ...Insomma, questa volta sembrava che non aves-sero scritto niente di loro. E invece, ma lo si capi-sce dopo qualche ascolto, questo album ha un'u-nità interna intensa.

Abbandonate le caute sperimentazioni di "Di se-gni e di sogni" e l'ansia di viaggio di "Decanter" cheprofumava di altre spezie, "Arimo" (ed il titolo inquesto caso è esplicito) mette un punto a capo eritorna dalle parti de "La danza", da dove tutto èpartito. E' un disco localistico e laghèe, pur senzaquasi mai ricorrere al dialetto (unica eccezione"Lègura" che vuol dire "lepre") ed è un disco me-ravigliosamente fuori dal tempo, che fa correrepiacevoli brividi lungo la schiena, come la nebbia,la pioggerella fine, l'umido del lago. I Sulutumanasono andati avanti tornando indietro. Nel tempo,nell'ispirazione, nel nome e nel clima.

Arimo è un disco dominato dal suono del piano diFrancesco Andreotti - che con Nadir Giori è ancheautore delle musiche - e dove chitarre e fisarmo-

niche hanno fatto un passo indietro. Ne deriva unsuono meno folk e meno rock, più raffinato e ra-refatto, ma perfettamente in grado di accompa-gnare i racconti per musica scritti da Gian Batti-sta Galli, che a loro volta sono raffinati, rarefattied elittici. Evocativi in alto grado, quindi destinatiad affascinare per contatto, per sfioramento, peraccenni. Non ad affermare nè a pretendere. Neemerge, elevata all'ennesima potenza, quella ten-denza da sempre presente nella musica dei Sulu-tumana e da noi a suo tempo definita "musica gen-tile". Canzoni fatte di suggestioni e di sprazzi poe-tici, forse minimaliste come impostazione genera-le, nel senso che parlano di piccole cose di tutti igiorni: quelle cose che poi sono la vita.

Sulutumana, la suggestione Dopo la breve parentesi infelice dei Se-miSuite, successiva all'abbandono del-la comitiva da parte di Michele Bosisio,ritornano i Sulutumana, sulle ali dellacollaborazione con lo scrittore AndreaVitali. E così, Van De Sfroos da un lato,i Sulutumana all'altro, con l'ispirazionedi Vitali, raccontano storie delle duesponde del lago di Como. Curioso cam-mino quello dei Sulutumana e di Van DeSfroos: nel 2001, 2005 e 2008 si so-no divisi i primi due posti tra gli imperdi-bili di Bielle: nel 2001 abbiamo preferi-to "Danza" a "E semm partì", negli altridue casi il disco i Van De Sfroos. I Sulu-tumana fanno musica all'antica italiana,che parte dal melodramma e arriva aglialbori del jazz alla Kramer, dello swingalla Cetra e della canzone d'autore, conun'occhio rivolto anche alle melodie na-poletane. Musica del cuore.

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Si tratta di 12 brani (più un intro) per un totale di47'39": si parte con "Appeso per la luna", il branoche per qualche mese è stato proposto per il down-load nel sito dei Semi-suite, il nome provvisorio cheavevano assunto i Sulutumana il 28 gennaio 2007dopo l'uscita di Michele Bosisio. Nonostante fossegià noto e anche già eseguito spesso dal vivo, "Ap-peso per la luna" è una perfetta introduzione per ildisco che seguirà. "Per la strada c'è chi piscia, c'èchi va a passo di sbronza / C'è qualcuno che sistruscia, c'è chi coglie già l'essenza / C'è un villag-gio tromortito, pillole sui comodini / lampi blu di po-lizia e semafori arancioni". Un esempio riuscito dicome si possano cercare rime senza forzare lestrutture poetiche.

Il secondo brano "Liberi tutti", che contiene la pa-rola "arimo" che dà il titolo all'album, è il manifestodel lavoro e di sicuro anche uno dei punti più alti. Ilquadro di riferimento è quello proposto dalla fotodi copertina. Ricordi di fanciullezza, di un tempo re-moto, trascorso, ma non passato. "C'erano le se-re che d'estate mamme e nonne se ne stavano se-dute a chicchierare e i bambini a ce l'hai e nascon-dino facevamo più casino del baccano di cascatagrosso dopo che ha piovuto". Come volevasi dimo-strare. Le capacità di scrittura dei testi da parte diGiamba vanno facendosi sempre più sicure e po-chi tocchi bastano a dare una situazione intera, so-prattutto per chi situazioni simili se le ricorda be-nissimo. Piccoli paesi, la provincia, il mondo degliadulti e quello dei bambini, i personaggi del paese,i piccoli episodi di vita che si raccontano per sem-pre e che sono destinati a perpetuarsi anche nel-la loro insignificanza che, a distanza di tempo, di-venta leggenda: "C'era che si andava giù a manet-ta e una volta mio fratello è finito con la faccia so-pra un sasso, c'era il fiume appena sotto che eradiventato rosso per il sangue e alla fine non è mor-to". E c'è anche questo magnifico modo di raccon-tare all'imperfetto, col lessico preciso che si usa dabambini.

Parliamo delle punte: "Lègura" è un bizzarro branoche pare scritto da Paul Simon per "Graceland" einvece siamo nella brughiera lombarda. Un effettospiazzamento simile al canto maori di Davide VanDe Sfroos per "Il minatore di Frontale" o al mantrapellerossa di Luigi Maieron con "Mori". Come si cifosse una frontiera comune tra le lingue minorita-rie italiane e le culture minoritarie di tutti i sud delmondo. Senza farla lunga, è un divertissement per-fettamente calibrato e coinvolgente. Uno degli epi-sodi più divertenti del disco: come il proverbio cita-to nel finale (altra costante il ricorso ai proverbi daparte dei Sulu): "La sa ciapa a tüt i ur la lègura sen-sa cur" (si prende a tutte le ore la lepre senza cor-rere). In realtà il dialetto viene usato solo nel corodel ritornello. La strofa è in lingua.

Imperdibili risultano anche la "Canzone dell'aman-te che se ne va", col finale affidato alle note in spa-gnolo tratte dalla poesia di Simon Diaz, un po' co-

me avveniva ne "L'Eclissi". "Si aprono e si chiudono/ cigolando sbattono le porte del cuore / Io ti sen-to bussare solitudine". E' un brano che ha un ince-dere classico. Musica senza tempo che arriva dal-le remote vie del cuore. Che ti scivola sulla pelle, por-tandoti un sussulto di tristezza, una nota umida,una corda di violino che vibra, ma che non si spez-za. Applauso obbligatorio. E liberatorio. Grande ani-ma, grande respiro.

"Canzone di Iole" è un'altra canzone di non picco-lo momento, che rappresenta quasi il simmetri-co identico della "Canzone dell'amante che se neva". "Da uno scampolo di cielo si è tuffato il sole/ il vento gonfia le vele / le montagne intorno sicolorano di miele /deve essere così l'amore". Ilpianoforte che detta la linea e gli altri strumentiche entrano solo nella seconda strofa. Romanti-co forse, decadente no. Antico certamente. Eter-no probabilmente. Come l'amore. "Dimmi che loincontrerò / cerca di raggiungerlo / o magariinventalo / angelo dei sogni".

Ma è difficile non citare e non raccontare anche "Dipace e di pane", la canzone dedicata a un amicomorto durante una missione umanitaria nel 1993,del tutto scevra di retorica o la magnifica "Ogni vo-ce che tace", ispirata dal libro di Paolo Monelli conle sue onomatopee accennate. Tra gli altri brani "Lacanzone del calzolaio ubriaco" è la vecchia "Il fune-rale", mai finita su disco, con il testo rifatto. "Viag-gio" merita un bonus speciale per il modo in cui vie-ne resa la citazione di "Quando quando quando" diTony Renis: una piccola esitazione prima di pronun-ciare "l'anno, il giorno, l'ora in cui ... forse ... tu mi ba-cerai".

Resta un po' un oggetto estraneo all'album "Farfal-la sucullo", un bellissimo brano tratto dallo spetta-colo omonimo di Giuseppe Adducci, e per quelloscritta dai Sulu, che però parla della Shoa e dellapersecuzione degli zingari. Bello, ma andava pro-babilmente messa a fine disco, come bonus track,perché esce dal clima concettuale coerente crea-to dagli altri pezzi.

Come chiudere? Cresce lentamente e si prende po-sto sempre più negli angoli della memoria, dellapassione e della nostalgia. E' un disco che maturae piano piano si apre a nuovi sapori, come tutti i la-vori del gruppo di Canzo e dintorni. Ma è opera coe-rente e matura. Un salto di qualità che rappresen-ta anche un ritorno a casa, sulle sponde del lago,in quella cucina con l'acqua sul fuoco, dove la vec-chia radio a valvole irradia melodie per l'aria. Chenon si spegneranno presto.

Sulutumana"Arimo"Venus/ Alternative Produzioni - 2008In qualche negozio di dischi, ai concerti o sul sito

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niMax Manfredi: "Luna Persa"

Elogio della contraddizionedi Silvano Rubino

“Luna Persa” non è un disco che si la-scia avvicinare facilmente. È sco-stante, impegnativo. Ti chiede atten-

zione, sensibilità. Ti chiede il coraggio di affron-tare anche l’eccesso. Ma se gli concedi tuttociò, ti avvince, ti conquista, ti seduce. Tanto danon voler smettere di scendere dal lettore, per-ché ogni volta scopri un angoletto nuovo, un’im-magine che ti eri perso, una trovata che nonavevi notato.

Diavolo di un Max. A sette anni dal suo ultimodisco di inediti ne aveva di cose da dire. E nonsi è di certo frenato. Non è un disco in cui do-mini il levare. Se cercate minimalismo, giratealla larga. Questo è un disco straordinario. Euso questo termine nel senso etimologico, per-ché dentro non c’è nulla, ma proprio nulla di or-dinario, percorso com’è da una contraddito-rietà feconda.

È un disco barocco e struggente, solare e apo-calittico, crudele e malinconico, colto e popo-lare, ostico e visionario. È un disco di grandepotenza, di parole, ma anche di arrangiamen-ti (trenta i musicisti coinvolti, più di cinquantagli strumenti impiegati, più una banda musica-le al completo…). C’è un bisogno di NON rispar-miarsi (alla faccia delle dicerie sui genovesi…),di dire e di dirlo a voce alta. Ma anche angolidi quiete, di evocativa attesa, di luce mediter-ranea soffusa, di nostalgia.

Essere esaurienti in una recensione di Lunapersa? Impossibile. Per raccontare la comples-sità di questo disco, i riferimenti stilistici, le in-fluenze musicali, le scelte metriche, i mondinarrativi, le invenzioni linguistiche, i richiamiculturali, persino geografici, ci vorrebbe un vo-

lume intero. Ammesso, tra l’altro, che il recen-sore abbia gli strumenti per individuarli tutti. Enon è il mio caso. La complessità, però, sem-pre per il gioco delle contraddizioni feconde, siconcilia perfettamente con la piacevolezza d’a-scolto. Con il puro incanto sciamanico dellacanzone.

Luna persa è una full immersion nell’universodi Max Manfredi, che si apre (dopo una breveintro tradizionale, “Au clair de la lune”) con duecanzoni simbolo. “L’ora del dilettante”, che rap-presenta al meglio la vena apocalittica di que-sto disco, con quella capacità di raccontare inmaniera non narrativa, trasfigurando tempi eluoghi in frammenti di immagini di grande po-tenza: un ritratto a tinte forti della televisivasocietà contemporanea, futura e futuribile,quasi un requiem suggellato da un arrangia-mento dominato dagli archi.

Poi c’è quel gioiellino che si chiama “Il regno del-le fate”, prediletta da Gianni Mura e non soloda lui, una canzone di ferrovia, fatta di perce-zioni frammentarie, di piccoli flash di vita dapendolare che vanno a sfociare, ancora, nellapiù tipica delle “visioni” maxmanfrediane (coni topi, presenza fissa delle sue canzoni, cheescono dai tombini, “quando tutto sarà immen-so come un grande carnevale”), sottolineata daun crescendo stile bolero.

Il viaggio prosegue, passando per una Genovapiena di ponteggi e buche nel terreno, una pic-cola canzone alcolica dal titolo “Terralba Tan-go” (Terralba è lo scalo merci ferroviario vici-no a Brignole, da cui il protagonista vede par-tire le sue tossine, come fossero rifiuti tossi-

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ci) e approda, con “Retsina” in quella Grecia del-l’immaginario che tanto piace a Max (nell’Inta-gliatore di santi si ritrovava nelle “Storie del por-to di Atene”). Un approdo di quiete, di una dol-cezza marina struggente, ti si inchioda in testaal primo ascolto e non ti molla. Si ritorna a Ge-nova, “città di correnti”, con una trascinanteventata di “Libeccio”, fatta di una melodia fla-mencata e di fuochi d’artificio linguistici, unascossa a una città “imbuto di caroggi”, vittimadi un “embargo” che è anche un “letargo”.

“Quasi” parla d’amore, come ne parla Max, l’amo-re inafferrabile e inafferrato, incompiuto, malinco-nico (sul filone di “Natale fuoricorso”, per chi cono-sce Max), mentre “Zimbalom” è il racconto in pri-ma persona di un immigrato slavo (“L’inverno è uncane caldo, occhi di fari, muso di vetro/ l’inverno èspiccioli freddi nel sottopasso della metro”) su unamelodia un po’ impervia, speziata di profumi forti,dal sapore balcanico. Ovviamente lo zimbalom, unaspecie di grande cetra suonata da bacchette di pel-le di origine slava c’è, nell’arrangiamento della can-zone. Lo suona Marian Serban. Pare sia stato dif-ficile trovare un suonatore di zimbalon in Italia…

“Aprile” è un delicato gioco sul filo del parados-so, con il ribaltamento del topos canzonettisti-co dello “svegliatevi bambine” di Odoardo Spa-daro. Qua le bambine, invece, vengono invitatead addormentarsi, su una melodia che suonaantica e volutamente un po’ in bianco e nero. Siritorna dalle parti della Mitteleuropa con “Il mo-rale delle truppe”, un’inusuale, per Max, canzo-ne di impegno diretto, classicamente antimili-tarista, anche se nel finale c’è sempre lo scar-to, l’amore per l’inaspettato: “È sul fronte chela pace sembra una buona idea…/quando poisi torna a casa, si rimpiange la trincea”.

Chiude il disco vero e proprio (perché il brano“Luna persa” fa storia a sé), un’altra canzonedi ferrovia, “Il treno per Kukuwok” dove un telein-

dicatore sballato dirotta fantasia e musica ver-so un’immaginario e malinconico Far West, per-ché “con l’aereo, col treno o con la diligenza /ogni posto va bene, purché non sia qui”.

Dicevo del brano che dà il titolo all’album, “Lu-na persa”, che canzone non è, ma racconto inmusica (bellissima), un noir in versi, protagoni-sti due balordi, padre e figlia, tra pensioni sor-dide e spaccio di droga, stazioni e pizzerie ge-stite da profughi afghani. Quasi un film dal mon-taggio frenetico. Per premio, a chi arriva in fondo ai 12 minutisenza cadere nella tentazione dello skip, c’èquella cosa meravigliosa che si chiama “La fie-ra della Maddalena”, bonus track recuperatanella versione originale del 1994, oggi introva-bile, del duetto con Fabrizio De André. Che diquella canzone disse che gli era piaciuta subi-to perché “aristocratica e popolare” insieme. IlMax delle contraddizioni piaceva anche a lui.

Insomma, lo ripeto. Trattasi di disco straordi-nario. Anche nella sua assoluta mancanza diruffianeria verso un pubblico che in generale hasempre più voglia di cose ordinarie, facili. Peruno come Max, che chi lo apprezza da anni con-sidera un talento ingiustamente rimasto pertroppo tempo “di nicchia”, scegliere di fare undisco così è un azzardo. Avrebbe potuto, sfron-dando, semplificando, sciogliendo, costruire unprodotto sempre di ottimo livello, ma magaripiù accessibile, più facile. E invece no. “Luna persa” è Max in tutta la suaunica contradditorietà. Non posso che toglier-mi il cappello e continuare ad ascoltare. Speran-do di trovarmi al più presto in numerosa com-pagnia.

Max Manfredi“Luna persa”Ala Bianca Group 2008Nei negozi di dischi

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niBaustelle: "Amen"

Il ritratto di unasocietà allo sbandodi Lucia Carenini

L’atmosfera è buia, ci si muove in luoghi dovele persone hanno perso i valori. O non li han-no mai avuti. Ragazzi con il cuore infranto

che vedono solo la fine; bilanci emozionali fallimenta-ri, esperienze che non portano a migliorarsi, ma asprofondare nello sconforto. L’inquietudine pervadeil mondo. Un bel quadretto, non c’è che dire. Fortu-natamente a metà disco si risolleva e filtra un baglio-re di speranza, un qualcosa che fa capire che forsela vita vale la pena di essere vissuta, che una via discampo c’è. Forse in un dio, forse nell’arte.

Questi, condensati in poche righe, I temi portantidel quarto album dei Baustelle. Album precedutoda un buon numero di aspettative artistiche e com-merciali. Quelle artistiche sono state onorate, quel-le commerciali potrebbero anche esserlo. In ognimodo, se musicalmente si tratta di un pop-rockmolto ben costruito, postmoderno di derivazionenew-wave e orecchiabile - ma i Baustelle a questoci avevano abituati - è dal punto di vista dei testiche si rimarca una crescita notevole del trio.

Tra le 15 canzoni spicca il singolo, “Charlie Fa Surf”,che è, dice lo stesso Francesco Bianconi, “ispirata auna installazione di Maurizio Cattelan, “Charlie Don’tSurf”, dove un bambino è inchiodato con le matite albanco di scuola. Canto di ribellione adolescenziale to-tale, contro istituzioni, scuola, famiglia e soprattuttoreligione cattolica”. La canzone attacca con il pianosolo, poi la ritmica arriva a picchiare, assieme a Ham-mond e percussioni. Charlie fa surf e si droga, ma vain chiesa e fa skate, Charlie vorrebbe morire e nonriesce a capire perché deve star così male. È la ribel-lione di un ragazzo che soffre, ribellione contro I sim-boli, i valori, la religione la famiglia. Ma al posto chec’è? Charlie vuole essere tutto ma è solo e odia il mon-do: “Programmo la mia drum machine / e suono lachitarra elettrica / Vi spacco il culo…/… Prendo pa-stiglie che contengono paroxetina…/…io non vogliocrescere / andate a farvi fottere".

I momenti duri si alternano ai momenti toccanti, co-me in Alfredo, dove si rispolvera il dramma di Alfre-dino Rampi, il bimbo che nel 1981 morì soffocatoin un pozzo artesiano. «Fu il primo caso di morte indiretta – ci ha raccontato Francesco Bianconi, lea-der e cantante del gruppo – ero un bambino anch’ioe in quell’occasione ho preso coscienza della mor-te e di come si potesse vederla in modo così con-creto. E per di più alla televisione, dove ero abitua-

to a storie che in qualche modo finivano bene. È sta-ta una canzone difficile e ho lavorato di immedesi-mazione, facendo parlare Alfredo con le parole cheavrei detto io»

Antropophagus è la storia dei reietti della societàche davanti alla stazione, al di fuori dei trend, del-la moda, della Milano da bere, dell'Economia e del-la Finanza, vivono, muoiono, festeggiano, amanocon un finale techno-etnico-new-age che raccogliee ingloba voglia di vivere e contraddizioni.

