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12 HAKOMAGAZINE Gli indiani e il lavoro

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12HAKOMAGAZINE

Gli indiani e il lavoro

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HAKOMAGAZINESommario

3 Editoriale 5 Soffia! Soffia! 9 Annaffiare il fiore14 Toppenish, capitale del

luppolo16 Gli snoqualmie raccoglitori

di luppolo21 Salmone: l’oro rosa26 Dentro e fuori il mercato29 Paiute: cacciatori di lavoro31 Indiani e grattacieli34 Frank Little37 Il luogo della Creazione41 Uranio indiano

Real Faucher

Nei caldi giorni d’estatesiede per terra di fronte a un tepee con la suapancia sporgentedominantesulle sue braccia conserte

per due volte ogni mattina e pomeriggioegli riluttante attacca una sobbalzantediligenzapiena di bimbiurlantiche sparano con pistole a salvealla sua testasussultantefinché egli non muore ogni voltarotolando nella polverecome i suoi antenati

durante i giorni di caccia mensili

conduce ricchi uomini d’affariverso una recintatamandria di bisontie indifferente osservamentre quelli sparanoa vittimepreselezionateattraverso lepareti dei loro covi

il venerdì pomeriggiodopo l’ultimogrido di guerra e sparo di pistolasi mette i suoijeanse una vecchia camicia stintae va verso l’ufficioper la sua pagasettimanale.

(da Akwesasne Notes, Spring 1989; traduzione di F. Busatta)

A fianco: Un indiano nelle scuole del Governo. Durante il New Deal, il commissario Collierpromosse un gran numero di programmi federali di assistenza agli indiani anche attraverso il suobollettino Indians at Work. Gli indiani vennero reclutati come apprendisti nel CCC (CivilianConservation Corps) e nel WPA (Works Progress Administration).In copertina: Scultura irochese moderna sugli Ironworkers.

Riferimenti fotograficiIndian at Work, aprile 1941; Baxter A. K., ToBe Woman in America 1850-1930, New York,1978; Bush A. L., Clark Mitchell L., ThePhotograph and the American Indian,Princeton, NJ,1994.Fotografie di Sandra Busatta, Audiovisivo suiminatori di uranio navajo.

Indiano di riserva

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N° 12

Editoriale

Quando pensiamo alla colonizzazione dell’America, in generefacciamo riferimento a stereotipi romantico-razzisti: gli eroiciesploratori e i mercanti di pellicce, i rudi minatori, gli stoici con-tadini e i tragici indiani travolti dalla storia. Cosa c’è di più tipica-mente western di un bel gruppo di guerrieri che attacca gli ope-rai della ferrovia, caracollando a perdifiato giù da una collinacon i pittoreschi caschi di piume al vento e con una bella man-dria di bisonti imbizzarriti per compagnia? Un luogo comune cheritroviamo in Jules Verne, col suo “Giro del mondo in ottantagiorni”, in Salgari e in molti colossal hollywoodiani da “Il cavallodi ferro” alla “Conquista del West”. Questa immagine cinemato-grafica, però, illustra una realtà assai più rara di quella che vedei nativi americani, in poco pittoreschi abiti da lavoro, stenderetraversine e binari dalla Columbia Britannica all’Arizona.I miti difficilmente comprendono le donne, gli operai o le mino-ranze e la partecipazione indiana all’economia del paese è sta-ta sempre vista in termini di lontananza, nel tempo come cac-ciatori di pellicce e, nella società, come elementi marginali sottole voci statistiche “disoccupati” e “assistiti”. Quello che le storie,anche quelle del movimento operaio, in genere tacciono, è che inativi americani hanno partecipato alla costruzione della classeoperaia americana e canadese, obbligati dalla perdita delle loroterre e dalla distruzione dell’economia tradizionale.Talvolta gli indiani, come gli immigrati, sono stati usati come spac-ca sciopero e tal altra hanno costituito il nucleo duro del sinda-cato, per esempio in Columbia Britannica. Uomini e donne nativihanno cercato spazi di sopravvivenza andando avanti e indie-tro, anche fisicamente, tra il lavoro salariato e l’economia tradi-zionale. E’ un modello di vita che tende a ripetersi ancora oggi,illustrato dalle incerte statistiche sugli indiani “urbani” e il viavaitra metropoli e riserva. Una volta entrati nell’economia di merca-to, i nativi americani hanno fatto la loro parte, ritagliandosi tal-volta degli spazi di potere. Quello che impressiona di più, però,è che, una volta entrati nel mercato e aggiustatisi ad esso, gliindiani ne siano stati spinti fuori in vario modo, dalle politicherazziste dalla ristrutturazioni di settore che richiedevano capitaliche gli indigeni non avevano o istruzione che il governo nonforniva: così i nativi sono stati marginalizzati fino a creare unnuovo stereotipo: l’indiano disoccupato.

Banderuola a Nantucket, Massachuset-ts, una delle capitali della caccia alla ba-lena.

Sopra: Trasporto di materiale da unaminiera a cielo aperto ai confini dellariserva navajo.A fianco: Impianto di gassificazione delcarbone, il cartello dice: “STATE ENTRAN-DO IN TERRITORIO NAVAJO”.

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HAKOMAGAZINE

Sopra: Scrimshaw, incisione di una scena di caccia alla balena su un dente d’avorio di capodoglio.Sotto: Balena al largo di Salem, Massachusetts.

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N° 12

Lorenza Macchion

Ma mentre le ultime ondate si rovescia-rono fitte sulla testa sommersa dell’in-diano all’albero maestro … un bracciorossiccio e un martello si alzarononell’aria piegati all’indietro nell’atto diinchiodare sempre più salda la bandie-ra all’albero che sprofondava. Un falcoche aveva beffardamente seguito ilpomo di maestra giù dalla sua naturaledimora tra le stelle, beccando all’inse-gna e molestando Tashtego, cacciò percaso la larga ala palpitante tra ilmartello e il legno; e in un balenoavvertendo quel sussulto etereo, ilselvaggio affondato lì sotto, nel suorantolo di morte, tenne inchiodato ilmartello. E così l’uccello del cielo, constrida d’arcangelo, rizzando in alto ilrostro imperiale, e tutto il corpoimprigionato avvolto nella bandiera diAchab, andò a fondo con la sua nave,che come Satana non volle calareall’inferno finché non ebbe trascinatacon sé, come elmo, una viva parte delcielo. (H. Melville, Moby Dick, 1851).Prima dell’arrivo degli europeishinnecook e montauk di Long Island,Pequot del Connecticut, wampanoagdel Massachusetts e altri indiani dilingua algonchina della Costa Atlantica,quando le tempeste non buttavano a rivauna balena morta, attaccavano con le

canoe quelle che avvistavano presso lacosta per sfruttarne la carne, il grasso ele ossa. L’arrivo dei coloni inglesi portòmolti cambiamenti nella caccia indige-na: frecce e arpioni d’osso furonosostituiti da arpioni di ferro e il drogue,una specie di boa di pelle fissataall’estremità della fune dell’arpione cheimpediva alla balena di tuffarsi inprofondità o di nuotare troppo veloce-mente, venne abbandonato a favoredella nuova tecnica con la quale la funedell’arpione veniva fissata direttamentealla barca, costringendo il cetaceo atirarsi dietro i suoi uccisori.Il Seicento e il Settecento furonocaratterizzati da grandi cambiamentinella vita economica, culturale ereligiosa degli indiani della NuovaInghilterra. La caccia non era piùun’attività di sussistenza, ma entrò quasisubito nel mercato; tra gli indiani dellaregione l’agricoltura, in quanto attivitàfemminile, non era alternativa allacaccia, perciò essi ben presto si trovaro-no a far parte della forza lavoro impiega-ta nelle baleniere, dato che i colonispesso erano restii ad affrontarne ipericoli. Nel Seicento la granderichiesta di balenieri indiani portòaddirittura a leggi che impedivano chefossero pagati salari “eccessivi”. Nel1672 il governatore di New York,Lovelace, ordinò che «chiunque assuma

un indiano per cacciare balene, nondeve mai dargli, in cambio del suolavoro … più di un cappotto di stoffa,per ogni balena che egli o il suo grupporiusciranno a uccidere, oppure non piùdella metà del grasso della balena,senza le ossa…». I proprietari dellebaleniere ricorrevano spesso al creditoper arruolare gli indiani debitorinell’equipaggio. Edward Kendall, chevisitò i wampanoag di Gay Headnell’Isola di Martha’s Vineyard,ricordava: «Questo business d’invitaregli indiani è una sorta di arruolamentoforzato, in cui vengono continuamenteofferti cordiali parole, liquore e altriprodotti, fino a che gli indiani s’indebi-tano e danno il loro consenso …». Tra imolti balenieri indiani d’alto mare, solopochi riuscirono a raggiungere il gradodi capitano: uno di questi fu ilwampanoag Amos Haskins di NewBedford. Per dirla con le parole diIsmaele in Moby Dick, «la pescaamericana delle balene è ugualeall’esercito, alla marina da guerra emercantile, e alla mano d’operaimpiegata in America alla costruzionedi canali e ferrovie. Uguale, dico,perché in tutti questi casi gli americanidi nascita forniscono generosamente ilcervello e i resto del mondo i muscolicon altrettanta generosità». Melvillecolora il racconto con le imprese dei tre

Soffia! Soffia!

Balenieri

Balenieri e cacciatori di foche: abilità tradiziona-li in un’economia capitalistica di mercato.

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HAKOMAGAZINEramponieri a bordo della nave dal nomefatale, il Pequod: il polinesianoQueequeg, il negro Daggoo e Tashtego,«un indiano purosangue di Gay Head»,su cui aleggia un’aura inquietante,perché, guardandolo «un po’ ci siconvinceva che questo indiano selvag-gio era un figlio del principe dei poteridell’Aria», secondo la visione che iPuritani avevano degli abitanti indigenid’America. Tashtego rappresenta ilramponiere indiano infallibile che, inquanto nativo di quelle isole, in cui «siarenò la prima balena americana morta… non c’è da stupirsi se si dà al mareper guadagnarsi da vivere … dichiaran-do guerra eterna alla più potente massaanimata che sia sopravvissuta aldiluvio, la più mostruosa, la più simile auna montagna», la balena.La caccia alla balena e l’industriaconnessa, finalizzata soprattutto allatrasformazione del grasso di balena inolio per l’illuminazione, si sviluppòverso la metà del XVII secolo lungo lacosta del Massachusetts e del Connecti-cut, sulle isole di Nantucket e Martha’sVineyard e a Long Island. Vi sono varieleggende wampanoag sull’origine delleisole al largo della costa del Massachu-setts; una narra che un giorno il giganteMaushop dormiva un sonno agitatosulla costa sabbiosa di Cape Cod, perciòi suoi mocassini si riempirono di sabbia;infuriato, con un calcio egli li gettòlontano: i mocassini cadendo in mare sitrasformarono rispettivamente inNantucket e Martha’s Vineyard. Le isoleentrarono ufficialmente nella storia nel1602, quando il capitano Gosnold leproclamò dominio inglese. Durante ilSeicento rifugiati quaccheri si stabiliro-no qui e con il tempo l’attività balenierafu strettamente associata alla religionequacchera e, secondo le parole diMelville «alcuni di questi quaccherisono i più sanguinari di tutti i marinai ecacciatori di balene. Sono quaccheri dacombattimento. Sono quaccheri aoltranza». Anche molti indiani e neri siconvertirono e parecchi balenieri neri sistabilirono nelle comunità indiane dellacosta e delle isole e si mescolarono allapopolazione locale tanto che oggi moltecomunità indiane, come i wampanoagmashpee, i montauk e i shinnecook nonriescono a ottenere il riconoscimentofederale. Ma Nantucket non fu la sola“capitale” dell’industria baleniera; dopo

il suo declino il suo posto venne presoda New Bedford, mentre si facevanoonore anche New London, Dartmouth ealtre cittadine sulla costa.Fu solo all’inizio del Settecento che ibalenieri smisero di cacciare la sola“balena franca”, che pascolava vicinoalle coste e si spinsero in alto mare percatturare il più pericoloso, ma fruttuoso,capodoglio da cui si ricavava un grassomigliore, che possedeva nella testa unavasta cavità piena di olio puro (ricordatequando Tashtego rischiò di annegarcidentro?) e una specie di cera, lospermaceti, usata per fabbricare candele.Durante la rivoluzione americana ibalenieri quaccheri, pacifisti con gliesseri umani, subirono una crisi, ma benpresto si ripresero e tra il 1813 e il 1860ci fu un vero e proprio boom, anche sel’introduzione del kerosene, o “olio dicarbone”, per l’illuminazione a bassocosto alla fine degli anni 1840, segnòl’inizio del declino. La guerra di

Secessione segnò un disastro per lebaleniere: i nordisti riempirono le navi dipietre e le affondarono davanti ai portidei sudisti durante il blocco e questiultimi ne distrussero molte durante laguerra corsara contro la marina delNord. Fu tuttavia un evento apparente-mente estraneo che segnò la condanna amorte dell’industria baleniera: lascoperta del petrolio, o ”olio di roccia”,in Pennsylvania nel 1859, che reseinutile l’olio di balena per accendere lelampade. Anche se l’ultima balenierasalpò da New Bedford nell’agosto del1925, da tempo si era conclusa un’epo-ca.Nella Costa Nordovest, dalla parteopposta del continente, alcuni gruppiindiani cacciavano tradizionalmente labalena ma, a quanto pare, non vennerocoinvolti massicciamente nella forzalavoro delle baleniere come sulla CostaAtlantica, ma nella caccia pelagica allefoche sul mare di Bering e al largo delle

Amos Haskins, un wampanoag di New Bedford che, nel 1851, divennecapitano di una nave baleniera, il Massasoit, dal nome di un famosocapo wampanoag che fornì ai Padri Pellegrini quell’aiuto commemora-to nel Giorno del Ringraziamento .

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coste giapponesi. Per molti uomininootka, haida, kwakiutl, coast salish etsimshian questa attività rappresentò unadelle principali fonti di lavoro salariatotra il 1880 e il 1910 e con la paga, fruttodi qualche viaggio della durata anche didue anni, alcuni riuscivano ad avviareun negozio e ad acquistare beni comebiciclette, grammofoni e strumentimusicali di ogni tipo.Victoria, Canada, era il porto principaleda cui partivano le navi per la caccia allefoche; la loro decimazione in soli 20anni spinse nel 1894 i governi di Russia,Stati Uniti e Gran Bretagna a firmareuna moratoria internazionale per

BibliografiaMelville E., Moby Dick, Milano 1966; VickersD., The First Whalemen of Nantucket, TheWilliam & Mary Quaterly, Oct. 1983, v. 40,n° 4; Knight R., Indians at Work, Vancouver1978; Shapiro I., I cacciatori di balene, Mila-no 1973; Weinstein-farson L., The Wampa-noag, New York 1989.

proteggere la specie, ma il Canada sirifiutò di aderire, con il risultato che lamaggior parte delle navi cacciatrici difoche battevano bandiera canadese.Gran parte delle ciurme erano indiane: i59 vascelli che uscirono da Victoria nel1894 avevano 888 bianchi e 518 indiani.A bordo la divisione dei ruoli seguiva lostesso schema delle baleniere dell’Atlan-tico: capitano e secondo erano bianchi,poi c’erano alcuni marinai qualificati divaria provenienza e da 8 a 30 cacciatoriindiani. Anche le donne salivano abordo e lavoravano in cucina o remava-no nelle canoe dei mariti. Verso la finedel secolo quasi i due terzi degli

equipaggi delle navi attraccate a Victoriaerano indiani. Molti però si imbarcavanosolo per una stagione, dalla tardaprimavera all’inizio dell’autunno, pernon abbandonare altre redditizie attivitàeconomiche tradizionali e i propri doverisociali. Talvolta i capitani tentavano dicoercere gli indiani a prolungare ilviaggio, ma questi potevano rispondereammutinandosi o distruggendo arpioni ebarche. Tuttavia alcune golette conconsistenti ciurme indiane cacciarononelle acque nipponiche e lungo le isoleCurili dal 1880 al 1911. Un kwakiutl diFort Rupert, Charles Nowell, chedurante la sua vita, tra le altre attività,lavorò come boss arruolatore per lecanneries e come marinaio nella cacciapelagica alle foche, ci ha lasciato i suoiricordi scritti che raccontano anche lesue avventure in Giappone. Nel 1897egli si imbarcò su una goletta giàequipaggiata con cacciatori indianikoskimo diretta a Yokohama. Dopocirca due mesi di mal di mare arrivò inGiappone dove, a causa della guerracino-giapponese, dovette attendere perpiù di tre settimane che i giapponesicostruissero le canoe per i cacciatori;come ogni marinaio, Nowell ingannòl’attesa frequentando le ragazze delluogo. Finalmente la caccia cominciòma, in una notte di pioggia e nebbia, lagoletta sbatté contro una barra di sabbiae naufragò presso Hakodate. Nowell e isuoi compagni raggiunsero la riva e poirecuperarono le pelli di foca dal relitto.Lasciato il Giappone, si fermarono acacciare foche nel Mare di Bering,sfuggendo alla guardia costiera america-na che faceva rispettare la moratoria.Tornato a casa Nowell ricevette la paga,di cui diede la maggior parte a suofratello maggiore, che la investì in unmatrimonio e in un potlatch.La caccia pelagica alle foche declinò trail 1905 e il 1910 a causa del quasicompleto sterminio dei branchi, così ilCanada nel 1911 ratificò la Convenzio-ne Internazionale che bandiva la cacciaalle foche in tutto il Pacifico.

Il lavoro di macello su una baleniera; sullo sfondo si vedono i fanoni ammassati.

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Sopra: Laguna Pueblo nel 1997.Sotto: La Santa Fe Railroad attraverso il deserto del Nuovo Messico presso le rovine del pueblo di Pecos.A p. 10: Un’azione della Atchinson Topeca & Santa Fe Railroad.A p. 11: Locandina pubblicitaria della Santa Fe Railroad.

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Flavia Busatta

Negli anni tra il 1850 e il 1860 ungruppo di capitalisti, in seguito chiamati“Baroni predatori” cominciò a pianifica-re il modo con cui trarre profitto dalflusso migratorio nell’ovest e dagliincentivi che il governo federale dava achi costruiva ferrovie. Con il PacificRailway Bill del 1862, un decreto cheaccordò nel complesso 632.000 kmq, ilgoverno degli Stati Uniti inaugurò ilsistema di concedere direttamenteterreni alle compagnie ferroviarie e isingoli stati cedettero a loro volta668.000 kmq; le leggi varate, infatti,garantivano almeno un chilometro emezzo di terra gratis lungo ogni migliodi traversine piantate da entrambi i latidella ferrovia. Si calcola che queste terrevalessero 335 milioni di dollari, ma ifinanziamenti governativi dati allecompagnie ferroviarie raggiunserostime anche maggiori: esse infattiammontarono, secondo valutazioniprudenti a più di 700 milioni di dollari.Nella prospettiva di aumentare icollegamenti intercontinentali ilCongresso finanziò tre nuove linee chesi aggiungevano a quella famosissimaintercontinentale creata dalla UnionPacific (gruppo Harriman e operai inprevalenza irlandesi, i paddies) e dallaCentral Pacific (inizialmente a capitalecaliforniano e in seguito acquistata da

Harriman, manodopera soprattuttocinese, i coolies): la Northern Pacific(gruppo Hill) partiva dal Lago Superio-re, attraversava il Minnesota e leBadlans del Dakota, risaliva la valledello Yellowstone fino a Bozeman, poisuperava le Montagne Rocciose eseguendo il fiume Columbia raggiunge-va Portland e l’Oregon; la SouthernPacific (gruppo Harriman), sviluppo eappendice della Central, e la Atlantic &Pacific partivano da New Orleans,attraverso il Texas fino al Rio Grande,poi verso El Paso, Los Angeles e da quiper la Valle di San Joaquin a SanFrancisco; la terza linea era organizzatadalla Atchinson Topeka & Santa Fe,

sorta nel 1858, e seguiva la vecchia pistadi Santa Fe partendo da Atchinson, nelKansas, raggiungendo Raton, poi SantaFe, Albuquerque e, costeggiando ilGrand Canyon, entrava nel deserto diMojave raggiungendo San Diego dovesi congiungeva alla rete ferroviariacaliforniana.Allo scopo di costruire queste lineeferroviarie, che il governo federale inpiena Guerra di Secessione giudicavaassolutamente strategiche dal punto divista militare, il Congresso dibatté alungo se fosse moralmente giustoinvadere i territori indiani e, in tal caso,come si potesse estinguere il titoloindigeno della terra. Nel 1866 il

Per i pueblo laguna lavorare per la Atchinson Topeka& Santa Fe Railroad ed esserle fedeli, assunse qua-si le caratteristiche di un patto feudale.

