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Volume I - n.3 Novembre 2009 Poste Italiane Spa - Sped in A.P. - D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/04, N° 46) art. 1, c. 1 - DCB Milano N°3/2009 Quadrimestrale - Area Qualità S.r.l. - Via Comelico 3 - 20135 MI news ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI GASTROENTEROLOGIA EPATOLOGIA E NUTRIZIONE PEDIATRICA NUTRIZIONE EPATOLOGIA GASTROENTEROLOGIA AGGIORNAMENTO in

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Volume I - n.3 Novembre 2009

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n e w sORGANO UFFICIALE

DELLA SOCIETÀ ITALIANA

DI GASTROENTEROLOGIA EPATOLOGIA

E NUTRIZIONE PEDIATRICA

NUTRIZIONE

EPATOLOGIA

GASTROENTEROLOGIA

AGGIORNAMENTO in

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so m m a r i o

SIGENP incontra…Intervista a Christophe Dupont: neonati pretermine, strategie per l’allergia alimentare di Mariella Baldassarre

Revisione sistematica e metanalisi dalla letteraturaManifestazioni extraesofagee e reflusso gastroesofageodi Silvia Salvatore, Serena Arrigo, Chiara Luini e Luigi Nespoli

Percorso formativo (Pre e Post-test)uso ed abuso degli Inibitori di pompa protonica in età pediatricadi Claudio Romano e Italia Loddo

Training and Educational CornerLa biopsia epatica nella pratica clinica di Lorenzo D’Antiga e Giorgina Mieli-Vergani

Asking Questions in Immunologia, Microbiologia e GeneticaMalattia celiaca e diabete di tipo 1: interazioni patogenetichedi Giulia Maria Tronconi, Barbara Parma e Graziano Barera

Minimum standard in endoscopiaLe biopsie del tratto digestivo inferiore: come e quandodi Filippo Torroni e Giovanni Di Nardo

Il laboratorio in Gastroenterologia PediatricaHelicobacter pylori in laboratoriodi Francesco Di Mario e Luigi Gatta

Reports da ASGE, ESGE, ESPGHAN e NASPGHAN Linee guida nella Malattia da reflusso in età pediatrica di Roberta Buonavolontà, Paolo Quitadamo, Massimo Martinelli e Annamaria Staiano

18

16

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11

6

Eventi, Corsi e Congressia cura del Comitato di Redazione

21

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EditorialeClaudio Romano

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n e w s

Consiglio Direttivo sigenp

Presidente Salvatore CucchiaraVice-Presidente Roberto Berni CananiSegretario Paolo GandulliaTesoriere Ruggiero FrancavillaConsiglieri Osvaldo Borrelli, Gian Luigi de’ Angelis,

Graziella Guariso, Pietro Vajro

L’iscrizione alla SIGENP come socio è riservata a coloro che, essendo iscritti alla Società Italiana di Pediatria, dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. I candidati alla posizione di soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostra interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà con-ferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP. quota associativa annuale SIGENP: (anno solare) #60.Specializzandi: iscrizione SIGENP gratuita previa presentazione di certificato di iscrizione alla scuola di specialità.

Come si Diventa soCi Della

per chi è interessato la scheda è disponibile

sul portale sigenp www.sigenp.org

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dIrETTorE EdITorIAlE Claudio Romano [email protected]

rEdATTorE CAPo Mariella Baldassarre [email protected]

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Erasmo Miele [email protected] Silvia Salvatore [email protected] Filippo Torroni [email protected]

ASSISTENTI dI rEdAzIoNE Andrea Chiaro, Donatella Comito

CoordINAmENTo rEdAzIoNAlE Fiorenza Lombardi Borgia

Redazione e Amministrazione: Area qualità S.r.l. Via Comelico, 3 - 20135 Milano - Tel./Fax 025512322 - e-mail: [email protected]: Tipografia Vigrafica - Via G.B. Stucchi, 62/7 - 20052 Monza MIGestione operativa spedizioni postali: Staff srl - 20090 Buccinasco MIPeriodico quadrimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n. 208 del 29/04/09.

La pubblicazione o ristampa degli articoli della rivista deve essere autorizzata per iscritto dall’Editore. Questa rivista è spedita in abbonamento: l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa e altre pubblicazioni. Ai sensi della legge n. 196/03 è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati in nostro possesso.

Eventi, Corsi e Congressia cura del Comitato di Redazione

exCellenCe in paeDiatriC

Firenze 3-6 dicembre 2009

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA www.candc-group.com

12° Congresso nazionale siaip

nuove frontiere in immunologia

peDiatriCa

bari 14-17 aprile 2010

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roma peDiatria

roma 21-23 maggio 2010

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xvii Congresso nazionale sigenp

Pescara ottobre 2010

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4 SIGENP NEWS volume I - n. 3

SIGENP incontra…

Qual è l’incidenza dell’allergia alimentare nel neonato pretermine rispetto a quello a termine?

L’immaturità del tratto gastrointe-stinale o della risposta immune po-trebbe in teoria modificare il rischio di sviluppare l’allergia alimentare nel neonato pretermine. In partico-lare, l’insufficiente produzione delle IgA secretorie (1), nei bambini nati con un peso più basso, può provo-care un’esposizione maggiore agli allergeni in età precoce e, di conse-guenza, favorire lo sviluppo di aller-gie alimentari. Per la verità non sem-bra esserci un’aumentata incidenza di allergie alimentari nei prematuri. Sia la pratica clinica sia la letteratura suggeriscono che l’allergia alimenta-re probabilmente si presenta con in-cidenza simile nei bambini nati a ter-mine e pretermine. De Martino et al (2) hanno studiato 80 nati pretermi-ne e li hanno confrontati con altret-

tanti nati a termine dello stesso sesso e della stessa età, a un’età media di 16 mesi: la frequenza di positività ai prick test da allergeni alimentari e al-la dermatite atopica è risultata essere simile. Uno studio di coorte, il 1995 Manitoba Birth Cohort, che include-va 13.980 bambini (a termine e pre-termine) nati nel 1995, che avevano continuato a vivere nella provincia di Manitoba, ha evidenziato un’inci-denza globale di allergia alimentare del 4,23% con prescrizione di epi-nefrina a 316 bambini (2,26%) (3). Un recentissimo studio prospettico norvegese (4) ha dimostrato la pre-senza di dermatite atopica nel 19,9% di neonati prematuri contro il 17,9% dei nati a termine. La prevalenza di reazioni allergiche agli alimenti è ri-portata essere del 15%, simile in en-trambi i gruppi considerati. Un pro-blema da sottolineare è la mancanza di vere descrizioni di allergia al latte nei prematuri. Per esempio, l’entero-

Il professor Christophe Dupont è da dieci anni

direttore del Dipartimento di Neonatologia e

Nutrizione Neonatale dell’Université Paris Descartes,

Hopital Saint Vincent de Paul a Parigi. Le sue attività di

ricerca e le sue pubblicazioni riguardano gli ormoni

digestivi, la gastroenterologia e la nutrizione pediatrica,

le allergie alimentari, l’infezione da Helicobacter pylori,

il reflusso gastroesofageo, i test non invasivi della

funzione gastroenterica e la nutrizione neonatale.

È membro della Società Europea di Gastroenterologia

Pediatrica, Epatologia e Nutrizione, in cui ricopre da

diversi anni la carica di segretario del gruppo di

Gastroenterologia Neonatale e del Comitato della

Nutrizione della Società Francese di Pediatria.

Intervista a Christophe Dupont: neonati pretermine, strategie per l’allergia alimentareMariella BaldassarreU.O di Neonatologia e T.I.N., Policlinico Universitario di Bari

a cura diMariella Baldassarre

colite necrotizzante potrebbe essere dovuta all’allergia al latte, soprattut-to nei neonati con età gestazionale vicina al termine (34-36 settimane), ma non è mai stata sufficientemente studiata in relazione a tale causa.

È stata descritta una correla-zione con l’età gestazionale?

Da quanto riportato in letteratura, né l’età gestazionale né il peso alla nascita mostrerebbero una correla-zione significativa con l’aumentato rischio di allergia alimentare (3).

Il tipo di parto può influenzare la prevalenza di allergia alimentare?

Nel già citato studio norvegese di Kvenshagen B et al (4), la dermati-te atopica si presenta nel 17,5% dei neonati da parto cesareo, rispetto al 19,1% dei neonati da parto sponta-neo. È interessante che anche nei neo-nati pretermine l’allergia alimentare sia stata associata a storia materna di asma e allergia alimentare, status socio-economico elevato (incluso il reddito e il luogo di residenza) e ge-nere maschile, analogamente a quan-to riportato nei neonati a termine.

Poiché la corionamnionite può favorire sia la prematurità sia pro-cessi infiammatori in molti organi, può rappresentare un fattore di ri-schio per lo sviluppo di allergia ali-mentare nel neonato pretermine?

La corionamnionite è probabilmente responsabile di numerose conseguen-ze nei prematuri, incluse le infezioni e le lesioni neurologiche. Non è stata tuttavia mai associata a complicazio-ni correlate al tratto gastrointestinale favorenti lo sviluppo di allergia ali-mentare.

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La dieta materna durante la gravidanza può giocare un ruolo nello sviluppo della sensibilizza-zione al cibo?

Modificare la dieta durante la gra-vidanza può avere alcuni effetti be-nefici. Dai dati oggi disponibili, per esempio, gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena possono essere utili nel ridurre l’incidenza dell’allergia se consumati dalla madre duran-te la gravidanza, molto più che dal bambino durante il suo primo mese di vita (5). Il latte materno è la scel-ta migliore per nutrire un neonato, pretermine o a termine che sia. Nei bambini pretermine a volte si ren-de necessario fare degli adattamenti per aumentare momentaneamente l’apporto di energia e proteine. Al-cuni neonati a termine si possono rivelare allergici al latte della pro-pria madre, o più precisamente ad alcuni componenti allergenici che si trasferiscono in tracce dal sangue della madre nel suo latte. Questo è il caso della colite da latte materno, ma può anche succedere nei bam-bini che presentano sintomi quali vomito o diarrea. Le mamme in tal caso devono sottoporsi a una dieta di eliminazione. La frequen-za di questo fenomeno nei prema-turi non è nota, forse a causa della mancanza di appropriati strumenti diagnostici. Abbiamo recentemente dimostrato che il miglior modo per diagnosticare l’allergia al latte nei bambini prematuri è il patch test (6), che probabilmente dovrebbe essere usato in scala più larga nelle neonatologie.

Quali sono le strategie preven-tive quando l’allattamento al seno non è possibile?

Il ruolo, le indicazioni e l’adegua-tezza nutrizionale dei latti con idrolisi proteica spinta nei neonati pretermine non sono ben definiti. La prevenzione dell’atopia dovreb-be essere effettuata solo nei neonati pretermine con familiarità accer-tata per allergia. Un riesame della letteratura non supportava l’uso di idrolisati proteici spinti per la prevenzione dell’atopia (7). Uno

studio che ha valutato l’effetto del-l’alimentazione precoce di bambi-ni di peso molto basso alla nascita (VLBW) (peso medio: 1.124g) con latte vaccino oppure con idrolisato proteico spinto non ha evidenziato differenze statisticamente significa-tive nella comparsa di evidenti ma-nifestazioni allergiche, con percen-tuali simili di positività ai markers di atopia, come le IgE o i prick test cutanei (8).Nei prematuri le formule a idrolisi proteica spinta sono molto spesso usate non per la prevenzione delle allergie, che è fondamentalmente una preoccupazione rara dei neona-tologi, ma per il loro ruolo potenzial-mente positivo nell’alimentazione precoce dei bambini nati con peso molto basso. Anche in questo caso il loro beneficio è tutt’altro che di-mostrato, e sussistono diversi dubbi sulla loro adeguatezza nutrizionale, dato che non forniscono abbastanza energia, proteine, sodio e acidi grassi polinsaturi in confronto allo stan-dard delle formule per i prematuri. L’outcome a lungo termine dell’ali-mentazione dei prematuri con HF, inclusi gli aspetti di sviluppo neu-rologico, dovrebbe essere valutato con maggiore accortezza. Per ciò che riguarda l’alimentazione del primo giorno di vita, vi è uno studio che di-mostra che la somministrazione per via enterale a neonati pretermine (o con peso molto basso) di formule arricchite con glutamina, faccia di-minuire sia l’incidenza di infezioni neonatali sia di dermatite atopica durante il primo anno di vita. Tale studio necessita di conferma poiché lo stesso autore ha pubblicato di re-cente un lavoro che evidenzia profi-li citochinici Th1 e Th2 simili nella stessa popolazione (9).