"Amen" è un disco lungo, in qualche modo anacro-nistico, in questa epoca di consumi veloci. Quasiun concept, anche se lo stesso Bianconi sostienedi averlo scritto senza pensare a un filo condutto-re, tirando fuori, semplicemente, quello che sen-tiva. Un disco strano, che inizia con una ghost trackstrumentale. Un disco stratificato, da leggere(ascoltare) su più livelli, pieno zeppo di citazioni –letterarie, musicali, artistiche, di libri, di film, di far-maci, di vita, insomma. Le canzoni sono la logicaevoluzione dei lavori precedenti. Schemi e arran-giamenti simili, così come le strutture e l’appog-gio sugli archi. Ci sono delle venature funky e del-le tracce di disco, tutto ben shakerato e con la no-vità degli ottoni. Notevole la cura posta nella co-struzione dei testi, colti, raffinati e sottolineati dal-l’altrenanza tra il canto di Francesco Bianconi equello di Rachele Bastreghi. Gli arrangiamenti sifanno sentire; molto studiati e rifiniti nei minimiparticolari, formano un tappeto colorato – a tonicupi, ma colorato – sul quale le melodie si appog-giano e si esaltano. Insomma, tutto perfetto. Vo-lendo essere cattivi (ma è necessario?) resta ildubbio se i Baustelle ci siano o se ci facciano.

Baustelle"Amen"Atlantic/Warner - 01/02/2008Nei negozi di dischi

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niAngelica Lubian: "Conservare in luogo fresco e asciutto"

Una promessa danon perdere di vistadi Moka

Non solo conservare, ma proteggere con at-tenzione. Siamo nell'ambito dei panda: fem-mine cantanti (e autrici) in via d'estinzione.

Angelica Lubian l'avevo sentita al concorso "L'artistache non c'era", indetto da L'Isola che non c'era. Ov-viamente non ha vinto, ma è arrivata al primo discodove conferma tutto il buono che aveva fatto inten-dere da quei primi brani. Angelica c'è e potrà faresempre meglio. "Conservare in luogo fresco e asciut-to" pratica graffi belli e decisi: personalità, grinta, ca-rica e cose da dire. Io su di lei ci scommetto.

Personalità. E' la dote che emerge dal primoascolto del disco. Liriche dirette e anche urtican-ti quanto basta. Un rock preciso, cantautorale esenza fronzoli. Un debutto che non può lasciareindifferenti. Salvo poi lamentarsi che non ci sonovoci nuove. Ci sono. Basta ascoltarle!

Punto forte della proposta di Angelica sono i testipoco inclini a compromessi: "Tu ci vedevi a scar-tarmi ansimante / mi ci vedevi a leccare il tuoseme / temendo già che lasciassi lo spazzolinoda te. / Ripesco la saliva / che mi hai sputato inbocca, ci farò del fango" ("Lo spazzolino"). "Che ani-male strano che sono nata ieri / le cose delmondo non so come girano / Girano e voltano, siincastrano / quante cazzate buttate al ventosenza un rimpianto" ("Taglia e cuci"). "Le premes-se sono buone, così trasparenti ... perché maidovrei sbagliarmi? / Non ha senso, non è vero,non esiste quella gente che / prima ti stringe inpugno e poi di getta al niente, in balia del niente. Esiamo rimasti solo io e il Niente a guardarci in fac-cia / Io così sola, mentre il Niente se ne frega /anzi, ride del mio tentativo di autocommiserazio-ne" ("Io non mancherò di niente").

Altrettanta energia si ottiene dalle musiche.Angelica non assomiglia a molte altre. Ogni tantodevia verso il pop, ma lo nobilita con una buonapersonalità e con una voce di forte presenza. Nonc'è mai la ballata scontata, nemmeno quando cela si potrebbe attendere. Anche nelle pause com-pletametne acustiche come "Profumo di paglia"l'approccio di voce e chitarra non è mai quello piùfacile. C'è ricerca, che voglia di colpire e di interes-

sare con una proposta forte. Come nella migliorcanzone del bigoncio quella "Mon cher, addio" cherecita: "Togliti di dosso quel cappello rosso / chedi primedonne ce n'è troppe inq uesto posto / ela Principessa tra tutte quante sono io / porta viail tuo oro: mon cher, addio!"

Decisamente forte (e intimamente rock) èanche la prima traccia: "Mecenaria": "non gri-darmi adosso / ogni luogo comune di cui seiportavoce / non mi gridare contro / frustrazio-ne condita con rara saggezza", dove il piglio puòricordare la migliore Nannini, ma solo per dareun'idea di massima. Da non trascurare nemenola canzone che porta all'interno la frase che dà iltitolo al disco: "Roba deperibile", che è una sati-ra puntuta sulla tendenza del maschio a trovareuna lei, candida rosa da "conservare in luogoasciutto e fresco /al riparo da ogni fonte solare/ onde avitare le faccia del male / conservare,conservare, conservare, conservare!"

Così come merita attenzione anche "Siffatta crea-tura", dalle note morbosamente erotizzate e dalleforme verbali maliziosamente esagerate ad arte,come lascia intendere il titolo dalla forma desue-ta. Ma segnalando, segnalando stiamo citandotutte le canzoni del disco. E forse lo meriterebbe-ro. Facciamo prima. Il consiglio è totale: ascoltateAngelica Lubian quando capita e prestatele atten-zione, perché non propone materiale banale.Conservare in luogo fresco e asciutto!.

Angelica Lubian"Conservare in luogo fresco e asciutto" Autoprodotto - 2008Ai concerti o via mail ([email protected])

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niLe luci della centrale elettrica: "Canzoni da spiaggia deturpata"

Il primo ascoltospacca. Ma se dopo rompe?di Leon Ravasi

...isemafori cominciavano a lampeg-giare arancione / mi puoi spiegareil colore acciaio del cielo / le sfuma-

ture di grigio di cui ti parlavo / del cielo berlu-sconiano di Milano / Milano era veleno, Mila-no era veleno / e il paradosso del cielo nottur-no / illuminato a giorno da stelle deficienti /da stelle col tuo nome, tifosi violenti arruolia-mo brigatisti arruoliamo brigatisti...("Nei gara-ge a Milano nord")..

Il primo ascolto è uno shock. E' bellissimo! Leluci della centrale elettrica è un gruppo com-posto da un uomo solo, Vasco (il destino è nelnome) Brondi, ferrarese, 24 o 25 anni. E il ra-gazzo ci sa davvero fare con le parole. Al pri-mo ascolto segue per forza il secondo e cosìvia gli altri. I suoi testi non sono demenziali, nonsono lirici, non sono (solo) ironici, non sono di-sperati, ma sono un po' tutte queste cose in-sieme, in un coacervo di suoni e parole che nonricorda mai il rap, che è intrinsecamente rock,tanto quanto risente di una formazione can-tautorale. Non è tutto cantabile in Brondi, mac'è anche del cantabile. La struttura delle can-zoni è molto semplice: minimalista, con chitar-ra acustica ed elettrica e pochi, pochissimi al-tri strumenti (basso, organo, percussioni). Tut-ti i brani iniziano calmi, arrivano a un climax ur-lato e finiscono poi calando nuovamente. Det-to così non sembra tanto invitante quanto è.

Vasco o Le luci della centrale elettrica può es-sere davvero qualcosa di buono anche per itempi a venire. Bisogna capire, come bisogna-va farlo per tanti altri outsider di talento (Offla-gaDiscoPax, Massimo Volume, Dente, ma an-che Cristicchi e Bugo) se le prossime avventu-re avranno spazio per evolversi e confermarele ottime impressioni fin qui suscitate.

"Canzoni per spiaggie deturpate" è uscito nel2007 come demo, con una scaletta solo inparte diversa. C'era una "Candidosi" fortunata-mente scomparsa (parlo solo del titolo), "Lapeggio gioventù, una "Arrivava via internet lasera", "Piromani" si chiamava "Piromani simuore", ma c'era anche una "Le luci della cen-

Vasco Brondi, l'emergente emerso Quest'anno l'hanno scoperto tutti e nonsiamo certo stati noi i primi. Da MarioLuzzatto Fegiz ad Andrea Scanzi fino alClub Tenco che gli ha tributato una me-ritatissima targa per l'opera prima (an-che col nostro voto). Vasco Brondi, aliasLuci della Centrale elettrica, con "Can-zoni da spiaggia deturpata" e la produ-zione determinante di Giorgio Canali, haconvinto tutti. Ha forza, ha carisma, hadei testi che prendono subito, ha la rab-bia necessaria ("cosa racconteremo /ai figli che non avremo / di questi caz-zo di anni zero?") per farsi ascoltare.Resta un po' , come suggerisce France-sco Paracchini, direttore dell'Isola chenon c'era, il dubbio del secondo disco.Cosa farà ora? Se sarà una fotocopiadel primo disco avremo gridato al mira-colo forse troppo presto. Saranno pro-blemi di crescita e resteremo a vedere,per adesso il primo capitolo è avvincen-te ed è bello vedere un debutto di un ta-le spessore. Anche se ì'unanimità deipareri critici va sempre vista con cau-tela. Con grande cautela.

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trale elettrica". Non ho ascoltato il demo e nonso quindi se si tratti solo di cambi di titoli o al-tro. Fatto sta che poi arriva Giorgio Canali, pren-de in mano il materiale e il disco esce nella ver-sione attuale. Ed è un'esplosione! E' impossibi-le non accorgersene ed è sbagliato fare finta diniente.

Al primo posto stanno i testi, visionari e urgen-ti, disperati e violenti, ma anche inaspettata-mente lirici, come squarci di sereno in un tem-porale. E' quasi impossibile seguire una sola sto-ria nella scansione in canzoni praticata dall'al-bum. In realtà sembra tutto un procedere uni-co, un flusso di coscienza ininterrotto che sgor-ga dalla mente aperta di Vasco e che inonda isolchi del disco. Dove, di frequente, si inserisco-no lampi evanescenti di pura poesia. Quasi ogniriga potrebbe essere l'inizio di un'altra canzo-ne, come si diceva del secondo Dylan (tanto perfare un paragone che non faccia tremare i pol-si). Dentro c'è di tutto: citazioni dell'universo diriferimento come i Cccp, Rino Gaetano, AndreaPazienza e Pier Vittorio Tondelli (a questi ultimidue è dedicato l'album), poi si parla delle poe-sie di Boris Vian, si cita "Siamo l'esercito delsurf" (che diventa sert) naturalmente in "Percombattere l'acne", si cita "Ma il cielo è semprepiù blu" in "Nei garage a Milano nord", si citanoi funerali di Berlinguer dentro a "Fare i came-rieri" e si citano i pomeriggi "troppo azzurri etroppo lunghi" in "Sere feriali".

La struttura dei brani è episodica e non linea-re. Si salta di palo in frasca tra una visione e l'al-tra e tutto starà, in futuro a vedere se questoè solo gioco combinatorio, di vago stampo sur-realista ("e le parole tu le mischierai tutte den-tro a un cappello / alla tua età scrivere unacanzone non sarà più che quello" ammonivaVecchioni in "Dentro gli occhi") oppure vera-mente una necessità espressiva. Per ora il ri-sultato è potente. Come ascoltare una radioche salta di stazione in stazione trasmettendoil flusso dei pensieri in divenire. In mezzo si stac-cano perle come "cosa racconteremo ai figli

che non avremo di questi cazzo di anni zero?"("La lotta armata al bar") oppure "Ci siamo ad-dormentati rovistando tra i futuri più probabili"("Lacrimogeni"); "Esprimere desideri quando ve-di scoppiare navicelle spaziali o moduli lunarirussi o giapponesi o americani / arrampicarsisulle impalcature per prendere il sole e riven-derlo a qualche spacciatore .... e invidiare le ci-miniere perché hanno sempre da fumare" ("Percombattere l'acne"). "Incendia le farfalle mec-caniche, le rose lisergiche e i nostri pochi orga-smi" ("Piromani"). "Fammi i tuoi discorsi meta-fisici sui fori dei piercing che si richiudono" ("Lagigantesca scritta Coop"). E così via.

Vale la pena di precisare che i rari segni di in-terpunzione e le maiuscole di cui sopra sono in-terpolazioni mie. I testi riportati nel libretto nonne hanno alcuno. Un elenco di parole e di imma-gini che però si sporcano di poesia per qualcheinesplicabile piega del destino o per la classe diun talento cristallino. Non lo so ancora. Stare-mo a vedere. Per ora "Lacrimogeni", "Piroma-ni" (che contiene la frase sulle luci delle centra-li elettriche"), "La lotta armata al bar", "La gigan-tesca scritta coop" e "Nei garage a Milano nord"si staccano sul panorama degli altri brani. E' undisco corto, cortissimo (33'54"), ma pieno dimotivi di interesse. Ottimo il lavoro sulle chitar-re di Giorgio Canali, esaltante la foga con cuicanta Vasco ("con la bava alla bocca" dicono suun sito, senza andare molto lontano dal vero).

Consiglio? Andate sul blog e leggete cosa Va-sco continua a scrivere. Sono tutte canzoni innuce. Non è rilassante, è urticante e forte, poe-tico ed estremo, acustico e distorto. Ha milionidi difetti e tonnellate di pregi. Ha le stimmatedel piccolo oggetto di culto. Non fatevelo sfug-gire.

Le luci della centrale elettrica "Canzoni da spiaggia deturpata"La tempesta - 2008Nei negozi di dischi

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niFabularasa: "En plein air"

La perfezione della forma e della sostanzadi Giorgio Maimone

Abbiamo faticato prima di riuscire ad ascol-tarlo e ve lo abbiamo fatto penare. Abbia-mo iniziato a parlare (bene) dei Fabulara-

sa a inizio dello scorso anno, quando eravamo inpossesso di un demo privo di qualsiasi indicazio-ne, persino di un titolo, e con un livello di registra-zione appena appena sufficiente. Ma già quellobastava a farci presagire tante buone cose. Oraabbiamo in mano, da un mese circa, il disco ve-ro e proprio, l'album. E ci fa scintille in mano co-me un fuoco d'artificio. I Fabularasa sono alme-no una spanna sopra gli altri gruppi al debutto.

Forse perché la loro non è una storia improv-visata, o forse perché sono un insieme che èvenuto a stratificarsi a partire dalle singolepreferenze dei componenti, in un mutuoscambio. Nel gruppo c'è un'evidente animajazz (la parte ritmica: Leopoldo Sebastiani eGiuseppe Barlen), reminiscenze e passioniche vanno dalla classica alla fusion nel chitar-rismo smeraldino di Vito Ottolino e riferimen-ti espliciti al mondo del grande cantautoratoitaliano nella scrittura elettrica, lirica e sicu-ra di Luca Basso.

"En plein air" è un disco di scrittura. Non è so-lo da ascoltare: è da leggere, capire e assimi-lare. Lo fa già capire l'inzio folgorante: "L'anzia-no romanziere si porta a spasso sul lungoma-re: / Luce dal sole, acqua dalle rose / questamattina voglio stare bene! / La signorina mo-strava una vita spericolata / e il diabolico mo-vimento del suo pur giovane sentimento /nonera difficile immaginare" (Una giornata serena).Fate attenzione a tutte le frasi, all'uso o al nonuso delle preposizioni, ai segni di interpunzio-ne, alla scelta dell'aggettivo e infine al temanarrato. Cosa troviamo mediamente nelle can-zoni? Storie personali, al 95% d'amore. In al-cuni casi, pochi, i migliori (tanto per citare Guc-cini, De André, Van De Sfroos) troviamo la vo-glia di raccontare l'altro, il fuori da sè, il roman-zesco. E in questo caso abbiamo un anzianoletterato sul lungomare che resta estasiatodal fascino giovanile della "bella sirena"

Fabularasa, emergenti sommersi I Fabularasa ci hanno sorpreso di menoquest'anno, perché già avevamo ascol-tato il demo lo scorso anno. Ma sonosenz'altro una della realtà più interessan-ti sulla piazza. Soprattutto perché... nonse n'è accorto ancora nessuno. I Fabula-rasa hanno qualità indubbie di scritturatesti e di stesura musicale: sono bravi, in-telligenti, dotati e con molta voglia di fa-re. Non sono nemmeno dei novellini e so-prattutto, con "En plein air", hanno pro-dotto un disco maturo ed esaltante, ric-co di stimoli, di richiami agli anni '70 e aforme musicali che non sono confinateal rock. Insomma, una proposta musica-le non asfittica, ma a tutto tondo unita atesti che definire poetici è cosa necessa-ria. Una voce personale e un pugno dibrani in grado di imporsi all'attenzione, apartire da "Fiorile" che è un piccolo capo-lavoro. Ma la scelta per selezionare gem-ma da gemma si farebbe davvero diffici-le. Il consiglio giusto è ascoltateli, cerca-teli, fateli suonare in giro. Vengono dallaPuglia e meritano credito.

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("Cosa mi fai, cosa mi fai bella sirena / che soc-chiudi gli occhi mentre mi sorridi? / E' una ca-rezza la fantasia / è audace il gioco della fortu-na / in quest amagnifica giornata serena"). Sia-mo dalle parti di Nabokov con Lolita.

Fosse una singola canzone potrebbe anche esse-re casualità; quell'insieme meraviglioso e irripetibi-le che presiede alla singola opera d'arte, ma la scrit-tura di Luca Basso non deflette mai (tranne una pe-ricolosa scivolata sul "macadam", troppo contianaper non sembrare furbesca) e, canzone dopo can-zone, costruisce un'opera che interessa sempre eaffascina a volte. Procediamo per frasi sparse: "Di-stesa infinita bagnata di luce di primavere / scia-me i corvi come uno stormo di gabbiani / E io? So-no felice dell'essere naufrago in mezzo al mare /ché la burrasca è gentile" (lo vogliamo notare il"ché" accentato?).("Il campo dei girasoli"). "Stazio-ne di una piccola città italiana, / potrebbe essre latua: / fiori cresciuti tra i binari, li sento profumare/ al partire del treno" ("Al Safar"). "E non lo so sela mia strada era segnata / certo era l'unica cheavrei voluto / Io non lo so se la mia strada era se-gnata / ma è stato come per il legno che si svegliòviolino" (Allende).

"Coriandolano i mandorli fioriti / sul sagratolumnoso del mattino" (Fiorile, ma qui ci vuoleancora più attenzione. Ci torneremo)."Bella ra-gazza capoverdiana, ornamento del mondo, /rosso della ciligia nel bicchiere, polena persaper mare / Lo vedi? E' tutto un baratto senti-mentale / io ti do amore tu mi ricambi la no-stalgia ..." (Case portoghesi). "Lontano amore unritratto fatto sul vapore / una storia di pochis-sime parole. ... Ti ricordi / delle ore dell'amoredi nascosto? Sottovento?" (Lontano amore). ."Amore d'acqua, sete al cuore, / vento in golaPsiche e Amore / di sale in miele e prima voce/ ove fonte trova foce / solitudine, tormento /e un pensiero controvento" (Dolenda Cartha-go). "Metto gli occhi di lupo / mentre busso al-la porta / col vestito migliore, arabaeschi e plis-sè. / Le mie scarpe vernice consumate di suo-la / nelle alcove del tempo con la stessa viltà"(Diario di un seduttore)

E fin qui abbiamo fatto solo una breve silloge deitesti, ma un disco è fatto di canzoni e le canzo-ni sono testi e musica. Negli oltre 50 minuti incui si snodano i racconti di En Plein air le partimusicali sono preponderanti rispetto a quellecantate, con grande piacere per chi ascolta.L'approccio è vario, ma lo stile è bene impres-so dalla prima nota fino all'ultima. Una forma-zione base (basso, chitarra e batteria) che po-trebbe far pensare al classico combo rock eche invece si incammina per sentieri affatto di-versi, che richiamano qualcosa dello sperimen-talismo del progressive rock, anche per la me-ravigliosa e costante presenza dei fiati, suona-ti da ospiti prestigiosi e bravi che vanno da Paul

McCandless a Bruno De Filippi e Nicola Stilo. Manon dimentichiamo il contributo di Cesare Pa-stanella alle percussioni in tre canzoni e AbbesBoufrioua al canto, darbuouka, bendir e hand-claps in Al Safar.