Annaffiare il fiore

Ferrovie

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HAKOMAGAZINECongresso autorizzò la Atlantic &Pacific Railroad a costruire la linea daSpringfield, Missouri, ad Albuquerquelungo il 33° parallelo, garantendol’esenzione dalle tasse sui terreni di loroproprietà lungo i lati della linea ferrovia-ria; in particolare nel 1866 furono dati inspeciale concessione 52.000 kmq diterreno sul tragitto da Albuquerque alconfine californiano.Nel 1880 la Atlantic & Pacific Railroadentrò in New Mexico: malgrado tresecoli di occupazione spagnola,messicana e americana, i territori delNuovo Messico e dell’Arizona eranoancora piuttosto selvaggi, preda dellescorrerie apache, guidate da Loco,Geronimo, Victorio e Nana, e deicacciatori di schiavi per le minieremessicane oltreconfine, terreno discontro dei grandi baroni del bestiame,come la “Guerra della Contea diLincoln”, in cui si distinse Billy the Kido quella dei Clanton che si concluse conla sfida all’O.K. Corral: per questimotivi, era estremamente difficileportare o reclutare operai nella zona.Fino agli anni 1860 –1870 le squadre dilavoro che posavano binari erano inmaggioranza costituite da irlandesi, gliunici manovali che accettavano, perqualunque paga, di lavorare nell’am-biente aspro e desertico del Sudovest eche erano in grado di rispondere afucilate a ogni tipo di aggressioni. Ilproblema della forza lavoro nella zonaera comunque drammatico, tanto che laSanta Fe Railroad, concorrente dellaAtlantic & Pacific, che già utilizzavamanodopera nera, nel 1874 introdusse inKansas, con speciale contratto che

prevedeva futuri gratuiti diritti diproprietà della terra, 15.000 mennonititedeschi i cui antenati avevano coloniz-zato il Caucaso e la Crimea e fin daglianni 1880 iniziò a reclutare lavoratorimessicani.La guerra tra le compagnie per ottenerevantaggi economici in cambio di binarioposato non faceva guardar loro moltoper il sottile; esse erano disposte areclutare chiunque, a qualunque razzaappartenesse, anche gli indiani chetuttavia si trovavano a eseguire i lavoripiù umili. «Il duro lavoro di costruire iterrapieni … ha prosciugato ognilavoratore disponibile e volonteroso aLaguna, Acoma e Zuni» affermava unrapporto dell’epoca, e ad essi aggiungia-mo i navajo, gli hopi, e gli apache.Il territorio dei laguna si trovava proprionel mezzo dei due tracciati ferroviarimeridionali. Perciò quando la ferroviaraggiunse la riserva nel 1880, comin-ciando a posare i binari presso il pueblodi Isleta, i Laguna afferrarono l’occasio-ne.Secondo la tradizione orale laguna ilcapo di guerra Lorenzo, partito per unascorreria contro razziatori apache, avevalasciato il comando del pueblo al figlioHuiwec che decise di bloccare lesquadre della Atlantic & Pacific chestavano entrando nel territorio tribale.Abile negoziatore, Huiwec concesse ilpassaggio della ferrovia attraverso ilterritorio laguna in cambio di un patto: lacompagnia avrebbe per sempre impie-gato tanti operai laguna fossero statinecessari per costruire e mantenere lalinea, per quanti lo avessero voluto e pertutto il tempo che il gobernador avrebbe

loro concesso.Questo accordo orale, forse sancito conuna stretta di mano, garantiva un postodi lavoro sicuro ai laguna e un diritto dipassaggio senza oneri di affitto per lacompagnia ferroviaria. In conseguenzadi questo gentlemen’s agreement,chiamato dai laguna Pueblo “Fioredell’Amicizia”, la ferrovia negoziòanche l’uso di risorse d’acqua e altririfornimenti concedendo ai lagunaulteriori privilegi. Questo patto venivarinnovato annualmente tramite riunionitra i gobernadores dei laguna e ilmanagement locale della compagnia, unavvenimento che veniva chiamato“Annaffiare il Fiore dell’Amicizia”.I laguna cominciarono a posare binari ea provvedere alla manutenzione dellalinea in alcuni scali dentro la riservacome New Laguna, Mesita, CasaBlanca e Las Lunas. Questi indianiaddetti alla manutenzione abitavano conle loro famiglie in strutture permanenticostruite dalla compagnia, ma altriaccettarono di seguire i binari andando alavorare come manovali ad Albuquer-que, Gallup e oltre.Nel giugno del 1897 la Atchinson,Topeka & Santa Fe acquistò la Atlantic& Pacific Railroad: benché nel passag-gio di proprietà non fosse menzionatol’accordo tra i laguna e la Atlantic, laSanta Fe, sempre a corto di operai,sembrò onorarlo.«Vecchio laguna: “Io non so quantimiliardi di galloni d’acqua la Santa Feha pompato da questa sorgente”.Domanda: “E la ferrovia ha pagato perquesto?”V: “Non so. La ferrovia… non so sehanno pagato o no…”D: “Assumendo uomini?”V: “Dando agli uomini il diritto dilavorare…”D: “A chiunque?”V: “Sì, a chiunque che volesse unlavoro, lui poteva lavorare… C’eranoun sacco di loro che lavoravano qui…Vedi, quel contratto valeva per sem-pre”.» (Peters, 1996: 182-183).Verso l’inizio del XX secolo cominciòad apparire anche manodopera giappo-nese che, accettando di lavorare permeno di 1 dollaro al giorno, contribuì atagliare i salari degli operai del Sudovestche erano già inferiori a quelli dell’Est.Malgrado ciò il Rapporto Merriamnotava che «la Santa Fe Railroad

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N° 12Company sembra preferire i lavoratoriPueblo nella sua politica di assunzioni eha impiegati indiani nelle sue sedi inArizona e New Mexico» (Peters, 1996:185). Durante quei primi anni la SantaFe Railroad prese molto a cuore ilbenessere dei suoi operai fornendo loroservizi sanitari privati in ospedali dellacompagnia, che secondo le cronachedell’epoca erano tra i migliori del paese,e delle “distrazioni” per alleviarli dellasolitudine sofferta sul luogo di lavorocome stanze di lettura, luoghi di ritrovo,abitazioni, bagni, mense e luoghi perriunioni religiose o raduni. Oltre a ciò, acausa delle difficoltà a reperire lamanodopera, la Santa Fe pagavamediamente salari maggiori delle altrecompagnie ferroviarie, dando agliimpiegati circa 700 $ l’anno contro i 548$ dei suoi concorrenti. Agli operaimeritevoli venivano inoltre garantiticorsi presso le scuole aziendali e cinqueindiani laguna ottennero in tal modo lapossibilità di seguire questi corsi.«Sai, io ho lavorato con la Santa Fe per39 anni. Vuoi sapere cosa vuol dire?Quelli che finivano le superiori eranoassunti dalla compagnia. Loro limandavano all’apprendistato perquattro anni, la maggior parte eranobianchi. Dopo quattro anni diventavi unsaldatore, e allora ti mandavano aChicago per esaminarti. Chi passavaera un saldatore, o un elettricista, o unmacchinista. La nostra gente [i laguna]finiva la scuola qui, e facevano l’ap-prendistato qui [nel New Mexico], daqualche parte imparavano a saldare etutte quelle cose. Quando avevanofinito, erano saldatori o elettricisti, eandavano a lavorare per la Santa Fe.Loro li assumevano subito.D: Agivano bene con voi?R: Sì, ma prima, tanto tempo fa, quandodomarono lo sciopero del 1922, noi [laSanta Fe] non pagavamo molto, perchènon avevano il sindacato» (Peters,1996: 187).Questo rapporto privilegiato tra gliindiani pueblo e la Santa Fe, ancheattraverso la loro sussidiaria, la FredHarvey Company, che assicurava ilcatering e gli alloggi lungo la lineaferroviaria, modificò non solo la vita deisalariati, ma anche quella dell’interoSudovest lanciandolo pubblicitariamen-te come il “tour classico” americano damettere in alternativa al viaggio in

Europa e trasformando l’artigianatoindiano della zona in oggetto d’arte e dacollezione, anche grazie all’appoggio dimagnati come William Randolph Hearste studiosi come Dorsey, il rev. Voth, ildott. Culin e altri [cfr. HAKO 8]. Lungogli scali della ferrovia e all’HotelAlvarado di Albuquerque argentieri,vasaie, tessitrici e cestaie pueblo enavajo vendevano i loro manufatti aituristi ricchi e famosi. In questo settoreterziario anche molte donne indianetrovarono lavoro come salariate.«Le ragazze di Fred Harvey erano cosìbelle con i loro grambiuli bianchiinamidati e le uniformi. Esse erano cosìgraziose. Io usavo dire “Oh, come mipiacerebbe da grande essere unaragazza della Fred Harvey”» (MildredPradt, 77 anni, paguna pueblo, inHoward, Pardue, 1996: 2).Cosa significasse veramente per laSanta Fe Railroad l’accordo privilegiatotra i laguna pueblo e la compagnia, lo siscoprì durante lo sciopero del 1922, loShopmen’s Strike.Dopo l’intervento del governo contro losciopero di Pullmann del 1894, iferrovieri, di fatto, non avevano piùgoduto del diritto di sciopero; in genere isindacati del settore avevano accettatoquesto stato di cose e la conseguenteperdita del potere d’acquisto dei salari. Il21 marzo del 1918 il governo federaleaveva assunto la gestione di tutte le lineeferroviarie del paese per fare fronte allenecessità belliche e, nel 1919, avevanegato un aumento di salario agliaddetti. Quando, nel 1920, si decise direstituire le linee alle compagnie private,il governo pensò bene di garantirsi ivantaggi di una concentrazione indu-striale favorendo le fusioni dellecompagnie tramite l’Esch – CumminsTransportation Act che, tra l’altro, inquesto modo, sottraeva la ferrovie alcontrollo dei singoli stati e istituiva un

Ufficio del Lavoro (Railway LaborBoard) come mediatore in tutti i conflittisui salari, sulle ore e sulle condizioni dilavoro. Questo ufficio autorizzò tagli aisalari per 60 milioni di dollari. In questasituazione di tensione un certo Granau,dirigente della Chicago Yardmen’sAssociation, un sindacato ribelle, vennedeclassato nelle mansioni che svolgeva;in risposta circa 700 deviatori occupatisulla sua linea iniziarono uno sciopero diprotesta che, nel giro di due giorni,coinvolse tutte le linee ferroviarie chepassavano per Chicago, il maggiorescalo di tutti gli Stati Uniti, interessandoi 9.000 addetti agli scambi. Entro unasettimana lo sciopero si era esteso intutto il paese a New York, Pittsburgh,Los Angeles, Memphis, St. Louis,Kansas City, Omaha, Detroit e SanFrancisco e ai deviatori si erano uniti imacchinisti, i fuochisti e i controlloriportando a più di 40.000 il numero degliscioperanti. I rappresentanti dei sindacatiillegali di zona e di settore si incontraro-no a Washington per dare vita allaUnited Railway Workers of America,un’alleanza nazionale tra deviatori eaddetti agli scali.I sindacati ufficiali dei ferrovierilanciarono una violenta campagnacontro lo sciopero arrivando anche areclutare i crumiri, ma si scontraronocon la riluttanza che i loro stessi iscrittiprovavano a lavorare con quegli“schifosi bastardi” (yellow dogs).Fu in questo frangente che la Santa Fe siricordò di “annaffiare il fiore” deiLaguna.Nel 1899 una compagnia immobiliareaveva venduto alla Santa Fe Railroadun’area nel sobborgo di Richmond,Ferry Point, dall’altra parte della baia diSan Francisco, che la compagniaattrezzò come terminal merci e per lamanutenzione. Il terminal di Ferry Pointera garantito “libero” da giapponesi e i

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HAKOMAGAZINEcinesi erano assunti solo come cuochi,era cioè un terminal full white (solo perbianchi). Nel 1901 in un’area adiacenteanche la Standard Oil Company diRockefeller aprì una raffineria; nel 1931arrivò anche la Ford Motor Company.Lo sciopero degli Shopmen’s colpì laSanta Fe con violenza: a Needles, inCalifornia, circa trecento passeggerifurono cacciati fuori dai vagoni eabbandonati sul posto dagli scioperanti.Fu allora che il fiore dell’alleanza con ilaguna venne innaffiato su richiesta dellacompagnia che ottenne dal gobernadorcirca un centinaio di uomini comespaccasciopero. I Laguna furono portatiin corriera fino al terminal di Richmonde fatti scendere oltre i picchetti neldeposito di Ferry Point dove venneroalloggiati nella sala mensa per tutta ladurata dello sciopero.La fedeltà dei laguna verso la compa-gnia era garantita dall’accordo vecchiodi quarant’anni e fu a prova di bomba:«Tu ti trovi messo in piedi qualcosacome uno sciopero; tu chiamaci semprequando serve aiuto, noi ti aiuteremo, losai. Essi si sono presi cura di noi equesta è una buona compagnia, laferrovia.» (Peters 1996: 188).Quando, sconfitto lo sciopero, alcunecompagnie ferroviarie firmarono ilBaltimore Agreement che di fattometteva nelle loro mani la riassunzionedegli scioperanti aderenti al sindacato, laSanta Fe decise di non aderire, ma disostituire gli scioperanti con forza lavoronon sindacalizzata. La compagnia sirivolse anche agli acoma per riempire iranghi, ma questa decisione dispiacqueai Laguna, in quanto gli acoma eranoloro vicini e loro tradizionali nemici e,soprattutto, non avevano alcun accordo.L’animosità tra gruppi tribali rimasetanto che, ancora nel 1992, i pensionatilaguna cercavano di sminuire il ruoloavuto dagli acoma durante lo scioperodel 1922. Nel 1923 lo sciopero terminò,ma alcuni lavoratori indiani rimasero alterminal di Richmond, mentre altriseguirono le squadre di posa dei binari ealtri ancora si trasferirono negli scali diBarstow, Winslow, Calloway e Needles.L’esperienza come spacca scioperovissuta nel 1922 – 23 per quantopericolosa, tuttavia portò i Laguna acontatto con i sindacati di industrianazionali tanto che, in seguito, le“fratellanze” dei ferrovieri riuscirono a

coinvolgerli nelle lotte per il diritto alsindacato e contro l’open shop (industrianon sindacalizzata). I sindacati infatti,pur rispettando la lealtà degli indiani alcontratto con la Santa Fe che venivarinnovato ogni anno con una visita delgobernador agli uffici regionali dellaferrovia, riuscirono a creare un nuovopatto tra i lavoratori, un patto a cui ilaguna si dimostrarono, come sempre,fedeli.«Domanda: “ Vi pagavano bene, allascadenza stabilita e vi davano curemediche?”R: “Sì, dopo che venne il sindacato”.D: “Tutti aderirono al sindacato?”.R: “Dopo che entrammo nel sindacato,se non ci eri dentro, eri licenziato. Tunon lavoravi per la ferrovia, nonimporta se avevi un precedente accordo.Il sindacato ha lavorato veramente beneper noi, ci hanno seguito. I nostri salaricrescevano quando lo chiedevano ec’erano cure mediche e tutte quelle coselì. Un giorno essi decisero di scioperare,tutti, gli ingegneri, i meccanici e gliaddetti. Così loro erano tutti d’accordo,perché alcuni non avevano ottenutomolto, sai. Essi volevano che ogni cosaandasse per il meglio. Loro, però, [laSanta Fe] non avevano intenzione diaccordarsi, ma essi gli dissero che noiavremmo fermato ogni cosa che simuoveva sui binari. La Santa Fe perseun sacco di verdura. Tu conosci i trenimerci? Loro avevano frigoriferi permetterci dentro le merci, la carne, tutti i

tipi di patate e ogni tipo di verdura. Matutto il carico marcì perché non c’eranessuno a manovrare. Quando avvenne,persero un sacco di carne e altre merci.Così cedettero e noi tornammo alavorare. Dopo di quello non ci furonoaltri scioperi, niente più scioperi. Loroci diedero l’aumento, quello cheavevamo chiesto, quello che ci occorre-va. Era un buon sindacato. Quelsindacato agì proprio bene”.» (intervi-sta di un pensionato laguna della SantaFe, in Peters 1996: 190).Durante la seconda guerra mondiale vierano sei villaggi tradizionali nellariserva laguna e quattro nuovi insedia-menti lungo la linea della Santa FeRailroad tra Albuquerque e Richmond.Questi nuovi villaggi dipendevano dalgobernador del pueblo di Laguna per illoro formale riconoscimento come“Colonie del Pueblo Laguna del NuovoMessico”, ovvero come estensioni dellecomunità della riserva, interamentedipendenti dalla sua economia generalee costituenti, in una certa misura, unafonte di sussistenza per le famiglie cherimanevano nella riserva. La compagniaferroviaria riconobbe questa situazione.Questo rapporto simbiotico con lamadrepatria in New Mexico, se da unlato permise ai laguna di mantenerepraticamente intatti i loro costumi e laloro cultura – molti di loro parlavanosolo il laguna e lo spagnolo - , dall’altroli segregò rispetto alle altre etnie che siriversarono nella baia quandoRichmond divenne una tipica città daboom di guerra, piena di lavoratori nerie chicanos e di lavoratrici di ogni razzache sostituivano gli uomini al fronte. Seprima del 1941 Richmond, infatti, era unsuburbio di circa 24.000 residenti, nel1943 la popolazione era divenutasuperiore alle 100.000 unità, anchegrazie alla costruzione dei cantieri navaliKaiser. A differenza degli altri gruppietnici che avevano le loro “città” nellazona urbana, come il “villaggio messica-no” presso Macdonald e Nevin Avenue,e il ghetto nero, il “villaggio indiano” eraproprio all’interno del terreno privatodella compagnia, tra i vagoni e i binari.Le famiglie indiane erano alloggiate inbox per automobile prefabbricati dovedelle tende fungevano da séparé, senzaservizi igienici che erano in comune inun box piazzato ogni tre moduliabitativi. Vi era poi una struttura per le

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BibliografiaPeters K. M., Watering the Flower: LagunaPueblo and the Santa Fe Railroad, 1880 –1943, in A. Littlefield, M. C. Knack, NativeAmericans and Wage Labor, Norman 1996;id., Santa Fe Indian Camp, House 21,Richmond, California: Persistence of Identityamong Laguna Pueblo Railroad Laborers,1945 -–1982, in American Indian Culture andResearch Journal, vol. 19, n° 3, 1995; HowardK. L., Pardue D. F., Inventing the Southwest,Phoenix 1996; Brecher J., Sciopero, Milano1972; Morison S. E., Commager H. S., Storiadegli Stati Uniti d’America, Firenze 1974;Boyer R. O., Morais H. M., Storia del movi-mento operaio negli Stati Uniti 1861 – 1955,Bari 1974.

Tzashima, pueblo laguna, fotografia di Ben Wittick.A p. 12: Manifesto dei sindacati ribelli durante il grande sciopero ferroviario del1922, lo Shopmen’s Strike; la bandiera dice: “Io ero in sciopero”.

riunioni e le cerimonie tradizionali,sebbene molti frequentassero anche laparrocchia cattolica dei messicani, e unasala mensa. Dal 1952 la polizia privatadella compagnia, soprannominata iSanta Fe Bulls, tenne l’ordine nelloscalo privato intervenendo anche nelledispute tra indiani e “stranieri”, ma nonin quelle interne della comunità lagunache venivano trattate dai funzionari delpueblo.Nel 1985, Marguerite Williams,discendente da schiavi neri dellaLouisiana, ricordava, a proposito delvillaggio indiano, come una donnalaguna, intervenuta ad una riunionesociale, dicesse come la gente delvillaggio fosse molto all’antica e nonamasse vedersi attorno degli estranei.Quando le fu chiesto perché nontentassero di ottenere migliori condizionidi vita nel recinto dello scalo ferroviario,la donna indiana rispose: «Perché lorosanno che, se non ci piacesse, ce netorneremmo in riserva. … Sai, loro cifanno un favore», aggiunse poi (Peters,

1995:45).«Avresti dovuto vederle quelle topaie.» –affermò la Williams, lamentando che laSanta Fe dava ai suoi impiegati indianipura elemosina e dei box per auto comecase al posto del salario; quando peròella pubblicò un articolo che condanna-va questo trattamento, si attirò l’ira degliabitanti del villaggio indiano chel’incolparono di «aver offeso la lorodignità accusandoli di vivere dielemosina».Questo episodio mette in luce un tipicoatteggiamento indiano: la riluttanza deinativi americani ad accettare e ainteragire con le altre minoranze, speciequelle ispaniche e nere. Dal punto divista laguna questo atteggiamentoindicava una forte determinazione amantenere le proprie caratteristichetribali pur interagendo nella societàindustriale. Questo atteggiamentoillumina anche il particolare “favore”che la Santa Fe Railroad accordò ailaguna e agli altri indiani, del cuisegregazionismo volontario era certa.

Per lo stesso motivo anche gli attivistiindiani urbani, che premevano per idiritti civili e nativi, vennero classificaticome “crea disordini” e isolati.Nel 1970 la Atchinson, Topeka & SantaFe si unì ufficialmente alla Amtrak, lalinea della semi governativa NationalRailroad Passenger Corporation, edecise di demolire il deposito diRichmond insieme al suo simbolo,l’ Indian Red, il locomotore con dipintosulla fiancata l’indiano col casco diguerra. In seguito a questa decisioneanche il “villaggio indiano” cominciò avenire smantellato, finché fu definitiva-mente chiuso nel 1993, quando i restidei box furono sepolti sotto una gittatadi asfalto e gli schedari storici dellacompagnia andarono persi nel trasferi-mento degli uffici a Los Angeles.Nel 125° anniversario della fondazionedella Atchinson, Topeka & Santa Fe, lacompagnia offrì un pranzo sociale a tuttii pensionati Laguna, esattamente 122anni dopo che il “Fiore dell’Amicizia”era sbocciato. Durante questa riunione,un vecchio storyteller commentando ilrifiuto, da parte del Consiglio Tribale, diporre un vagone ferroviario della SantaFe sulla plaza del pueblo come memen-to del “patto” disse: «Quei ragazzi sonopazzi … Se avessero lasciato fare allaferrovia, allora, forse, avremmo potutolavorare con loro anche su altre cose e,magari, loro si sarebbero detti, “Guar-da, quegli indiani non hanno neppureun campo di baseball o una bella salariunioni, dai, facciamogliela noi”.…[risata roca] Quei ragazzi sono pazzi… Non sanno niente.» (Peters, 1995:62).

