organismi partecipati: il decreto di riforma della legge...
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Organismi partecipati:
il decreto di riforma
della legge Madia
Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
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Raccolta Prassi
di Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
La pubblicazione del presente Volume avviene per gentile concessione di:
Federica Caponi.
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Organismi partecipati:
il decreto di riforma
della legge Madia
Federica Caponi
Pisa – 23 febbraio 2016
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INDICE
Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016)
Pag. 6
Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia Pag. 7
La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come
danno erariale
Pag. 8
Il recesso degli enti locali dalle società di capitali
a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini
Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti
Pag. 10
Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il
blocco delle assunzioni
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015
Pag. 21
Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe
gestionali dirette
Pag. 23
Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali
Legge 7 agosto 2015, n. 124
Pag. 25
Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015)
Pag. 30
Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il
giudice del lavoro
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014
Pag. 35
In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che
strumentali
Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014
Pag. 36
La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014
Pag. 38
Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e
quindi assoggettata alla Corte dei Conti
Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609
Pag. 40
Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate
Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014
Pag. 42
Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l.
66/2014
Pag. 55
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Le società pubbliche possono fallire
Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014
Pag. 57
Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota
Pag. 59
Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla
Corte dei Conti
Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013
Pag. 59
Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento
negli organici della p.a.
Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013
Pag. 61
Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa
ALL. I
L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house Quotidiano del Sole24ore Entilocali & Pa
ALL. II
Partecipate: la revoca dei vertici non è un atto amministrativo Sole24Ore 26 gennaio 2015
ALL. III
Competenza del giudice amministrativo in caso di nuove assunzioni Azienditalia 6-14
ALL. IV
Il Comune non può costituire una fondazione per ricerca di finanziamenti Azienditalia 6-14
ALL. V
La Spa può diventare azienda speciale Sole24Ore 3 febbraio 2014
ALL. VI
Società pubbliche revoca del Cda Diritto e Pratica amministrativa 11/12-13
ALL. VII
La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda Sole24Ore 11 novembre 2013
ALL. VIII
Revoca del consiglio di amministrazione delle società pubbliche Azieditalia 12-13
ALL. IX
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Legge stabilità 2016: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 208 del 28 dicembre 2015 (Legge Stabilità 2016)
di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti
La Legge di stabilità 2016, legge n. 208/2015, pubblicata sulla G.U. n. 302 del 30
dicembre 2015, ha previsto numerose novità in materia di:
Organismi partecipati
Commi 672/674 – Limiti ai compensi delle società a controllo pubblico
Entro il 30 aprile 2016, il Ministro dell’economia e delle finanze dovrà definire, con
proprio decreto, indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare
fino a cinque fasce per la classificazione delle società direttamente o indirettamente
controllate dallo Stato e dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra
cui regioni, province e comuni), ad esclusione delle società emittenti strumenti
finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate.
Per ciascuna fascia sarà determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi
erogabili agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque
eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e
assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario (tenuto conto anche dei
compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni).
Il rispetto di tale limite dovrà essere verificato da parte dei consigli di amministrazione
delle società.
Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono
limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal nuovo decreto.
Fino all’entrata in vigore delle nuove regole, restano validi i tetti attuali previsti dal
D.M. 24 dicembre 2013, n. 166 (Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con
deleghe delle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo
23-bis del decreti-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22
dicembre 2011, n. 241).
Una volta adottato il nuovo decreto, devono ritenersi abrogati i commi 5-bis e 5-ter
dell’articolo 23-bis del d.l. 201/2011.
Commi 675/676 – Obblighi di informazione a carico delle società controllate
Le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato e dalle p.a. di cui
all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001 (tra cui regioni, province e comuni), nonché
le società in regime di amministrazione straordinaria, ad esclusione delle società
emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate
devono pubblicare – in caso di conferimento di incarichi di collaborazione o di
consulenza o professionali – il tipo di procedura seguito per la selezione del contraente
e il numero di partecipanti alla procedura.
Dovranno essere pubblicate, entro 30 giorni dal conferimento dell’incarico e fino ai due
anni successivi alla cessazione, le seguenti informazioni:
a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico, l'oggetto della prestazione, la
ragione dell'incarico e la durata;
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b) il curriculum vitae;
c) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di
collaborazione, nonché agli incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali;
d) il tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero di
partecipanti alla procedura.
La pubblicazioni di tali informazioni è condizione di efficacia per il pagamento del
relativo compenso.
In caso di omessa o parziale pubblicazione, il soggetto responsabile della
pubblicazione ed il soggetto che ha effettuato il pagamento sono soggetti ad una
sanzione pari alla somma corrisposta.
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Società partecipate: le novità contenute nel decreto di riforma Madia
E’ stato pubblicato lo schema di decreto discusso dal Consiglio dei Ministri negli
scorsi giorni in materia di società partecipate.
Numerose le novità per gli enti locali che detengono partecipazioni in società di
capitali, tra cui l’obbligo di sottoporre a forme di consultazione pubblica lo schema di
deliberazione consiliare in caso di acquisizione di nuove partecipazioni e di inviare tale
atto alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.
L’articolo 5 dello schema di decreto prevede, infatti, esempio che nel caso in cui l’ente
locale intenda acquisire una nuova partecipazione societaria, debba prima
dell’approvazione non solo sottoporre lo schema dell’atto a forme di consultazione
pubblica, ma inviarlo anche alla Corte dei Conti, sez. controllo, che potrà formulare
rilievi o richieste di chiarimenti.
La delibera consiliare dovrà quindi indicare gli eventuali rilievi presentati dalla Corte e
conseguentemente fornire motivazioni in merito.
All’articolo 20 sono state dettate le regole per la dismissione delle partecipazioni in
essere, prevedendo che gli enti debbano annualmente (entro il 31 dicembre di ciascun
anno) predisporre un piano di riassetto delle loro partecipazioni per la
razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o
cessione.
I piani di razionalizzazione, corredati da un'apposita relazione tecnica, con indicazione
di modalità e tempi di attuazione, devono essere adottati laddove l’ente abbia
partecipazioni societarie che, tra l’altro:
non svolgano servizi di interesse generale, né siano strettamente connessi alle
finalità istituzionali;
siano prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a
quello dei dipendenti;
svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate
o da enti pubblici strumentali;
nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore
a un milione di euro;
siano diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse
generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque
esercizi precedenti.
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Inoltre, lo schema prevede che gli amministratori delle partecipate siano soggetti alla
legislazione del giudice ordinario “salvo il caso di danno erariale”.
Il danno erariale (è specificato) è solo quello subito dagli enti partecipanti.
In pratica, i magistrati contabili potranno chiedere all'amministratore infedele di
risarcire le finanze pubbliche quando i suoi comportamenti causino danno
direttamente ai bilanci degli enti proprietari, mentre le vigenti disposizioni, anche in
base alla giurisprudenza della Cassazione, prevedono che le società pubbliche titolari
di affidamenti diretti siano trattate come p.a. perché gestiscono soldi pubblici e quindi
sono automaticamente soggette agli stessi controlli.
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La mancata vigilanza sulle partecipazioni societarie si configura come danno erariale
I comuni sono tenuti a provvedere, indipendentemente dalla consistenza più o meno
ampia della propria partecipazione azionaria, ad un effettivo monitoraggio
sull’andamento delle società partecipate, al fine di prevenire fenomeni patologici e
ricadute negative sul bilancio dell’ente.
Si ricorda, infatti, che per consolidato orientamento della giurisprudenza contabile,
dalla trasgressione di questi obblighi e dal perdurare di scelte del tutto irrazionali e
antieconomiche, può scaturire una responsabilità per danno erariale dei pubblici
amministratori.
Questo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti, sez. Veneto, nella deliberazione n.
529 depositata il 20 novembre 2015.
Il legislatore nazionale, nel corso degli ultimi anni, ha introdotto vari vincoli ed
obblighi in materia di società partecipate, al fine di limitare le ricadute negative sui
bilanci pubblici derivanti dalle perdite, talvolta reiterate, registrate dalle società
partecipate da enti pubblici.
In tale orizzonte normativo si pongono varie disposizioni, tra le quali l’articolo 3,
commi 27, 28, 29 della legge 244/2007 e l’articolo 1, comma 569, della legge 147/2013
(oltre ad altre, poi abrogate dalla legge 147/2013).
Da ultimo, l’articolo 1, comma 611, della legge 190/2014 (legge di stabilità per il 2015),
ha introdotto nuove disposizioni in materia di società partecipate.
Nello specifico è stato imposto l’avvio di un processo di razionalizzazione delle società
e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, tale da
consentire, entro il 31 dicembre 2015, la riduzione degli oneri, il miglioramento in
termini di economicità ed efficienza, ovvero la cessione di quelle non coerenti con il
perseguimento delle finalità dell’ente interessato.
Il richiamato iter di razionalizzazione deve tener conto, in base alla norma, di
predeterminati criteri, ovvero:
a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in
liquidazione o cessione;
b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un
numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività
analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici
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strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle
funzioni;
d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione
degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché
attraverso la riduzione delle relative remunerazioni.
A chiusura del processo di razionalizzazione, i legali rappresentanti degli enti
dovranno predisporre, entro il 31 marzo 2016, una relazione sui risultati conseguiti, che
dovrà poi essere trasmessa alla competente Sezione regionale di controllo della Corte
dei conti, nonché pubblicata nel sito internet dell’amministrazione interessata.
Ciò a ribadire che l’intera durata della partecipazione deve essere accompagnata dal
diligente esercizio di quei compiti di vigilanza (es., sul corretto funzionamento degli
organi, sull'adempimento degli obblighi contrattuali), d’indirizzo (es., attraverso la
determinazione degli obiettivi di fondo e delle scelte strategiche) e di controllo (es.,
sotto l'aspetto dell'analisi economico finanziaria dei documenti di bilancio) che la
natura pubblica del servizio (e delle correlate risorse), e la qualità di socio comportano.
La partecipazione legittima in organismi societari, che svolgono attività “strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, richiede, in sostanza, una
valutazione in ordine alla stretta strumentalità del negozio societario rispetto ai fini
istituzionali dell’ente.
Inoltre, in occasione della delibera ricognitiva delle partecipazioni, l’amministrazione
deve valutare non solo i presupposti di legge per il mantenimento delle stesse, bensì
anche verificare se l’andamento complessivo della gestione sia conforme ai criteri di
economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa condotta secondo
schemi di diritto civile.
In definitiva, l’ente è tenuto ad effettuare approfondite valutazioni in merito alla
coerenza dell’attività societaria. Ciò, rispetto:
- alla missione istituzionale dell’ente;
- all’effettiva produzione di servizi di interesse generale, nonché in merito a
relativi costi/benefici;
- all’appropriatezza del modulo gestionale;
- alla comparazione con i vantaggio/svantaggi e con i risparmi/costi/risultati
offerti da possibili moduli alternativi;
- alla capacità della gestione di perseguire in modo efficace, economico e
efficiente, in un’ottica di lungo periodo, i risultati assegnati, anche in termini di
promozione economica e sociale.
Soprattutto in presenza di gestioni connotate da risultati negativi, l’ente è tenuto a
mantenere un costante, attento e prudente monitoraggio sull’andamento economico
della società, anche al fine di valutare la permanenza di quelle condizioni di natura
tecnica e/o economica nonché di sostenibilità politico-sociale che giustificano a monte
la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici.
La decisione partecipativa, dalla prima assunzione alle successive scelte strategiche,
presuppone in capo all’ente locale una prodromica valutazione in termini di efficacia
ed economicità, quali corollari del buon andamento dell’azione amministrativa ex
articolo 97 della Costituzione.
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Non si può inoltre prescindere da un costante e attento monitoraggio in ordine
all'effettiva permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta
partecipativa iniziale, nonché da tempestivi interventi correttivi in relazione ad
eventuali mutamenti che interessino, nel corso della vita della società, gli elementi
valutati in origine.
Emergono, quindi, per le amministrazioni pubbliche controllanti importanti obblighi e
adempimenti per mettere a punto idonei strumenti di corporate governance.
A tal fine, come evidenziato dai magistrati contabili, è necessario prestare particolare
attenzione allo sviluppo di strutture organizzative e di professionalità interne capaci di
supportare efficacemente gli organi di governo nel monitoraggio delle società
partecipate.
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Il recesso degli enti locali dalle società di capitali
a cura di Studio Commerciale Associato Boldrini Rimini
Dott. Roberto Camporesi, Dott.ssa Annalisa Galanti
1. L’istituto del recesso societario previsto per le società di capitali dal Codice
Civile dopo la riforma del 2003
Il diritto di recesso del socio è un istituto generale previsto dal Codice Civile che si
sostanza in un atto unilaterale recettizio tramite il quale un socio esercita il proprio
diritto in merito allo scioglimento del rapporto sociale. Tale potere si esercita mediante
una dichiarazione negoziale che tuttavia non ha autonoma efficacia, ma è appunto
recettizia, ovvero deve pervenire all’altra parte al fine di produrre i propri effetti1.
La ratio dell’istituto, profondamente riformato ad opera del D. Lgs. 6/2003, può essere
ravvisata nella tutela della minoranza societaria. Essendo infatti l’azione deliberativa
della società permeata sul principio maggioritario, si delinea un’inevitabile prevalenza
dell’interesse del gruppo rispetto all’interesse del singolo azionista. Il favor legislativo,
mediante l’adozione delle deliberazioni a maggioranza, ha difatti privilegiato la
stabilità societaria, nonchè l’efficienza ed il funzionamento dell’organo assembleare,
determinando tuttavia al contempo una penalizzazione per i soci di minoranza.
Pertanto, in tale contesto normativo, il diritto di recesso del socio può essere
interpretato come un istituto posto a tutela della minoranza della compagine sociale
che, in presenza di particolari delibere modificative o di peculiari situazioni in cui
versa la società, può esercitare il proprio diritto relativamente allo scioglimento del
rapporto sociale e alla conseguente liquidazione della propria quota o azioni.
2. Le cause di recesso: cenni
I confini del diritto di recesso sono stati notevolmente ampliati dalla riforma del 2003.
La previgente disciplina prevedeva infatti solamente tre cause di recesso, ovvero il
cambiamento dell’oggetto sociale, la trasformazione e il trasferimento della sede
sociale all’estero. L’articolo 2437 del C.C. per le S.p.a. e l’articolo 2473 C.C. per le S.r.l.
espandono il novero delle circostanze che consentono il recesso, che possono ora essere
1 Tribunale di Milano 5.3.2007 “Il recesso del socio rappresenta l'esercizio di un atto unilaterale recettizio e, come tale, non è revocabile, né assoggettabile a condizione (nella fattispecie: la condizione che la quota del socio sia liquidata ad un determinato prezzo), sia perché l'oggetto economico dell'atto di recesso non è soggetto a trattativa, sia perché la valutazione della quota va effettuata secondo un criterio predeterminato, rapportato al valore del patrimonio e alle prospettive reddituali dell'impresa gestita dalla società”.
