partire da sud. nicola fabrizi e l’iniziativa meridionale ... · per gli italiani che presero...

22
Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1> POLOSUD SEMESTRALE DI STUDI STORICI Partire da Sud. Nicola Fabrizi e l’iniziativa meridionale per l’unificazione italiana di Chiara Maria Pulvirenti anno primo | n. 1 | 2012 ISNN 2280-1669 © 2012 ed.it 1. Dalla Spagna alla Sicilia in cerca di rivoluzioni È un paradosso e una costante della storia italiana del XIX secolo che gli uo- mini che le retorica della Nazione ricorda come i propri numi tutelari sia- no proprio quelli che per più tempo sono stati costretti a guardarla da lon- tano, coloro che la persecuzione politica o persino la propria coscienza di dis- sidenti, di rivoluzionari, di uomini contro ha spinto al confino. Scrisse Car- lo Cattaneo nel 1860 che Ugo Foscolo diede all’Italia «una nuova istituzio- ne: l’esilio» 1 ; e infatti quella del dispatrio fu per i protagonisti dell’Europa ottocentesca, dell’età delle rivoluzioni, per gli italiani, i polacchi, i greci, gli ungheresi, raccolti in una vera e propria internazionale liberale, una scel- ta di coerenza, oltre che un obbligo dettato dalla necessità di fuggire, di scam- pare all’oppressione dello Stato che avrebbero voluto demolire 2 . Per gli italiani che presero parte al processo di unificazione nazionale il rifugio, il riparo, lo scampo dalle alterne fortune del lungo Risorgimento fu un’isola, Malta. Nel 1837 era stata concessa la libertà di stampa e la colonia inglese era diventata così l’ideale punto di raccolta degli esuli degli Stati preu- nitari che, a pochi colpi di remi dal suolo italiano, avrebbero potuto propa- gandare le proprie idee sovversive e reclutare nuovi adepti alla cospirazio- ne, suscitando motivati timori soprattutto nel governo borbonico, che nel 1842 già sentenziava: «Malta è stata sempre la fucina di ogni settaria macchina- zione; ma ora diventa un vulcano che lancia le sue infocate materie su di noi» 3 . Avevano scelto Malta come rifugio anche Nicola Fabrizi 4 e i suoi fratel- li, Carlo 5 , Luigi 6 e Paolo 7 , appartenenti a una famiglia della borghesia libe- rale modenese e segnati da un considerevole curriculum rivoluzionario, che la repressione della congiura di Ciro Menotti aveva costretto all’esilio.

Upload: hoangtu

Post on 19-Feb-2019

213 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

PPOOLLOOSSUUDDSSEEMMEESSTTRRAALLEE DDII SSTTUUDDII SSTTOORRIICCII

PPaarrttiirree ddaa SSuudd.. NNiiccoollaa FFaabbrriizzii ee ll’’iinniizziiaattiivvaa mmeerriiddiioonnaalleeppeerr ll’’uunniiffiiccaazziioonnee iittaalliiaannaaddii CChhiiaarraa MMaarriiaa PPuullvviirreennttii

aannnnoo pprriimmoo || nn.. 11 || 22001122IISSNNNN 22228800--11666699 ©© 22001122 eedd..iitt

1. Dalla Spagna alla Sicilia in cerca di rivoluzioni

È un paradosso e una costante della storia italiana del XIX secolo che gli uo-mini che le retorica della Nazione ricorda come i propri numi tutelari sia-no proprio quelli che per più tempo sono stati costretti a guardarla da lon-tano, coloro che la persecuzione politica o persino la propria coscienza di dis-sidenti, di rivoluzionari, di uomini contro ha spinto al confino. Scrisse Car-lo Cattaneo nel 1860 che Ugo Foscolo diede all’Italia «una nuova istituzio-ne: l’esilio»1; e infatti quella del dispatrio fu per i protagonisti dell’Europaottocentesca, dell’età delle rivoluzioni, per gli italiani, i polacchi, i greci, gliungheresi, raccolti in una vera e propria internazionale liberale, una scel-ta di coerenza, oltre che un obbligo dettato dalla necessità di fuggire, di scam-pare all’oppressione dello Stato che avrebbero voluto demolire2.

Per gli italiani che presero parte al processo di unificazione nazionale ilrifugio, il riparo, lo scampo dalle alterne fortune del lungo Risorgimento fuun’isola, Malta. Nel 1837 era stata concessa la libertà di stampa e la coloniainglese era diventata così l’ideale punto di raccolta degli esuli degli Stati preu-nitari che, a pochi colpi di remi dal suolo italiano, avrebbero potuto propa-gandare le proprie idee sovversive e reclutare nuovi adepti alla cospirazio-ne, suscitando motivati timori soprattutto nel governo borbonico, che nel 1842già sentenziava: «Malta è stata sempre la fucina di ogni settaria macchina-zione; ma ora diventa un vulcano che lancia le sue infocate materie su di noi»3.

Avevano scelto Malta come rifugio anche Nicola Fabrizi4 e i suoi fratel-li, Carlo5, Luigi6 e Paolo7, appartenenti a una famiglia della borghesia libe-rale modenese e segnati da un considerevole curriculum rivoluzionario, chela repressione della congiura di Ciro Menotti aveva costretto all’esilio.

Chiara Maria Pulvirenti[54]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

Dopo aver partecipato alla fallimentare invasione della Savoia, nel 1834Nicola si era trasferito in Spagna dove infuriava la prima guerra carlista, checontrapponeva i liberali, sostenitori del governo della reggente Maria Cri-stina e della figlia Isabella II, erede al trono di Ferdinando VII di Borbone,ai carlisti, cattolici tradizionalisti, reazionari antiliberali, grandi proprieta-ri terrieri e contadini, difensori del diritto alla successione del PretendenteCarlos, fratello del sovrano defunto.

Nicola scelse di entrare, senza grado né paga, quale addetto allo Stato mag-giore, nel reggimento isabellino guidato dal ligure Gaetano Borso di Carminati,Cazadores de Oporto nella convinzione, condivisa da Mazzini, che i princi-pi democratici trascendessero la dimensione nazionale, che il successo del-la rivoluzione dipendesse in buona misura dalla percezione da parte dei po-poli di un vincolo di solidarietà internazionale, basato sull’appartenenza allamedesima generazione e sul sostegno ai nuovi ideali costituzionali.

Ad interrompere quell’esperienza nel 1837 una voce che si era sparsa trai volontari italiani: finalmente anche in Sicilia il vaso di Pandora era stato sco-perto, in una Catania infestata dal colera e dal malcontento popolare il 30 lu-glio la rivoluzione era divampata. Fabrizi non era mai stato sull’isola, ma nonpoteva fare a meno di immaginarla come una terra moralmente e fisicamen-te molto simile alla penisola iberica. Quindi cosa avrebbe impedito che lo stes-so prodigio che si stava compiendo in Spagna si realizzasse anche in quell’ultimapropaggine dell’Italia che sognava? E tutti quei militanti italiani, impegnatinella causa di un paese straniero, non sarebbero stati ben contenti di presta-re le proprie braccia alla conquista dell’emancipazione nazionale nella propriapatria? Ecco perché a settembre salutò i Cazadores de Oporto e si imbarcò perMalta. Da lì avrebbe poi voluto prendere un vapore per Catania per unirsi alleforze rivoluzionarie, ma una cocente delusione lo colse appena mise piede nel-la colonia inglese: la rivolta era già stata repressa.

In breve a Valletta arrivarono ondate di profughi siciliani. Giovani, disperatied esasperati, ognuno aveva una storia diversa per farsi ascoltare e tutti tro-varono un interlocutore attento in quel modenese che di rivoluzioni ne ave-va già fatte molte. Nicola scelse così quel porto per fermarsi, quel gruppo perinterrompere la propria solitudine, un’isola su cui raccogliere le forze per pre-parare una nuova rivoluzione.