Le canzoni dei Fabularasa hanno aria, la tessi-tura armonica, l'empito lirico; una struttura checonsente di ampliare la prospettiva, anche a la-vori in corso, per poi stringerla a poche note ea una visione più ristretta. Esemplare è al ri-guardo Al Safar, ma anche la lunga DolendaCarthago (8'50"), caposaldo del gruppo nelleesibizioni dal vivo, dove facilmente cresce a su-perare i dieci minuti, ma senza sofferenza alcu-na, eprché la struttura lo prevede.

Punti deboli? Per ora non ce ne sono. Forse l'u-nico che intravvedo è che i fiati a questo grup-po, per queste canzoni non sono elemento diparziale colorazione sonora, ma sono entitàstrutturale. E i fiati non fanno parte del gruppoin pianta stabile. Mi è difficile pensare alla bel-lissima Allende senza l'assolo di armonica diBruno De Filippi. O pensare Il campo dei giraso-li senza il flauto di Nicola Stilo, così come è im-possibile immaginare Fiorile senza l'oboe di PaulMc Candelss, ma sono problemi semmai ulte-riori: di un nuovo disco o delle prove dal vivo. SuEn plein air, per fortuna, tutti questi contributici sono e collaborano a far sì che l'affresco siadi bellezza portentosa. Un polittico disegnatoda artisti diversi che collaborano tutti per arri-vare a uno scopo. Che è di alta qualità.

Ho lasciato "Fiorile" in fondo, perché conscio dinon essere obiettivo. E' più di un anno che ascol-to questa canzone e mi trovo ancora a scoprir-ne passaggi, meraviglie sonore o di contenutonon colte ai primi ascolti. Il piacere inaudito del-la lungo coda strumentale, la gioia fisica dellafrase "Sono un gatto al sole" ("The cat a-slee-ping in the sun", diceva Donovan in "Summerday reflection song", forse ispirandosi a Word-sworth), così calda che ti intiepidisce solo all'a-scolto. Fiorile è una canzone vitale, fatta di so-le e primavera, di spunti libertari e liberati. Unadi quelle meraviglie sonore dove, incomprensi-bilmente, tutto quadra a formare un piatto irri-petibile. E se vogliamo bearci ancora un po' dipiù ricordiamo le due cover d'autore: "Vecchiofrac" di Domenica Modugno, come dire l'iniziodella canzone d'autore italiana e "Giovanni tele-grafista" di Enzo Jannacci, uno degli omaggisempre più frequenti del nuovo cantautorato auno dei padri nobili riconosciuti.Non ho altro dadire: mi alzo in piedi e tributo l'applauso dovuto.

Fabularasa"En plein air"Radar/Egea - 2008Nei negozi di dischi

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niMarco Paolini e Mercanti di Liquore: "Miserabili"

L'economia e il disastro della Thatcher.Essenzialedi Giorgio Maimone

Capita poche volte, ma capita di essere to-talmente d'accordo con un disco. Capitapiù di frequente che piaccia o che non piac-

cia, ma capita di rado di trovarsi "ideologicamen-te" d'accordo con un disco. Anche perché i dischi,da qualche tempo in qua, rifuggono dalla politica.In questo caso no, non solo Marco Paolini e i Mer-canti di Liquore non rifuggono dal tema, ma lo af-frontano a testa bassa. E per soprammercato ciparlano di economia! In un album? Ma sono mat-ti? No, sono bravi. Tanto di cappello per un discoche dà brividi di eccitazione e di piacere ogni vol-ta che lo si ascolta.

Sembra di essere tornati ai tempi del migliore Da-rio Fo: il grande istrione in palcoscenico che ti par-la di temi sociali e politici, intervallati da irriveren-ti canzoncine, secondo l'antico adagio latino "ri-dendo castigat mores". C'è però una variazione.Quelle di Fo, spesso, erano canzonette puramen-te di servizio per il testo. Queste dei Mercanti diLiquore sono canzoni. E anche belle canzoni!

Ci può essere un dubbio e anche giustificato.Tanto per riallacciarsi a cose già dette in pas-sato da noi. Un prodotto seriale come un discopuò ospitare brani parlati o un prodotto a tea-tro-canzone come questo, senza stancare agioco lungo? Forse no, forse sì. Come in "Spu-ti", il precedente episodio della collaborazionetra il commediografo veneto e la band monze-se, l'alchimia tra le parti è miracolosamentemantenuta. E poi (vivaddio!) che piacere senti-re dire ogni tanto qualcosa di sinistra!

Partiamo dall'iniziale "Mrs Thatcher". Dolce par-tenza acustica, voci in italiano e in inglese, di gran-de suggestione, fino all'entrata del recitato, soste-nuto dalla stessa musica. E qui sta il cuore di tut-ta l'operazione, il suo senso ideologico. "Dopo di leila politica non conta più niente, c'è solo l'economia,

dopo la Thatcher tutto era in vendita hanno scrit-to i giornali. Come ha fatto signora? C'erano rego-le. Per quanto ne so io di Monopoli. Uno punta aViale Dei Giardini, parco della Vittoria poi mette ca-se e alberghi e allora le cose non vanno mica ma-le. Se però ti capita la stazione Nord, l'acqua po-tabile, la corrente elettrica non ci puoi mettere lecase sopra. Al massimo tiri su le ventimila lire peruscire di prigione senza passare dal via. Come?Lei ha messo le case sulla Stazione Nord, sull'Ac-qua potabile, sull'Energia elettrica? Signora non sipuò, è proibito dal regolamento. Lei si è mangiatail foglietto del regolamento? E come ha chiamatoquesta regola? Deregulation? " Cos'è?" "S-regolamento!" "Ah beh!".

Tutti tendono a dimenticarselo, soprattutto in quel-la parte di centro-sinistra, ormai solo centro e nonsinistra, che con queste idee ha flirtato (vero Mas-simo D'Alema?). Con l'avvento della Thatcher è fi-nita l'economia come l'avevamo intesa fino allora,non solo noi, ma anche il mondo del capitale. Nien-te più regole, libero mercato, le aziene pubblichedevono fare profitto. E i metodi, i metodi ... micastaremo a sottilizzare? E così niente più manuten-zione nei servizi pubblici, anzi, meglio ancora, nien-te più servizi pubblici. Su questo brodo di culturaè poi ovvio che prosperino i Caimani. Mercanti ePaolini proprio in questo sono bravi, nel racconta-re queste vicende, senza mai dimenticare il latoartistico del lavoro.

Se "Il rischio" è una canzone funzionale, ideologi-ca e generazionale ("Sono l'unico a cui hanno com-prato un eskimo blu!") che parte da fatti privati perraccontare la gestione del capitale (e "O la borsao la vita" è una delizia di radiocronaca di una pro-babilissima radio finanziaria stile Radio 24), "La

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bolla nei mari del sud" è invece una magnifica can-zone in sè. Atmosfere acustiche, canto appena ac-cennato a voce doppiata: dà il senso del tempo, nel-l'incrocio tra bolle economiche e voglia di capitale.Recitativo e canto si intrecciano a meraviglia, percreare un'impasto che ti dà, tanto per citare la can-zone, "l'illusione dell'intelligenza". E' bellissima, sen-za altri termini. Di quel gruppo delle canzoni neces-sarie e mai sufficienti. Il coro finale sillaba: "Cirio,Argentina, Parmalat", ossia gli scandali finanziaripiù grossi degli ultimi anni, quelli in cui migliaia di ri-sparmiatori hanno perso i loro risparmi.

"Lista della spesa" è un breve monologo spassoso,mentre "Angelino Sempreinpiedi" è un'altra canzo-ne di servizio. Gradevole, ma non molto di più. E pe-raltro abbastanza simile ad altri episodi "narrativi"dei Mercanti. Oh, intendiamoci, sempre oro rispet-to al panorama circostante, qualcosa meno rispet-to al resto del disco, ma con un vantaggio. Ti si at-tacca come carta moschicida! La senti una volta ela canti per il giorno intero.

"Il vangelo secondo Magaret Thatcher" è un altroesempio di teatro-canzone e una mazzata sui den-ti al liberalismo e a tutti i suoi epigoni. "Bell'epoque"è cantata in milanese, suonata in punta di dita. Can-zone low-fi e low-profile. Canzone dall'aplomb jannac-ciano, come è, in fin dei conti nelle corde dei Mer-canti di Liquore (ricordate "Apecar"?) che ti si infil-tra nei polmoni come nebbia e come nebbia ti par-la della memoria che se aggiornata ad oggi: "Per isciuri la Master class, per i puarett Low cost" (Peri ricchi la Master Class, per i poveretti il Low Cost)."L'ho sentuu al telegiurnal ma l'savevi già da un po'/ l'è turnada l'età dell'oro, l'è turnada la Belle Epo-que / Dai Miranda, fà i valis! E desmet de lavà i pa-del! / Ghe lo Sciattul chel partiss, fem un viacc inmess ai stell" (L'ho sentito al telegiornale ma lo sa-pevo già da un po' / è tornata l'età dell'oro, è tor-nata la Belle Epoque / Dai Miranda, fai le valigie! Esmettila di lavare le padelle / C'è lo Shuttle che par-te, facciamo un viaggio in mezzo alle stelle). Gran-de momento di canzone d'autore.

"Miserabile amica" è forse i pezzo centrale deldisco, sia come collocazione che come inten-zione, visto che riporta il termine che dà il tito-lo al disco. Altra atmosfera soffice e testo pre-gnante; forse leggermente moralistica, ma in-dubbiamente d'effetto. "Karma kola" è un pez-zo di ispirazione etnica, un rock-etnico, ma di dif-ficile memorializzazione. Canzone-teatro o tea-tro-canzone ancora una volta, su ritmo moltosostenuto e con ricchezza di strumenti e cora-lità di interventi, quasi a contrastare la rasse-gnata e voluta povertà degli altri brani. "La tor-ta nello spazio" è un pezzo bandistico e obliquoche si ispira a "La torta in cielo" di Gianni Roda-ri per il testo. Ci sono poi due canzoni al femmi-nile: "Marta", interpretata benissimo da Miche-la Ollari dei Terramare: brano difficile da dimen-ticare, sia perché molto orecchiabile, sia per-

ché in assoluto vale e "Rossana", recitativo sumusica con un grande Marco Paolini. Canzonestruggente, sotto forma di lettera a una figlia(in sottofondo il ticchettio della macchina dascrivere) e che chiude col canto molto ispiratodi Lorenzo Monguzzi, sulle stesse parole dellaprima parte. Si chiude con "Liberomercato" cheparte da Paolini per arrivare a Gaber e Lupori-ni reinterpretati dai Mercanti di Liquore ("La li-bertà non è stare sopra un albero / non è nean-che il volo di un moscone / la libertà non è unospazio libero / la libertà è partecipazione") e sitemina con un rock dissonante e rumoristico,colonna sonora adeguata al libero mercato.

Ho lasciato in fondo due esilaranti monologhi diMarco Paolini: "Bancomat" e "La carrucola". Esi-laranti per come li rende lui. Tragici per il con-tenuto. "Bancomat" è sugli acquisti a rate: ilpapà chiede al figlio perché fa i debiti per com-prarsi una macchina grossa. "Compratene unapiù piccola e pagala subito" "Papà! Quant'è chenon ti compri una macchina! Non te la lascianopagare tutta adesso! Chiamano i Carabinieri senon fa i debiti! E' peggio di un ladro uno che pro-va a non fare debiti. Se tutti abbiamo debito,uno con l'altro ci teniamo d'occhio e siamo tut-ti più tranquilli! "La carrucola" ancora peggio: faridere parlando di un incidente sul lavoro e par-tendo da una lettera che l'incidentato scrive alpadrone e alla "Spettabile Inail di Treviso" perspiegare la meccanica dell'incidente. Puro tea-tro! "Tu ridi Italia, ma io volevo dirti, tante voltequando ti succede un incidente sul lavoro in can-tiere un po' mona sei tu. Anche quando ti suc-cede in macchina a guidare tante volte un po'mona sei tu. Quello che non capisco io è perchése lo stesso tipo di incidente ti succede all'este-ro in divisa ti mettono la bandiera sulla bara, seti succede in cantiere sei mona e basta!". Altroda aggiungere? Niente.

Unica pecca, se vogliamo, di un disco che è quasiperfetto, un libretto non all'altezza che riporta i te-sti i soli tre brani (questioni di diritti? Ma non pro-testiamo contro le norme del libero mercato?) eper giunta con una fastidiosa inversione di sensodi lettura tra titolo e testo. Minuzie.

"Miserabili" resta un grande esempio di teatro-can-zone civile e sociale, attorno un tema molto diffici-le da mettere in musica. Ci hanno lavorato parec-chio, perché il disco doveva uscire in autunno ed èuscito in primavera. Ma il risultato è eclatante. Unodei migliori dischi sentito non solo quest'anno. Im-perdibile? Di più. Essenziale.

Marco Paolini e Mercanti di Liquore "Miserabili"V2/Universal - 2008In tutti i negozi di dischi

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niUmberto Sangiovanni:"Calasole"Eccolo il concept! Dalla parte dei cafonidi Giorgio Maimone

Lo stile di Umberto Sangiovanni è facilmente ri-conoscibile: ibridazione di schemi e strutturejazz con canti della musica popolare, affidati a

una magnifica voce femminile (Rossella Ruini). "Ca-lasole" in questo non si differenzia dal precedente (ebellissimo) "Controra": la musica si insinua leggera,sembra non prendere il predominio, finché non ti tro-vi stregato da una melodia che è già passata. Quel-lo è il momento per riascoltarla, perché oltre alla ma-gia, questo disco si porta dietro contenuti. "Calaso-le", infatti, è coprodotto da Casa Di Vittorio e al gran-de sindacalista e bracciante di Cerignola è dedicatodal suo conterraneo Sangiovanni, che per farlo si èappoggiato a documenti scritti, a poesie, a canti del-la tradizione e al suo estro compositivo ed esecuti-vo. E partendo dalla tradizione e dal ricordo, il pensie-ro si è sposta facilmente ai braccianti attuali, sia lo-cali, sia (ormai soprattutto) emigranti.

Pochi strumenti conducono la danza: piano, fisarmo-nica, sax, clarinetto e base ritmica, ma la suggestio-ne è palpabile e, per qualche strano motivo, musicae canto, per quanto tradizionali, assumono parte diquelle spezie d'Africa che bastano a dare una con-notazione più ampia e un respiro mediterraneo al di-scorso. Che avrebbe anche potuto essere affronta-to solo su base storica, ma che così si fa più incisivoe porta avanti la lezione di Di Vittorio, grande "capo"della Cgil, nato sul finire dell''800 e morto nel 1957.

Tra i vari brani "Craje" ha un testo ispirato alla poe-sia di Michele Sacco, bracciante di Cerignola: "In que-sti campi / che lavoro e canto / la mia gola è sem-pre secca / Il soprastante non mi permette di bere/ e mi tratta come uno schiavo" (tradotto dal puglie-se). I testi di "Calasole", "Maddalena", "Sole Rosso" e"Vin'a Curnite" sono tratti dal libro "La memoria cheresta -. Vita quotidiana, mito e storia dei bracciantinel Tavoliere delle Puglie" di G. Rinaldi e P.Sobrero(Aramiré, Lecce, 2004). "Don Nicola si diverte - Larisata", recitata da Peppe Barra ha il testo di MatteoSalvatore, Otello Profazio e A. Fascetti. E una frasedi Di Vittorio apre il libretto, fornendo una sorta di chia-ve di lettura dell'opera: "... voi mi comprenderete e miperdonerete se io sento il bisogno di proclamare quiun attaccamento particolare, fisico direi, ai braccian-ti di Cerignola e della Puglia, ai "cafoni" ai quali mi ono-ro di appartenere e apparterrò per tutta la vita"

E così, cafoni a nostra volta, braccianti di musica, cionoriamo di apprezzare le musiche di Sangiovanniquando canta e fa cantare "Ardimi sole e accarezza-mi vento" o, meglio, "Gardame sol'e strusceme vien-to" ("Sole rosso") oppure "Canta l'allodola / canta e

canta / sopra le spine fa i versi dei canti d'amore /chiama il miettore / chiamali tutti / che è venuta l'o-ra". ("La calandredda") o ancora: "Chi vuole lavorarevenga a Curnite (il nome di una masseria - NdR) /C'è l'aria buona e non ci si ammala mai / ... / Il pro-prietario però è un problema / vuole che lavoriamomolto ma vuole spendere poco / Il posto è bello /ma molti da qui scappano" ("Vin'a Curnite")

Infine due grandi canzoni che non possono passareinosservate: "Incantami" (testo di Sangiovanni, De Vi-vo, Santoro e musica di Sangiovanni) che introduce l'al-bum: "Tagli di ombre nel cielo / passi rubati / e folliamori / Echi di suoni e parole / luci dal mare / e poiil colore / Strade percorse sottovento / correndocontro il tempo / di una eternità". Poesia e musica perincantare, leggerezza e brividi. E "Calasole", intesa co-me canzone, che si avvita su un testo sciamanico sulcalare del sole ("e rispondeva un'altra donna / dovetramonterà") e sulle note arabeggianti del clarino cheaccompagnano il canto "Mokì mokkà / kala sole ke mòse ne va" (mokì mokkà / cala il sole che ora se ne va).

L'unico brano interamente strumentale, "Peppì" (DiVittorio) è, come in "Controra", a fine disco. Ed è un'al-tra piccola perla. "Calasole" è un album di colori vivi,ma pomeridiani, quasi che punti verso il finire dellagiornata di lavoro. Quel blu di Prussia del cielo, il bian-co bruciato della case, il verde faticoso dei campi, ilgrigio della terra e il rosso incongruo di un divano cheappare, imprevisto nella foto di copertina (di Giovan-ni Rinaldi). Sono gli elementi visuali che incarnano lestorie disincarnate nella musica della Daunia Orche-stra e di Umberto Sangiovanni.

Umberto Sangiovanni & Daunia Orchestra"Calasole"RaiTrade - 2008Nei negozi di dischi

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niMassimiliano Larocca: "La breve estate"Bello, ma ingenuo. Ingenuo perciò bellodi Giorgio Maimone

Dividiamo subito i campi. C'è la musica e ci so-no i testi. Ci sono le intenzioni e ci sono le rea-lizzazioni. Ci sono la voce e ci sono le canzo-

ni. Massimiliano Larocca ha una grande voce, mol-ta voglia di fare e un gran bel talento, anche per lasocialità che lo spinge a diventare una sorta di "Zuc-chero della musica alternativa". Tutto quello che dibuono gira per il mondo della musica lo si trova quidentro e non è poco. L'album è bello, pur venendo do-po un esordio coi fiocchi come "Il ritorno delle pas-sioni". Ma non è un disco esente da pecche.