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HAKOMAGAZINE

Claudio Ceotto

Old Timers Plaza, al centro diToppenish, nella riserva yakima, statodi Washington, venne costruita nel1991 per celebrare la storia dell’indu-stria del luppolo, una delle più antichetradizioni agricole della Yakima Valley.La piazza si fregia dei murales diRobert Thomas, “Quando il luppolo eraraccolto a mano” del 1991 e “L’incro-cio verso il mercato” terminato nel1992. Non molto lontano, a 22 South BStreet, ha aperto nel 1994 l’unicoMuseo del Luppolo Americano.L’American Hop Museum, che nascedalla passione di coltivatori come RonBrulotte e trova ospitalità nel vecchioedificio del magazzino Hop GrowersSupply, sponsorizza un Hoptoberfestcon specialità gastronomiche tedeschee, ovviamente, birra.Il luppolo (Humulus lupulus), unapianta rampicante delle Cannabacee diprovenienza europea usata nellaproduzione della birra fin dall’ottavosecolo in Francia e Germania, ma giànota ai romani che la consumavanocome verdura, venne introdotta inNordamerica all’inizio del XVII secoloe fiorì nella Nuova Olanda (New York)e in Virginia. Lo stato di New Yorkrestò il maggiore produttore finoall’inizio di questo secolo, quandol’industria venne uccisa dalla muffa edagli afidi favoriti dal clima umido della

Costa orientale. Nel decennio 1850 illuppolo si era mosso verso il Westinsieme ai carri dei pionieri e qui trovòun clima più secco, che dava resemigliori e poneva minori problemi dimuffa. I luppoli dello stato di Washing-ton, allora ancora Territorio, vennerocoltivati per la prima volta nell’areaPuyallup negli anni 1850 e poi in quellaCowiche-Ahtanum vicino a Yakima nel1865 circa. Dal 1900 al 1920 laCalifornia fu lo stato maggioreproduttore e l’Oregon dal 1920 al1940, ma nel decennio 1940 lacoltivazione venne trasferita ingran parte nella Yakima Valley. Inquesti ultimi anni la California e lostato di Washington occidentalehanno cessato di coltivare illuppolo, mentre l’Oregon el’Idaho contano ancora il 25%della produzione americana e laricca Yakima Valley produce il75% del totale. Il 70% di tutta laproduzione americana diluppolo viene esportata ognianno, il che equivale al 25%della produzione mondiale eciò rende gli USA il secondoproduttore mondiale dopo laGermania. Le specieselvatiche del Manitobacanadese venivano inveceraccolte per essere mescola-te, all’inizio di questosecolo, con i luppoli del

Kent e migliorare il vigore delle varietàbritanniche.Il luppolo nella Yakima Valley venivaraccolto a mano dai braccianti indianiche giungevano da tutto il Nordovestnell’area di Toppenish ogni anno contutta la famiglia e costruivano villaggi

Sui muri della città di Toppenish è dipinta lastoria del lavoro bracciantile indiano e dell’in-dustria del luppolo americana.

Braccianti agricoli

Toppenish, capitale del luppolo

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temporanei nei campi di luppolo finoalla fine del raccolto. Il lavoro duravadall’alba al tramonto e il salario medioera di un dollaro e venticinque cents algiorno, anche se le buone raccoglitricipotevano raggiungere i tre dollari. Imurales sulla raccolta del luppolo,quello sulla Old Timers Plaza e quellosul muro del Pow Wow Emporium, sonostati finanziati dai coltivatori di luppolo,insieme alla statua in bronzo dellaraccoglitrice indiana con il suo canestropieno, chiamata in lingua yakima Hops-tma-neetla (le Mani del Raccolto), operadi Jerry Snodgrass, che campeggia alcentro della Plaza.W. S. Murdock, Agricultural ExtensionAgent per l’Ufficio Affari Indiani (BIA)del Commissario Collier, scrisse unarticolo sui raccoglitori di luppoloindiani della Yakima Valley nella rivistadel BIA, Indians at Work, del 15dicembre 1934, e affermò che gliindiani, nonostante non godessero diaiuto nel trovare e mantenere il posto dilavoro, erano molto apprezzati daicoltivatori, che spesso li preferivano,perché «erano più affidabili, lavoravanopiù ore, stavano sul posto di lavoro,erano precisi nelle operazioni e

causavano pochissimi problemi». Incambio i coltivatori facevano «dei buonipreparativi per il benessere deglistagionali indiani fornendo loro buonaacqua, toilets, discariche delle immondi-zie e, a richiesta, casette o tende».Durante la stagione del raccolto, chedurava 21 giorni, gli indiani «raccoglie-vano di media a testa 150 libbre diluppolo al giorno, fino ad arrivare alle250 libbre per i più esperti, mentre unuomo e sua moglie raccolgono insiemefino a 350 libbre di luppolo al giorno. Ilbracciante bianco medio raccoglieva100 libbre al giorno cioè 50 libbre, dimedia, meno degli indiani». La ragioneper cui gli indiani raccoglievano piùluppolo è che lavoravano da una a treore in più al giorno e facevano unapausa pranzo più breve.«Siete mai stati nella Yakima Valleydurante la stagione della raccolta delluppolo? - scrive Murdock - Se non loavete ancora fatto, avete perso gliindiani del Nordovest che fanno illavoro che gli piace. Amano raccogliereil luppolo perché possono lavorare conle mani e amano fare lavori manuali.Lasciano l’accampamento in gruppidove possono mescolarsi ai parenti, agliamici e ai membri di altre tribù. Tutti

possono raccogliere il luppolo, daibambini ai vecchi e persino il ciecoottiene un buon salario raccogliendo illuppolo com’è dimostrato dal resocontodi Pah-ha-tomgh-tut, uno yakima cieco,che raccoglie luppolo nella stessapiantagione da quattro anni. Egliraccoglie di media 125-150 libbre algiorno a 2 cents la libbra, ottenendouna media di 2,25 dollari al giorno. E’assistito da sua moglie che tira giù iviticci per lui fino a che raggiungono lesue mani capaci. Quest’anno ha vistoun revival della vecchia industria dellaYakima Valley e gli indiani sono venuti alavorare qui da tutto il Nordovest. E’interessante vederli arrivare da tutte ledirezioni con ogni mezzo – dalleautomobili nuove fiammanti dell’ultimo,modello al Modello T, la “White Tep” ela carrozza western a cavalli. Sono tutticompiaciuti e felici perché ancora unavolta possono rinnovare i loro costumitribali, barattare e commerciare bacchedi Yakima, salmone secco del Columbia,vongole secche della ColumbiaBritannica, lavori in perline e canestridei nez perce e kootenai, e bacche,coperte e così via delle altre tribù dellacosta.»

Uno dei murales di Toppenish dipinto sulla parete del Museo del Luppolo.A p. 14: “Le mani del raccolto”, scultura dedicata alla bracciante indiana a Toppenish, WA.

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HAKOMAGAZINE

Kenneth Tollefson*

Durante il periodo dell’insediamento deibianchi, gli indiani del Puget Sounddovettero far fronte a serie minacced’estinzione. Non solo i loro insedia-menti furono usurpati, ma anche le lorotradizionali risorse forestali e agricolefurono ridotte dall’arrivo dei bianchi.Questa situazione fu particolarmentedura per “gli indiani fuori riserva e senzaterra”, come erano gli snoqualmie.Casualmente e ironicamente le industriedei coloni fornirono agli indianistrumenti essenziali per le loro barcol-lanti economie tradizionali. I bianchi,che cercavano forza lavoro a bassocosto e abbondante, assunsero gliindiani nell’industria del legno e inquella agricola. Gli indiani, mentrecontinuavano a praticare la caccia, lapesca e la raccolta nella misura in cui lecircostanze lo permettevano, furono ingrado di ottenere dei salari lavorandonelle segherie e nelle fattorie dei lorovicini.Fin dal 1840, grazie alla Puget SoundAgricoltural Company e ad altriesperimenti della Hudson Bay Compa-ny, i lavoratori indiani furono utilizzati inagricoltura con differenti gradi disuccesso. Alcuni trovarono difficileadattarsi a lavori totalmente estranei e,per quell’epoca, mancavano dellostimolo economico necessario per farlo.

Tuttavia, col passare degli anni e perl’influsso di un considerevole numero dicoloni che rivendicavano donazioni diterre, per gli indiani divenne unanecessità integrare i loro mezzi disussistenza col salario ottenuto dalleaziende agricole dei bianchi, mentre icoloni diventavano sempre più dipen-denti dalla forza lavoro indiana. Innessun luogo questa simbiosi fu piùevidente che nell’industria del luppolodell’area di Puget Sound. Anche se tribùdella zona e indiani di altre regioni delNordovest vi furono coinvolti, quitratteremo in particolare degli snoqual-mie.L’inizio della coltivazione del luppolo aIssaquah, negli anni attorno al 1860contribuì a quella che Clarence Bagleychiamò la “pazzia del luppolo” nelPuget Sound degli anni tra il 1880 e lafine del secolo, che rese la parteoccidentale dello stato di Washingtonuna delle aree di maggior coltivazioneed esportazione di luppolo nel mondo.Le aree di Snoqualmie, Issaquah,Puyallup, Auburn e Kent furono il cuoredella produzione finché l’industrialocale non fallì verso la fine degli anni1890. Dal suo inizio al suo smantella-mento il successo dell’industria delluppolo dipese in parte dal lavorosalariato indiano, soprattutto quello deglisnoqualmie.Per tracciare questo sviluppo è utile

ripercorrere il modo di vita tradizionaledegli snoqualmie che abitavano la valledel fiume Snoqualmie compresa tra leattuali città di Monroe e North Bend.Essi vivevano in lunghe case comuni dicirca 30 o 45 metri per 15, costruite congrandi pali di legno di cedro, usati cometravi e come strutture portanti, e di assi,sempre in cedro, che servivano per lepareti e il tetto. Queste case comunitarieerano abitate da circa 50 o 100 individuie una o più di esse costituivano unvillaggio snoqualmie. Ogni comunitàpossedeva da due a quattro ettari di orto-giardino in cui venivano coltivati bulbidi camas, un cibo sostituito dalle patate,introdotte successivamente daglieuropei.I coloni bianchi che giunsero nell’areamisero gli occhi sulle ampie zonedissodate degli insediamenti snoqualmiee le rivendicarono come terre pubblicheaperte alla colonizzazione: infatti, eramolto più facile scacciare gli indianidalle loro terre che dissodare la forestavergine per costruire delle fattorie.Protetti dalla presenza di piccoli, mapotenti, raggruppamenti militari e dicannoniere sul Puget Sound, i colonifurono in grado di allontanare gli indianidai loro territori ancestrali. Gli indianisfrattati potevano solo osservare dalontano le loro case, gli attrezzi, le armi,le riserve di cibo e gli oggetti cerimonialiche venivano dati alle fiamme. Devastati

Gli indiani del Puget Sound scoprono il lavorostagionale agricolo come mezzo per trovare unequilibrio in tempi mutevoli.

Gli snoqualmie, raccoglitori di luppolo

Braccianti agricoli

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da malattie, alcool, guerre e dallaspoliazione delle loro proprietà, glisnoqualmie divennero dei “profughi”.Watson Martin, un vecchio caposnoqualmie che ricordava questoperiodo della sua infanzia, testimoniò inuna deposizione legale nel 1927: “Noivagabondavamo là attorno; proprio nonsapevamo dove andare”. Quando furonoincendiate loro le case lunghe, essiimpaccarono le loro tradizionali dimoreestive portatili fatte con stuoie di cannapalustre e si sistemarono ovunquepotevano trovare cibo e lavoro. Alcunimigrarono a est, oltre le montagne; altrisi trascinarono negli insediamenti deibianchi, altri ancora rimasero in piccolesacche isolate nelle loro terre ancestrali.La maggior parte creò dei nuoviinsediamenti, mentre cercava dei modialternativi di sopravvivenza.Pochi anni dopo la colonizzazione dellavalle dello Snoqualmie, i bianchi siinsediarono anche nella valle diIssaquah e cominciarono a disboscare lazona con l’intenzione di creare coltiva-zioni di luppolo. Alcune di queste

famiglie come i Jack Bush, i GeorgeTibbets, i Laush Wold e i Bob Wilson,assunsero gli snoqualmie del luogo perdisboscare la zona e far spazio allepiantagioni di luppolo. In seguito questiagricoltori dipesero dalla stessa manodo-pera indiana per mandare avanti lacoltivazione e la raccolta del luppolo,operazioni ad alta intensità di lavoro, econtinuarono ad impiegarla per i tredecenni successivi. D’altra parte, manmano che le risorse diminuivano, moltisnoqualmie divennero sempre piùdipendenti dal lavoro stagionale neicampi per accrescere quel poco cheerano in grado di mettere insiemetramite la pesca, la caccia e la raccoltatradizionali. I salari guadagnati permet-tevano loro di comprare merci comezucchero, farina e caffè, attrezzi comecoltelli, seghe, asce e trappole e di farvivere attività tradizionali come ilpotlatch e il gioco d’azzardo con le“ossa”.La necessità di stare vicino alle coltiva-zioni di luppolo fece sì che moltefamiglie snoqualmie si trasferissero sulla

riva orientale del lago Sammamish,accampandosi lungo i piccoli ruscellitributari del lago, ricchi di acqua dolce epesce. Qui essi costruirono piccolecapanne monofamiliari fatte di tronchi epavimento di terra battuta. In seguitoessi aggiunsero una lunga casa cerimo-niale in cui si trasferivano per quattro osei settimane per osservare i dovericerimoniali e portare avanti gli affaritribali. Poiché in precedenza le malattiecontagiose degli euro-americani si eranodiffuse senza controllo tra le famiglieallargate che abitavano le case lunghe,queste nuove case lunghe non venivanousate come casa comune per tutta ladurata dell’anno.Bessie Craine, una storica issaquah delluogo, ricordava il suo accampamentolacustre, inospitale anche per glistandard dei pionieri, come un gruppo di«baracche e catapecchie in cima allago». Poiché gli snoqualmie tradizio-nalmente effettuavano viaggi stagionalial lago per pescare e avevano cacciato eraccolto del cibo nella zona ben primadell’arrivo degli europei, fu facile per

Indiani snoqualmie che raccolgono il luppolo. La raccolta del luppolo era un affare di famiglia tra gliindiani in cui ognuno cooperava a seconda delle proprie possibilità.

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HAKOMAGAZINEloro combinare il modo di vita tradizio-nale con il lavoro nelle coltivazioni diluppolo. In questo modo la comunitàsnoqualmie del lago Sammamish, strettatra le rive relativamente vergini del lagoe la valle di Issaquah, sempre piùcolonizzata, fu in grado di sopravvivereper diverse decine d’anni, riuscendo adattuare un funzionale equilibrio tra ilmodo di vita tradizionale, l’orticolturaintensiva e il lavoro stagionale nei campidi luppolo.Per il 1868 gli snoqualmie del lagoSammamish si erano ben radicati nellepiantagioni di luppolo vicine ai loronuovi villaggi, organizzando il propriolavoro in modo da integrare quellobracciantile nel loro ciclo di vita. Inprimavera gli uomini dissodavano ilterreno, mentre le donne tagliavano leradici del luppolo piantando le taleeottenute. In estate gli uomini sarchiava-no le piante, mentre le donne le legava-no e facevano arrampicare i viticci suipali. Durante il raccolto, tutta la famigliaera al lavoro e ammassava i fiori neicanestri di corteccia di cedro costruitidalle donne: gli uomini raccoglievano illuppolo il meno possibile preferendotirare giù i pali, per rendere più facile

alle raccoglitrici raggiungere i germogli,portare il luppolo raccolto nei magazzinie inscatolarlo.Tutti i membri di una famiglia indiana, apartire dall’età di cinque anni, partecipa-vano alla raccolta del luppolo. I neonati,legati dentro le culle a tavola, accompa-gnavano le madri nei campi e raramente,neppure se dovevano essere nutriti,erano tolti dalla culla durante l’orario dilavoro. Grazie a un bastone appuntitolegato sul retro, la culla poteva esserepiantata al suolo in posizione eretta,permettendo in tal modo alla madre diaccoccolarsi accanto al bambino pernutrirlo.La fattoria più grande, di proprietà diPeter e Laush Wold, coltivava a luppoloventi ettari proprio a sudovest dell’attua-le Issaquah Shopping Centre. Il raccoltodella valle era portato in battello al lagoUnion, e da qui era spedito per nave aSan Francisco dove la maggior parte eraesportata per fare fronte alle richiestedelle birrerie britanniche.Talvolta la richiesta di forza lavorosuperava le possibilità degli indianilocali. Quando la ferrovia fu terminata, iproprietari spedivano il loro luppolo intreno e per converso importavano altra

Accampamento di braccianti stagionali indiani del luppolo a Yakima Valley.A p. 19: Manifesto di reclutamento della manodopera stagionale presso i ranches Yakima Chief.

forza lavoro nella valle. Il risultato nonfu sempre pacifico. I raccoglitori diluppolo indiani cominciarono adarrivare da luoghi lontani come la parteorientale dello stato di Washington edalla Columbia Britannica. Per evitareconflitti tra queste diverse popolazioniindiane, i proprietari assegnavano luoghidi accampamento separati alle diversetribù.Durante la raccolta, arrivavano daSeattle anche braccianti bianchi, il chetalvolta costringeva a spostare l’aperturadelle scuole a dopo il raccolto. Ad uncerto punto furono portati comebraccianti presso la fattoria Wold anche37 cinesi. Bianchi e indiani, tuttavia,temendo di perdere il lavoro, si unironoattaccando l’accampamento cinese esparando dentro le tende: tre cinesifurono uccisi e altri tre furono feriti. Iracconti tribali snoqualmie riferiscono, aproposito di questo episodio, che i dueindiani del lago che accompagnarono ibianchi «stavano proteggendo le loroentrate familiari dagli stranieri».Il centro della produzione di luppolodella prateria di Snoqualmie eraMeadowbrook, ora agli estremisobborghi orientali della città di

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nota*Pubblicato in COLUMBIA - Magazine of theNorthwest History- Winter 94/95 (vol.8, n.°4). Tradotto e pubblicato col permesso dellaWashington State Historical Society, Tacoma,Washington, USA.

Snoqualmie. Nel 1882 la Hop Growers’Association (Associazione produttori diluppolo) divenne una corporation checoltivava 600 ettari, 360 dei quali eranoa luppolo. Questa industria continuò aprosperare per i successivi 12 anni,portando prosperità alla regione.Durante la stagione di punta, centinaia dilavoratori indiani, bianchi e cinesimigravano nella fattoria della UpperSnoqualmie Valley Hop Growers’Association e i braccianti indiani nonlocali venivano da località distanti comel’Oregon orientale, lo stato di Washin-gton orientale e, stando a ClarenceBagley, dalla Columbia Britannicaviaggiando con le canoe da guerra.J. Moffat, nello stesso tempo fattore einformatore di Bagley, ricordava che gliindiani accettavano solo salari in moneted’argento, alcune delle quali erano usatenelle scommesse sulle corse dei cavalli onel gioco con le carte. Questi bracciantistagionali del luppolo vivevano inlunghe costruzioni suddivise in stanzesingole monofamiliari già arredate conletti a castello, panche, tavoli, fornelli elegna da ardere.Per il 1889 la grande fattoria del luppolodivenne una tale attrazione che iproprietari costruirono un hotel, che nonesiste più, per sistemare i turisti chearrivavano da Seattle a cavallo o sucarrozzini per ammirare il raccolto.Senza dubbio anche le corse di cavalliche si tenevano regolarmente allafattoria erano un’attrazione, inoltre ivisitatori che desiderassero cacciare opescare durante la loro permanenzanella regione, potevano affittare delle

guide indiane per cinquedollari al giorno.Ollie Moses Wilber, unindiano snoqualmie natonel 1897, racconta cheanche dopo il declino dellamaggiore industria delluppolo nel Puget Sound, vierano circa cento snoqual-mie che ancora lavoravanonei campi rimasti aMeadowsbrook, sarchiandole radici, legando i viticcirampicanti di luppoloattorno ai pali e raccoglien-do le infiorescenze mature.Questi snoqualmie viveva-no poco distante dallafattoria in due lunghe casecomunitarie tradizionali,come molti dei loro antenatiavevano fatto per secoli.Essi, come gli Snoqualmiedel lago Sammamish,continuavano a cacciare, apescare e a raccogliereradici e frutti di bosco in aggiunta allavoro stagionale come braccianti neicampi di luppolo.Due fattori contribuirono al declino dellacoltivazione del luppolo nell’area diPuget Sound. La rapida espansione dellaproduzione di luppolo nella parteorientale dello stato di Washingtoncontribuì a una crisi di sovrapproduzio-ne sul mercato mondiale che fececrollare i prezzi; nel 1890, inoltre, lepiantagioni furono colpite dal pidocchiodel luppolo. Questo doppio disastro fecefallire molte delle fattorie più famose.Nel 1900, praticamente tutti i campidella Hop Growers’ Association eranostati arati. Alcuni proprietari persero leloro terre a causa di altre forme diagricoltura adottate frettolosamente.Ezra Meeker, parlando della caduta deiprezzi, disse a Clarence Bagley che “luiera andato a letto ricco e si era sveglia-to povero”. Malgrado ciò, una manciatadi piantatori di luppolo tenne duro: EdDavis (1880 – 1987), capo onorariodegli snoqualmie, ricordava che circa 50o 60 snoqualmie lavoravano ancora tra isopravvissuti filari di luppolo nel 1906.In quell’epoca fu scoperto un nuovo tipodi luppolo resistente ai pidocchi che fucoltivato ad est delle montagne. Glisnoqualmie si adattarono a questa nuovasfida fornendo squadre di braccianti

stagionali sotto la guida di Jerry Kanim,che fu anche il loro capo dagli inizi del1900 fino alla sua morte nel 1956. IlCapo Kanim contrattò con i produttoridi frutti di bosco di LaConner e Conwayla manodopera per il raccolto di mirtilli,more, ribes rosso e nero. Durantel’estate, in base alle circostanze, glisnoqualmie continuavano nel loro modotradizionale di vita: raccoglievano eseccavano le bacche, pescavano eaffumicavano il salmone ed essiccavanoi molluschi. Alcuni snoqualmie conti-nuarono a raccogliere luppolo nella valledi Yakima fino alla Seconda GuerraMondiale, visto che il mercato dellavoro negli anni Quaranta era abbastan-za aperto agli indiani a causa dellamancanza di lavoratori dovuta alla levamilitare. In seguito le risorse utilizza-bili divennero così grame che glisnoqualmie furono costretti ad abbando-nare il loro raccolto stagionale e il loromodo di vita in favore di un’occupazio-ne a tempo pieno.