2. Proposte ai Siciliani

Furono gli affari a riunire la famiglia Fabrizi. A Malta i quattro fratelli riu-scirono a riprendere fiato dalle vicende rivoluzionarie, riuniti intorno alla casadi commercio “Carlo Fabrizi e fratelli”. Avviata dal giovane Carlo, nel primosemestre del 1840, l’impresa si occupava dell’acquisto e della vendita di benicomprati alle aste pubbliche e dei prodotti dell’isola. Livorno, Pisa, Bastia

Partire da Sud [55]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

e Marsiglia, le destinazioni di arance, melograni, mandorle sgusciate, cuminoagro, cumino dolce, anici, pistacchi, uva passa, teli, lana, cremor di tartaro,resine, acido citrico, essenza di bergamotto, olio di rosa8 che venivano im-barcati sui vapori maltesi. A Livorno, a Pisa, a Bastia e Marsiglia i contattipolitici dei fratelli Fabrizi. Non era di certo un’innocente coincidenza la vo-cazione nomade e commerciale delle loro attività economiche, ma sarebbesemplicistico e del tutto infondato dedurre che l’impresa della famiglia mo-denese a Malta servisse esclusivamente da specchietto per le allodole9. Nonera semplicemente una copertura nemmeno la professione medica eserci-tata da Paolo Fabrizi nello “Stabilimento pubblico per le deformità” dell’Ospizioper gli invalidi a Valletta, messogli a disposizione nel 1839 dalle autorità mal-tesi, per le intenzioni filantropiche che aveva manifestato poco dopo il suoarrivo. Il chirurgo modenese curò piedi torti, labbra leporino congeniti e trau-matici, cicatrici sfiguranti a tutti coloro desiderassero essere operati e alleragioni caritatevoli, il medico univa le esigenze della ricerca scientifica, ren-dendosi protagonista di sperimentazioni cliniche dai risultati rivoluziona-ri. Fu autore, ad esempio, di un’eclatante e ben riuscita operazione di rino-plastica su una paziente terribilmente deturpata in viso dal morso di un cane,e con estrema modernità dimostrò di tenere in considerazione le positive con-seguenze psicologiche e sociali della chirurgia ricostruttiva.

Curiosità scientifica, spirito imprenditoriale e passione civile si fondevanodunque nelle vite dei fratelli Fabrizi e fu in quell’intreccio sfumato tra vitapolitica e attività privata, che Nicola maturò il suo rapporto con un Medi-terraneo economicamente, culturalmente e politicamente dinamico, co-stantemente proiettato verso il progresso, la modernità e il cambiamento po-litico e sociale.

Fu in questo contesto e forte di una così ampia visione del mondo, cheil maggiore dei fratelli Fabrizi iniziò a conoscere la Sicilia. Ascoltò con at-tenzione i racconti affascinanti dei compagni di esilio e di commercio, cheal suo arrivo a Malta nel 1837 era andato a cercare personalmente, nella con-vinzione che la sua idea di rivoluzione nazionale avesse molto da guadagnareda un’attiva collaborazione con i siciliani. I primi che era riuscito a incon-trare si chiamavano Antonino Faro, Littorio Ardizzone e Santo Sgroi. Ave-vano un ergastolo da scontare al Forte di Aosta, per aver partecipato ai motidel 1831, poi una rocambolesca evasione e la clandestinità. Insieme a loroSalvatore Mirone: aveva passato due anni di vagabondaggio col fiato di unacondanna in contumacia sul collo. Nel mese di maggio del 1838 era giuntoanche Diego Arangio, negoziante catanese, inseguito dalla reazione di DelCarretto. Ad accoglierlo i siciliani di quel modenese caparbio e la possibili-tà di riprendere gli affari che i tempi della rivoluzione lo avevano costrettoad abbandonare, aprendo una bottega alla Valletta, proprio vicino al mare.Riprendere il ritmo della quotidianità non significava voler allontanarsi dal-la causa: in collaborazione con i Fabrizi i negozi privati divennero in frettavettori per la costruzione di ampie reti cospirative e gli apparentemente in-

Chiara Maria Pulvirenti[56]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

nocui commerci di piccoli imprenditori servirono anche da copertura per traf-fici d’armi e risorse utili a sostegno delle forze rivoluzionarie.

Ad onta della dispersione degli elementi che si scorgeva in Sicilia, – avrebbe scrit-to presto Nicola – però restava la piaga nell’irritazione degli animi superstiti ecrescente in mezzo a quelle terribili sventure. Fu in tale prefuggio [sic!] di con-fidenza che si ordì un piano, e si propose in vari punti del rimanente di Italia, nelquale la Sicilia era contemplata nelle sue circostanza morali e materiali, ed al qualpiano di cose interne fu parte la progettata cooperazione dall’esterno. All’ogget-to pertanto di consolidare anco all’estero quella favorevole tendenza ne nostri com-pagni e che l’aspettativa non la disperdesse s’immaginò costituire, e si costituì re-almente un centro militare, composto degli uomini infra i più influenti che ne con-servasse attivo lo spirito dei più, ne procacciasse accrescere gli elementi, tener-li raccolti, ne maturasse quelle migliori combinazioni a poter esser pronti all’uopo.Intanto venne l’epoca in cui le relazioni colla Sicilia potevano acquistare una re-golarità e l’acquistarono. Si comunicò l’ordine di pensieri prestabilito al piano ge-nerale, e l’accoglienza fu favorevole come nelle altre parti d’Italia ove si era ten-tato10.

Negli occhi di pece dei nuovi compagni, nei prodotti che Diego Arangiovendeva con orgoglio nella sua bottega, Nicola aveva finito con l’intravede-re la terra bruna, il profumo salmastro della Sicilia, le sue note legnose e l’in-confondibile fondo zuccherino. E poi aveva riconosciuto l’anima antica, l’ar-dita creatività nei bozzetti dell’amico scultore palermitano, Rosario Bagna-sco, la bollente e reattiva creatività nell’entusiasmo dei loro progetti, negliscatti d’ira incontrollati, nelle passioni immediate, nelle adesioni totali, nelpragmatismo indolente. In Spagna Fabrizi aveva scelto la Sicilia come pun-to di avvio dell’impresa insurrezionale in Italia e quelle storie, quelle scopertequotidiane, quei momenti in compagnia dei siciliani non facevano che con-fermare le sue aspettative. Un’idea controversa la sua, che avrebbe destatole critiche più pungenti da parte di Giuseppe Mazzini e che sarebbe stato co-stretto a difendere in lettere ridondanti e in lunghe memorie. Pagine ap-passionate quelle in cui, pur riconoscendo la tipicità, l’eccezionalità, la par-ticolarità dei bisogni del popolo siciliano, ne proclamava l’identità d’interessicon quelli dell’Italia, appellandosi alle ragioni del determinismo culturale,a quelle del determinismo ambientale, climatico, che legano l’isola ai desti-ni della nazione.

La vera causa degli interessi della Sicilia, è la causa degl’interessi di tutta l’Ita-lia. Le grandi linee culturali determinanti le Nazioni, il Cielo che ne ricopre il cli-ma, l’impronta morale e fisica che ne caratterizzano l’indole, e la natura degli abi-tanti, sono i segni che manifestano il decreto della natura, la comunanza della lin-gua e alla prima espressione della necessità de’rapporti infra uomini della stes-sa patria. La tirannide, l’orgoglio umano, e la perfidia tentarono talvolta divide-

Partire da Sud [57]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

re e distruggere ciò che Iddio e la natura decretarono unito, comune e costituenteun sol popolo. Quando un popolo figlio della stessa razza, sotto lo stesso clima,parlante la stessa lingua accettò il patto della prepotenza, ed il separarsi in fra-zioni, ed essere detti di popoli differenti, la debolezza, l’impotenza a se stesso nefu prima e fatal conseguenza, la schiavitù e l’oppressione straniera ne furono penameritata alla violazione della legge di natura e di Dio. L’Italia lungamente e do-lorosamente espiò la sua colpa11.

Era stato Guglielmo Pepe nel 1833 a indicare, nella Memoria su i mezziche menano all’italiana indipendenza, il Regno delle Due Sicilie, come baseideale per dare inizio all’insurrezione in Italia12. Il generale calabrese, chenegli anni Venti aveva vissuto in Spagna un’esperienza simile a quella di Fa-brizi13, sosteneva che oltre alla costituzione geografica, ai possenti rilievi mon-tuosi, alla ricchezza vegetativa, ciò che rendeva la Sicilia il contesto idealeper l’esordio della sollevazione nazionale era la lontananza dal raggio di in-tervento austriaco «giacendo il Regno di Napoli sul finire della penisola»14.