D'altra parte gli amici lo sanno: da loro si pretende dipiù e Larocca ha di tutto per fare di più. Un disco di unosconosciuto che avesse suonato come "La breve esta-te" mi avrebbe fatto strillare al miracolo. Ma per La-rocca è il secondo album (o terzo, considerando l'esor-dio semiclandestino su poesie di Dino Campana) e semusicalmente è un piccolo gioiello, sui testi manca illavoro di lima. Come nella title track, dove la foga perquello che si vuole dire, più che la cura per quello chesi può dire, spinge a violare ripetutamente la metrica(dirà che non gliene cale, ma non credo. Dirà che lo fa-ceva pure De André e questo è vero, ma l'esito era mi-gliore). Per togliere qualsiasi dubbio dicoamo subito chele stellette sono almeno quattro a star stretti. "La bre-ve estate" è vario, suonato benissimo, a 360° attra-verso i sentieri della musica americana, ma anche ita-liana: dalla popolare, al rock, al country, al manouchealla Django Reinhard (oh, guarda chi c'è alla chitarrae alla produzione di Petit promenade, Maurizio Geri!).

Sono 14 canzoni incentrate sul tema della perdita del-l'Innocenza nel Mito, nella Storia e in Letteratura. L'ab-bondanza di maiuscole fa intuire più di qualche ambi-zione, per cui è naturale che qualche bacchettata ar-rivi, ma solo per il dispiacere che le cinque stelle sianostate mancate di così stretta mira! Di ascolto in ascol-to peraltro il piacere cresce: Massimiliano ha voceprofonda e calda, un'ottima scelta di armonie e pas-sioni letterarie intense. Perché allora forzare? Faccia-mo una piccola silloge partendo dalla prima canzone:"Un'altra città", un bel folk-rock chitarristico dagli am-pi significati: canzone di viaggio, di treni che partono (dal-la finestra?) e portano lontano. Ma perché "un tempoeri il re del quartiere /offrivi sempre da bere agli ami-ci e ai parenti". Offrivi sempre da bere! Basta. "La bre-ve estate" è ricca di queste forzature: si passa dal no-venario all'endecasillabo per mettere dentro per for-za "il mare" o per ripetere bugia. Ma queste sono im-precisioni, in "Un uomo in rivolta" (l'episodio più infelice

di un disco che invece è tutto da godere) invece, il pro-blema si fa sostanziale: la ricerca della rima baciata ri-schia di togliere senso al discorso.

Passiamo alle perle, che sono molte: "Tristessa", can-zone di confine messicana dalla densa atmosfera, ac-centuata dall'organetto di Joel Guzman. "Dimmi tu, fio-re" un bluegrass incrociato con la tradizione popolareitaliana, dove il banjo si sposa col mandolino, suonatocome dio comanda. "Le ceneri di Pasolini (lettera dalDopoStoria)" è un grande brano, riflessivo e intenso,condotto dal piano e dall'organetto di Riccardo Tesi. "Iragazzi del vicolo" è meravigliosa: nasce quasi comebrano do-wap e dopo un minuto cambia completa-mente vestito: cantato a due voci con Andrea Parodi,diventa un valzer di campagna. La voce nell'intro è diLuca Mirti dei Del Sangre. "Maria delle montagne" hail passo giusto della musica popolare. "Anima mundi",con la partecipazione di Lino Straulino e Carlo Mura-tori, risente delle passioni sixty e tardo-psichedelichedi Lino, soprattutto nella musica e suona nitida e affi-lata. Potente "Terra di abbondanza" con la slide di Mar-co Phyton Fecchio. Ma, forse la mia preferita del lotto,è "La petite promenade du poete" con testo tratto daiCanti Orfici di Dino Campana e resa al meglio dalla chi-tarra di Maurizio Geri e dal clarinetto di Nico Gori.

Un'offerta e variegata da parte di uno dei migliori espo-nenti di quel nuovo rock italiano che tiene almeno un'o-recchio e metà del cuore oltre Atlantico. Se solo tenes-se a freno le rime... Da 300 anni si scrivono canzoni,ogni giorno escono 170 libri e pare siano 10 mila lepoesie quotidiane. Quante volte pensate che cuore ri-mi con amore? O oltraggio con miraggio? Troppe.

Massimiliano Larocca"La breve estate"Pomodori Music- 2008Ai concerti o sul sito

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niPaolo Benevegnù: "Le labbra"

Un film bene a fuoco.La dialettica dell'amoredi Giorgio Maimone

D isco di parecchie pretese e tutte man-tenute. E già questo non è facile. Nonsi presenta come prodotto di consumo

e non lo è. Quindi dategli il tempo necessarioper aspettarlo, ascoltarlo e capirlo. E' un discodenso come marmellata e quasi altrettanto vi-scoso. Bisogna avere l'accortezza di mischiar-lo coi giusti ingredienti: qualche formaggio er-borinato qua, qualche tartina là. I piccoli e fra-gilissimi film ci sono anche qui e si articolanoin undici episodi, di cui a volte si fa fatica a scor-gere i titoli di testa e i titoli di coda. "Raramen-te come in questo caso - ci ha detto Paolo - hoconcepito il disco come se fosse un'unica can-zone". Concordo su tutta la linea. I brani han-no linee, soprattutto musicali, diverse, ma lastessa matrice. E questa matrice è letteratu-ra buona, è ottima musica.

Sono trascorsi quattro anni, tra un episodioe l'altro del canzoniere di Paolo Benvegnù,ma sono stati quattro anni intensi e spesibene. "Piccoli fragilissimi film" mi era piaciu-to, ma "Le labbra" sta sopra: mi convince.Sarà questa sorta di piccolo muro del suonoottenuto raddoppiando quasi ovunque la voce("Ma non è Phil Spector! E' un modo perovviare a quelle che ci sembravano pecche diregistrazione" sminuisce Paolo. E' l'intensitàlirica del canto e l'empito romantico dellemusiche che viaggiando libere per i miglioriterritori del nuovo rock italiano, con qualchesvisata dal jazz al classico al rumoristicoaccennato. E' lo spessore tormentoso delletrame degli undici capitoli in cui si articola ilviaggio.

E' un disco sull'amore, quello folle e inelutta-bile, quello sano e puro, come quello insano e

impuro: "il mio amore è santo e blasfemo /perché ha toccato gli angeli / il mio amore èsanto e lontano /.../ ed è crudele comeimmaginare / come scopare / come illuder-si di ritornare /…/Il mio amore è sempre bla-sfemo perché conosce le parole è lo sguardod'abbandono prima di partire". ("Amoresanto e blasfemo"). Ecco, se vogliamo segna-lare una piccola pecca dell'album è la man-canza dei testi nel libretto.

Ma Paolo sostiene che c'è un motivo concet-tuale anche per questo: "Proprio per nondare tanta importanza alla parola. Per quan-to sia un disco di parola. Nella realtà il miointento, anche se in realtà sono sempreintenti troppo concettuali, l’intento era: dicotutte queste parole nella speranza che, chia-mando il disco Le labbra, da qui in poi inco-minci a diventare gesti e sensazioni. Poi inrealtà il libretto coi testi lo stiamo facendo,scaricabile da internet. Anche in un formatovicino a quello che è il formato del libretto deldisco stesso".

Non resta quindi che armarsi di pazienza, inattesa di scaricare il libretto da internet ecercare di cogliere fiore da fiore. La sensa-zione che l'album sia formato da una solalunga canzone è data anche da alcuni accor-gimenti tecnici: la voce resta sulle stessenote e il tono dei brani è generalmentedescrittivo, mentre il cambio di atmosfere èsoprattutto assegnato alle musiche e glistacchi tra un brano e l'altro sono veramen-te minimi, quando anche ci sono. Tra "Lapeste" e "Il nemico" non ce n'è alcuno eanche tra "Interno notte" e "L'ultimo assalto"

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non c'è praticamente soluzione di continuità,mentre "Jeremy" e "Sintesi di un modellomatematico" sono assolutamente una cosasola. E lo stesso gioco si ripete tra "Cinquesecondi" e "1784".

Sono mediamente brani lunghi, che oscillanodai 6'22" de "La peste" ai 3'51" de "L'ultimoassalto" per un totale di undici brani e 52'38"di musica in totale, ma la fine sembra arriva-re in realtà prima: al riascolto ripetuto daval'impressione di un disco più breve, forseanche per l'unitarietà dell'insieme. una palla,una sfera sonora che percorre le singole trac-ce lasciando tracce comuni del suo rotolare inquesto che, non l'ho ancora detto chiaramen-te, è uno dei migliori dischi ascoltato finoranel 2008, certamente un imperdibile.

"Quello che di resta non è la distanza. Comefinire le parole ("La distanza"). "Lei non ha piùbisogno di credere /e accarezza le gambe aisuoi demoni /…/ poi diventa luce che non tra-disce nessuno / come fuoco che si sa ferma-re /…/ e nei suoi occhi i miei sogni esplodono("1784") .“Non c’è nessun confine che divida eillumini la freccia e il suo bersaglio / Potraidividere il mio corpo in parti uguali in un istan-te” ("La peste"). “Non sento quest’ansia diarrivare sul tuo ventre caldo / Depositare ilseme senza amare il campo” ("Il nemico").Una manciata di frasi sparse, prese qua e làdal corpo del disco, per renderne i colori di

fondo, colori che però esplodono nella musica,quando sulla tradizionale base rock partonogli inserti degli archi o dei fiati. PaoloBenvegnù ha disegnato con maestria unalbum verso il quale non si può restare indiffe-renti. Forse lo sipotrebbe non amare ... macome si fa a non amore un album sull'amore?

Ma è un disco di carne e di sogni, di calore edi sospensione, di candore e commozione."1784" che rappresenta forse la luce in fondoal tunnel, è la canzone che più mi resta nell'a-nima, nonostante la collocazione a fondoalbum; quasi a dimostrare che si arriva facil-mente alla fine e con la voglia di non smetterel'ascolto. Ma anche "Jeremy", "Sintesi di unmodello matematico" o "Interno notte" sonocanzoni indimenticabili all'interno di un albumdi parole dove però è la musica a guidare ilcammino attraverso le undici tappe della sta-zione di un dolore che è anche amore. O di unamore che è pure dolore. Un piccolo suntodell’amore e odio oppure dell’amore.Sicuramente della non-indifferenza. Una pie-tra miliare che, d'ora in poi sarà necessariotenere presente per valutare il cammino dellamusica d'autore in Italia.

Paolo Benvegnù"Le labbra "La pioggia dischi/ Venus - 2008Nei negozi di dischi

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niAlessio Lega e Roberto Bartoli: "Compagnia cantante"

Divulgando (e divagando) nellacanzone d'autoredi Giorgio Maimone

Alessio Lega è un divulgatore, per origine eper formazione. Dotato di una solidissimaformazione cantautorale, che ogni tanto

sfora nella monomania, è in grado di parlare disin-voltamente di un cantautore transilvano, quantodi un vampiro basco e in ognuno dei due casi nonsapresti capire quando separa la realtà dalla fan-tasia. Tantomeno perché per ogni cosa che rac-conta esiste sempre anche l'aneddotto curiosoche lo conferma. Questo disco, magnifico e fluvia-le, lo rappresenta in toto, forse più dei dischi com-posti da lui stesso.

Sempre che sia vero che queste canzoni nonsiano tutte sue. Perché la fantasia di Alessio nonè facile da confinare e delineare. Potrebbe esse-re anche tutto un parto della sua fervida fanta-sia. "Compagnia cantante" dura 55'58" ed èsuddiviso in 18 canzoni, ma non ce n'è una chequalcuno sia disposto a dire di avere ascoltato ecompreso in versione originale.Il più noto dellacompagnia è Georges Brassens di cui qui vieneperò proposta "I bravi coglioni", canzone scrittama mai cantata, perché ci stava lavorando quan-do è morto.

Certo, poi abbiamo Luis Llach, Aristide Bruant,Serge Gainbourg, Georges Moustaki, VladimirVysotskij e Leo Ferré, nomi già conosciuti eapprezzati, ma tutte le canzoni sono inedite initaliano, almeno per quanto ne sa e ne garanti-sce il Lega (e se lo garantisce lui ...) ma al con-tempo abbiamo Maurice Fanon, Henri tachan,Jaromir Nohavica, Natalia Correia, Karol Kryl,Bulet Okudzava, Serge Utgé-Royo, GilbertLafaille, Christian Loigerot, Pierre Perret, nominon certo consueti da rintracciare su un disco. Enon solo in Italia.

La cosa più bella è però che, nonostante que-sta frammentazione e dispersione dei talentiil disco che ne emerge è unitario e bellissimoe appare a tutti gli effetti come un album delLega. Il fatto poi che il cd sia allegato al libro

"Canta che non ti passa" (Stampa alternati-va) aggiunge al cd un apparato documentariodi primo piano.

Procedendo con ordine "I bravi coglioni" èmolto carina, forse troppo "alla Brassens",tanto da sembrare un brano di PaoloCapodacqua ("La contravvenzione" musical-mente è molto simile). Unico neo: un errore di... italiano (in un brano francese!): i coglioni nonsi "arrabattono", ma semmai si "arrabattano".E' un lapsus di sicuro, ma non me lo si passiper lapsus voluto perché non ce n'è alcun biso-gno ed all'ascolto è fastidioso. "Aprile '74" diLuis Llach già la conoscevo e mi sembra per-fetta: riferita alla rivoluzione dei garofani por-toghese. Canzone militante e intensa.

"Nudo" di Allain Leprest è il "manifesto dell'esi-stenzialismo di Leprest" scrive il Lega. Non rie-sco a condividere lo stesso entusiasmo diAlessio per Leprest. Tetra canzone resa peral-tro bene sia come traduzione che come inter-pretazione. "I Tessitori" di Aristide Bruant è unbrano di fine '800 che parla di una rivolta deitessitori di Lione nel 1831. Storica. Moltobella è invece la successiva "Finisterre" in cui iltraduttore è in primo luogo un traditore per-ché sposta l'azione da Carcassonne (titolo ori-ginale) a Finisterre, forse senza una realemotivazione (facessimo una gara forse sonopiù gli italiani che conoscono Carcassone chequelli che conoscono Finisterre, che peraltrosta in Spagna e non in Francia). Ma il brano èmolto bello e l'accompagnamento di RobertoBartoli, magnifico per tutto il disco, qui si fapoesia in musica. Una delle mie canzoni prefe-rite di "Compagnia cantante".

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Molto bella anche "Ridi" di Henri Tachan, tradottacon molta libertà estetica, ma con una meraviglio-sa resa nel significante e con anche perfette scan-sioni ritmiche, molto difficili in una breve (solo1'27") canzone dal ritmo così veloce. "Da me com-pletamente riscritta perché credo fosse l'unicomodo per restare fedele all'idea". Vero. E così den-tro troviamo Jannacci, Charlie Brown, i Guzzanti eGuereschi, ma funziona. Eccome se funziona! Il pia-cere dell'ascolto prosegue anche con questa biz-zarra "La piccola curda" di Pierre Perret, canzonea forte rischio di retorica, ma dall'impatto pacifistasincero. Un piccolo e lieve acquarello riscattatodalla frase finale: "Bambina curda fuggi dall'orrore/ la morte non dà mai nessuno potere / vedrai ilmio bel Paese / dove il silenzio è d'oro / e uccido-no talvolta ... col lavoro". "Denti bianchi e pellescura" di Gilbert Laffaille, uno di cui lo stesso Legascrive "di lui non si sa molto". Di lingua francese macanadese, anzi quebecoise. Dice ancora il Legache questa canzone gli piacerebbe portarla alloZecchino d'oro e ha ragione. Un bell'inno antirazzi-sta, semplice e dalla musica accattivante. Ancorabravi gli interpreti.

"L'annegata" è forse la canzone più celebre delmazzo, rimasta a lungo come il più noto inedito diSerge Gainsburg. Delicata e deliziosa, quasi unostandard jazz. Canzone che meriterebbe famaancora maggiore, ripresa in una versione danight anni '50 dai nostri due eroi a cui si aggiun-ge il prezioso pianismo di Simeon Pozzini. Bella.Con "Tre sorelle" di Bulet Okuzava cambiamo rife-rimento culturale e nazionale: siamo in Russia:una di quelle passioni misteriore a un po' esoteri-che di cui il Lega si nutre. "Luglio '36" di SergeUtgè-Royo ci catapulta in Spagna durante la guer-ra civile. Il brano è un tipico bel brano militante,con tutte le sue cose al suo posto, compreso l'a-cuto finale sulla frase in spagnolo. Utgé-Royo,figlio di profughi spagnoli a Parigi, scrive infatti infrancese e il titolo originale è molto più bello diquello tradotto: "Pardon, si vous avez mal àl'Espagne". Chissà perché questa volta il tradutto-re ha tradito? "Dichiarazione" è un brano di

Moustaki. Basta la parola? Se non bastasseascoltate il brano: un recitativo che si scioglie inmusica. Senza speranze. Molto bella è anche lasuccessiva "Amore" di Karol Kryl, cantore ceco-slovacco che disegna un bellissimo contrasto trale vita militare e il ricordo di un amore. "Le fossecomuni" è di Vladimir Vytoskij che ormai, sotto laspinta incessante del Clun Tenco sta diventandomerce comune anche qui da noi.

Ultimi tre brani: "Le anime incensurate" di NataliaCorreia e José Maria Branco, canzone definita"oscura" dallo stesso Lega, che parla di uno degliautori come "dimenticato". Riscoperta forzosa?Quasi accanimento terapeutico. Segue "Cometa"di Jaromir Nohavica, stella della musica ceca. E ilbrano in effetti è bello. Chiude la magnifica"Richard" di Leo Ferré, ennesima chanson à boiredel cd. Canzone ubriaca, forse, ma grande canzo-ne. E ancora una volta grande interpretazione.

DIsco candidato alla Targa Tenco per l'interpreta-zione. Spalla a spalla col grande album diGianMaria Testa, Paolo Fresu e Roberto Cipelli"F. A' Leo", dedicato a Leo Ferré e alla musicafrancese o al Vysotskij rivisitato con classe daEugenio Finardi. Difficile esprimere preferenze.Tre grandi lavori. Per cui magari vincerannoSpinetti e Magoni con "Musica Nuda 55/21",altro bel lavoro. Ma indipendentemente dai premiun lavoro di divulgazione e di passione, intenso,sentito, vissuto come fosse un disco proprio, bensuonato e ben cantato, con 7/8 brani di bellezzatotale. Ne avrebbe guadagnato un po' da unamaggiore asciuttezza? Forse. Ma anche benguarnito resta un lavoro da non perdere. E il librone è il degno complemento. Una sola domanda.Ma perché non ci sono i testi delle canzoni?Avendo un intero libro a disposizione ...

Alessio Lega e Roberto Bartoli"Compagnia cantante"Stampa alternativa- 2008Allegato al libro: "Canta che ti passa" (Stampa alternativa) Euro 18

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niMaurizio Geri: "Ancora un ballo"

Puro swing, una delizia: forse troppodi Giorgio Maimone

Ogni singola canzone di questo disco èuna piccola perla. L'insieme di undicipiccole perle (più una ghost track) non

fa un grande disco. E' un po' l'effetto di una se-rie di barzellette. La prima ti fa sganasciaredal ridere, la quinta un po' meno. La settima an-noia. Forse l'unico problema di questo albumè la coerenza. Maurizio Geri è bravo ed ha l'a-bitudine di fare progetti sempre interessanti,sia quando lavora con Riccardo Tesi per Ban-daitaliana, sia nei suoi molteplici progetti col-laterali. E "Ancora un ballo" non fa per nienteeccezione.

E' un lavoro sullo swing. Molto accurato,documentato, filologico. Le atmosfere dellebig band italiane sono ricreate con cura e itesti seguono agilmente il ritmo scandito dachitarra, batteria e contrabbasso e sottoli-neato dai fiati. Quasi un evoluzione naturaledei lavori fatti sulla musica manouche e cheavevano dato luogo a due piccole perle come"A cielo aperto" e "Manouche e dintorni".