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suddivise in cause legali inderogabili, cause legali derogabili per espressa previsione
statutaria e cause convenzionali espressamente stabilite dallo statuto.
Cause di recesso Tipologia
societaria Derogabilità
Soggetti che
possono recedere
1. Ipotesi di recesso a seguito di decisioni prese dai soci tramite delibera assembleare
Modifica della clausola
dell’oggetto sociale quando
consente un cambiamento
significativo dell’attività della
società
S.p.a.; S.a.p.a.;
S.r.l.
Inderogabile
Soci dissenzienti,
assenti o astenuti
dalla delibera che
fa sorgere il diritto
di recesso
Trasformazione della società
Trasferimento della sede sociale
all’estero
Revoca dello stato di
liquidazione
Eliminazione di una o più cause
di recesso previste dallo statuto,
in aggiunta a quelle disposte per
legge
Introduzione o soppressione di
clausole compromissorie
Modifica dei criteri di
determinazione del valore
dell’azione in caso di recesso
S.p.a.; S.a.p.a.;
Inderogabile
Modificazioni dello statuto
concernenti i diritti di voto o di
partecipazione
Proroga del termine di durata
della società Derogabile dallo
statuto Introduzione o rimozione di
vincoli alla circolazione dei titoli
azionari
Delibera di fusione o scissione
della società
Solo S.r.l.
Inderogabile
Compimento di operazioni che
comportano una sostanziale
modifica dei diritti particolari
attribuiti ai soci riguardanti
l’amministrazione o la
distribuzione degli utili
Compimento di operazioni che
comportano una sostanziale
modifica dei diritti particolari
attribuiti ai soci riguardanti
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l’amministrazione o la
distribuzione degli utili
Delibere particolari per le
società soggette ad attività di
direzione e coordinamento
Società soggette
ad attività di
direzione e
coordinamento
Inderogabile
2. Ipotesi di recesso previste dall’atto costitutivo
Cause di recesso previste dallo
statuto
Solo società che
non fanno
ricorso al
mercato del
capitale di
rischio
/
Socio che si trova
nelle situazioni
descritte dallo
statuto
3. Situazioni relative alla società
Società con durata
indeterminata o non specificata Solo società non
quotate Inderogabile
Ogni socio con un
preavviso di 180
giorni
Conferimento di beni in natura
o crediti e in sede di revisione
della relazione di stima risulta
che il loro valore è inferiore di
oltre 1/5 a quello per cui
avviene il conferimento
S.p.a.; S.a.p.a.;
Inderogabile Socio conferente
3. La procedura di recesso per le società per azioni e per quelle a responsabilità
limitata
Nelle società per azioni, la volontà del socio di sciogliere il rapporto sociale deve essere
comunicata, mediante lettera raccomandata alla società, entro 15 giorni dall’iscrizione
della delibera nel registro delle imprese, qualora il recesso sia legittimato da una
delibera assembleare ed entro 30 giorni dalla sua conoscenza da parte del socio in tutti
gli altri casi 2 . Se, infine, il recesso avviene a seguito di costituzione a tempo
indeterminato della società, tale diritto può essere esercitato con un preavviso di 180
giorni purché la società non sia quotata in un mercato regolamentato. Per la corretta
osservazione di tali termini temporali, l’art 2437 bis riformulato, sancisce
espressamente che si deve fare riferimento alla data di spedizione della raccomandata
e non a quella del ricevimento della stessa da parte della società.
Il perfezionamento del diritto di recesso si ha, invece, con la ricezione da parte della
società della suddetta comunicazione, essendo infatti la dichiarazione di recesso un
atto unilaterale recettizio, è solamente a seguito dell’avvenuta conoscenza della volontà
del socio recedente ad opera della controparte che si producono gli effetti giuridici.
Pertanto, da tale momento, le azioni recedute divengono incedibili e devono essere
depositate presso la sede sociale, tuttavia, il socio, anche se receduto, non perde
2 Si segnala tuttavia che in deroga a quanto stabilito nell’art. 2437 bis, il termine per l’esercizio del diritto di recesso in caso di deliberazione che introduca una clausola compromissoria statutaria è di 90 giorni.
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immediatamente la sua qualifica e rimane tale fino a che la società non porta a
compimento l’operazione di liquidazione delle azioni. La società diviene dunque
obbligata al rimborso delle azioni al quale può sottrarsi solo ed unicamente se revoca la
delibera che legittima il recesso entro novanta giorni dal suo perfezionamento.
Affinché gli effetti del recesso si producano anche nei confronti dei terzi, sarà
necessario che il recesso sia reso pubblico mediante iscrizione della delibera presso il
registro delle imprese. Solamente da tale momento infatti, il socio receduto non
risponderà più delle obbligazioni sociali verso i terzi.
La procedura di recesso per le società a responsabilità limitata è invece caratterizzata
da un silenzio normativo in merito alle modalità ed ai termini da osservare. Autorevole
dottrina 3 ha dunque ritenuto che ci si debba rifare alle disposizioni statutarie,
formulate secondo la disciplina delle S.p.a. alla quale si ricorre in via analogica. L’unica
norma di carattere procedurale prevista dall’art. 2473 del C.C. riguarda il termine entro
il quale deve essere effettuato il rimborso delle partecipazioni per le quali è stato
esercitato il diritto di recesso che viene stabilito in centottanta giorni, decorrenti dalla
comunicazione di recesso del socio.
Le azioni o quote del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione
agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione al capitale sociale. Se nessuno dei
soci è interessato all’acquisto, per le S.p.a., le azioni non acquistate potranno essere
collocate sul mercato, mentre per le S.r.l. le quote potranno essere offerte ad un terzo
concordemente individuato dai soci medesimi. Se neppure la procedura di
collocamento presso terzi ha esito favorevole, sarà la stessa società a doversi fare carico
delle azioni o quote recedute secondo una procedura che differisce in base alla
tipologia societaria considerata. Per le S.p.a., le azioni saranno acquistate dalla società
medesima, rispettando il limite delle riserve disponibili e degli utili disponibili, in
assenza dei quali sarà necessario convocare l’assemblea straordinaria per deliberare la
riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società. Per le S.r.l., invece, poiché
per tale fattispecie societaria vige un divieto assoluto in merito all’acquisto di azioni
proprie, il rimborso delle quote recedute verrà effettuato utilizzando riserve
disponibili. L’immediata conseguenza sarà quindi un proporzionale accrescimento
delle quote dei soci superstiti (si delinea, quindi, un risultato assimilabile all’acquisto
proporzionale della quota da parte dei soci medesimi). In mancanza di riserve
disponibili si dovrà inevitabilmente procedere alla riduzione del capitale sociale o allo
scioglimento della società.
4. Criteri per la determinazione del valore delle azioni o quote recedute
La riforma del 2003 ha apportato sostanziali modifiche anche alla determinazione del
valore delle azioni o quote per le quali è stato esercitato il diritto di recesso.
Per le S.p.a. non quotate, tale valore non viene più quantificato sulla base del
patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, ma viene determinato
dagli amministratori, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue
prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni, purchè lo
statuto non abbia disposto diversamente. Questa riformulazione dell’art 2437 ter, come
enunciato nella relazione accompagnatoria del D. Lgs. 3/2006, ha quindi determinato
3 Massima del Comitato Notarile del Triveneto 2004 I.H.2
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la “non vincolabilità dei dati contabili ponendo l’accento sulle prospettive reddituali come
elemento correttivo della situazione patrimoniale”.
Dalla lettura dell’art. 2437 ter emergono, in particolare, tre differenti ed alternativi
criteri di valutazione ai quali gli amministratori dovranno obbligatoriamente attenersi
nel seguente ordine: innanzitutto un criterio statutario, se infatti lo statuto preveda
esplicite modalità di determinazione del valore delle azioni in caso di recesso
bisognerà osservare tali disposizioni statutarie nel determinare il valore delle azioni da
rimborsare; in assenza di espresse previsioni dello statuto, ci si dovrà rifare al criterio
legale enunciato nell’art. 2437 ter il quale tiene conto tanto della consistenza
patrimoniale della società quanto delle sue prospettive reddituali, nonché
dell’eventuale valore di mercato delle azioni4. In caso di disaccordo in merito al valore
così determinato sarà necessario ricorrere al terzo ed ultimo criterio fondato
sull’arbitrium boni viri di un esperto nominato dal Tribunale.
Gli amministratori, una volta quantificato il valore delle azioni da rimborsare, hanno
l’obbligo di chiedere un parere in merito ai criteri di valutazione al collegio sindacale e
al soggetto incaricato della revisione legale dei conti. Tuttavia, tale parere non è
vincolante in quanto gli amministratori possono non osservarlo dandone adeguata
motivazione nella relazione informativa che devono obbligatoriamente redigere al fine
di esporre le modalità di determinazione del valore delle quote da liquidare. In caso di
mancata informativa ai soci, difatti, è possibile ravvisare un difetto di procedimento
della deliberazione che pertanto diviene annullabile5.
Il valore delle azioni recedute deve essere comunicato, almeno 15 giorni prima
dell’assemblea relativa alla delibera di recesso, ai soci recedenti i quali possono, in caso
di disaccordo, contestare il valore di liquidazione che verrà così determinato da una
relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale.
Nelle società con azioni quotate, invece, fino alla modifica introdotta dall’art. 20
comma 3 del D.L. 91/2014, il valore di liquidazione delle azioni recedute veniva
determinato facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura
nei sei mesi che precedono la convocazione dell’assemblea. A seguito della novità
legislativa, si prevede che il valore di liquidazione possa essere determinato, oltre che
sulla base della previgente disposizione normativa, anche secondo il criterio statutario
o legale sopra descritti, purché, dall’applicazione di questi ultimi, non emerga un
valore inferiore rispetto a quello che si avrebbe calcolando la media aritmetica dei
prezzi di chiusura nei sei mesi precedenti.
Infine, per le S.r.l. il valore di liquidazione viene determinato, ex art. 2473, in
proporzione al valore di mercato del patrimonio sociale al momento della
dichiarazione di recesso. La prassi prevede quindi che gli amministratori redigano una
situazione patrimoniale straordinaria dalla quale deve emergere il valore di mercato
del patrimonio riferito al momento della comunicazione del recesso. Quest’ultimo
verrà determinato sulla base dei criteri di valutazione previsti dalla dottrina aziendale
ed, in particolare, utilizzando il modello valutativo che risulterà più idoneo rispetto
alle caratteristiche della società, al settore in cui essa opera ed alla composizione del
4 Il valore di mercato delle azioni potrà essere desunto, qualora vi siano state transazioni recenti, dal prezzo di cessione delle suddette azioni o, in alternativa, dal valore di mercato di imprese con caratteristiche analoghe ed operati nel medesimo settore. 5 Tribunale di Milano 30.4.2008
15
suo patrimonio 6 . In caso di disaccordo la relazione viene redatta da un esperto
nominato dal Tribunale.
La valutazione della quota da liquidare si basa dunque sul valore effettivo della società
e non su quello legale risultante dal bilancio di esercizio, facendo sì che il valore di
liquidazione della partecipazione risulti il più aderente possibile al suo valore di
mercato.
Tali conclusioni devono tuttavia essere verificate per la liquidazione delle quote di
partecipazioni di società degli enti locali in quanto la formazione del patrimonio
sociale può essere avvenuta con contributi o finanziamenti pubblici o con conferimenti
di reti, impianti e dotazioni patrimoniali del demanio comunale o comunque asserviti
a pubblico servizio come in appresso precisato.
5. La dismissione delle società a partecipazione locale
Molteplici e frammentari sono stati i recenti interventi legislativi volti a regolare il
fenomeno delle società partecipate dagli enti pubblici, finalizzati al perseguimento di
una progressiva riduzione di tali partecipazioni societarie.
In tal senso opera infatti l’art. 3 della legge 244/2007 che testualmente recita:
“27. Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono
costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne' assumere o mantenere
direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la
costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di
committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di
lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006,
n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi
livelli di competenza.
28. L'assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere
autorizzati dall'organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei
presupposti di cui al comma 27. La delibera di cui al presente comma è trasmessa alla sezione
competente della Corte dei conti.
29. Entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le
amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, cedono a terzi le società e le
partecipazioni vietate ai sensi del comma 27. (…)”
La ratio della norma è chiaramente desumibile dalla sentenza n. 148/2009 della Corte
Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla norma per presunta eccezione di
incostituzionalità richiesta da una Regione: “lo scopo delle norme censurate, le quali, in
considerazione del loro contenuto, sono appunto dirette ad evitare che soggetti dotati di privilegi
svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse
generale (casi compiutamente identificati dal citato art. 3, comma 27), al fine di eliminare
eventuali distorsioni della concorrenza, quindi sono preordinate a scongiurare una commistione
6 Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti, “La valutazione della partecipazione del socio recedente”
16
che il legislatore statale ha reputato pregiudizievole della concorrenza (sentenza n. 326 del
2008).
Sulla base del più recente arresto giurisprudenziale si deduce che: “ l’art. 3 comma 27
della legge 244/2007, che non si limita a regolare le società strumentali, o a ricondurle nello
schema dell’affidamento in house, ma vieta agli enti pubblici di assumere o conservare
partecipazioni azionarie quando le stesse non siano strettamente necessarie per il perseguimento
delle finalità istituzionali. Così impostata, la norma ha un’estensione molto ampia, e può essere
riferita a tutte le società partecipate, comprese quelle che si occupano di servizi di interesse
generale (ossia di servizi pubblici). La specificazione che segue immediatamente, ossia l’inciso
sull’ammissibilità delle partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale,
individua una facoltà, non un obbligo. In altri termini, la norma pone un principio (la
tendenziale coincidenza tra partecipazioni azionarie e funzioni istituzionali), ma quando si
tratta di servizi pubblici lascia alle singole amministrazioni ogni valutazione circa l’estensione
dei rispettivi interessi istituzionali, con il solo limite che non vengano superati i livelli di
competenza stabiliti dalla legge” (TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n.
1305).
Si deve concludere che le amministrazioni locali sono legittimate a detenere
partecipazioni in società di capitali unicamente nel caso in cui queste abbiano ad
oggetto: (i) la produzione di beni servizi strettamente necessari al perseguimento del
fine istituzionale dell’ente stesso; (ii) nel caso in cui la società abbia ad oggetto la
produzione di servizi di interesse generale e nei livelli di competenza degli enti locali
(rectius servizi pubblici locali). Per servizi pubblici di interesse generale deve intendersi
l’attività che, per le sue caratteristiche oggettive, riguarda un interesse diffuso nella
collettività alla continuità di tali prestazioni, alla loro effettività ed alla loro qualità
minima. Nella categoria dei servizi pubblici di interesse generale vi rientrano i servizi
pubblici locali (cfr., da ultimo, Corte dei Conti, sez. Lombardia, parere n. 506 del 27
novembre 2012). Sul punto, inoltre, si osserva che l’art. 1 della direttiva 2006/123/CE e
l’art. 14 del TFUE rimettono agli Stati membri il compito di definire, in conformità del
diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico generale
ed in che modo essi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle regole
sugli aiuti concessi dagli Stati, ed a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti.