Perfettamente d’accordo con Pepe, Fabrizi pianificava l’iniziativa meri-dionale innanzitutto proponendo la creazione di un comitato di patrioti si-ciliani sull’isola, con il compito di coordinare i volontari pronti all’azione, estilando un programma costruito su una serie di Proposte al popolo siciliano:

1° Favorire l’accrescimento di rapporti ai diversi punti dell’Isola di tale Comitato,aumentarne la forza morale, centralizzarvi l’opinione e la direzione, per quanto danoi si possa da ogni parte, ove teniamo ed acquisteremo relazioni d’uomini sicuri.2° Legare il lavoro Siciliano ai lavori del continente Italiano, ai diversi posti ove essoè attivo.3° Porre il centro siciliano a contatto de’ centri continentali Italiani [...].5° Assicurare con ogni sforzo per noi possibile, si col favorire il prestigio Sicilianosulla opinione delle popolazioni Italiane, sia col concentrare le aspettative della par-te attiva Italiana ai primi fatti Siciliani, sia col crescerne di attività per quanto da noisi possa i lavori interni, la più pronta e sicura cooperazione e concorso al fatto de’punti i più difficili al fatto sul continente Italiano ad immediate garanzie della po-tenza de’primi fatti Siciliani sullo spirito di tutto il rimanente d’Italia15.

Fabrizi era consapevole delle perplessità che innanzi a tanto entusiasmogiungevano da più pulpiti. Innanzitutto sull’identità italiana della Sicilia fioc-cavano critiche dalle tradizionali correnti indipendentiste e conservatrici, chegettavano carburante al fuoco di chi sperava nella costituzione di un Regnodi Sicilia indipendente. L’attentato al principio di Unità era una pericolosae reazionaria tentazione, scriveva Fabrizi di rimando e si appellava proprioalla loro sicilianità, che comunque teneva in considerazione, convinto assertoredella necessità di garantire «la libertà speciale nelle parti in ciò che riguar-da e si restringe agli interessi speciali delle medesime»16.

Chiara Maria Pulvirenti[58]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

Non sia però l’appoggio di forza straniera che animi il vostro braccio. Sia l’occasio-ne che vi convinca, non la speranza codarda. Sorgete liberi e valorosi, forti nella co-scienza di grandi mezzi che in voi stanno per voi stessi e per tutto il popolo che vivedall’Etna alle Alpi, de’ grandi mezzi che stanno nella intera Nazione, parlante linguaitaliana per sé stessa e per voi Italiani, figli di lei diletta. Siciliani! Non vi accechinoantiche ambizioni, bensì vi si ricordino le sanguinose delusioni. La patria non puòsalvarsi che col razzio – la libertà non esiste che sotto la bandiera della Patria – laPatria non esiste che ne rapporti interni e nella fratellanza di una Gran Nazione, rac-colti nell’unità del concetto e della forza [...]. Coloro che a voi offrono altro pensie-ro che quello che sarà scritto in una sola bandiera con cura, che vi promettono altraforza per voi stessi, che quella che sta nel vostro valore, e nel valore Italiano, vi in-gannano, vi tradiscono, vi disonorano. Vi parlano di libertà e vorrebbero darvi ser-vaggio, vi lusingano di vittoria, e disgiungono l’unica forza che può conseguirla – vigridano indipendenza e tentan mercato di voi collo straniero che lo rifiuta17.

Il modenese era convinto che lo spirito rivoluzionario fosse innato nel po-polo siciliano, ma avrebbe voluto depurarlo dagli egoismi indipendentisti esfruttarlo a beneficio dell’intera nazione, come esempio in grado di conta-giare l’intera penisola. La già sperimentata vocazione antiborbonica sicilia-na, che fino allora «si configurava come un conflitto tra Napoli e Palermo»18

andava rimodulata in più proficue convinzioni pan-italiane.Del tutto ostile a questa idea era Giuseppe Mazzini che, per quanto so-

stenesse a spada tratta il principio unitario, dichiarava senza mezzi termi-ni il proprio scetticismo sul tema dell’iniziativa meridionale:

Fido poco o quasi nulla nella Sicilia come punto da cui possa partire efficacementeun’iniziativa italiana. Non gode influenza alcuna da noi; è riguardata come un mon-do a parte; le nuove non giungono alle parti importanti d’Italia che tardissimo,e ci vorrebbero non solo movimenti, ma miracoli di spirito e ingegno rivoluzio-nario, che non ispero, per agire sull’Italia. Credo cosa santa i lavori diretti a ita-lianizzarla, etc. Ma come centro d’azione non ho fiducia19.

Eppure a giudicare dalla preoccupazioni delle autorità borboniche, cir-ca i rapporti dei siciliani con gli esuli a Malta, l’attività che Nicola Fabrizi erariuscito a intraprendere con i cospiratori meridionali, tra i quali molti indi-pendentisti, era particolarmente intensa. L’intendente della provincia di Ca-tania nel settembre 1841 ricostruì i rapporti, le reti cospirative siciliane inuna lettera al Luogotenente Generale e fornì un elenco dei corrispondentidegli emigrati a Malta nelle diverse città dell’isola. Giuseppe Marano in-tratteneva rapporti epistolari con Diego Arangio attraverso l’intermediazionedella moglie di quest’ultimo che, a Pachino riceveva le lettere, e con l’aiutodel dott. Vincenzo Giuffrida le passava a Catania. Nella stessa città i fratel-li Giuseppe e Domenico Caltabiano erano i destinatari delle missive dell’esuleSalvatore Tornabene, così come Carlo Ardigno scriveva e accoglieva lettere

Partire da Sud [59]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

dal profugo Diego Fernandez, che da Lentini aveva notizie dal Barone Pan-cali e da Siracusa da Gaetano Orsini.

Le soffiate giungevano dai rapporti segreti di un informatore della poliziaa Malta, Salvatore Enea, che già nel 1841 aveva ben chiara la natura dei rap-porti che legavano i siciliani ai fratelli modenesi Nicola, Paolo e Carlo Fabrizi:

A questi si sono uniti i seguenti siciliani tutti emigrati, M.se Sangiuliano figlio,Salvatore Fatta di Polizzi, rifugiato dal 1821, Ignazio Pompejano e Francesco La-guidara di Messina, Diego Arangio ed Antonio Sanzirilli di Catania, Salvatore Mi-rone di Viagrande, il piccolo villaggio vicino Catania, i quali appartengono tuttialla Giovane Italia. Il capo loro è Nicola Fabrizi, il quale li dirige a suo talento.Ora la missione loro non è altra che di far divenire il partito liberale di Sicilia ailoro principi unitari e non a quelli d’indipendenza da Napoli. Infatti quanti Si-ciliani toccano Malta sono prontamente assaliti d’alquanti di essi, e dopo d’aver-gli offerti de’ complimenti, incominciano a propagargli i loro principi. Spedisconoin Sicilia, ogni volta che possono, degli scritti, emissari, insomma adoperano tut-ti i mezzi in favore de’ loro incarichi [...]. Le spese necessarie sono approntate daNicolò Fabrizi20, il quale concede a tutti sì crede, che lui riceve delle somme dal-la società a cui esso, che appartiene, per far fronte a tutti i casi, che possono oc-correre. Infatti tutti quei rifugiati politici che toccano Malta, e non hanno mez-zi, sono soccorsi pagandosi spese di contumacia ed altro21.

Non mancavano dunque teste e braccia che accendessero la miccia sici-liana. Era solo una questione di tempi opportuni.

3. La Legione Italica

In quei primi tempi di esilio maltese Nicola Fabrizi leggeva Niccolò Ma-chiavelli. Sfogliava il primo libro delle Istorie fiorentine, lo studiava, medi-tava su alcuni paragrafi, poi prendeva dei fogli bianchi e costruiva il suo Zi-baldone di memorie di N. M., più che una sintesi, una raccolta di messaggiscovati nel passato, un mosaico di citazioni-rivelazioni, di indicazioni all’azione,celate nel racconto dell’autorevole fiorentino.

«Prima cagione della rovina dell’imp.[ero] R.[omano] la divisione in Oc-cidente ed Oriente»22, scriveva Nicola citando Niccolò, e continuava ricor-dando l’occupazione delle terre di confine da parte dei Vandali in Africa, de-gli Alani e dei Visigoti in Spagna, dei Franchi e dei Burgundi in Gallia, de-gli Unni nella Pannonia.

A Malta Nicola Fabrizi leggeva Niccolò Machiavelli perché credeva ne-cessario comprendere le ragioni del crollo di uno Stato, prima di arrischiarsiad intraprendere la costruzione di uno nuovo, e per trovare nei classici i pun-ti fermi della linea di azione che aveva sperimentato in Spagna: la guerra perbande, l’iniziativa ai confini.