Qual è la terapia dell’allergia al latte nei neonati pretermine che assumono latte artificiale?

Il trattamento dell’allergia al lat-te, quando diagnosticata, è basato sull’impiego di latti con idrolisi proteica spinta o latti costituiti da miscele di aminoacidi. La scelta della miscela di aminoacidi può

essere attuata in alcune situazioni cliniche in cui gli idrolisati proteici sembrerebbero non risolvere il pro-blema, come ad esempio nella coli-te da latte materno (10). I latti con idrolisi proteica spinta o le miscele di aminoacidi andrebbero inoltre utilizzati ogni volta che un pre-maturo presenta disturbi digestivi che non si risolvono rapidamente. È bene sottolineare questo: ogni volta che viene usata una formula speciale in un bambino prematuro, prima di dimettere il bambino oc-corre valutare il possibile ritorno a una formula standard, in modo da evitare alla famiglia e al sistema sa-nitario un peso inutile.

<<<<Bibliografia >>>>

1. Taylor B, Norman AP, Orgel HA, Stokes CR, Turner MW, Soothill JF. Transient IgA deficiency and pathogenesis of infantile atopy. Lancet 1973;2:111-3.

2. De Martino M, Donzelli G, Galli L, Scarano E, de Marco A, Rapisardi G et al. Food allergy in preterm infants fed human milk. Biol Neonate 1989;56:301-5.

3. Liem JJ, Kozyrskyj AL, Huq SI, Becker AB. The risk of developing food allergy in premature or low-birth-weight children. J Allergy Clin Immunol 2007;119:1203-9.

4. Kvenshagen B, Jacobsen M, Halvorsen R. Atopic dermatitis in premature and term children. Arch Dis Child 2009;94:202-5.

5. Heine RG, Tang ML. Dietary approaches to the prevention of food allergy. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2008;11:320-8.

6. Dupont C, Soulaines P, Lapillonne A, Donne N, Kalach N, Benhamou PH. Atopy patch test for early diagnosis of cow’s milk allergy in preterm infants. J Pediatr Gastroenterol Nutr, in press.

7. Zuppa AA, Visintini F, Cota F, Maggio L, Romagnoli C, Tortorolo G. Hydrolysed milk in preterm infants: an open problem. Acta Pædiatr 2007;94:84-6.

8. Kwinta P, Sawiec P, Klimek M, Lis G, Cichocka-Jarosz E, Pietrzyk JJ. Correlation between early neonatal diet and atopic symptoms up to 5-7 years of age in very low birth weight infants: follow-up of randomized, double-blind study. Pediatr Allergy Immunol 2009;20:458-66.

9. Van Zwol A, van den Berg A, Nieuwenhuis EES, Twisk JWR, Fetter WPF, van Elburg RM. Cytokine profiles in 1-yr-old very low-birth-weight infants after enteral glutamine supplementation in the neonatal period. Pediatr Allergy Immunol 2009;20:467-70.

10. De Boissieu D, Matarazzo P, Dupont C. Allergy to extensively hydrolyzed cow milk proteins in infants: identification and treatment with an amino acid-based formula. J Pediatr 1997;131:744-7.

novembre 2009 5

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6 SIGENP NEWS volume I - n. 3

Tab. 1 Prevalenza di sintomi extraesofagei in bambini con MRGE

sintomo popolazione Diagnosi mrge risultati riferimento

ALTE 173 MRGE vs 169 controlli Clinica 20% vs 31% dei controlli (NS) Tolia (2002)

Asma 1.980 MRGE vs 7.980 controlli Clinica13% vs 7% dei controlli (P < 0.0001)

El-Serag (2001)

Bronchiectasie 1.980 MRGE vs 7.980 controlli Clinica1% vs 0.1% dei controlli (P < 0.0001)

El-Serag (2001)

Erosioni dentali

52 MRGE vs 52 controlli sani Clinica14% vs 10% dei controlli Erosioni più gravi e carie > in RGE (P<0.05)

Linnett (2002)

38 MRGE vs 42 controlli sani Clinica76% vs 10% dei controlli (P <0.0001); 36% erosioni gravi vs 1% dei controlli (P <0.05)

Ersin (2006)

53 MRGE pH-m 17% erosioni dentali (P <0.05) O’Sullivan (1998)

24 MRGE Clinica 83% dei pazienti con erosioni Dahashan (2002)

Mix respiratori

173 MRGE vs 169 controlli Clinica49% vs 63% dei controlli (P < 0.01)

Tolia (2002)

42 MRGE severa vs 66 controlli

risposta a terapia anti-RGE, pH-m

62% vs 36% dei controlli Khalaf (2001)

Otite media 1.980 MRGE vs 7.980 controlli Clinica2.1% vs 4.6% dei controlli (P < 0.0001)

El-Serag (2001)

Polmonite 1.980 MRGE vs 7.980 controlli Clinica6.3% vs 2.3% dei controlli (P < 0.0001)

El-Serag (2001)

Sinusite 1.980 MRGE vs 7.980 controlli Clinica4.2% vs 1.4% dei controlli (P < 0.0001)

El-Serag (2001)

Legenda: pH-m = pH-metria

Manifestazioni extraesofagee e reflusso gastroesofageoQuesta seconda parte della revisione si focalizza sulla prevalenza di manifestazioni extraesofagee in bambini con MRGE e, in particolare, sull’efficacia della terapia con inibitori dell’acidità gastrica

Silvia Salvatore1, Serena Arrigo2, Chiara Luini1 e Luigi Nespoli1

1 Pediatria, Università dell’Insubria di Varese 2 Pediatria a indirizzo gastroenterologico, IRCCS, Istituto Giannina Gaslini di Genova

a cura diErasmo Miele

Revisione sistematica e metanalisi della letteratura

INtroduzIoNETra le manifestazioni extraesofagee ricordiamo i disturbi del sonno, le al-terazioni dentali, le posture anoma-le, le malattie otorinolaringoiatriche e respiratorie. I dettagli della ricerca bibliografica sono già stati specifica-ti nella prima parte della revisione, pubblicata sul numero scorso di Si-genp News. Dalla nostra analisi sono stati esclusi: i case reports, gli studi che valutavano l’effetto del posizio-namento, delle formule ispessite, della cisapride e della terapia chi-

rurgica, i lavori che comprendevano solo pazienti neurologici, obesi o con fibrosi cistica.

rISuLtAtII dati di prevalenza dei sintomi extrae-sofagei nei bambini con MRGE sono li-mitati e discordanti (tabella 1). Lo studio più ampio ha considerato retrospetti-vamente il database di 1.980 bambi-ni con MRGE (definita clinicamente), escludendo i pazienti neurologici o con malformazioni esofagee e quelli con età inferiore ai 2 anni, e li ha con-

frontati con 7.920 controlli. I bambini con MRGE hanno mostrato una pro-babilità significativamente maggiore di presentare asma, polmonite, sinusite e laringite, ma non otite media.Tutti i trials si basano su una diagnosi di MRGE clinica o pH-metrica. In po-chissimi studi è presente un gruppo di controllo e disomogenee appaiono le popolazioni reclutate, i criteri diagno-stici, il tipo di farmaco, la posologia e gli outcome terapeutici. Gli studi di intervento che riportano l’efficacia della terapia anti-reflusso

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novembre 2009 7

Tab. 2 Risultati della terapia anti-reflusso sui sintomi extraesofagei

Sintomo Popolazione Diagnosi reflusso

Terapia anti-reflusso Risultati Riferimento

Asma

37 bambini 18 MRGE vs 19 RGE neg

pH-mRanitidina (150-300 mg/sera) per 8 settimane

30% di riduzione di sintomi notturni di asma in pazienti con MRGE

Gustafsson (1992)

11 bambini con MRGE

pH-mMetoclopramide + Ranitidina (4mg/kg/ die) per 3 settimane

pH-m ancora patologica in 10/11 Balson (1998)

38 bambini con asma lieve o moderata persistente

questionari/pH-m pre e post terapia

Omeprazolo 20mg/die vs placebo per 12 settimane

Non differenze per: sintomi di asma (score), qOL, funzionalità polmonare e uso di broncodilatatori

Stordal (2005)

27 bambini non atopici con asma moderata persistente: 18 con MRGE vs 9 RGE neg

pH-m(RI >5%)

Lansoprazolo 30 mg/die + cisapride/metoclopramide per 12 mesi

>50% di riduzione farmaci per asma nel 100% dei trattati vs 0% (p<0.05); riduzione broncodilatatori, steroidi inalatori e anti-leucotrienici (P<0.05); <esacerbazioni, miglioramento qOL e funzionalità polmonare (a 12 mesi)

Khoshoo (2003)

44 bambini non atopici con asma migliorata dopo 1 anno di terapia anti-RGE vs 9 con asma e RGE sottoposti a fundoplicatio

pH-m (RI>5%)

Gruppo A (30): Esomeprazolo (40 mg/die) e metoclopramide; B (14): ranitidina (150mg per 3v/die); C (9): controlli

In FUP di 6 mesi il gruppo B mostra significativamente più esacerbazioni (2.2 per paziente) vs gruppo A (0.33) e C (0.77) (P <0.05). Ricovero necessario solo per 3 pazienti (21%), tutti del gruppo B

Khoshoo (2007)

25 bambini non atopici asmaticivs 25 bambini con vomito ricorrente

pH-m

Lansoprazolo (1 mg/kg/die per 3 mesi) in pazienti con pH-m pat

Miglioramento significativo dei sintomi asmatici (score). Riduzione significativa dell’uso di broncodilatatori e degli steroidi sistemici, del numero di attacchi di asma/paz e dei giorni di ricovero

Yuksel (2006)

36 adolescenti con asma moderatapersistente e RGE patologico

pH-m

18 con omeprazolo (20 mg per 2 v/die per 6 settimane) vs 18 con placebo

Test di funzionalità polmonare (capacità vitale forzata, FEV1, picco di flusso espiratorio) significativamente migliori (p<0.00001) in pazienti trattati

Khorasani (2008)

Mix respiratori

9 laringite11 laringomalacia1 otite ricorrente3 papillomi laringei18 stridore

pH-m (RI>4% o Euler score >50)

Cisapride + ranitidina per 8 settimane

86% risoluzione80% risoluzione100% risoluzione100% risoluzione83% risoluzione

Bouchard (1999)

48 bambini con MRGE e tosse;16 con MRGE e wheezing

pH-m pat biopsie

Lansoprazolo (15-30 mg/die 30-60 mg/die) per 8-12 settimane

79% risoluzione o miglioramento di tosse (P≤0.01); 63% riduzione di wheezing

Tolia (2002)

81 lattanti con pianto + altri sintomi da RGE vs 81 controlli

questionarioLansoprazolo (0.2-1.5 mg/kg/die) per 4 settimane

Non significativo miglioramento dei sintomi respiratori (tosse, wheezing, raucedine)

Orenstein (2009)

Papillomi respiratori

24 bambini ad alto rischio: 10 con MRGE pos 14 con RGE neg

pH-m pat o 1 reflusso acido faringeo

PPI o H2RA o Nissen e/o procinetici

Riduzione sviluppo di membrane (webs) nei trattati (20% vs 79%, P= 0.01)

Holland (2002)

Sinusite cronica

19 bambini con MRGE

pH-mTerapia con inibitori dell’acidità gastrica

79% miglioramento della sinusite Phipps (2000)

Wheezing 54 lattanti MRGE vs 30 RGE neg

pH-mRanitidina + procinetico per 3-6 mesi

In pazienti trattati: maggior riduzione flunisolide (24%vs 73%, P<0.0005) e sospensione terapia per asma (65% vs 0%, P<0.0005)

Sheikh (1999)

nelle manifestazioni extraesofagee sono ancora pochi e non tutti concor-di sull’efficacia (tabella 2). Attualmen-te non esiste sull’argomento alcuna metanalisi pediatrica. Nessun trial pe-diatrico è stato ritenuto idoneo nelle revisioni della Cochrane Library le cui conclusioni sono pertanto relative so-lo ai pazienti adulti.