"Ancora un ballo" prosegue il viaggio attra-verso le onde radio, partendo da DjangoReinhardt, passando per Gorni Kramer earrivando fino a Maurizio Geri, a cavallo fra lagrande tradizione zingara, lo swing d’oltreo-ceano e la canzone d’autore. Il tentativo è dicreare una nuova strada verso la musicaall'antica italiana, ripercorrendo a ritroso lastrada dello swing con filologica precisione,abbinata a voglia di innovare.

Se le intenzioni sono nobili e la band assem-blata per rincorrerle è di qualità, i risultatisono alterni. Non all'interno delle singole can-zoni che, come già detto, sono belle, ma delrisultato d'insieme. I 50 minuti di swing conti-nuativo risultano di difficile assorbimento,senza stacchi in mezzo. D'altra parte nevenissero più spesso di dischi come questi!

Con così tante idee e voglia di fare. Gerimaneggia con abilità ancora insospettata lerime (finora avevo ascoltato dischi strumen-tali) e suona la chitarra come è bello sogna-re che si possa fare. Anzi, ogni tanto vieneproprio il rimpianto che alla chitarra non sialasciata più voce solistica.Perle tra le le perle, ma di maggior nitoresono "Il bianco", cantato con GianMariaTesta e dedicato alla figura circense delclown bianco "Siamo tornati illesi al sicuro /dai miti che passano / siamo partiti illusimalgrado / i tempi che cambiano ... / Poid'improvviso la gente d'intorno / la pistarotonda si illumina a giorno / ecco le facceincantate / buffe custodie di vecchie risate"."Goodies vai" è così bella e così swing che sepassasse un'orchestra americana d'ante-guerra se ne innamorerebbe di sicuro: "VaiGoodies vai / Goodies vai ...pensaci tu / adaiutare questa notte a diventare un matinè /che ci vuole un certo stile / Via Goodies vai /Goodies vai ... pensaci tu / a mescolare que-ste note e terzinare fa mi re / Non è facilecapire".

Ancora "La rossa" ha un fascino retrò accen-tuato dalla lenta introduzione, prima cheparta la ritmica saltellante sostenuta da chi-tarra, contrabbasso e batteria, caratteristi-ca del genere, su cui si innestano i vari solisti(fiati e violini) e gli opportuni cori. "La Rossa èimmobile e bella, aspetta qualcuno che sap-pia / portarla su un piatto d'argento con l'a-nimo nobile di un caramello / ma verrà ilgiorno quel giorno che la saprò conquistare/ fosse anche l'ultimo assaggio, l'ultimo inag-gio di quel sapore".

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Molto ispirata anche la lenta "Ribot", doveAlice Sobrero condivide il canto e la scritturadella musica, mentre il testo è di paternità diGeri e Giuseppe Bruni. Ribot, per chi non losapesse è stato un grande cavallo da corsapurosangue inglese (ma di proprietà italiana)degli anni '50, figlio di Tenerani e Romanella, eautore di una collana di 16 vittorie consecuti-ve nei più importanti Gran Premi, sempremontato da Enrico Camici.

Delicate e romantiche, una vera oasi acustica,assieme a "Ribot" a centro disco, sono la can-zone di matrice popolare "Segni di noi" e ilbreve intermezzo strumentale "Aperitivo"."Segni di noi" è solo chitarra, pianoforte e con-trabbasso, con gli interventi del quartetto diarchi Archeae: "Vedi, siamo passati di qua /lacsiando piccoli segni di noi / vedi, ora che ilvento si posa / rimane la strada segnata dipassi / e bianco di pane". In tutto e per tuttopotrebbe sembrare un pezzo degli ultimiSulutumana: "Arimo" infatti ha parecchio daspartire con le atmosfere di "Ancora un ballo".

Insomma, se sei canzoni su undici sono pro-prio belle e se tutte quante le altre viaggianoben oltre la sufficienza, come è che la sommatotale non arrivi all'eccellenza? Ci arriva, inrealtà. Ma è che non siamo più abituati alloswing: dopo gli anni d'oro ha fatto qualcosaBuscaglione (che costituì però un unicum) eanni dopo Sergio Caputo. Forse è solo unaquestione di scaletta che allinea troppi branisaltellanti nella prima parte che finisce perstancare, ma in un'epoca di Ipod e playlistquesto non costituisce un problema.Compratevi il disco, che merita anche per illavoro grafico accurato, e rifatevi la scaletta.Se gestito con attenzione è un disco che stilladelizia da ogni poro.

Maurizio Geri "Ancora un ballo"Cd Maurizio Geri - 2008In qualche negozio di dischi o sul sitohttp://www.mauriziogeri.it/

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Maurizio Geri (a sinistra) con Beppe Gambetta

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niCesare Basile: "Storia di Caino"

Oscuro, problematico, affascinantedi Leon Ravasi

Misterioso, cupo, desertico, difficile da se-guire tra la gran messe di riferimenti bi-blici, così poco italiani e così dylaniani.

Ma la musica di Cesare Basile, più che a Dylan, ri-manda ai cantori desertici come i Green on red oai cupi borborigmi dei Willard Grant Cospiracy (enon a caso Robert Fisher partecipa col suo vocio-ne in un brano). Difficile, indubbiamente, eppure co-sì suggestivo, da far sì che "Storia di Caino" nonpossa non essere ritenuto uno dei dischi più inte-ressanti della stagione.

Scarno e disidratato, scabro come pietra non leviga-ta, ammantato di suoni gravi ma mai grevi, acusticoanche nei suoi attimi più elettrici "Storia di Caino" è iltipico disco che scava solchi ascolto dopo ascolto. Mol-ti, colti da impazienza o da scaramantico timore perl'aria vagamente iettatoria del tutto, potrebbero nonarrivare in fondo; d'altra parte non dobbiamo parla-re necessariamente di ascolti facili. A volte è da quel-li decisamente difficili che si possono ricavare le gem-me migliori. Vale per l'ascolto, insomma, quello chevale per la lettura, ma che potrebbe valere anche peri vini o il cibo: spesso i piatti o i vini più facili non sono imigliori che abbiamo a disposizione.

Non è facile seguire i testi di Cesare. Sono belli, a vol-te bellissimi, ma molti riferimenti mi sfuggono. Colpaforse della mia scarsissima cultura ecclesiastica, cheinvece per Cesare si fa propensione: troviamo nell'or-dine "agnelli, moschee, reverendi. il gesto della cro-ce, preghiera, Giacobbe, Dio, Caino, sacrificio, rosa-rio, fede, pregare, miscredente, monsignore, santi inparadiso, ostie e sacrestia", un apparato degno dafare invidia a Papa Ratzinger e a suscitare appren-sione nel cuore di un vecchio miscredente come me.Possiamo chiuderla così: ogni tanto sono contentodi non riuscire a capire di cosa si stia parlando e a la-sciarmi trasportare dalle suggestioni. Come se aves-si paura che a capirne di più, ad approfondire, partedi quello che capirei potesse non piacermi.

Non a caso i brani che preferisco sono quelli dovei riferimenti biblici sono più sfumati o assenti come"Il fiato corto di Milano" (meravigliosa!) o "All'uncinodi un sogno" o ancora "Per nome". Anche se "Don-na al pozzo", "Sul mondo e sulle luci" e "19 marzo"fanno parte dell'eccellenza assoluta. Il riferimento

più immediato per quanto riguarda l'Italia è Fabri-zio De André, sia nel canto che nella scelta delle pa-role, veramente accurata. Un cesello che bisogne-rebbe "indicar di monito" a tutti i giovani cantautoriche pensano che senza la rima non si possano farcanzoni e non si possa fare poesia. Ascoltate Basi-le! Leggete Basile, per capire come si può fare.

Una lode particolare va alla produzione di JohnParish e alla capacità di fare un disco collettivo,dove più che un cantautore solitario sembra disentire all'opera un gruppo che si avventura per isentieri del folk e del rock a ritmi alterni. Genialela scelta dell'ukulele, sopraffino il violino di Rodri-go D'Erasmo ed essenziale il piano di Michela Man-froi. Tra anni sono passati da "Hellequin song", manon sono passati invano, anche grazie a una viva-ce attività live e di collaborazioni (prima su tuttequella con Nada).

Due i brani decisamente rock, la title track "Sto-ria di Caino" e la violenta e fascinosa "Canto del-l'osso". Un brano "What else have I to spur me into love" è in inglese ed è scritto a quattro mani conRobert Fisher, ossia mr Willard grant Conspiracy.E' un disco sull'assenza - sottolinea Basile - e sullalunga lotta tra cielo e terra, tra quello che il desti-no (o come cavolo si voglia chiamare l'immanen-za) ci manda e il nostro libero arbitrio. Ambiguo eaffascinate, di diavolo e acquasanta, "Storia di Cai-no" è un disco da non inghiottire in un boccone.Ascoltatelo più o più volte, avvicinatevi per gradi,fatevene permeare. Merita.

Cesare Basile"Storia di Caino"Urtovox - 2008In qualche negozio di dischi, ai concerti, e sul sito

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niFiumanò Domenico Violi: "ll biciclettista"

Pedala, pedala,domatore di curvedi Leon Ravasi

Ci avete mai fatto caso? Lo pensate anche voi?Difficilmente i dischi che hanno una bella co-pertina hanno un brutto contenuto. Se uno

ha tempo e voglia per occuparsi di una copertina,vuol dire che ha messo cura e attenzione anche neldisco. E' il caso di questo lavoro di Fiumanò Domeni-co Violi (poi cercheremo di capire dove finisce il co-gnome e dove inizia il nome). Il progetto grafico è diGiovanna Bottero e di Paolo Lunetta, il progetto ar-tistico è di Fiumanò (e questo è il cognome).

E il disco è bello. Ma proprio bello, senza bisogno di sot-tili distinguo o di prese di distanza. Anche il primo lavo-ro di Fiumanò, "Ero jazz ma non lo sapevo", era unbuon disco, ma meno intrigante. Lui ama le atmosfe-re rarefatte, le liquide suggestioni pianistiche, la voceche si appoggia morbida sui tasti neri e scivola su quel-li bianchi, per creare una leggera malinconia come in"Attraverso una canzone", o un’ironia swingata, comene "Il barone Cornovaglia". Undici stanze di umori mu-tevoli come un cielo di primavera. Temporali, serenilimpidi, ritmi da Pasqua leggermente latino-america-na. Una tendenza alla bossanova alla Cammariere,ma al servizio di testi decisamente migliori. Sotto al-cuni aspetti, Domenico Fiumanò Violi sembra la ver-sione in bella copia di Sergio Cammariere; quello checi sarebbe piaciuto che fosse. Raffinato, elegante nelporgere, credibile nel chiedere rispetto e affascinan-te nel creare atmosfere dove musica e parole mar-ciano di pari passo. È jazz, ma non lo sa, tanto per pa-rafrasare il titolo del suo primo disco? No, ma il jazz facapolino. È bossanova? A volte, ma non solo. È musi-ca italiana anni 0’60? Anche. Di sicuro musica di unautore che si è abbeverato ai francesi, a Endrigo e aGaber, ma anche a Bindi e a Tenco.

Certo l'accompagnamento è fondamentale: potercontare sul sax di Jacopo Jacopetti al momento giu-sto o sul pianismo raffinato di Paolo Birro, Luca Scar-pa e Marco Ponchiroli, sulle trombe di Marco Brio-schi e Davide Boato e sulla macchina ritmica rettadal contrabbasso di Franco Testa, arrangiatore delprogetto, fa parte di un valore aggiunto che trasfor-ma tante buone canzoni in un ottimo disco che si di-pana senza un momento di noia, tra la dolcezza di "Ro-sa" e le malinconie di "Un sorriso ancora".

“L’album è una nuova tappa del mio viaggio in musicafra utopia e realtà - dice Fiumanò nelle note stampa

che accompagnano il disco - che ciba il sognatore cheè in me. Il sogno è l’unica ricchezza dei poveri. Mi pia-ce immaginare quale destino mi attende dietro l’an-golo: senza paura, ma nemmeno con la certezza diraggiungerlo”. E in copertina notiamo i cartelli strada-li che spingono il biciclettista (ma vogliamo dare un bo-nus anche al titolo?) a pedalare verso Atlantide o Mar-te o La via Lattea o, perché no, Palizzi, un comune di2.500 anime in provincia di Reggio Calabria che, senon vado errato, è il paese natale di Domenico, chepure la Calabria condivide con Cammariere.

Fiumanò non è un ragazzino, perché veleggia ormai,come si addice a un viaggiatore quasi di professione,che vive tra Venezia e Parigi, verso i 50 anni e alle spal-le ha anni di Conservatorio e una ricca attività compo-sitiva di brani di musica classica. È facile sentirne echiche spuntano qua e là e che rendono ancora più rea-listico e concreto il rapporto con Umberto Bindi chegià di citava sopra e che in canzoni come "Torno date" o "Jean La Claire" balzano di più all'occhio. "JeanLa Claire" è forse il personaggio più delicato tratteg-giato nell'album: un clochard: "Tra terra e cielo / il suosorriso / porta a spasso la sua vita /Jean La Claire,in questo inverno di città / Tra un'incudine e un ange-lo / distratto sopra le nuvole".

Un disco che conosce la poesia degli ultimi e delle pic-cole cose e la musica del mondo che ci gira intorno,dolcemente, amaramente, disperatamente, ma nonsenza redenzione: é "una terra di fuoco e di chiodi do-ve la vita non vale uno sputo ", ma c'è ancora lo spazioper l'emozione dei "saltimbanchi, trasformisti giocolie-ri e grandi, grandi artisti" e, perché no?, musicisti.

Fiumanò Domenico Violi"Il biciclettista"Sony Bmg - 2008In tutti i negozi di dischi

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niLuca Ghielmetti: “Luca Ghielmetti”

L'emozione che tiassale all'improvvisodi Leon Ravasi

Credo che sostanzialmente si faccia questomestiere (quelli che schiacciano giudizi sui di-schi degli altri) perché da un lato non si è in

grado di farli, i dischi, e dall'altro perché si spera ditrovarsi di tanto in tanto di fronte a un disco così. Per-ché "Luca Ghielmetti" di Luca Ghielmetti (ma possi-bile che non ci fosse un titolo disponibile?) è un al-bum molto bello, che ha quasi tutto quanto al suo po-sto e il vantaggio, grosso, di sapere rinchiudere emo-zione tra i solchi e restituirla agli ascolti. Volete ride-re? Capossela è un genio! Ma il suo "Da solo" è fred-do rispetto a Luca Ghielmetti. L'ho detto. Oh!

Difficile dire cosa piaccia di più: la voce, calda e pasto-sa, le storie semplici e facili da seguire, un suono lim-pido e delicato, ottenuto con pochi strumenti suonaticon grande maestria e, sopra tutto, il tocco del mae-stro Greg Cohen negli arrangiamenti, che fa sì che ognicosa sia al suo posto: i ricami di chitarra, gli svolazziavvincenti di una fisarmonica che arriva diritta dallaprima metà del secolo scorso, il contrabbasso e il pia-no quando ci vogliono e l'incredibile classe di Mario Ar-cari ai fiati: dall'oboe all'armonica.

Le canzoni sono intimamente italiane; hanno un gustodella melodia all'antica che sembra richiamare le ariedelle radio a valvole e la presenza di un pugno di mu-sicisti stranieri nelle registrazioni non fa che rendereancora più precise queste sensazioni, più nette, piùchiare. Dice Ghielmetti (o chi per lui) nelle note di pre-sentazione che il disco profuma di Langhe perché nel-la "Provincia granda" di Cuneo è stato concepito, de-siderato, annegato di grandi vini. I grandi vini si sento-no: gli armonici del Barolo, le percussioni del Dolcet-to, i cori del Barbaresco e anche qualche nota erba-cea di un Arneis di primavera. È un disco invernale, pro-fumato di castagne e funghi, ma con qualche vento-sa occhiata di sole che fa capire che la primavera nontarderà a venire.

La magia parte da subito con il piccolo gioiello fadistadi "Antes que muda el mar" e una frase, quasi all'inci-pit che suona più o meno così: "con due spalle da sor-reggere un tecnigrafo / il figlio prediletto degli dei". As-solutamente geniale. Un brano che sa di mare e di viag-gi, di marinai e di passioni, che si suona in punta di di-ta e che Luca canta con quella leggera raucedine cheporta tutte le navi a terra e le storie più vicine ad am-mantarsi di leggenda.

Il clima resta sepre introspettivo e intenso, momentidi debolezza non ce ne sono mai. Storie di un uomocon i suoi anni e le sue esperienze sulle spalle, uno cheha avuto la fortuna di non fare il musicista a vita, madi riuscire ad affondare le mani nella musica. Uno chepuò essere credibile in una frase come "il motore delmondo lo sentivi girare / come un vecchio trattorepupupum pupupum tra le bici" ("Quei bei baci a Paris").O ricordando le corniole (chi sa ancora cosa sono?Una sorta di ciliegia, un frutto dimenticato buono permarmellate o salamoie) come ne "Le corniole di Non-no Rassouli" che è un bel viaggio nella nostalgia.

"A un passo dalle nuvole" è una canzone per chi sa an-cora lasciarsi "sorprendere dall'amore" . "I treni di un'o-ra" è un'altra piccola gemma, intessuta di fiori di bri-na: "Che belli itreni di un'ora / quelli che partono dallago / e portano in città". Poco meno di due minuti diun canto trattenuto e poi una bella coda strumentalecon steel guitar e lap steel in evidenza. "Il dottor Car-lo" è una vera delizia virata seppia. Canzone da brivididella memoria: una sorta di madeleine proustiana in-tinta negli umori della pianura padana. Avrebbe potu-to essere stata scritta ad Andrea Vitali che con LucaGhielmetti ha in comune il lago e anche una vicinanzaprofessionale: medico uno, farmacista l’altro.

Una doccia rinfrescante, una pioggerella autunnale,un vortice di foglie cadenti in un volo della memoria trasensazioni del tempo andato dietro a storie di quoti-dianità assoluta. Forse fuori dal tempo, ma non dal sen-so e dal sentimento. "Luca Ghielmetti" è un incontroda fare. Non perdetelo.

Luca Ghielmetti"Luca Ghielmetti"Odd Times Records, distr. Egea - 2008Nei negozi di dischi

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niLorenzo: “Safari”

Che musica fa Jovanotti? Buona musicadi Moka

Che musica fa Jovanotti? E' rock? E' rap? E' mu-sica dalle vaghe ascendenze sudamericane?E' canzone d'autore? Non lo so, ma sta di fat-

to che da qualche tempo in fa, ascoltare Jovanotti èpassato dall'essere esercizio per decerebrati a pas-saggio indipensabile per i maître à penser e che lostesso Jovanotti, anzi, ormai Lorenzo Cherubini, è di-ventato oggetto di pensiero, oltre che soggetto pen-sante. E insomma, sì, Safari è proprio un bel disco,anche senza riuscire a definirlo esattamente.

Cosa piace di Lorenzo, aka Jovanotti? Mah, soprat-tutto un certo approccio naif alla materia cantata. An-che quando non canta affatto di momenti secondario di amenità della vita. Jovanotti ha una pulizia e un'in-genuità, in senso buono, di fondo, che lo fanno piace-re senza remissione. Lui si propone nudo e apparen-temente spoglio di sovrastrutture e a noi il gioco conLorenzo nudo, piace. Una sorta di Forrest Gump, dibambino che può gridare "il re è nudo", ma che puòanche permettersi di cantare d'amore con accenti co-sì sinceri da sembrare veri.

