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OSSERVATORIO NAZIONALE SUL TRASPORTO MERCI E LA LOGISTICA

VERSO UN NUOVO MODELLO LOGISTICO ITALIANO?

Direzione della Ricerca: Carlo Carminucci

Coordinamento generale: Andrea Appetecchia

Le attività sono state svolte da quattro gruppi di lavoro così costituti:

1. Laboratorio di Economia, Logistica e Territorio (LabELT) del Dipartimento di Architettura e Pianificazione - Politecnico di Milano: Flavio Boscacci, Elena Maggi, Davide Lucca;

2. ISFORT - Istituto Superiore di Ricerca e Formazione per i Trasporti: Carlo Carminucci, Andrea Appetecchia, Angela Chindemi, Dania De Ascentiis;

3. ISTIEE dell’Università di Trieste e Transport, Logistics and Supply Chain Management Unit (TLSU) del Centro Tedis della Venice International University: Giacomo Borruso, Marco Mazzarino, Donatella Vedovato, Matteo Civiero, Guido Bertoluzzi, Andrea Carta e Roberto Orlandini;

Si ringrazia la Fondazione BNC per aver sostenuto finanziariamente le indagini attraverso le risorse messe a disposizione di ISFORT nell’ambito dell’Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica.

Testi di: Andrea Appetecchia (introduzione); Elena Maggi e Davide Lucca (primo capitolo); Angela Chindemi e Dania De Ascentiis (secondo capitolo); Marco Mazzarino e Donatella Vedovato (terzo capitolo); Andrea Carta e Roberto Orlandini (quarto capitolo)

Editing e grafica: Angela Cesaroni e Manuela Svampa

Per ulteriori informazioni visitare il sito: www.isfort.it/sito/osslog

INDICE Introduzione Pag. 1 L’Osservatorio: una struttura viva ed in continua evoluzione “ 1 Logistica e competitività della filiera tessile-abbigliamento “ 3 L’analisi di una filiera del made in Italy “ 3 Le strategie per la competitività “ 4 L’organizzazione ed attori della filiera “ 5 La logistica “ 6 I distretti industriali della filiera del tessile lombardo: limiti ed opportunità “ 9 La Lombardia motore del made in Italy “ 9 Le vocazioni imprenditoriali e localizzazione territoriale “ 10 La competitività della rete di trasporto “ 11 La filiera logistica nel distretto dello sportsystem di Montebelluna: analisi di benchmark e criticità “ 15 La ricostruzione dei processi “ 15 La tensione logistica della filiera “ 19 I margini di miglioramento del sistema “ 21 Le politiche comunitarie nel settore dei trasporti: il “terzo pacchetto” ferroviario “ 23 Introduzione “ 23 L’indennità per inosservanza dei requisiti contrattuali di qualità nei servizi di trasporto ferroviario di merci “ 24 La certificazione del personale viaggiante addetto alla guida dei locomotori “ 24 L’apertura del mercato del trasporto passeggeri “ 26 La disciplina dei diritti e degli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario internazionale “ 27

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Introduzione

L’Osservatorio: una struttura viva ed in continua evoluzione

L’Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica compie quest’anno tre anni di vita. Nel corso di questo periodo sono stati analizzati e discussi i principali processi che caratterizzano l’evoluzione del mercato dei servizi logistici nazionali e si è progressivamente diffuso sul territorio nazionale quel network di poli di ricerca che oggi rappresenta uno dei principali punti di forza dell’Osservatorio1.

Competività, integrazione, sviluppo locale sono solo alcuni dei temi affrontanti nell’ambito degli incontri pubblici che l’Osservatorio ha realizzato, prima a Milano (dicembre 2003), poi a Napoli (dicembre 2004) ed oggi, infine a Trieste (dicembre 2005). Tali incontri sono stati un’occasione di pubblicizzazione e di diffusione dei risultati conseguiti, ma soprattutto momenti di confronto tra ricercatori, operatori e amministratori che hanno arricchito un percorso di ricerca sempre attento a cogliere le esigenze cognitive degli attori coinvolti nel settore.

Le analisi e lo scambio di opinioni hanno messo in evidenza, in particolare nel mondo delle piccole e medie imprese nazionali, una notevole frammentazione delle varie componenti dell’attività logistica e, inoltre, un’altrettanto marcata proliferazione di soggetti che svolgono ruoli di intermediazione o di esecutori di singole componenti.

Nel corso del 2005 si è dunque cercato di meglio mettere a fuoco l’organizzazione logistica delle filiere produttive di eccellenza del Paese, tenendo conto, oltre che delle performance e dell’ottimizzazione dei processi, anche degli aspetti relativi all’attribuzione delle funzioni (trasporti, assemblaggio, confezionamento, ecc..) e all’integrazione dei ruoli fra gli attori.

L’approccio di filiera consente infatti di individuare con precisione le dinamiche logistiche proprie di ogni singolo prodotto, le strategie perseguite dalle imprese in essa operanti, al fine di poter poi suggerire interventi in grado di perfezionare tali dinamiche e migliorare la competitività del sistema.

In particolare le indagini di campo hanno riguardato, da una parte, la filiera dello sportsystem del distretto di Montebelluna (curata dal TLSU e dall’ISTIEE) e, dall’altra, la filiera del tessile-abbigliamento (curata dal LabELT).

In merito a quest’ultima filiera sono stati in particolare esaminati i limiti e le opportunità di sviluppo del sistema infrastrutturale dei trasporti dei distretti industriali

1 L’Osservatorio, ideato da Isfort e promosso dalla Fondazione BNC, fin dalla sua nascita si è avvalso della

collaborazione di una serie di centri di ricerca che nel tempo sono divenuti partner stabili condividendo così con l’Isfort l’impostazione delle attività. Tra questi in particolare vanno segnalati il Laboratorio di Economia, Logistica e Territorio (LabELT) del Politecnico di Milano, l’Istituto per lo Studio dei Trasporti nell’Integrazione Economica Europea (ISTIEE) dell’Università di Trieste, l’Agenzia Campana di promozione della Logistica e del Trasporto merci (Logica) e la Transport, Logistics and Supply Chain Management Unit (TLSU) del Centro Tedis della Venice International University.

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della Lombardia (curata direttamente dall’Isfort), mentre, per completare il quadro trasportistico, uno spazio di approfondimento è stato dedicato al monitoraggio dell’avanzamento delle iniziative comunitarie finalizzate all’incentivazione del trasporto ferroviario (curata dall’ISTIEE).

I risultati del complesso delle attività svolte, sintetizzati nei capitoli che seguono, indicano alcuni punti di forza ed altri sinceramente preoccupanti.

Infatti se, da una parte, le filiere produttive analizzate, nonostante il quadro economico nazionale ed internazionale poco incoraggiante, riescono a rimanere competitive, sia nel mercato interno che in quello internazionale, dall’altra, sono ancora evidenti i limiti registrati, sia dal punto di vista infrastrutturale che da quello delle policy nazionali e comunitarie.

Le filiere di “qualità” riescono dunque a conservare la propria posizione di mercato, anzi a migliorarla. Il distretto dello sportsystem e alcuni segmenti del tessile-abbigliamento mantengono inalterata la propria competitività a livello nazionale ed internazionale oltre che per la qualità e il design dei prodotti, anche per la capacità di tali prodotti di raggiungere i mercati nazionali ed internazionali in tempi e modi compatibili con le esigenze della clientela.

Queste performance non sono dovute all’innesto nella filiera di nuovi attori portatori di competenze logistiche, ma, al contrario, all’affermazione di un modello locale di catena logistica integrata maturato all’interno della filiera stessa.

Imprese ed operatori logistici locali in base all’evoluzione della domanda dei mercati nazionali e internazionali hanno elaborato autonomamente soluzioni “tagliate su misura” in ragione del know-how e della conoscenza del prodotto storicamente consolidatisi all’interno del sistema locale.

Definire questo un modello logistico italiano, mutuando l’esperienza del ben più noto modello distrettuale, è forse improprio o quanto meno prematuro. I sistemi logistici analizzati mostrano ancora importanti margini di miglioramento, sia sul versante interno, sia su quello esterno.

Sul versante interno l’organizzazione del sistema produttivo e la gestione degli stock appare frammentata e poco efficiente, mentre su quello esterno, le reti trasportistiche sono un limite alla competizione piuttosto che un vantaggio e, allo stesso tempo, gli interventi di policy nazionali e comunitari stentano a far decollare piani concreti di supporto allo sviluppo di reti logistiche plurimodali.

Sebbene nell’immagine della logistica italiana prevalgano i toni grigi si possono tuttavia notare alcuni punti di luce che lasciano intravedere l’esistenza di fenomeni di un certo interesse intorno ai quali l’Osservatorio intende sviluppare approfondimenti conoscitivi, ma anche programmi operativi, volti a superare quei limiti che oggi frenano l’implementazione di servizi logistici in grado di assicurare un vantaggio competitivo ai sistemi produttivi nazionali.

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Logistica e competitività della filiera tessile-abbigliamento

L’analisi di una filiera del made in Italy

Anche quest’anno l’Osservatorio Nazionale sul Trasporto Merci e la Logistica ha rilevato con analisi mirate gli sviluppi della logistica e le sue ricadute sul sistema economico nazionale. Se però negli anni passati ci si è dedicati a rilevare ed interpretare le caratteristiche, le strategie e la competitività prima dell’offerta e della domanda nazionale di servizi logistici2 (operatori logistici integrati e non), poi di un panel ristretto di domanda di logistica composto da imprese di diversi settori industriali3, nel 2005 si è ritenuto opportuno dare avvio ad analisi di filiera.