Una recente revisione sistematica sull’efficacia degli inibitori di pompa protonica (IPP) nei bambini con asma e MRGE ha identificato solo 4 studi pediatrici. Tre lavori non randomizzati hanno mostrato un effetto significa-tivo degli IPP sull’asma non atopica (notevole riduzione dell’uso dei bron-codilatatori, degli steroidi e degli anti-

leucotrienici; minor riesacerbazione e minor ospedalizzazione nei confronti della ranitidina; minor score sintoma-tico). L’unico studio in doppio cieco randomizzato e con gruppo placebo non ha mostrato invece un migliora-mento dell’asma (score, funzionalità respiratoria, uso dei broncodilatatori) ma solo un lieve aumento della qua-

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Revisione sistematica e metanalisi della letteratura

8 SIGENP NEWS volume I - n. 3

1. Bouchard S, Lallier M, Yazbeck S et al. The otolaryngologic manifestations of gastroesophageal reflux: when is a pH study indicated? Journal of Pediatric Surgery 1999;34:1053-6.

2. Chang AB, Lasserson TJ, Gaffney J, Connor FL, Garske LA. Gastro-esophageal reflux treatment for prolonged non-specific cough in children and adults. Cochrane Database Syst Rev 2006;(4):CD004823.

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lità di vita nel gruppo con indice di reflusso maggiore del 10% (alla pH-metria) e con asma più severa. Tutta-via, in un altro lavoro che ha valutato adolescenti con asma moderata per-sistente e MRGE, la terapia con ome-prazolo per 6 settimane ha determi-nato un significativo miglioramento dei test di funzionalità polmonare ri-spetto ai pazienti trattati con placebo. In un altro studio di valutazione delle manifestazioni otorinolaringoiatriche (ENT), il trattamento del RGE pato-logico ha risolto fino all’80-86% dei casi pediatrici di stridore, laringite e laringomalacia.

dISCuSSIoNEIl reflusso gastroesofageo può pre-sentarsi spesso in modo non classico (cioè senza chiari rigurgiti, vomiti o pi-rosi) e con sola sintomatologia extrae-sofagea. Pressoché tutte le patologie respiratorie e ENT sono state correlate al RGE patologico, ma l’associazione causale e un significativo beneficio della terapia anti-reflusso sono dimo-strate solo in una percentuale varia-bile di pazienti. La MRGE è riportata nel 40-70% di bambini con sintomi respiratori cronici resistenti. Viceversa, la presenza di MRGE è stata associata a un incremento significativo di rischio di patologie respiratorie, non dimo-strato per l’ALTE e per l’otite.

Attualmente non vi sono evidenze che supportino la terapia empirica in assenza di una diagnosi oggettiva di MRGE o di significativa correlazione temporale tra il reflusso e le manife-stazioni extraesofagee. In presenza di RGE patologico (acido) i dati attualmente a disposizione (con dimostrazione mediata più dagli studi sull’adulto) suggeriscono la necessità di IPP con un dosaggio e una durata di trattamento maggiore rispetto ai pazienti con sintomi classici.

CoNCLuSIoNEPer una miglior definizione del rap-porto causale con il RGE patologico, determinante è la risposta alla tera-pia anti-reflusso. Tuttavia sono an-cora limitati gli studi randomizzati e controllati verso placebo e differisco-no tra loro sia per l’arruolamento dei pazienti, sia per il trattamento sia per la valutazione del risultato. Dalla revisione della letteratura emerge la necessità di ulteriori dati (di studi di buona qualità, prospetti-ci, randomizzati, casi-controllo, con indagini diagnostiche, definizione di MRGE e di quadri clinici extrae-sofagei standardizzati) per chiarire il ruolo del RGE patologico e l’utilità della terapia anti-RGE nei pazienti pediatrici con manifestazioni extra-esofagee.

Alla luce dei dati a disposizione in-fatti, l’eterogeneità dei sintomi, dei criteri di selezione dei pazienti e di diagnosi (sia della MRGE sia della manifestazione extraesofagea), del-la definizione di ciò che può essere considerato patologico, della terapia e della valutazione del risultato, non consente di riassumere i diversi studi pediatrici in maniera corretta e limita fortemente la formulazione di racco-mandazioni.

Key Points¬¦ I bambini con mrGE sembrano

presentare una prevalenza di manifestazioni extraesofagee respiratorie (non dimostrato per l’AlTE e per l’otite)

¬¦ In presenza di mrGE la terapia con inibitori di pompa protonica è superiore per efficacia alla terapia con ranitidina

¬¦ la terapia empirica con inibitori dell’acidità gastrica non è raccomandabile in lattanti senza diagnosi oggettiva di mrGE o di correlazione sintomatologica o in bambini più grandi con manifestazioni extraesofagee senza pirosi

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novembre 2009 11

Percorso formativo (Pre e Post-test)

(MRGE) e dei disordini acido-correla-ti. L’utilizzo degli IPP è legato inoltre all’agevole disponibilità del farmaco: non ha necessità di prescrizione, è di facile modalità di somministrazione, sono presenti in commercio formu-lazioni appropriate per l’età pediatrica (orodispersibili e sachet) e ha, infine, un relativo profilo di sicurezza (2).

uSoLe indicazioni cliniche più frequenti sono relative alla Malattia da Reflusso Gastroesofageo e alla malattia peptica gastrica e duodenale e alle complican-ze correlate (sanguinamento gastroin-testinale, malattia da Helicobacter pylori) (3). L’indicazione principale è costituita dal trattamento dell’esofagi-te erosiva (EE) o, secondo la nuova classificazione di Sherman et al (4), della “sindrome esofagea” sintoma-tica (Sindrome Tipica da Reflusso) e con danno peptico. Queste condizioni sono rilevabili nella gran parte dei casi e, in assenza di comorbilità, prevalen-temente nel bambino >8 anni di età. Al di sotto di questa fascia di età, la malattia peptica o il disordine acido-correlato (DAC) sono condizioni rare e spesso i sintomi riferibili al dolore retrosternale (pirosi) o al dolore a lo-calizzazione epigastrica (epigastralgia) sono riconducibili a un’origine funzio-nale (dispepsia funzionale, esofago irritabile, ecc). Hassal et al (5) hanno dimostrato in pazienti con esofagite erosiva (EE) che il 40% delle diagnosi riguardava una fascia di età compre-sa tra 12-17 anni. In Europa, rispetto alle 5 molecole (omeprazolo, esome-prazolo, lansoprazolo, rabeprazolo e pantoprazolo) di IPP in commercio, l’omeprazolo e l’esomeprazolo han-no indicazione pediatrica (bambini >1 anno). L’esomeprazolo (S-isome-

ro dell’omeprazolo) offre anche una formulazione specifica in bustine. Nella scheda tecnica del pantoprazo-lo sono state recentemente aggiun-te informazioni sulla posologia negli adolescenti. In USA invece, l’omepra-zolo, il lansoprazolo e l’esomeprazo-lo sono stati autorizzati dalla FDA in età pediatrica, a esclusione tuttavia di lattanti e neonati. In generale, gli IPP sono metabolizza-ti dal sistema enzimatico citocromo P450 (CYP) epatico, in particolare dalle isoforme CYP2C19 e CYP3A4, primariamente responsabili della bio-trasformazione. Il CYP2C19 è l’enzima maggiormente coinvolto, avendo gli IPP una maggiore affinità per questa isoforma rispetto al CYP3A4. Per tale motivo la farmacocinetica e la farma-codinamica di queste molecole sono associate all’attività del CYP2C19. Recentemente è stato dimostrato da Kearns et al (1) che il CYP2C19 è espresso nell’uomo con vari polimor-fismi. Il polimorfismo genetico può determinare enormi differenze nella farmacocinetica degli IPP. I genotipi di CYP2C19 sono classificati in 3 grup-pi: Rapid extensive Metabolizer (RM), Intermediate Metabolizer (IM) e Poor Metabolizer (PM). La farmacocinetica e la farmacodinamica degli IPP dipen-dono dal genotipo di CYP2C19. I livel-li plasmatici degli IPP e il pH gastrico durante il trattamento nel gruppo RM sono i più bassi, e quelli del gruppo PM sono i più alti. Queste differen-ze genotipo-dipendenti influenzano la gestione della terapia in termini di definizione del dosaggio adeguato, correlazione tra risposta clinica e livelli di soppressione dell’acidità gastrica e inquadramento dei non responder (6). Il fenotipo Poor Metabolizer (PM) per CYP2C19 è presente approssima-

Uso ed abuso degli Inibitori di pompa protonica in età pediatricaNel corso degli ultimi anni le prescrizioni di farmaci antisecretori sono notevolmente aumentate nel bambino anche al di sotto del 1° anno di vita. Le uniche molecole che hanno un’indicazione pediatrica sono omeprazolo ed esomeprazoloClaudio romano e Italia LoddoDipartimento di Scienze Pediatriche Mediche e Chirurgiche, Università di Messina

a cura diSalvatore Accomando

Risposte corrette: 1a.c.- 2c.

1 Quali IPP possono essere considerati off-label in età pediatrica?

a. lansoprazolo b. esomeprazolo c. rabeprazolo d. omeprazolo

2 Quale modalità di somministrazione degli IPP è più corretta al fine di ottenere il massimo effetto antisecretivo?

a. dopo i pasti b. serale c. al mattino, prima

della colazione d. in qualunque ora

della giornata

Pr

eTes

T

INtroduzIoNEL’utilizzo e le prescrizioni degli inibitori di pompa protonica (IPP) hanno pre-sentato un significativo incremento nel corso degli ultimi anni. Il pediatra utilizza gli IPP spesso empiricamente, come farmaco di prima scelta, senza una definizione diagnostica di tipo strumentale di malattia peptica e sen-za un approccio step-up (la prescri-zione di anti-H2 raramente precede quella degli IPP). Gli IPP esercitano un effetto anti-acido potente, bloccan-do i canali dell’ATPasi ione idrogeno-potassio della via finale comune nella secrezione cloridro-peptica. Si tratta di pro-farmaci che si accumulano nel lume delle cellule parietali, si attivano nell’ambiente acido dei canalicoli e inibiscono la pompa protonica, for-mando legami disolfuro stabili con il residuo di cisteina sulla superficie lu-minale della pompa (1). Il potere de-gli IPP nel sopprimere la secrezione acida ha contribuito alla loro diffusa utilizzazione per il trattamento della Malattia da reflusso gastroesofageo

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12 SIGENP NEWS volume I - n. 3

Percorso formativo (Pre e Post-test)

mg/kg/die. La somministrazione orale di lansoprazolo in lattanti dai 13 ai 24 mesi di età mostra parametri farma-cocinetici e farmacodinamici simili a quelli osservati nei bambini più grandi così come negli adulti, ma sembra es-serci un aumento della capacità meta-bolica simile a quella dimostrata al di sotto dei 10 anni (10). Il metabolismo prevalentemente epatico degli IPP at-traverso la via del citocromo P450, in particolare dagli enzimi CYP3A4 e dal CYP2C19, induce a ipotizzare che la maturazione di questi enzimi inizi immediatamente prima della nascita, ma si completi più tardi nel corso della vita. Pertanto, differenti stati di matu-razione possono essere responsabili di un’ampia variabilità farmacocine-tica nel lattante rispetto agli adulti e potrebbero anche spiegare la più alta esposizione sistemica (bassa safety) osservata in un’età inferiore ai 12 me-si (11). In conclusione, dosi più alte pro/kg sono necessarie nei lattanti e nei bambini più piccoli per ottenere una soppressione acida terapeutica. Pochi dati sono disponibili riguardo la safety relativa all’utilizzo degli IPP. Tolia et al (12), in uno studio retrospettivo su 113 bambini in terapia con IPP per 1 anno, hanno segnalato nel 5% dei casi presenza di stipsi e/o diarrea e - nel 72% dei casi - evidenziano elevati livelli di gastrina. È stato descritto nella popolazione adulta che l’uso prolun-gato di IPP possa determinare iper-plasia delle cellule enterocromaffini, malassorbimento della Vitamina B12 e ipersecrezione cloridro-peptica alla sospensione come effetto rebound con rischio di gastrite atrofica.