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Sopra e a fianco: Alert Bay, Columbia Bri-tannica, impianti per l’inscatolamento delpesce della B. C. Packers e della Can. FishCo. La località, che si trova nella parte piùsettentrionale dell’Isola di Vancouver, ospi-ta una delle più importanti comunitàkwakwaka’wakw (kwakiutl) che vi ha erettoun famoso museo, U’Mista Cultural Centre,dove è custodita parte delle maschere e de-gli oggetti cerimoniali da potlach confiscatinel 1922 dai canadesi e restituiti nel 1979;gli altri oggetti e maschere sono esposti nelKwagiulth Museum and Cultural Centre diQuathiaski Cove a Quadra Island.

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Sandra Busatta

La provincia canadese della ColumbiaBritannica ha sempre basato la suaeconomia sulle risorse primarie, dallepellicce e dall’oro dei tempi eroici, finoall’industria che sfrutta il carbone, illegname e l’oro rosa, il salmone, tramiteil lavoro salariato di indiani, bianchi eorientali.Quando la Columbia Britannica entrònella federazione canadese nel 1870 gliindiani costituivano circa il 70% dellapopolazione, cioè circa 40.000 persone,ma nel 1929 essi erano solo 22.000, il3% degli abitanti. La popolazione nonindiana, però, era concentrata per trequarti nella valle del fiume Fraser enella parte sudorientale dell’Isola diVancouver e si espanse in seguito nellearee dei Kootenay, di Okanagan e diKamloops, lasciando il resto dellaprovincia dipendente dalla manodoperaindiana.Ancor oggi moltissimi lavoratori dellaregione sono impiegati in modo nonpermanente, spostandosi dove c’è illavoro a seconda del periodo dell’anno;così non è insolito alternare la pescacommerciale in estate e autunno con lesegherie, il taglio e il trasporto tronchi ininverno e primavera, combinandotalvolta lavoro salariato e sussistenza.Fin dagli anni a cavallo di questosecolo, tlingit, haida, nootka, kwakiutl,

bella bella, bella coola, tsimshian,nishga, gitskan e salish della costa sispostano dai loro villaggi per andare alavorare alle fabbriche del salmone inscatola in estate o per raccogliere illuppolo nello stato di Washington.Ancora oggi la base economica di granparte degli indiani della Costa Nord-ovest è costituita da pesca commerciale,industria del legname, professioni(specialmente nella scuola e nel clero),impieghi negli uffici tribali e un po’ dicaccia con le trappole, in Canada e inAlaska. L’economia familiare viene poiintegrata da prodotti dell’orto, raccolta dibacche e lavori artistici per il mercatoturistico, come la fabbricazione di cesti ela scultura in legno.Gli indiani di solito preferiscono, oggicome un tempo, lavorare per contoproprio o in piccoli gruppi di nativi eprediligono mestieri dove possonodecidere i propri ritmi, i propri metodi e irapporti sociali sul posto di lavoro senzasupervisione esterna, ma possonolavorare insieme a non indiani in postirelativamente standardizzati, se la paga èbuona o non c’è altra scelta. È nelperiodo dopo il 1870 che gli indianiacquisirono schemi di lavoro che,benché definiti “tradizionali” oggi, nonavevano niente a che fare con l’econo-mia indigena precedente, anche sevecchi modi di sussistenza potevanosopravvivere. Per lungo tempo, comun-

que, i lavoratori indiani continuarono aidentificare se stessi come membri diparticolari comunità “tribali”, verso cuisentivano responsabilità sociali efamiliari e a cui tornavano nella stagionemorta. Solo all’inizio del Novecentocominciarono a concepire se stessi come“indiani” e come membri di una classeoperaia più vasta.Durante il decennio 1870 le donnenative trovavano la loro fonte principaledi lavoro salariato nelle fabbriche diinscatolamento del salmone, ocanneries, e, per i successivi venti anni,esse costituirono la gran massa dellaforza lavoro di questa industria dallaColumbia Britannica alla Californiasettentrionale. In realtà, anche seall’inizio del Novecento vennero inparte sostituite da manodopera orientale,le operaie indiane restarono un’impor-tante fonte di forza lavoro a nord delFraser fino alla Seconda GuerraMondiale e oltre. Le donne migravanocon i mariti e altri familiari per lastagione alle canneries, anche se alcunecomunità crebbero intorno alla fabbricadiventando una specie di companytowns indiane, come i villaggi tsimshiandi Kitasoo, Kitkhtla, Namu e soprattuttoHartley Bay, dove si venne a creare unceto di capisquadra e “direttori delpersonale” indigeni. Quando l’antropo-logo Franz Boas visitò Port Essingtonsul fiume Skeena nel 1888, descrisse la

Gli indiani dell’industria del pesce hanno costi-tuito il nucleo duro delle fabbriche della Colum-bia Britannica.

Industrie alimentari

Salmone: l’oro rosa

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HAKOMAGAZINEvita della cannery Robert Cunningham,dove lavoravano circa 600 indiani traoperaie e pescatori della compagnia.Alcune famiglie indiane affittavano lecasette aziendali, mentre altre vivevanoin tende e tutti compravano al negozioaziendale tramite “buoni”. Un gioiellieresi guadagnava da vivere girando per ivillaggi delle canneries lungo la costa eriparando gli orologi dei pescatori edelle operaie indiane.L’industria del salmone aveva avuto uninizio lento negli anni 1840, quando laHudson Bay Company aveva comincia-to a esportare salmone salato in GranBretagna e nelle Hawaii, ma il futurodella pesca commerciale stava nellosviluppo del processo di inscatolamento.Nel 1860 gli studi di Pasteur sui batteriresero possibile un primo passo verso laconservazione alimentare, ma solo dopomolti miglioramenti tecnologicisviluppatisi in Francia, Inghilterra e StatiUniti, furono stabiliti in modo definitivoi principi fondamentali per la conserva-zione dei cibi in scatola.Le prime canneries del Pacificoapparvero sui fiumi Sacramento eColumbia negli USA alla fine deldecennio 1860. Nel 1876 la legislazionedella California venne cambiata alloscopo di riconoscere la vendita delsalmone dei fiumi della Californiasettentrionale. L’Indian Bureau fece unaccordo con un certo Mr. Baumhoff perl’uso esclusivo di manodopera indiana ecosì aprì il primo stabilimento disalmone salato nel 1877. Gli indiani apoco a poco cambiarono economia,passando dalla pesca tradizionale disussistenza e per il baratto, alla pesca perla vendita ai bianchi e, nel 1889,addirittura formarono un sindacato dipescatori indiani. La pesca si sviluppò eper il 1912 alla foce del fiume Klamathoperavano tre canneries, in cui lavora-vano donne e bambini yurok e di altretribù. Alcuni bianchi, mariti di donneindiane, entrarono nel monopolioindiano della pesca, finché la regola del“solo indiano” cominciò a dissolversinegli anni Venti.La prima cannery della ColumbiaBritannica aprì nel 1870 sul Fraser;l’industria del salmone in scatola, inparticolare il salmone rosso, o sockeye,si diffuse poi sullo Skeena e il Nassfinché negli anni 1890 era diventata unadelle tre più importanti fonti di reddito

della provincia. Le canneries sorgevanoin genere in baie riparate, su isolette oalla foce dei fiumi, perché l’acqua dolceera cruciale per la fabbrica; per la finedel XIX secolo nella provincia venneroprocessati oltre 19 milioni di scatole disalmone da una libbra. La maggior partedelle forniture per questa industriaproveniva da Victoria, il cui portoesportava anche la maggior parte dellaproduzione. Anche oggi l’industria delpesce è una delle più importanti attivitàdella Columbia Britannica e in genere isuoi pescherecci catturano soprattuttosalmone, aringhe e halibut, anche seimportanti sono le sogliole, il merluzzo ela passera. Tre tipi di salmone vengonoinscatolati in Columbia Britannica: ilsockeye, il salmone rosa (pink) e ilchum, mentre il coho e il chinook sonovenduti soprattutto sul mercato del pescefresco.L’industria del salmone in scatola èpiuttosto fluttuante, con fabbriche cheaprono e chiudono e regolamentigovernativi che mutano luoghi di pescae metodi. È anche un’attività altamentestagionale, anche se la stagione cambiaparzialmente da un fiume all’altro, aseconda delle specie pescate e delle“corse” dei vari tipi di salmone. Ingenerale si può dire che le operazionicominciano gradualmente alla fine diaprile o a giugno avanzato, quandoinizia la stagione principale del sockeyefino all’inizio di settembre quandocomincia la cattura del pink o del chum.Le operazioni di imballaggio e dichiusura avvengono in ottobre e anovembre quasi tutte le canneries sono

chiuse.All’inizio i pescatori usavano barchettedi assi a remi e barche del Columbiacarenate a caravella, con vela e remi emanovrate da due persone. Era unlavoro spacca schiena, in cui uno stavain piedi tirando con i remi la barca el’altro stendeva la rete; su e giù per gliestuari si potevano incontrare inglesi,finlandesi, norvegesi, giapponesi eindiani. Era un lavoro diverso dallapesca tradizionale indigena e gliequipaggi indiani talvolta eranocomposti da uomini, ma anche da donnepescatrici o rematrici, con la differenzache le aziende non concedevano anticipialle rematrici come facevano con imaschi. Le pescatrici aiutavano qualchevolta i mariti nelle operazioni con lasenna a mano e, fino agli anni Trenta,spesso facevano parte di piccoleflottiglie di troller con lenza manuale,barche da merluzzo e canoe per la pescadell’halibut, sia per la sussistenza cheper la vendita. Fino al 1895 circa, lamaggioranza dei pescatori lavorava alledirette dipendenze di una cannery consalari che variavano dai 2 ai 3 dollaricanadesi al giorno, usando barche edequipaggiamento della fabbrica chepossedeva la licenza di pesca. In seguito,le pressioni dei pescatori bianchiaprirono il sistema delle licenze sulFraser a indipendenti, ma le canneriescontinuarono a mantenere il quasimonopolio delle licenze fornendo lebarche, l’attrezzatura, anticipi sul salarioe acquistando licenze di indipendenti equindi continuarono ad avere i propripescatori, soprattutto indiani e giappone-

Etichetta di una scatola di salmone di qualità red sockeye.

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N° 12si che, in genere, non potevano permet-tersi i rischi degli indipendenti, e chedovevano fronteggiare il cottimo deisalariati e le fluttuazioni di mercato. Vifurono comunque piccoli imprenditoriindiani indipendenti, di solito membridelle casate aristocratiche indigene, cheacquistarono piccole flottiglie di barchea motore, specialmente tra gli anni Ventie Trenta, organizzandosi insieme aipadroncini bianchi in associazioni dicategoria come la Queen CharlotteSalmon Trollers Association. Durante laguerra gli indiani parteciparono allapesca al salmone con la senna, favoritidalla domanda di lavoro e dai bassiprezzi dei pescherecci confiscati ainippo-canadesi e questo fu forse ilperiodo d’oro del piccolo imprenditoreindiano, ma dopo gli anni Cinquanta lecondizioni dell’industria della pescadeteriorarono e gli indiani non riusciro-no a far fronte alle fluttuazioni delmercato, alla pesca eccessiva, alcambiamento tecnologico e allamancanza di credito che affligge gliindiani, incastrati (anche se protetti) dauna legislazione speciale. La maggioran-za indiana, però, continuò a lavorare alledipendenze dirette delle canneries emolti diventarono membri o simpatiz-zanti della Pacific Coast Native Fisher-men’s Association o altri sindacati.Quanto alle canneries vere e proprie,usarono fin dall’inizio un’enormequantità di lavoro manuale con criteri dicatena di montaggio e continuarono ausarne molto anche dopo che varieoperazioni furono meccanizzate. Ilpesce era scaricato da facchini, tra cuimolti indiani, macellato, pulito e lavato,tagliato a pezzi e messo nelle scatole,che venivano caricate su vassoi, fattepassare attraverso processi al vapore e lacottura, chiuse e saldate, etichettate,messe in scatole e immagazzinate. Tuttequeste operazioni, compresa la fabbrica-zione dei barattoli di latta era fatta amano.Gli operai cinesi scapoli sotto contrattodi un China boss, che in generedormivano nella China House, undormitorio aziendale, macellavano ilsalmone e fabbricavano i barattoli,mentre le operaie indiane, insieme aqualche uomo e bambino, si occupava-

no di molte delle altre fasi. Negli USA,mentre nell’Ovest la teppaglia siabbandonava da tempo a tumulti controi cinesi, il Congresso approvò il ChineseExclusion Act del 1882. Queste leggicontro gli orientali si estesero in seguitoanche al Canada e il risultato fu,all’inizio del Novecento, la meccanizza-zione della fabbricazione delle scatoleper il salmone in California, tramite unamacchina denominata “il cinese diferro”, che poi si diffuse in tutte lecanneries. I pescatori giapponesivivevano nei dormitori o in accampa-menti aziendali alla periferia delle zonedi pesca, mentre le operaie giapponesiapparvero nelle canneries sul Fraserverso il 1910, ma furono poi discrimina-te insieme ai pescatori dalle leggi controgli orientali. I pescatori bianchi,anch’essi divisi per nazionalità, viveva-no nei loro accampamenti o nei villaggiintorno alle fabbriche della regione. Piùche un ambiente pluralista multiculturale

le canneries rappresentavano un buonesempio di rivalità e divisione etnica.Il lavoro dentro la fabbrica durava dieciore, superate durante il culmine dellastagione; era un lavoro sporco, puzzo-lente che si svolgeva in un ambientebagnato e richiedeva forza e velocità. Ilproblema principale era che il salariodoveva durare fino alla stagione ol’impiego successivo. Nel 1918, allacannery Mill Bay, il massimo salarioindiano era di $85 al mese, poco piùdella paga del 1895, senza alloggio econ i generi di consumo molto aumenta-ti. La maggioranza delle canneriesassumeva in modo relativamenteinformale le operaie indiane tramitereclutatori indiani e cinesi e aveva unnucleo di operaie indiane fisse chelavoravano alla riparazione delle reti eagli impianti. La paga era in genere acottimo, con un’ampia varietà di tariffe.Gli indiani, uomini e donne, parteciparo-no spesso a fermate e scioperi organiz-

Il “cinese di ferro”, una macchina checostruiva le scatole zincate, utilizzato alposto della manodopera cinese.

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zati o non organizzati; i pescatoricowichan dell’Isola di Vancouver sidimostrarono tra i più militanti ecostituirono la locale sezione delsindacato BC Fishermen’s Union. Ilprimo grande sciopero dei pescatori disalmone scoppiò nel 1883 sul fiumeFraser, organizzato dalla Fraser RiverFishermen’s Benevolent and ProtectiveAssociation, che reclutava bianchi eindiani, ma escludeva gli orientali. Ilrazzismo contro gli asiatici, soprattutto ipescatori giapponesi, fu la maggiordebolezza dei pescatori e degli operaidelle canneries.Nel 1904 una serie di scioperi sui fiumiSkeena e Nass furono guidati da indianinon sindacalizzati, tra cui si distinsecome leader un certo Nedildahld, unotsimshian di Port Simpson. Lo scioperodel 1904 coinvolse 800 pescatori e 200operaie indiani, ma il più drammatico fuquello del 1900 della BC Fishermen’sUnion contro i tagli di salari, checomprese picchetti di barche contro icrumiri, manifestazioni a Vancouverguidate dalla Port Simpson Indian BrassBand, una banda musicale di ottoni deipescatori tsimshian, e l’intervento delletruppe mandate dal governo provincialein appoggio ai padroni delle canneries,che gli scioperanti chiamarono ironica-mente “Fucilieri Sockeye”. Questosciopero, che vide gli indiani tra imilitanti più determinati e combattivi, fuun successo parziale, segnò l’inizio diuna vera attività sindacale nell’industriadel salmone e stabilì gli schemi di lottadei successivi quarant’anni. Durante gliscioperi le operaie delle canneries

scesero in lotta a fianco dei pescatoriindiani e non, che ottennero anche lasolidarietà militante degli scaricatori,tuttavia la grande ondata degli scioperidell’industria canadese alla fine dellaPrima Guerra Mondiale non coinvolseveramente l’industria del pesce dellaColumbia Britannica, cosa che avvennedurante il ciclo di lotte sindacali degliAnni Trenta.Nel 1912 i tlingit e gli haida alaskaniavevano fondato a Sitka l’Alaska Native

Brotherhood che, approfittando anchedella legge sulla cittadinanza del 1924,condusse importanti campagne contro lasegregazione razziale fino a ottenerel’Antidiscrimination Act del 1946 dalgoverno americano. Sul modelloalaskano, gli indiani della ColumbiaBritannica fondarono la British Colum-bia Native Brotherhood, che però fu piùefficace come sindacato che come vocea difesa dei diritti politici indiani. InColumbia Britannica, infatti, la situazio-ne degli indigeni si può riassumere conla frase “separati, ma diseguali”. Lacolonizzazione della provincia canadeseera stata non solo caotica, ma anchetroppo veloce e il governo federaleaveva fatto in tempo a negoziare solopochissimi trattati che proteggessero leterre e i diritti degli indiani, una situazio-ne che è oggetto di gravi controversieancora oggi. A parte il lavoro di duecommissioni governative che definivanole riserve, nessuna delle due aveval’autorità per fare trattati o estinguere iltitolo di proprietà indiano, per cui, a

Bandiera della Northern Native FishingCompany, Port Edward, British Colum-bia, Canada.Sotto: Inscatolatrici al lavoro negli anniVenti.

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BibliografiaKnight R., Indians At Work: An InformalHistory of Native Labour in British Colum-bia, 1858-1930, Vancouver 1978; Newell D.,Tangled Webs of History, Toronto 1994; YoungBlyth G., Salmon Canneries: British Colum-bia North Coast, Lantzville. BC 1991; DerryT. K.-Williams T. I., Storia della tecnologia,Torino 1977.

parte i trattati stipulati dalla coloniainglese con le tribù dell’Isola di Vancou-ver, non vi sono state cessioni formali diterre in Columbia Britannica. LaProclamazione Reale del 1763 e leprocedure seguite in Ontario e nelle altreprovince, qui furono semplicementeignorate. Gli indiani erano sottopostiall’Indian Act federale, che li poneva inuno status speciale e nel 1884 proibivaloro le maggiori cerimonie, il potlatch ela Danza Invernale. Le leggi provinciali,intanto, fin dal tempo della coloniadiscriminavano gli indiani, proibivanoloro di stabilirsi come coloni in fattorie(homesteading) e, insieme ad altreminoranze razziali, li privavano deldiritto di voto fino al 1949. Il diritto divoto federale, benché disponibile aiveterani di guerra, alle loro mogli e agliindiani che rinunciavano alle esenzionifiscali dell’Indian Act, non fu esteso agliindiani registrati nelle riserve fino al1960. La Columbia Britannica, da partesua, fino a poco tempo fa ha trattato gliindiani come “non cittadini” sotto laprotezione federale e non ha esteso isuoi servizi alle riserve. Gli indiani,perciò, si trovavano soggetti a gravipressioni quando tentavano di organiz-

zarsi, considerati dal governo provincia-le, ma non dai compagni di lavorobianchi che li accettavano nei lorosindacati, alla stessa stregua degliimmigrati.Due pericoli minacciavano intanto lepiccole canneries disperse lungo laCosta nordovest dalla Californiaall’Alaska: la pesca eccessiva e l’inno-vazione tecnologica. Con l’introduzionedelle gradi navi frigorifero, o tenders,infatti, non era più economico tenereaperte le remote, piccole fabbriche diprocessamento del salmone: uno allavolta Port Essington, Waterfall, RiversInlet, Butedale, Port Edward e tanti altrivillaggi sorti intorno alla propriacannery sono stati abbandonati el’inscatolamento del salmone si èconcentrato nelle enormi canneries dicittà come Namu e Prince Rupert. Orasolo qualche turista si aggira tra lecasette vuote degli operai e i macchinarifermi delle canneries fantasma, riciclate,in qualche caso, come esempio diarcheologia industriale.Dagli anni Sessanta in poi, la pescacommerciale si è in gran parte mecca-nizzata e le piccole canneries diproprietà tribale sono state in gran parte

costrette a chiudere. A Masset gli haidahanno continuato a gestire una canneryper l’inscatolamento del granchio e delsalmone, che dava lavoro all’89% degliabitanti delle Isole Queen Charlotte,dove l’80% della manodopera maschilelavora solo sei mesi all’anno nella pesca,ma nel 1965 l’azienda è stata compratada una ditta di Vancouver e chiusa.Questo episodio è emblematico dellasituazione di tante altre riserve indiane espiega perché oltre il 40% degli indianisi sia trasferito a vivere fuori dellariserva, in città, dove però, a causa delbasso livello di istruzione medio e dellascarsa specializzazione, soffrono più dialtri la disoccupazione.A Port Simpson i tsimshian hannocercato di fronteggiare la concorrenzadella pesca commerciale bianca e delmonopolio delle licenze con unacooperativa che ha vissuto dal 1975 al1985, mentre gli anni Settanta vedevanoun nuovo, breve boom con la pescadelle aringhe da uova per l’esportazionein Giappone, che si è in parte concluso acausa della pesca eccessiva, dellasovracapitalizzazione e del mercatoerratico. Negli anni Ottanta la maggioreazienda di pesca, la BC Packers, havenduto la sua flotta in affitto di 225pescherecci a tramaglio alla NorthernNative Fishing Company organizzata datre consigli tribali Tsimshian e sponso-rizzata dal governo, mentre nello stessoperiodo sono cresciuti in molte riserve iprogetti di fish-farming. Particolarmentefortunati sono i lummi, che oltre apossedere una cannery propria, neglianni Ottanta hanno battuto con la loroflotta l’oceano dall’Alaska alla Califor-nia portando oltre ¼ del pesce pescatonello stato di Washington.

Le donne Stó:lo erano essenziali per le operazioni di pulitura del pesce nelle canneries.