L’espressione “servizi di interesse generale” non è presente nel trattato, ma è derivata
nella prassi comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che
invece è utilizzata nel trattato. E’ un’espressione più ampia di “servizi di interesse
economico generale” e riguarda sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le
autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi
di servizio pubblico. (cfr. Libro Verde sui servizi di interesse generale, Commissione
della Comunità Europea COM/2003/270)7.
7 Le nuove discipline dei servizi pubblici - Libro dell'anno del Diritto 2013 (2013) di Giuseppe Caia Nella materia dei servizi pubblici si registra una costante attenzione delle istituzioni comunitarie. Sul piano nazionale si segnala la scelta del legislatore italiano di consolidare la regolazione attribuendo le relative competenze ad apposite Autorità ma anche una persistente incertezza sulla disciplina dei servizi pubblici locali (nonostante gli sforzi del legislatore). (……) 1. La ricognizione Le novità intervenute e da registrare riguardano gli atti europei, le nuove norme nazionali e le posizioni della giurisprudenza sui servizi pubblici. 1.1 I servizi di interesse generale negli atti comunitari La locuzione «servizi pubblici» e l’istituto giuridico che essa identifica sono tipici dell’ordinamento italiano ed oggetto di ripetuti approfondimenti e di un dibattito non ancora pervenuto a risultati stabili1. Nel diritto
17
Per quanto attiene invece la definizione di servizi strumentali si deve fare riferimento a
due concetti distinti: da un lato un rapporto bilaterale fra il Comune e la società che si
connatura come un rapporto di appalto e non di concessione e dall’altro lato la
configurazione della società, e non del singolo servizio svolto, come strumentale.
In tale senso: “….. le società strumentali costituiscono una longa manus delle amministrazioni
pubbliche, operando essenzialmente per queste ultime e non già per la collettività, il che spiega
la deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione e trasparenza, poiché il divieto di cui
all'art. 13 in parola discende non tanto dalla partecipazione delle amministrazioni pubbliche al
capitale delle società predette, ma dall'elemento oggettivo della strumentalità, che fa di questo
tipo di persone giuridiche null'altro che una naturale proiezione delle amministrazioni
costituenti o partecipanti (Cons. Stato, V, 10 settembre 2010, n. 6527; id., 5 marzo 2010, n.
1282; id., 22 febbraio 2010, n. 1037; id., 16 gennaio 2009, n. 215; id., 14 aprile 2008, n. 1600).
Ciò posto e ricordato ancora che la qualificazione differenziale tra attività strumentale e gestione
dei servizi pubblici deve essere riferita non all'oggetto della gara, bensì all'oggetto sociale delle
imprese partecipanti ad essa, atteso che il divieto di fornire prestazioni a enti terzi, infatti,
colpisce le società pubbliche strumentali alle amministrazioni regionali o locali, che esercitano
attività amministrativa in forma privatistica, non anche le società destinate a gestire servizi
pubblici locali che esercitano attività d'impresa di enti pubblici (Cons. St., sez. V, 29 dicembre
2011, n. 6974), le stesse deduzioni dell’appellante, secondo cui Te. Am. Teramo Ambiente
S.p.A. svolge effettivamente anche servizi pubblici (come del resto confermata anche dalla
certificazione della Camera di Commercio), esclude in radice che essa possa essere considerata
una mera società strumentale del Comune di Teramo e che possa svolgere attività solo per
comunitario, viene impiegata la più ampia locuzione «servizi di interesse generale»2; in particolare, le istituzioni europee, muovendo dall’art. 14 del TFUE3 hanno formulato i seguenti concetti base, ricavabili soprattutto dalle comunicazioni della Commissione: Servizi di interesse generale (SIG): i SIG sono servizi che le Autorità pubbliche degli Stati membri considerano di interesse generale e pertanto sono oggetto di specifici obblighi di servizio pubblico (OSP). Il termine riguarda sia le attività economiche che i servizi non economici. Questi ultimi non sono soggetti ad una normativa UE specifica né alle norme del Trattato in materia di mercato interno e concorrenza. Servizi di interesse economico generale (SIEG): i SIEG sono attività economiche i cui risultati contribuiscono all’interesse pubblico generale e che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento statale o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di qualità, sicurezza, accessibilità economica, parità di trattamento o accesso universale. Servizi sociali di interesse generale (SSIG): comprendono i regimi di sicurezza sociale che coprono i rischi fondamentali dell’esistenza e una gamma di altri servizi essenziali forniti direttamente al cittadino con un ruolo preventivo e di coesione/inclusione sociale. Obbligo di servizio universale (OSU): gli OSU sono un tipo di OSP con i quali si stabiliscono le condizioni per assicurare che taluni servizi vengano messi a disposizioni di tutti i consumatori e utenti di uno Stato membro, a prescindere dalla loro localizzazione geografica, a un determinato livello di qualità e, tenendo conto delle circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile. La definizione di OSU specifici è stabilita a livello europeo come componente essenziale della liberalizzazione del mercato nel settore dei servizi, quali le telecomunicazioni, i servizi postali e i trasporti. Servizio pubblico: a livello europeo si ritiene che questa locuzione presenti ambiguità. Pertanto, si ritiene preferibile utilizzare la terminologia “servizio di interesse generale” e “servizio di interesse economico generale”, che peraltro ricomprendono il servizio pubblico in senso proprio. Da segnalare la Comunicazione della Commissione sull’applicazione delle norme dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato alla compensazione concessa per la prestazione di servizi di interesse economico generale 2012/C 8/02 dell’11.1.2012. Taluni SIEG possono essere forniti da imprese pubbliche o private senza ricevere un sostegno finanziario specifico dalle Autorità degli Stati membri; altri servizi possono invece essere prestati solo se le Autorità offrono una compensazione finanziaria al gestore. In assenza di norme specifiche dell’Unione, gli Stati membri hanno in genere la facoltà di determinare le modalità di organizzazione e di finanziamento dei loro SIEG. In relazione a ciò, la Comunicazione delinea le condizioni da rispettare affinché le compensazioni degli obblighi di servizio pubblico non costituiscano aiuti di Stato. É poi in corso l’esame della nuova proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’aggiudicazione dei contratti di concessione del 20.12.2011 - COM (2011)897 def. Si disciplinano i presupposti e le procedure per le concessioni di servizi e i limiti in cui sono ammesse le gestioni in house providing. Nulla si prevede per il modello del partenariato pubblico privato (società miste), lasciando dunque aperto il problema della identità o meno di regime rispetto alle concessioni.
18
quest’ultimo ente, circostanza che sola avrebbe potuto determinare l’illegittimità della sua
partecipazione per violazione della normativa invocata. (CDS sez. V sent n. 257/2015).
Il dato che è emerso con chiarezza è che nonostante gli enti locali abbiano provveduto
nel termine del 31.12.2010 ad effettuare la ricognizione delle società detenibili, con
riferimento alle società ritenute non più detenibili, le procedure di evidenza pubblica
per la vendita hanno dato esiti del tutto infausti.
Né gli altri istituti propri del diritto commerciale per ottenere l’exit del socio privato si
sono rilevati efficaci: si fa riferimento al recesso e all’anticipato scioglimento del
contratto sociale.
La norma è rimasta, nella maggior parte dei casi, inapplicabile.
Per ovviare a questo stato di empasse, il legislatore è intervenuto con una serie di norme
al fine di agevolare o favorire la fuoriuscita dalla società del socio ente locale.
6. Il regime speciale di exit dalle società a partecipazione pubblica locale
La prima norma emanata dal legislatore è stata il comma 569 bis dell’art. 1 della legge
147/2013, introdotto con il D.L. 78/2015 che recita:
“569. Il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre
2007, n. 244, e' prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad
ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore
della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del
codice civile.“
Con tale norma si è introdotto un nuovo regime di exit dalla società a partecipazione
pubblica che solo marginalmente può essere associato al diritto di recesso.
In primo luogo si sono riaperti i termini per effettuare la ricognizione delle società
partecipate discriminando la detenibilità secondo il disposto dell’art. 3 comma 27 della
legge 244/2007: termine portato al 31.12.2014. Entro tale data l’ente locale poteva
deliberare la detenibilità o meno della partecipazione in società. Emerge un doppio
effetto: da un lato la riapertura del termine ha avuto valenza di “sanatoria” a chi non
avesse adempiuto nei termini originari e dall’altro lato ha determinato la possibilità di
rivedere anche decisioni già assunte. La procedura indicata dalla legge prevede poi che
entro il termine riaperto debba procedersi anche al tentativo di vendita, con forme di
evidenza pubblica, come stabilisce anche lo stesso art. 3 comma 27 della legge
244/2007 (fase, peraltro, ritenuta indefettibile dalla Corte dei Conti sezione per il
controllo Marche 16/04/2014 deliberazione n. 25/2014/PAR). Vale la pena
evidenziare che se la delibera di dismissione della partecipazione fosse già stata
assunta a suo tempo e anche la procedura di vendita infruttuosa fosse anch’essa già
stata esperita allora i presupposti per l’applicazione della portata della norma sono già
perfezionati ora per allora.
Trattandosi di norma di carattere eccezionale, in quanto introduce un regime speciale
di exit dalla società, risulta necessario il rispetto della procedura presupposta per
rendere efficace la portata della norma stessa.
E’ l’effetto della norma che è del tutto innovativo in quanto si afferma che la
“partecipazione cessa ad ogni effetto” introducendo la cessazione automatica della
condizione di socio di società a fronte del quale, a compensazione della automatica
perdita di tutti i diritti di socio, rimane unicamente il diritto di credito alla liquidazione
della quota di partecipazione.
19
Liquidazione che deve avvenire secondo i criteri “stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo
comma, del codice civile.“, unico punto di contatto con il recesso del codice civile e dal
quale invece si discosta sia per la procedura che soprattutto per l’effetto. Infatti nel
recesso previsto dal codice civile non vi è una cessazione ex lege della partecipazione
ma un articolato procedimento, fra l’altro revocabile rimuovendo da parte degli altri
soci la causa che ha dato luogo al diritto di recesso, scandito da tempi e compiti fra
organi societari diversi ed infine con un esito differenziato ai fini patrimoniali. Infatti il
recesso può essere attuato con la vendita delle partecipazioni ai soci o terzi ovvero
riduzione di riserva ed infine riduzione di capitale.
L’elemento critico della norma è l’avere attribuito un automatismo alla cessazione “ad
ogni effetto”, come se decorso il termine di legge (31.12.2014), avendo esperito la
procedura di cui si è detto, anche contro la volontà dello stesso socio ente locale, egli
perde ( cessa ) la partecipazione senza più potere eccepire. Parimenti gli altri soci, la
società e gli amministratori della società sono del tutto impossibilitati ad intervenire
nel procedimento, se si esclude la determinazione del valore da liquidare, stante
l’automatismo di cui si è detto.
In merito alla norma, autorevole dottrina ha rilevato che la cessazione ad ogni effetto
significa che: “ l'amministrazione pubblica cessa di essere socia fin dal 31 dicembre 2014:
scaduto il termine finale, essa è ipso iure estromessa dall'organizzazione societaria e, medio
tempore, in attesa della liquidazione della quota, non conserva affatto i diritti sociali e le
eventuali prerogative attribuite dall'atto costitutivo (diversamente da quel che accade al socio
receduto). Per contro, scattano subito gli adempimenti pubblicitari che caratterizzano le
variazioni della compagine societaria: occorrerà procedere, per le Spa, all'annotazione a libro
soci e, per le Srl, all'iscrizione nel registro delle imprese della cessazione della partecipazione ex
articolo 1, comma 569 della legge 147/2013). La società, entro un anno dalla cessazione (quindi
entro il 31 dicembre 2015), deve procedere alla liquidazione della partecipazione «cessata» e, ai
fini della determinazione del valore, dovrà attenersi ai criteri indicati dall'articolo 2437-ter,
comma 2 del Codice civile (quindi in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle
sue prospettive reddituali nonché dell'eventuale valore di mercato) da applicarsi – stabilisce il
comma 569 – sia alle Spa sia alle Srl.” ( Davide Di Russo - “Partecipate contra legem, così i
rimborsi all’ente socio dopo la “cessazione” in il Quotidiano enti locali PA de il sole 24 ore
del 18/2/2015).
Tale norma ha subito recentemente un intervento legislativo avente portata di norma
di interpretazione autentica.
E’ stato introdotto il comma 569 bis, da parte dell’art. 7 comma che recita: “569-bis. Le
disposizioni di cui al comma 569, relativamente alla cessazione della partecipazione societaria
non alienata entro il termine ivi indicato, si interpretano nel senso che esse non si
applicano agli enti che, ai sensi dell'articolo 1, commi 611 e 612, della legge 23 dicembre 2014,
n. 190, abbiano mantenuto la propria partecipazione, mediante approvazione di apposito piano
operativo di razionalizzazione, in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di
produzione di beni e servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità
istituzionali, anche solo limitatamente ad alcune attività o rami d'impresa, e che la
competenza relativa all'approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione
societaria appartiene, in ogni caso, all'assemblea dei soci. Qualunque delibera degli
organi amministrativi e di controllo interni alle società oggetto di partecipazione che si
ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di
razionalizzazione e' nulla ed inefficace.”
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In prima lettura si evidenzia che si tratta di norma di interpretazione autentica e quindi
con efficacia retroattiva, vale a dire a valere dal 1/01/2015 e cioè dal momento in cui la
norma avrebbe esplicato gli effetti dell’exit del socio privato .
In merito alla cessazione ex lege della partecipazione, si rileva che essa è stata eliminata
in quanto:
- non opera quando l’ente locale abbia deciso, nel piano di razionalizzazione delle
società partecipate, di mantenere la partecipazione in società ed altri organismi aventi
per oggetto attività di produzione di beni e servizi indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche solo limitatamente ad
alcune attività o rami d'impresa;
- è necessaria l’approvazione del provvedimento di cessazione da parte dell’assemblea
dei soci.
Non sfugge che diventa dirimente comprendere la portata della locuzione
“approvazione da parte dell’assemblea”. Soffermandosi al tenore letterale sembra che
l’assemblea debba esprimersi con le maggioranze statutarie perché deve assumere un
atto di volontà e non meramente di ratifica o di ricognizione.