Si è scelta la filiera del tessile-abbigliamento, perché rappresenta bene il made in Italy, ha una chiara leadership internazionale ed è una componente importante dell’economia italiana.

Il rapporto, di cui qui si sintetizzano le linee essenziali, si è posto l’obiettivo di studiare qual è l’importanza data alla logistica dalle imprese della filiera, come essa è gestita e quali sono le principali caratteristiche e problematicità. Per capire la logistica è però indispensabile conoscere la filiera oggetto d’esame.

Si è proceduti quindi attraverso i seguenti passi:

- l’analisi della filiera: come è strutturata, gli attori che la compongono, la localizzazione dei luoghi di produzione e la propensione all’internazionalizzazione;

- lo studio degli aspetti logistici: grado di outsourcing, servizi richiesti, rapporti tra cliente e fornitore, fattori logistici guida del processo decisionale, modalità di trasporto e mercati, ecc.

A tale scopo, dopo aver completato una review della letteratura ed aver rielaborato i dati derivanti dalle principali fonti statistiche utili per una quantificazione del settore, si è avviata un’indagine diretta4 presso un panel ristretto ma significativo di circa trenta imprese. Il panel è formato per metà da aziende del settore manifatturiero di diversa dimensione con marchio proprio (circa il 50% produce prodotti di fascia medio-alta), prevalentemente appartenenti a distretti lombardi, e dall’altra metà da operatori logistici che offrono servizi specializzati per la filiera (circa il 50% di essi

2 Si vedano i rapporti del 2003 “L’offerta di servizi logistici in conto terzi”; “La logistica nelle piccole e medie

imprese. Analisi della domanda di sevizi logistici nelle PMI manifatturiere italiane”, www.isfort.it/sito/osslog. 3 Si veda il rapporto del 2004 “L’innovazione logistica per lo sviluppo competitivo delle PMI italiane. Analisi di

casi di integrazione tra imprese ed operatore”, www.isfort.it/sito/osslog. 4 Sono state svolte delle interviste presso la sede delle imprese con questionario prestrutturato, composto sia da

domande chiuse che aperte. In particolare, sono state elaborati due questionari: uno per la domanda e uno per l’offerta, riprendendo alcuni temi già analizzati negli anni precedenti, al fine di verificare le contiguità e le differenze rispetto alle indagini non di filiera. Il questionario per la domanda è stato diviso in due parti: una dedicata allo studio della filiera, l’altra volta ad analizzare la logistica.

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sono integratori con una divisione “fashion”). L’indagine diretta è volta ad individuare i grandi trend che caratterizzano sia la domanda che l’offerta di servizi logistici per il settore. Sono stati intervistati anche autorevoli rappresentanti di importanti associazioni di categoria del settore (Camera Nazionale della Moda Italiana, Sistema Moda Italia, ACIMIT).

Le strategie per la competitività

Nell’attuale contesto di mercato globale, la filiera del tessile-abbigliamento soffre non poco l’agguerrita concorrenza dei Paesi in via di sviluppo, ove alcuni costi produttivi sono notevolmente ridotti. Di conseguenza, tra il 2001 e il 2003 gli addetti del settore sono calati del 6,5%; il fatturato e l’export del tessile-abbigliamento italiano è in flessione a partire dal 2001. D’altronde, le nuove economie in espansione costituiscono anche un’opportunità di mercato che le imprese italiane devono essere in grado di cogliere. A tal fine e per essere più competitive la maggior parte delle imprese del panel ha dichiarato di voler concentrare i propri investimenti nei prossimi tre anni nelle seguenti aree: ICT (hardware e software), formazione e ricerca e sviluppo, innovazione e design. Le grandi imprese intendono anche investire in nuovi impianti produttivi.

Altre strategie in atto da alcuni anni sono: - l’aggregazione in gruppi e/o lo sviluppo di forti sinergie di sistema e relazioni di

rete all’interno dei distretti industriali italiani, al fine di superare la dimensione medio-piccola;

- la delocalizzazione della produzione con investimenti diretti all’estero o accordi di subfornitura, join-venture, partnership, ecc. con fornitori strategici del Far East o dell’Est Europa.

In particolare, è attuata una frammentazione internazionale del processo produttivo, in cui le attività direzionali a più alto valore aggiunto legate alla progettazione, al disegno dei capi, al controllo qualità vengono svolte direttamente dai committenti italiani, mentre la concreta realizzazione dei prodotti o di loro semilavorati viene eseguita all’estero.

Rispetto al panel considerato, le delocalizzazioni all’estero sono operate soprattutto dalle grandi imprese industriali e dalle grandi griffe, mentre le piccole imprese hanno sede prevalentemente nei distretti italiani.

La necessità da un lato di raggiungere mercati di consumo anche lontani, dall’altro di delocalizzare la produzione, provoca un impatto diretto sulla logistica: aumentano i flussi da movimentare in entrata, in uscita e tra sedi produttive e di personalizzazione del prodotto, cresce il numero dei luoghi di scambio e quindi la complessità del sistema logistico. La logistica, quindi, se ben ottimizzata, può diventare una leva significativa per accrescere la competitività delle aziende italiane. Dai risultati del panel emerge infatti che proprio le imprese più aggressive sono quelle che maggiormente danno rilievo alla logistica sia come processo interno che come ricerca di un fornitore affidabile e specializzato a cui rivolgersi.

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L’organizzazione ed attori della filiera

La filiera del tessile-abbigliamento si compone di una lunga ed articolata catena di fasi di produzione – trasformazione – distribuzione: a monte del ciclo produttivo, a partire dalle fibre tessili, vengono realizzati semilavorati (filati e tessuti) per gli stadi successivi (filiera del tessile) e a valle, avvengono il confezionamento e la distribuzione del prodotto finale (filiera dell’abbigliamento). Risultano integrati inoltre, a monte, il settore chimico per la produzione delle fibre sintetiche e quello meccano-tessile, per i macchinari e gli impianti produttivi, mentre a valle diversi comparti del terziario avanzato, volti alla comunicazione (editoria specializzata, fiere, agenzie di pubblicità e comunicazione, studi di design, servizi al trade, etc.). L’Italia si caratterizza per presidiare tutti questi settori.

A seconda del livello di integrazione verticale tra le diverse fasi della filiera si può parlare di5: - filiere integrate, in cui un’unica impresa controlla o possiede le aziende che

svolgono le diverse fasi di lavorazione del prodotto, potendo, così, sfruttare meglio le interdipendenze che caratterizzano il complesso ciclo tessile e gestire in modo ottimale i flussi informativi lungo il ciclo produttivo. La filiera così strutturata è, però, poco flessibile, a causa della necessità di bilanciamento della capacità produttiva: i prodotti sono, quindi, standardizzati e poco personalizzati;

- filiere integrate a rete, in cui le fasi della filiera sono gestite da diverse aziende indipendenti, ma legate da rapporti di partnership, localizzate nello stesso territorio. I distretti tessili italiani ne costituiscono un tipico esempio. Il vantaggio rispetto alla tipologia precedente risiede nell’alta flessibilità che si traduce in un alto grado di personalizzazione con cui è possibile rispondere alle esigenze che il mercato manifesta;

- filiere virtuali: caratterizzate dalla presenza di attori indipendenti dislocati in aree geografiche anche molto distanti, ma coordinate da un unico soggetto che generalmente è collocato a valle della filiera (fase distributiva).

Il panel considerato è composto prevalentemente da imprese della fase a valle della filiera, che risulta essere quella numericamente ed economicamente più consistente. Infatti, a partire dagli anni Novanta, l’Italia si è specializzata sempre più nelle fasi ad alto valore aggiunto: più del 75% delle imprese della filiera tessile-abbigliamento si occupa della confezione. La subfiliera dell’abbigliamento appare molto frammentata, per rispondere alle esigenze di flessibilità del ciclo produttivo, non consentendo, in questo modo, lo sfruttamento di economie di scala da parte della singola impresa ma semmai di economie di localizzazione derivanti dal distretto.

In questa subfiliera è possibile individuare cinque tipologie di attori coinvolti: - grandi aziende industriali a vocazione internazionale spesso integrate in gruppi

tessili con marchi di prestigio e che si indirizzano a diversi segmenti di mercato (Gruppo Marzotto, Gruppo Ermenegildo Zegna, Gruppo Benetton, Gruppo Max

5 Saviolo S., Testa S., Le imprese del sistema moda. Il management al servizio della creatività, ETAS, Milano,

2000.

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- Mara, etc.). Per ciò che riguarda i grandi gruppi, la tendenza è quella all’integrazione verticale: negli ultimi anni, si è assistito ad un processo di concentrazione e di integrazione degli assetti strategici di diverse fasi della filiera;

- grandi griffe a capo di aziende di produzione proprie o di gestione di licenze presenti sui mercati internazionali con una gamma di prodotti molto vasta (Armani, Missoni, Valentino, Ferrè, etc.);

- medie aziende industriali con marchi propri o in licenza che producono una gamma di prodotti più ristretta, appartenenti a comparti specifici, come ad es. l’intimo, lo sportswear, presenti in modo più significativo sul mercato nazionale, nonostante l’avvio di una fase di internazionalizzazione (Aeffe, Maska, Gruppo Corneliani, Belfe, Gruppo La Perla, etc.);

- medio–piccole aziende produttrici di prodotti specializzati e di accessori (cravatte, foulard, etc.) con marca propria o in licenza presenti sui mercati nazionali;

- aziende sub-fornitrici delle precedenti, classificabili in terzisti di dimensioni medio/piccole che realizzano interamente o la maggior parte di un capo finito e façonisti che si occupano delle fasi di finissaggio e confezione di semilavorati di proprietà del committente.