Pochi potrebbero resistere al tasso di zucchero a ri-schio eccessivo che si portano dietro canzoni con-cepite come "A te", adatta per il periodo di San Va-lentino. Poche note di piano e poi parte: "A te che seil'unica al mondo, l'unica ragione / per arrivare finoin fondo ad ogni mio respiro / quando ti guardo do-po un giorno pieno di parole / senza che tu mi dicaniente tutto si fa chiaro / a te che mi hai trovato al-l'angolo coi pugni chiusi / con le mie spalle contro ilmuro pronto a difendermi ... A te io canto una can-zone perché non ho altro / niente di meglio da offri-re / è tutto quello che ho / prendi il mio tempo e lamagia che con un solo salto / ci fa volare dentro l'a-ria come bollicine // A te che sei, semplicementesei / sostanza dei giorni miei"

E poi prosegue: "a te che sei il mio amore grande edil mio grande amore". Insomma ce n'è a sufficienza persciogliersi. E il miracolo di Jovanotti è che riesce a es-sere perfettamente credibile cantando di questo amo-re senza pudori, senza freni, senza reticenze e vivad-dio quanto ne abbiamo bisogno di uomini che non sivergognino di essere in grado di amare!

Il Jova, bisogna dirlo, c'ha un po' il vizio, perché seibrani dopo ci riprova con "Innamorato", che però

non ha la stessa forza di "A te" e che suona quindiun po' ripetitiva. Di canzoni come queste ce ne stabene una per disco. Due sono un po' troppe. Non che"Innamorato" abbia niente che non vada. Anzi, un bellento di atmosfera, pianistico,ma non dotato del cre-scendo orchestrale che in "A te" porta dalla commo-zione all'esaltazione. Meglio andare a cercare altro-ve e si trovano senz'altro altre perle.

"Fango", ad esempio, singolo di partenza, dove suo-na magnificamente Ben Harper (tanto per dimostra-re che il Jova non è secondo a nessuno Zucchero intema di duetti!). Una delicata ballata chitarristicache, forse, ricorda in parte altri singoli di Lorenzo (adesempio "Serenata rap"). La linea armonica non èpoi trascendentalmente nuova, ma nella globalità èun brano assolutamente intrigante. Pensa te cosami tocca dire, anni dopo, de l'autore di "E' qui la fe-sta" e di "La mia moto"! Ma è innegabile che i tempisiano cambiati. "Sotto un cielo di stelle e di satelliti /tra i colpevoli le vittime e i superstiti / un cane ab-baia alla luna / un uomo guarda la sua mano / sem-bra quella di suo padre / quando da bambino / loprendeva come niente e lo sollevava su".

"Mezzogiorno" poi è una delle mie preferite. Una bel-lissima carica rock, grinta, ritmica, musica che pren-de, che ti afferra e non ti lascia più e un ritornello dacantare assolutamente in coro. Voce filtrata e bassoe batteria che pompano come si dove, con gli altri stru-menti a seguire. "Siamo come il sole a mezzogiornobabe / Senza più nessuna ombra intorno...babe / Unbacio e poi un bacio e poi un bacio e poi altri cento /Teoricamente il mondo è più leggero di una piuma /Nessun filo spinato potrà rallentare il vento / Non tut-to quel che brucia si consuma".

E non è finita, perché forse il brano più bello, o comun-que più interessante, si annida verso il fondo e si trat-

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ta di "Antidolorificomagnifico". Un inizio arabeggiante,dopo percussioni che reggono un controcanto di stru-menti speziati in sottofondo, fino al coro, quasi classi-co, dell'inciso. E un testo che è sciamanico e intelligen-te insieme (E' possibile? E' possibile!). Bisogna legger-lo! "Tre gocce di sputo di donna incinta di un uomo chenon la ama / Una piuma del collo di un pappagallo chiu-so nello zoo di Roma / Un centimetro quadrato delgiornale uscito per il tuo decimo compleanno / Un pez-zetto di carta bruciata di un petardo di capodanno /Tre gocce di sudore di un maratoneta a inizio carrie-ra / Un pò di acqua dove una mamma ha lavato i piat-ti ieri sera / Un frammento della tua prima pagella diprima elementare / L'orario degli aerei dell'anno chesta per cominciare / La pallina del fischio dell'arbitroun pezzo di tappo di spumante / Una pagina del librodi scienza di cui non sai niente / Un filo di erba dovesopra è passato da poco un leone / E la freccia cheabbassa il volume al telecomando della televisione /E' un antidolorifico magnifico / Tritare mescolare sbat-tere / Tritare mescolare sbattere".

E per farla breve stringiamo sulla "Safari", condotta inporto con Giuliano Sangiorgi dei Negroamaro e sullalatinoamericana "Punto" per cui viene riesumato dagliarchivi degli anni '60 Sergio Mendes e che sono comun-que due ottimi pezzi. "Come musica" soffre un po' del-la stessa sindrome di "Innamorati". Eccesso di zucche-ri pericolosi nel sangue. Anche se non mancano pas-saggi di testo indovinati: "Il tuo specchio appannato lamia brutta giornata / La mia parte di letto in questaparte di vita / Il tuo respiro che mi calma se ci appog-gi il cuore".

Mi piace invece fermarmi un po' più a lungo sul "Tem-porale". Soprattutto nella parte che dice "Non si puòscegliere un sogno non si può scegliere / Quando ti ar-riva ti arriva non c'è niente da fare". Ritmica incisiva e

testo importante: "C'è un temporale in arrivo senti l'e-lettricità / C'è un temporale in arriuvo sulla mia città /Porta novità porta novità / Il lupo perde il pelo io perdole occasioni / Ma non so perdere il vizio delle emozio-ni / La vita è più interessante delle definizioni / E tuttoquello che arriva da qualche parte va / Gerusalemmeè divisa sotto ad un solo cielo / E la mia mente è divisadentro ad un corpo solo".

Se è azzardato pensare al Jova come al futuro dellamusica, non è un azzardo pensarlo come qualcosa dimolto interessante per il presente. Sì, certo, il Jova èmainstream. Come Celentano. Ma possiede quel qual-cosa del "fool" in senso shakespeariano che lo fa ama-re. L'innocente che parla e che raggiunge vette scia-maniche. "Safari"? Ottimo disco! Ma che musica fa Jo-vanotti?

(Ps: Una piccola nota di merito ulteriore. Sul sitowww.soleluna.com si possono ascoltare tutti i brani,mentre se ne leggono i testi e sotto scorrono anima-zioni. Nel caso, al termine dell'ascolto (non integrale, macirca un minuto) si può passare su iTunes e compra-re il brano. Un grande esempio di uso creativo del sitoper quello che deve e può dare).

(Ps del ps: il disco è dedicato al fratello Umberto Che-rubini, morto a 48 anni in un incidente, durante la regi-strazione di Safari)

(Ps del ps del ps: la versione deluxe con cd e dvd com-prende anche " Come parli l'italiano", "Nel mio tempo"e "Il gioco del mondo")

Lorenzo"Safari"Soleluna - 2008In tutti i negozi di dischi

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niMichele Gazich: “La nave dei folli”

Di qua l'emozione, di là la vodkaDostojevskijdi Giorgio Maimone

Siete a favore dell'emozione e contro i centricommerciali? Siete convinti che Dostojevskijnon sia il nome di una vodka? E allora forse

questo disco fa per voi. Non voglio dire che sia un di-sco facile e immediatamente digeribile. Non ha chiar-re, non ha batteria. E' lontano dal rock, ma non è vi-cino nemmeno al folk. E' cantautorale e collettivo(credo sia il primo caso di cantautore che non can-ta!), è suadente, ma non accomodante. Forse perchi ha seguito la vicenda artistica di Michele Gazichmeno sorprendente. Per gli altri di più: ma sarannoi primi ad amarlo di un amore più intenso.

Michele Gazich è musicista (violino, viola), arrangiato-re e produttore (Maieron, Bubola), accompagnatoredi grandi figure del rock Usa (Marc Olson, MichelleShocked, Eric Anderson, Mary Gauthier). Adesso alsuo multiforme talento si aggiungono due voci: auto-re e titolare di un disco a suo nome. Ci ha lavorato tan-to: due anni, nei ritagli di tempo, ed ha fatto tutto dasolo: ha scritto i testi (prima), le musiche (dopo), crea-to un gruppo, arrangiato e prodotto il disco. Ora stacercando di farlo conoscere in giro.

Michele Gazich è stato l'alter ego di Massimo Buboladal 2002 al 2007, passando da dischi come “Segre-ti trasparenti”, “Il cavaliere elettrico IV”, ”Quel lungotreno” e “Neve sugli aranci”. Nel 2002 aveva dato cor-po ai sogni di Luigi Maieron, producendo con Bubolal’ epocale “Si vif”, uno dei più begli album del decennio.Lo scorso anno, chiusa la parentesi con Bubola ave-va di nuovo raggiunto Gigi Maieron per realizzare “Uneprimavere”, altro grande album sotto il cielo. Così, zit-to zitto, parlando poco Michele aveva messo lo zam-pino in tre dei dischi migliori del decennio (Si vif, Uneprimavere e Segreti trasparenti), ma in cuor suo co-vava il momento in cui non fare più da spalla a qualcunaltro, ma presentare il frutto del suo proprio lavoro. Eil tempo è arrivato con “La nave dei folli”.

Forse il primo segnale che si tratta di un disco di unviolinista che ha a lungo lavorato coi cantautori è la scel-ta di abolire la chitarra, stanco di sentirsela suonareal fianco (e a volte sopra), ma la mancanza non si sen-te. C'è il pizzicato del violino, l'arpeggio, il piano. C'è l'u-so attento della voce che però non è di Michele. "Cre-do che le cose vadano lasciate fare a chi le sa fare. Ioso suonare e so scrivere testi e musiche, perché avreidovuto anche cantarli?" E così l'onore-onere del can-

to è lasciato a Luciana Vaona, già al fianco di Bubolae di Gazich, con ottimi esiti, in Segreti trasparenti (vi ri-cordate La domenica e la fontana? Era lei). Al pianofor-te un cantautore come Beppe Donadio che "proprioperché canta le sue canzoni riesce a suonare il pianostando attento a sentir le parole", dice Gazich. E al bas-so un cuneese doc come Fabrizio Carletto, compagnodi Michele in un'altra avventura collaterale: i Ciansu-nier, con un repertorio di canzoni da osteria di folk acu-stico alternativo.

Il disco è stato registrato tra settembre e ottobre2008 a Brescia, mixato tra ottobre e novembre epubblicatoto appena in tempo per finire tra gli imper-dibili del 2008. La nave dei folli è un disco d'autore, diun autore che è partito per un viaggio, di cui questaè la prima tappa. Curato ed esaustivo il libretto, coni testi in italiano, le versioni in inglese di Marc Olson,l'indicazione di quando e dove sono stati composti ibrani (si va da Bethel - New York City, fino a Hemse-dal in Norvegia, da Joshua Tree fino a Brescia, da Abi-lene a Nizza e da San Francisco a Ghent, in Belgio).Una scrittura itinerante per un progetto unitario. Chericorda sicuramente quanto Michele ha già fatto, maanche le atmosfere del Branduardi degli esordi e dicerto folk inglese degli anni d'oro (Fairport Conven-tion, Pentangle dove, non a caso, le voci erano fem-minili). "Proprio scrivendone la maggior parte negliStati Uniti è uscito l'album più europeo che potessi fa-re!" dice - e a ragione - Michele.

Il disco è diviso in due, come un vecchio vinile: parteprima e parte seconda. "Nella seconda ho messo ibrani più lunghi e difficili. Pensando che chi ce l'avevafatta ad arrivare fin lì poteva anche volerli ascoltare"scherza ancora Michele, anche se, in effetti, la prima“facciata” dura 13'27" e la seconda 22'46" per untempo totale che sembra riecheggiare anch’essoquello dei vecchi vinili.

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Brano per brano: ottima l'apertura, mossa, con L'idio-ta è tornato in città, neanche due minuti di festa ironi-ca: "L'idiota vola con le farfalle / parla e ha solo sabbiain bocca / L'idiota vede il buio nel sole / Dostoevskij èun cocktail di vodke". Guerra civile è ben più densa: "Diosopravvive nei dettagli/ nelle crepe dei centri commer-ciali / Dio sopravvive nei dettagli / il coltello con la la-ma che non taglia". La musica asseconda il testo. Trail diavolo e il mare è la sua Volta la carta, filastrocca po-polaresca che parte dai differenti modi di dire nei pro-verbi popolare delle varie parti del mondo. Divertente.La Venere di carta è un altro brano di spessore: "nonse n'è andato l'amore, solo non trova le sue stanze". Sto-ria di separazione. Canzone dal fondo del mare chiudela prima parte. E' una delle canzoni più antiche (risaleal 2006): "Le tue ossa sono coralli di brace / Quel cheil fuoco ti dà il mare ti toglie/ sa di sale anche questatua pace / i tuoi rami non buttano foglie / la tua boc-ca che urlava ora tace". Trama tenue. Acquerello.

La seconda parte si apree con Come Giona, un cano-ne tra Mozart e psichedelia, scandito dal piano di Do-nadio con ritmo ipnotico. Brano molto interessante,poco italiano. Impossibile restarne immuni. Lo si può allimite rifiutare, ma scava dentro come l'acqua del ma-re. Manca a questo punto il brano di rilassamento e siparte con i 6'03" di Poeta in gabbia, dedicata ad EzraPound e ai molti fraintedimenti che la sua opera ha su-bito, a causa delle sue discutibili prese di posizione po-litiche (aderì entusiasticamente al fascismo). Gazichcerca di restituirci Pound come un mistico dell'amoree la canzone riesce nella sua esatica estenuazione, tra-scendendo l'immediato per tornare alle fontip poeti-che: "Il poeta, l'alchimista è in gabbia / sotto il sole il suocorpo brucia / ma l'amore non muore nel sole / sus-surra e piange con grilli e fili d'erba / La bocca del Poe-ta è aperta / Quello che sai amare non ti sarà strap-pato". Lo spunto è storico. Dopo la guerra Pound fu cat-

turato e chiuso in una gabbia tenuta sotto il sole di gior-no e alla luce dei riflettori di notte per tre settimane con-secutive. La musica sottolinea la drammaticità della si-tuazione e il violino di Gazich sale a macinarti il cuore.Una canzone che commuove.

La pausa di relax arriva ora con Il colore degli Angeli,dove il flauto traverso di Elena Ambrogio, ex moglie diGazich dona leggerezza ulteriore agli angeli. Un soffiod'aria pura dopo due canzoni intense ma pregne. Il co-lore degli Angeli dipinge una carola natalizia: "Il fiore ènel fiore e la mosca è nel cielo / il libro del mondo è ilnostro vangelo / C'è un angelo triste in ogni mattino /c'è un angelo argento che versa del vino / Ubriachi divita cantiamo alla notte / un canto che apre e che bru-cia le porte". Deliziosa. Ma si torna rapidamente a pen-sare con la title track La nave dei folli che propone tutt'al-tro clima sonoro e anche testuale: "Siamo tutti in unabarca /e se affonda nessuno ci trova / Non vi dico per-dono, perdono / perdono, perdono ad oltranza / Nes-suno di noi è un santo / ma se potete aprite il pugno/ la resa è vita, è futuro". Il viaggio di chi antepone un'e-mozione a un centro commerciale. Il viaggio di chi de-ve viaggiare. Navi di folli di tutti i tempi.

Chiude, come una breve parentesi, Canzone dell'amo-re lungamente atteso che, nell'intenzione, ricorda eomaggia Fabrizio De André. La nave dei folli approda,ma le facciamo riprendere subito il largo e tracciareuna nuova rotta. Si vede il mattino dalla tolda della na-ve e l'orizzonte, forse, non è più così cupo. Tanto ci saràsempre un altro porto in cui arrivare, per riportare l'i-diota in città. Intanto ci godiamo il disco.

Michele Gazich"La nave dei folli"Fb - 2008Nei negozi di dischi

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Michele Gazich (a sinistra) con Mike Russell a Minneapolis

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niLes Anarchistes: “Pietro Gori”

Canti anarchici di ora, di allora e di sempredi Leon Ravasi

Respiriamo forte e parliamo di quest'ultimo di-sco dei Les Anarchistes. Diciamolo subito: èbello, bellissimo, emozionante e il gruppo con-

ferma di esser tornato sulla scena in forma come pri-ma. Nonostante l'uscita importante di Marco Rove-li, l'alchimia del gruppo c'è ancora tutta: un mix di can-zoni popolari e di groove, tra tradizione e innovazio-ne che si tengono per mano. Inoltre questo è un di-sco dedicato a Pietro Gori che è un personaggio dispicco della nostra cultura, della nostra storia, dellenostre lotte politiche. Forse qualcuno si chiederà per-ché Pietro Gori va bene e Vytsosky no. In primo luo-go per i contenuti: Pietro Gori era un grande compa-gno anarchico. In secondo luogo perché è "nostro":parla di noi, dei nostri padri, dei nostri nonni e, pertraslato, della nostra identità, del nostro sentirci sem-pre e comunque di sinistra.

Les Anarchistes, partendo da queste premesse, fan-no un grandissimo lavoro. Intenso ed emozionante,prendendo una manciata di canzoni di Pietro Gori erivisitandole completamente con un'abbondante stru-mentazione (chitarre, sax, flauto, trombone, basso,batteria, violino) su cui si innestano le voci e il lavorosulla programmazione di Max Guerrero (o MassimoGurrieri che dir si voglia). Ne esce uno strano insiemedi passato e presente che ridà vigore ai canti e che,in qualche forma impercettibile, dà anche nuovo valo-re a parole che risalgono alla fine dell'ottocento e co-me tali, potrebbero stare più agevolmente su antolo-gie o libri di testo e invece, attraverso il loro lavoro tor-nano a noi in forma di canzoni. Il disco nasce in occa-sione della presentazione di uno spettacolo, intitolato"E' tornato Pietro Gori, anarchico pericoloso e genti-le", presentato all'Isola d'Elba tra il 29 aprile e il 4 mag-gio 2008 e ispirato al libro omonimo scritto da Gian-franco Biancotti, Sergio Rossi e Patrizia Piscitello.

Il libretto del cd merita una lode. Ricco e documenta-to parte raccontando la storia di Pietro Gori che na-sce a Messina il 14 agosto 1865 da Francesco Go-ri, ufficiale dell'esercito, già cospiratore risorgimenta-le, originario dell'Elba e da Giulia Lusoni di RosignanoMarittimo. Nel 1878 Pietro si stabilisce a Livorno, do-ve nel 1887, a 22 anni, subisce il primo processo peraver pubblicato "Pensieri ribelli". Muore a Portofer-raio l'8 gennaio 1911. Per ogni canzone poi, vienespecificato quano è come è stata scritta: "L'inno delprimo maggio", per esempio, è costruito sull'aria di Va

Pensiero del Nabucco di Verdi: "Date fiori ai ribelli ca-duti /collo sguardo rivolto all'aurora / al gagliardoche lotta e lavora / al veggente poeta che morì". "Ad-dio Lugano bella" viene scritta tra il 1894/95 quan-do Gori, espatriato per sfuggire a una condanna di 5anni, accusato di essere l'ispiratore dell'attentato diSante Caserio al presidente francese Sadi Carnot,viene arrestato ed espulso dalla Svizzera.

In mezzo all'album dedicato a Pietro Gori ci sta "L'e-staca" di Lluis Llach, scritta in esilio dal cantautore ca-talano, durante la dittatura franchista, forse per trac-ciare un ponte tra esili diversi eppure simili. La versio-ne è bella e non stona col contesto. Molto forte "Giàallo sguardo", attribuita a Pietro Gori da un foglio vo-lante senza data: una versione quasi minimale, con unarrangiamento da brivido, tra i vocalizzi di CristianaAlioto e gli interventi di sax di Mauro Avanzini.