AbuSoOrenstein et al (13) hanno dimostra-to in un trial condotto su 161 bambini di età inferiore a 12 mesi con sospetta MRGE (pianto inconsolabile e irritabili-tà) che la risposta clinica dopo un ciclo con IPP era sovrapponibile tra gruppo trattato (4 settimane con lansoprazo-lo) e placebo (54%). Altri trial condot-ti da Omari et al (14-15) e da Moo-re et al (16) avevano in precedenza evidenziato che la terapia “empirica” con IPP non era significativamente superiore al placebo in pazienti in età pediatrica e con sintomatologia inter-pretata come suggestiva per MRGE (rigurgiti, pianto e rifiuto del biberon,

tosse cronica, scarsa crescita). Le ri-sposte cliniche ottenute con il pla-cebo dovrebbero fare riflettere sulla reale incidenza dei DAC, dell’EE e del-la malattia peptica e sulle indicazioni “limitate” e “mirate” nell’uso degli IPP. Devono essere esclusi soggetti affetti da GERD-promoting disorders, come l’atresia esofagea operata, le malattie neuromuscolari croniche, l’ernia ia-tale complessa (>3 cm) e l’obesità, che rappresentano invece importanti fattori di rischio per MRGE. Malgrado tali evidenze, già nel 2002 Orenstein et al (17) registravano che nella po-polazione pediatrica nord-americana, e americana in generale, dal 1999 si era verificato un incremento di oltre 7.5 volte di prescrizioni di IPP al dì sotto del 1° anno di vita, con indica-zioni che riguardavano, nel 59% dei casi, sintomi da RGE, nel 23% disturbi dell’alimentazione, nel 23% sintomi respiratori “alti” e nel 20% dolori ad-dominali ricorrenti. Solo nel 59% dei casi un ciclo con anti-H2 aveva prece-duto l’avvio degli IPP, la durata della terapia non era inferiore a 3 mesi e nel 16% dei casi la terapia con IPP veniva proseguita oltre il 1° anno di vita. In meno del 10% dei pazienti erano stati eseguiti tests diagnostici di tipo strumentale (EGDS e/o pH-impedenziometria) con diagnosi di esofagite nel 10% dei pazienti e oltre il 50% delle prescrizioni era stata fatta dal pediatra di famiglia. Barron et al (18) confermavano che le principali indicazioni cliniche all’uti-lizzo degli IPP erano costituite da pian-to protratto e inconsolabile, coliche gassose e disturbi dell’alimentazione (59%). Solo nel 23% dei casi era dimostrabile una EE. Tolia et al (19) evidenziavano, in uno studio rando-mizzato in doppio cieco nel lattante “irritabile”, come l’avvio di un ciclo con IPP per 2 settimane si accompagnas-se a un aumento del pH-gastrico, ma non si correlasse a un migliore con-trollo della sintomatologia clinica.Nella popolazione adulta Frank et al (20) hanno coniato il termine GER-plus, allo scopo di identificare il corteo dei sintomi (ripienezza gastrica post-prandiale, senso di sazietà precoce, nausea, vomito, distensione addomi-nale) che talvolta si accompagnano al rigurgito e alla pirosi, ma che non so-no riconducibili al sospetto di MRGE.

tivamente nel 3-5% dei Caucasici e degli Afro-Americani e, sempre ap-prossimativamente, nel 15-20% della popolazione asiatica. Rispetto agli in-dividui che posseggono il fenotipo Ra-pid extensive Metabolizer (RM), i PM hanno un’esposizione sostanzialmen-te maggiore ad una dose terapeutica di IPP. L’attività del CYP2C19 si correla con i livelli di esposizione del farmaco (AUC), la risposta farmacodinamica (incremento del pH gastrico e dei li-velli sierici di gastrina) e l’outcome cli-nico (tasso di guarigione della MRGE). L’adeguamento della posologia corre-lata al genotipo potrebbe migliorare l’efficacia terapeutica (7). La farmaco-dinamica è correlata anche a caratteri intrinseci delle molecole. Attraverso studi di cromatografia a reverse-pha-se high perfomance è stato possibile definire la concentrazione plasmatica con evidenza che ogni molecola è rapidamente assorbita dopo sommi-nistrazione orale con un picco di con-centrazione plasmatica (PPK) che si manifesta dopo 2-4 ore. Il lansopra-zolo (LANS) comunque sembra pos-sedere un migliore PPK in relazione a un’immediata biodisponibilità (80-91%) dopo la prima somministra-zione rispetto all’omeprazolo (OME) (30-65%) che invece raggiunge un’efficacia terapeutica attraverso un effetto antisecretivo dose-cumulativo. L’AUC misura l’area di concentrazio-ne plasmatica raggiunta dal farma-co e si correla con il grado di acido-soppressione: è sovrapponibile dopo l’assunzione di 20 o 40 mg di OME e rabeprazolo (RABE) (8). Un rapporto lineare tra AUC e dose somministrata è intrinseco per RABE, LANS e pan-toprazolo, mentre non è dimostrabile per l’OME. La durata dell’acido-sop-pressione è relativamente lunga per ogni molecola (48±72 h) in relazione al legame irreversibile della sulfanimi-de con la pompa H+K+-ATPase. In età pediatrica gli IPP sono rapida-mente assorbiti subito dopo la som-ministrazione orale e anche rapida-mente metabolizzati similarmente a quanto riportato per gli adulti. La clea-rance invece risulta apparentemente più veloce rispetto agli adulti a causa della maggiore capacità metabolica e delle differenze nella biodisponibilità (9). La posologia per l’età pediatrica è identificata in un range tra 0,7-3,3

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Risposte corrette: 1a.- 2b

1 Il fenotipo Poor metabolizer per CYP2C19 è più diffuso in:

a. popolazione asiatica b. popolazione europea c. popolazione caucasica d. popolazione

afroamericana

2 Quale IPP presenta un PPK più elevato dopo la prima somministrazione?

a. omeprazolo b. lansoprazolo c. rabeprazolo d. esomeprazolo

Po

stTe

sT

utILIzzo off-LAbELNell’UE è stato segnalato che oltre il 50% dei farmaci utilizzati in età pe-diatrica sono off-label con trial clinici sperimentali effettuati solo nella po-polazione adulta e con indicazioni non sempre sovrapponibili (21). Ri-guardo agli IPP, attraverso uno studio condotto da Tafuri et al (22), dopo rivalutazione dei database di EUDRA-NET e FDA web-site, sono stati sele-zionati 19 studi pediatrici che riguar-dano l’utilizzo degli IPP nella MRGE. Sono stati analizzati i dati disponibili sulla farmacocinetica, sull’efficacia e sul profilo di sicurezza. I dati riguar-danti l’OME sono ricavabili da 6 trial di cui 3 RCT su un totale di 282 bam-bini trattati. Per quanto concerne il LANSO, da 6 studi, di cui solo 1 RCT, per un totale di 257 bambini. Per il PANTO, da soli 2 trial, di cui 1 RCT, per un totale di 68 bambini. Solo 1 trial, infine, per il RABE, per un tota-le di 24 bambini. Malgrado l’utilizzo pediatrico off-label di OME, LANSO

ed ESO sia stato valutato come al-tamente appropriato sulla base di consistenti evidenze disponibili sulla farmacocinetica, sull’efficacia e sulla sicurezza, bisogna tenere presente che solo OME ed ESO hanno ottenu-to in atto una indicazione pediatrica e che l’utilizzo di altre molecole è da considerarsi off-label.

CoNCLuSIoNIGli IPP possono essere considerate molecole ad attività antisecretoria ef-ficace in età pediatrica e con indica-zioni cliniche dimostrate solo nel trat-tamento dell’EE e delle broncopatie croniche in pazienti con importante comorbilità (alterazioni anatomiche, discatoposia). I vantaggi relativi per ciascuna mole-cola possono essere riassunti nella lunga esperienza clinica dell’OME, nella maggiore rapidità nel controllo della sintomatologia del LANSO, nel migliore controllo della secrezione acida dell’ESO, nelle minori interazio-

ni farmacologiche del pantoprazolo e nella maggiore rapidità d’azione del RABE. L’utilizzo del trattamento an-tiacido empirico in situazioni cliniche aspecifiche (pianto protratto e incon-solabile, rifiuto del biberon, disturbi dell’alimentazione, tosse cronica), specialmente al di sotto del 1° anno di vita, può essere considerato spe-rimentale e inappropriato. In conclu-sione, il messaggio di Philip Putnam (2) può essere indirizzato anche ai pediatri italiani: “Stop the PPI express: they don’t keep babies quiet!”.

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novembre 2009 13

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Training and Educational Corner

A partire dal 1883, anno in cui Paul Ehrlich ha eseguito la prima biopsia epatica percutanea, la comunità scien-tifica dedita alle malattie del fegato ha iniziato a giudicarne i rischi e i benefici e a migliorarne l’impatto sulla pratica clinica. Un passo fondamentale è stato fatto nel 1958, quando Menghini ha proposto una semplice tecnica, peral-tro tuttora utilizzata, per l’esecuzione dell’agobiopsia percutanea (1). L’uti-lizzo della biopsia epatica in ambito pediatrico si è sviluppata, congiunta-mente alle conoscenze di epatologia pediatrica, nei decenni successivi e ha dimostrato che l’istopatologia del fega-to del bambino possiede delle caratte-ristiche peculiari rispetto all’adulto (2).Molti autori si sono posti delle doman-de sull’utilità, l’indicazione e la corret-ta tempistica della biopsia epatica in ambito pediatrico (3). Attualmente, sia nel bambino sia nell’adulto, vi è il tentativo di soppiantare almeno in parte tale procedura con metodiche meno invasive che possono fornire delle informazioni sulla presenza e la progressione della fibrosi, come il fibrotest e l’elastometria (FibroScan)(4). L’istologia epatica in realtà, nelle mani di un team esperto, va ben oltre tale utilizzo, e l’avversione alla biopsia epatica deriva in genere dalla poca esperienza nell’esecuzione e nell’in-terpretazione che ne incrementano il rapporto rischio/beneficio. Nonostan-te non sia possibile essere categorici riguardo l’indicazione e il timing della biopsia epatica nel bambino, vi sono degli aspetti salienti sui quali possiamo focalizzare la nostra attenzione.

QuANdo è INdICAtAÈ ragionevole proporre la biopsia epati-ca ai pazienti che hanno una patologia cronica e evitarla nelle ipertransami-

nasemie acute che hanno un’elevata probabilità di recedere spontanea-mente. Pertanto, in generale, non vi è indicazione alla biopsia epatica in caso di semplice rialzo dei test di funzione epatica, che peraltro è frequente nella popolazione pediatrica e accompagna spesso condizioni benigne come infe-zioni virali o patologie extraepatiche minori. Se il rialzo delle transaminasi tuttavia è associato a positività degli autoanticorpi, elevate immunoglobu-line G e/o segni clinici di epatopatia cronica (amenorrea, spossatezza, de-cadimento del profitto scolastico, spi-der naevi, eritema palmare, ecchimo-si, epatosplenomegalia, ascite, etc) la biopsia va fatta il prima possibile per escludere patologie autoimmuni o

Malattia di Wilson, che vanno trattate al più presto per evitare progressione a cirrosi. In assenza di sintomi, e do-po avere escluso le condizioni di cui sopra, è possibile aspettare sei mesi prima di considerare una biopsia epa-tica, che comunque è indicata se le alterazioni della funzionalità epatica persistono (tabella 1). La biopsia epa-tica gioca un ruolo essenziale nella colestasi neonatale che necessita di un inquadramento molto rapido per poter offrire una terapia mirata.