Essa dunque ha potere di sindacare il merito della richiesta di recedere. Potrà pertanto
sindacare la corretta applicazione dell’art. 3 comma 27 L.F. 2008 nel senso che potrà
eventualmente eccepire che l’oggetto della società è conforma alla disposizione di
legge e quindi non può trovare applicazione la procedura speciale di exit prevista dalla
norma in discussione, fatto salvo l’eventuale exit secondo l’ordinaria disciplina del
recesso previsto per legge e per statuto.
L’assemblea potrebbe anche eccepire la scadenza dei termini o vizi di procedura.
Su altro piano si pone invece la valutazione degli effetti patrimoniali del recesso
quando eseguibile unicamente con la riduzione del capitale della società, allorché ciò
possa configurare un danno indiretto agli altri soci. In questo caso si verrebbe a
scontrare il diritto di recedere con il diritto degli altri soci a mantenere inalterato il
patrimonio sociale: la questione non può che trovare un giusto contemperamento nella
determinazione del valore economico della quota da liquidare .
Ne consegue quindi che solamente a seguito di opportuna delibera assembleare, la
partecipazione potrà considerarsi cessata ed il Comune recedente avrà diritto alla
liquidazione del valore delle azioni.
7. Primi arresti giurisprudenziali
Si registra il primo arresto giurisprudenziale sull’art. 1 comma 569 della Legge
147/2013 ed è del TAR Lombardia sezione Brescia sez. I, 13/10/2015 n. 1305 poiché la
società alla quale era stata rivolta la richiesta di recesso ha impugnato la deliberazione
del consiglio dell’ente che aveva stabilito che la partecipazione non era più detenibile e
quindi procedeva ad uscire dalla compagine invocando la norma in discussione.
Deve precisarsi però che il giudicato non ha tenuto conto della sopravvenuta
disposizione dell’art. 1 comma 569 bis la cui portata invece appare, come precisato
precedentemente, elemento decisivo.
Tuttavia sono da tenere presente alcune precisazioni del giudice amministrativo di
prime cure.
In primo luogo si afferma che la disposizione di carattere speciale in discussione
contenuta nell’art. 1 comma 569 si applica alle società a totale partecipazione pubblica
ed anche quelle ove partecipano privati.
21
In secondo luogo il giudice rileva che se il legislatore statale non impone direttamente
l'uscita degli enti pubblici dalle società che gestiscono servizi pubblici, non esprime
nemmeno una qualche opposizione a tale ipotesi, e certamente non costringe le pp.aa.
a rimanere prigioniere delle società partecipate. Una volta che l'ente pubblico,
esercitando la propria discrezionalità, abbia qualificato come non più strategica la
presenza nel capitale di società affidatarie di servizi pubblici, si verifica una situazione
equivalente al divieto di conservare partecipazioni azionarie estranee alle finalità
istituzionali. Tale affermazione del giudice andrebbe ora rivista alla luce degli effetti
dell’approvazione del provvedimento del recesso da parte dell’assemblea dei soci.
In terzo luogo il fatto che nell'art. 1 commi 611 e 612 della l.190/2014, che contiene la
disciplina dei piani di razionalizzazione delle società a partecipazione locale, non sia
richiamata la facoltà di recedere, e di ottenere così la liquidazione delle azioni, non
sembra costituire un ostacolo all'estensione di questo strumento in via interpretativa.
A tal riguardo non sfugge che la determinazione del valore della quota da liquidare in
denaro non può seguire i normali criteri enunciati ai paragrafi precedenti.
Infatti il recesso prevede la liquidazione della quota in denaro e nel caso si debba
procedere con la riduzione delle riserve o del capitale sociale, attraverso il reperimento
delle relative risorse finanziarie da parte della società, diversamente dall’anticipato
scioglimento del contratto sociale ove invece è prevedibile anche l’assegnazione del
capitale sociale in natura ai soci.
In questo caso la società deve quindi rendere liquido il proprio patrimonio. Inoltre si
deve considerare che nelle società a partecipazione locale, soprattutto quelle che
svolgono servizi pubblici locali, il patrimonio sociale è stato costituito attraverso
finanziamenti o contributi pubblici erogati anche da soggetti non soci e comunque a
destinazione vincolato. Come peraltro non è infrequente che il patrimonio sociale sia
stato costituito con conferimento di beni mobili o immobili del demanio comunale (in
vigenza l’art. 113 comma 13 del Tuel) ovvero asserviti a pubblico servizio.
Da ciò discende che nella determinazione del patrimonio sociale per la liquidazione
della quota del socio i cespiti suddetti non potranno essere considerati in quanto:
- da un lato non oggetto di contributi o di finanziamenti del socio recedente;
- dall’altro lato segregati alla funzione strumentale per l’esercizio di pubblico
servizio. In questo caso particolare attenzione andrà posta alla liquidazione del
patrimonio quando l’ente locale recedente revoca alla società anche il servizio
pubblico di cui è titolare.
______________________________
Società: illegittime l’avanzamento di carriera se l’ente socio dispone il blocco delle
assunzioni
Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale, Sicilia, sentenza n. 244/2015
di Federica Caponi
L’inquadramento stabile di un dipendente nel livello contrattuale superiore, in
presenza di limiti a nuove assunzioni posti dall’ente locale socio, integra una condotta
obiettivamente censurabile, perché in violazione di una direttiva del socio, ma ha
compromesso, in modo irrimediabile, anche la soluzione organizzativa realizzata dalla
società con contestuale danno erariale.
22
Se infatti a seguito di tali avanzamenti di carriera la società non dimostra di aver
fornito prestazioni più altamente qualificate, questi non possono che essere considerati
strumento inidoneo per il miglioramento delle attività, quindi, solo causa di maggiori
costi.
Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizione della Sicilia,
nella sentenza in commento con la quale ha condanno gli amministratori di una società
a rifondere il danno arrecato alla stessa per aver attuato progressioni verticali di alcuni
dipendenti, nonostante l’ente socio avesse imposto il blocco delle assunzioni e un
limite al costo del personale.
Nel caso di specie, la Regione aveva costituito, unitamente alle aziende sanitarie
provinciali e le aziende ospedaliere e ospedaliero-universitarie una società interamente
pubblica, quale «strumento operativo» dei soci per l’erogazione del servizio di
trasporto per l'emergenza-urgenza.
Il Consiglio di Gestione della società dopo un anno aveva disposto in via definitiva
l’inquadramento di alcuni dipendenti nel livello contrattuale superiore.
La Procura della Corte ha ritenuto che tali avanzamenti di carriera fossero stati
illegittimamente conferiti e che i maggiori emolumenti corrisposti al personale,
beneficiario di un inquadramento più elevato di quello riconosciuto in sede di
assunzione, per un importo pari a € 455.236,01, integrassero per la società un danno
erariale e ha invitato a dedurre i membri dell’organo esecutivo.
Gli interessati hanno sostenuto, preliminarmente, il difetto di giurisdizione della corte
dei conti.
In merito alla giurisdizione contabile in materia di responsabilità degli amministratori
o degli organi di controllo delle società partecipate da enti pubblici, è necessario
ricordare quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, S.U. nella sentenza 5491/2014.
La Corte ha ribadito il principio secondo cui è competente il giudice ordinario, in
ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione
pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, se la
società è totalmente autonoma nell’effettuare le proprie scelte strategiche e gestionali e
non ha un rapporto di servizio con l'ente pubblico titolare della partecipazione.
Sussiste invece la giurisdizione della Corte dei Conti, quando il danno sia stato
prodotto dal rappresentante dell'ente socio, lo stesso ente pubblico abbia il potere
decisionale e abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio,
pregiudicando il valore della partecipazione.
La Corte dei conti quindi ha giurisdizione sull'azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori di una società partecipata quando tale azione sia diretta a far
valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio
di una società “in house”, cioè costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di
pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che
statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e
la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello
esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
Pertanto, nel caso di una società totalmente pubblica, costituita per lo svolgimento di
servizi in favore dei soci, non ci sono dubbi in merito alla competenza della Corte dei
Conti in merito al giudizio di responsabilità degli amministratori.
23
Sul merito delle questioni sollevate dalla Procura, i giudici contabili hanno chiarito che
il ricorso a delle “progressioni verticali”, in presenza di precetti dell’ente socio di
maggioranza, che ne precludevano l’effettuazione, integra una condotta
obiettivamente censurabile, che ha tra l’altro determinato stabilmente una modifica
organizzativa della società.
La Corte ha inoltre rilevato che nel caso di specie, tale nuovo assetto organizzativo, più
costoso, non ha rappresentato lo strumento essenziale ed irrinunciabile per assicurare
l’operatività della società, anzi. A seguito di tale modifica “l’oggetto sociale è stato
perseguito non diversamente da come avvenuto prima dei conferimenti delle più elevate
qualifiche (…) dunque, quelle progressioni non si ponevano come mezzo condizionante lo
svolgimento di attività altrimenti non realizzabili, tant’è che sia a monte che a valle del periodo
in cui la società si è avvalsa dei dipendenti meglio inquadrati, i servizi aziendali sono stati resi
con immutata quantità e qualità”.
Tra l’altro, la Procura ha rilevato che quello della violazione del blocco delle assunzioni
non ha costituito l’unico scostamento dall’alveo della corretta gestione, segnalando
altri aspetti della sequenza procedimentale in contrasto con precetti di riferimento.
Le progressioni di carriera sono risultate svincolate:
da qualsiasi pianificazione;
da qualsiasi regolamentazione interna.
I giudici hanno chiarito infine che a prescindere dalle censurabili modalità con le quali
sono stati realizzati tali avanzamenti di carriera, si trattava di misure organizzative
precluse dall’ente socio e
in quanto vietate, non avrebbero dovuto essere compiute e, anche laddove fossero state
poste in essere con modalità proceduralmente corrette, avrebbero mantenuto intatto il
loro disvalore ed immutata l’attitudine a cagionare un danno erariale per l’ente socio.
I profili di illegittimità che investono i conferimenti di inquadramenti più elevati sono
stati causati dalle condotte poste in essere dai rappresentanti nominati dagli enti soci
negli organi di gestione, con colpa grave.
I giudici hanno infatti rilevato che il divieto imposto dall’ente socio era inequivocabile i
soggetti coinvolti che dovevano darvi esecuzione avevano una qualificazione
professionale di livello elevato, considerato che erano stati chiamati a ricoprire uffici
apicali nell’ambito di una società neocostituita, con una cospicua dotazione organica
(oltre 3200 unità di personale) ed impegnata nella gestione di un servizio pubblico
essenziale che presentava rilevanti criticità da gestire (fra cui l’esubero di oltre 650
unità di personale).
Pertanto, il ricorso alla soluzione organizzativa degli avanzamenti di carriera disposto
in violazione di vincoli e limiti posti chiaramente dal socio è espressione di una grave
colpevolezza degli agenti, esponenti aziendali di livello apicale provvisti di elevati
requisiti di professionalità.
_______________________________
Società consortile: il sindaco non può essere presidente con deleghe gestionali
dirette
Un Sindaco ha chiesto all’Anac chiarimenti circa la possibilità di assumere l’incarico di
Presidente all’interno del CdA di una Società Consortile a responsabilità limitata il cui
comune insieme ad altri Comuni e Enti pubblici fa parte.
24
In particolare, secondo l’istante detta società non sarebbe identificabile negli “Enti di
diritto privato in controllo pubblico”, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 d.lgs. 39/2013,
atteso che non ricorrono le condizioni di soggetto sottoposto a controllo ai sensi
dell’art. 2359 c.c.
La disposizione citata definisce “enti di diritto privato in controllo pubblico”, le società
e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di
produzione di beni e servizi a favore delle p.a. o di gestione di servizi pubblici,
sottoposti a controllo ai sensi dell'articolo 2359 c.c. da parte di amministrazioni
pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle p.a., anche in assenza di una
partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.
L’Anac con il parere rif. UPAG/ AG 23/15/AC del 1° aprile 2015 ha chiarito che
sussiste una situazione di inconferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2 lettera d) del
d.lgs. 39/2013, nel caso di attribuzione della carica di Presidente, con deleghe
gestionali dirette, di una società consortile in mano pubblica di livello locale a colui che
rivesta il ruolo di Sindaco di un comune della medesima regione, socio della citata
società.
Sul punto l’Autorità si era in precedenza pronunciata con l’orientamento 19/2014
secondo cui “Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, le società consortili per azioni,
costituite ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile e dell’art. 22, comma 3, lett. e) della l. n.
142/1990, oggi trasfuso negli artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), sono ricomprese
nella categoria degli enti di diritto privato in controllo pubblico, in quanto esercitano
attività di gestione di servizi pubblici e sono sottoposte a controllo da parte di diverse
amministrazioni pubbliche” e, da ultimo, con l’orientamento 79/2014 in base al quale
“Ai fini dell’applicazione del d.lgs. n. 39/2013, sono annoverabili nella categoria degli “enti di
diritto privato in controllo pubblico” le società e gli altri enti di diritto privato che esercitano le
funzioni elencate nell’art. 1, comma 2, lettera c) del citato decreto e in cui, alternativamente, le
pubbliche amministrazioni esercitano un controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. oppure hanno il
potere di influire fortemente sull’attività dell’ente, attraverso il potere di nomina dei vertici o dei
componenti degli organi dell’ente”.
Le disposizioni richiamate fondano, quindi, la sussistenza dell’annoverabilità di tale
società consortile nella categoria dell’ente di diritto privato in controllo pubblico di cui
all’art. 1, comma 2 lettera c) del d.lgs. 39/2013, dal momento che secondo lo statuto la
società esercita funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a
favore di pubbliche amministrazioni e i soci (soggetti pubblici al 98% della Società)
hanno poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi della medesima
Società.
Relativamente all’incarico di Presidente della società che comporti deleghe gestionali
dirette, ai sensi del citato articolo 1, comma 2 lettera l) del d.lgs. 39/2013 , l’Autorità ha
chiarito che la definizione di tale figura si riferisce alla carica ricoperta dal Presidente a
cui sono state conferite le suddette deleghe direttamente dal consiglio di
amministrazione dell’ente, salvo quanto previsto dallo Statuto (orientamento
106/2014) e che sussiste inconferibilità tra l’incarico politico e quello Presidente con
deleghe gestionali dirette qualora sia attribuita la rappresentanza in giudizio dell’ente
(orientamento 128/2014).
Previsione, nel caso di specie, contemplata dallo statuto della società, il quale
attribuisce la rappresentanza legale della società di fronte a qualunque autorità
25
giudiziaria e amministrativa e di fronte a terzi, nonché la firma sociale, al Presidente
che, ove autorizzato, può nominare procuratori speciali e mandatari per determinati
atti o categorie di atti e nominare procuratori alle liti.
Quanto al requisito previsto dall’articolo 7, comma 2 del d.lgs. n. 39/2013 consistente
nell’esser stato, nell’anno precedente, componente della giunta di un amministrazione
locale, nel caso di specie, rilevava il fatto che l’istante fosse sindaco in carica e quindi
che, in prima battuta, poteva ritenersi non applicabile l’ipotesi prospettata.