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HAKOMAGAZINE

Keith Carlson

Lungo il basso fiume Fraser, l’estremitàinferiore degli stretti di Georgia e lamaggior parte dello stretto Juan deFuca, tra lo stato di Washington negliUsa e la Columbia Britannica, Canada,vivono da tempo immemorabile delletribù chiamate collettivamente salishdella costa centrali, che parlano cinquelingue simili: Halkomelem, Squamish,Nooksack, Clallam e Northern Straits.Noi ci occuperemo soprattutto dellepiccole tribù che abitano a monte e avalle del basso Fraser, chiamati ancheStò:lo e Stalo, che parlano due dialettiHalkomelem. Il nome Stò:lo vieneusato come variante ortografica piùfrequente nell’area di Chilliwack, inColumbia Britannica, dall’inizio deglianni 1970 in sostituzione del nomeStalo – Upperiver Stalo e DownriverStalo – adottato da Duff (1952).L’Halkomelem è parlato lungo la costaorientale dell’Isola di Vancouver e sullaterraferma dalla foce del Fraser aoriente fino ad Harrison Lake e il bassoFraser Canyon e si distingue in tredialetti principali, Inland, Upriver eDownriver Halkomelem, anche se imovimenti stagionali degli indiani

Il caso delle tribù della valle del fiume Fraserdimostra come gli stereotipi antichi e modernioscurino il ruolo economico indiano.

Dentro e fuori il mercato

Mobilità e flessibilità

Pescatori carrier di salmoni, area del fiu-me Skeena, British Columbia, Canada.A p. 27: L’entrata della funivia a HellsGate sul Fraser.

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N° 12creano una unità maggiore di quantopotrebbe sembrare.Tradizionalmente le famiglie aristocrati-che Stò:lo possedevano collettivamentele proprietà più importanti, come aree dibacche e luoghi di pesca altamenteproduttivi, nasse, canoe di guerraparticolarmente elaborate, le piùimportanti lunghe case in assi di cedro ebeni immateriali come i nomi, chegarantivano l’accesso ereditario ailuoghi da sfruttare economicamente, ecanzoni, associate al potere spirituale,che dimostravano il grado di ricchezzaraggiunto dalla famiglia e dai suoimembri. I membri della classe inferiore,i comuni, potevano raccogliere bacche epescare in luoghi meno produttivi e piùremoti e in generale si associavanocome “clienti” alle casate aristocratiche.Gli schiavi, soprattutto donne, catturatinelle scorrerie o i figli di schiavi,svolgevano gran parte dei lavori, nonpossedevano nulla ed erano nonpersone. Gli Stò:lo, come gli altri indianidella Costa Nordovest del Pacifico,definivano e aumentavano il loro statussociale attraverso un processo diredistribuzione della ricchezza, soprat-tutto tramite la cerimonia chiamata dagliantropologi potlatch (dal Nootka,“donare”) o in Halkomelem, st’éleq.Questa distribuzione, che coinvolgevabeni accumulati dalla famiglia allargataper un lungo periodo di tempo, nondimostrava solo la generosità, masoprattutto la capacità di accumulareingenti ricchezze tramite il duro lavoro.Questo processo rinforzava lo statusdella classe superiore, mentre i membricomuni, incapaci di competere, eranogiudicati “pigri”, secondo una versioneindigena precapitalista dell’eticaprotestante.La “scoperta” iniziò per gli Stò:loquando il mercante Charley Barkleyscoprì nuovamente lo Stretto Juan deFuca nel 1787 ma, dato che il fiumeFraser non venne individuato fino al1808 dal mercante Simon Fraser dellaNorth West Company, gli indiani cheabitavano le sue rive godettero del flussodi merci europee solo per via commer-ciale indiretta. All’inizio degli anni 1820la Hudson Bay Company cominciò adesplorare la regione e, nel 1827, stabilìun posto commerciale, Fort Langley, sulfiume Fraser, salutato con gioia dagliindiani della zona, che fornirono al forte

lavoro, provviste e mogli pergli impiegati e i commercianti.Contrariamente alle aspettati-ve, però, gli Stò:lo nonmodificarono la loro econo-mia per fornire pellicce alforte, che ormai era prossimoalla chiusura quando il suofactor si accorse che gliindiani commerciavano invecevolentieri il loro salmone.L’esportazione di salmonesalato divenne perciò l’attivitàprimaria di Fort Langley; gliindiani fornivano anchemirtilli e nocciole, oltre amolto del lavoro agricolostagionale.Nel 1846 il Trattato diWashinton spaccò il paese deisalish della costa centrali indue porzioni, una americana euna canadese: inglesi eamericani avevano, infatti,trovato un accordo sul confinedel cosiddetto Oregon e, senzaconsultare gli indiani, li coinvolsero instorie politiche e burocratiche semprepiù difformi. Il sistema canadesetrasformava ogni grosso villaggioindiano in una “banda” con una o piùriserve minuscole; il sistema americanoraggruppava vari villaggi in “tribù” edava loro una riserva più grande, malasciava altri indiani senza terra.Nel 1858 iniziò la corsa all’oro delFraser, che riversò nella zona circatrentamila minatori: gli Stò:lo, che giàprima avevano portato al forte delminerale, non si persero d’animo e sitrasformarono in minatori e imprendito-ri. Il governatore Douglas osservavacome gli indiani fossero estremamentegelosi dei bianchi e si opponessero a chequesti scavassero l’oro, mostrandosideterminati a “scavare l’oro a propriobeneficio”. Era difficile anche assumeregli indiani come braccianti agricoli,perché erano occupati come minatori,guadagnando 2-3 dollari al giorno,quanto un bravo mercante. Quando,dopo un paio d’anni, le sabbie aurifere siesaurirono gli Stò:lo trovarono impiegocome facchini, guide e commercianti diprovviste per i cercatori che si trasferiva-no nei nuovi campi auriferi più a nord.La costruzione della Cariboo Road, chedava accesso a queste miniere attraversoil Fraser Canyon, era un’imponente

opera pubblica che apriva l’interno dellaColumbia Britannica e a cui gli indianiparteciparono in gran numero comemanovali. Essi furono anche in grado difornire servizi altamente specializzatinella realizzazione dei ponti sospesi,come il ponte Alexandra. Un capo,Captain John, organizzò il trasporto deicavi da una parte all’altra del Canyoncon le canoe; il suo nome indiano eraSwo’les, “diventa ricco”, cosa che luifece in poco tempo, spendendo i 2000dollari guadagnati in un potlatchmemorabile (il governatore ne guada-gnava 1000 l’anno di stipendio).Tra il 1879 e il 1885 quasi ogni Stò:lomaschio adulto lavorò alla costruzionedella Canadian Pacific Railway (CPR),fornendo legname per ponti e tunnel,mettendo giù traversine e binari,lavorando ai rinforzi in muratura dellemassicciate e così via. Quelli che hannodescritto le tremende fatiche dei cinesiche lavoravano alla CPR, spesso hannodimenticato che gli indiani lavoravanonelle stesse condizioni. Gli Stò:lo eranoanche molto richiesti come piloti emarinai dei battelli a vapore sul Fraser,per molto tempo dopo la corsa all’oro, ei loro villaggi servivano da posti delrifornimento di legname per le caldaie.L’arrivo delle canneries, le fabbriche diinscatolamento del salmone, si confece

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HAKOMAGAZINEmolto bene con le esigenze dell’econo-mia Stò:lo: gli indiani pescavano i primisalmoni estivi per le canneries esfruttavano le “corse” successive per leproprie esigenze alimentari e cerimonia-li. Anche la divisione del lavorotradizionale si adattava bene allerichieste di questa industria: gli uominipescavano e le donne processavano ilsalmone come operaie.Da tempo gli indiani del basso Frasercoltivavano patate, introdotte dallaHudson Bay Co., così quando la corsaall’oro finì e le nuove vie di comunica-zione portarono ondate di contadininella loro ricca valle, essi servironovolentieri come braccianti stagionali, madimostrarono scarso interesse a diventa-re contadini. Gli Stò:lo trovavano piùconveniente lavorare come salariati per icanadesi senza compromettere letradizionali attività stagionali di pesca eraccolta e senza assumersi tutti i rischidell’agricoltura. La mancanza cronica diforza lavoro dell’area permetteva agliindiani di spuntare buone paghe, chevenivano spese in grandi potlatch in cuigli aristocratici investivano in status nonil lavoro di una vita come un tempo, masolo di pochi anni.Quando il luppolo, usato nell’industriadella birra, divenne un raccolto econo-micamente importante nella valle delFraser alla fine degli anni 1870, gliStò:lo furono indispensabili al successodi questo cash crop fin dall’inizio erestarono centrali per 70 anni, fino aglianni 1940, quando i braccianti indianivennero sostituiti dalle macchineraccoglitrici. Anche questa industriafavoriva le attività sociali, economiche ecerimoniali tradizionali, facendo riunirecomunità di diversa provenienza.Agli inizi degli anni 1880 praticamenteogni famiglia Stò:lo faceva parte dellaforza lavoro capitalistica, pur operandoanche all’interno delle strutture tradizio-nali e, quando i lavori a tempo pieno siresero sempre più disponibili, solo pochiindiani si avvalsero di questa possibilitàeconomica, preferendo i lavori stagiona-li. Donne e bambini erano impiegatiregolarmente nei campi di luppolo, nellecanneries e come lavoratori agricoli edomestici. Anche gli uomini lavoravanonei campi di luppolo, ma potevanoscegliere una più vasta gamma di

mestieri, come il bracciante, il pilota e ilmarinaio sui battelli a vapore e ilmanovale della ferrovia. Il censimentodel 1881 mostra che su 524 uominiStò:lo tra i 14 e i 75 anni, solo 10 nonavevano un’occupazione riconosciuta ditipo europeo. Alla fine dell’Ottocento,quindi, gli Stò:lo potevano dire di averottenuto un discreto successo nell’adat-tarsi all’economia capitalistica, pursenza rinunciare del tutto alle proprietradizioni. Non solo gli aristocratici, maanche parecchi comuni, potevanoaccumulare in breve tempo le ricchezzenecessarie per aumentare il propriostatus con il potlatch. Tuttavia l’alba delXX secolo portava con sé tristi novità: imegaprogetti federali, come la CaribooRoad o la CPR, una volta terminati silasciarono dietro molti disoccupati, tracui molti braccianti cinesi che, incapacidi tornare in patria, si vendevano sulmercato del lavoro a metà paga rispettoagli indiani, spiazzandoli nelle canneriese nei campi. La ferrovia portò nell’Ovestcanadese, in particolare nelle ricca valledel Fraser, ondate di immigrati euro-canadesi che occuparono via via gliimpieghi più stabili, come quelli suibattelli a vapore. Nel 1901 la popolazio-ne della provincia era indiana solo per il5%. Negli anni 1930 e 1940 gli Stò:lodovettero far fronte alla concorrenzadegli immigrati mennoniti e altriimmigrati di origine europea, che siaccontentavano di salari inferiori ai loroe, più di recente, all’arrivo degli indù edei pachistani.Gli indiani non solo dovettero subireuna sempre maggiore marginalizzazionenegli impieghi stagionali che permette-

vano loro di continuare le attivitàtradizionali, ma vennero aggrediti anchead altri livelli dal governo canadese,tramite l’Indian Act che mirava adistruggere la loro vita tradizionale,proibendo ad esempio il potlatch fino al1951. Nel 1913 una enorme frana aHell’s Gate sul Fraser Canyon causatadai lavori della ferrovia provocò uno deidisastri ecologici più grandi d’America edecimò in modo drastico le corse deisalmoni, uccidendone a milioni. Ilgoverno rispose al disastro bandendo lapesca indiana e privilegiando i pescatorinon indiani. Gli Stò:lo e gli altri indiani,nonostante anni di battaglie legali nonsono più riusciti a recuperare del tutto iloro diritti di pesca; nel 1995 la pescacommerciale aveva assegnata una quotadel 94% del salmone sockeye del Fraser,i pescatori sportivi e gli indiani il 3%ciascuno.Intanto i manovali e i braccianti Stò:lovenivano esclusi dai lavori in cuiavevano dominato per tanto tempo acausa dei nuovi codici di esclusionerazziale negoziati tra sindacati eindustrie. Vennero approvati due livellidi salari, il più alto per i lavoratori euro-canadesi e il più basso per gli asiatici egli indiani, annullando anni di lottesindacali indiane che li avevano portatisu un piano di parità salariale con ibianchi. Questa discriminazione nonsolo aumentò la differenza tra bianchi eindiani, ma fece aumentare l’ostilitàdegli indiani contro gli asiatici.Prima della Seconda Guerra Mondialegli Stò:lo, ormai, potevano contare solosulla raccolta del luppolo nei campi diAgassiz e Chilliwack in Columbia

Pescatori carrier.

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N° 12

L’entrata dei paiute meridionali nel mercato comincia davvero presto per ilWest: nel 1849, quando i coloni si riversarono lungo la Vecchia Pista Spagno-la, detta anche Sentiero dei Mormoni. Per questi piccoli gruppi di paiute, chepercorrevano a piedi le impervie terre del Nevada meridionale e dell’Utahsudoccidentale, il lavoro salariato divenne ben presto il modo principale disussistenza, via via che gli immigrati occupavano le terre migliori. I paiuteerano troppo deboli per opporsi a gente dura e decisa come i mormoni, cosìpreferirono lavorare per loro, il che permetteva di godere di un tenore di vitatutto sommato migliore di quello tradizionale e della loro protezione armatacontro i cacciatori di schiavi per il New Mexico, i cavalieri nomadi ute. All’iniziofacevano i mandriani per le carovane, poi diventarono la manodopera indi-spensabile che contribuì alla grandezza della Chiesa dei Santi dell’UltimoGiorno, lavorando nella costruzione di case, chiese e forti, nei campi e almastello della lavandaia. Erano pagati quasi sempre in natura, in genere fari-na e ricevevano da mangiare sul luogo di lavoro, ma solo in quantità sufficien-te per il lavoratore stesso e non per la famiglia; perciò i paiute continuavano,con sempre maggiori difficoltà, a seguire parzialmente il ciclo tradizionale dicaccia e raccolta e a vendere piccole quantità di pinoli, fieno e pesce ai banchi.Ma la risorsa principale di questi indiani, quella che i bianchi desideravanoveramente comprare in una terra con pochissimi abitanti, era la loro forzalavoro, con impieghi a breve termine e pagamento con cibo o vestiti usati,immediatamente alla fine della giornata. Nelle città minerarie come Pioche,nel 1860 i paiute eseguivano praticamente ogni compito tranne quelli megliopagati, come il minatore, e ricevevano un salario quattro volte inferiore a quellodei bianchi. Mentre la continua crescita delle città, dell’agricoltura a irrigazionee degli allevamenti riduceva il territorio per la caccia e la raccolta indiana, illavoro salariato diventava sempre più importante: nel 1880, a soli trent’annidal primo contatto significativo con gli euroamericani, i paiute meridionali di-pendevano da loro per il 60% della loro economia, mentre il restante 40%comprendeva caccia e raccolta e distribuzioni di derrate da parte del governoo delle chiese.I paiute venivano assunti individualmente e non tramite boss indiani o gli agentibianchi, come in altre regioni e non riuscirono mai a organizzarsi per ottenereun minimo di controllo sul loro salario, che continuò ad essere pagato in natu-ra – e il valore della merce era stabilita dal datore di lavoro – fino agli anni Ventidi questo secolo. Tra il 1872 e gli anni 1920 il governo americano istituì dellepiccole riserve a Moapa, Shivwits, Kaibab, Las Vegas e altre località, ma gliindiani si guardarono bene dal rinchiudersi in riserva, dove la base territorialeera troppo piccola per sopravvivere e dove non c’era lavoro, e continuaronoad andare dove potevano procurarsi un salario, nonostante le lamentele degliagenti. Minacciati nella loro carriera, nei decenni 1910 e 1920, alcuni di questiagenti cominciarono a comprendere il ciclo della flessibilità del lavoro indianoe iniziarono a offrire lavori in riserva nei periodi morti invernali – costruzione distrade, di fossi d’irrigazione, di edifici e recinti e a ottenere prestiti per costruiredelle fattorie indiane. Ma i paiute usarono il ricavato di questa attività per com-prare carri, cavalli da tiro e finimenti e, più tardi, Ford T con cui andare araccogliere meloni, ravanelli e barbabietole da zucchero nei campi dei nonindiani. E quando le autostrade aprirono nuove possibilità di andare ancorapiù lontano i Paiute erano là, pronti a correre nei cantieri dei megaprogetticome la diga Boulder (ora Hoover). I paiute meridionali continuarono ad esse-re la spina dorsale del lavoro salariato agricolo fino agli anni 1940, quandocominciarono a venire soppiantati prima dai navajo e poi dagli immigrati mes-sicani e latinoamericani. (Claudio Ceotto)

BibliografiaKnack, M.C., Nineteenth-Century Great Basin Indian Wage Labor, in Littlefield, A-Knack,M:C (ed.), Native Americans and Wage Labor, Norman 1996.

Paiute: cacciatori di lavoroBritannica e negli stati di Washington eOregon in USA. Qui si trasferivanointere famiglie e, mentre i giovani e gliadulti raccoglievano le infiorescenze, levecchie badavano agli infanti e sioccupavano dei pasti e degli altri servizidomestici. I braccianti cinesi qui nonerano competitivi perché, con la tassarazzista sulla “testa cinese”, potevano fararrivare le famiglie dalla Cina, congrande difficoltà, e quindi si trovavanoprivi di chi poteva fornire loro i servizidomestici di riproduzione della forzalavoro. Tuttavia l’innovazione tecnolo-gica degli anni Quaranta meccanizzò laraccolta del luppolo, togliendo agliindiani un altro sbocco di lavorosalariato.La progressiva marginalizzazione degliindiani e la continua aggressioneall’economia di sussistenza tradizionaleall’inizio di questo secolo, insieme alladisorganizzazione sociale provocatadalle politiche federali, ha creato graviproblemi sociali, come l’alcolismo, etassi di sottoccupazione e disoccupazio-ne cronica intorno al 50%. Nel 1991 ilcensimento mostrava nella categoria“disoccupati” il 32% dei maschi sopra i25 anni e il 50% delle donne Stò:lo,mentre gli occupati continuavano apreferire i lavori stagionali. I recentiaccordi che tendevano a trasferire unacerta capacità di auto-governo alle tribù,hanno creato un piccolo ceto impiegati-zio-manageriale (7%), mentre il governofederale ha decentrato a quello provin-ciale molti servizi che hanno apertooccasioni di lavoro e hanno teso adaumentare il livello scolastico degliindiani, anche se ancora nel 1991 ben il32% degli Stò:lo non possedeva undiploma di scuola superiore, contro il20% dei canadesi, tuttavia avevanol’8% di laureati contro il 5% deicanadesi.La storia lavorativa degli Stò:lo dimostrauna volta di più come la disoccupazionee la marginalizzazione indiana sia stataindotta dalle politiche congiunte deigoverni federale e provinciale che neportano la responsabilità, insieme allechiese che le hanno in parte gestite e aisettori privilegiati bianchi di classeoperaia; lo stereotipo dell’indianoalcolizzato e disoccupato ne è la tragicaconseguenza diretta.

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HAKOMAGAZINEA fianco: Il Quebec Bridge dopo il disa-stro. «La gente pensava che il “disastro”[delQuebec Bridge, N.d.T.] avrebbe allontanato gliindiani dall’edilizia in acciaio così ben pagata- racconta un metalmeccanico mohawk - in-vece questo rese il lavoro ancora più interes-sante. Li fece diventare orgogliosi di sé, perchèerano capaci di fare un mestiere così richioso.»Sotto: Ironworker ad Akwesasne, 1980. L’af-fermazione che i mohawk siano immuni da ver-tigini perchè abituati a camminare negli stret-ti sentieri della foresta, è una “leggenda urba-na”, «la verità è che le vertigini passano, se idollari sono tanti!» - come disse il seneca MikeMyers.A p. 31: Stemma del Sindacato dei lavoratoridell’edilizia in acciaio.

Lavoratore metalmeccanicoPer Peter

Maurice Kenny (mohawk)

Al caldo della notte di Brooklyn eravamoin un bar a bere birra, ed egli disse,

«Risalendo il cielo su solide travid’acciaio sotto i piedi, il vento mi tiene in

equilibrio;dopo il lavoro la birra fa piacere inquesti bar di quartiere a Nevins Street,ma con il buon salarionon vi è nulla per cui pregarequi nel ghetto di Brooklyndove i miei figli non sannose sono neri o portoricani;troppi bar a Nevins Street, troppebirre mi stordiscono; mi dimentico dicantare e un giorno scivolerò da quellealte travi d’acciaio.»

E afferrò le oscure manidi Lupo e Orso e Tartaruga.

(da Parole nel Sangue, trad. Franco Meli)

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N° 12

John Hurley

All’inizio del XX secolo la comuni-tà mohawk di Caughnawaga (oKahnawake), situata a qualche migliodal centro di Montreal, si adattò conprontezza passando da un’economiabasata sull’agricoltura di sussistenza auna basata pesantemente su redditoproveniente da lavoro salariato operaio.Mentre il tipico lavoratore indiano acavallo del secolo sgobbava in occupa-zioni a basso salario, non sindacalizzatee non specializzate in industrie margina-li, un ragguardevole numero di uominiCaughnawaga entrava nella forzalavoro industriale unendosi a un’élitenell’ambito delle costruzioni e diventan-do famoso come operai siderurgicidell’edilizia. Un numero molto maggio-re, però, lavorava in mestieri menoremunerativi nella fonderia dell’impian-to siderurgico e meccanico dellaDominion Bridge Company a Lachine,dove era prodotta gran parte deimanufatti in acciaio utilizzata daimetalmeccanici canadesi.Il lavoro salariato era noto ai mohawksfin da prima della loro entrata nell’indu-stria delle strutture d’acciaio. Durante ilXVIII e il XIX secolo, molti Caughna-waga lavoravano come voyageur nelmercato delle pellicce o come guidefluviali sugli infidi fiumi del Canada.