QuANdo NoN è INdICAtAVi sono delle condizioni cliniche che classicamente controindicano l’esecuzione della biopsia epatica (tabella 2). Se in questi casi, che do-

La biopsia epatica nella pratica clinicaÈ il tassello fondamentale di un mosaico che deve sempre comprendere altri dati provenienti dalle indagini cliniche e radiologiche. Consente la diagnosi eziologica delle epatopatie del bambino e ne definisce il decorso clinico

Lorenzo d’Antiga1 e Giorgina Mieli-Vergani2 1 Unità di Epatologia, Gastroenterologia e Trapianti Pediatrici, Ospedali Riuniti di Bergamo2 Paediatric Liver Centre, King’s College Hospital di Londra

a cura diSilvia Salvatore

Tab.1 Indicazioni alla biopsia epatica nel bambino

Ittero colestatico del neonato/lattante

Ipertransaminasemia cronica persistente di origine epatica

Sospetto difetto congenito del metabolismo ad interessamento epatico

Necessità di tessuto epatico per approfondimento (M. di Wilson, malattie metaboliche)

Definizione istologica di un nodulo/massa epatica

Sospetta epatopatia autoimmune

Valutazione della progressione della malattia epatica

Valutazione della risposta alla terapia specifica

Valutazione delle complicanze del trapianto

Tab. 2 Controindicazioni alla biopsia epatica percutanea nel bambino

assolute

Coagulopatia: INR>1,5*

Piastrinopenia: conta piastrinica <50.000/mm3*

Utilizzo di FANS nell’ultima settimana

Impossibilità di eseguire una trasfusione di sangue, se necessaria

Sospetto emangioma o lesione vascolarizzata

Impossibilità di reperire l’area dove effettuare la biopsia (fegato piccolo)

relative

Ascite

Obesità grave

Emofilia*

*Entro certi limiti si può talora ovviare con l’infusione di emoderivati14 SIGENP NEWS

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vrebbero sempre essere inviati a un centro di riferimento per epatologia pediatrica, la biopsia è di particolare importanza diagnostica, è possibile usare tecniche alternative, come la biopsia transgiugulare. Il pro e il con-tro di una valutazione istologica per l’impostazione diagnostica di questi casi, tuttavia, vanno valutati attenta-mente.

rIdurrE I rISChILa tecnica utilizzata deve minimizza-re i pericoli (tabella 3), evitare il dolo-re e il ricordo al piccolo paziente e assicurare un’adeguata quantità di tessuto. È consigliabile eseguire la biopsia con approccio transcostale (a parte i trapianti di fegato), meglio se sotto guida ecografica, e avvalersi dell’anestesia locale in associazione a sedazione profonda. Per quanto riguarda l’ago, vi sono fondamental-mente due scelte: un ago con mec-canismo a taglio e uno con meccani-smo a suzione. Il preferito è l’ago di tipo Menghini modificato che utilizza un meccanismo a suzione e assicu-ra un’adeguata quantità di tessuto. Mentre non è possibile ovviare ai ri-schi di un campionamento non signi-ficativo del parenchima epatico do-vuto alla distribuzione disomogenea della malattia, è possibile eseguire la procedura in modo da assicurare che il campione contenga almeno sei spazi portali e sia sufficientemente profondo da evitare le caratteristiche non rappresentative della regione sottocapsulare. Mentre nell’epati-te virale un numero ridotto di spazi portali può consentire la definizione diagnostica, ciò non è possibile in ca-so di patologie dei dotti biliari e delle epatopatie con importanti alterazioni strutturali visibili solo su campioni di grandi dimensioni (5).

MoLtEpLICI INdAGININella maggior parte dei casi la biopsia epatica rappresenta il tassello fonda-mentale di un mosaico che necessa-riamente deve comprendere altri dati provenienti dalle indagini cliniche e ra-diologiche. Un errore comune è quel-lo di pensare che la biopsia epatica sia in grado di formulare una diagnosi eziologica diretta, come accade - ad esempio - nell’istologia di lesioni neo-plastiche. In realtà i quadri istopatolo-gici dell’epatopatia del bambino sono spesso aspecifici e cionondimeno molto utili a escludere alcuni gruppi di malattie e restringere notevolmen-te il campo di ricerca dell’eziologia. L’esempio più semplice è quello della colestasi severa del neonato/lattante in cui la presenza di fibrosi, trombi bi-liari e proliferazione duttulare suggeri-scono una patologia ostruttiva biliare da aggredire chirurgicamente mentre il pattern di trasformazione giganto-cellulare indica un’epatite neonatale, spesso benigna, ma a volte causata da un difetto metabolico, la cui eziolo-gia può spesso essere chiarita usando colorazioni istologiche mirate.

dIAGNoSI pIù CorrEttALa biopsia epatica è indicata non solo per fare la diagnosi, ma anche per valutare la risposta alla terapia o la progressione della malattia. Questo è il caso, ad esempio, di epa-topatie autoimmuni (figura 1) nelle quali si voglia considerare la riduzio-ne o la sospensione della terapia, o nelle epatopatie croniche in cui si voglia valutare la progressione della fibrosi o la comparsa di lesioni che consentano di chiarire l’eziologia di una forma fino ad allora ritenuta crip-togenetica. Fondamentale è il ruolo della biopsia nella diagnosi del riget-to di trapianto (figura 2).

CoMuNICAzIoNE IN CorSIAAffinché la lettura della biopsia epatica sia utile sono necessari un anatomo-patologo esperto, un epatologo pe-diatra esperto e un’ottima comuni-cazione tra i due. Questo ripropone il concetto che l’istologia da sola, nella maggior parte dei casi, non è in grado di fare diagnosi senza avere un pre-ciso orientamento clinico. Idealmente il clinico e il patologo devono sedere insieme di fronte al microscopio e ai risultati delle indagini cliniche e, come in un gioco di Shangai, devono tenta-re di districare l’intreccio della diagnosi differenziale, eliminare una a una le condizioni improbabili, fino a rima-nere con un unico elemento sotto gli occhi. Se eseguita con tale approccio multidisciplinare, la biopsia epatica rimane un tassello fondamentale nel mosaico della diagnosi e della cura delle epatopatie del bambino.

<<<<Bibliografia >>>>

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5. MacSween. Pathology of the liver, Fifth Edition 2007, Churchill Livingstone Elsevier.

Tab. 3 Potenziali complicanze e loro frequenza a seguito di biopsia epatica

Complicanza frequenza riportata (%)

Dolore in sede di biopsia 0.056–22

Emorragia intraperitoneale 0.03–0.7

Emorragia intraepatica o sottocapsulare 0.059–23

Emobilia 0.059–0.2

Coleperitoneo 0.03–0.22

Pneumotorace e/o versamento pleurico 0.08–0.28

Fistula arterovenosa 5.4

Reazione agli anestetici 0.029

Biopsia degli organi adiacenti 0.001–0.044

Morte 0.0083–0.03

Fig. 1 Infiltrato infiammatorio di mononucleati nell’epatite autoimmune

Fig. 2 Infiltrato infiammatorio (1), lesioni del dotto biliare (2) ed endotelite (3) nel rigetto cellulare di trapianto

Infiltrato infiammatorio

1

2

3

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16 SIGENP NEWS volume I - n. 3

Asking Questions in Immunologia, Microbiologia e Genetica

INtroduzIoNE Il 1TDM si sviluppa per una carenza as-soluta nella secrezione insulinica, con conseguente tendenza a sviluppare una chetoacidosi. La malattia colpisce circa lo 0.4% degli europei e, nella maggior parte dei casi, viene diagno-sticata prima dei 15 anni, con un’età media all’esordio tra i 7 e gli 8 anni. La causa più comune di questa patologia è la distruzione immuno-mediata delle b-cellule pancreatiche secernenti insu-lina. I marcatori sierologici del processo autoimmune includono gli autoanti-corpi rivolti contro: isole pancreatiche (ICA), acido glutammico decarbossilasi (GAD), antigene insulare (IA-2), insuli-na (IAA). È stato recentemente scoper-to un quinto anticorpo implicato nella patogenesi del 1TDM, rivolto verso il trasportatore dello zinco (ZnT8) coin-volto nella secrezione insulinica (1). La MC è un’enteropatia immuno-me-diata scatenata e mantenuta dall’in-gestione di glutine, che si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti. Fattore fondamentale per la diagnosi è il riscontro istologico di alterazioni strutturali della mucosa digiuno-duo-denale, associate al tipico infiltrato lin-focitario intraepiteliale, ben studiati e definiti da Marsh e Oberhuber (2). Il marker biochimico distintivo della ma-lattia glutine-dipendente è l’anticorpo anti transglutaminasi, enzima calcio-dipendente, ubiquitario e in grado di deamidare la glutamina, determinan-do la formazione di un frammento do-tato di elevato potere immunogenico. L’incidenza del 1TDM in età pediatrica è in costante incremento, soprattutto nei paesi Occidentali. Meno chiaro è il reale incremento di incidenza della MC, in quanto il maggior numero di casi accertati sembra attribuirsi a un

miglior screening diagnostico. È rite-nuta verosimile una prevalenza della MC di circa 1:100-200 su scala mon-diale. Diversi studi hanno dimostrato che i pazienti affetti da 1TDM sono una classe a rischio per lo sviluppo di MC, con una prevalenza del 4-7% (3) ma con una positività degli anti-corpi anti-transglutaminasi prossima al 10% dei casi in età pediatrica. La stretta correlazione esistente tra queste due patologie è stata per lungo tempo interpretata unicamente sulla base della medesima predisposizione genetica conferita dagli antigeni HLA, ma nuovi studi hanno consentito una maggior comprensione dei molteplici fattori genetici e ambientali coinvolti nella patogenesi di MC e del 1TDM.

fAttorI GENEtICILa suscettibilità per lo sviluppo di au-toimmunità è determinato dall’intera-zione di più geni. Il complesso mag-giore di suscettibilità, HLA-DQB1 e HLA-DRB1 sul cromosoma 6p21, agi-sce in combinazione con molti altri loci non-HLA, fattori ambientali e infettivi.La MC è associata all’espressione di specifici aplotipi HLA di classe II (HLA-DRB1) DQ2 e/o DQ8 sierologico, localizzati anch’essi sul cromosoma 6p21; circa il 90% dei pazienti celiaci presenta l’eterodimero DQ2, mentre la restante parte presenta l’eterodimero DQ8. Questi stessi eterodimeri, tutta-via, sono estremamente comuni nella popolazione generale: ciò implica che la loro presenza non è sufficiente a far sì che si sviluppi la malattia.Anche per quanto riguarda il 1TDM, dati epidemiologici indicano l’impor-tanza di una predisposizione genetica nella sua patogenesi: sono stati infatti identificati più di 20 loci di suscettibilità

di cui la regione HLA (DRB1, DQB1 e DQA1) costituisce la maggior parte, con un contributo del 40-50% al ri-schio genetico. La possibilità di svilup-pare la MC nei pazienti affetti da 1TDM sembra essere strettamente correlata alla presenza di HLA-DQ2: circa un ter-zo dei pazienti diabetici omozigoti per HLA-DQ2 possiede infatti una positivi-tà degli anticorpi anti-transglutaminasi rispetto a meno del 2% dei soggetti DQ2 o DQ8 negativi. In termini di ete-rodimeri HLA predisponenti, la mag-giore suscettibilità genetica è associata con HLA-DQα1*0501 e b1*0201: assetto genetico che risulta capace di presentare peptidi di gliadina glutine-derivati nella loro forma più immuno-genica. È stato inoltre dimostrato che esistono altri loci non HLA associati alla MC e predisponenti anche per il 1TDM (RGS1 sul cr. 1q31, IL18RAP sul cr. 2q12, TAGAP sul cr. 6q25) e, viceversa, due loci 1TDM-correlati pre-senti anche in soggetti affetti da MC (CCR5, PTPN2 sul cr. 18p11) (4). Un ruolo eziopatogenetico comune è stato ipotizzato per la regione CTLA4 situata sul cr. 2q33 dove sono loca-lizzati geni coinvolti nella regolazione delle risposte immunitarie linfocita T-mediate. Infine è stato dimostrato che non tutti gli alleli identificati possiedono lo stesso effetto finale: ad esempio, gli alleli IL18RAP e TAGAP conferiscono una suscettibilità genetica per la MC, ma risultano protettivi per il 1TDM.