Tuttavia, considerato che la finalità della norma è quella di garantire la massima
imparzialità e la mancanza di una situazione di conflitti di interesse in capo a coloro
che ricoprono o saranno chiamati a ricoprire incarichi “amministrativi”, qualora si
aderisse ad un’interpretazione letterale della stessa, nel senso di limitare
l’inconferibilità solo a coloro che nell’anno precedente erano titolari di cariche
politiche, tale finalità verrebbe ad essere elusa.
Per tale ragione la corretta interpretazione, già assunta in casi analoghi dall’Autorità, è
quella di equiparare, ai fini dell’applicabilità di tali situazioni di inconferibilità, coloro
che attualmente rivestono una carica politica a coloro che nell’anno precedente o nei
due anni precedenti ricoprivano tale cariche nelle amministrazioni locali che
conferiscono l’incarico.
Circa, infine, il presupposto “dell’amministrazione locale che conferisce l’incarico”,
previsto dall’art. 7, comma 2 del d.lgs. 39/2013, l’Autorità ha chiarito che sussiste
inconferibilità anche nel caso in cui l’incarico di amministratore di ente di diritto
privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione
superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni aventi la medesima
popolazione, sia stato conferito da un organo dell’ente di diritto privato in controllo
pubblico da parte di una regione, di una provincia o di un comune e non direttamente
dall’ente locale (orientamento n. 100 del 21 ottobre 2014).
__________________________________
Riforma Madia: le norme di interesse per gli enti locali
Legge 7 agosto 2015, n. 124
di Federica Caponi
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 187 del 13 agosto 2015, la legge 124/2015 concernente
“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrata
in vigore il 28 agosto 2015.
Deleghe per la semplificazione normativa
Art. 16 - Procedure e criteri comuni per l'esercizio di deleghe legislative di
semplificazione
Saranno adottati decreti legislativi di semplificazione dei seguenti settori, secondo
quanto previsto nei successivi artt. 17-19:
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di
organizzazione amministrativa;
partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche;
servizi pubblici locali di interesse economico generale.
26
Inoltre, è stata prevista anche l’adozione di appositi d.p.r. di attuazione dei decreti
legislativi
Art. 17 - Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche
I decreti legislativi per il riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche e connessi profili di organizzazione amministrativa
dovranno essere adottati entro diciotto mesi, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
previsione nelle procedure concorsuali pubbliche di meccanismi di valutazione
finalizzati a valorizzare l'esperienza professionale acquisita da coloro che hanno
avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni pubbliche, con
esclusione, in ogni caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione
degli organi politici e ferma restando, comunque, la garanzia di un adeguato
accesso dall'esterno;
previsione di prove concorsuali che privilegino l'accertamento della capacità dei
candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni
teoriche;
svolgimento dei concorsi, per tutte le amministrazioni pubbliche, in forma
centralizzata o aggregata;
gestione dei concorsi per il reclutamento del personale degli enti locali a livello
provinciale;
definizione di limiti assoluti e percentuali, in relazione al numero dei posti banditi,
per gli idonei non vincitori;
riduzione dei termini di validità delle graduatorie;
per le amministrazioni pubbliche e aventi graduatorie in vigore alla data di
approvazione dello schema di decreto legislativo, introduzione di norme
transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi
pubblici;
soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai
concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni;
previsione dell'accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue,
quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle
commissioni giudicatrici;
valorizzazione del titolo di dottore di ricerca;
introduzione di un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di
indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la
programmazione delle assunzioni;
rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici;
riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle
assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici;
definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli
effettivi fabbisogni;
istituzione di una Consulta nazionale per garantire un'efficace integrazione
nell'ambiente di lavoro delle persone con disabilità
27
disciplina delle forme di lavoro flessibile, con individuazione di limitate e tassative
fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità del rapporto di
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e con le esigenze
organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di prevenire il precariato;
previsione della facoltà, per le amministrazioni pubbliche, di promuovere il
ricambio generazionale mediante la riduzione su base volontaria e non revocabile
dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere
collocato a riposo, garantendo, attraverso la contribuzione volontaria, la possibilità
di conseguire l'invarianza della contribuzione previdenziale, consentendo nel
contempo, l'assunzione anticipata di nuovo personale, nel rispetto della normativa
vigente in materia di vincoli assunzionali;
progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni,
fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità;
semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici;
riduzione degli adempimenti in materia di programmazione anche attraverso una
maggiore integrazione con il ciclo di bilancio;
coordinamento della disciplina in materia di valutazione e controlli interni;
introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici
dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di
espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare;
rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e
gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, attraverso
l'esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile
per l'attività gestionale;
razionalizzazione dei flussi informativi dalle amministrazioni pubbliche alle
amministrazioni centrali e concentrazione degli stessi in ambiti temporali definiti;
riconoscimento alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e
di Bolzano della potestà legislativa in materia di lavoro del proprio personale
dipendente;
previsione della nomina di un responsabile dei processi di inserimento dei disabili,
da parte delle amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, senza
maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse disponibili.
E’ stato modificato il comma 9 dell’articolo 5 del d.l. 95/2012, stabilendo che è fatto
divieto alle p.a. inserite nel conto economico consolidato pubblicato dall’Istat, nonché
alle autorità indipendenti di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già
lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.
A tali amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi
dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle p.a. e degli enti e società da
esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei
componenti o titolari degli organi elettivi.
Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni sono comunque consentiti a titolo gratuito.
Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può
essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna
amministrazione.
Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati
dall'organo competente dell'amministrazione interessata.
28
Art. 18. Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle
amministrazioni pubbliche
Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni
societarie delle amministrazioni pubbliche sarà adottato al fine prioritario di assicurare
la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione
della concorrenza, prevedendo, tra l’altro:
la distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi
pubblici di riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura
diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza
pubblica dell'affidamento;
ai fini della razionalizzazione e riduzione delle partecipazioni pubbliche, la
ridefinizione della disciplina, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di
società, l'assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da parte delle
p.a.;
la precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle
amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di
controllo delle società partecipate;
la definizione della corretta gestione delle risorse e della salvaguardia
dell'immagine del socio pubblico;
la razionalizzazione dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del
personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzati al
contenimento dei costi;
promozione della trasparenza e dell'efficienza attraverso l'unificazione, la
completezza e la massima intelligibilità dei dati economico-patrimoniali e dei
principali indicatori di efficienza, nonché la loro pubblicità e accessibilità;
attuazione del consolidamento dei bilanci delle partecipazioni coi bilanci degli enti
proprietari;
possibilità di piani di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale
commissariamento;
regolazione dei flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione
pubblica e società partecipate secondo i criteri di parità di trattamento tra imprese
pubbliche e private e operatore di mercato;
con riferimento alle società partecipate dagli enti locali:
1) per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative,
definizione di criteri e procedure per la scelta del modello societario;
2) per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale,
individuazione di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio che
comportino obblighi di liquidazione delle società;
3) rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di
qualità, efficienza, efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione
dell'entità e del numero delle partecipazioni e l'incentivazione dei processi di
aggregazione;
4) promozione della trasparenza mediante pubblicazione, nel sito internet degli
enti locali e delle società partecipate interessati, dei dati economico-patrimoniali
e degli indicatori di efficienza;
29
5) introduzione di un sistema sanzionatorio per la mancata attuazione dei princìpi
di razionalizzazione e riduzione, basato anche sulla riduzione dei trasferimenti
dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle disposizioni in
materia;
6) introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti a favorire la tutela dei livelli
occupazionali nei processi di ristrutturazione e privatizzazione relativi alle
società partecipate;
7) revisione degli obblighi di trasparenza e di rendicontazione delle società
partecipate nei confronti degli enti locali soci, attraverso specifici flussi
informativi che rendano analizzabili e confrontabili i dati economici e
industriali del servizio.
Art. 19. Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico
generale
Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali
di interesse economico generale sarà adottato nel rispetto dei seguenti princìpi:
individuazione da parte degli enti locali, quale propria funzione fondamentale,
delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di
assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali;
soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai princìpi generali in materia
di concorrenza;
individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e
organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale;
definizione dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica;
individuazione, anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della
concorrenza nel mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della
gestione dei servizi;
introduzione di incentivi e meccanismi di premialità o di riequilibrio economico-
finanziario nei rapporti con i gestori per gli enti locali che favoriscono
l'aggregazione delle attività e delle gestioni secondo criteri di economicità ed
efficienza;
individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari;
revisione delle discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e
coordinamento con la disciplina generale in materia di modalità di affidamento
dei servizi;
previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le
funzioni di gestione dei servizi;
revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti;
definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di
violazione della disciplina in materia;
definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di
servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte
degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio tipo per
ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale.
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_____________________________
Legge stabilità 2015: le novità per gli enti locali e gli organismi partecipati
Legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge Stabilità 2015)
di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 300 del 29 dicembre 2014 la legge di stabilità 2015
(legge 190/2014) che ha modificato numerose disposizioni in materia di:
Organismi partecipati
Comma 609 – Ato dei servizi pubblici locali a rete
Al fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale
dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (acqua, gas e rifiuti) la legge di
stabilità ha modificato il comma 1 –bis dell'articolo 3-bis del d.l. 138/2011.
La novellata disposizione prevede che spettano unicamente agli enti di governo degli
ATO (ambiti territoriali ottimali e omogenei), cui gli enti locali partecipano
obbligatoriamente, le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di
rilevanza economica (compresi i rifiuti urbani), di scelta della forma di gestione, di
determinazione delle tariffe, di affidamento della gestione e relativo controllo.
Qualora gli enti locali non aderiscano a tali enti entro il 1º marzo 2015 o entro sessanta
giorni dall'istituzione o designazione dell'ente di governo (ex comma 2, art. 13 d.l.
150/2013), il Presidente della regione dovrà esercitare i poteri sostitutivi, previa diffida
all'ente locale ad adempiere entro trenta giorni.
Gli enti di governo degli ATO dovranno pubblicare la relazione che dia conto delle
ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma
di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio
pubblico, indicando le compensazioni economiche se previste (ex comma 20, art. 34 d.l.
179/2012).
La relazione dovrà essere allegata alla deliberazione con cui verrà disposto
l’affidamento, senza necessità di ulteriori deliberazioni (né preventive, né successive),
da parte degli enti locali aderenti. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi
infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione dovrà
comprendere un piano economico-finanziario che contenga anche la proiezione, per il
periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei
relativi finanziamenti, con la specificazione, nell'ipotesi di affidamento in house,
dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e
dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio.
Il piano economico-finanziario dovrà essere asseverato da un istituto di credito o da
società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso e iscritte nell'albo degli
intermediari finanziari o da una società di revisione.
Nel caso di affidamento in house, gli enti locali proprietari procederanno,
contestualmente all'affidamento, all’accantonamento pro quota nel primo bilancio
utile, e successivamente ogni triennio, di una somma pari all'impegno finanziario
corrispondente al capitale proprio previsto per il triennio nonché a redigere il bilancio
consolidato con il soggetto affidatario in house.
31
E’ stato anche inserito il comma 2-bis al citato articolo 3-bis del d.l. 138/2011.
La nuova disposizione stabilisce che l’operatore economico, che subentri al
concessionario iniziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure
trasparenti, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste.
In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto competente dovrà
accertare la persistenza dei criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di
equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro
rideterminazione, anche tramite l'aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di
alcune delle concessioni in essere, previa verifica del rendimento della concessione, del
prezzo e dei rischi connessi alle condizione del mercato (ex art. 143, comma 8, d.lgs.
163/2006), oltre che facendo riferimento al programma degli interventi definito a
livello di ATO.
Inoltre, è stato novellato il comma 4 della stessa disposizione.
La nuova norma stabilisce che i finanziamenti relativi ai servizi pubblici locali a rete di
rilevanza economica, concessi a qualsiasi titolo, saranno attribuiti agli enti di governo
degli ATO o ai relativi gestori del servizio a condizione che tali risorse siano aggiuntive
o a garanzia dei piani di investimento approvati.
Tali risorse saranno prioritariamente assegnate ai gestori selezionati tramite procedura
di gara ad evidenza pubblica o di cui comunque l’ATO attesti l'efficienza gestionale e
la qualità del servizio reso sulla base dei parametri stabiliti o che abbiano deliberato
operazioni di aggregazione societaria.
E’ stato aggiunto il comma 4-bis, che prevede che le spese in conto capitale, ad
eccezione di quelle per l’acquisto di partecipazioni, effettuate dagli enti locali con i
proventi derivanti dalla dismissione totale o parziale, anche a seguito di quotazione, di
partecipazioni in società, individuati nei codici del SIOPE E4121 e E4122 (alienazione
di partecipazioni societarie e alienazione di titoli di Stato) e i medesimi proventi sono
esclusi dal patto di stabilità interno.
Infine, è stato aggiunto il comma 6-bis, il quale stabilisce che si applicano anche al
settore dei rifiuti urbani e ai settori sottoposti alla regolazione ad opera di un'autorità
indipendente le norme contenute nell’articolo 3-bis e le altre disposizioni, comprese
quelle di carattere speciale, in materia di servizi pubblici locali a rete di rilevanza
economica.
Comma 610 – Cooperative sociali di tipo b)
E’ stato modificato il comma 1 dell'articolo 5 della legge 381/1991.
Tale disposizione disciplina la possibilità per gli enti pubblici (compresi quelli
economici), e le società partecipate di stipulare convenzioni con le cooperative sociali
di tipo b) [ex art. 1, comma 1, lett. b), legge 381/1991] per la fornitura di beni e servizi
diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, di importo inferiore a € 207.000, purché tali
convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone
svantaggiate.
La legge di stabilità ha previsto che tali convenzioni possano essere stipulate “previo
svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza,
di non discriminazione e di efficienza”.
E’ opportuno ricordare che la disciplina contenuta nel citato articolo 5 è stato
considerato dalla giurisprudenza maggioritaria avente “carattere assolutamente
32
eccezionale” e il rinvio allo strumento della convenzione “non può consentire una completa
deroga al generale obbligo di confronto concorrenziale in caso di utilizzo di risorse pubbliche per
l'individuazione di un soggetto privato cui affidare lo svolgimento di servizi pubblici, per cui
occorre il ricorso ad un confronto nel rispetto dei principi generali della trasparenza e della par
condicio” (Tar Lazio, sez. III quater, sent. 11093/2008).
Infine, è opportuno ricordare che anche l’Avcp è intervenuta più volte, e in particolare
con la determinazione n. 3 del 1° agosto 2012, concernente “Linee guida per gli
affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991”, in cui
ha dettato indicazioni operative sugli affidamenti alle cooperative sociali di tipo b), alla
luce di una sempre maggiore volontà, a livello nazionale ed europeo, di dare
attenzione all’integrazione di aspetti sociali nella contrattualistica pubblica.