Robusta "Solo un bandido", unica canzone interamen-te del gruppo toscano che costituisce uno stacco ri-spetto al clima generale del disco, ma compatibile:"Era un bell'uomo / un solo uomo / un uomo solo eil suo / cappello nero / In uno scoglio alto / comeuna sella / sedeva in mezzo al mare".

Disco serio e impegnato. Purtroppo in tiratura limita-ta. Affrettatevi allora, se nel cuore la rossa fiaccola an-cora un po' arde. La buona musica c'è ed è tanta, il dif-ficile è trovarla e distinguere il vero dal tarocco. L'im-pegno salottiero, buono per i premi o le targhe, e quel-lo coraggioso, che fa andare anche controcorrenteper non perdere la nostra memoria collettiva.

Les Anarchistes"Pietro Gori"La voce umana- 2008 Nei negozi di dischi e via mail0([email protected])

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niYo Yo Mundi: “Album Rosso”

E finalmente qualco-sa per cui vibrare! di Giorgio Maimone

Dopo mesi di calma piatta, in cui i dischi emo-zionanti s’eran fatti rari come le aurore bo-reali, qualcosa di buono si intravvede all'oriz-

zonte. Sul finire dell'anno morente portiamo a casaun ottimo disco degli Yo Yo Mundi. Canzoni inedite,era molto che non ne vedevamo uno, addirittura daitempi di "Alla bellezza dei margini", che risale al 2002.Certo, poi in mezzo ci sono state molte cose: "La ban-da Tom", "Resistenza", "54", le sonorizzazioni a par-tire da quella mirabile di "Sciopero", con pubblicazio-ni anche all'estero, ma un vero e proprio album di ine-diti degli Yo Yo Mundi lo abbiamo dovuto aspettaresei anni. Ma tanta pazienza è stata premiata.

Innanzitutto il titolo, che è una dichiarazione di princi-pio: "Album Rosso in un tempo di colori sbiaditi, di ban-diere ammainate, di perdità di identità. Album Rossoperché il rosso è un colore che ci piace, che ci appar-tiene e che ora - e per sempre - ben rappresenta leemozioni, i sogni e l’energia creativa che colorano que-ste sedici canzoni. È il rosso tra i colori di lotta e spe-ranza de l’Anarcobaleno, rosso come il naso del clownche decide di farla finita perché “non ha senso viverese non c’è niente da ridere”, rosso come il miele neisogni di un’ape operaia disorientata dai pesticidi e in-capace di tornare all’alveare, rosso di sangue comeuna bandiera quasi bianca che sventola a Cefalonia,rosso come una stagione al tramonto, rosso di inquie-tudine come l’età che stiamo vivendo dove “la veritàcome altre risorse è razionata dal potere”. È il rossoche colora le guance di chi si imbarazza, è il rosso chequalcuno vorrebbe cancellare dalla storia, è il rossoche “a un certo punto cambiò colore”. Sono d'accor-do, ma a questo punto avrei preferito come titolo "Di-sco rosso", anche per fare intendere a lor signori chenon sempre e tutte le strade sono sgombre e non tut-te le coscienze in vendita. Resta un'oasi di rosso. Ed èconfortante, come è pure confortante incontrarvi tan-ti amici e compagni di viaggio: da Alessio Lega, a Mar-co Rovelli, da Patrizia Laquidara a Massimo Carlottoe Maurizio Camardi. Come a significare che le stradebuone prima o poi sono destinate ad intrecciarsi.

Che dire delle canzoni? Sono belle. Alcune più altre me-no, ma all'interno di un album unitario e di grande va-lore, che parte leggero come una festa sull'aia e chefinisce denso, intenso e struggente con il testo inedi-to di Massimo Carlotto, prima della nuova oasi di "Anar-cobaleno". Ma soprattutto "Album rosso" non è un in-

sieme di canzoni: è un album (e rosso per giunta!) ecome tale va gustato nella sua interezza. Dalla primacanzone all'ultima. Amatelo quanto l'ho amato io, per-ché ricambia i buoni sentimenti!

"Il giorno in cui vennero gli aerei" è l’unica canzone giàedita, uscita per la compilation Fuorisessione (realiz-zata per Emergency), mentre "Ho visto cose che…" ènata per il reading del libro "Ho visto cose... " (BUR –2008, Dieci storie su altrettanti oggetti di design chehanno modificato il nostro quotidiano). Alcuni branisono solo musicali (Vermiglio, Coda d'ape, Scultura dinuvole), ma costituiscono la logica colonna sonora sucui continuare ad esercitare il pensiero. Eh sì, perchéquesto è un altro dei trucchi chequesto prezioso al-bum ci riserva: ci fa pensare. Ci fa riflettere, ci fa sen-tire meno soli in un'epoca di solitudine acquisita.

E se questi canti ci riportano, almeno alcuni, alla me-moria le canzoni della tradizione popolare ("Anarco-baleno" per dirne una) non è certo archeologia mu-sicale, ma storia viva e vivida, qualcosa di cui anda-re fieri, come fosse un presidio Slow food! La mia pre-ferita? L'epica "Una bandiera quasi bianca", la me-taforica "La solitudine dell'ape", la già citata "Anar-cobaleno", l'apologo "E a un certo punto il rosso cam-biò colore" e l'introduttiva "Il giorno in cui vennero gliaerei". Ma scegliere è difficile! Gli Yo Yo Mundi ci han-no abituati a ibridare i discorsi musicali con quelli let-terari e cinematografici e anche qui vedo, sento,ascolto e gusto. Uno spettacolo multimediale. Chesta dalla parte giusta. Quella dove il rosso non ha an-cora cambiato colore.

Yo Yo Mundi"Album rosso"Il manifesto cd - 2008Nei negozi di dischi

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te2008: li meglio fichi del bigoncio

Un anno in grigio di Giorgio Maimone

Da un punto di vista musicale il 2008 non èstato un grande anno. Possiamo parlare diperiodo di passaggio, interlocutorio o di cri-

si, ma poco cambia. C'è stato pochissimo che va-lesse l'entusiasmo. C'è stato troppo e quel troppoè stato poco da un punto vista del contenuto. Sem-pre più gente, anche quelli bravi, hanno ripiegatosulle cover e sulle riscoperte d'annata. Ma nonsempre e non tutto il passato deve necessaria-mente essere da riscoprire. E forse è più interes-sante cercare di costruire il presente. Abbiamoprovato a fare un punto della situazione con unabuona fetta della critica italiana. Il quadro desolan-te, con opportuni distinguo è condiviso. Quasi una-nime le voce per la sorpresa del 2008 (Le luci del-la centrale elettrica) e per le delusioni: tutti i can-tautori maggiori, gli storici: Battiato, Conte, Fossa-ti, De Gregori. Un discorso a parte per Finardi.

Il PanelSi dice così adesso. Ossia da chi è formato ilcampione degli intervistati? Partiamo dai piùfamosi (e storici): Mario Luzzatto Fegiz del Cor-riere e Riccardo Bertoncelli. Poi ci sono EnzoGentile di Repubblica e Franco Zanetti diRockol. Andrea Scanzi (toh?) de La Stampa eancora Francesco Paracchini, direttore de L'i-sola che non c'era ed Enrico Deregibus. PoiJohn Vignola del Mucchio e Mario De Luigi, di-rettore di Musica e dischi. Abbia cercato più vol-te ma senza trovarlo Guido Giazzi del Buscade-ro. Gli ripetiamo anche da qui l'invito: [email protected], basta scrivere. Invito che vale per chiun-que altro voglia esprimersi.

Il mercatoLa situazione più triste, per parere quasi una-nime. è quella in cui versa il mercato, l'industriadel settore: "un morto che cammina a cui an-cora non è stato detto" secondo la felice defi-nizione di Franco Zanetti.Una situazione in cui"il cd è mortoe non ha lasciato alcun rimpian-to. Ma nessuno ha ancora capito come sosti-tuirlo", come osserva opportunamente John Vi-gnola. Mercato ingolfato dalle cover dice Fran-cesco Paracchini (e come dargli torto?), mer-cato strozzato anche dalla mlo di materiale in

arrivo, come fa notare Mario De Luigi. Troppofacile fare un disco e praticamente a zero spe-se, senza l'obbligo della distribuzione. Ma la do-manda vera resta: chi li ascolta?

Riccardo BertoncelliIl jazz ha una ricchezza che il rock ora non ha"

E’ una situazione difficile: pensa che in un recen-te referendum mi sono trovato a votare questiragazzotti di Liverpool, i Rascals, per protesta. Perché non hai trovato niente …Non ho trovato niente. Ho trovato fili sparsi. Stovivendo una situazione come quando avevo 25anni e il rock mi diceva poco e mi dedicai a stu-diare il jazz e altri mondi: la sperimentazione el’avanguardia. Mi è molto piaciuto il disco diGianluigi Trovasi per la Ecm (All’opera-Profumodi violetta – NdR) , questa incursione bandisti-ca nel mondo della lirica,. Il jazz ha un a ricchez-za che il rock in questo momento non ha più.Forse perché è’ un mondo limitato. La mia ge-nerazione l’ha usato come trampolino, maadesso sei lì…Parlano bene di questo disco di McCartney,Fireman …No, no. Guarda è un divertissement come li faPaul McCartney, un po’ sussiegoso. Tra l’altrolui aveva cominciato 15 anni fa e questo Youthche è la sua “anima elettrica” era un ragazzot-to di poco più di 20 anni che aveva sulle dita isuoni del momento. Lui l’aveva “usato” con unpiccolo atto di vampirismo per aggiornarsi.

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Quindici anni dopo anche quel signore c’ha 40anni. E’ un dialogo tra due anziani e non ha piùla freschezza del primo disco, ammesso che cel’avesse. Sicuramente è meglio delle cose te-diose che propone McCartney da solo, ma nonè un granché.

E gli italiani?Gli italiani guarda, quest’anno mi sono piaciuti duedischi. Che peraltro non incontrano.- Vedo che cisono altri amori come questo Luci della centraleelettrica per il quale mi astengo dal giudizio. C’ètroppo interesse anche se il progetto non è sba-gliato. C’è stato a inizio anno questo The Niro coldifetto che cantava in inglese e secondo me que-sti progetti andrebbero meglio veicolati con la no-stra lingua e alla fine mi è piaciuto molto questo Sa-muel Katarro, che è un progetto di nicchia e di cul-to; ha dei bei referenti ideali, non inventa niente,ma è un modo selvatico di affrontare la musica chemi piace.

I grossi nomi? Conte, Fossati, De Gregori, Bat-tiato?Conte ha fatto un disco un po’ svaporato. An-che se con dei lampi belli, ma è come un profu-mo che sta svanendo. Quello di Fossati, onesta-mente mi è sembrato così, così. Ne ha fatti dipiù belli anche in tempi recenti.De Gregori non mi è spiaciuto, ma forse perchénon sono un degregoriano. Le cover di Battia-to, onestamente mi sono stupito: non è un brut-to disco ed è più bello del 3. Il primo era stataun’idea folgorante. Il 3 era proprio u’idea di ri-messa e questo secondo non mi è spiaciuto an-che se Et manteneint non mi è piaciuto. Possodire adesso di essere stato un grande fan di Gil-bert Becaud e me ne vergognavo un po’. Ades-so da grande, sdoganato, posso dirlo e quindiFranco non la fa bene quella canzone . Ma il di-sco in sé sì: le scelte sono carine, gli arrangia-menti sobri: una bella ideuzza.

Tra i vincitori del Tenco? Baustelle, Van DeSfroos, Finardi?Il disco di Finardi è un disco serio anche se Vyt-sosky è un artista impegnativo: ma il lavoro è si-curamente nobile. I Baustelle sono la mia dan-nazione. Io non ho capito il successo di quellaband. Non riesco a percepirli, anche se è uncomplesso che ha colpito nell’interesse gene-rale. E’ un fenomeno trasversale. C’è qualcosache non capisco io.Van De Sfroos il meglio l’ha già dato. Ed è diventa-to un piccolo classico anche lui. Il Tenco quest’an-no ha deluso. Come si fa a cominciare con MiltonNascimento? E’ stato imbarazzante. Loro sono ca-ri amici, ma anche testoni. Darei un po’ più di san-gue, di linfa, di rock. Ci sono tanti nomi che non so-no passati di lì. Ecco, se devo dire un disco che miè piaciuto è quello di Mellencamp. Veramente ungran bel disco. Anche con i testi. Tormentato nelsenso bello del termine.

Mario De Luigi"Nessuna uscita eccezionale, ma gli italianimigliorano"

Partiamo dalle cifre. Quest’anno stiamo tiran-do le somme dell’annata attraverso le classifi-che e c’è un’impennata del prodotto italiano intermini di vendita. Mentre prima eravamo attor-no al 50% delle vendite totali, quest’anno sia-mo saliti attorno al 60%.

E sì che quest’anno non sono usciti i blockbu-ster della nostra produzione …Non è uscito un granché, ma la produzione stra-niera è calata e sono state premiate le tanteuscite italiane di buona o media qualità (anchese a mio giudizio non c’è stata nessuna uscitaeccezionale) . Non mi piace sbilanciarmi per-ché ho smesso di fare il critico da qualche an-no. Lascio che gli altri lo facciano e preferisco-no occuparmi del mercato. Dal mio punto di vi-sta non ho comunque trovato alcun prodottoclamoroso sul fronte della musica italiana, matanti tanti prodotti di buona e media qualità e aquesto punto può darsi che questa mia sensa-zione coincida con questa crescita di interessedel pubblico.

Oppure è calato così tanto il mercato che gliitaliani, mantenendo le quote, si sono trovatitra i più venduti?Il volume globale è calato, ma non incide perchétutto il mercato si è ridotto. Diciamo invece,questo è da sottolineare, che il numero delleemissioni è cresciuto moltissimo. Non per lemajors, che hanno mantenuto o ridotto la pro-duzione, ma per gli indipendenti, le case medioe piccole o i piccolissimi che si autoproducono,perché fare un disco non costa più niente, per-ché ora non ci sono più i costi di distribuzione.

Fare un disco è diventato troppo facileSoprattutto perché ora si può farlo e non met-terlo in vendita direttamente, ma tramite inter-net. Questo ha portato a una proliferazione diprodotti italiani, la maggior parte dei quali è fuf-fa. Una volta si scrivevano canzoni e si manda-vano in giro (e per questo la Siae ha 80 mila as-sociati, perché tutti credono di essere poeti omusicisti), ora si mandano in giro i dischi, per-ché tutti credono di essere produttori di dischi.

Ma se ti chiedo quali sono state le sorpresee le delusioni dell’annata lo dici o fedele al tuocompito ti astieni?E’ stata un annata abbastanza neutra. Nessu-na sorpresa e nessuna delusione.

Né i grossi nomi (i Fossati, i Conte, i De Gre-gori), né i piccoli ti hanno scossoI grandi nomi sono sempre così bravi che sem-bra che ogni prodotto sia dignitoso, ma soprat-tutto perché c’è una gran massa di materiale

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mediocre in giro. Tra i ciechi l’orbo è un re, inmezzo alla merda quello che fa un prodotto de-coroso diventa imperatore. I Conte e i Fossatisono sempre a un alto standard qualitativo, mase guarderemo tra 10 anni l’intero loro reper-torio, il disco uscito quest’anno non svetteràsul loro repertorio.

Enrico Deregibus Gentile"Nessuna novità eclatante"

Mi pare un anno nella media sostanzialmente.Non ci sono state novità eclatanti. Mi vengonoin mente i Baustelle come caso dell’anno. Il di-sco è uscito all’inizio del 2008. Forse sono lacosa più importante dal punto di vista della qua-lità, ma anche del riscntro che hanno avuto intermini di vendita . I grandi della musica mi sem-brano tutti dignitosi. Battiato sinceramente nonl’ho sentito. Gli altri sono sostanzialmente in li-nea con la loro produzione forse non vanno in-seriti tra i migliori, ma comunque mi sembranomediamente buoni. Devo dire che Fossati l’hotrovato più ispirato in questo disco rispetto aglialtri. Mediamente più ispirato, perché anche inpassato qualche brano che svettava c’era. DeGregori lo trovo un album più che dignitoso, as-solutamente piacevole negli ascolti. Non lo met-terei all’altezza di "Pezzi" che trovo tra i miglio-ri della sua produzione, a differenza di "Caly-psos" che invece mi è sembrato un disco mino-re. "Per brevità chiamato artista" lo metterei ametà tra i due, non ha le vette di Pezzi, ma misembra mediamente più elevato di Calypsos.Conte, mi ha fatto piacere. Lo trovo un buon di-sco, è chiaro che in lui, credo sia inevitabile ri-spetto all’età che ha, c’è un ripercorrere co-stantemente gli stessi passi. Mi incuriosiva mol-to il fatto che avesse annunciato di aver fattoun disco con sonorità elettroniche che è un suovecchissimo pallino che non ha poi mai messoin atto. In effetti poi di elettronica ce n’è ben po-ca. Mi incuriosiva invece questo, che non san-no in molti, che è un po’ un suo sogno nel cas-setto di fare un album di elettronica. Però poilui dice che non ha la competenza, quindi do-vrebbe trovare qualcuno che gli faccia da brac-cio ed evidentemente non l’ha ancora trovato.Ci sono queste Luci della centrale elettrica chesembrano essere un po’ il caso dell’anno e ineffetti devo dire che mi hanno colpito anche dalvivo. C’è da dire però che li ho visti in manifesta-zioni in cui hanno fatto solo qualche brano, quin-di non so a gioco lungo come una proposta diquel tipo può reggere. Trovo interessanti gliJang Senato che hanno pubblicato solo un sin-golo, hanno vinto il premio De André l’anno scor-so e mi sembra che abbiano una certa freschez-za e abbiano soprattutto le canzoni. Trovo cheabbiano in qualche modo, senza essere rivolu-zionari, qualche elemento di originalità e perso-nalità. Ah, Van De Sfroos ha fatto un buon di-

sco, ma come sempre. Lui è una sicurezza daquesto punto di vista. Di Finardi apprezzo tan-tissimo l’idea, poi il disco qua mi convince più elà meno. Di Jovanotti forse preferivo "Buon san-gue", ma lui ha raggiunto una potenzialitàespressiva notevole ed ha questa capacità discrivere canzoni d’amore che comunque rie-scono a essere classiche ma anche particola-ri. A me piace di più il Jovanotti “sociale”, peròdevo dire che mi ha colpito favorevolmente que-sta sua capacità di costruire linee melodiche.“A te” mi ricorda Gino Paoli in certi momenti.Partendo da tutt’altra parte e facendo tutti al-tri giri alla fine sta arrivando a scrivere coseche sono molto classiche. Poi tra le altre cose:la Donà mi è piaciuta. Un gruppo che voglio se-gnalare sono i Pane di Roma.Prodotti da Gian-carlo Onorato. Trovo che siano assolutamenteinteressanti., Una cosa con scarsissime possi-bilità dal punto i vista commerciale. Che ripren-de molto da certa canzone francese, molto cu-pi, molto scuri, il cantante ha una voce moltofonda, ma proprio molto. Se ti capita sentili. Epoi Erica Mou una ragazza i 18 anni, più sul ver-sante pop, che può diventare un fenomeno com-merciale. Tipo Elisa, se vogliamo. Vista dal vivorende molto. Se decidessero di puntare su di leipotrebbe sfondare: ha talento sul palco e sascrivere. Ed ha 12 anni davanti prima di diven-tare “giovane”.