ruoLo dELL’INtEStINo Ed ESpoSIzIoNE AL GLutINE In una nuova ipotesi eziopatogenetica unificata (5) l’intestino acquisterebbe un ruolo chiave non solo nella MC, ma anche nella patogenesi del 1TDM. Studi condotti in modelli animali han-

Malattia celiaca e diabete tipo 1: interazioni patogenetiche Il diabete mellito di tipo 1 (1TDM) e la malattia celiaca (MC) rappresentano due patologie autoimmuni, distinte, ma spesso co-presenti, che condividono substrati patogenetici. Nuovi studi ne consentono una maggiore comprensione

Giulia Maria tronconi, barbara parma e Graziano bareraU.O. Pediatria e Neonatologia Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano

a cura diGraziano Barera

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novembre 2009 17

no ipotizzato l’esistenza di una flora batterica intestinale diabetogena attivamente coinvolta nella modula-zione immunologica locale. È stato dimostrato che i soggetti a rischio di sviluppare 1TDM possiedono alte-razioni a livello della barriera mucosa intestinale (leaky gut) in termini di aumentata permeabili-tà, da possibile up-regulation della principale proteina modulatrice della tight junction: la zonulina. L’abnorme permeabilità della barriera intestinale nei pazienti con 1TDM favorirebbe un’alterata e aspecifica risposta immunitaria alle diverse proteine (latte, glutine) con compromissione dei principali processi di tolleranza verso antigeni self. Alla luce di ciò è stato ipotizzato che un’esposizione prolungata al glutine, associata a una sua precoce introdu-zione nell’infanzia in soggetti predi-sposti (6) sia in grado di aumentare il rischio di insorgenza di processi autoimmuni in genere e, in partico-lare, diretti contro le cellule beta del pancreas. È stato infatti dimostrato che linfociti T reattivi verso i normali costituenti pancreatici, tra cui l’enzima GAD, abbiano nei pazienti affetti da 1TDM un’origine intestinale (figura 1). Nonostante sia stato provato che la DPG abbia nei pazienti celiaci un effet-to protettivo nello sviluppo di altre pa-tologie autoimmuni, trial clinici hanno dimostrato che 6-12 mesi di DPG non siano in grado di influenzare il titolo degli autoanticorpi 1TDM-associati nei parenti di primo grado di pazienti affetti (7). Non esistono quindi attualmente i criteri sufficienti per indicare l’esclusio-ne del glutine dalla dieta di soggetti a rischio di sviluppare 1TDM. Un recen-

te studio italiano ha tuttavia dimostrato la presenza e la produzione di depositi di anticorpi anti transglutaminasi IgA a livello della mucosa digiunale di pa-zienti diabetici, anche in soggetti con screening per MC negativo (8). Tale dato, di notevole interesse, rimane an-cora da chiarire in senso diagnostico e predittivo in pazienti diabetici.

proCESSI INfEttIVILa capacità di vari ceppi virali di par-tecipare alla patogenesi di patologie autoimmuni, come la MC e il 1TDM, è stata rivalutata. Le principali vie pa-togenetiche coinvolte sono rappre-sentate da: lisi diretta delle cellule b, attivazione concomitante di cellule T auto-reattive, perdita delle funzione svolta dalle cellule T regolatorie, mi-metismo molecolare (9). Quest’ultimo meccanismo è stato ipo-tizzato per spiegare la possibile associa-zione tra MC e infezioni virali intestinali, in particolare Adenovirus 12 e Rota-virus; l’omologia esistente tra determi-nate sequenze amminoacidiche della gliadina e diverse componenti protei-che virali, tra cui la E1b dell’Adenovirus 12 e la VP7 del sierotipo 1 del Rotavirus (10), può spiegare l’insorgenza di anti-corpi cross-reattivi verso il glutine. Un possibile ruolo viene attribui-to a Enterovirus e Rotavirus anche nell’ambito dell’eziopatogenesi del 1TDM, sulla base della dimostrazione della presenza di antigeni Enterovirus-correlati nelle cellule b del pancreas di soggetti affetti da 1TDM, del maggior riscontro di componenti proteici e aci-di nucleici riconducibili a Enterovirus e Rotavirus nelle biopsie intestinali di soggetti diabetici rispetto ai controlli sani e per una minor risposta immu-

nologica diretta contro Coxsackie virus B4 nei soggetti affetti da 1TDM. In questa visione eziopatogenetica unificata, l’intestino con il suo com-plesso sistema immunitario residente e la sua costante stimolazione anti-genica ambientale, modulata dalla permeabilità della barriera mucosa, acquisterebbe un ruolo chiave nella cascata di eventi che portano all’insor-genza sia della MC sia del 1TDM in soggetti geneticamente predisposti. Tuttavia, i dati emersi in letteratura non sono ancora sufficienti per indi-care strategie primarie di prevenzione che agiscano sui processi infettivi pre-sumibilmente coinvolti nella eziopato-genesi del 1TDM e della MC.

<<<< Bibliografia >>>>

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7. Pastore MR, Bazzigaluppi E, Belloni C, Arcovio C, Bonifacio E, Bosi E. Six-months of gluten-free diet do not influence autoantibodies titers, but improve insulin secretion in subjects at high risk for type 1 diabetes. J Clin Endocrinol Metab 2003;88:162-165.

8. Maglio M, Florian F, Vecchiet M, Auricchio R, Paparo F, Spadaro R, Zanzi D, Rapacciuolo L, Franzese A, Sblattero D, Marzari R, Troncone R. Majority of children with Type 1 Diabetes produce and deposit anti-tissue transglutaminase antibodies in the small intestine. Diabetes 2009; 58:1578-1584.

9. Van Der Werf N at al. Viral infections as potential triggers of type 1 diabetes. Diabetes Metab Res Rev 2007;23:169-183.

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Fig.1 Ruolo dell’intestino nell’eziopatogenesi del 1TDM (5). APC : cellula presentante l’antigene

Type 1 diabetes

beta Cell destruction

Pancreatic Islet Inflammation

Autoimmune Process (e.g., Induction of Autorecreative T cells, Autoantibodies, etc.)

Facet 1 - Altered microbiota

Abnormal epithelial activation

Cytokine release

Increased permeability to dietary antigens

Facet 3 - Altered mucosal Immunity

Facet 2 - leaky Gut

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18 SIGENP NEWS volume I - n. 3

Minimum standard in endoscopia

INtroduzIoNEL’endoscopia del tratto digestivo in-feriore in età pediatrica trova come indicazioni numerose condizioni cli-niche morbose spesso sovrapponibili a quelle dell’adulto. Tra le più impor-tanti riconosciamo le Malattie Infiam-matorie Croniche Intestinali (MICI), le coliti allergiche e quelle infettive, che necessitano per la loro diagnosi di un corretto e accurato prelievo bioptico (in termini di numero e di sede) e di un attento esame istologico. La colon-scopia con biopsie rappresenta anche un utile mezzo di sorveglianza in quel-le patologie croniche intestinali che possono condurre nel tempo a una degenerazione maligna (Rettocolite Ulcerosa, Morbo di Crohn, Poliposi).

L’ ENdoSCopIA E LE bIopSIE NELLE CoLItILa valutazione del paziente con co-lite di recente insorgenza rappre-senta una sfida molto frequente per il clinico. Le principali patologie che entrano in diagnosi differenzia-le sono le coliti infettive, le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (Inflammatory Bowel Disease, IBD) e, in rari casi, la colite ischemica. Una prima valutazione del rischio relativo può essere effettuata con un’attenta storia clinica, con l’esame obiettivo e con esami di laboratorio e fecali. Tut-tavia, in casi selezionati l’endoscopia e, soprattutto le biopsie, sono decisi-ve per differenziare tra le varie forme di colite e per individuare lo specifico agente etiologico (1). L’endoscopia è raccomandata nei pa-zienti in cui l’esame colturale delle feci è negativo e la sintomatologia non mi-gliora entro una settimana dall’esordio.

Solitamente si può iniziare con una rettosigmoidoscopia preceduta da un clistere di soluzione fisiologica, ma se i sintomi persistono e la rettosigmoido-scopia è negativa, è necessario effettua-re una colonscopia con ileoscopia (1).Il gastroenterologo deve valutare durante l’endoscopia l’estensione dell’infiammazione, se l’interessa-mento delle lesioni è continuo, se vi sono ulcerazioni o pseudomembrane e deve riportare nel referto tutte le anomalie riscontrate con una termi-nologia quanto più descrittiva è possi-bile in quanto le lesioni endoscopiche sono raramente patognomoniche (2). Le biopsie possono essere de-cisive per la diagnosi a patto che si seguano alcune precauzioni nella loro esecuzione al fine di massimizzarne le potenzialità diagnostiche (1).I dati clinici - È di fondamentale importanza che il patologo abbia accesso ai dati clinici del paziente e al referto endoscopico che deve essere sempre allegato alla richiesta di esame istologico. È inoltre fondamentale allegare al referto anche le foto di eventuali lesioni atipiche riscontrate durante l’esame. La preparazione - Al patologo devono essere sempre fornite informazioni relative al tipo di preparazione intestinale e al concomitante uso di farmaci, in quanto alcuni di essi possono indurre di per sé alterazioni istologiche. Tra i molti esempi si possono citare i lassativi contenenti fosfato di sodio, che possono provocare flogosi aspecifica e lesioni aftoidi, gli anti-infiammatori non steroidei, che possono causare modificazioni mucosali simil-ischemiche, e la ranitidina, in grado di aumentare il numero di linfociti intraepitaliali mimando una colite linfocitica.

Il campionamento - Biopsie multiple dovrebbero essere effettuate in ciascuna delle regioni esaminate in modo da ottenere un campionamento significativo delle variazioni locali che si verificano normalmente nei disordini infiammatori del colon e per compensare i limiti legati alle piccole dimensioni dei frammenti bioptici e ai loro problemi di orientamento. Nella maggior parte dei casi, per ottenere un campionamento adeguato sono sufficienti 4 biopsie effettuate ognuna nei 4 quadranti delle zone affette e non affette di ciascuna regione anatomica. Se sono presenti vaste ulcerazioni, alcune biopsie devono essere fatte ai bordi della lesione al fine di valutare l’architettura delle cripte residue. Il campionamento bioptico deve sempre includere la mucosa normale, in quanto anomalie microscopiche possono essere riscontrate anche quando la mucosa è macroscopicamente normale.La conservazione - Le biopsie ottenute dai vari distretti anatomici devono essere conservate in contenitori diversi, in quanto anche la morfologia della mucosa normale cambia a seconda della sede. Per esempio, rispetto al resto del colon la mucosa del cieco è caratterizzata da rarefazione delle cripte e da una relativa abbondanza di cellule infiammatorie mononucleate. Ciò implica che biopsie di questa regione possano essere considerate patologiche se non se ne conosce l’origine anatomica. Altro esempio è quello delle cellule di Paneth, normalmente limitate al colon ascendente, ma che possono essere presenti in tutto il colon di pazienti con colite ulcerosa o con altre condizioni infiammatorie croniche.