Il panel di domanda considerato è composto da imprese appartenenti ai primi tre gruppi.

La logistica

I risultati delle rilevazioni effettuate con interviste dirette sulla logistica della filiera, considerati incrociando le risposte delle imprese manifatturiere con quelle degli operatori logistici, fanno emergere da una parte delle conferme di alcuni fenomeni emersi con le rilevazioni effettuate negli scorsi anni a livello nazionale ed asettoriale; dall’altra alcune peculiarità della filiera stessa.

I fattori comuni sono di seguito evidenziati: - le imprese dichiarano un basso livello di outsourcing e, spesso, soprattutto nel

caso delle piccole, sono terziarizzate solo funzioni tradizionali: trasporto e, in parte, magazzinaggio;

- nei casi in cui, invece, il numero di funzioni terziarizzate è risultato elevato, vi è una generale tendenza delle imprese a non legarsi ad un unico operatore logistico, ma a più operatori, ciascuno per ogni sottoinsieme del sistema logistico (approvvigionamento, produzione, distribuzione); vi è quindi ancora una scarsa integrazione sistemica;

- le grandi imprese dimostrano un più generico diverso comportamento rispetto alle piccole: le prime, generalmente più propense all’export, ricercano fornitori di servizi logistici con presidio mondiale (soprattutto spedizionieri e corrieri integrati); le seconde, operando soprattutto sul mercato nazionale, ricercano, operatori di trasporto per lo più stradale o corrieri, che abbiano comunque una diffusione capillare;

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- gli operatori logistici integrati specializzati hanno ampliato l’offerta di servizi logistici, aggiungendo la preparazione fisica dei campionari e dei kit, il controllo di qualità, il perfezionamento del capo con lavori di stiratura o cucitura, in partnership con il cliente che tende sempre più richiederli;

- il livello di integrazione informativa tra cliente e fornitori logistici è abbastanza basso con gli operatori tradizionali di trasporto, un po’ più elevato con gli integratori logistici;

- i contratti di fornitura dei servizi logistici sono spesso di tipo annuale o spot con imprese di trasporto (in genere più di una), ma sono generalmente di tipo continuativo nei confronti degli integratori. Sono, infatti, necessari investimenti ad hoc (ad es. mezzi dedicati per il trasporto di capi appesi o attrezzature per il magazzino) che possono essere ammortizzati solo nel medio-lungo periodo;

- dalle dichiarazioni delle imprese emerge ancora un elevato utilizzo degli strumenti tradizionali di comunicazione (telefono, fax, e-mail) e di tracciabilità del prodotto (i sistemi a radiofrequenza, RFID, sono per lo più sconosciuti o considerati ancora troppo costosi e utili per lo più per la difesa del marchio o come antitaccheggio).

Le caratteristiche produttive, emerse dalle interviste, che invece contraddistinguono la filiera e maggiormente impattano sul sistema logistico e che quindi richiedono un’ottima organizzazione dello stesso sono: - l’elevata flessibilità del ciclo produttivo: è sempre più diffusa la necessità di

preparare anche più collezioni stagionali, in modo da favorire un maggiore turn-over del prodotto (Zara, H&M, Promod, etc.), o di rinnovare il colore o personalizzare in modo più radicale il prodotto, seguendo in tempo quasi reale le preferenze dei consumatori;

- la produzione è spesso just-in-time: il prodotto è venduto ancor prima di essere prodotto e quindi l’approvvigionamento deve essere continuo;

- la stagionalità e il ciclo di vita breve del prodotto; - l’aumento delle referenze, vista la sempre maggior ampiezza di modelli richiesta

dal mercato; - la velocizzazione del processo produttivo e del tempo di raggiungimento del

mercato (il lead-time delle imprese intervistate va da un minimo di 20 gg a un massimo di 180): è sempre più diffusa l’adozione di una strategia di quick response, secondo cui si produce solo ciò che è domandato dal mercato, riducendo gli stock cautelativi e i relativi costi di gestione;

- un flusso abbastanza consistente di resi e di invenduto da gestire (reverse logistics);

- la delocalizzazione rende più complesso il sistema logistico e più consistenti i flussi da movimentare sia fisici che informativi;

- soprattutto per i capi del prêt-à-porter, un più elevato costo unitario di trasporto, dovuto alla necessità di trasportare capi appesi (ci si sta quindi sempre più spingendo verso il capo steso).

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Come conseguenza di queste caratteristiche, i requisiti più importanti richiesti all’operatore logistico sono l’affidabilità (puntualità e sicurezza del carico), la velocità, la capillarità e la completezza del servizio (“chiavi in mano”). Il prezzo del servizio è rilevante soprattutto per le imprese il cui prodotto appartiene alla fascia bassa o media.

In conclusione, la logistica della filiera fino ad oggi è identificata dalla maggior parte delle imprese come puro trasporto o poco più ed è spesso gestita internamente, nonostante il fatto che alcune peculiarità produttive ed organizzative rendano il sistema logistico critico. Uno dei motivi, comune d’altronde a gran parte dei settori produttivi, è la piccola medio-dimensione e la gestione artigianale della maggior parte delle imprese della filiera: il 56% è di tipo individuale, in genere a conduzione familiare, con una media di 3 addetti ciascuna. Il secondo motivo è riscontrabile nell’alta quota di imprese dedicate alle produzioni “labour intensive”, standardizzate e difficilmente differenziabili in termini di valore aggiunto.

Di recente, però, sono in atto delle forti trasformazioni che potrebbero far acquisire alla logistica un maggior peso come fattore competitivo, orientando le aziende ad adottare una visione più sistemica del processo che ne valorizzi il valore aggiunto. Infatti, la piccola dimensione potrebbe essere in parte superata: da un lato sono in crescita le società di capitali, dall’altro sono sempre più diffuse le aggregazioni di imprese. Inoltre, le produzioni standardizzate stanno via via scomparendo o delocalizzandosi all’estero, perché non riescono a competere “ad armi pari” con i Paesi in cui il costo del lavoro è ridottissimo. Il tessile-abbigliamento italiano dovrà sempre più distinguersi per qualità, design ed innovazione, anche tecnologica: il prodotto sarà sempre più “capital intensive” e “creative intensive”6.

6 Ciò è emerso chiaramente dalle interviste al panel e, in particolare, dalle dichiarazioni del presidente della

Camera della Moda. Cfr. anche Boselli M., “Il Tessile Abbigliamento Moda nel mondo. Ieri, oggi, il futuro”, Camera Nazionale della Moda Italiana, febbraio 2005.

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I distretti industriali della filiera del tessile lombardo: limiti ed opportunità di sviluppo del sistema infrastrutturale dei trasporti

La Lombardia motore del made in Italy

La Lombardia, tra i suoi primati economici, conta quello di essere un importante mercato di origine e di destinazione della produzione del tessile e dell’abbigliamento del Made in Italy, con un fatturato che nel 2003 è stato di 14 miliardi di euro, un terzo di quello italiano. La prima regione europea per addensamenti produttivi, a dispetto di una crisi che nel solo comparto tessile ha fatto registrare la perdita in tre anni di 10.600 posti di lavoro7.

La congiuntura economica non positiva, che da qualche anno sta attraversando il settore manifatturiero ha condotto la Regione a definire nuovi strumenti per fronteggiare la crisi: una differente zonizzazione produttiva, con la riduzione da 22 a 16 del numero dei distretti industriali8 di tipo tradizionale, e l’individuazione di sei “Metadistretti” per altrettante specializzazioni produttive. La definizione innovativa del Metadistretto, nelle intenzioni del Legislatore, ha come obiettivo superare il vincolo della “contiguità territoriale” delle politiche di sostegno delle aree produttive (Legge Regionale n. 7 del 1993), a favore di una maggiore flessibilità nell’individuazione e nel finanziamento di progetti integrati di ricerca e di sviluppo, orientati a valorizzare l’intero filone produttivo, anche tramite il coinvolgimento di università, centri di ricerca, imprese e operatori logistici, localizzati al di fuori dei distretti industriali.

Il Metadistretto della Moda, in particolare, coinvolge a vario titolo una rete di 126 comuni, aziende e punti di distribuzione della filiera del tessile; ma è soprattutto sul territorio degli 82 comuni dei distretti industriali di specializzazione tessile, che si è raggiunto il più elevato livello di consolidamento e di maturità del settore (Gallaratese, Serico Comasco, Lecchese Tessile, Valseriana, Castel Goffredo, Bassa Bresciana).