Nei censimenti decennali canadesi del1881 e del 1891, circa un terzo degliuomini adulti occupati nel villaggioriferivano di lavorare come voyageur. ACaughnawaga erano soprattutto iresidenti bianchi a svolgere mestiericome il falegname e il fabbro, ma unfolto gruppo di mohawk lavorava comebraccianti agricoli, un numero legger-mente maggiore lavorava nelle localicave di pietra e altri impersonavanoruoli indiani nei circhi viaggianti. Dallafondazione di Caughnawaga comemissione gesuita negli anni 1660 in poi,molti uomini del villaggio avevanoanche servito nelle forze armate francesi,britanniche e canadesi.Nonostante la presenza diqueste forme di lavorosalariato, una risicatamaggioranza di uominiindiani nella riserva eraoccupata nell’agricolturafamiliare nel tardo XIXsecolo (poche donneavevano un’occupazioneregistrata nel censimen-to). Dei 402 maschiindiani sopra i 14 annirilevati a Caughnawaganel 1881, che avevanoun’occupazione redditizianel censimento, 211 eranodefiniti come contadini, o

“figli di contadini”, che non andavano ascuola. I dati del reddito raccolti per ilcensimento del 1901 suggerisconochiaramente che i contadini eranooccupati soprattutto nell’agricoltura disussistenza; il reddito medio deicontadini maschi era di cento dollari e,quasi in ogni caso, anche questo redditoera classificato come denaro guadagnatoal di fuori della principale attivitàagricola dell’intervistato.Nel periodo fine secolo l’agricolturavenne velocemente soppiantata dallavoro salariato. Per il 1901 la propor-zione di indiani occupati in modoredditizio nella riserva, che si auto

Un gruppo di mohawk riesce a entrare in unmestiere ad alto rischio, ma alla pari con i bian-chi per paga e sindacalizzazione.

Indiani e grattacieli

Ironworkers

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HAKOMAGAZINEdefinivano agricoltori, era scesoal 29%. Tra il 1881 e il 1921 ilnumero di fattorie coltivate aCaughnawaga era sceso da 260 a102, mentre le dimensioni mediedelle fattorie aumentavano solodel 20%, da 35,2 a 42,1 acri.Alcuni indiani Caughnawaga,che abbandonarono l’attivitàagricola in questo periodo,cominciarono a lavorare nellafabbricazione e nell’assemblag-gio di strutture in acciaio perponti e edifici. I mohawkentrarono nell’industria siderur-gica negli anni 1880 o 1890,proprio all’inizio della storia diquesto tipo di costruzione. Neldecennio seguente, sia il lavoro siderur-gico e meccanico sia quello di fonderiadivennero un’occupazione comune per imohawk e l’industria delle costruzionicostituì una parte importante dellavisione di sé della comunità Caugh-nawaga. Gli uomini che riuscivano adentrare nella siderurgia edile, si univanoa un settore della classe operaia relativa-mente agiato che, negli altri casi, erasoprattutto riservato ai bianchi. Cosaancora più insolita, gli operai mohawkspesso lavoravano con i bianchi su unabase integrata in un’epoca in cui lamaggior parte dei lavoratori nonspecializzati in Nordamerica eranoconfinati all’interno dei loro mestieri,lavorando entro i limiti geografici delleloro comunità etniche e unendosi insezioni sindacali segregate qualorafossero organizzati.A Caughnawaga la tradizione oralesostiene che gli uomini entrarono per laprima volta nel lavoro high steel(siderurgia edile) nel 1886, quandovenne costruito un ponte ferroviario perla Canadian Pacific Railroad attraversoil fiume San Lorenzo da Caughnawagaa Lachine, Quebec. I rapporti dei localiagenti indiani del periodo mostrano che imohawk lavorarono effettivamente aquesto ponte. Tuttavia le fonti scritte nonchiariscono se i mohawk lavoraronocome operai metalmeccanici o comesemplici manovali e il censimento del1891 non scoprì alcun operaio dell’ac-ciaio nella riserva. La prima apparizionedegli ironworkers avvenne nel censi-mento del 1901, quando ventinovemohawk dichiararono quel mestierecome loro prima occupazione. Una

informazione comparabile non è ancoradisponibile per i censimenti successivi,ma trentatré operai metalmeccaniciCaughnawaga morirono in un soloincidente nel 1907.Gli ironworkers (operai metalmeccanicie siderurgici) assemblano struttured’acciaio di ponti, grattacieli, chiuse dicanali, scaffali di biblioteche e celle diprigione. All’inizio del secolo il mestiereprevedeva che si dirigessero gli operato-ri delle gru in modo che i pezzi d’acciaiovenissero collocati nella posizionecorretta, legando temporaneamenteinsieme i pezzi mentre si aspettaval’intervento della squadra di rivettatori el’espletamento di numerose operazionisussidiarie. Il lavoro più importante,comunque, era la rivettatura: questa nonera un’operazione altamente specializza-ta, ma gli operai spesso dovevanolavorare in piedi o seduti su struttureparzialmente assemblate a dozzine ocentinaia di metri nel vuoto sopra imarciapiedi cittadini o i fiumi. Spessodovevano muoversi da un posto all’altrodelle strutture a cavallo delle travid’acciaio da collocare in sito o ancheafferrandosi direttamente alla catenadella gru e talvolta eseguivano riparazio-ni su ponti ferroviari in attività, schivan-do le locomotive. Durante i primi annidell’industria siderurgica e meccanica,lo stato primitivo dell’ingegneriastrutturale aveva come conseguenza chemolte opere crollavano durante i lavori.L’abilità più richiesta nelle costruzioniera quella di evitare gli incidenti sullavoro in queste condizioni. I resocontidelle compagnie d’assicurazione e deisindacati durante la prima parte del

secolo mostrano che gli ironworkersavevano un tasso di morti bianche quasitre volte superiore a quello degli altricolletti blu. Su una carriera di oltretrent’anni, un metalmeccanico dell’edili-zia correva un rischio di morte acciden-tale maggiore di dieci volte rispetto aquello corso da un comune lavoratoremanuale.Nell’incidente più famoso dell’epoca,76 operai vennero uccisi nel crollo delponte parzialmente costruito QuebecBridge, presso Quebec City, a queltempo il maggior progetto di costruzio-ne in acciaio mai tentato. Trentatré dellevittime, tra i 14 e i 48 anni, eranomohawk di Caughnawaga. Il crolloavvenne dopo uno sciopero per ottenereche l’appaltatore pagasse i costi deltrasporto fino al luogo di lavoro; la lottaera fallita, ma un certo numero diuomini salvarono inconsapevolmente lapropria vita rifiutandosi di tornare allavoro.Sorprendentemente l’ingegnere capodella Phoenix Bridge Companytestimoniò all’inchiesta del magistratoinquirente: «Sono assolutamente certoche le specifiche e i piani prevedevanouna costruzione del ponte sicura e ionon avrei paura a seguire le stessespecifiche e gli stessi piani per lacostruzione di questo stesso ponte».Le opportunità d’impiego dei metalmec-canici dell’edilizia erano concentrate aNew York e quasi la metà degli iron-workers degli Stati Uniti si trovava inquesto distretto. Avvantaggiandosi di undiritto per trattato che consentiva loro dilavorare su entrambi i lati del confine,molti mohawk seguirono l’industria a

“Pausa Pranzo in cima a un grattacielo”, fotografia di anonimo del 1932.

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N° 12New York, lavorando là per la primavolta almeno dal 1908. Negli anni Ventistabilirono a Brooklyn una piccolacolonia mohawk che doveva sopravvi-vere fino agli anni 1990. Mentre qualchemohawk trovava lavoro regolarmentedalle basi in riserva o a New York, altriviaggiavano su lunghe distanze pertrovare un’impiego in aree rurali,vivendo talvolta per mesi interi in tendeaffollate o in box per auto mentrelavoravano su remoti ponti ferroviari.I mohawk entrarono nell’ industriasiderurgica e meccanica in un periodo incui il mestiere stava migliorandorapidamente. Negli anni 1880 gliironworkers guadagnavano più deglialtri operai industriali, ma molto meno diquelli che lavoravano in altri rami dellecostruzioni come i falegnami, gliimbianchini o i muratori. Dopo duescioperi falliti all’inizio degli anni 1890,a New York City per nove ore di lavoroal giorno gli ironworkers guadagnavanomeno di quanto guadagnassero imanovali edili in otto ore. Per il 1910,tuttavia, un sindacato forte e unacontinua espansione del settore dellacostruzione dei grattacieli portarono isalari a un livello che era il massimo chepotesse guadagnare un colletto blu, tantoche nel 1920 il giornale del sindacatometalmeccanici edili offriva occasional-mente consigli per investire in azioni.In questo periodo i mohawk formaronoil solo gruppo significativo di nonbianchi nel settore sindacalizzatodell’industriasiderurgica emeccanica.Come altrilavorispecializzatinelle costru-zioni,l’edilizia inacciaio eraappannaggiodi americani ecanadesi diorigineeuropea diprima esecondagenerazione.Gli irlandesiamericani (siaprotestantiscoto-irlandesi

nota* Il dr. John Hurley sta conseguendo il PhDpresso l’Università di Harvard ed è docentedi storia al Pasadena City College.

BibliografiaBlanchard D., High Steel! The KahnawakeMohawk and the High Construction Trade, inThe Journal of Ethnic Studies, Summer 1983;Hill R., Skywalkers: A History of Indian Iron-workers, Brandford, Ontario, 1987.

“ Hard Hat” di Richard Glazer-Danay (mohawk), Museodelle Sei Nazioni, N. Y.

che cattolici) dominavano il settore aNew York e avevano una saldapresa sulla leadership sindaca-le. I racconti della costruzionedel Metropolitan Life aNew York City nel 1908, aquel tempo l’edificio peruffici più alto del mondo,parlano di immigratiirlandesi, svedesi, franco-canadesi, italiani, inglesi,anglo-americani e dimohawk, che lavoravanofianco a fianco. Natural-mente nel Quebec imetalmeccanici dellecostruzioni non mohawkerano per lo più francofoni. C’erano deineri e degli asiatici che lavoravano nellametalmeccanica edile non sindacalizza-ta, ma i tentativi del sindacato interna-zionale di indurre le sezioni sindacalilocali ad accettare i neri, dopo la primaguerra mondiale, non ebbero successo.Esistono molte meno informazioni suilavoratori di fonderia mohawk allaDominion Bridge Company. Le officinedi fabbricazione dei pezzi eranosindacalizzate solo sporadicamente,sicché i soli resoconti rimasti provengo-no dalla direzione che prestava scarsaattenzione alle condizioni dei lavoratori.I resoconti del Dominion canadese deltempo non gettano luce su questionicome i livelli salariali e le condizioni dilavoro, la segregazione o l’integrazionedelle fabbriche e non forniscono

Motrice a vapore sul Quebec Bridge.

neppure i nomi dei lavoratori. E’ chiaro,comunque, che erano molto piùnumerosi i residenti di Caughnawagache lavoravano nella fonderia diLachine di quelli impiegati nellasiderurgia delle costruzioni; il censimen-to del 1901 in riserva registravasettantacinque fonditori indiani, più deldoppio dei metalmeccanici.La storia dell’adattamento di Caugh-nawaga all’economia del salarioassomiglia, in qualche modo, a quella dialtre riserve indiane. Un’economialocale vecchia di 250 anni basatasull’agricoltura di sussistenza diederapidamente luogo al lavoro industrialeuna volta che sorsero le opportunitànell’industria dell’acciaio edile. Comun-que Caughnawaga era insolita tra lecomunità indiane per la presenza di unconsistente numero di operai dellecostruzioni specializzati con un altosalario. Gli ironworkers mohawkformano un altro affascinante capitolodella storia di questa interessantecomunità.

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HAKOMAGAZINE

Ferruccio Gambino

Ottant’anni fa, a Butte, nel Montana,veniva assassinato Frank Little (1879 -1917), uno dei più coraggiosi e instanca-bili organizzatori degli IndustrialWorkers of the World, la maggioreformazione rivoluzionaria nordamerica-na del primo trentennio di questo secolo.Era il primo agosto del 1917: intanto aPietrogrado i bolscevichi chiudevano illoro sesto congresso con lo slogan «tuttoil potere ai Soviet», nonostante l’opposi-zione di Lenin, mentre proseguival’addestramento di due milioni digiovani statunitensi da lanciare nel fangodelle trincee europee.Little era di padre americano quaccheroe di madre cherokee, discendente quindidella tribù indiana che nel 1830-38 erastata spogliata delle sue terre nel Sudeste deportata dall’esercito federale nelWest lungo quello che i cherokee stessichiamarono il Sentiero delle Lacrime.Minatore dall’adolescenza, nel 1900Little era già membro della WesternFederation of Miners. Il programma delsindacato si distingueva per la campa-gna contro le decurtazioni salariali, laresistenza alle tecniche minerarienocive, il bando della discriminazionerazzista e la solidarietà nei confronti deicompagni di lavoro colpiti dalla silicosi.Fu tra i militanti della Western Federa-tion of Miners, temprati dalla mobilitàsul territorio, dagli scontri con le armidello stato, dagli scioperi e dall’agitazio-

ne, che Frank Littlecompì il suo altoapprendistato politico.Nel 1906-7, insiemecon il grosso deicompagni dellaWestern Federation ofMiners, Little passaagli IndustrialWorkers of the World(I. W. W., prestosoprannominatiwobblies), l’organiz-zazione internaziona-lista e libertariafondata l’annoprecedente a Chicagosu una piattaformasindacale di lotta diclasse e di sindacali-smo industriale senzadiscriminazioni, innetta rottura con ilchiuso sindacato dimestiere dell’Ameri-can Federation ofLabor. Per il resto deisuoi giorni, la vita di Frank Little siidentifica con l’I. W. W.Nel 1908-1909 Little è attivo nelle lottebracciantili contro le agenzie private dicollocamento. Tra i braccianti stagionaliesse sono conosciute come “gli squali”.Esse costringono i lavoratori agricoli apagare in anticipo un ingaggio adistanza che poi si rivela inesistente, mache mette a disposizione dei datori di

lavoro una quantità enorme di bracciantiridotti al verde dal viaggio e pronti adisputarsi mansioni che durano pochesettimane, se non pochi giorni. Iwobblies organizzano innumerevolicomizi volanti di fronte alle agenziedegli “squali”, all’insegna del diritto diparola. Il primo grande scontro avvienea Spokane, nello stato di Washington,dove Little viene arrestato con altri 150

Perchè non c’è stato un secondo Sentiero delleLacrime.

Sindacalismo

Frank Little

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N° 12militanti il 2 novembre 1909. Nei mesiseguenti, da tutto il West centinaia dialtri wobblies accorrono a dar man forteai compagni di Spokane e ne intasano leprigioni finché l’amministrazionecomunale deve concedere il diritto diparola, di stampa e di pubblica manife-stazione. Nel 1910 Little è alla guida diun analogo movimento a Fresno. Lìarrivano tra gli altri 150 wobblies diPortland, Oregon, viaggiando abusiva-mente in treno fino al confine con laCalifornia, dove scendono per evitare lapolizia ferroviaria. A piedi percorrono leultime 300 miglia, attraversando sottouna tempesta di neve i monti Siskiyou.Dopo un lungo scontro, nel marzo del1911 i wobblies hanno ragione deinotabili di Fresno.A seguito dell’esperienza vincente aSpokane, Fresno e in altre città del West,Frank Little diventa il fautore piùconvinto tra i wobblies di uno sforzoorganizzativo che metta insiemeproletari delle più diverse nazionalità,pagando la sua tenacia con minacce,intimidazioni e carcere. Attivo inCalifornia nel 1910, con gli scarsi mezzia disposizione mobilita i bracciantigiapponesi e messicani contro lecondizioni discriminatorie in cui sonocostretti a vivere dai notabili e dagliagrari locali, riuscendo a fondare unasezione degli I. W. W. tra i braccianti aFresno, nel cuore della California agro-industriale. È lì che Little comincia adagitare la parola d’ordine dell’azionediretta.Organizzatore itinerante, invece difermarsi in una della città californianedove ha costituito gruppi di I. W. W.,Little continua a percorrere in lungo e inlargo tutto il West viaggiando clandesti-namente sui treni merci e moltiplicandole adesioni agli I. W. W. con l’agitazionee la propaganda tra i braccianti stagiona-li, i boscaioli, i lavoratori del legno, iminatori. È il programma riassunto nelloslogan: «costruire una nuova societànella conchiglia della vecchia». Nelmarzo-aprile del 1913, Little guida ilmovimento vittorioso per la libertà diparola a Denver. Già nell’inverno del1911-12, Little aveva organizzato unaprima campagna di lavoratori migranti aKansas City, Missouri, ma all’inizio del1914 i notabili della città rompono ipatti e impongono il blocco dell’«agi-tazione di strada». Frank Little torna a

Kansas City. Dopo i soliti arresti, le celledi punizione, l’alimentazione a pane eacqua e poi un lungo sciopero dellafame di massa, l’amministrazionecapitola. È l’8 marzo del 1914. Il brevetelegramma degli I. W. W., scritto neltipico stile di Little, dice tra l’altro:«Ancora una volta l’azione diretta haprodotto i risultati».Nel settembre del 1914, al nonocongresso degli I. W. W. di cui entraallora nel direttivo, Frank Little è il piùdeciso esponente di un grande sforzoorganizzativo sindacale tra i braccianti,anche in previsione della crescita dellaloro forza contrattuale. Secondo Little,«occorre fornire dei mezzi per un’azioneconcertata ed efficace durante i raccoltiagricoli del prossimo anno». Laprevisione si rivela tempestiva: lacrescente importanza dell’agricolturastatunitense nell’economia internaziona-le di guerra si regge sulle spalle deibraccianti che sono pronti a mobilitarsi:non per lo sciovinismo, ma per un’of-fensiva a sostegno dei propri interessi. Ilnono congresso approva la posizione diFrank Little e l’I. W. W. costituiscel’Ufficio per i Lavoratori Migranti con ilcompito di «aggirare le trappole degliuffici del lavoro e degli squali delcollocamento». Soltanto la repressionefederale contro gli I. W. W., dopol’entrata in guerra degli Stati Uniti nel1917, riesce a porre temporaneamentefine alla mobilitazione.

Nel giugno del 1916 Little viene inviatocome organizzatore dello sciopero deidiecimila minatori del ferro di Mesabi,nel Minnesota, riuscendo a compiere ilmiracolo di formare un comitatocentrale di sciopero di più di diecinazionalità tra cui finlandesi, italiani,croati, cechi, slovacchi. Internazionalistaintransigente e nemico dell’imperiali-smo che ha scatenato la carneficina dellaPrima Guerra Mondiale, Little avversala partecipazione degli Stati Uniti alconflitto. Quando nell’aprile del 1917,Washington entra in guerra, la rotta dicollisione del governo federale con gli I.W. W. è segnata: Little è tra le primissi-me vittime wobbly della repressione.Dopo aver aiutato i minatori del ramenel loro sciopero in Arizona, Little,nonostante un incidente alle gambe, sireca a Butte, nel Montana, dove migliaiadi minatori sono in agitazione. Additatodal giornale locale come il pericolopubblico numero uno, nella notte delprimo agosto 1917 Frank Little vienebrutalmente assalito da sei sicari nellastanza della pensione dove alloggia,picchiato e poi impiccato a un alberoalla periferia della città. I mandanti nonsi aspettano certamente che il feretro diFrank Little sia seguito da un corteo dimigliaia di minatori. La mano che avevaarmato gli assassini e che ne assicura poil’impunità, sta in alto. I sicari erano statiprobabilmente reclutati nell’ambientedell’agenzia di polizia privata Pinkerton,stando alla testimonianza di DashiellHammett, che in quegli anni è un agentePinkerton e che in seguito sarebbediventato un celebre scrittore di gialli.Molti anni dopo il delitto, secondo lascrittrice Lilian Hellman, DashielHammett le confidò che gli era statochiesto di uccidere Frank Little, ma cheegli aveva opposto un netto rifiuto1.Sulla scia di Frank Little e nonostante icosti spaventosi in termini di repressionestatale, gli I. W. W. rifiutano la pacesociale che “l’americanismo al 100%”della Prima Guerra Mondiale richiede-va. Per contro, essi continuano con gliscioperi e le lotte di massa, anche neisettori legati alle industrie belliche. Nelsettembre del 1917 gli agenti federaliperquisiscono tutte le sezioni degli I. W.W., arrestando trecento quadri. Nelsemestre successivo, duemila wobblies,compreso l’esecutivo nazionale alcompleto, sono in carcere. Intensifican-

Manifesto I. W. W. affisso dopo il lin-ciaggio di Frank Little, raffigurato im-piccato nello sfondo.A p. 34: Frank Little.

Il capitalista del rame al barone della stampa:“Va tutto bene, dite loro semplicemente che eraun traditore”.