Chiara Maria Pulvirenti[60]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

Proprio facendo riferimento al mondo bellico latino, in particolare all’unitàmilitare di base dell’esercito romano, il modenese aveva battezzato l’orga-nizzazione rivoluzionaria da lui inaugurata sull’isola, la Legione Italica, crea-tura che tante polemiche avrebbe suscitato nel partito dei Democratici: co-stola ribelle della Giovine Italia, agli occhi affranti del Maestro, unica solu-zione ad una questione atavica, la causa nazionale della penisola italiana, aquelli dell’esule modenese, rivoluzionario stanco d’aspettare.

Pagine e pagine furono scritte quando ancora il nuovo gruppo, riunito in-torno a Fabrizi, non aveva mosso i primi passi: a pagine di recriminazionirispondevano lettere di spiegazioni, a lettere dense di delusione memorie ca-riche di giustificazioni, a memorie ricche di comprensione fogli programmatici,statuti, linee guida.

La Giovine Italia aveva fallito. Era il presupposto da cui partiva l’inizia-tiva di Nicola: dopo gli insuccessi del moto e dell’invasione della Savoia, del-l’insurrezione a Genova, a ben poco serviva la lugubre inattività in cui si erarinchiuso Mazzini nell’esilio londinese; in quella “tempesta del dubbio” dipascoliana memoria, consapevole degli errori, ma incapace di voltare pagi-na e di concludere, o meglio perfezionare, un’esperienza, di cui era rimastounico sostenitore, abbandonato ormai da tutti i suoi collaboratori più fede-li. Da tempo Giuseppe Mazzini si ostinava in una sterile cecità, scriveva Ni-cola al fratello Paolo, nel settembre del 1839:

La cosp.[irazione] della G. [iovine] I.[talia] non esisteva più ed era stata spentaper l’impressione de’ risultati, e l’abbandono dei capi. Se la cosp. si fosse soste-nuta anco soltanto in vita ad onta de’ risultati, avrei veduto via per cui poter lu-singarsi di ravvivarla a potenza;... però quando lo smembramento fu compiuto,ed abbandonato alla reazione, e dispersi tutti gli elementi, e tutto convien rico-minciare da capo, manca il veicolo per cui ripresentarlo, senza che l’impressio-ne disorganizzatrice, s’affacci causa e ripulsa23.

Nicola Fabrizi e Giuseppe Mazzini avevano attraversato insieme l’umi-liazione del fallimento e il primo si era sempre detto strenuo difensore delprogetto del Maestro. Così la diserzione, l’insubordinazione, quell’inconsuetasmania di protagonismo del compagno di lotta erano un dolore cocente perl’esule genovese che in uno sfogo al vecchio amico scriveva:

Noce il dissenso che corre fra noi. Eravate padroni di darvi il merito, merito rea-le se non incominciaste a guastarlo ora, d’aver voi soli costanti mantenuta la fiam-ma sacra. Potevate dire ai vostri «quando l’attività della G.[iovine] I.[talia] As-sociazione Nazionale cessò: quando s’arrestò la predicazione dei principii, etc. etc.noi, uomini d’azione, pensammo a riconcentrarci tra noi, e formare un corpo sa-cro che potesse un giorno, quando la bandiera della G.I. risorgerebbe, farla for-te ed attiva. Eravamo certi che quel giorno verrebbe, perché l’anima della G. I. èimmortale come la verità ch’essa predica, e finchè l’intento non è raggiunto, l’ini-

Partire da Sud [61]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

ziativa che le appartiene può annebbiarsi per un breve tempo, non annientarsi.Ma in noi quell’anima era incarnata; noi non avevamo più bisogno della predi-cazione e potevamo agire; così facemmo anche soli, aspettando il ravvivamentogenerale dell’Associazione. Il ravvivamento ora è giunto, e noi, convinti che la piùstretta unità può sola far procedere l’impresa a buon fine, ci affrettiamo a schie-rare le nostre forze nell’esercito nazionale, e a far aperta testimonianza della no-stra fede nell’Associazione- madre. [...]»24.

Mazzini non era riuscito ad entrare nel merito della questione con la suaacrimoniosa missiva. Il nuovo organismo non era un replicante della Gio-vine Italia, quanto piuttosto un suo prolungamento, che si sarebbe dovu-to preoccupare della preparazione e del coordinamento del movimento in-surrezionale, mentre “l’associazione-madre” preparava il terreno con la pro-paganda politica ed educativa. Il braccio e la mente: era un’immagine chea Nicola sembrava calzante, ma che non chiariva le forti istanze di auto-nomia, quanto all’azione, che la Legione Italica pretendeva rispetto alla de-crepita Giovine Italia. Una libertà che Nicola affermava a suon di circola-ri, sebbene senza trascurare, la strada della conciliazione e della divisio-ne dei compiti con Mazzini, inviando come ambasciatore a Londra il fra-tello Paolo.

Nei documenti programmatici della Legione Italica Nicola si diceva por-tavoce di un numero consistente di individui che non desideravano altro, senon combattere per l’emancipazione dell’Italia dalla “bandiera straniera”. Evo-cava il ricordo dell’avventura iberica, prima esperienza di volontariato in-ternazionale, scrivendo:

L’Italia non manca della forza numerica di uomini disposti al sostegno della cau-sa Nazionale, mentre in ogni parte quando sorga il popolo contro i governi, il nu-mero de volontarii fu sempre superiore nella proporzione della popolazione che larivolta avrà potuto emancipare. L’Italiano non manca di valore, poiché in Europada molt’anni non si combatte per la causa della rigenerazione sociale senza che ilsangue italiano ne sia sparso a tributo dell’amore Italiano alla libertà, ed ogni ter-ra ove si combatté frammisto alle ossa de suoi martiri ha ossa Italiane25.

Nicola Fabrizi spiegava il suo ottimismo, circa le possibilità di realizzazionedi un progetto rivoluzionario in Italia, in un testo dal titolo Pensieri originatoridella Legione Italica26 in cui ripercorreva la storia dell’amor patrio. Primi va-giti nel 1815, quando la Napoli di Gioacchino Murat provò a impedire la re-staurazione dei Borboni, portando «il grido d’indipendenza sino agli arginidel Po». Ma proprio perché ancora affidata nelle mani di uno straniero, quel-l’impresa «dovette limitarsi – spiegava Fabrizi – ad una spedizione milita-re, che pochi scelti avevano eccitata e favorita; che la inerzia pubblica ab-bandonando a forze tanto inferiori rendeva per necessità incapaci ed inegualiagli ostacoli ed alle forze che doveva superare»27. L’esule si allineava così alle

Chiara Maria Pulvirenti[62]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

posizioni di Vincenzo Cuoco che a proposito del fallimento dell’esperienza re-pubblicana napoletana del 179928 aveva sottolineato la distanza tra le aspet-tative della popolazione e le idee straniere di cui la rivoluzione era espressione29.Poi vennero le rivoluzioni del 1820-21, i moti del 1831: la partecipazione del-le masse popolari iniziò a crescere, divenne più consapevole.

Solo giova a noi il constatare che non fu colpa di popolo perché in nostro concetto,quando le moltitudini accolgono senza opporsi una proposta, quando al presentarsidi un avvenimento, esso ne eccita la loro ansietà ed aspettativa, è la lusinga di van-taggi generali che sappia ispirarsi e dimostrarsi che deve trarle al concorso di fat-to: ma se la simpatia e l’entusiasmo si consumano, si disperdono, o si spengonosenza produzione, è perché manca l’artefice che ne sapesse l’impiego, che vales-se a costruire. Il trarre a confidenza, unificare ad una formola di principio, ridurread una organizzazione ed a necessità di volere, una volta che le moltitudini han-no accolto un desiderio, è opera, è scienza dei pochi, cui sono necessarie alcunecircostanze favorevoli e molta fede30.

Fabrizi era consapevole della svolta operata dall’età napoleonica: era sta-ta inaugurata la «nuova società degli individui privati»31, basata sul princi-pio della «carriera aperta ai talenti»32, quegli stessi talenti, soprattutto mi-litari che avrebbero dovuto farsi carico della difesa e diffusione degli idealidemocratici nel resto della società. Era convinto delle pesanti responsabi-lità dei capi nel fallimento dei tentativi insurrezionali italiani e comprenderloriteneva fosse necessario al superamento dei passati errori. Il cospiratore mo-denese credeva infatti che le forze italiane fossero numericamente sufficientiad affrontare lo straniero, ma d’altra parte era persuaso anche che non si po-tesse prescindere da uno sforzo organizzativo che le rendesse strategicamentecompetitive rispetto ad esempio all’esercito austriaco «forte per disciplinae materialità di forze».