7 Dati tratti da “Moda e tessile, sfida alla crisi” di Basso C. et alii, 2004. 8 La delibera n. 3839 del 16/3/2001della Giunta regionale della Lombardia identifica 16 distretti di

specializzazione produttiva e sei Metadistretti per le specializzazioni della moda, design, biotecnologie non alimentari, materiali, biotecnologie alimentari e Innovation & Communication Tecnology. Le aree distrettuali tradizionali sono state definite aggregando comuni limitrofi con un tasso di industrializzazione superiore al 18,5% (che rappresenta il tasso medio regionale aumentato del 30%), e contemporaneamente un tasso di specializzazione superiore del 20% a quello della media regionale. Tali distretti si differenziano dai Sistemi Manifatturieri lombardi identificati a dall’ISTAT trai Sistemi Locali del Lavoro (SLL) sulla base della concentrazione territoriale degli addetti nell’industria manifatturiera superiore alla media nazionale.

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Le vocazioni imprenditoriali e localizzazione territoriale

Nel nuovo scenario economico le scelte di localizzazione delle imprese, così come il loro sviluppo, sono sempre più condizionate dalla possibilità di istituire logiche di “economia di rete e di complementarità”, con la nascita di reti di sinergia che, a livello di sistema, perseguono le economie di scala. L’incidenza dei costi di trasporto si è ridotto rispetto al passato, mentre è cresciuto progressivamente il peso giocato da altri fattori quali i salari e i costi ambientali. Continuano a rappresentare un elemento di indubbia competitività l’infrastrutturazione territoriale, la presenza di un bacino di risorse umane qualificate, il livello di sicurezza dell’ambiente circostante.

Accanto ai vantaggi localizzativi di “tradizionale” accezione per l’impresa, da alcuni anni, sono oggetto di una crescente attenzione elementi localizzativi infrastrutturali che presentano una natura “immateriale”. Immateriale perché risultano essi stessi intangibili – si pensi alla Rete per eccellenza, Internet – o perché è il loro apporto a risultare intangibile seppure spesso assai incisivo per l’operare dell’azienda: ne è un esempio lo stimolo all’innovazione, all’accumulazione e alla circolazione di informazioni caratteristica, o per lo meno tale dovrebbe essere, del circuito università-centri di ricerca-parchi scientifici e tecnologici, o i servizi di connettività a banda larga che consentono comunicazione più rapide ed uno scambio sempre più considerevole e veloce di dati, o la presenza di un articolato sistema del credito e, ancora, la possibilità per l’azienda di poter contare su una rete di servizi qualificati a sostegno delle attività che si decidesse di intraprendere.

Ragionare di competitività localizzativa dei distretti, in una prospettiva di mercato globale, oggi è più che mai complesso, soprattutto se i “competitor” sono i paesi emergenti che con i loro prodotti, grazie anche alle politiche salariali, hanno già tagliato fuori la produzione a basso valore aggiunto della filiera. Per i prodotti italiani poiché non esistono i margini per un recupero della competitività attraverso la riduzione dei compensi salariali, è possibile giustificare prezzi più alti sul mercato solo a fronte di una maggiore qualità: qualità dei tessuti, qualità della confezione, elevato grado di differenziazione, alto valore estetico, come d’altronde sembrano confermare i dati di export dei prodotti del made in Italy.

La presenza di qualificate risorse umane sul territorio nel settore del design e nella ricerca dei materiali, insieme alla forte tradizione dell’industria tessile di base, ha rappresentato e continua a costituire un elemento di forza per il sistema tessile lombardo (vedi Metadistretto del Design e Metadistretto dei Materiali). Negli ultimi anni proprio in questo campo è stata lanciata, da gruppi europei e non dagli asiatici, la sfida più impegnativa per il sistema moda. L’elemento di forte novità è, infatti, costituito dall’offerta di prodotti con un rapporto qualità prezzo molto vantaggioso e con una elevata ricerca estetica, grazie al ruolo centrale nel ciclo produttivo occupato da stilisti e disegnatori. L’innovazione più importante di questa strategia di mercato è costituita da collezioni - rinnovate a ritmi continui, anche con cadenza quindicennale - in grado di raggiungere il mercato finale con il supporto, altrettanto strategico, di piattaforme logistiche. Quest’ultime fortemente meccanizzate con le tecnologie più avanzate garantiscono consegne di rifornimento anche bisettimanali, vedi Zara, Mango (spagnole), H&M (svedese).

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L’altro piano, infatti, su cui oggi si gioca la competitività sui mercati è quella della rete di approviggionamento e di distribuzione finale dei prodotti, rispetto ai quali l’integrazione delle informazioni tra le diverse catene della filiera può rappresentare l’elemento strategico per una maggiore efficienza del sistema. I distretti tessili lombardi sono localizzati in prossimità del reticolo autostradale lombardo, e possono avvantaggiarsi di un’offerta logistica la cui concentrazione di addetti alla movimentazione delle merci per kmq e la più alta del Paese (fig.1).

Fig. 1 – Localizzazione dei distretti tessili e concentrazione degli addetti alle merci

Fonte: elaborazione Isfort su dati Censimenti Istat 2001

La competitività della rete di trasporto

Dalle analisi9 della filiera emerge, invece, una scarsa organizzazione sistemica, con un basso livello di esternalizzazione dei servizi logistici, un livello piuttosto basso di integrazione informativa tra clienti e fornitori logistici di tipo tradizionale, contratti di fornitura dei servizi logistici di tipo spot e uno scarso utilizzo di strumenti di innovativi per la rintracciabilità dei carichi con utilizzo prevalente di strumenti tradizionali.

L’analisi geografica degli scambi dei flussi10 confermano che la Cina e la Romania costituiscono i principali partner commerciali italiani per l’import con quote

9 I servizi di logistica per la competitività della filiera italiana della moda, LabELT, 2005. 10 Dati Istat 2003,

12

rispettivamente del 21% e 15%. Dall’Europa Centro Orientale proviene il 19,5% dei prodotti, dall’Asia Centrale l’11%, dal Nord-Africa il 10,40%, dagli altri paesi europei l’8,6% e dal resto dell’Asia Orientale l’8%. Il 76% del valore di tali flussi ha come destinazione le quattro regioni, sede anche dei principali distretti tessili, in particolare il 30% dei flussi è destinato alla Lombardia. I prodotti finiti della filiera sono destinati sia al mercato nazionale che all’export, la cui quota maggiore è assorbita dall’Europa (47,50%), seguita da Asia Orientale (20,10%) e dall’America Settentrionale (17%).

La distribuzione sul mercato Europeo è garantito essenzialmente dalla modalità strada lungo le direttrici che attraversano i Valichi Alpini, lo scambio dei flussi con l’Asia e il Continente americano si realizza essenzialmente attraverso la modalità marittima e in misura minore con quella aerea. I due porti principali per l’uscita dei manufatti dal Nord d’Italia sono Genova e La Spezia raggiungibili dalle aree distrettuali tessili con una distanza inferiore ai 300 km. La connessione alla rete di vendita al dettaglio nazionale è garantita da una rete diffusa su tutto il territorio nazionale di grossisti per la commercializzazione dei prodotti del tessile e dell’abbigliamento.

Tra i vari canali distributivi, quello dell’ingrosso rivela una sostanziale preminenza all’interno dell’area distrettuale rispetto al resto del Sistema Locale del Lavoro, sia sotto il profilo delle aziende che degli addetti. Allargando la visuale per collocare la presenza della rete distributiva dei distretti tessili lombardi nel più vasto mercato nazionale emerge una sostanziale complementarità tra la concentrazione in un’area delle attività produttive svolte a monte della filiera e le attività distributive che vengono a realizzarsi a valle della stessa.

La modalità strada nell’ambito della filiera del tessile, ricopre una rilevanza predominante, sia per la distribuzione sul territorio nazionale ed europeo che per il raggiungimento dei nodi logistici, ovvero i porti. Il trasporto di tessuti, cuoio e altri manufatti su strada nel 2003 ha interessato 33 milioni di tonnellate11, con uno sviluppo di poco superiore ai 10.000 milioni di tonnellate km; il 78% delle tonnellate trasportate e il 98% delle tonnellate km ha interessato distanze superiori ai 50 km. Il trasporto di abbigliamento pur registrando un incidenza del 3% sulle tonnellate complessive trasportate via strada presenta un incidenza doppia se si analizzano le tonnellate km. Lo spostamento medio di un viaggio su gomma di prodotti del settore tessile è mediamente più lungo di quello registrato dalle altre categorie merceologiche; di fatto è inferiore solo allo spostamento medio generato dalla distribuzione dei prodotti ortofrutticoli. A fronte di un mercato capillarmente diffuso sul territorio vi è, quindi, un utilizzo prevalente della modalità gomma anche per le lunghe distanze a spese dell’intermodalità.

Proprio la modalità strada rappresenta un elemento di forte criticità del sistema della mobilità lombarda, e poiché la competitività dei sistemi territoriali va ricercata anche attraverso la razionalizzazione della struttura organizzativa del territorio, finalizzata alla riduzione delle diseconomie che su di esso si realizzano, assume un ruolo strategico la gestione del sistema della mobilità per la riduzione dei forti impatti congestivi generati dall’interazione dei flussi commerciali con gli elevati flussi privati.