Le biopsie del tratto digestivo inferiore: come e quandoIl campionamento bioptico è fondamentale nella diagnosi di importanti patologie. La colonscopia con biopsie è anche un utile mezzo di sorveglianza nelle malattie croniche intestinali che possono condurre a una degenerazione malignafilippo torroni1 e Giovanni di Nardo2 1 U.O.C. di Chirurgia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma2 Dipartimento di Pediatria, U.O.C. di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica, Policlinico Umberto I “Sapienza” Università di Roma

a cura diFilippo Torroni Giovanni di Nardo

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Molta attenzione deve essere riservata alla mucosa rettale, che contiene spesso macrofagi carichi di mucina situati tra le base delle cripte e la muscolaris mucosae simulando il crypt shortfall delle IBD. I supporti - Il valore diagnostico, infine, è massimizzato quando si orientano le biopsie su appositi supporti in modo da consentire al patologo l’osservazione di un campione con il minor numero possibile di artefatti.

LA SorVEGLIANzADa quanto detto consegue che inviare provette al patologo etichettate come “biopsie coliche” e contenenti fram-menti di diverse regioni del colon, non

solo riduce la possibilità di fa-re una corretta diagnosi, ma può anche essere fuorviante. L’endoscopia con biopsie è indicata nella valutazione del paziente con colite quando la sintomatologia non migliora e/o in presenza di test fecali negativi. Le biopsie consen-tono nella maggior parte dei casi di differenziare tra forme acute e croniche e di indi-viduare l’agente etiologico. Tuttavia, per incrementare il loro potere diagnostico sono necessari alcuni accorgimen-ti, come la condivisione con il patologo dei dati clinici ed endoscopici, il corretto cam-pionamento e l’etichettatura dei campioni bioptici.L’esame endoscopico, unito a un corretto campionamento bioptico, ricopre un ruolo di prim’ordine nella sorveglian-za di numerose patologie del tratto digestivo (nello specifi-co) del colon e dell’ileo. Nel-le MICI, in particolare nella Rettocolite Ulcerosa, il rischio di incidenza del cancro del colon retto aumenta del 2% dopo 10 anni di malattia, quindi dell’8% dopo 15 anni, fino ad arrivare al 18% dopo 30 anni. L’associazione con la colangite sclerosante nella RCU, la precocità di esordio di malattia e la familiarità per cancro del colon-retto ne au-

mentano il rischio. Nel Morbo di Crohn il rischio di cancro del colon-retto risulta sovrapponibile a quello della Rettoco-lite Ulcerosa; la sorveglianza endosco-pica deve iniziare per entrambe dopo 8 anni di storia naturale di malattia con prelievi bioptici multipli seriati una volta l’anno con l’effettuazione di 4 biopsie sui quattro quadranti ogni 10 cm di mucosa esaminata; ogni 1-2 anni in caso di pancolite.

LA CroMoENdoSCopIALa possibilità di tralasciare tratti di mu-cosa malata, ma macroscopicamente “sana”, ha portato allo sviluppo di nuo-ve tecniche di imaging endoscopiche e nuovi presidi. Tra queste ricordiamo

la cromoendoscopia con magnifica-zione, la Narrow Band Imaging e l’en-doscopia confocale (3). La cromoendoscopia con magnifica-zione consente di identificare lesioni microscopiche “esaltandole macro-scopicamente” grazie all’impiego dei più sofisticati CCD (Charge Coupled Device) contenenti un numero di pixel superiore a 800.000, poiché aumen-tano la definizione. Infatti, maggiori sono i pixel, migliore è la definizione dell’immagine. A questo si aggiungo-no coloranti vitali o per contrasto (di superficie) per mettere in risalto le più minime differenze di mucosa. I colo-ranti maggiormente utilizzati sono il blu di metilene e l’indaco di carminio: il primo risalta le lesioni adenomato-se, mentre il secondo, non venendo assorbito dalle lesioni displasiche e cancerose, non colora le zone “so-spette”. Il concetto di Pitt Pattern è stato introdotto proprio con la cromo-endoscopia: corrisponde all’apertura delle cripte ghiandolari del Lieberkuhn che appaiono come “aperture o pit” che possono assumere diverse forme a seconda dello stato di proliferazione cellulare che costituiscono la cripta. La proliferazione della parte superiore delle cripte è considerato l’indicatore più importante del processo evolu-tivo/degenerativo mucosale. Con la cromoendoscopia possono venire evidenziati polipi piatti difficilmente visibili con l’endoscopia tradizionale o differenti pit pattern di polipi iperpla-stici o adenomatosi (pit stellari o cere-broidi) (figure 1-2). Esiste una seconda tecnica definita Narrow Band Imaging che permette di “esaltare” selettiva-mente zone di mucosa attraverso dei filtri particolari; la metodica è in grado di evidenziare neoplasie in fase inizia-le o lesioni pre-cancerose (figura 2).

<<<<Bibliografia>>>>

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Fig. 1 Classificazione del pit pattern colorettale secondo Kudo

Fig. 2 Iperplasia con foci di cripte aberranti (A-D) Cromoendoscopia (B-E) Endomicroscopia confocale (C-F) Istologia

Kiesslich R et al. Technology Insight: confocal laser endoscopy for in vivo diagnosis of colorectal cancer. Nat Clin Pract Oncol 2007;4:480-490

Legenda: schemi adattati da Lambert R e al (Endoscopy 2001;33:1042-64) e da Rubio CA et al (Endoscopy 2002;34:226-36); in Bianco MA, Rotondano G, Garofano ML, Cipolletta L. Alla scoperta di un mondo magnificato. Lesioni neoplastiche superficiali… e dintorni, 2005 Area Qualità

A B C

D E F

Tipo

I

II

III

IIIs

IV

V

Morfologia

Pit circolari a distribuzione regolare

Pit stellati o a croce poco più grandi della norma

Pit tubolari larghi o allungati leggermente ricurvi o tondeggianti

Pit tubolari piccoli o tondeggianti compatti e più piccoli della norma

Pit arboriformi per forma, disposizione e dimensioni (cerebriformi)

Pit irregolare per forma, disposizione e dimensioni o destrutturato

ScheMa

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Helicobacter pylori in laboratorioTest invasivi e non invasivi per la diagnosi di questa infezione nella popolazione pediatrica

L’accuratezza di un test dipende dal contesto clinico nel quale questo viene utilizzato e dal gold standard usato per definirne la performance. Di solito la capacità di un test di individuare o di escludere una patologia è indicata in termini di sensibi-lità e specificità. La sensibilità ci dice la proporzione di falsi negativi che ci dobbiamo aspettare tra coloro i quali hanno la patologia, mentre la specificità definisce la proporzione di falsi positivi tra i sani. Tuttavia, nella pratica clinica siamo più interessati a sapere le chances che un paziente ha di avere una determinata malattia se il test è positivo o il contrario. I valori predittivi positivi e negativi ci danno questo tipo di informa-zione.Tuttavia, sono strettamente dipendenti dalla prevalen-za della patologia. Con l’aumentare della prevalenza, a parità di sensibilità e specificità, il valore predittivo positivo aumen-ta e quello negativo diminuisce (1). I likelihood ratio (LR) per un test positivo e negativo invece, esprimono la probabilità di avere o meno una malattia, in maniera indipendente dal-la sua prevalenza (1). I test che possono essere utilizzati per fare diagnosi di infezione da Helicobacter pylori (H. pylori) nella popolazione pediatrica sono numerosi, e non sempre i risultati possono essere paragonati con quelli ottenuti negli adulti. In generale, i test possono essere suddivisi in test inva-sivi e test non invasivi. I primi (esame istologico, test rapido all’ureasi, coltura, PCR, ecc.) richiedono campioni di mucosa gastrica ottenuta attraverso la esofagogastroduodenoscopia. I test non invasivi vengono invece eseguiti su diversi campio-ni biologici quali respiro, feci, sangue, ecc.

tESt INVASIVIIstologia - Può rilevare sia la presenza dell’infezione sia il tipo di infiammazione. Le attuali linee guida consigliano l’utilizzo di almeno due colorazioni: l’ematossilina e l’eosina per valutare l’infiammazione e il Giemsa per individuare il batterio (2). Il Sydney system e la sua versione aggiornata sono stati fino a ora utilizzati per la classificazione istologica della gastriti. Tuttavia, la positiva esperienza dello staging istologico delle epatiti ha determinato lo sviluppo di un sistema istologico di staging definito OLGA (Operative Link on Gastritis Assessment) che si è dimostrato istologicamente e clinicamente utile (3). Per l’istologia, nella popolazione pediatrica la sensibilità riportata va dal 66 al 100%, e la specificità dal 94% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 11 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.3 a 0 (4-6). Nonostante questo, il numero delle biopsie può influenzare l’accuratezza poiché la colonizzazione della mucosa gastrica è irregolare (3). Infine, anche l’utilizzo di inibitori di pompa protonica (IPP) può determinare alterazioni della performance diagnostica.Test rapido all’ureasi - Si basa sull’attività di un enzima del batterio, l’ureasi, in grado di scindere l’urea in ammonio e in anidride carbonica. L’ammonio aumenta il pH, e questo cambiamento viene identificato dall’indicatore rosso fenolo. Esistono test su gel, su carta e liquidi: danno risultati entro 1-24 ore, a seconda del tipo di tecnologia utilizzata. Nella popolazione pediatrica, la sensibilità riportata va dal 75%

al 100%, e la specificità dall’84% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 5 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.3 a 0 (4-6). La sensibilità è influenzata dal numero di batteri presenti nella biopsia e dall’utilizzo di IPP. Coltura - Le colonie di H. pylori ottenute dalle biopsie gastriche sono Gram negative; ureasi, ossidasi e catalasi sono positive. Il batterio è piuttosto fragile fuori dall’ambiente gastrico e deve essere “processato” il più velocemente possibile. Nella popolazione pediatrica la sensibilità riportata va dal 55% al 96%, e la specificità è del 100%, con un LR+ve di + ∞, e LR-ve che vanno da 0.4 a 0.04 (4-6). La bassa sensibilità può essere determinata da un insufficiente numero di biopsie prese, da un ritardo nel processare i campioni, dall’esposizione accidentale della coltura ad ambiente aerobio, o dalla sbagliata interpretazione dei risultati. Falsi negativi si possono avere durante l’utilizzo di IPP. La coltura permette inoltre di eseguire l’antibiogramma: tuttavia, questo viene prevalentemente utilizzato nei centri di ricerca (4).

tESt NoN INVASIVIImmunoglobuline - I test sierologici sono quelli volti a determinare le immunoglobuline presenti nell’organismo prodotte contro l’H. pylori. Di solito vengono determinate immunoglobuline di classe G utilizzando come tecnica l’EIA (Enzyme Immunoassay). Il principale svantaggio della determinazione degli anticorpi consiste nel non essere in grado di dirci se vi è un’infezione in atto. Infatti, un test positivo potrebbe indicare:

che il paziente è infetto al momento del test che il paziente è stato infettato in passato, ovvero al mo-mento il paziente non è infetto che il test ha individuato anticorpi non specifici cross-reagenti (7).