Il coordinamento dell’azione diventava il concetto chiave della cospira-zione italiana, il fondatore della Legione Italica non aveva dubbi:

Una cospirazione che calcolar deve nella fede, e nelle disposizioni sulle moltitudi-ni al cui soccorso aspirar, che deve raccogliere i mezzi primi a promuovere il fat-to, scegliere il pensiero cui collegarlo, determinare le prime tracce a cui uniformarela direzione, preordinare gli elementi disponibili sul terreno ad essi più vantaggioso,assicurare per quanto è possibile la conservazione della unità organica nel mora-le e materiale colla uniformità delle parti, ed il loro convegno ad un centro; peròè che astenendosi col proprio sguardo oltre la specialità delle prime condizioni de’fatti, e de’ loro mezzi, deve presentare la suscettività alle modificazioni, che la scien-za di nuovi uomini, lo sviluppo vario delle condizioni possono esigere33.

Stolto, sconsiderato o in malafede chi avesse voluto negare l’estrema di-somogeneità persino del suolo italiano. Quella lingua di terra supina sul Me-

Partire da Sud [63]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

diterraneo, le coste frastagliate, le aguzze catene montuose, i morbidi colli,i laghi, le paludi, i fiumi nelle pianure, le distese aride e assolate, i campi fer-tili, la sabbia in riva ai mari, gli scogli neri, le isole e i vulcani, tutta la peni-sola era un incredibile enigma territoriale, indecifrabile, mutevole da un li-torale all’altro, capricciosa composizione di zolle, accessibile solo a chi la po-polava. Ecco perché dire “unità” era cosa ben diversa che parlare di “uniformitàd’azione”, ecco perché le singole mosse andavano studiate localmente e sumisura rispetto ai teatri che le avrebbero accolte. Fu l’errore dei moti del 1820e di quelli del 1831 il non considerare il contesto nel quale si intendeva far-li scatenare, lo spirito pubblico, la volontà della massa popolare, scriveva Fa-brizi in una nota dei suoi Statuti della Legione Italica:

Non spirarono sentimento di Nazionalità per cui mancasse il senso della forza com-plessiva Italiana ove doveasi calcolarla per attenderla e resistere per promuoverlaed ove doveasi conoscere la generalità dello scopo ed aversi l’opportunità delleCircostanze per insorgere. Ma nel 1821 fu ordita la Rivoluzione da un partito este-so bensì però, che calcolando poteva ancora essere in dubbio, e solo riconoscer-si dopo il fatto; colle proprie forze poté essa bensì bastare alla distruzione di al-cuni governi, ma mancò di pensiero all’unità ed alla resistenza che doveva cer-care. Nel 1831 l’impulso di un fatto straniero aveva scosso gli animi a moto, la spe-ranza dell’ajuto straniero l’avea prodotto, e quindi il predominio e l’influenza d’ognistraniera impressione sia nel pensiero che nell’invitazione in ogni rapporto, nelmentre fra poche nazioni la dissomiglianza è di certa nelle interne speciali con-dizioni, come fra la Francia e l’Italia, sia sulle consuetudine de’suoi abitanti, chenella topografia del paese, sia nella natura dei mezzi che possiede ciascuna di esse,che negli ostacoli che si oppongono al rispettivo trionfo34.

Non si poteva pensare a mettere in subbuglio un territorio sconosciuto. Eranecessario trovare in ogni angolo della penisola degli uomini pronti a combattereper la liberazione nazionale e che istigassero le masse dei compatrioti ad in-sorgere. Da questo punto di vista Fabrizi aveva in parte imparato la lezione,appresa tra le mura della Giovine Italia, della guerra per bande che il mode-nese considerava un innesco ideale per la deflagrazione rivoluzionaria.

Nicola Fabrizi si faceva paladino della virilità militante, che aveva già spe-rimentato in Spagna, ma nella convinzione che un generico sentimento co-smopolita non bastasse a salvaguardare la causa e che il concetto di co-smopolitismo fosse una «parola sotto cui si tenta oggigiorno adescare le men-ti alla dimenticanza del debito verso la società cui ciascuno appartiene, edè pretesto all’apatia ed all’egoismo di gran parte d’uomini di differenti na-zioni, che nella vastità de’ rapporti che tentano esprimere sotto quella de-nominazione credono imporre silenzio e cancellare ogni diritto della loro pa-tria naturale sovr’essi»35.

Pur ammettendo che l’insurrezione non andava arrischiata senza la cer-tezza dell’assenso popolare, degna di maggior considerazione era secondo

Chiara Maria Pulvirenti[64]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

Fabrizi la preparazione delle bande, che dovevano avviarla. A questo scoponasceva la Legione Italica:

La Legione Italica non ha dunque per solo scopo di intraprendere se gli elementison pronti; ma bensì di unire quelli che son pronti, di ampliarli col maturarnedei nuovi, di maturare la situazione interna all’azione col far intendere la possi-bilità [...]. La L. It. non è una società segreta, è una forza segreta che si è costi-tuita in mezzo agli uomini patrioti, scegliendo quelli che sono capaci e volente-rosi, si fatto nello stesso modo che la coscrizione in una Nazione costituita sce-glie i soldati per l’attitudine che hanno al fatto36.

Punti chiave del bagaglio dottrinale della Legione erano il credo demo-cratico e repubblicano e la fede nel principio di nazionalità.

Per quanto Nicola Fabrizi preferisse non definire la sua organizzazioneuna società segreta, probabilmente per evitare di contrapporsi frontalmen-te alla Giovine Italia, la Legione Italica attingeva a piene mani all’apparatosimbolico, retorico, rituale ed organizzativo dei circoli clandestini.

Sceglieva come simbolo un corno attorcigliato su se stesso, a fermare alcentro un tricolore, un fucile, una baionetta e una spada incrociati ad unazappa perpendicolare al suolo, sulla cui punta era posato un cappello da al-pino sormontato da una piuma. In un’intestazione in cima alle circolari il ruo-lo delle catene montuose veniva celebrato retoricamente:

Gli stranieri ed i loro amici sono i nemici nostriLe montagne i nostri baluardiNostra sola speranza l’ItaliaSia nostra salvezza il combattere37.

La retorica della Legione non rinunciava al motto trinitario “Unità, Indi-pendenza, Libertà”, caro alla Giovine Italia, che spiegava in questi termini:

Per Unità intendiamo la centralizzazione morale ed organica di tutta l’Italia adun principio comune. La edificazione di un sol Governo che la pluralità Nazio-nale costituisca nel giorno in cui la Nazione intera libera dallo Straniero possamanifestare ed esercitare la propria volontà38.

Non faceva a meno neppure delle cerimonie che precedevano l’affiliazionedei volontari, condotte in ossequio ad una rigorosa liturgia, ma con un oc-chio di riguardo per gli aspetti concreti e strettamente materiali della par-tecipazione all’organizzazione.

Il giuramento – era scritto in una circolare – sarà pronunciato innanzi all’orga-nizzazione che lo riceve ed alla presenza di un volontario che giura esso pure. Il giu-ramento si dà per coppia cioè a due a due. Non si proporrà né riceverà il giuramento

Partire da Sud [65]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

da niuna coppia di volontari prima che sia provveduta delle proprie armi e dellemunizioni per 80 cartocci. Ogni volontario pronunziando il proprio giuramento im-pugnerà colla sinistra il proprio fucile e poserà la destra sul cuore39.

La struttura della Legione era strettamente ancorata al territorio italiano,controllato da una struttura amministrativa a scatole cinesi. La penisola eradivisa in Campi: Campo Siculo, Gran Campo Meridionale, Campo Centraledi Mezzogiorno, Campo Occidentale, Campo d’Oriente, Gran Campo del Nord.Ogni Campo era a sua volta composto da più Divisioni, ognuna delle quali in-cludeva un certo numero di Suddivisioni, organizzate in Compagnie all’internodelle quali lavoravano le cosiddette Teste di Nodi Organizzatori, solitamen-te di cinque volontari ciascuna40. Queste le indicazioni ai Campi, incluse trale numerose linee direttive ai diversi gruppi organizzati per chiarire quali fos-sero le competenze e i limiti di azione a ciascun livello:

121° Le linee che circoscrivono ogni Campo si stabiliscono e determinano pei rap-porti di difesa e di azione in cui stanno le località fra di loro e per la topografianaturale del paese.122° Ogni campo si coordina all’azione generale cui deve collegare i suoi prepa-rativi ed all’azione speciale le di cui condizioni deve riconoscere e stabilire dal-le condizioni speciali che il paese racchiude dentro le proprie linee. [...]125°Le forze che costituiscono un campo fanno centro ad una Giunta d’organiz-zazione insurrezionale. [...]127° Ogni Giunta ha un individuo delegato a presiederla.128° Ogni individuo della Giunta ha voto deliberativo in ciò che riguarda tantol’interno del campo, come i suoi rapporti coll’estero41.