11 I dati sono elaborazioni Isfort su dati del CNIT anno 2003 relativi a trasporti su strada per gruppi merceologici.

13

L’obiettivo, in questo caso, per l’azienda può essere ricercato non nella riduzione del costo di trasporto del singolo anello, ma piuttosto nella ricerca di economie di scala legate alla riorganizzazione complessiva della rete di approvvigionamento delle rete di aziende che partecipano al processo produttivo e alla distribuzione del prodotto finito; ad esempio, attraverso un esternalizzazione spinta dei servizi logistici che potrebbe essere favorita dalla nascita di consorzi pubblico-privato per la gestione della logistica di filiera. Alcuni processi in corso, tesi ad aggregare le realtà produttive medie e piccole, possono facilitare tale processo favorendo le condizioni per una partnership più stretta trai diversi soggetti, indispensabile in termini di fiducia per una condivisione dei flussi informativi.

Oggi i sistemi territoriali produttivi lombardi pagano fortemente l’inadeguatezza del sistema infrastrutturale regionale: l’inadeguatezza del sistema ferroviario fa si che l’offerta dei servizi non sia in grado di porsi come alternativa alla modalità strada per il trasporto merci, l’abnorme carico sul sistema viario si traduce in uno scadimento estremamente penalizzati dei propri livelli di servizi, come dimostrano le stesse velocità commerciali12 nelle ore di punta, inferiori ai 40 km/h, sulle direttrici di collegamento tra capoluoghi (Como-Varese 33km/h, Como-Milano 29 km/h, Bergamo-Lecco 20 km/h).

Tra i sistemi distrettuali tessili maggiormente penalizzati: Gallarate, Como e Lecchese ubicati lungo la direttrice nord-ovest di Milano, ovvero una delle direttrici nazionali più congestionate, insieme all’A4 la direttrice su cui gravitano sia gli scambi tra le tre province più popolose della Lombardia, che i collegamenti con il Veneto e il Piemonte. Il rapporto tra veicoli circolanti e l’estensione della rete stradale lombarda, registra, in modo sintetico, lo scarto dal resto del paese; 182 veicoli in più per chilometro di quelli registrati dal Lazio, la seconda regione con il più alto rapporto veicoli rete stradale primaria (graf. 1), significativi anche i dati di densità della rete di primo livello in rapporto alla superficie territoriale e ai dati di domanda (graf. 2).

Fonte: elaborazione Isfort su dati CNIT 2003

12 M. Cesca, Primi risultati e utilizzo dei dati dell’Indagine Mobilità della Regione Lombardia, 2003

0

100

200

300

400

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700

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Graf. 1 – Veicoli circolanti nelle regioni italiane per km di rete viaria principale (anno 2003)

14

Fonte: elaborazioni Isfort su dati C.N.I.T. 2003

L’attuale assetto normativo per la programmazione e pianificazione degli interventi delega alle Regioni il ruolo di coordinare le istanze degli Enti Locali. La Regione Lombardia nel 2000 ha sottoscritto un importante Accordo di Programma Quadro concernente la “Riqualificazione e potenziamento del Sistema Autostradale e della Grande Viabilità (Sistema Viabilistico Pedemontano; la direttissima Milano – Brescia; la tangenziale Est –esterna di Milano; il Raccordo Autostradale Sud esterno di Brescia). E’ comunque fondamentale una gestione della mobilità che non punti soltanto agli aspetti infrastrutturali, ma anche riorganizzativi. In tal senso più strategico per lo sviluppo territoriale è l’Accordo per la riduzione del traffico di transito sui centri urbani, anche di minore dimensione, e l’obiettivo di connettere il traffico commerciale della regione, alle principali direttrici europee e ai nodi logistici attraverso la modernizzazione delle preesistenti linee ferroviarie-merci e il potenziamento dei raccordi.

Indicatori rete autostradale

0

0,5

1

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Italia Centrale Italia Meridionale Italia

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Km Autostrade x 10.000 abitanti

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Graf. 2 – Indicatori di sviluppo della rete principale

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La filiera logistica nel distretto dello sport system di Montebelluna: analisi di benchmark e criticità

La ricostruzione dei processi

Il progetto di ricerca si è posto come obiettivo l’analisi della filiera logistica distrettuale del distretto dello sport system di Montebelluna (TV), considerato uno dei più significativi distretti del Nordest, studiato in tutto il mondo per meglio comprendere le radici del "miracolo veneto".

Lo studio ha seguito uno schema specifico ed originale di ricostruzione della filiera (logistica degli approvvigionamenti, produttiva e distributiva) che ha permesso di individuare fasi evolutive ed importanti criticità per la competitività delle imprese distrettuali mediante indagini effettuate sul campo che hanno fatto emergere degli interessanti spunti interpretativi.

In particolare, l’indagine ha preso in considerazione un universo di 421 imprese, delle quali ne sono state contattate 248. Di queste sono risultate utilizzabili 57 risposte complete, stratificate equamente sia tra terzisti e produttori finali, sia tra imprese con marchio (29) che senza (28).

Qui di seguito sono riportate in sintesi le principali criticità del sistema logistico emerse dall’elaborazione delle informazioni derivanti, sia dall’analisi statistico/descrittiva, sia dalle auto-valutazioni delle imprese, le quali hanno indicato in una scala qualitativa, sia il grado di importanza che il livello di criticità di alcune attività logistiche.

In primo luogo l’internazionalizzazione, intesa come la ricerca di nuovi mercati sia per gli input che per gli output risulta importante per il 70% delle imprese e critica per più del 50%. Tali risultati offrono diversi spunti interpretativi che sembrano indirizzarsi verso l’ipotesi di inizio di una nuova fase evolutiva per il distretto.

Concentrando l’attenzione sul lato input, i dati dei questionari dimostrano che, se da un lato, il 30% (circa) degli stabilimenti produttivi sono localizzati all’estero (per il 15% in Romania, graf. 3) dove si produce la maggior parte dell’output, dall’altro, il 31,6% delle imprese dichiarano di approvvigionarsi di prodotti finiti, soprattutto dall’estero (graf. 4 e 5) e, in particolar modo dalla Cina (62%). Da questo si ricava che molto spesso la delocalizzazione produttiva (intesa come presenza con impianti produttivi propri all’estero) è affiancata dall’acquisto di prodotti finiti da produttori esteri.

Mentre un tempo l’investimento diretto all’estero prendeva forma con la nascita di nuovi impianti produttivi, oggi, si è probabilmente giunti ad uno step più maturo del processo in cui si sono valutati costi e benefici di ogni location e si è operata una scelta consapevole che considera sempre più la possibilità di acquisto di componenti/semilavorati ma anche prodotti finiti da produttori esteri.

16

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Ungheria3%

Bulgaria3%

Slovacchia3%

Repubblica Ceca2%

Romania15%

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Distretto di Montebelluna

72%

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Trento2%

Distretto di Montebelluna

72%

Graf. 3 – Localizzazione impianti produttivi

80,7

56,1

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0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

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Graf. 4 – Principali tre categorie di materiali approvvigionati nell’anno 2003

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distretto/area locale

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componenti esemilavorati

prodotti finiti

distretto/area locale

resto d'Italiaestero

Graf. 5 – Mercato di approvvigionamento

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In particolare, superata la fase di produzione nei propri impianti al di fuori del distretto il cui output era il semilavorato, maturata quella fase di finitura dei prodotti, sarà ora la volta dell’acquisto dei prodotti finiti da produttori extra-distrettuali: si avverte, quindi, una transizione del ruolo del distretto da piattaforma produttiva a piattaforma logistica/distributiva.

Considerando ora il lato output, la ricerca di nuovi mercati richiama la problematica di riprogettazione della logistica distributiva mirata ad un maggiore controllo e presenza sui mercati finali quale fattore di competitività. In particolare, i dati relativi alla ricerca empirica rilevano che il presidio dei mercati di sbocco è ritenuto importante da quasi il 60% delle imprese e critico dal 55%. In termini più generali, si ritiene utile ricordare che, sebbene vi sia una forte presenza sui mercati esteri delle imprese distrettuali (graf. 6), solamente il 2% delle imprese vendono al cliente finale privato (graf. 7). La capacità delle imprese di presidiare i canali di collegamento con l’esterno è risultata quindi molto debole: è noto che nella storia del distretto di Montebelluna le strategie di ingresso e di distribuzione sono sempre state a basso grado di coinvolgimento e con presidio informativo molto debole. Le imprese distrettuali hanno sempre agito su un mercato captive (il mercato interno distrettuale) e hanno lasciato a poche imprese specializzate la commercializzazione del prodotto e le decisioni di marketing e, conseguentemente, di logistica distributiva.

A ciò occorre aggiungere che l’output del distretto analizzato, come precedentemente accennato, è distribuito solitamente da reti al dettaglio di piccola dimensione, quindi in un panorama di forte frammentazione, il cui controllo e gestione difficilmente può essere guidato da una controparte altrettanto frammentata.

Inoltre, il mancato presidio di mercato della logistica distributiva è in parte favorito dal fatto che spesso era il cliente stesso a cercare i produttori italiani: l’eccellenza manifatturiera del distretto ha distolto per molto tempo l’attenzione su questi aspetti, secondo una logica peraltro corretta, quella della specializzazione sul proprio core business (in questo caso la manifattura). Fin tanto che l’irripetibile qualità dei prodotti del Made in Italy permetteva di non doversi preoccupare dell’erogazione di servizi di tipo logistico, demandati all’acquirente (e che quindi non incidevano sul prezzo del prodotto, rendendo ancora più appetibile l’offerta distrettuale), non c’era bisogno di occuparsi di logistica ma, alla data attuale, vi è la necessità, confermata anche dalla letteratura, di ridisegnare le reti distributive in modo da risultare più “vicini” al mercato finale e dunque più reattivi nei confronti di un cliente finale sempre più esigente.