Commi 611/614 – Piano di razionalizzazione delle società
La norma, preliminarmente, ha ribadito che gli enti locali (ex art. 3, commi 27-29, legge
244/2007 e art. 1, comma 569, legge 147/2013):
possono mantenere o costituire società partecipate esclusivamente per lo
svolgimento di attività di produzione di beni e di servizi strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali;
devono autorizzare l’assunzione di nuove partecipazioni con delibera consiliare
che deve essere inviata alla competente sez. reg. di controllo della corte dei
conti;
dovevano autorizzare, sempre con delibera consiliare, il mantenimento delle
partecipazioni in essere entro il 31 dicembre 2010 e poi nuovamente entro il 31
dicembre 2014, atto da inviarsi anch’esso alla competente sez. reg. di controllo
della corte dei conti;
dovevano deliberare entro il 31 dicembre 2014 la cessione a terzi delle società e
delle partecipazioni vietate. Decorso tale termine, la partecipazione non
alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto ed entro
il 31 dicembre 2015 la società liquiderà in denaro il valore della quota del socio
cessato, considerato il valore di liquidazione determinato dagli amministratori,
sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione
legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle
sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni
(ex art. 2437-ter, comma 2, c.c.).
In base a tale premesse, la disposizione in commento ha stabilito che gli enti locali (e le
regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria
pubblici e le autorità portuali) dal 1º gennaio 2015, devono avviare un processo di
razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o
indirettamente possedute, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica,
il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela
della concorrenza e del mercato.
Tali interventi di razionalizzazione devono portare a una la riduzione delle società
entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:
33
a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al
perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in
liquidazione o cessione;
b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un
numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività
analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici
strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle
funzioni;
d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli
organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso
la riduzione delle relative remunerazioni.
Il comma 612 ha stabilito che spetta ai presidenti delle regioni, ai presidenti delle
province e ai sindaci definire e approvare, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo
di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie, le modalità e i tempi
di attuazione, nonché l'esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire.
Tale piano, corredato da una relazione tecnica, dovrà essere trasmesso alla competente
sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicato nel sito internet
istituzionale dell’ente.
Entro il 31 marzo 2016, i presidenti e i sindaci coinvolti dovranno predisporre una
relazione sui risultati conseguiti e anche questa relazione dovrà essere trasmessa alla
competente sezione regionale di controllo della corte dei conti e pubblicata nel sito
dell’ente.
Il legislatore ha precisato che la pubblicazione del piano e della relazione costituisce
obbligo di pubblicità ai sensi del d.lgs. 33/2013.
Il comma 613 ha stabilito che le deliberazioni di scioglimento, di liquidazione e gli atti
di dismissione di società costituite o di partecipazioni societarie acquistate per espressa
previsione normativa sono disciplinati unicamente dalle disposizioni del codice civile
e, in quanto incidenti sul rapporto societario, non richiedono né l'abrogazione né la
modifica della previsione normativa originaria.
Il comma 614 ha previsto che per quanto riguarda le decisione in merito alla
razionalizzazione delle società, definite nei piani operativi, si dovrà tener conto delle
disposizioni che disciplinano la mobilità del personale tra società (ex art. 1, commi 563-
568-ter, legge 147/2013), e lo speciale regime fiscale per le operazioni di scioglimento e
alienazione.
Nell’attuazione dei piani di razionalizzazione deliberati entro il 31 dicembre 2015 si
applica la disciplina contenuta nel comma 568-bis dell'articolo 1 della legge 147/2013.
Tale disposizione ha stabilito che gli enti locali e le società controllate possono
procedere:
a) allo scioglimento di società o aziende speciali. Se lo scioglimento è deliberato non
oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere sono esenti da
imposizione fiscale, incluse le imposte sui redditi e l’imposta regionale sulle attività
produttive, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto. Le imposte di registro,
ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa. In tal caso, i dipendenti in organico
34
al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle procedure di mobilità tra società
previste di cui ai commi da 563 a 568 della legge di stabilità 2014.
Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze
realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del
reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili
nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi;
b) all’alienazione delle partecipazioni detenute, a condizione che questa avvenga con
procedura a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per
cinque anni a decorrere dal 1º gennaio. In caso di società mista, al socio privato
detentore di una quota di almeno il 30% deve essere riconosciuto il diritto di
prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività
produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore
della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono
realizzate e nei quattro successivi.
Comma 615 – Affidamento diretto del servizio idrico
E’ stato novellato il secondo periodo del comma 1 dell'articolo 149-bis del d.lgs.
152/2006.
La nuova disposizione stabilisce che l’ATO, nel rispetto del piano d'ambito e del
principio di unicità della gestione, deve deliberare la forma di gestione fra quelle
previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento
del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.
L’affidamento diretto del servizio idrico, pertanto, può avvenire a favore di società
interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo
per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito.
Comma 616 – Scioglimento società e aziende speciali
Come già in precedenza anticipato, è stato modificato il comma 568-bis dell’articolo 1
della legge di stabilità 2014.
La nuova disposizione stabilisce che gli enti locali e le società da esse controllate
direttamente o indirettamente possono procedere:
a) allo scioglimento delle società o aziende speciali controllate. Se lo scioglimento è
deliberato non oltre il 31 dicembre 2015, gli atti e le operazioni posti in essere in
seguito allo scioglimento sono esenti da imposizione fiscale, incluse le imposte sui
redditi e l’imposta regionale sulle attività produttive, ad eccezione dell’iva. Le
imposte di registro, ipotecarie e catastali si applicano in misura fissa.
In tal caso, i dipendenti in servizio al 31 dicembre 2013 sono ammessi di diritto alle
procedure di mobilità per le società disciplinate dai commi 563-568 della citata legge
147/2013.
Ove lo scioglimento riguardi una società controllata indirettamente, le plusvalenze
realizzate in capo alla società controllante non concorrono alla formazione del
reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili
nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi;
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b) all’alienazione delle partecipazioni, a condizione che questa avvenga con procedura
a evidenza pubblica e alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni a
decorrere dal 1º gennaio 2014.
In caso di società mista, al socio privato detentore di una quota di almeno il 30%
deve essere riconosciuto il diritto di prelazione. Ai fini delle imposte sui redditi e
dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla
formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono
deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi.
Società pubbliche: in caso di nuove assunzioni è competente il giudice del lavoro
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5944 del 1° dicembre 2014
Le società di capitali, benché interamente pubbliche, seppure soggette a discipline
particolari per determinati aspetti e a determinati fini per tutelare interessi di natura
pubblica, sono assoggettate alla disciplina privatistica del diritto societario.
Pertanto, le società interamente partecipate dagli enti locali restano pur sempre società
di capitali, anche se fortemente caratterizzate da peculiari aspetti.
Nel caso in cui una società interamente pubblica attui una procedura pubblica per
l’assunzione di nuovo personale non sussiste la riserva della giurisdizione del giudice
amministrativo.
La competenza del giudice amministrativo “in materia di procedure concorsuali per
l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, di cui all’articolo 63, comma 4,
d.lgs. 165/2001, sussiste solo nel caso in cui le procedure sia attuate da una p.a. di cui
all’articolo 1, comma 2, del citato decreto.
L’obbligo di adottare “criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi”, di cui all’articolo 18, comma 2, d.l. 112/2008, si inserisce
pur sempre nell’agire jure privatorum della società, senza comportare esercizi di
pubbliche potestà e senza incidere sulla giurisdizione.
Questi i principi ribaditi dal Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, con la
quale ha rigettato il ricorso promosso da una signora per l’annullamento della sentenza
del Tar Lazio che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo in merito all’impugnazione dell’avviso pubblico con cui una società di
capitali, interamente partecipata da un comune, aveva indetto una selezione per
l’assunzione di nuovi dipendenti.
E’ necessario, infatti, ricordare che la riserva della giurisdizione del giudice
amministrativo in materia di procedure concorsuali, ex articolo 63, comma 4, d.lgs.
165/2001, presuppone l’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico, seppure
contrattualizzato, alle dipendenze di una p.a., fattispecie che non può configurarsi in
presenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, benché il
capitale sia interamente pubblico.
Il Consiglio di Stato ha ribadito il principio sancito dalla Corte dei Cassazione, S.U.
nella sentenza 28329/2011.
Alle società di capitali, non essendo qualificabili come organismi di diritto pubblico,
non è applicabile il d.lgs. 165/2001 e, pertanto, in merito alle procedure selettive da
queste indette sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.
I magistrati amministrativi hanno chiarito che:
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le società di capitali, benché interamente partecipate dagli enti locali, hanno natura
privata e non sono annoverabili tra le p.a. cui all’articolo 1, comma 2, del citato
d.lgs. 165/2001;
la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 2, c.p.a. presuppone in
ogni caso la riconducibilità dell’atto, del provvedimento o del comportamento,
all’esercizio di un potere pubblico, che non è configurabile quando una società di
capitali assume nuovo personale, anche se attua procedure selettive che rispettano i
principi di trasparenza e imparzialità tipiche di una p.a.;
il vincolo disciplinato dall’art. 18, comma 2, del d.l. 112/2008, che impone alle
società a partecipazione pubblica totale o di controllo di adottare “con propri
provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli
incarichi nel rispetto dei principi, anche di natura comunitaria, di trasparenza, pubblicità ed
imparzialità”, si inserisce in ogni caso nell’agire jure privatorum delle società
(essendo espressione dei più generali principi di comportamento secondo buona
fede, oggettiva e soggettiva), senza necessariamente comportare esercizio di
pubbliche potestà e senza incidere direttamente sulla giurisdizione;
la giurisdizione del giudice amministrativo presuppone la finalità dell’instaurazione
di un rapporto di lavoro pubblico, seppure contrattualizzato, alle dipendenze di una
pubblica amministrazione e non può neppure ipotizzarsi in relazione all’insorgenza
di un rapporto di lavoro privato alle dipendenze di una società privata.
la natura di organismo di diritto delle società interamente pubbliche è rilevante ai
soli fini dell’aggiudicazione degli appalti pubblici.
__________________________
In house: legittimi gli affidamenti diretti di servizi, sia pubblici che strumentali
Tar Puglia - Lecce, sez. II, sentenza 2986/2014
di Federica Caponi
Il vincolo dell’affidamento di servizi strumentali tramite gara, disciplinato dall’articolo
4, comma 7, del d.l. 95/2012, è derogabile in quanto l'affidamento diretto può avvenire
a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti
dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house.
Questo il principio sancito dal Tar Puglia nella pronuncia in commento, con la quale ha
respinto il ricorso presentato da una società che aveva impugnato l’atto del Direttore
Generale di una Asl, con il quale era stato disposto l’affidamento diretto a una società
in house della gestione del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della
azienda sanitaria.
La ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità di tale scelta gestionale in ragione del
(supposto) divieto di costituzione di società strumentali in house introdotto
dall'articolo 4 del d.l. 95/2012 e del divieto disciplinato dal comma 7 del citato articolo
4 che impone l’affidamento dei servizi strumentali tramite gara dal 1° gennaio 2014.
I giudici amministrativi hanno precisato che l’articolo 4 del d.l. 95/2012, dispone che al
fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli
operatori nel territorio nazionale, dal 1° gennaio 2014 le p.a., le stazioni appaltanti, gli
enti aggiudicatori e i soggetti aggiudicatori di cui al d.lgs. 163/2006, devono acquisire
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sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure
concorrenziali.
La norma, che enuncia il principio dell’evidenza pubblica, è tuttavia derogata dal
successivo comma 8, secondo cui “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può
avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti
richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house”.
Il Tar ha chiarito che le p.a. possono ricorrere al modello dell’in house per la gestione
dei propri servizi strumentali anche dopo la sentenza della Corte costituzionale
229/2013 che ha reso inapplicabile alle Regioni a statuto ordinario il comma 8
dell'articolo 4 del d.l. 95/2012. L’immediata applicabilità erga omnes delle sentenze
della Corte di giustizia, infatti, con riguardo all’affermazione dei principi e
all’interpretazione, rende pleonastica tale norma, poiché quanto dalla stessa disposto
sarebbe stato egualmente desumibile, pure in sua assenza, dai principi comunitari in
materia.
Infine, il Tar ha chiarito, nel caso di affidamento a un nuovo gestore del servizio, è
legittima la decisione della p.a. di prevedere l'assunzione a tempo indeterminato del
personale utilizzato dai precedenti gestori del servizio.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 68/2011, ha chiarito che in tale fattispecie,
l’assunzione a tempo indeterminato non può riguardare in modo automatico e
generalizzato tutti i lavoratori transitati, compresi quelli assunti con contratto a
termine, ma solo quelli già assunti a tempo indeterminato dal precedente gestore, non
creando nuovi diritti, ma conservando solo quelli esistenti.
In tal caso, inoltre, secondo il Tar non c’è violazione dei principi del pubblico concorso
e del buon andamento, ma mero rispetto delle garanzie dei diritti dei lavoratori
previste dalla legge e dai contratti collettivi per le ipotesi di subentro nell’appalto e di
trasferimento d’azienda.
La clausola sociale, anche nota come clausola di «protezione» o di «salvaguardia»
sociale o «clausola sociale di assorbimento», è un istituto previsto dalla contrattazione
collettiva e da specifiche disposizioni legislative statali, quali ad es. l’articolo 69 del
d.lgs. 163/2006, che opera nell’ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di imprese o
società appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità del servizio e
dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario.
La conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda è prevista
dalla Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE e dall’articolo 2112 c.c., la cui applicabilità,
ricorrendo determinate condizioni, è stata estesa dalla giurisprudenza ai casi in cui il
trasferimento derivi non da un contratto fra cedente e cessionario, ma da un atto
autoritativo della p.a., come chiarito anche dalla Corte di Cassazione, sez. lav., nelle
sentenze 21023/2007, 5708/2009 e 21278/2010).
Infine, il Tar ha precisato che l’istituto dell’in house, più che un’eccezione al diritto
comunitario degli appalti e delle concessioni, è espressione di un principio generale
riconosciuto sia dal diritto dell’Unione, che dall’ordinamento nazionale, cioè quello
dell'auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, in forza del
quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno per
offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalità
istituzionali.
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L’affidamento diretto, “in house, lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e
residuale di gestione dei servizi pubblici locali costituisce invece una delle (tre) normali forme
organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta
gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell’affidamento diretto, in
house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti così come sopra ricordati e delineatisi per effetto
della normativa comunitaria e della relativa giurisprudenza), costituisce frutto di una scelta
ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di
convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice
amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza,
irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico
travisamento dei fatti” (Cons. St., sez. V, 4599/2014; Cons. St., sez. V, 4832/2013; Cons.