Simile ma su scala più piccola la struttura di divisioni e suddivisioni, di-rette dalle giunte divisionali e suddivisionali. Per quel che riguarda compa-gnie, nodi e volontari, le direttive generali precisavano le modalità d’arruo-lamento:

193° La catena si distende di luogo in luogo per prossimità.194° La catena d’arruolamento comincia dagli individui delegati dalla Giunta d’ar-rolamento e d’organizzazione suddivisionale ed arriva sino all’ultimo arrolato.195° Ogni catena si forma di nodi di cinque in cinque individui.196° Ogni individuo appartenente ad una compagnia ha un numero che lo segnaleprogredente dal 1°, testa del 1° nodo, successivamente ( per esempio il 3° nodoavrà i n°. dal 15 al 20).197° Ogni compagnia si prepara nella sua organizzazione di cinque nodi198° Gli estremi da cui partono i differenti nodi convergono fra di loro a comporreil nodo organizzatore42.

Chiara Maria Pulvirenti[66]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

Un controllo capillare ed esteso del territorio, che prestava una partico-lare attenzione alla Sicilia e al Mezzogiorno, all’interno del quale si prepa-rava l’iniziativa insurrezionale. L’appartenenza della Sicilia alla nazione ita-liana, il rifiuto delle istanze indipendentiste che tenevano banco tra i cospiratorimeridionali, erano ribadite nella stessa formula recitata dai volontari duranteil rito iniziatico per l’ingresso nella Legione. Una formula impegnativa nontanto per la verbosità, quanto per il forte valore programmatico di quelle pa-role che i volontari pronunciavano solennemente innanzi ai compagni:

Io N.N. Siciliano, per ciò Italiano, mi costituisco volontario della L. I. nella com-pagnia n°. della Sudd.[ivisio]ne n°. nella Div. [isio]ne n°. del campo Siculo nominatoCampo di Procida, all’oggetto di combatter per la Indipendenza, Unità, Libertà del-la mia Patria. Perché credo nella giustizia come legge d’Iddio, nella eguaglianzafra gli uomini come diritto ed obbligo di giustizia, nella Libertà come legge d’egua-glianza. Perché credo che all’uomo non è lecito rinunciare alla giustizia ed alla li-bertà, o soffrire l’ingiustizia e la schiavitù né per sé né per gli altri, che il primodovere ed il primo diritto di giustizia e libertà è verso la propria Patria, e nella pro-pria Patria. Perché so che la mia Patria è l’Italia di cui la Sicilia è una parte inte-grante che tutta l’Italia dall’Etna alle Alpi è egualmente infelice per l’ingiustiziaed oppressione interna sostenuta per forza e violenza straniera, e per i di lei fau-tori. Perché sono convinto che la giustizia e la libertà in niuna nazione possonoessere costituiti che per la forza unita del Patriottismo contro la forza dell’op-pressione, che l’Italia nella sua totalità possiede la forza capace a poter vincere laforza dell’opposizione e che il modo di suscitar la forza del Patriottismo è l’in-surrezione, che l’insurrezione per rendersi valevole alla vittoria sia degno della riu-nione di un numero scelto disponendolo al fatto per il sistema che meglio si con-viene alla situazione d’Italia contro i di lei inimici e le loro forze. Al cospetto delmio compagno come se fossi in fronte a tutti i Volontari verso cui intendo obbli-garmi da questo momento, stringendo la di lei destra in pegno di lealtà, promet-to e giuro per Dio, la mia Patria, il mio onore e tutto che ho di più sacro al mon-do, per ora e sempre comparire armato sotto la bandiera della L. I. al primo aspet-to, per non abbandonare il Campo di Battaglia che colla perdita della vita e collavittoria. Prometto e giuro non considerarmi sciolto dall’obbligo che riconosco comeSiciliano e perciò Italiano, che assumo come volontario nella L. I sin alla assicu-razione dell’inviolabilità della indipendenza della comune Patria da ogni stranierodella di lei libertà, costituita nell’eguaglianza per l’abolizione d’ogni privilegio del-l’Unità Nazionale, rappresentata in un Governo indipendente e libero, scelto e man-tenuto nel voto dell’universalità della Nazione. Invoco sul mio capo da Dio e da-gli uomini la punizione dello spergiuro e traditore se sarà per me violato in alcu-na parte quanto ho promesso e giurato in questo giorno in cui mi costituisco sol-dato della Patria prendendo il mio posto nelle file della L.I.43.

Una formula toccante, ma pronunciata da pochi: nel 1842 Fabrizi speròdi fondere la Legione Italica all’Esperia, ma non convinse i fratelli Bandie-

Partire da Sud [67]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

ra. Il fallimento della loro impresa, dalla quale aveva tentato di dissuader-li nel 1844, segnò il passaggio dell’esule modenese a nuove posizioni, che nonlasciavano alcuno spazio né ai riti delle società segrete, né alla smania d’azio-ne rivoluzionaria. La delusione di fronte all’inopportunità dei tempi e la nuo-va maturità di Nicola Fabrizi sancì la fine della Legione Italica e l’abbando-no di Malta. La partenza dall’isola valse come la rinuncia al ruolo direttivoassunto fino a quel momento, ma senza rinunciare all’idea che per fare l’Ita-lia si dovesse partire da Sud.

4. La Sicilia come inizio

Non fu per cieco ottimismo se Nicola Fabrizi riuscì a trarre conclusioni de-cisamente positive dal fallimento della rivoluzione del 1848. Aveva avuto con-ferma che la Sicilia fosse uno straordinario detonatore per le potenzialità sov-versive della penisola italiana e d’altra parte che l’isola non bastava a se stes-sa nel processo di emancipazione dalla monarchia borbonica, a riprova cheil principio unitario non era derogabile.

Nonostante la fine dell’esperienza della Legione Italica, la partenza di Fa-brizi da Malta e poi il fallimento delle rivoluzioni quarantottesche i sicilianinon avevano rinunciato alla cospirazione. Nel 1849 a Malta si erano organiz-zati in un comitato così descritto all’esule modenese da Diego Arangio:

Si è costituito un comitato operatore, vi appartengo io, Ignazio [Pompejano], Gior-gio [Tamajo], Pietro [Marano] ed altri, sette in tutto, siamo in corrispondenza conGenova per l’estero e presto saremo in relazione con altri posti. Lo scopo è pro-pagandare la democrazia, e già i più restii principiano a capire – anzi posso as-sicurarti che viene accolto il concetto con la maggiore facilità, difficoltà unica anon [?] definitivamente potrà essere la Corte di Torino – che se terrà terreno nel-la via Costituzionale gli occhi di tutta Italia là si volgeranno; ed è naturale per-ché in essa trovano un’armata che dee opporsi al Paese. Il concetto unitario è orapiù sentito, per le medesime ragioni che tu deduci. La tua non si presta come unadi quelle teorie che non ammettono creazione. All’opposto il pensiero di nazio-nalità Italiana viene preso senza esitanza, ed ogni cosa conviene in quest’uno, chébisogna sperare nella totalità di noi stessi, e di fare quello che l’Italia farà44.

Tra i principali membri del gruppo genovese spiccavano i siciliani RosolinoPilo e Salvatore Calvino, in corrispondenza con Fabrizi, e tutti guardavanoalla Sicilia come ideale punto di slancio di un’iniziativa rivoluzionaria checoinvolgesse l’intera penisola. Scriveva Calvino:

Bisogna quindi, come vedete, onde gettar la prima pietra principiare dall’unifi-care il partito repubblicano della Sicilia. Ed a ciò fare è d’uopo conoscere lo sta-to del medesimo nell’isola e mettersi con esso in istretta e viva relazione. Il pun-

Chiara Maria Pulvirenti[68]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

to più favorevole a questo lavoro essendo Malta, i nostri amici di costà dovreb-bero addossarsi quest’incarico, e portarlo alacremente a compimento in Voi cheavete tanta influenza su di loro, fareste bene, colla cooperazione dei più influentirepubblicani di cotesta di riunirli tutti, e farli operare d’accordo. Dal canto no-stro e dei nostri amici di Marsiglia e di Parigi vi promettiamo assistenza per quan-to possiamo darvene giovandoci delle poche relazioni che abbiamo in Sicilia; econ una contribuzione mensile che promoveremo: contribuzione che servirà a farfronte alle opere che potranno occorrere per sostenere il lavoro45.