Per tale motivo si suggerirebbe la necessità di approfondire, in termini di best practice, le caratteristiche della rete distributiva di quelle imprese che dichiarano di utilizzare il franco-destino (graf. 8) come modalità di consegna della merce e quindi come forma di collegamento “attiva” al mercato outbound.

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Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Grafico 3- Svolgimento di un'attività di produzione

91%

9%

1. sì 2. no

Grafico 3- Svolgimento di un'attività di produzione

91%

9%

1. sì 2. no

Graf. 6 – Mercati di sbocco

dettagliante17%

intermediario commerciale/

grossista18%

terzista/subfornitore12%

Grande Distribuzione Organizzata

13%

produttore finale37%

cliente finale privato2%

Pubblica Amministrazione

1%

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intermediario commerciale/

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Grande Distribuzione Organizzata

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Pubblica Amministrazione

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Graf. 7 – Tipologia dei clienti

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2%

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Franco Destino29%

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2%

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Franco Destino29%

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Graf. 8 – Principali termini di resa utilizzati per le consegne

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La tensione logistica della filiera

L’internazionalizzazione sia dal punto di vista inbound che outbound, fa emergere come la supply chain del distretto industriale di Montebelluna possa considerarsi estesa e questo comporta delle conseguenze sulla logistica produttiva. L’organizzazione della produzione è stata giudicata importante dal 73% delle imprese e critica da circa il 50%: risulterebbe necessario snellire il processo produttivo con una filosofia mirata alla lean production ed all’informatizzazione del ciclo dell’ordine.

Nonostante la già significativa presenza di processi make-to-order (graf. 9) l’impresa dovrebbe avvicinare la propria offerta alle esigenze del mercato in termini non solo di tempi ma anche di qualità e di costi, investendo sui principali aspetti del processo produttivo (riprogettazione del layout di linea, flessibilità e diminuzione dei tempi di set-up e controllo dei costi di manutenzione degli impianti).

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Relativamente all’informatizzazione del ciclo dell’ordine, i dati dei questionari hanno dimostrato che la dotazione tecnologica interna all’impresa e l’infrastruttura comunicativa utilizzata esternamente è ancora tradizionale, e per questo, inadeguata a supportare la complessità delle relazioni delle imprese distrettuali, specialmente nelle fasi di apertura ai mercati mondiali sia a monte che a valle.

L’informatizzazione del ciclo dell’ordine richiede soprattutto modifiche di tipo organizzativo e aperture all’esterno che molto spesso sono valutate con diffidenza dalle imprese distrettuali, come spesso accade per l’adozione di altri media. A questo si deve aggiungere che la capacità e la flessibilità di personalizzazione dell’ordine è ritenuta importante dal 58% delle imprese e critica, nel complesso, da poco meno del 50%. In questo caso emerge la stringente necessità delle imprese di far fronte ad un mercato sempre più spinto verso forme di differenziazione di prodotto indotta da esigenze di adeguamento ad una domanda molto variegata, a cui le aziende rispondono con un ulteriore ampliamento della gamma produttiva. In tal senso potrebbero essere suggeriti ulteriori sviluppi delle tecniche quali il postponement e la modularizzazione per non compromettere l’efficienza del processo produttivo e preservare la diversificazione degli output.

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Graf. 9 – Organizzazione del processo produttivo in relazione al totale della produzione

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Da quanto detto, risulta quindi inevitabile considerare la gestione delle scorte a magazzino: dai risultati ottenuti dai questionari, essa è ritenuta importante da circa il 60% delle imprese e critica dal 40%. In particolare, dall’indagine è emerso l’uso prevalente di sistemi di picking and handling della merce di tipo manuale (graf. 10): una transizione verso tecniche meno manuali potrebbe apportare forti economie sia con uno sviluppo interno ai propri magazzini, sia affidando l’intera gestione in outsourcing (graf 11), visto che attualmente tale soluzione non è stata adottata dalle imprese distrettuali.

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

0% 20% 40% 60% 80% 100%

trasporti

magazzini e scorte

gestione ordini

pratiche

lavorazionilogistiche

accessorie

1. totalmente interna

2. in prevalenza interna3. in prevalenza esterna

4. totalmente esterna

5. non svolta

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trasporti

magazzini e scorte

gestione ordini

pratiche

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1. totalmente interna

2. in prevalenza interna3. in prevalenza esterna

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sia manuale che automatizzato

2%

sistema in parte automatizzato

10%

sia manuale che mezzi meccanici

8%sistema

completamente automatizzato

2%

sistema prevalentemente

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sistema che utilizza prevalent. mezzi

meccanici20%

sia manuale che automatizzato

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sia manuale che mezzi meccanici

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sistema che utilizza prevalent. mezzi

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Graf. 10 – Sistema di raccolta e movimentazione delle merci

Graf. 11 – Livello di esternalizzazione

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Questo mostra come vi sia spazio per un forte sviluppo del mercato dei servizi di logistica integrata da parte di operatori specializzati. In particolare, nel distretto dello sport system, come precedentemente detto, la maggior parte delle attività di trasporto risultano già esternalizzate (graf. 11) e piuttosto efficienti, grazie alla presenza di operatori specializzati (De Bortoli, in primis): la possibilità di integrare tali servizi di mero trasporto con servizi relativi alla gestione di porzioni di processi e servizi a valore aggiunto legati a fasi e processi di fine linea - quali post-assemblaggi, configurazioni, kittizzazioni etc. - allo scopo di realizzare una maggiore efficienza complessiva, appare ineludibile. E’ proprio la presenza di un operatore logistico specializzato di distretto che permette alle imprese di dichiarare che l’ottimizzazione dei carichi, seppur ritenuta importante da circa il 60% delle imprese, risulti essere significativamente poco critica: essa non risulta più essere un problema per le imprese in quanto delegato alla terza parte logistica.

Un’ulteriore spiegazione di questa criticità potrebbe derivare, per le imprese che possiedono mezzi di proprietà propri, dalla vicinanza dei clienti e dei fornitori nel distretto che permette consegne veloci senza la razionalizzazione dei carichi per raggiungere obiettivi commerciali più che di riduzione dei costi.

Una successiva considerazione significativa legata al trasporto riguarda la qualità e la performance delle infrastrutture utilizzate per i trasporti che è ritenuta importante da circa il 60% delle imprese, ma giudicata di criticità “media” dal 38% delle imprese ed “elevata” solamente dal 7%. Il dato sembra significativo, in quanto starebbe ad indicare come il “problema infrastrutturale” sia da ridimensionarsi in un’ottica politica.

I margini di miglioramento del sistema

In generale un messaggio forte che sembra emergere dalla ricerca è che il ruolo critico nel sistema logistico complessivo sia rivestito soprattutto dalle attività di logistica strettamente produttive e di gestione delle scorte, mentre appaiono ridimensionati i problemi legati ai trasporti.

Infine, si ritiene opportuno evidenziare l’importanza delle relazioni che si sviluppano, tra imprese, all’interno del distretto industriale: la gestione dei rapporti di partnership è ritenuta importante da addirittura il 70% delle imprese ma mediamente critica da solo il 30%. In particolare, le relazioni non sono regolate da accordi formali in quanto più della metà delle imprese dichiara di non essere legate ai clienti/fornitori con nessun contratto (graf. 12 e 13), dimostrando così la presenza di relazioni stabili e non problematiche. Quanto affermato risulta di fondamentale importanza per il distretto in quanto le relazioni tra imprese distrettuali sono molto frequenti: dai dati raccolti risulta che circa la metà delle imprese producono per altre aziende distrettuali e tale informazione sembra suggerire che l’elemento strategico di “far sistema”, risulti ancora vincente.

22

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

Fonte: Indagine TLSU, ISTIEE 2005

A questo si deve aggiungere che la dimensione aziendale/potere contrattuale sono ritenuti importanti da circa il 60% delle imprese ma critici da solamente il 30%. Ciò conferma che nel distretto le relazioni tra le imprese sono indispensabili visto che le manovre di crescita vengono realizzate sempre più frequentemente mediante accordi e coinvolgimento di imprese esterne e sempre meno mediante investimenti diretti, pianificati e realizzati all'interno di una singola impresa. La divisione del lavoro, la cooperazione e quindi la creazione di successivi rapporti di partnership, costituiscono importanti leve competitive.

La presenza di forti sinergie di rete tra le imprese dimostra quindi che il distretto, inteso come organizzazione “sinergica a rete”, sopravvive ancora. Tali sinergie permettono di ottenere quella flessibilità e quelle competenze indispensabili per operare in un ambiente caratterizzato da un'elevata incertezza.