St., sez. VI, 762/2013).
Tali principi, benché riferiti alla materia dei servizi pubblici locali, secondo il Tar, ben
possono essere estesi anche ai servizi strumentali, in quanto siamo sempre di fronte
alla scelta di una p.a. di autoprodurre servizi strettamente necessari al perseguimento
delle proprie finalità istituzionali, considerato che il modello dell’in house providing
nasce a livello comunitario proprio come alternativa all’appalto di servizi (Corte di
Giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98).
Pertanto, anche nel caso di specie, l’opzione tra in house providing e outsourcing
costituisce una scelta discrezionale fra modelli organizzativi alternativi, che l’azienda è
chiamata a operare entro margini di autonomia pienamente riconosciuti
dall’ordinamento comunitario e la motivazione addotta dalla Asl, a fondamento della
propria scelta gestionale (maggiore convenienza economica della gestione in house
rispetto all’acquisizione del servizio sul mercato, con un risparmio previsto di circa
300.000 euro) è stata ritenuta dal Tar logica, razionale e adeguata.
Infine, la mancata contestualità tra scelta della gestione in house e l’approvazione del
disciplinare non appare idonea a determinare l’illegittimità dell’atto impugnato, in
quanto la decisione dell’Azienda di differire l’adozione del disciplinare in prossimità
del concreto affidamento del servizio appare, nella specie, giustificata dal processo di
riorganizzazione in atto.
Pertanto, il Tar ha respinto il ricorso presentato dalla società e ha dichiarata legittimo
l’atto del direttore generale che aveva disposto l’affidamento diretto di alcuni servizi
strumentali alla società in house dell’azienda sanitaria.
______________________
La riscossione dei tributi è un servizio pubblico locale
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5284 del 27 ottobre 2014
di Federica Caponi
La riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di un'attività di servizio
pubblico, pertanto, la decisione in merito alla modalità di gestione è di competenza del
Consiglio Comunale, afferendo alla materia dell’organizzazione di un servizio
pubblico ex art. 42, comma 2, lett. e) del d.lgs. 267/2000.
Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, con la
quale ha respinto il ricorso presentato da un Comune avverso la decisione del Tar che
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aveva riconosciuto la titolarità della società già concessionaria del servizio di
riscossione alla prosecuzione diretta del rapporto concessorio con l'ente locale.
Nel caso di specie, un Comune aveva deliberato l’esternalizzazione della gestione delle
proprie entrate mediante affidamento del servizio di riscossione a mezzo ruolo, a una
società per azioni.
Dopo l’entrata in vigore della legge 248/2005, l’ente aveva preso atto del trasferimento
da parte della società del ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di
concessione per conto dei comuni e del possesso in capo alla cessionaria del necessario
requisito di iscrizione all'apposito albo e aveva affidato la gestione della riscossione
volontaria e coattiva delle proprie entrate a quest'ultima.
Successivamente, con la deliberazione consiliare era stato approvato il Regolamento
per la disciplina generale delle entrate comunali, in cui era tra l'altro previsto che
l'esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dei tributi fosse riservato al
funzionario responsabile di ciascun tributo, designato dalla Giunta comunale.
In applicazione di tali disposizioni e in assenza di un'espressa deliberazione del
Consiglio in ordine alla modifica della modalità di gestione del servizio di
accertamento e riscossione con il passaggio al modello della gestione diretta, il
funzionario responsabile del Servizio finanziario con determinazione aveva indetto
una procedura di selezione per l'affidamento del servizio triennale di riscossione delle
entrate comunali ad un soggetto terzo.
Avverso tale decisione l’uscente concessionaria aveva proposto ricorso al Tar che lo
aveva accolto.
Il Comune ha quindi impugnato la pronuncia di fronte al Consiglio di Stato.
L’articolo 3, comma 24, della legge 248/2005, nel riformare il sistema di riscossione dei
tributi statali attraverso la creazione di una società a totale capitale pubblico
(Riscossione s.p.a. in seguito denominata Equitalia s.p.a.), ha disciplinato il periodo
transitorio prevedendo che “fino al momento dell'eventuale cessione (…) del proprio capitale
sociale alla Riscossione s.p.a. (…) le aziende concessionarie possono trasferire ad altre società il
ramo d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali,
nonché a quelle di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446.
In questo caso:
a) fino al 31 dicembre 2010 ed in mancanza di diversa determinazione degli enti stessi, le
predette attività sono gestite dalle società cessionarie del predetto ramo d'azienda, se queste
ultime possiedono i requisiti per l'iscrizione all'albo di cui al medesimo articolo 53, comma uno,
del decreto legislativo n. 446 del 1997, in presenza dei quali tale iscrizione avviene di diritto”.
Alla stregua di tale disciplina transitoria, quindi, nel caso di trasferimento del ramo
d'azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per gli enti locali o di
scissione di una società già concessionaria del servizio di riscossione, le società
cessionarie o risultanti da tale scissione societaria sono titolate ex lege alla prosecuzione
diretta del rapporto concessorio con l'ente locale, salvo che quest'ultimo non adotti al
riguardo una specifica “diversa determinazione”.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che la dizione “diversa determinazione” richiamata dalla
norma debba esplicarsi in una delibera di natura regolamentare assunta dall'organo
consiliare e non in un atto di carattere gestionale adottato da un suo organo
burocratico, come sostenuto dal Comune.
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Il termine “determinazione” usato dal legislatore ha una valenza oggettivamente neutra
e, pertanto, non è di per sé dirimente.
Con tale espressione vengono comunemente indicati sia gli atti propri degli organi
burocratici dell'Ente comunale, sia quelli emessi dai suoi organi elettivi.
L’articolo 42 del Tuel prevede la competenza consiliare relativamente all'adozione, tra
gli altri, dei seguenti atti:
“organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali,
concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali,
affidamento di attività o servizi mediante convenzione” (lett. e);
“appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio
o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nell'ordinaria
amministrazione e funzione servizi di competenza della giunta del segretario o di altri
funzionari” (lett. l).
I magistrati amministrativi hanno inoltre richiamato un consolidato orientamento della
giurisprudenza secondo cui la riscossione dei tributi locali costituisce svolgimento di
un'attività di servizio pubblico (Cons. Stato, sez. V, sent. 3672/2005).
In particolare, la decisione circa la modalità di gestione del servizio di riscossione delle
entrate comunali, nonché la conseguente determinazione di indire una procedura
negoziata per la scelta del soggetto incaricato del servizio stesso, costituiscono una
scelta di organizzazione del servizio pubblico di riscossione che rientra nell'ambito di
applicazione del comma 2, lett. e), dell’art. 42 del Tuel.
Secondo il Consiglio di Stato, quindi, il provvedimento con cui sono state effettuate
scelte organizzative del servizio avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio
comunale e non dal Dirigente del settore finanziario, trattandosi di atto di natura
regolamentare preordinato a fissare specifiche disposizioni organizzative dell'ente.
_____________________________
Società: è lo statuto che determina se è qualificabile come in house e quindi
assoggettata alla Corte dei Conti
Corte di Cassazione, S.U. civili, sentenza 24 ottobre n. 22609
di Federica Caponi
La verifica in ordine alla ricorrenza dei requisiti propri della società “in house”, da cui
discende la giurisdizione della Corte dei Conti sui componenti degli organi sociali per i
danni da essi cagionati al patrimonio della società, deve essere realizzata in base alle
previsioni contenute nello statuto in vigore al momento in cui è stata realizzata la
condotta.
La società in house, infatti, non è un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, ma una
longa manus dello stesso, che ne dispone come di una propria articolazione interna.
L’in house non può ritenersi terzo rispetto al Comune socio, ma deve considerarsi
come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in commento,
con la quale ha accolto il ricorso presentato dall’amministratore di una società per
azioni, partecipata interamente da comuni, con funzioni di servizio pubblico, avverso
la sentenza della prima sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che lo aveva
condannato al pagamento di euro 50.000 per il danno all'immagine della società
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causato dall'accertamento di un delitto di corruzione ex art. 319 c.p., commesso in
qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione.
La Corte dei Conti aveva ritenuto sussistente la giurisdizione della Corte dei Conti, in
quanto la società sarebbe stata un vero e proprio organo dei comuni partecipanti,
attraverso la quale essi perseguivano le loro finalità pubblicistiche, gestendo risorse
pubbliche.
Pertanto, la società avrebbe avuto un fine sostanzialmente pubblico, a tutela del quale
può esercitarsi l'azione di responsabilità della Procura della Corte dei Conti.
La Corte di Cassazione ha invece ritenuto insussistente la giurisdizione contabile,
perché la società non rispetta i requisiti dell’in house.
Le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 26283/2013, avevano già
chiarito che la Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità quando è
diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al
patrimonio di una società in house.
Sono qualificabili come tali le società costituite da uno o più enti pubblici per l'esercizio
di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che
statutariamente esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a
quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
La società può essere definita “in house” quando vi sia contemporaneamente il rispetto
di tre requisiti:
1. il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per
l'esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a
privati;
2. la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti
partecipanti, in modo che l'eventuale attività accessoria non implichi una
significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale;
3. la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle
esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità dì comando
non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile (Cass. sent.
5491/2014).
La presenza di tali condizioni fa si che la società non possa essere considerata un’entità
al di fuori dell'ente pubblico, in quanto essa non è altro che una longa manus della p.a.,
al punto che l'affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente
veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo (Corte Cost.
46/2013).
La società in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante ma
deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.
“L'uso del vocabolo società qui serve solo a significare che, ove manchino più specifiche
disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario;
ma di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un
autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è
più possibile parlare” (Cass. S.U. sent. 26283/2014).
Le società in house hanno della società solo la forma esteriore, mentre in realtà
costituiscono delle articolazioni della p.a. da cui promanano e non dei soggetti
giuridici ad essa esterni e da essa autonomi.
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Gli organi di tali società, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla
p.a., sono preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna
dell’ente pubblico socio, cui sono personalmente legati da un vero e proprio rapporto
di servizio, come accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente
pubblico.
La verifica in ordine all’esistenza di tali condizioni deve essere svolta riguardo alle
previsioni contenute nello statuto della società al momento in cui risale la condotta
ipotizzata come illecita e non a quelle, eventualmente differenti, esistenti al momento
in cui risulti proposta la domanda di responsabilità alla Corte dei Conti.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto non sussistenti i requisiti dell’in house, in
quanto dallo statuto vigente all’epoca dei fatti contestati emerge l'assenza:
del primo requisito, relativo al capitale interamente pubblico, poiché è previsto
che i soci fondatori, di diritto pubblico, dovessero detenere la maggioranza
assoluta del capitale, restando possibile la sottoscrizione delle azioni ordinarie
da parte di persone fisiche o giuridiche;
della clausola dell’attività svolta prevalentemente in favore degli enti
partecipanti, atteso che l'oggetto sociale prevede la possibilità di svolgere un
vastissimo spettro di attività, non necessariamente riconducibili a servizi
pubblici (quali ad esempio la commercializzazione di acque minerali e derivati)
in proprio o per conto terzi - non meglio precisati - per il tramite di società
controllate o collegate;
di alcuna forma di controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici sui
propri uffici, in quanto l’unico controllo previsto è quello attribuito al Collegio
sindacale in materia contabile.
Alla luce di tali verifiche, la Corte ha ritenuto non sussistente il controllo della Corte
dei Conti.
_______________________________
Decreto PA: le novità di interesse per enti locali e società partecipate
Legge 114/2014, di conversione del d.l. 90/2014
di Federica Caponi, Manuela Ricoveri e Alessio Tavanti
E’ stata pubblicata sulla G.U. n. 190 del 18 agosto 2014 la legge 114/2014 di
conversione del decreto-legge 90/2014 concernente “Misure urgenti per la semplificazione
e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, in vigore dal 19
agosto 2014.
Il provvedimento contiene rilevanti novità in materia di personale, società partecipate
e appalti.
Personale e società partecipate
Articolo 1 - Disposizioni per il ricambio generazionale nelle p.a.
La disposizione in commento abroga le disposizioni che consentivano il trattenimento
in servizio dei dipendenti che avessero raggiunto i requisiti per il pensionamento.
In particolare sono abrogati:
43
- l'art. 16 del D.Lgs. n. 503/1992, che prevedeva la possibilità per i dipendenti che
avessero maturato i limiti di età per il collocamento a riposo di richiedere
all’amministrazione di appartenenza la permanenza in servizio per un ulteriore
biennio;
- i commi 8, 9 e 10 dell'art. 72 del decreto legge n. 112/2008, che stabilivano la
facoltà per le amministrazioni, sulla base dell'esperienza professionale acquisita
dal richiedente in determinati o specifici ambiti e in funzione dell'efficiente
andamento dei servizi, di accogliere l'istanza di trattenimento in servizio;
- il comma 31 dell'art. 9 del decreto legge n. 78/2010, che aveva ulteriormente
limitato l’istituto, riconducendo i trattenimenti in servizio nel contesto dei limiti
alle facoltà assunzionali.
I trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto
(25 giugno 2014) sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se
prevista in data anteriore.
I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,
comma 2, del d.lgs. 165/2001, tra cui rientrano gli enti locali, e non ancora efficaci alla
data di entrata in vigore del presente decreto sono revocati.
Fanno eccezione a quanto sopra indicato, al fine di salvaguardare la funzionalità degli
uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio dei magistrati ordinari, amministrativi,
contabili, militari nonché degli avvocati dello Stato, i quali restano validi fino al 31
dicembre 2015 o alla loro scadenza se prevista in data anteriore.
Dette disposizioni non trovano applicazione con riferimento ai richiami in servizio del
personale militare di cui agli articoli 992 e 993 del d.lgs. 66/2010, fino al 31 dicembre
2015.
E’ stato novellato il comma 11 dell’articolo 72 del d.l. 112/2008 il quale stabilisce che le
p.a., con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di
scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, a decorrere
dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al
pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1° gennaio 2012, dall'articolo 24,
commi 10 e 12, del d.l. 201/2011, possono risolvere il rapporto di lavoro e il contratto
individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque
non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione
percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24.
Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai
professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario
nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno
di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario.
Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresì ai soggetti che
abbiano beneficiato dell'articolo 3, comma 57, della legge 350/2003 e s.m.i. ossia del
prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego per un periodo corrispondente
alla sospensione ingiustamente subita e al periodo di servizio non espletato per
l'anticipato collocamento in quiescenza in pendenza di procedimento penale conclusosi
con l’assoluzione.
44
Articolo 3 - Semplificazione e flessibilità nel turn over
Per le amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie e gli
enti pubblici non economici ivi compresi quelli di cui all'articolo 70, comma 4, del
d.lgs. 165/2001, sono fissati i seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo
indeterminato:
anno 2014, pari al 20% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
anno 2015, pari al 40% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
anno 2017, pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato
nell'anno precedente.