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HAKOMAGAZINEdo la repressionecontro gli I. W.W. nel West, ilgoverno federalene distruggemilitarmentel’organizzazionetra i lavoratoridel legname,imprigionandoed espellendo gliattivisti e gliiscritti, cosìcome due mesiprima la polizialocale di Bisbeeaveva giàdeportato milleduecento I. W. W. eproletari stranieri su carri bestiame neldeserto dell’Arizona. Tuttavia già nelsemestre successivo all’entrata in guerradegli Stati Uniti, il volume di scioperiraggiunge il livello impressionante di 6milioni di giornate, in un movimentoche durerà ben oltre la fine della guerra.Come nel caso di un altro granderivoluzionario di questo secolo MalcolmX (1925-1965), il cognome “bianco” diquesto militante cherokee wobbly èLittle. E, come Malcolm X, è contro lafollia sterminatrice dell’imperialismoche egli trova, verso la fine della suavita, i suoi accenti più coraggiosi,lasciando un’eredità internazionalistache il tempo non cancella: «con ognimezzo necessario» è l’espressione che liaccomuna. Il 25 luglio, nella riunionedei wobblies in sciopero a Butte, Little liesorta a vincere «con ogni mezzonecessario»2. E una dozzina di giorniprima di cadere vittima dell’agguatomortale, ecco che cosa scrive il fogliopadronale di Butte:«Frank Little, capo dello scioperodell’Arizona, ha praticamente minaccia-to la rivoluzione nei confronti delGoverno degli Stati Uniti. Seimilapersone si sono accalcate nell’arena perascoltare il discorso di Little. Fragile,appoggiandosi alle grucce, il visocontorto dal dolore e dalla passione cheanimava il fisico, l’oratore è divenutouna furia maniacale quando ha preso adenunciare i capitalisti di ogni specie enazione … Little ha invocato la rivolu-zione mondiale delle classi operaie …vantandosi del fatto che l’attualeconflitto mondiale non gli faceva nécaldo né freddo … [Little disse che]

note1. Lilian Hellman, Scoundrel Time, Little,Brown, Boston & Toronto, 1976, p. 47.2. Arnold Gutfield, The Murder of Frank Little:Radical Labor Agitation in Butte, Montana,1917, in Labor History, v.10, n°2, Spring 1969,p. 185.BibliografiaBologna S., Composizione di classe e teoriadel partito alle origini del movimentoconsiliare, in S. Bologna, G. P. Rawick, M.Gobbini, A. Negri, L. Ferrari Bravo, F.Gambino, Operai e Stato, Milano 1972;Chaplin R., Wobbly, The Rough-and-TumbleStory of an American Radical, Chicago 1948;Delanoë N., Il sentiero delle lacrime. La de-portazione dei Cherokee 1830-38, Acoma n°11(estate-autunno 1997); Foner P. S., History ofthe Labor Movement in the United States -Volume IV -The Industrial Workers of the World- 1905-17, New York 1965; Hellman L.,Scoundrel Time, Boston & Toronto 1976;Kornbluth J. L., Rebel Voices - An IWWAnthology., Rev ed., Chicago 1988; Portis L.,IWW et syndacalisme revolutionnaire aux EtasUnis, in Spartacus: Cahiers mensuels, serieB, n°133 (Avril-Mai-Juin 85); Renshaw P., Ilsindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti,Bari 1970; Salerno S., Little, Frank (1879-1917), in Buhle M. J., Buhle P., GeorgiakasD., Encyclopedia of American Left, New York& London 1990; Salerno S., Red November,Black November: Culture and Community inthe Industrial Workers of the World, Albany,N. Y., 1989; Sofchalk D. D., Frank Little (1879-1917) in Biografical Dictionary of AmericanLabor Leaders, Westport, Conn., 1974;Thompson F., Murfin P., The IWW - Its FirstSeventry Years - 1905-1975, Chicago 1976.

aveva detto al governatore Campbelldell’Arizona: “Governatore, me neinfischio con quale paese il vostro paeseè in guerra, io lotto per la solidarietà delmovimento operaio.” » (Butte Miner, 20luglio 1917).A fronte di tanti odierni “amici delpopolo” che grondano untuosa com-prensione a ogni Spedizione nel Golfo ea ogni delirio etnico, più che commemo-rare l’ottantesimo anniversario dellamorte di Frank Little, possiamoricordare per l’ottantesima volta il suointernazionalismo. Perché l’ombra diFrank Little ci ha accompagnato pertutto questo secolo e probabilmente ciaccompagnerà per lungo tratto anche nelprossimo.La parola d’ordine agitata da Little afavore di un sindacato industriale apertoa tutti e a tutte, innesca ai primi delNovecento un processo irreversibile alivello mondiale, mentre comincial’esodo biblico degli ex schiavi africani-americani dalle piantagioni del Sudverso le grandi metropoli. Crolla così ilgrande disegno razzista di segregare gliex schiavi nell’agricoltura e di sbarrareloro l’accesso all’industria per mezzo

della corrente di immigrazione europeache sarebbe dovuta rimanere “docile”,nelle fabbriche del Nord come nelleminiere del West. Frank Little ha vinto:si deve anche a lui, discendente dicherokee, se per gli africano-americanicome per gli immigrati europei non c’èstato un secondo Sentiero delle Lacrime.

Sopra: Funera-li di Frank Littlea Butte.A fianco: Sabo-taggio di unasede di compa-gnia minerariaa Butte.

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N° 12

Cesira Damiani

Parlare della questione agraria inGuatemala significa trattare un tema diestrema complessità e con implicazionidiffuse ad ogni livello della vita econo-mica, sociale e culturale.La terra, in Guatemala, è un fattoreessenziale e critico nel contesto socio-economico, politico e culturale. Lamaggioranza della popolazione ècontadina e indigena e trae quindi lapropria sussistenza dalla terra; inoltre laterra è elemento naturale di primariaimportanza nella riproduzione culturaledell’etnicità indigena. La principalericchezza e povertà in Guatemala sipossono collocare nelle zone agricole el’agricoltura rappresenta l’attivitàpredominante sia che si tratti di agricoltu-ra di sopravvivenza che d’esportazione.Il modello di sviluppo economicoadottato è basato sulla crescita economi-ca per l’esportazione e si è realizzatograzie alla concentrazione in alcune areedel paese di grandi proprietà terriere concoltivazioni di piantagione, che sonoinserite nel mercato internazionale egodono di molte agevolazioni creditizie.Tradizionalmente in Guatemala lo Statoè sempre stato il maggior proprietarioterriero ed i governi che si sono succedu-ti nel tempo, invece di aggiudicare leterre alle comunità che le richiedevanoper coltivarle, le hanno assegnate aprivati, a funzionari di governo e amilitari. La United Fruit Company nel

1950 era proprietaria di 2/3 del territoriocoltivabile e aveva il monopolio delleferrovie dell’«Impero delle Banane».Quando nel 1953, un presidente elettodemocraticamente, Jacobo Arbenz,tentò di intraprendere un programma diriforma agraria espropriando terreincolte nonché circa 100.000 ettariappartenenti alla United Fruit, detta la“Piovra Verde” e oggi divisa in DelMonte e Standard (Chiquita Banana),per assegnarle ai contadini, quest’ultimafece pressione sul governo americanoaffinché intervenisse. Il GovernoArbenz venne abbattuto nel 1954, lastagione di democratizzazione (denomi-nata della “rivoluzione d’ottobre”, 1944-1954) vissuta dal Guate-mala ebbe presto fine e daquel momento si succedet-tero dittature militari eferoci repressioni. Ancoraoggi le grandi impreseagricole straniere esercita-no un controllo smisuratosull’economia nazionale ene orientano il destino.

Terra e lavoroChe cosa significa per unindigeno guatemalteco laterra? La terra è lasopravvivenza e allo stessotempo la sostanza

dell’essere indigeno.I Quiché, i Kaqchikel e gli Tzutujilhanno sempre ricavato il loro sostenta-mento dalla terra e sempre hannoattribuito al lavoro un significato di tipostrumentale. Il lavoro quindi è necessa-rio per garantire la sussistenza e il tempodi lavoro è sempre stato legato allatradizione. Anche nelle zone piùproduttive del paese stupisce vedere almercato le donne che vendono ortaggi efrutta di ogni tipo e rendersi conto chemolto raramente le famiglie usanoquesto tipo di produzione per soddisfarele necessità familiari. Gli ortaggi sonoper il mercato, anche quando sono trepomodori. L’alimentazione indigena,

Il luogo della Creazione

Terra, lavoro ed etnicità nella realtà guatemalteca.

Campesinos

Bracciante maya, Quiché,Guatemala

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infatti, continua a essere basata fonda-mentalmente sulla produzione di maische viene utilizzato per produrretortillas. Alla colttura del mais è ancoraoggi dedicata molta attenzione e a ognitipo di mais è associata una tecnica dicoltivazione di tipo tradizionale.Ad esempio a San Pedro La Laguna(Lago Atitlán) si utilizzano tre criteri perclassificare il mais: la maturità dellamilpa (campo coltivato a mais o il maisstesso), il luogo di semina e il tipo dimais e si presta molta attenzione a uninsieme di caratteristiche che eviden-ziano quali sono i criteri utilizzatidagli Tzutujiles nel lavorare la terra.Ma la terra è sempre meno accessibileper la popolazione indigena (manca ilreddito per acquistare un appezzamentodi terreno e ci sono molti conflitti per laterra) o insufficiente per ottenere almenola sussistenza. Secondo stime delMinistero dell’Agricoltura la proprietàdella terra è concentrata nelle mani deilatifondisti e dell’oligarchia locale e, intendenza, il minifondo è andato aumen-tando nel tempo. La zona dell’Altipianodel Guatemala è abitata prevalentementeda contadini indigeni ed è sovrappopola-ta rispetto alle possibilità di produzionenell’agricoltura e all’assorbimento diforza lavoro. I minifondi, in particolarele microfincas, non sono in grado digarantire alla maggior parte dellapopolazione un reddito sufficiente amantenere la famiglia e, di conseguenza,la maggior parte della popolazionerurale dell’altipiano migra stagionalmen-te a sud per lavorare nelle piantagioni.Intere famiglie, uomini, donne ebambini, lasciano la propria milpacaricate su camion e, insieme agli

animali e poche cianfrusaglie, sitrasferiscono per lunghi periodi ditempo sulla costa, a Suchitepequez oRethaluleu, o in alcuni periodi dell’annoa Boca Costa, la zona che va dalla SierraMadre al Pacifico e che è famosa per ilcaffè di montagna, il cardamomo e lebanane. Qui per lunghi mesi vivononelle galeras, luoghi in cui «le condizio-ni di vita sono totalmente inaccettabilidal punto di vista igienico, sanitario,educativo e morale» (rapporto O.I.L.).La galera è una capanna a volte priva dipareti, o con pareti di paglia, e con untetto di lamiera: non esiste intimità, ledonne vivono con i figli e gli uominicercando di ricavare un po’ di spazio persopravvivere, si dorme per terra o sutavole di legno, non c’è luce elettrica,acqua, servizi igienici, mancano servizimedici e scolastici. L’orario di lavoro èestenuante e il vitto è composto datortillas di mais e fagioli e, più spesso,dalle sole tortillas.

Lotte sindacaliAttualmente in tutto il Guatemala cisono molte organizzazioni sociali chelavorano nel settore rurale: sindacati,leghe contadine, cooperative e comitati.Nonostante l’apparente diffusione di talistrutture, soprattutto nelle aree dell’alti-piano caratterizzate da minifondo, icontadini non sono organizzati e pochestrutture sono realmente funzionanti.Le prime forme di organizzazionesindacale si sono sviluppate in Guate-mala durante la “rivoluzione d’ottobre”,nel periodo precedente, i bracciantiagricoli vivevano in condizione dischiavitù ed erano totalmente impossibi-litati ad organizzarsi. Quando Arbenz

tentò la via della riforma agraria, nel1954, i gruppi più conservatori deilatifondisti, alleandosi con la UnitedFruit Company e con l’appoggio delgoverno statunitense, scatenarono lacontrorivoluzione e in poco tempodecimarono il nascente movimentosindacale. Si iniziò, infatti, una apertapersecuzione del movimento sindacalee, da quel momento, tutti i livelli disindacalizzazione decrebbero inevitabil-mente e a tutt’oggi il processo risultamolto lento e difficile, sia nell’ambitodell’organizzazione dei piccoli proprie-tari terrieri che dei lavoratori stagionalisalariati delle grandi piantagioni.Nelle grandi fincas (latifondi) vivonocontadini stabili e stagionali e inparticolare questi ultimi, assunti solo peril raccolto, sono particolarmentericattabili. Alcuni lavorano e vengonopagati giornalmente, altri a seconda delcompito assegnato, e ciò comporta unapaga inferiore al salario minimo. Ognicontadino deve poi pagarsi i guanti, glistivali e le mascherine di protezione perla fumigazione e il luogo di lavoro èanche luogo di vita. La comunicazionetra i lavoratori, inoltre, è resa difficile dalfatto che spesso i braccianti provengonoda comunità diverse e difficilmentepossono costituire relazioni di solidarietàsindacale a causa delle difficoltàlinguistiche, poiché lo spagnolo non èparlato da molti contadini.Generalmente la prassi dei lavoratori è laseguente: di fronte ad un problemalavorativo, essi cercano di trovare unasoluzione conciliatoria con il finquero;se la soluzione non è possibile, tre oquattro persone si uniscono formandoun Comitato e chiedono agli altrilavoratori di affiliarsi per poter portareavanti le proprie rivendicazioni. Talirivendicazioni sono garantite dallalegge: richieste come un salario minimo(circa 16 quetzales al giorno), pagamen-to dei permessi in caso di malattia,maternità, ferie, ecc. sono legittime. Inrealtà molto spesso i membri delComitato vengono licenziati senzagiusta causa e sostituiti con lavoratorivolontari provenienti da altre aeree delpaese; in alcuni casi i proprietari dellefincas costituiscono all’interno dellepiantagioni associazioni di solidarietàfittizie e che hanno la finalità di rompere

Fabbrica di henequen nello Yucatan.

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N° 12l’unione sindacale che si può creare tra ilavoratori.Negli ultimi tre anni in alcune fincas,soprattutto nel settore bananiero, ci sonostate repressioni molto dure e violentecontro i lavoratori e si è fatto ricorso amassicci licenziamenti e a repressionicon minacce di morte da parte disquadre paramilitari assoldate daiproprietari terrieri.Terra ed etnicitàLa mancanza di terra e la conseguentesofferenza che tale situazione genera acausa della mancanza di mezzi disostentamento per una parte considere-vole della popolazione contadina, è unfatto constatabile in molti paesi centro-americani. In Guatemala ciò che rendela situazione particolare è il fatto che laterra non è solo un elemento cui siattribuisce un significato materiale,quanto un fattore fondamentale dipreservazione di identità etnica.Nella cosmologia maya, infatti, la terra èespressione della “madre natura” ed èquindi luogo terreno attraverso cui siesprime la divinità ed è matrice di vita.«Per l’indigeno maya che si sente figliodella Madre Terra, questa è la base ditutta la sua cultura, e pertanto è fonte disussistenza, radice della sua organizza-zione familiare e comunitaria, fontedella sua relazione con Dio» (El accesode la mujer, 1983).La terra, come le montagne, i vulcani, ilaghi,per i Maya non ha come significa-to principale quello di essere fonte diproduzione e di guadagno, quanto diessere vita degli Dei e dei loro figli, unluogo sacro e uno spazio di vita. Insecondo luogo, per la gente indigena, larelazione con gli Dei e con la terra vienevissuta e interpretata come garanzia dicontinuità storica, come proprietà degliantenati.«La terra a chi appartiene? I nostrinonni ci dissero che questa terra ènostra. Però lo stesso diranno i nonnidei Kaqchikeles. Perché è la verità. Ilnostro regno andava dall’altipiano finoal mare. Avevamo tutti i climi e tutti i tipidi suolo. Eravamo i signori di questeterre... Tutto questo non è leggenda» (ib.)Il rapporto con la terra è quindi radicalee fortemente connotato di elementicosmogonici; di conseguenza ognigruppo etnico-linguistico ha praticheagriculturali che si rivolgono alla terramadre per chiedere il permesso. La terra

può essere ferita solo per necessità equindi, prima di iniziare la semina edurante tutte le operazioni successive,gli indigeni si rivolgono alla terra,recitano preghiere, bruciano pom evivono una cerimonia comunitaria cheporterà al risultato finale della raccoltadel prodotto.Secondo il costume Ixil, ad esempio, almomento della semina e prima dicolpire la terra, la terra sanguina e quindiè necessario piantare una croce, cherappresenta l’Albero della Vita, comemezzo di comunicazione tra la terra el’uomo. Il lavoro è fondamentalmentecomunitario, con una divisione dei ruolimolto precisa: l’uomo coltiva la terra ela donna lo aiuta, senza talvolta entrarenelle pratiche colturali.A questo punto è facile comprendereche cosa l’elemento “terra” ha rappre-sentato e cosa rappresenta oggi, per gliindigeni guatemaltechi, il processoforzato di spoglio delle terre conconseguente impossibilità di garantirsi lasussistenza nelle comunità di origine e lasuccessiva ricerca di fonti alternative direddito: migrazioni massicce e stagionalidall’altipiano alle fincas della costa pertrovare lavoro; migrazione verso i centriurbani per lavorare nelle maquilas opresso le famiglie ricche della capitale.La perdita della terra viene vissuta comeperdita di identità individuale, comunita-ria e di popolo.Il contadino indigeno viene ritenuto persua natura passivo dalla popolazioneladina, cioè meticcia, del Guatemala. Inrealtà ci sono elementi che dimostrano ilcontrario o quantomeno che sonointerpretabili in chiave diversa: bastaprestare un minimo di attenzione aisegnali trasmessi dalla gente che scendedall’altipiano per andare al mercatosettimanale o a chi stagionalmente silascia alle spalle la propria casa e lapropria aldea per migrare sulla costa.Nonostante la difficile condizione diabbandono della propria milpa, ilcontadino guatemalteco cerca e talvoltatrova soluzioni di sopravvivenzaindividuale e collettiva, L’identitàculturale, nonostante la disgregazionesociale e familiare, la povertà, lemalattie, l’alcolismo e la repressione, èancora molto forte e sopravvive in moltecomunità in cui si riesce a esprimere lapropria creatività e progettività. Soprav-vive nelle C.P.R. (Comunità di Popola-

BibliografiaBatres A., The Experience of the GuatemalanUnited Friut Company Workers, 1944-54: WhyDid They Fail?, Texas Paper on Latin Ameri-ca, Paper n°95-01; Barillas E, et al., Forma-ción national y realitad étnica en Guatemala:propuesta téorico metodológica para suanalisis, VIII Congreso Centro-americano deSociologia, Guatemala, 1989; Busatta F., IlMais, HAKO 2, Padova, 1995; Busatta S., Chicoltiva il mais?, HAKO 2, Padova, 1995;Fundación Arias para la Paz y el ProgresoUmano, El aceso de la Mujer a la tierra enGuatemala, San José de Costarica, 1993; RojasLima F., La Cultura del Maiz en Guatemala,Guatemala, 1988; Schneider P., El mito de lareforma agraria: 40 años de esperimentaciónen Guatemala, Guatemala, 1989; Sandoval L.,El problema agrario Guatemalteco: evolucióny opciones, Guatemala, 1992.

zione in Resistenza) del triangolo Ixil enelle foreste dell’Ixcan e del Petén.Sopravvive nella popolazione ritornataal paese dopo anni di esilio in Messico,ma la difficoltà maggiore è tradurre inpartecipazione le energie vitali ancorapresenti. I lunghi anni di violenza hannolasciato un vuoto che deve esserecolmato e il processo sarà lungo.Ricordo ancora cosa mi rispose unasociologa kaqchikel quando le chiesiperché la popolazione indigena, e inparticolare l’elemento femminile,risultasse così passiva o poco partecipa-tiva. «Non bisogna mai dimenticare - midisse - che il fattore culturale è estrema-mente importante e l’indigeno noninterpreta la realtà in termini di genereo di classe, ma in termini di unità,armonia, totalità con il mondo e contutti i suoi elementi naturali e umani. Diconseguenza un problema, un qualsiasiproblema, non è solo di una persona,ma di un’intera famiglia e quindi di unpopolo».Per concludere forse ciò che noioccidentali interpretiamo come passivitàè semplicemente una lettura etnocentricadi un contesto in cui le forze presenti e iprocessi si sviluppano secondo direttriciper noi difficili da interpretare.

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HAKOMAGAZINE

Sopra: Hogan navajo nella Monument Valley, Utah, regione dei Four Corners.Sotto: Scavatrice in una miniera a cielo aperto in Nuovo Messico.