L’analisi condotta ha quindi potuto non solo ricostruire la filiera logistica intesa come processi di approvvigionamento, produzione e distribuzione ma ha permesso anche di approfondire tematiche collegate (come l’outsourcing o i rapporti di partnership), costruendo così in quadro completo che ha permesso di individuare fasi evolutive e interessanti spunti interpretativi a fini di policy.

nessuno54%

joint venture1% partecipazione

stesso gruppo1%

coprogettazione3%

contratti pluriennali7%

contratti annuali22%

contratti spot12%

nessuno54%

joint venture1% partecipazione

stesso gruppo1%

coprogettazione3%

contratti pluriennali7%

contratti annuali22%

contratti spot12%

nessuno54%

joint venture1% partecipazione

stesso gruppo1%

coprogettazione3%

contratti pluriennali7%

contratti annuali22%

contratti spot12%

Graf. 12 – Tipologia dei rapporti di partnership con i fornitori

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contratto di fornitura spot

12%

contratto di fornitura annuale

16%

coprogettazione4%

contratto di fornitura

pluriennale12%

contrato di noleggio

1%

nessuno55%

contratto di fornitura spot

12%

contratto di fornitura annuale

16%

coprogettazione4%

contratto di fornitura

pluriennale12%

contrato di noleggio

1%

Graf. 13 – Tipologia dei rapporti di partnership con i clienti

23

Le politiche comunitarie nel settore dei trasporti: il “terzo pacchetto” ferroviario

Introduzione

Quella che segue è un’illustrazione sintetica dei contenuti dello studio svolto nel corso del 2005, con riferimento alle proposte contenute nel cosiddetto “terzo pacchetto” ferroviario, attualmente all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio. Si tratta in particolare dei seguenti provvedimenti: - proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle

indennità per inosservanza dei requisiti contrattuali di qualità nei servizi di trasporto ferroviario di merci (COM(2004)144 def. del 3 marzo 2004);

- proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla certificazione del personale viaggiante addetto alla guida di locomotori e treni sulla rete ferroviaria della Comunità (COM(2004)139 def. del 3 marzo 2004);

- proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/440/CEE del Consiglio relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie (COM(2004)140 def. del 3 marzo 2004);

- proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario internazionale (COM(2004)142 def. del 3 marzo 2004).

Tali proposte, ancora in discussione, hanno lo scopo di accelerare il raggiungimento degli obiettivi previsti nel libro bianco del 2001, attualmente oggetto di revisione. Come è noto, tali obiettivi consistono nel rendere più efficiente e competitivo il trasporto ferroviario, nel favorirne l’integrazione nella catena del trasporto intermodale e nel facilitare – in ultima analisi – il riequilibrio fra i diversi modi di trasporto al fine di incrementare la sostenibilità ambientale del sistema logistico europeo e la qualità delle performance che lo stesso rende alle imprese.

Sul piano procedurale, è interessante notare come la Commissione abbia presentato le proposte prima ancora che le misure del “secondo pacchetto” venissero formalmente adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio e non essendo ancora stato completato dagli Stati membri il recepimento del pacchetto del 2001, relativo all’interoperabilità del sistema ferroviario.

Il ritmo al quale si sta sviluppando l’azione delle Istituzioni nel settore delle ferrovie è indice del carattere prioritario attribuito alla piena integrazione dei mercati. Nel 2002, la Commissione aveva presentato una comunicazione concernente le azioni che avrebbero dovuto essere intraprese in vista della creazione di uno “spazio ferroviario europeo” e come tali azioni avrebbero dovuto susseguirsi nel tempo.

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Di tali azioni, dieci in tutto, tre sono oggetto del “terzo pacchetto”, una è stata realizzata, due sono in corso di preparazione, ed altre quattro dovrebbero essere oggetto di proposte nel prossimo futuro.13

Fra le misure facenti parte del terzo “pacchetto”, due rivestivano un particolare interesse per il trasporto merci, e quindi per la corrente edizione dell’Osservatorio, ovvero quella relativa alle indennità per inosservanza dei requisiti contrattuali di qualità nei servizi di trasporto ferroviario di merci e quella concernente la certificazione del personale viaggiante addetto alla guida di locomotori e treni sulla rete ferroviaria della Comunità.

L’indennità per inosservanza dei requisiti contrattuali di qualità nei servizi di trasporto ferroviario di merci

La prima di tali misure è stata rigettata dal Parlamento europeo nel corso della prima lettura, che ha avuto luogo lo scorso 28 settembre. Essa intendeva stabilire le disposizioni minime obbligatorie per i contratti di trasporto merci, a tutela degli utenti finali. Secondo la proposta le parti avrebbero dovuto prevedere un sistema di risarcimento in caso di ritardo o di danno subito dalle merci trasportate. Inoltre, la direttiva avrebbe dovuto fissare limiti minimi per il risarcimento in caso di ritardo: le parti avrebbero dovuto concordare l’importo nel contratto di trasporto. Il risarcimento, comunque, non avrebbe potuto essere inferiore al 5% del prezzo del trasporto stesso. Secondo la Commissione, questa proposta sarebbe stata un incentivo a regolamentare la gestione della qualità per via contrattuale.

Il Parlamento ha approvato la relazione dell’On. Roberts ZILE (Lettonia, gruppo UEN) secondo il quale il sistema di compensazione previsto dalla proposta della Commissione non avrebbe contribuito a migliorare la qualità dei servizi di trasporto merci, considerato inoltre che le norme internazionali impongono già rigide regole alle imprese di trasporto ferroviario. I membri del Parlamento, inoltre, hanno voluto assicurare che le nuove compagnie ferroviarie non fossero scoraggiate dall’ingresso sul mercato a causa delle norme proposte dalla Commissione.

Sul piano procedurale, la proposta della Commissione è stata rigettata e il Parlamento ne ha chiesto il formale ritiro. Parlamento e Consiglio continueranno a lavorare sulla base di una proposta modificata del “terzo pacchetto”, che include le misure descritte nei paragrafi che seguono.

La certificazione del personale viaggiante addetto alla guida dei locomotori14

La seconda misura contenuta nel “terzo pacchetto” consiste in una proposta di direttiva relativa alla certificazione del personale viaggiante addetto alla guida dei locomotori e treni sulla rete ferroviaria della Comunità. Essa costituisce un

13 Cfr. Comunicazione della Commissione, “Il futuro dell’integrazione del sistema ferroviario europeo: il terzo

pacchetto ferroviario”, COM (2004) 140 def., pag. 5. 14 COM (2004) 139 def. del 3 marzo 2004.

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complemento delle misure che fanno parte del secondo pacchetto ferroviario: tali misure sono orientate, come è noto, a garantire l’interoperabilità delle ferrovie ed a definire un livello minimo comune di sicurezza sia per i gestori delle infrastrutture che per le imprese ferroviarie.

La direttiva sulla sicurezza ferroviaria,15 in particolare, prevede che i gestori delle infrastrutture e le imprese ferroviarie istituiscano un sistema di gestione della sicurezza in modo che il sistema ferroviario sia in grado di raggiungere, come minimo, gli Obiettivi di Sicurezza Comuni, che sia conforme alle regole di sicurezza nazionali, nonché alle prescrizioni di sicurezza definite nelle Specifiche Tecniche di Iineroperabilità (STI), e che siano applicati gli elementi pertinenti dei Metodi di Sicurezza Comuni. Questo sistema di gestione della sicurezza prevede, fra l’altro, programmi di formazione del personale, nonché sistemi che consentano di mantenerne a livelli ottimali le competenze.16

La formazione del personale è inoltre un requisito fondamentale, ai sensi della direttiva, perché un’impresa ferroviaria possa entrare in possesso del certificato di sicurezza necessario ad avere accesso alle infrastrutture comunitarie. Il certificato in questione deve confermare l’approvazione delle disposizioni prese dall’impresa ferroviaria per soddisfare ai requisiti specifici prescritti per l’esercizio sicuro della rete considerata.

La proposta di direttiva in esame, tenendo conto dell’importanza della formazione del personale delle imprese ferroviarie ai fini dell’accesso all’infrastruttura, prevede un’armonizzazione per la certificazione dei macchinisti, al fine di agevolarne l’interoperabilità e migliorarne la gestione, eliminando gli ostacoli alla libera circolazione che potrebbero derivare dalle differenze fra le legislazioni nazionali.

La proposta della Commissione è stata adottata a seguito di un processo di consultazione, condotto dal gruppo di studio sull’interoperabilità del Comitato paritetico delle ferrovie.17 Tale processo ha condotto alla redazione di un rapporto,18 nel 1996, nelle cui conclusioni si evidenziavano: - la necessità di armonizzare le competenze dei macchinisti e non la loro

formazione; - la necessità che il gestore dell’infrastruttura stabilisse i requisiti da rispettare in

materia di comunicazione tra il gestore stesso e il personale viaggiante; - la necessità che gli esami psicologici e medici diretti ad accertare le competenze

venissero effettuati secondo un approccio uniforme.

15 Direttiva 2004/49/CE del 29 aprile 2004 relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie e recante modifica

della direttiva 95/18/CE relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 2001/14/CE relativa alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all'imposizione dei diritti per l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza (Direttiva sulla sicurezza delle ferrovie).

16 COM (2004) 139 def. del 3 marzo 2004, pag. 3. 17 Si tratta di un Comitato istituito nel 1984 con l’obiettivo di assistere la Commissione nell’elaborazione e nella

realizzazione della politica sociale comunitaria onde migliorare ed armonizzare le condizioni di vita e di lavoro nel settore ferroviario. Attualmente il dialogo sociale al livello di settore si svolge secondo le disposizioni della decisione della Commissione del 20 maggio 1998 relativa all’istituzione di comitati di dialogo settoriale destinati a favorire il dialogo tra le parti sociali a livello europeo (GU L 25 del 12.8.1998). Nel settore ferroviario, un Comitato di dialogo sociale è stato istituito nel 1999: vi partecipano rappresentanti della CER e della ETF.