Nel 1848 Fabrizi si era occupato dell’organizzazione degli eserciti di di-fesa delle molteplici rivoluzioni che avevano messo in subbuglio gli Stati preu-nitari: a Bologna era stato inviato da Guglielmo Pepe infatti ad organizza-re una legione per soccorrere Venezia46, che era stata poi impiegata a tute-la della Repubblica Romana. Quell’anno si era rivelato dunque per Fabriziun momento indimenticabile di sperimentazione pratica di ciò che per anniaveva progettato appollaiato sullo scoglio maltese: la formazione di un eser-cito di volontari in grado di trasportare l’insurrezione da un punto all’altrodella penisola, un vero e proprio agente di nazionalizzazione, attraverso ilnaturale vincolo di solidarietà che si creava sul campo di battaglia47.

Forte della consapevolezza che, nonostante il fallimento, il 1848 aveva rap-presentato un vero e proprio turning point, Fabrizi aveva tentato di rientrarea Malta, ma il nuovo governatore della colonia inglese aveva impedito il suosbarco e quello di numerosi altri profughi italiani. Così aveva seguito da Ba-stia i progressi dell’attività cospirativa, il canto del cigno dell’iniziativa ri-voluzionaria mazziniana e la presa di coscienza della totale incapacità or-ganizzativa del Maestro e dei suoi seguaci. Infine aveva constatato l’ingres-so della questione italiana al centro del dibattito dell’opinione pubblica in-ternazionale e l’emergere tra i democratici di un pensiero inaudito, frutto del-l’esasperazione innanzi all’attendismo mazziniano: l’idea della bandiera neu-tra pur di ottenere l’unità nazionale.

Ancora ostile per principio a quest’ultima ipotesi, nel 1853 Fabrizi rien-trò a Malta e nel 1855 toccò l’apice il suo impegno nella preparazione di un’ini-ziativa insurrezionale nel Meridione, ancora di matrice democratico-re-pubblicana. Un impegno concreto che si realizzava a partire dalla solita au-tonomia dottrinale rispetto a Giuseppe Mazzini e da un nuovo rapporto dicollaborazione con Carlo Pisacane, nonostante la sostanziale diversità di ve-dute. A Fabrizi bastava sapere che il patriota napoletano condividesse l’ideadella necessità di un risorgimento meridionale quanto il più possibile ra-pido, che scavalcasse una volta per tutte i tediosi tentennamenti del Mae-stro. Partecipò attivamente all’organizzazione della spedizione di Sapri neipanni dell’intermediario tra il Comitato di Napoli e Mazzini e nelle opera-zioni di recupero dei fondi e dei mezzi necessari alla missione, ma il cele-bre e catastrofico sbarco nel Cilento si andò ad unire alla già lunga lista deifallimenti democratici, insieme ai contemporanei disastrosi moti di Geno-

Partire da Sud [69]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

va e Livorno. Era il 1857 e Nicola Fabrizi si convinse che forse era giunto ilmomento di ammorbidire la propria tradizionale intransigenza repubbli-cana e che l’aiuto della monarchia piemontese potesse davvero servire al-l’Unità, soprattutto se indirizzato contro un regime, come quello borboni-co, che «poteva valersi di un apparato di sicurezza ancor più solido di quan-to fosse prima del ’48»48.

Difese però con più convinzione e impegno l’idea che il Sud e la Siciliaavessero delle straordinarie potenzialità rivoluzionarie e cercò un nome au-torevole, che avesse credito tra i cavouriani per propagandare e sostenereeconomicamente il suo progetto. Lo trovò nella sua terra natale: era LuigiCarlo Farini. Medico liberale moderato, aveva partecipato con Fabrizi ai motidel 1831, era stato ministro dell’istruzione nello Stato Pontificio nel 1848 enel 1849 aveva ottenuto la cittadinanza piemontese. Deputato tra il 1849 eil 1856, divenne ministro nel governo di Massimo D’Azeglio e stretto colla-boratore di Cavour. Nel 1859, dopo l’armistizio di Villafranca, era stato no-minato dittatore a Modena e poi a Reggio e a Parma.

Fu proprio nel 1859 che, dopo una visita a Modena, Nicola Fabrizi inau-gurò da Malta una fitta corrispondenza con Farini, descrivendo le condizionipolitiche della Sicilia e di Napoli, indicando l’isola come la terra ideale su cuitentare uno sbarco, infine lamentando la mancanza d’armi e di risorse perintraprenderlo. A Malta Fabrizi aveva già iniziato da anni a preparare un ar-senale per la rivoluzione, al quale guardava con preoccupazione il governoborbonico. Nell’agosto 1858 scriveva il Luogotenente Castelcicala all’In-tendente di Catania

È pervenuto avviso a questo Real Governo di essere state costruite in Inghilter-ra delle piccole granate fulminanti della forma di piccola frutta, ricoperte di ve-tro, le quali come confetti sono riposte in scatole. È stato pure riferito che già uncompetente numero delle stesse sia partito per Malta su di un bastimento a velae che sia stato diretto al rifugiato Fabrizi, dal quale per mezzo di piccole barcheche fanno il traffico di vini saranno trasportati ne’ Reali Domini49.

Ad aiutarlo nei traffici d’armi pensava Francesco Crispi che si spostavain giro per l’Europa alla ricerca di consensi ai piani del modenese e così ras-sicurava il compagno di cospirazioni:

Io penso, che tu fai male a credere che gli altri ti tengano da meno di quello chesei. È un errore, che in certi casi diminuisce grandemente l’importanza tua, giac-ché tu per un fatale inganno della mente ti astieni di fare quello che potresti me-glio di ogni altro50.

Non aveva torto l’avvocato Crispi: nella primavera del 1860 la strategiache Nicola Fabrizi aveva meditato e sponsorizzato per anni si era impostae finalmente si partiva da Sud.

Chiara Maria Pulvirenti[70]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

A giugno non fu Marsala, ma Pozzallo ad accogliere lo sbarco dei volon-tari di Fabrizi. Li chiamò i Cacciatori del Faro in memoria dell’avventura spa-gnola e con loro percorse la Sicilia in lungo e in largo, passando da Modica,Noto, Catania, Milazzo e Messina, per trasferirsi a settembre a Palermo neipanni di ministro della guerra del governo dittatoriale garibaldino. Negli annisuccessivi continuò a vivere da protagonista il processo di costruzione del-lo Stato italiano, ma ciononostante l’uomo che aveva lanciato la sfida a Maz-zini sulle tappe della rivoluzione, l’uomo che l’aveva vinta, illuminando la stra-da che portava in Sicilia per l’avvio del Risorgimento nazionale, rimase unuomo nell’ombra, invocato in sparute occasioni celebrative, immortalato inrari monumenti, sempre ai margini della Storia e della retorica nazionale.