Inoltre, l’accuratezza diagnostica non è elevata: la sensibilità varia dal 50% al 100%, e la specificità dal 70% al 98%, con dei LR+ve che vanno da 12 a 50, e dei LR-ve che vanno da 0.5 a 0 (4-6). Per tali motivi viene sconsigliato l’utilizzo di tali tecniche nella determinazione o nel follow-up dell’infezione (8,9).13C-Urea Breath Test - L’H. pylori, come già detto, produce l’ureasi in grado di scindere l’urea in ammonio e anidride carbonica. Il 13C-Urea Breath Test (13C-UBT) si basa su questo principio: i pazienti ingeriscono urea marcata con carbonio 13. L’idrolisi dell’urea si verifica all’interno del muco con la produzione di anidride carbonica marcata. Questa si diffonde attraverso i vasi della mucosa fino a raggiungere il circolo polmonare, dove viene eliminata con l’espirato, e può essere misurata. Nella popolazione pediatrica, prima del trattamento, la sensibilità riportata va dal 75% al 100%, e la specificità dal 77% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 3 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.3 a 0. Nei bambini di età inferiore a 6 anni la sensibilità riportata va dall’87% al 100%, e la specificità dal 77% al 100%, con dei LR sovrapponibili ai precedenti. Nel post-trattamento, i valori di sensibilità riportati vanno dal 94% al 100%, e quelli di specificità dal

francesco di Mario1 e Luigi Gatta2

1 Dipartimento di Scienze Cliniche, Sezione di Gastroenterologia, Università di Parma2 Ospedale Unico della Versilia di Lido di Camaiore, Lucca

I l laboratorio in Gastroenterologia Pediatricaa cura di Barbara Bizzarri e Francesca Vincenzi

novembre 2009 21

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nonché con la densità dell’H. pylori (sia nell’antro che nel corpo) (12,13). Inoltre è stato evidenziato che vi sono livelli significativamente elevati di PGII e gastrina 17 in pazienti con malattia celiaca con severe alterazioni istologiche (Marsh 3b- Marsh 3c) (13).

CoNCLuSIoNIIl 13C-UBT e i test fecali EIA con anticorpi monoclonali presentano performance dia-

gnostiche (tabella 1) simili e possono essere utilizzati per la dia-gnosi e il follow-up del trattamento. Il dosaggio nel siero dei pepsinogeni e della gastrina 17 può fornire informazioni utili sullo status della mucosa gastrica nella gestione del paziente con dolore addominale cronico. L’endoscopia con esame isto-logico rimane però l’unico in grado di valutare la presenza di lesioni non solo associate all’infezione, ma anche determinate da altre patologie, quali ad esempio esofagiti, gastroenteriti eo-sinofile, Crohn’s a localizzazione gastrica, ecc (4,8).

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92% al 100% con dei LR+ve che vanno da 12 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.06 a 0 (4-6). Anche per questo test, il concomitante utilizzo di IPP può determinare falsi negativi.Test sulle feci - Determinano la presenza di antigeni di H. pylori nelle feci. La ricerca degli antigeni può essere eseguita utilizzando tecniche EIA con anticorpi policlonali, monoclonali, o con tecniche di immunocromatografia (one-step lateral flow immunoassay), dove sono usati solo anticorpi monoclonali. Utilizzando EIA policlonali nel pre-trattamento, nella popolazione pediatrica la sensibilità riportata va dal 67% al 100%, e la specificità dal 61% al 100% con dei LR+ve che vanno da 1.7 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.5 a 0. Per gli EIA monoclonali i valori di sensibilità vanno dal 96% al 98%, e per la specificità dal 94% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 16 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.04 a 0.0002. Per i test immunocromatografici, i valori di sensibilità vanno dal 55% al 100%, e per la specificità dal 63.6% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 3.7 a ∞ e LR-ve che vanno da 0.4 a 0.Nel post-trattamento, per gli EIA policlonali, la sensibilità ri-portata va dal 67% al 100%, e la specificità dall’82% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 3.7 a ∞, e LR-ve che vanno da 0.4 a 0. Per gli EIA monoclonali i valori di sensibilità sono del 100%, e per la specificità vanno dal 96% al 100%, con dei LR+ve che vanno da 25 a ∞, e LR-ve pari a 0. Per i test immunocromatografici, i valori di sensibilità vanno dal 75% all’89%, e per la specificità dal 94% al 96%, con dei LR+ve che vanno da 12.5 a 22 e LR-ve che vanno da 0.2 a 0.11 (4-6). Anche per questi test il concomitante utilizzo di IPP può determinare falsi negativi.Pepsinogeni e gastrina 17 - Il pepsinogeno I (PG I o PGA) viene prodotto dalle cellule principali della mucosa ossintica e dalle mucus neck cells del fondo; il pepsinogeno II (PGII o PGC) anche dalle ghiandole piloriche, dall’antro e dalle ghiandole duodenali del Brunner; la gastrina 17 dalle cellule G antrali e duodenali (10). I pepsinogeni e la gastrina 17 sono dosati sul siero, e vengono considerati biopsie sierologiche, poiché forniscono informazioni sullo stato della mucosa gastrica. Sono, ad esempio, molto utili nella diagnosi della gastrite atrofica. Il dolore addominale cronico è molto comune nella popolazione pediatrica (11) e vi sono poche evidenze per l’utilizzo dell’endoscopia con biopsie in questo contesto, in assenza di sintomi d’allarme. Recenti studi hanno evidenziato che il dosaggio dei pepsinogeni e della gastrina 17 può essere clinicamente utile nella popolazione pediatrica con dolore addominale cronico (12,13). Si è infatti riscontrato che, nei pazienti H. pylori positivi, vi è un significativo aumento dei valori di PGII, che correlano significativamente, a livello dell’antro, con l’intensità e l’attività della gastrite,

Tab.1 Performance diagnostica di diversi test per identificare l’infezione da Helicobacter pylori

sensibilità speCifiCità lr+ve lr-ve

test invasivi

Istologia 66%-100% 94%-100% 11-∞ 0.3-0

Test Rapido all’ureasi 75%-100% 84%-100% 5-∞ 0.3-0

Coltura 55%-96% 100% ∞ 0.5-0.04

test non invasivi13C-UBT* 75%-100% 77%-100% 3.26 -∞ 0.3-0

Feci- EIA policlonale* 67%-100% 61%-100% 1.71-∞ 0.5-0

Feci- EIA Monoclonale* 96%-100% 95%-100% 19 -∞ 0.04-0

Feci- Immunocromatografia* 55%-100% 64%-100% 1.52-∞ 0.7-0

* pre e post-trattamento

22 SIGENP NEWS volume I - n. 3

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Linee guida nella Malattia da reflusso in età pediatrica

Reports da ASGE, ESGE, ESPGHAN e NASPGHAN

La diagnosi di Reflusso Gastroesofageo (RGE) in età pe-diatrica è spesso esclusivamente clinica, basata su segni e sintomi suggestivi di RGE. Si parla, invece, di Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE) quando il reflusso del contenuto gastrico è causa di sintomi fastidiosi e/o di complicanze, tali da avere un impatto sulla qualità di vita del paziente. Nell’adolescen-te e nel bambino con età > 8 anni i sintomi caratteristici di MRGE sono bruciore retrosternale, dolore epigastrico e rigurgito e la diagnosi può essere esclusivamente sinto-matica, non essendo necessario alcun approfondimento diagnostico.Nel lattante e nel bambino < 8 anni, i sintomi più frequen-ti sono rifiuto del cibo/anoressia, rigurgito/vomito, tosse. Per tali ragioni la diagnosi è innanzitutto basata su una corretta anamnesi ed un attento esame obiettivo, volti a esclu-dere o sottolineare la presenza di segni d’allarme (tabella 1). Per quel che riguarda i sintomi atipici, non esistono al mo-mento evidenze a favore di una relazione di causa-effetto tra RGE e sintomi, quali disturbi del sonno, tosse cronica, laringite cronica, asma, sinusite cronica e ALTE. Attualmente il gold standard per la diagnosi di MRGE è rappresentato in caso di sintomi tipici dall’Esofagogastro-duodenoscopia (EGDS) e in caso di manifestazioni atipi-che dalla pH-metria/pH-impedenzometria. L’EGDS permette di visualizzare direttamente le lesioni della mucosa esofagea e di praticare l’esame istologico della biopsia esofagea per mettere in evidenza la presenza di esofagite o di segni indiretti di reflusso.La pH-metria esofagea misura la frequenza e la durata de-gli episodi di reflusso acido e può essere utile nel valutare l’efficacia della terapia anti-secretoria e/o nel correlare i sintomi con gli episodi di RGE. Il limite, purtroppo, di tale tecnica è rappresentato dall’incapacità di valutare reflussi non acidi. Recentemente, tale limite è stato su-perato dalla pH-impedenzometria, tecnica che permette di valutare reflussi acidi (pH <4), non acidi (pH >7) e debolmente acidi (pH compreso tra 4 e 7) e che risulta essere superiore alla pH-metria nella valutazione di una possibile relazione tra i sintomi e il RGE. Per quanto riguarda la terapia della MRGE, le opzioni a nostra disposizione includono modifiche dello stile di vi-ta, approcci farmacologici e chirurgici. L’uso di formule ispessite, nel bambino allattato con for-mula, può ridurre la frequenza del rigurgito e/o del vo-mito pur non modificando i parametri pH-metrici. Un sottogruppo di lattanti con allergia alle proteine del latte vaccino (APLV) presenta sintomi indistinguibili da quelli del RGE: in questi bambini, se allattati al seno, è racco-mandato un trial dietetico materno senza PLV e uovo per 4

settimane; se allattati con latte formulato, un trial con idroli-sati spinti o formule a base di aminoacidi per 4 settimane.I farmaci attualmente disponibili per il trattamento della MRGE comprendono antiacidi, Antagonisti del Recettore H2 (H2A) e Inibitori di Pompa Protonica (IPP). Recentemente è stato messo in evidenza che l’alginato rispetto al placebo riduce in maniera significativa la fre-quenza, la severità del vomito nei lattanti e l’altezza dei reflussi. Gli H2A riducono la secrezione acida inibendo i recettori istaminergici H2 sulle cellule parietali gastriche. È noto, però, che gli H2A sono meno efficaci degli IPP nel migliorare la sintomatologia e determinare la risoluzione dell’esofagite, e che, a differenza degli IPP, l’efficacia si ri-duce con l’uso protratto. Gli IPP inibiscono la secrezione acida bloccando la pompa Na/K ATPasi, presente sulle cel-lule parietali gastriche. Gli unici farmaci di questa classe approvati in Europa per il bambino di età superiore ad un anno sono l’omeprazolo e l’esomeprazolo, mentre non ve ne è alcuno approvato nel lattante, nel quale l’uso è riser-vato solo ai casi di esofagite erosiva. Inoltre, tali farmaci determinano numerosi effetti collaterali, quali gastroente-riti, ipergastrinemia, aumento delle infezioni respiratorie, candidemia e NEC.

Secondo una recente Consensus sulla definizione della MRGE, un trial empirico con IPP può essere giustificato esclusivamente nei bambini di età superiore a 8 anni e ne-gli adolescenti con sintomi tipici di MRGE. Tale approccio, invece, non è consigliato nei lattanti o nei bambini di età inferiore agli 8 anni, seppure con sintomi di MRGE, poiché la risposta clinica al trattamento varia in maniera considerevole in base alla severità della malattia, alla dose del farmaco, ai sintomi specifici e alle complican-ze presentate dal bambino.Infine, non ci sono al momento evidenze sufficienti per giustificare l’uso di procinetici, quali cisapride, metoclo-pramide, domperidone o baclofen nel trattamento routi-nario della MRGE, considerati i numerosi effetti collaterali di questi farmaci, di gran lunga superiori rispetto ai poten-ziali effetti benefici.

Linee guida NASPGHAN-ESPGHAN pubblicate su J Pediatr Gastroenter Nutr 2009 Oct;49(4):498-547

novembre 2009 23

a cura di Giovanni di Nardo e Filippo Torroni

roberta buonavolontà, paolo Quitadamo, Massimo Martinelli e Annamaria Staiano Dipartimento di Pediatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “Federico II” di Napoli

Tab. 1 Segni di allarme della Malattia da reflusso gastroesofageo • Vomito biliare • Sanguinamento Gastrointestinale - ematemesi - ematochezia • Insorgenza del vomito dopo i 6 mesi di vita • Scarsa crescita • diarrea • Stipsi • Febbre • letargia • Epatosplenomegalia • Fontanella pulsante • macro/microcefalia • Tensione o distensione addominale • malattia cronica associata