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N° 12

Uranio indiano

Il contraddittorio rapporto tra indiani e uranio,veleno mortale, ma anche miglioramento deltenore di vita

Miniere

Pierre Bricou

Fu un cercatore di minerali navajo,Paddy Martinez, a scoprire la pericolosaroccia madre uranifera nel 1950, vicinoa Haystack Mountain, presso Grants,che diventerà, insieme a Mount Taylor ea Laguna una delle tre aree minerariepiù attive della zona. Le prime miniereaprirono nella riserva navajo, a Laguna ealtrove, dove la Kerr-McGee OilCorporation, l’Anaconda Copper e oltre42 compagnie dell’uranio assunseromigliaia di minatori e i posti di lavorivennero salutati con gioia in un’areadepressa e con una disoccupazione allestelle. Questa zona consiste in dueenormi aree: la cintura mineraria delbacino del fiume San Juan e la cinturamineraria di Grants. La prima coprel’Arizona, il New Mexico, il Colorado elo Utah, cioè la cosiddetta regione deiFour Corners, e qui, dal 1947, l’uranio èstato sfruttato per trent’anni fino aquando ha chiuso l’ultima miniera, laChevron, che ha il fornello più profondodel mondo. Grants è una cittadina delNew Mexico che si è proclamata lacapitale mondiale dell’uranio e che,durante il boom, in pochissimo tempo sigonfiò da sonnolento paesino di 2.251abitanti a turbolenta cittadina minerariadi 11.000 persone. La cintura minerariadi Grants si estende da circa 15 miglia aovest di Albuquerque fino al confinecon l’Arizona, è lunga circa cento migliae larga tra le dieci e le venti miglia, corre

parallela all’autostrada I 40 e comprenderiserve come Laguna e Acoma. «Qui gli indiani controllano o possiedo-no circa il 50% della riserva d’uranioamericana, concentrata soprattuttonelle terre Navajo e Laguna.» hadichiarato Manuel Pinto, acoma, alWorld Uranium Hearings di Salisburgo,Austria del 1992. All’interno dellacintura mineraria di Grants è statoscavato il 25% di tutto l’uranio degliUSA e l’11% di quello mondiale entroun raggio di trenta miglia dalle terreindiane. Insieme al fornello più profon-do del mondo, c’è anche la fabbricad’uranio più grande del mondo adAmbrosia Lake e nel Pueblo Lagunaesiste la più grande miniera a cieloaperto del mondo, che ha operato dal

1953 al 1982. Gli indiani formano unquarto della forza lavoro nelle miniere,sia a galleria che a cielo aperto, che negliimpianti di trattamento del minerale perla sua trasformazione in yellowcake.I posti di lavoro sono stati pagati cari,con inquinamento e malattie. Dal pozzoprimario la KerrMcGee scaricava circa302 metri cubi d’acqua di processo algiorno contaminando le riserve idrichedella zona. Nel luglio 1979 gli impiantidella United Nuclear, che si trovava aChurchrock, riserva navajo, provocaro-no uno dei peggiori “incidenti” dellastoria degli USA: una diga di conteni-mento di fanghi trattati di miniera siruppe per incuria a causa della pressionee scaricò più di 37.800 metri cubi ditorbida altamente radioattiva nel Rio

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HAKOMAGAZINEPuerco, inquinando anche il PiccoloColorado e il Colorado per ottantamiglia a valle. Oltre a danneggiare 1.700navajo, il loro bestiame e le loro risorseidriche, l’ondata di fanghiglia radioattivafece saltare i tombini e il sistemafognario di Gallup, a circa venti miglia avalle e minacciò di inquinare LakeMead e con esso la riserva d’acquapotabile di Las Vegas, Los Angeles e digran parte dell’Arizona. La fiumanalasciò residui radioattivi di uranio, torio,radio e polonio, oltre a tracce di metallicome cadmio, alluminio, magnesio,manganese, molibdeno, nickel, selenio,sodio, vanadio, zinco, ferro, piombo ealte concentrazioni di solfati. Questodisastro annunciato degradò gran partedel Rio Puerco come risorsa idrica inuna zona già carente d’acqua. Solopochissimi residenti furono risarciti dallacompagnia, che si limitò a porre deicartelli con la scritta: “ACQUA CONTAMI-NATA, STATE LONTANI”. «Ma le nostrevacche, le pecore e i cavalli non sannoleggere. Neanche la maggioranza di noisa leggere o parlare l’inglese – osservòil pastore navajo Tom Charlie - I cartellinon servono. Se i vicini sanno che siamodel Rio Puerco, non ci stringono lamano. Pensano che siamo radioattivi escappano via. Hanno paura di noi. Eccoperché la gente ci guarda, perchénessuno ci aiuta. Ora c’è acqua [nelfiume], ma un giorno seccherà, verrà ilvento, la polvere si poserà sull’erba. Lepecore la mangiano, noi mangiamo lepecore. Ci chiediamo che cosa farà allenostre vite».Nel pueblo Laguna l’Anaconda nonsolo ha gravemente contaminato nel1972 il Rio Paguate, unica risorsa delpueblo, ma per il 1975 aveva pratica-mente avvelenato tutte le falde acquiferesotto la cintura uranifera di Grants eaveva utilizzato minerale d’uranio abassa gradazione per “migliorare” la retestradale del pueblo. A Shiprock, NewMexico, una comunità di 20.000persone nella riserva navajo, un depositodi un milione e settecento tonnellate ditailings, cioè polveri di scarto contenenticirca l’80% della radioattività delminerale, copre 72 acri nel cuore dellacittà e, quando soffia il vento, la polvereradioattiva copre edifici e pascoli. Comerisultato la comunità soffre del doppio diaborti spontanei, interruzioni di gravi-danza e difetti genetici rispetto alle

comunità prive di miniere di uranio nellevicinanze, secondo la direttrice delCommunity Health RepresentativeProgram, Sarah Harvey. Questiproblemi sono aumentati dal fatto chemolti residenti a Shiprock hannocostruito le loro case con rocce radioatti-ve delle miniere o con tailings prodottidagli impianti. L’uso dei tailings comemateriale da costruzione era moltodiffuso negli anni Cinquanta e all’iniziodegli anni Sessanta, senza che laCommissione per l’Energia Atomicacompisse studi sulla loro pericolosità. Inuna comunità bianca, Grand Junction,Colorado furono costruite oltre seimilastrutture, comprese parecchie scuole,con la sabbia radioattiva dei tailingsnella malta, o come riempitivo per lefondamenta degli edifici, o nellemassicciate delle strade e nei marciapie-di. Anche Denver ha avuto la sua partedi edifici contaminati, segno che ilbusiness non guarda in faccia nessuno.In questa zona nel 1982 erano infunzione quarantadue miniere, setteimpianti di trattamento del minerale equindici progetti erano nel cassetto.Queste miniere sono terribilmentenocive non solo quando sono aperte, maanche quando sono chiuse: nel 1970 laminiera di Shiprock della KerrMcGeelasciava la comunità navajo alle presecon oltre ventotto ettari di tailings, che,ammucchiati in collinette che comincia-vano a meno di un metro dal fiume SanJuan, minacciavano non solo le comuni-tà indiane, ma tutte quelle della zona deiFour Corners. Negli anni Ottanta vi erano nella zonadel Grand Canyon sette miniered’uranio a vari stadi di sfruttamento chestavano distruggendo il territorioaborigeno havasupai, mentre la Exxonaveva ottenuto in concessione esplorati-va dal consiglio tribale l’intera riservahualapai.Ma i turisti non sono i soli ad assorbiremillirem fotografando il paesaggio resofamoso dai film di John Ford. Laminiera Jackpile, la più grande miniera acielo aperto d’uranio del mondo, che halavorato dal 1953 al 1982 ventiquattroore al giorno, tutti i giorni dell’anno evendeva il suo minerale direttamentealla Commissione per l’EnergiaAtomica federale, che lo utilizzava percostruire il suo arsenale nucleare, sitrova a circa trecento metri dal villaggio

laguna di Paguate. Manuel Pinto eramolto impopolare a Laguna e Acomaquando parlava dei pericoli del nucleare:«Nessuno voleva il posto di lavoro inpericolo, nessuno voleva che i budgettribali fossero minacciati, nessunovoleva prendere posizione sulle questio-ni di cui stiamo parlando oggi. - hatestimoniato ai World Uranium Hea-rings. - Certo, lo sviluppo dell’uranioaveva migliorato la qualità della vitanella riserva, se lo guardi da punto divista dei soldi. Oltre ottocento Lagunalavoravano in miniera nel momento dimaggiore espansione, il tasso didisoccupazione era crollato a meno del20%. Prima dell’uranio era al 70%, madopo la crisi dell’uranio è tornato aquella percentuale. Con una qualitàdella vita migliore vennero anche salarimigliori». Pinto, che è un professoreuniversitario neotradizionalista, afferma:«Durante il momento alto dell’uranio,la gente dava la priorità al lavoro dalleotto alle cinque, al lavoro da otto orecontro la partecipazione alle cerimo-nie».Una risposta a questa deprimentedescrizione della trasformazione di unacomunità marginale e rurale causatadall’industrializzazione può esseretrovata nelle parole di un minatorenavajo di carbone, che vive a Kayenta,nei trailers della compagnia, la PeabodyCoal Co.: «In qualche modo la minieraè stata buona con me. Abbiamol’elettricità e l’acqua corrente, cherendono la vita più facile. Se fossi sullamesa adesso, dovrei correre fuori atagliare la legna e a prendere l’acqua.Dovrei stare in mezzo al fango e alfreddo. …Oggi non riesci a guadagnareabbastanza da viverci con gli animali,così in realtà devi cercarti anche unaltro lavoro. Allora torni a casa stanco edevi ancora uscire per accudire lebestie. Quaggiù quando torno a casadal lavoro mi siedo, mi rilasso e guardola TV … Per avere certe cose, devirinunciarne ad altre … Vivendo quaggiùcominci a pensare in modo diverso».Timothy Benally Sr., direttore dell’Uffi-cio dei Minatori d’Uranio Navajo(Office of Navajo Uranium Workers) perla Nazione Navajo a Shiprock, ricordaquando cominciò a lavorare in miniera:«In riserva negli anni Quaranta eCinquanta il lavoro era molto scarso.Nel 1958 ero appena tornato dal

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servizio militare, non riuscivo a trovarelavoro ed ebbi l’occasione di entrarenelle miniere. La prima volta, dopocirca tre mesi, mi lamentai per lasicurezza delle miniere. Al capo nonpiacque, così alla fine della settimana dilavoro mi disse: “Lunedì non tornare” eio non tornai. Poi cambiò la proprietàdella miniera, la prese la Kerr-McGee;io rifeci domanda di lavoro e venni dinuovo assunto. Mi lamentai di nuovo,questa volta sul salario. Dissi che lalegge federale esigeva che i lavoratorifossero pagati 1,25 dollari l’ora e quellagente prendeva dappertutto dagli 80 ai90 cents l’ora. Fui licenziato nuovamen-te». Simon Ortiz, laguna pueblo, che ha

scritto una serie di poesie sui minatorid’uranio ricorda in What I Mean unminatore laguna, Agee, che in minieradivenne organizzatore sindacale nellosciopero di Grants del 1961 e morì a 19anni mentre, andando a Silver City peruno sciopero, cambiava una ruota e futravolto da un camion. Qualcuno pensanon sia stato un incidente. Ma non tuttierano come Timothy Benally o Agee; lostesso Ortiz in un’altra poesia, intitolatasignificativamente Indians Sure Came inHandy (Gli indiani certo vennero utili),ricorda che nello sciopero del 1961«quella prigione piena di indiani venneutile certo./ Il secondino si dava malatoal telefono per te / e ti diceva quali

miniere stavano assumendo indiani./ Isindacati non ebbero molte possibilità, /e Grants semplicemente continuò aespandersi».Le miniere giunsero nella riserva navajonel 1918 nella zona delle CarrizoMountains, a circa 30 miglia a ovest diShiprock; all’inizio cercavano il vanadioe scoprirono l’uranio per caso, ma nonsapevano cosa farne. Dopo la SecondaGuerra Mondiale, quando il governoaveva scoperto che cosa farne e avevacondotto i primi esperimenti cheportarono alle bombe atomiche sulGiappone, in New Mexico cominciaro-no a cercare l’uranio dappertutto. LaVanadium Corporation of America e laKerr-McGee erano i principali proprie-tari di queste miniere e si approfittaronodel bisogno di lavorare dei navajo. «Nonsolo per via dei bassi salari, ma anchenon informando gli operai degli effettipericolosi per la salute che aveval’uranio - afferma Timothy Benally Sr. -Non si presero mai il disturbo di direniente a nessuno e la gente continuava alavorare là, finché all’inizio degli anniSessanta quelli che vi avevano lavoratopiù a lungo cominciarono ad ammalar-si, poi a morire e i familiari, le vedove ei figli si preoccuparono molto. La gentecominciò a parlare e finalmente siorganizzarono in sindacato (UraniumRadiation Victims Committee)». IlComitato si rivolse ai tribunali federali eperse sempre fino al massimo livello, laCorte Suprema. Cercando di percorrerela strada parlamentare nel 1978 presen-tarono un disegno di legge al Senato chevenne bocciato. Ma i Navajo presentaro-no un nuovo progetto, stavolta ampliatoal Colorado, Arizona, New Mexico,Utah e Wyoming, con l’aiuto deirappresentanti di quegli stati: nel 1990 fuapprovata la legge per il risarcimento aiminatori d’uranio, il Radiation ExposureCompensation Act. Intanto la NavajoNation aveva aperto l’Ufficio deiLavoratori dell’Uranio Navajo, perregistrare i minatori, fare statistiche,fornire cure ai minatori viventi einformazioni sullo sviluppo del pro-gramma. «Abbiamo registrato 2.450minatori navajo che possono chiedere ilrisarcimento, cioè quelli che hannolavorato tra il 1° gennaio 1947 e il 31dicembre 1971. Ci sono anche 412minatori già morti, quelli che comincia-rono all’inizio delle miniere. Ogni mese

Una via del pueblo di Acoma, la “Città del Cielo” in Nuovo Messico.

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HAKOMAGAZINEne muoiono uno o due», spiega Benally.Logan Pete, un minatore navajo diMitten Rock, New Mexico, fa parte diquelli che hanno richiesto il risarcimen-to: «Per quanto ne so, non ci diederoalcun avvertimento. Ma quandolavoravo alla KerrMcGee ci dicevanoqualcosa, prima di cominciare il turnodi lavoro alla mattina, ci dicevano diassicurarci prima di entrare sul luogodove stavamo lavorando di sentire se ilsoffitto aveva qualche roccia che nonteneva. Non state troppo a lungo disotto. Sapevo quello che ci dicevano».Per risparmiare le compagnie minerariemettevano pochi tronchi a tener su legallerie e il rischio di crolli era semprepresente. Una volta per poco Pete non cirimise la pelle. I capi dicevano loro distare attenti alle frane, ma non liavvisarono mai del pericolo del fumo,né diedero mai ai minatori maschere.Alveno Waconda, laguna, vive a menodi sei miglia dalla miniera PaguateJackpile e ha lavorato per la minieraAnaconda dal 1971 al 1982 comeoperatore di macchinari pesanti: guidavacamion per il trasporto del minerale,bulldozer e macchine per caricare. «Ilminerale d’uranio era sempre intorno anoi, anche se non soffiava il vento, c’eramolta polvere. C’erano volte in cuimangiavamo il nostro pranzo seduti suimucchi di minerale ad alto livelloradioattivo. Ci sedevamo nelle benneper ripararci dal calore del sole.Nessuno ci avvisò che le benne erano

contaminate dall’uranio. Quasi ognigiorno la compagnia faceva dueesplosioni o di più per prendere ilminerale. C’erano volte in cui la polveresoffiava nella nostra direzione verso ilcantiere e altre verso il villaggio diPaguate. La polvere era nell’aria, sulsuolo, sui raccolti, sugli abiti e sullecase. Per un periodo di quattro anni holavorato nelle miniere a galleria. Laragione principale per cui mi sonotrasferito dalle miniere a cielo aperto aquelle a galleria sono stati i soldi. Si puòdire veramente che davano davvero unabuona paga giornaliera nelle minieresotterranee. […] Perché facevamo tuttequelle cose pericolose? I soldi sono larisposta. Più producevi e più eri pagato,che fosse sicuro oppure no. Quandoc’erano le ispezioni per la sicurezza, inqualche modo sapevamo sempre inanticipo quando gli ispettori arrivavanoun certo giorno, dandoci abbastanzatempo da mettere a posto l’area.[...]Quando facevamo delle riunioni sullasicurezza non ci sono mai state dateinformazioni sui pericoli delle radiazio-ni, c’era solo preoccupazione per irischi riguardanti i macchinari».Di fronte alle conseguenze delleradiazioni sui minatori e gli operai degliimpianti di trattamento dell’uranio, lecompagnie negano ogni responsabilità,perché – affermano – loro stavanosemplicemente lavorando per il governoed è il governo il responsabile. PhilHarrison, navajo, presidente dell’Ura-

nium Radiation Victims Committee e co-fondatore della Four Corners NavajoMillers Association, è figlio di unminatore morto di cancro a 43 anni. «Leprime miniere erano molto sporche einsicure. Non c’era ventilazione, néequipaggiamento di sicurezza, nonerano forniti respiratori, né guanti.L’acqua della miniera era di usopubblico e spesso portata a casa e usataper allungare il latte dei bambini. […]Anche le case erano contaminate,perché i minatori se ne andavano a casacon i loro abiti sporchi». È per meritodell’ostinazione di Harrison e di altricome lui se è passata la legge del 1990su un risarcimento di 100.000 dollari atesta ai minatori o ai loro eredi. Questalegge, però, ha i suoi lati negativi : ilminatore, infatti, deve dimostrare condocumentazione scritta che ha contrattocancro al polmone o certe altre malattierespiratorie non maligne dopo esserestato esposto a 200 o più livelli diradiazione al mese (il limite è 120), senon è un fumatore, nel qual caso i livellidi esposizione devono essere molto piùalti. La legge non considera gli operaidegli impianti di processamento, mafornisce un risarcimento per certiresidenti di una porzione limitata delloUtah, del Nevada e dell’Arizona chehanno contratto certi tipi di cancro inseguito ai test nucleari in superficiecondotti in Nevada negli anni Cinquantae l’inizio degli anni Sessanta. «Tuttaquesta spazzatura è solo un altro modo,solo un altro complotto per manipolarela nazione indiana. Non voglionopagarci i soldi. - protesta Harrison - [...]Oggi ci sono oltre 1.200 miniereabbandonate. Le scorie radioattive sonoancora molto “calde”, da 50 a 100volte superiori al fondo scala naturale.Le miniere abbandonate sono ancora“calde” e mettono in pericolo la saluteemettendo gas radon. Una di questeminiere fa filtrare acqua e il bestiame labeve.[…] Dicono che le scorie sonosicure, perché allora non se le mettononel cortile di casa?».L’industria dell’uranio nel 1985 era cosìdepressa che praticamente tutte leminiere furono chiuse. Nell’autunno del1990 la Cina e la Russia vendettero una

Minatori di uranio navajo, foto degli anniOttanta.A p. 45: Donna navajo davanti a una di-scarica di scorie.

Page 45: HAKOMAGAZINE 12 - femminismoruggente.itfemminismoruggente.it/tasca1/hako/hako12.pdf · esploratori e i mercanti di pellicce, i rudi minatori, gli stoici con- ... ritroviamo in Jules

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N° 12

Bibliografia Between Sacred Mountains, Navajo Storiesand Lessons from the land. Rock Point Com-munity School ed., Tucson 1982; RichardsonK., Report on the 4th Indigenous UraniumForum Cove Chapter House, Navajo Nation,1991; da Harrison P., et al., Memories ComeTo Us In the Rain and the Wind. Oral Historiesand Photographs of Navajo Uranium Miners& Their Families, Navajo Nation, in In Motion;Benally T., Sr., Navajo Uranium Miners Fightfor Compensation, in In Motion; Shebala M.,Navajo Uranium Radiation Victims Commit-tee, News From Indian Country, late May1997; Wasserman H., Solomon N., UraniumMilling and the Church Rock Disaster, inKilling Our Own; Plevin, Nancy, Legacy ofDoubt, The Santa Fe New Mexican (9/13/97);Shuey C., Uranium Mining Plan Splits NavajoCommunities in New Mexico, SW Research& Information Center, Albuquerque, NM,1996; The World Uranium Hearings, Salzburg1992; Martinez M., Tribe Asks Why WastePiling Up, Las Vegas Sun, 8 aprile 1996;[email protected] ; Ortiz S., In-dians Sure Came in Handy e What I Mean, inWoven Stone, vol 21, in Sun Tracks Universi-ty of Arizona Press .

parte delle loro riserve d’uranio inperdita, inondando il mercato e metten-do a lungo in forse la ripresa dellosfruttamento del minerale americano,almeno sui due lati del Grand Canyon,dove gli havasupai stanno lottando perla conservazione dei loro siti sacri inopposizione alla Kaibab National Forestche ha approvato il piano della Colora-do Corporation per scavare il minerale.Si potrebbe credere che gli indiani neabbiano avuto abbastanza dell’uranio,ma non è così. Un articolo del Las VegasSun (8 aprile 1996) riferiva che mentrefunzionari del Nevada e ventiquattrotribù indiane stavano trattando perimpedire la creazione del deposito discorie nazionale a Yucca Mountain, 90miglia a nordovest di Las Vegas, altricome i Mescaleros e i Navajo stavanoesplorando opzioni per stoccare scorienucleari nelle loro riserve. Per esempio ilpadre-padrone dei Mescalero Apachedel New Mexico, da trent’anni rielettocapo tribù, ha fatto passare con metodimafiosi un referendum per avere undeposito di scorie in riserva, in cambiodi un bel po’ di dollari.Nella riserva navajo la Hydro ResourcesInc. (HRI), di proprietà della UraniumResources Inc. con base a Dallas, haintenzione di rendere operative treminiere nella parte della riserva che sitrova in New Mexico, e precisamente discavare tre milioni di tonnellate l’annoin due siti a Crowpoint e un terzo aChurchrock. La compagnia sostiene chel’impatto ambientale sarà minimo datala nuova tecnica di sfruttamento delminerale, detta “lisciviazione in situ”,

già ampiamente usata in Wyoming e nelTexas senza problemi per i minatori o iresidenti, secondo le parole del presiden-te della HRI, Dick Clemens. Il sistemadella lisciviazione in situ pompaossigeno nel metallo d’uranio radioatti-vo sotto terra e trasporta il minerale informa fluidizzata su fino a un impiantodi processamento in superficie, dove ètrasformato nella forma secca, dettayellowcake, e caricato su camion versogli impianti in Illinois e in Ontario,Canada. Secondo Clemens, quando lacompagnia ha finito, «l’acqua èrestituita al suo uso precedente, i pozzisono cementati, gli impianti di superficierimossi e non direste mai che siamo statilà». Il timore principale degli abitanti èche l’impasto refrattario semiliquidocontamini la scarsa acqua della zona oche vi siano incidenti ai camion chetrasportano lo yellowcake,. MitchellCapitan, un tecnico di laboratorio navajoe presidente della East Navajo DinéAgainst Uranium Mining ENDAUM(Navajo Diné orientali contro le miniered’uranio), che ha lavorato dal 1979 al1980 come tecnico all’impianto pilota dilisciviazione in situ della Mobil pressoCrowpoint, afferma che la Mobil non èriuscita a restituire il livello di contami-nazione della falda acquifera allecondizioni precedenti e che le condizio-ni atmosferiche estreme hanno contribu-ito alla rottura delle condotte in PCV disuperficie, provocando ripetute perdite einfiltrazioni.Molti, però vogliono che l’uranio torninella riserva: il senatore Domenici, ilgoverno tribale e molti residenti, perché

le miniere porterebbero posti di lavoro. Inavajo che darebbero i diritti di scavoalla HRI nelle loro proprietà, secondo ilNavajo Times, riceverebbero unpagamento iniziale di 367.000 dollari e,in seguito, delle royalties dal 6,25% al25% sulle vendite all’ingrosso, basatesul prezzo dell’uranio, che rappresente-rebbero il loro “biglietto fuori dellapovertà”.«I navajo non vogliono avere più a chefare con la questione delle miniered’uranio» dichiara Phil Harrison, maHerbert Benally, presidente del Chapter(una divisione amministrativa) diChurchrock, guidando la giornalista delThe New Mexican sulla strada a duecorsie che porta dal villaggio alladefunta United Nuclear Mine, osserva:«Le vecchie miniere hanno costruito lestrade. Senza quella gente, noi nonavremmo mai avuto questa strada».Benally, un ex minatore d’uranio con uncancro a un polmone, è anche unsostenitore della riapertura delle miniered’uranio, che porterebbero lavoro in unazona dove la disoccupazione è al 40%.«Mi fa male da sei mesi - afferma,toccandosi la zona del polmone malato -ma i soldi erano buoni. La gentedimenticherà la salute quando i soldisaranno buoni».