Partire da Sud [71]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

Note

1 C. Cattaneo, Foscolo e l’Italia, in Scritti letterari, artistici e linguistici, Le Monnier, Firenze1948, pp. 275-319.2 Cfr. A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Il Mulino, Bologna 2011; M. Isabella, Risorgi-mento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Laterza, Roma-Bari 2011; AA.VV., Giuseppe Mazzini and the Globalisation of Democratic Nationalismo. 1830 – 1920, edi-ted by C.A. Bayly, E. Biagini, Oxford University Press, New York 2008; AA.VV., Storia d’Ita-lia. Annali 22. Il Risorgimento, a cura di A. M. Banti e P. Ginsborg, Einaudi, Torino 2007; S.Freitag, Exiles from European Revolutions. Refugees in Mid-Victorian England, Berghahn Bo-oks, London 2003.3 Documento citato in E. Gentile, Fonti documentali degli Archivi napoletani. Malta nelle car-te di polizia dal 1831 al 1847, in “Archivio Storico di Malta”, anno XI, fasc. III, sett. – dic. 1940,p. 232.4 Nicola Fabrizi nacque a Modena il 31 marzo 1804. Fu uno dei protagonisti del processo di co-struzione dello Stato italiano: avviato dal padre avvocato agli studi giuridici, fu costretto ad in-terromperli per il precoce battesimo all’attività rivoluzionaria modenese guidata da Enrico Mi-sley e Ciro Menotti. Animatore della vita cospirativa e punto di riferimento per i democraticinegli anni dell’esilio dal 1831 al 1860, fu ministro della guerra del governo prodittatoriale ga-ribaldino nel settembre 1860 e poi deputato fino alla morte a Roma il 31 marzo 1884.5 Carlo Fabrizi nacque a Modena nel 1812. Nel 1831 a causa della repressione della congiura diCiro Menotti, per cui fu condannato a 20 anni di prigione, si diede all’esilio, andando prima aCorfù e poi nel 1839 a Malta, dove nel 1840 impiantò un’impresa commerciale, la “Carlo Fa-brizi & fratelli”. Morì a Valletta, dove fu seppellito il 30 ottobre 1846.6 Luigi Fabrizi nacque a Modena il 3 febbraio 1813 e fu colui che seguì più da vicino le attivitàsovversive del fratello Nicola, soprattutto in seguito al fallimento del matrimonio con Gianni-na Fabrizi, che aveva sposato in Corsica nel 1837. Nel 1845 infatti, lasciata la moglie, si trasferìa Malta insieme ai figli Nicola e Paolo, dove si diede anima e corpo alla cospirazione. Ufficia-le dell’esercito meridionale garibaldino, collocato a riposo nel 1863, morì a Pisa il 28 febbra-io 1865.7 Paolo Fabrizi nacque a Modena il 15 settembre 1805. Medico chirurgo, protagonista dei motimodenesi del 1831 nei panni di Deputato del popolo e di Comandante della Guardia Naziona-le, seguì il fratello Carlo nell’esilio a Corfù per poi spostarsi a Marsiglia, Parigi, Bastia e infinea Malta. Nel 1840 iniziò a prestare servizio gratuitamente nell’ospedale civile della Valletta. Inseguito ad una malattia tornò dal fratello Luigi a Bastia nel 1843 e, guarito, nel 1845 iniziò unfilantropico “viaggio medico chirugico” in Corsica che durò due anni. Nel 1848 venne convo-cato dal Ministro della guerra del governo siciliano Giuseppe La Farina per arruolare una le-gione straniera sull’isola. Morì a Nizza il 15 maggio1859.8 MCRR, b. 923, f. 59, Conti e carte varie della famiglia Fabrizi, doc. 6.9 Bianca Fiorentini è invece certa che l’impresa “Carlo Fabrizi e fratelli” sia semplicemente unacopertura. Si riferisce infatti a una “proposta di Nicola di impiantare a Malta un’attività com-merciale allo scopo di camuffare l’attività rivoluzionaria dei profughi” (Id., Malta rifugio, cit.,p. 64).10 MCRR, b. 513, f. 4, Circolari della Legione Italica, doc. 5, Memoria, 24 luglio 1839.11 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 2, Proposta ai Patrioti Siciliani, agosto1838.12 Sul dibattito intorno al tema dell’iniziativa meridionale cfr. S. Lupo, L’Unificazione italia-na. Mezzogiorno, rivoluzione, guera civile, Donzelli, Roma 2011; G. Berti, I democratici e l’ini-ziativa meridionale nel Risorgimento, Feltrinelli, Milano 1962.13 Dopo il fallimento dei moti napoletani del 1820-21 il Generale Guglielmo Pepe andò in esi-lio a Madrid, dove fondò insieme a Giuseppe Pecchio, al generale Lafayette e ad un gruppo dispagnoli liberali, la Società dei Fratelli Costituzionali Europei. Cfr. M. Isabella, Risorgimentoin esilio, cit., p. 31.14 [G. Pepe], Memoria su i mezzi che menano all’italiana indipendenza, Paris 1833, pp. 19- 20.15 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 2, Proposta ai Patrioti Siciliani, agosto1838.16 MCRR, b. 516, f. 15, Nicola Fabrizi a F. Forcella, doc. 4, 2 febbraio 1839.

Chiara Maria Pulvirenti[72]

Polo Sud | n. 1 | 2012 | <http://www.editpress.it/cms/book/polo-sud-1>

17 MCRR, b. 513, f. 4, Circolari della Legione Italica, doc. 19, Circolare al Campo Siculo, 8 apri-le 1840.18 S. Lupo, L’unificazione italiana, cit., p. 30.19 G. Mazzini, Epistolario inedito 1836 – 1864. Lettere a Nicola Fabrizi, Francesco Crispi, Ro-solino Pilo, Agostino Bertani e altri, a cura di T. Palamenghi – Crispi, Fratelli Trevés Editori,Milano 1911, p. 19n.20 Sottolineate nell’originale.21 ASP, Ministero Luogotenenziale, Polizia, b. 323, f. 35, Salvatore Enea, Marsiglia, 9 luglio 1840.22 MCRR, b. 513, f. 14, Zibaldone di memorie tratte da N. Machiavelli, doc. 1.23 MCRR, b. 511, f. 25, Nicola Fabrizi a Paolo Fabrizi, doc. 2, Malta, 1 settembre 1839.24 G. Mazzini, Epistolario inedito, cit., A Nicola Fabrizi, 1 dicembre 1840, p. 46.25 MCRR, b. 513, f.7, Statuti della Lega Italiana, doc. 1, Malta, maggio 1838.26 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 5, Legione Italica, 1838-1839.27 Ibidem.28 V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, a cura di P. Villani, Rizzoli, Milano 1999.29 Cfr. A. De Francesco, Costruire la nazione: il dibattito politico negli anni della repubblica,in La formazione del primo Stato italiano e Milano capitale 1802-1814, a cura di A. Robbia-ti Bianchi, LED Editore, Milano 2006, pp. 611-627.30 Ibidem.31 M. Meriggi, Gli Stati italiani prima dell’Unità, Il Mulino, Bologna 2011, p. 35. 32 Ivi, p. 37.33 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 5, Legione Italica, 1838 – 1839.34 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 5, Legione Italica, 1838 – 1839. 35 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 5, Legione Italica, 1838 – 1839.36 MCRR, b. 513, f. 5, Circolari della Legione Italica, doc. 5, Memoria, 1840.37 MCRR, b. 513, f. 5, Circolari della Legione Italica, doc. 16.38 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 2, Proposta ai Patrioti Siciliani, agosto1838.39 MCRR, b. 513, f. 5, Circolari della Legione Italica, doc. 9., 1840.40 MCRR, b. 513, f. 13, Quadri organici della Legione Italica.41 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 2, Proposta ai Patrioti Siciliani, agosto1838.42 MCRR, b. 513, f. 7, Statuti della Lega Italiana, doc. 2, Proposta ai Patrioti Siciliani, agosto1838.43 MCRR, b. 513, f. 5, Circolari della Legione Italica¸ doc. 9, Al Campo Siculo, 1840.44 MCRR, b. 511, f. 35, Diego Arangio a Nicola Fabrizi, doc. 13, 12 ottobre 1849.45 ACS, Carte Fabrizi, scatola 1, f. 1, Salvatore Calvino a Nicola Fabrizi, Genova, 20 febbraio1854.46 MCRR, b. 518, f. 17, Documenti vari riguardanti l’attività di Nicola Fabrizi tra il 1848 e il1849, doc. 13, Guglielmo Pepe a Nicola Fabrizi, Venezia, 3 settembre 1848.47 Sull’esperienza del volontariato per la costruzione della Nazione cfr. G. Pecout, Internatio-nal volunteers and the Risorgimento, in “Journal of Modern Italian Studies”, 14 (4) 2009, pp.413 – 426; E. Cecchinato, Camicie rosse. I garibaldini dall’Unità alla Grande Guerra, Later-za, Roma-Bari 2007; E. Cecchinato, M. Isnenghi, La nazione volontaria, in AA.VV., Storia d’Ita-lia. Annali 22, cit., pp. 697 – 720.48 S. Lupo, L’unificazione italiana, cit., p. 36.49 Archivio di Stato di Catania, Miscellanea risorgimentale, b. 7, f. III, Il Luogotenente Gene-rale all’Intendente di Catania¸ Palermo, 14 agosto 1858.50 MCRR, b. 521, f. 48, Francesco Crispi a Nicola Fabrizi, Torino, 26 gennaio 1860.

PPOOLLOOSSUUDDSSEEMMEESSTTRRAALLEE DDII SSTTUUDDII SSTTOORRIICCII

RRiicceerrcchhee,, ddooccuummeennttii,, ddiissccuussssiioonnii

aannnnoo pprriimmoo || nn.. 11 || 22001122IISSNNNN 22228800--11666699 ©© 22001122 eedd..iitt