Enzo Gentile"Un anno mediocre. Poche le sorprese"

Un anno mediocre. Sono usciti tutti i grandi enon hanno fatto i loro lavoro migliori. Caposse-la lo amo molto, va bene in concerto, ma il suodisco mi lascia molto tiepido. I pezzi miglioranodal vivo, il che vuol dir che i pezzi reggono tra-mite la performance. Lo stesso il disco di Bat-tiato che mi è sembrato sotto tono con un la-voro ridotto di ricerca. Buon disco quello di Con-te, ma ci ha abituato moto meglio e lo stessoFossati. Mi viene in mente questo quartetto perdefinire la stagione.Nel campo della musica più pop, mi tocca me-no quello che fanno i Negramaro o gli Af-terhours. Non li considero dei battistrada e nonlo sono diventati.Sorprese? Le luci della centrale elettrica è una buo-na idea, però abusata. Quel tipo di formula mi la-scia perplesso, anche se è interessante. I Baustel-le sono un bluff assoluto, visti dal vivo soprattutto,uno dei concerti più brutti dalle mia vita quello di vil-la Arconati. Il disco era un discreto disco, ma nonin grado di vincere ovunque.Mi è piaciuta Cristina Donà con "Piccola faccia",ma non è una sorpresa. Mi sembra una buonaformula questa acustica. Da Sanremo non misembra che sia uscito nite, ma neanche me loaspettavo. Di Lola Ponce mi ricordo più il calen-dario che l'esibizione la festival. De Gregori ha

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fatto un buon disco, ma nn ha aggiunto nientealla sua carriera. Se c'è una cosa che è statadivertente è il dvd sul Quartetto Cetra. E' fattobenissimo. Andando a pescare nella memoriacredo si possa fare un grande lavoro. Grossedelusioni? Il disco di Capossela è una mezza de-lusione, perché nella generazione dei quaran-tenni è di gran lunga il più bravo. Il disco di Jo-vanotti mi è piaciuto: è indubbiamente un buondisco, l'ho votato. In concerto dà di più. Non puòessre una delusione il disco di Celentano in cusi sono due pezzi inediti di cui uno è una cover.E' ingiudicabile! La Vanoni dopo una carriera ta-le può fare anche il isco i duetti. Ecco, forse Car-men Consoli non è nella sua stagione migliore.Ha fatto un'uscita un po' sotto tono. Può daredi più. Il remake con inediti dopo soli 10 anni,mi sembra un po' presto.Van De Sfroos è sui suoi livelli: è un buon disco,assolutamente da salvare. L'ho votato anch'io.Eugenio Finardi fa troppe cose, troppo diverse,però visto che si diverte e che i dischi non si fan-no più per vendere, buon per lui. Questo di Vy-sotsky non conosco bene l'originale. E' di sicu-ro un'opera meritoria, ma non è sicuramente"my cup of tea". Ruggeri mi sembra più impe-gnato sul versante tv. Insomma sono vini che sipossono portare sugli scaffali, ma se anche nonli portavano andava benissimo lo stesso: pote-vamo attendere.

Mario Luzzatto Fegiz"Piccoli pirla crescono: Jovanotti e Cremonini"

Un anno che ha avuto dischi importanti, due es-senzialmente, e molti altri con consensi: i dueimportanti sono stati Tiziano Ferro e CesareCremonini. Due dischi di serie A. Poi è stato l’an-no della rinascita di Jovanotti. Quando ha inizia-to a crescere dicevo che sarebbe diventato mi-nistro della cultura, adesso è il vero riferimen-to della canzone d’autore, il punto di arrivo. Mipiace questo senso di aggregazione, di comu-nicazione maggiore, come i tributi per De An-dré o Gaber a cui partecipano tutti. Mi sembrache nella crisi questo mondo stia ritrovandoun’unità di intenti culturali: molti duetti, moltecollaborazioni. Un faro è Vysotky rifatto da Finar-di. Contrapposto a questo c’è stata anche laproliferazione di questi programmi che cerca-no il nuovo talento. Di per sé non è che sianonegativi, non li combatto, ma non vi partecipoperché come critico sono chiamato a giudica-re un prodotto finito e non in fieri. E’ continua-ta la polverizzazione del consumo e la crescitadella produzione. Il grosso problema è che c’èuna grossa componente ideale in internet, cheè la cosa più volontaria che esista, dove c’è unmare di gente che lavora senza guadagnarci,anzi ci smena. Tutto sta a vedere chi avrà il fia-to lungo e riuscirà ad andare avanti. Direi cheè significativo il fatto che il Tenco quest’anno

non ha allegato, per la prima volta, l’elenco del-le opere uscite. Perché non si sa più cosa èamatoriale, cosa è uscito o cosa no.Le luci della centrale elettrica è un bel perso-naggio, molto interessante, molto intelligente.Il Tenco è un’istituzione fortemente autorefe-renziale, che svolge una sua funzione importan-te e qualche volta non fa piovere sul bagnato.Van De Sfroos è già conosciuto Le luci no. Co-me dischi ne avrà venduti 3000 però è il feno-meno di quest’anno. Nasce dalla rete.Il cantautorato storico? Bella domanda! Hostroncato in maniera incivile De Gregori e for-se me ne sono pentito. Lunga vita a De Grega-ri e rispetto per chi ha scritto capolavori checanta ancora da Dio. Esiste un De Gregori mi-nore che è il 90% del repertorio. Il cantautora-to ha perso qualsiasi contatto con la coscienzacollettiva. Il ruolo carismatico che avevano igrandi cantautori come De Gregori e Dalla èstato preso da personaggi come Capossela,con una forma di comunicazione assolutamen-te delirante ma molto più vicina a quello che èlo spirito giovanile e non giovanile. La sorpresain fondo è stata Fossati che ha fatto un discoalla fine leggero. Ci sono personaggi che rie-scono a essere ancora fortemente attuali, altriche rimangono chiusi nel loro stile e creano so-prattutto per se stessi. Che mi sembra una co-sa giustissima. Ma chi l’ha detto che De Grego-ri debba stare sotto esame per tutta la vita?Cremonini invece era uno che sembrava un pir-la ai suoi esordi, come Jovanotti, e poi col caz-zo che è un pirla! Ha fatto un grande disco! Pic-coli pirla crescono: potrebbe essere il titolo.Contrariamente a quanto la gente crede io so-no più contento di parlare bene di un disco chedi parlarne male, ma sono credibile esattamen-te come l’insegnante di matematica che dice:“sarei contenta di dare tutti otto e non quat-tro”. Non ci crede nessuno.

Francesco Paracchini"L'accanimento sulle cover, formula deterio-re per un vuoto di idee"

C’è un grandissimo accanimento con le cover. Tut-ti coverizzano tutto o fanno duetti. Stiamo raschian-do il fondo del barile di quelle che sono le idee. Nes-suno vuole rischiare sul nuovo e si va a pescare sulsicuro. Per me però le cose migliori sono sempregli originali e vale per i Beatles, per battisti e perchiunque. Se una canzone viene fatta ada una gran-de voce non è per questo motivo che debba miglio-rare. E poi se proprio devo sentire una canzone ri-fatta mi piacerebbe che fosse stravolta, persona-lizzata. Una delle delusioni è sicuramente Fossatie Battiato. Per Fossati nel senso che non perde uncentimetro in qualità per i testi, ma per la parte mu-sicale mi sembra di sentire un disco di 8-10 annifa. E tanto mi piaceva allora, tanto lo sento vecchioadesso. Su Conte non mi aspetto nulla e non gli

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chiedo niente. Da Fossati mi aspetterei che fosseancora in una fase di crescita. Da Conte non me loaspetto più. La sorpresa di quest'anno è statosenz'altro Diego Mancino, con "L’evidenza", un di-sco assolutamente nuovo per la musica italiana, unpoì' un trait-d’union tra cantautorato classico e in-die rock. Poi tutti i nomi del Tenco sono ok. Piutto-sto dobbiamo stare: tutti attenti , me compreso, aun fenomeno nuovo: stiamo un po’ tutti incensan-do questo modo di fare musica "differente" dallanorma, nonostante uno sia stonato, abbia un suo-no minimalista, si va a premiarlo solo perché pro-pone qualcosa di diverso. Ci sono però dei limiti ol-tre i quali io non accetto più la creatività. Picassosapeva disegnare. Io vorrei che anche i giovani midimostrassero prima di sapere cantare e suona-re per poi fare qualcosa di diverso. L’esempio pri-mo è Bugo, Ma per Le luci aspettiamo il secondoalbum. Se è uguale al primo il nostro entusiasmonon vale più.

Andrea Scanzi"Quando Irene Grandi guida le classifiche conun disco sul Natale c'è qualcosa che non va"

on è stata una grande annata. Io ironicamenteho scritto che quando vedi che al primo postodelle classifiche va Irene Grandi che fa le can-zoni di Natale c’è qualcosa che non funziona. E’un discreto segnale d’allarme. Credo che ci sia-no state alcune conferme e adesso farò un no-me che divide abbastanza: Vinicio Capossela èstato molto bravo a uscire da un disco straor-dinario, ma pesante come Ovunque proteggi,un disco coraggioso ed estremo, destinato a di-videre e a deludere. Lui è andato a cercare il mi-nimalismo, lavorando in sottrazione ed ha fat-to un bel disco di ballate con alcuni momenti ve-ramente straordinari. Lui lo vedo al top: lo defi-nirei l’artista vero che c’è ora in Italia.Hai fatto il nome di Benvegnù e mi hai aiutato:ci sono firme e nomi non ancora noti che han-no fatto lavori molto belli. Paolo sta crescendoda tempo e penso sia pronto per essere più co-nosciuto. Anche Niccolò Agliardi, pure su unversante più leggero credo sia un nome da se-gnarsi, ma il vero nome nuovo è stato VascoBrondi ossia Luci della Centrale elettrica. Un di-sco così non lo sentivamo da tempo come ope-ra prima. Disco di grande urgenza artistica, digrande forza. Trovo che Piromani sia una can-zone spaventosamente bella.Molto bene Van De Sfroos, mi è piaciuto "Pica!" nonsono un suo fan sfegatato, ma mi è piaciuto. L’hovotato anch’io per il Tenco. Di Finardi non ne par-lerò mai male perché è un cantautore che ha sem-pre avuto coraggio, anche variando le scelte arti-stiche. Secondo me lui è uno che fa quello che sisente e questo mi piace molto, come artista. L’ul-timo disco mi ha convinto meno, perché non è il miogenere, ma mi piace Finardi come persona.

I Baustelle non li amo, non sono tra quelli chedicono che sono così bravi. Ma è stato un pre-mio giusto, perché si prova a dare fiducia a deigiovani. Certo che se la scelta era tra loro, Vec-chioni e Jovanotti … ok.I mostri sacri li vedo veramente in grande diffi-coltà. Mi hanno deluso tutti, compreso Fossatiche è noto quanto io stimi. Musica moderna misembra un disco di grande mestiere, dove ionon trovo il vero Fossati. E’ vero che uno può dir-mi che il vero Fossati non lo troviamo da tantianni, però nei dischi precedenti trovavo dei pic-chi, ma questo è un disco interlocutorio. Contelo trovo interlocutorio da un bel po’ e lo adoro.De Gregari, non lo so, per trovare l’ultimo discoche mi ha convinto devo risalire fino a Canzonid’amore o Terra di nessuno. Vecchioni mi man-cano i cromosomi per apprezzarlo. Compresaanche la Mannoia che ha quest’aria da intocca-bile: è brava sì, però … Non darei un voto posi-tivo. Un annata da 5 e mezzo o anche cinque.Tra i disastrosi aggiungerei Battiato e Negrita.Dignitoso Enrico Giaretta, un Conte minore

John Vignola"Il cd è morto e non ha lasciato alcuna nostalgia"

Per me è stato un anno positivo. L’anno scorsosiamo stati abbacinati dai Radiohead, ma un po’congelati lì. Il 2007 ha avuto meno rivoli, menodischi medi interessanti, Quest’anno invece è unanno ricco: il disco di Paul McCartney/Firemanè un disco molto ricco, interessante, che ponele basi per un discorso che continui e che dimo-stra che Paul non è solo un babbione pieno didolcificante. Tra le novità non dimenticherei unaband come Last shadow of puppets che è unafiliazione degli Arctic Monkeys o i Rasclas, grup-pi formati da gente che ha poco più di vent’an-ni. Una volta poi si faceva riferimento ai generi:underground, rock, mainstream, ora mi sebrache tutto si stia rimescolando, anche se c’è unlinguaggio che entra nei dischi migliori del 2008è tornato in voga il folk, come lingua che puoiriutilizzare anche dopo aver avuto un passatopop o punk. Adesso abbiamo molti gruppi inca-talogabili che che raccolgono vari spunti su unabase folk.Il problema della musica è noto. Le case disco-grafiche arrancano e chiudono i battenti e il cdcome supporto è finito e non ha lasciato nessu-na nostalgia. Mentre il vinile ha ancora nostal-gici cultori anche giovani, il cd se ne va senzarimpianti e non viene sostituito da nulla. Nonsiamo ancora riusciti a capire del tutto versoquale direzione si sta andando. Si parte dai con-certi e da una forma di affezione nei confrontidei gruppi che si amano di piùNick Cave come delusione. Kings of Leon delu-sione alla carriera. La sorpresa è indubbiamen-te Randy Newman che, a più di 70 anni, ha fat-

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to un disco impegnato, con una classe che vor-rei avessero i ventenni.I ragazzi non percepiscono più la musica comeimportanteLa musica rispetto alla mia generazione, quelliche hanno sopra i 30 anni, ha perso quella pe-netrazione sociale che aveva. La musica è diven-tata un po’ più innocua, un po’ più di sfondo: E’meno importante come specchio della società,diventa più intrattenimento.Cose nuove in Italia: niente grandi sorprese tra i no-mi soliti. Paolo Conte ha fatto un disco mediocre.Jovanotti è stato incoronato da Musica e dischi inun referendum tra i 50 maggiori critici.Ci sono nuovi soggetti come Luci della centra-le elettrica e Samuel Katarro, un disco di bluescon una voce assurda. I Jennifer Gentle sono ra-gazzi che hanno meno di 30 anni e che hannofatto delle buone cose. Ci sono i Baustelle con"Amen" che è un disco importante per il 2008.Van De Sfroos e Finardi? Forte penetrazionesul territorio per VanDe Sfroos. Proprio quellodi cui mi lamentavo prima che mancasse ai no-stri autori: l’appartenenza. Ho fatto delle pre-sentazioni con lui e lui è radicato nel territorioe ha un dialogo forte con gli ascoltatori. Su Fi-nardi, ha fatto un disco coraggioso, che è un at-to culturale. Preferisco cento volte Van DeSfroos che i Negroamaro. Però a 40 anni nonè più un giovane.

Franco Zanetti"L'industria del disco? Un morto che cammina"

Secondo me l’industria discografia è un mortoche cammina e non gliel’ha ancora detto nes-suno. Trovo che non ci sia più una cosa essen-ziale che è la passione. Anche quando si trova-no ad avere qualcosa della quale potenzialmen-te appassionarsi li vedo marciare tutti secon-do una routine pazzesca. Non ci sono più soldie testa per far crescere potenziali talenti. Or-mai siamo noi giornalisti che non facciamo ilmestiere di discografici o di talent scout siamodiventati quelli che preselezionano gli artisti.Una cosa come il Genio che viene fuori da una pic-cola etichetta con tutto un altro taglio, ci salta ad-dosso la major e li usa per il successino che han-no fatto, ma non hanno un’idea di cosa farne. L’al-tro piccolo fenomeno di quest’anno sono stati i Da-ri, nati come autoprodotti, si promuovono da solicon un video su internet e poi arriva la casa disco-grafica che li prende e li usa. I grandi errori storicidella discografia li conosciamo: non hanno fatto icontratti per il management negli anni ’70, nonhanno aperto un radio della discografia negli anni’80, hanno esagerato con le ripubblicazioni negli an-ni ’90 e non hanno cavalcato internet, mettendosiper traverso, in questi ultimi anni che sarebbe sta-ta la loro salvezza e si trovano adesso a produrredella merce a loro spese per svenderla iTunes, ac-contentandosi di una percentuale, che fa quello che

dovevano fare loro. La sensazione è che discogra-fia sia diventata un servizio di stampa dei dischi inbalia dei manager da una parte e degli artisti dal-l’altra, delle radio da un’altra parte ancora e di in-ternet da un’ultima parte. Non si capisce come fac-ciano a stare in piedi. Sono Dead man walking. Nonhanno capito che se vogliono fare dischi fisici li de-vono fare per gli adulti. E non per i giovani. A me ècapitato di fare questo disco con tutte le cose jazzfatte da Paolo Conte e per una settimana è anda-to al numero 1 delle compilation che vuol dire avervenduto poche migliaia di copie, però è la prima vol-ta che un disco di jazz va al numero 1 in Italia nellecompilation. Ma perché quello è stato un disco con-cepito per gli anziani! Ed è costato zero perché eratutta roba di repertorio, ma la casa discograficanon sapeva di avere quelle cose nel repertorio! Hodovuto fare tutto io. Anche lo sfruttamento dei ca-taloghi lo fanno fare a giovani che non sanno cosahanno per le mani! Che i giovani li mandino in giroper locali a sentire la gente nuova! Non ce n’è maiuno nei locali. Non c’è la voglia. Non ci provano. Emi agghiaccia il fatto che lo scorso anno erano tut-ti dischi di cover, quest’anno sono tutte compilation.Che disco è questo di Celentano? E di Fleurs 2 diBattiato vogliamo parlarne? Poi sono tutti dischi …anche l’ultimo di Paolo Conte, ti giuro, io Conte loadoro. Quando ha fatto i primi due dischi giravo datutti per farli ascoltare. Il disco nuovo di Paolo Con-te …che palle! Bellissimo, eh! Ma che palle. Eppuretutti i quotidianisti schierati in adorazione. PaoloConte è grandissimo quando azzecca, ma anchequando sbaglia: quando sbaglia sbaglia grandiosa-mente! Se tu guardi quelli che vincono al Club Ten-co … minchia, ma sono sempre quelli? Canzone del-l’anno: Paolo Conte. Disco dell’anno: Paolo Conte.E gli altri? Le canzoni di Cremonini e quelle di Jova-notti sono canzoni che lasciano un po’ il segno nel-l’immaginario della gente. Bisognerebbe tenerneconto. Ma ai ventenni chi glielo chiede qual è il di-sco dell’anno? Le luci della centrale elettrica cer-to, ma si fa fatica. Chi non ha la vocazione fa fatica.Quelli che seguono l’underground o l’indie raramen-te si avvicinano a una musica “masticabile”, pensa-no che sia obbligatorio fare una musica difficile.Non a caso tutta una serie di gruppi dell’under-ground degli anni ’90 non a caso da un certo pun-to in poi hanno fatto cover di gruppi italiani degli an-ni ’60. Non dei cantautori! Perché quelle sono can-zoni! Mi piacerebbe che smettessimo di pensarea un mercato di dischi fatti per i giovani e iniziassi-mo a pensare a un mercato per gli anziani: quindidischi fatti bene, libretti fatti bene. Scritti più in gran-de! Come si fa a leggere un testo in corpo sei? Ma-gari scritto tono su tono? E poi rivalorizzare il re-pertorio. Qualcosa che mi è piaciuto? Il Genio. Misono stufato di sentire musica triste! Io voglio sen-tire il pop allegro. Mi è piaciuto il singolo dei Dari.Mi è piaciuto il disco di Fireman di Paul McCartney,un bell’esempio di uno che quando fa i dischi a suonome è un po’ ingessato, ma liberato dall’obbligodi essere Paul McCartney ha fatto un album mol-to piacevole.

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