18 Gruppo di studio “Interoperabilità” del Comitato paritario delle ferrovie, gruppo di lavoro n. 1 “Aspetti sociali della politica ferroviaria europea”, ottobre 1996.

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Sulla base di tali conclusioni, e di successivi studi19 la Comunità europea delle ferrovie (CER) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sono giunte ad un accordo sulle condizioni sociali che hanno rilievo per il mercato ferroviario europeo.20

La Commissione si è ispirata all’accordo raggiunto fra ETF e CER nella redazione della proposta di direttiva in esame. Essa se ne differenzia per il carattere comunitario, che si identifica – da un lato – con il carattere precettivo delle disposizioni, e per il fatto che le stesse perseguono l’obiettivo di facilitare la circolazione dei macchinisti nell’ambito dell’UE, accanto a quello di uniformare le condizioni di formazione.

La certificazione proposta dalla Commissione, a tale riguardo, è caratterizzata dal suo articolarsi in due parti distinte:21 - la prima parte è costituita dalla licenza UE, la quale contempla i requisiti minimi e

comunitari valevoli su tutto il territorio dell’UE. Questa licenza è rilasciata dall’autorità ed appartiene al macchinista;

- la seconda parte è costituita dall’attestato complementare armonizzato, che contempla i requisiti particolari del servizio che ciascun macchinista è autorizzato a svolgere, ed ha quindi validità più limitata. L’attestato è rilasciato dall’impresa ferroviaria.

L’apertura del mercato del trasporto passeggeri

La terza misura del pacchetto ferroviario consiste in una direttiva volta alla modifica della direttiva 91/440/CEE, con l’obiettivo di aprire alla concorrenza il settore del trasporto di passeggeri, ivi incluso il cabotaggio.22 La direttiva 91/440/CEE, nella sua formulazione attuale, non contempla, infatti, il diritto di accesso alle infrastrutture degli Stati membri se non al fine di esercitare servizi di trasporto merci.

Nella proposta in esame, la Commissione ha dovuto affrontare un problema di policy di non facile soluzione, ovvero il contemperamento dell’esigenza di aprire – nella misura maggiore possibile – il mercato del trasporto passeggeri, senza incidere negativamente sul funzionamento dei servizi oggetto di obbligazioni di servizio pubblico, che si connotano quindi come servizi di interesse generale.23

19 Social Dialogue (ETF/CER), Joint Study Group on Interoperability, Final Report, March 2000. 20 Accordo tra CER/ETF sulla licenza europea per macchinisti addetti a servizi di interoperabilità transfrontaliera,

27/01/04. 21 COM (2004) 139 def. del 03/03/04, pag. 5. 22 COM(2004)139 def. del 03/03/04. 23 L’importanza dei servizi di interesse economico generale nel diritto comunitario è del tutto evidente, solo che si

abbia riguardo agli articoli 16 e 86 (2) CE. Le Istituzioni comunitarie, inoltre, hanno ripetutamente richiamato l’attenzione sull’importanza dei servizi di interesse economico generale (cfr., ad esempio, le due Comunicazioni della Commissione sui Servizi d’Interesse Generale in Europa (GUCE 1996 C 281/3 e GUCE 2001 C 17/4), il Rapporto al Consiglio Europeo di Laeken “Servizi di Interesse Generale” (COM (2001) 598 def.) del 17/10/01) e il Libro verde sui servizi di interesse generale (COM(2003)270 def. del 21/05/03, par. 15 e ss.). Per quanto concerne la giurisprudenza vd., ad esempio, le seguenti Sentenze della Corte di Giustizia CE: 19/05/93, Corbeau, causa C-320/91, in Raccolta, 1993, p. I-2533; 27/02/97, FFSA, causa T-106/95, in Raccolta, 1997, II-229; 23/10/97, Commissione/Paesi Bassi, causa C-157/94, in Raccolta, 1997, I-5699; 18/06/98, Corsica Ferries, causa C-266/96, in Raccolta, 1998, I-3949.

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Dalla relazione introduttiva alla proposta si evince chiaramente come la sola apertura del mercato dei servizi internazionali, implicando la mera possibilità di far salire passeggeri in uno Stato membro per farli scendere in un altro Stato membro, non avrebbe possibilità di produrre un impatto significativo sul mercato: da un lato la vendita dei biglietti passeggeri relativi a tratte internazionali non rappresenta che il 10% del fatturato viaggiatori delle imprese ferroviarie. Dall’altro lato, tale quota rischia di diminuire in conseguenza della pressione concorrenziale esercitata dai servizi aerei a basso costo.24

Pertanto, vi è la evidente necessità che la libera prestazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza possano estendersi oltre il mero ambito dei servizi internazionali. D’altro canto, la Commissione ha riconosciuto la necessità di evitare che l’apertura dei mercati possa sottrarre risorse al trasporto regionale e locale, spesso oggetto di obbligazioni di servizio pubblico.

La soluzione adottata dalla Commissione prevede, a tale riguardo: - la piena apertura del mercato del trasporto internazionale di passeggeri; - una parziale apertura del mercato del cabotaggio; - la sottrazione alla concorrenza ed alla libera prestazione dei servizi di trasporto

passeggeri che siano oggetto di obbligazioni di servizio pubblico; - la riforma della disciplina applicabile a tali servizi.25

In sostanza, le imprese ferroviarie comunitarie potranno – ai sensi della proposta – organizzare servizi ferroviari transfrontalieri (che comportano, quindi, il passaggio del materiale rotabile attraverso le frontiere). Nell’espletamento di tali servizi, le imprese potranno trasportare passeggeri fra due stazioni nell’ambito dello stesso Stato membro: in pratica, l’obbligo di attraversamento della frontiera si estenderà al solo materiale rotabile, ma non ai passeggeri.

Gli Stati membri avranno comunque la facoltà di limitare la libera prestazione dei servizi, e quindi limitare il diritto di far salire e scendere passeggeri, tra due stazioni situate lungo una tratta oggetto di contratto di servizio pubblico.

La disciplina dei diritti e degli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario internazionale

All’introduzione del principio della libera prestazione dei servizi nel settore del trasporto ferroviario internazionale, prevista nella proposta di direttiva poc’anzi esaminata, corrisponde il tentativo della Commissione di definire – attraverso la presentazione di una proposta di regolamento – i diritti e gli obblighi dei passeggeri.26

24 COM(2004)139 def. del 3 marzo 2004, pag.6 e ss. 25 Ibidem, pag.4. 26 COM (2004) 143 def. del 3 marzo 2004.

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La proposta esaminata ha l’obiettivo di migliorare l’efficacia e la capacità di attrazione del trasporto ferroviario di passeggeri rispetto alle altre modalità di trasporto, rimediando a numerose carenze, denunciate dai consumatori e registrate in uno studio della stessa Commissione e posto alla base delle considerazioni contenute nella comunicazione “Verso uno spazio ferroviario europeo integrato”.27

Essa si articola in 45 articoli, suddivisi in nove capi contenenti disposizioni generali (Capo 1, artt. 1-2), finali (Capo 9, artt. 40-45) e norme su: - Informazioni e biglietti (Capo 2, artt. 3-6); - Responsabilità dell’impresa ferroviaria (Capo 3, artt. 7-11); - Danni e indennità spettanti ai passeggeri (Capo 4, artt. 12-17); - Disciplina delle azioni di risarcimento (Capo 5, artt.18-26); - Persone a mobilità ridotta (Capo 6, artt. 27-31); - Qualità e sicurezza del servizio (Capo 7, artt. 32-36); - Informazioni ed applicazione del regolamento (Capo 8, artt. 32-39).

La proposta di regolamento integra e rafforza i diritti dei passeggeri del trasporto internazionale, sinora definiti dalla convenzione sui trasporti internazionali per ferrovia (Convention relative aux transports internationaux ferroviaires, COTIF) del 9 maggio 1980, conclusa in seno all’OTIF (Organisation intergouvernamentale pour les transport ferroviaries) dagli Stati membri della Comunità (con l’eccezione dell’Estonia) e da altri 15 paesi.28

In particolare, la proposta prevede diritti non contemplati dalla COTIF, come l’obbligo di fornire informazioni ai passeggeri, la disponibilità dei biglietti, l’indennità per danni indiretti, i diritti delle persone a mobilità ridotta, le misure di sicurezza ed il trattamento dei reclami; essa , inoltre, prevede un rafforzamento della tutela prevista dagli strumenti esistenti per i casi di responsabilità del vettore dovuti a morte o lesione dei passeggeri, ritardi o soppressione dei treni.29

Nell’ambito delle consultazioni svoltesi anteriormente alla presentazione della proposta, le organizzazioni delle imprese ferroviarie avevano respinto l’ipotesi di un intervento legislativo in sede comunitaria, ritenendo che la definizione di standard volontari da parte del CER (Comunità delle Ferrovie Europee) avrebbe potuto soddisfare le esigenze considerate dalla Commissione. Quest’ultima ha tuttavia preferito che i diritti dei passeggeri fossero contemplati e protetti da un regolamento comunitario, presentando la proposta ora all’esame delle istituzioni.

27 COM (2002) 18 def. del 23 gennaio 2002. 28 COM (2004) 143 def. del 3 marzo 2004 pag. 2. 29 Ibidem, pag. 3.