Ai Corpi di polizia, al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al comparto Scuola e alle
Università si applica la normativa di settore.
Per gli enti di ricerca, la cui spesa per il personale di ruolo del singolo ente non superi
l'80% delle proprie entrate correnti complessive, come risultanti dal bilancio
consuntivo dell'anno precedente, è possibile procedere ad assunzioni di personale con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel rispetto dei seguenti limiti di spesa:
anno 2014 e 2015, pari al 50% di quella relativa al personale di ruolo cessato
nell'anno precedente.
anno 2016, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
anno 2017 pari all'80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno
precedente
dall’anno 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato
nell'anno precedente.
Dette assunzioni sono autorizzate con il decreto e le procedure di cui all'articolo 35,
comma 4, del d.lgs. 165/2001, previa richiesta delle amministrazioni interessate,
predisposta sulla base della programmazione del fabbisogno, corredata da analitica
dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti
economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri.
Il Dipartimento della funzione pubblica e la Ragioneria generale dello Stato
opereranno annualmente un monitoraggio sull'andamento delle assunzioni e dei livelli
occupazionali che si determinano per effetto delle suddette disposizioni.
Nel caso in cui dal monitoraggio si rilevino incrementi di spesa che possono
compromettere gli obiettivi e gli equilibri di finanza pubblica, con apposito decreto
saranno adottate misure correttive volte a neutralizzare l'incidenza del maturato
economico del personale cessato nel calcolo delle economie da destinare alle
assunzioni previste dal regime vigente.
Per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, sono fissati i
seguenti limiti di spesa alle nuove assunzioni a tempo indeterminato:
45
2014 e 2015, pari al 60% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2013
e 2014;
2016 e 2017, pari al 80% di quella relativa al personale di ruolo cessato nel 2015
e 2016;
dal 2018 pari al 100% di quella relativa al personale di ruolo cessato dal 2017 in
poi.
Gli enti dovranno continuare a rispettare i vincoli previsti dall'articolo l, commi 557,
557-bis e 557-ter della legge 296/2006 (finanziaria 2007).
A decorrere dal 2014 è consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per
un arco temporale non superiore a tre anni (2011-2013), nel rispetto della
programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile.
L’articolo 76, comma 7, del d.l. 112/2008 è abrogato, pertanto, gli enti locali per
effettuare nuove assunzioni non dovranno più verificare che l’incidenza della spesa
di personale rispetto a quella di parte corrente sia inferiore al 50%.
Inoltre, non dovrà più essere considerata a tal fine la spesa degli organismi
partecipati.
Le Regioni e enti locali dovranno coordinare le politiche assunzionali dei soggetti di
cui all’articolo 18, comma 2-bis del citato d.l. 112/2008 (aziende speciali, le istituzioni e
le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo) al fine di garantire
anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di
personale e spese correnti, fermo restando quanto previsto dal medesimo articolo 18,
comma 2-bis.
Resta fermo il divieto di assunzioni a tempo determinato disposto per le province
dall’articolo 16, comma 9, del d.l. 95/2012.
E’ stato introdotto nella legge 296/2006 (legge finanziaria 2007) il comma 557-quater, il
quale ha previsto che a decorrere dal 2014, per l’applicazione del comma 557 gli enti
assicurano, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il
contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio
precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (2011-2013).
Le regioni e gli enti locali applicano i principi di cui all'art. 4, comma 3, del d.l.
101/2013 secondo il quale l'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo
35, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001, è subordinato alla verifica dell’esaurimento delle
graduatorie, in particolare:
a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i
vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per
assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non
temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate;
b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie
graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1° gennaio 2007, relative alle
professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza.
Nel rispetto dei vincoli generali sulla spesa di personale, le regioni e gli enti locali (gli
enti indicati al comma 5), la cui incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente
sia pari o inferiore al 25%, possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a
decorrere dal 1° gennaio 2014, nel limite dell'80 per cento della spesa relativa al
personale di ruolo cessato dal servizio nell'anno precedente e nel limite del 100% a
decorrere dall'anno 2015.
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I limiti di cui al presente articolo non si applicano alle assunzioni di personale
appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d'obbligo.
I contratti di lavoro a tempo determinato delle province prorogati fino al 31 dicembre
2014, ai sensi dell'art. 4, comma 9, del d.l. 101/2013, possono essere ulteriormente
prorogati, alle medesime finalità e condizioni, fino all'insediamento dei nuovi soggetti
istituzionali, così come previsto dalla legge 56/2014.
Dall'attuazione della suddetta disposizione non devono derivare nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica.
Sono state introdotte modifiche all'articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 (le più
rilevanti sono indicate al successivo articolo 11) attraverso la previsione di una deroga
ai limiti al ricorso al lavoro flessibile prevedendone la non applicabilità qualora il costo
del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell’Unione
europea.
Nell’ipotesi di cofinanziamento, i limiti medesimi non si applicano con riferimento alla
sola quota finanziata da altri soggetti.
Tale disposizione vale anche con riferimento ai lavori socialmente utili, ai lavori di
pubblica utilità e ai cantieri di lavoro.
Il rispetto degli adempimenti e delle prescrizioni di cui all’articolo 3 del decreto in
commento da parte degli Enti locali deve essere certificato dai revisori dei conti nella
relazione di accompagnamento alla delibera di approvazione del bilancio annuale
dell’ente. In caso di mancato adempimento, il Prefetto presenta una relazione al
Ministero dell’interno.
Articolo 4 - Mobilità obbligatoria e volontaria
La disposizione in commento ha novellato l'articolo 30 del d.lgs. 165/2001 prevedendo
che “le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto
di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in
servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso
dell'amministrazione di appartenenza”.
Le amministrazioni fissano preventivamente i requisiti e le competenze professionali
richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a 30
giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso
passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da
possedere.
Il novellato articolo 30 ha stabilito ESCLUSIVAMENTE per il trasferimento tra le sedi
centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali
che ”in via sperimentale e fino all’introduzione di nuove procedure per la determinazione dei
fabbisogni standard di personale non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di
appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta
dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che
l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore
all'amministrazione di appartenenza”.
Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento
della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di
mobilità.
47
L'amministrazione di destinazione provvede alla riqualificazione dei dipendenti la cui
domanda di trasferimento sia accolta, eventualmente avvalendosi, ove sia necessario
predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione, della Scuola nazionale
dell'amministrazione.
Nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, i dipendenti possono
essere trasferiti all'interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le
amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio
dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 chilometri dalla sede cui
sono adibiti.
Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell'art.
2103 del codice civile con la conseguenza che:
- per attuare un trasferimento non è necessario che il provvedimento di
trasferimento sia motivato da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e
produttive”;
- è eliminato il riferimento all'unità produttiva.
Con decreto del ministero per la semplificazione e la pa. potranno essere fissati criteri
per realizzare passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo
accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle
amministrazioni che presentano carenze di organico.
Tali disposizioni si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che
hanno diritto al congedo parentale, e ai lavoratori che assistono persone con handicap
in situazione di gravità ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, con il consenso
degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un'altra sede.
Eventuali accordi, atti o clausole dei contratti collettivi in contrasto con tali nuovi
vincoli sono nulli.
E' stato abrogato l'articolo 1, comma 29, del d.l. 138/2011, che stabiliva che i dipendenti
delle p.a. di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, esclusi i magistrati, su
richiesta del datore di lavoro, potevano essere obbligati a effettuare la prestazione in
luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e
produttive con riferimento ai piani della performance o ai piani di razionalizzazione,
secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto.
Dovrà essere adottato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione
del decreto in commento (al massimo entro il 23 ottobre 2014) il decreto (ex art. 29-bis
d.lgs. 165/2001) finalizzato alla definizione dell’equiparazione fra i livelli di
inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi dei diversi comparti,.
Decorso tale termine, la tabella di equiparazione sarà adottata con decreto del
Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
Articolo 5 - Assegnazione di nuove mansioni
La disposizione in commento ha modificato l'articolo 34 del d.lgs. 165/2001,
concernente la gestione del personale in disponibilità.
E’ stato introdotto il comma 3-bis che ha previsto l’obbligo di pubblicazione degli
elenchi del personale in disponibilità sui siti istituzionali delle amministrazioni
competenti.
Il comma 4 è stato integrato con la previsione della possibilità per i lavoratori, nei sei
mesi antecedenti la scadenza del periodo di collocamento in disponibilità, di
48
presentare istanza di ricollocazione, alle amministrazioni competenti alla tenuta degli
elenchi, in deroga all'articolo 2103 del codice civile, nell'ambito dei posti vacanti in
organico, anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore della
stessa o di inferiore area o categoria di un solo livello per ciascuna delle suddette
fattispecie, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione.
In tal caso, la ricollocazione non potrà avvenire prima dei 30 giorni anteriori alla data
di scadenza del termine di collocamento in disponibilità di cui all'articolo 33, comma 8.
Il personale ricollocato non ha diritto all'indennità di cui all'articolo 33, comma 8
riconosciuta al personale collocato in disponibilità, e mantiene il diritto di essere
successivamente ricollocato nella propria originaria qualifica e categoria di
inquadramento, anche attraverso le procedure di mobilità volontaria di cui all'articolo
30 del d.lgs. 165/2001.
In sede di contrattazione collettiva con le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative possono essere stabiliti criteri generali per l'applicazione delle
disposizioni relative alla procedura di ricollocazione.
Il successivo comma 6 ha previsto per le p.a., che prevederanno nel programma
triennale del personale, procedure concorsuali e nuove assunzioni a tempo
indeterminato o determinato per un periodo superiore a 12 mesi, l’obbligo di verificare
preliminarmente l’impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto
nell'apposito elenco.
I dipendenti iscritti negli elenchi potranno essere assegnati, nell'ambito dei posti
vacanti in organico, in posizione di comando presso amministrazioni che ne facciano
richiesta o presso quelle individuate dal Dipartimento della Funzione Pubblica ai sensi
dell'articolo 34-bis, comma 5-bis.
Gli stessi dipendenti potranno, altresì, avvalersi della disposizione di cui all'articolo 23-
bis che disciplina la mobilità tra pubblico e privato per dirigenti statali, diplomatici e
magistrati.
Durante il periodo in cui i dipendenti saranno utilizzati con rapporto di lavoro a tempo
determinato o in posizione di comando presso altre amministrazioni pubbliche o si
avvarranno dell'articolo 23-bis, il termine di 24 mesi per la percezione dell’80% della
retribuzione di cui all'articolo 33 comma 8 resta sospeso e l'onere retributivo è a carico
dall'amministrazione o dell'ente che utilizza il dipendente.
E’ stato, infine, introdotto il comma 567-bis alla legge 147/2013 (legge di stabilità 2014),
con la previsione del termine di 60 giorni per le procedure di ricollocazione, da parte
dell’ente controllante o della società, del personale eccedentario nell’ambito della stessa
società ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti
strumentali.
Inoltre, è stato previsto il termine di 90 giorni dall’avvio, per la conclusione degli
accordi collettivi con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative finalizzati alla realizzazione di forme di trasferimento in mobilità dei
dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori
del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di
personale.
Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure, il personale potrà
presentare istanza alla società di cui è dipendente o all'amministrazione controllante
49
per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessa società
o in altra società.
Articolo 6 - Divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza
E’ stata estesa la portata del divieto ex articolo 5, comma 9 del d.l. 95/2012 applicabile
alle amministrazioni, di cui all’articolo 1 comma 2 del d.lgs. 165/2001 e per quelle
inserite nel conto economico consolidato.
Dette amministrazioni non possono conferire incarichi dirigenziali o direttivi o in
organi di governo delle amministrazioni e degli enti e società da esse controllati ai
soggetti già lavoratori, privati o pubblici, collocati in quiescenza.
Tale divieto non si applica ai componenti delle giunte degli enti territoriali e ai
componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis,
del d.l. 101/2013 (ordini, collegi professionali e relativi organismi nazionali; enti
aventi natura associativa).
Incarichi e collaborazioni sono consentiti, esclusivamente a titolo gratuito e per una
durata non superiore a un anno, non prorogabile ne' rinnovabile, presso ciascuna
amministrazione.
Eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente
dell'amministrazione interessata, devono essere rendicontati.
Gli organi costituzionali si adeguano alle disposizioni del presente comma nell'ambito
della propria autonomia.
Tali modifiche trovano applicazione relativamente agli incarichi conferiti a decorrere
dal 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto).
Articolo 7 - Prerogative sindacali nelle p.a.
Dal 1° settembre 2014 i contingenti complessivi dei distacchi, aspettative e permessi
sindacali, già attribuiti al personale delle p.a. (ex artt. l, comma 2, e 3 d.lgs. 165/2001),
sono ridotti del 50% per ciascuna associazione sindacale.
Per ciascuna associazione sindacale, la rideterminazione dei distacchi è operata con
arrotondamento delle eventuali frazioni all'unità superiore e non opera nei casi di
assegnazione di un solo distacco.
La ripartizione dei contingenti ridefiniti tra le associazioni sindacali può essere
modificata con le procedure contrattuali e negoziali previste dai rispettivi ordinamenti.
In tale ambito e' possibile definire, con invarianza di spesa, forme di utilizzo
compensativo tra distacchi e permessi sindacali.
In merito alle modalità applicative si segnala la Circolare della Funzione Pubblica n. 5
del 20 agosto 2014.
Articolo 9 - Riforma degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle
avvocature degli enti pubblici
In sede di conversione la disposizione in commento è stata oggetto di integrale
riformulazione.
I compensi professionali corrisposti dalle p.a. di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs.
165/2001, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale
dell'Avvocatura dello Stato, sono computati ai fini del raggiungimento del limite
retributivo di cui all'articolo 23-ter del d.l. 201/2011 (il cui parametro massimo di
50
riferimento è individuato nel trattamento economico del primo Presidente della Corte
di Cassazione).
E’ stato abrogato il comma 457 dell’articolo l della legge 147/2013 e il comma 3
dell'articolo 21 del r.d. 1611/1933, ridefinendo la disciplina degli onorari per
l’avvocatura pubblica.
Secondo la nuova disciplina, nei casi di sentenza favorevole con recupero delle spese
legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati
dipendenti delle amministrazioni, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi
regolamenti e in sede di contrattazione collettiva.
La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell’amministrazione.
Un regime differente è previsto per gli avvocati e i procuratori dello Stato.
I regolamenti e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto in base al rendimento
individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro
della puntualità negli adempimenti processuali.
In tale sede devono inoltre essere disciplinati i criteri di assegnazione degli affari
consultivi e contenziosi, da operare possibilmente attraverso sistemi informatici,
secondo princìpi di parità di trattamento e di specializzazione professionale.
In tutti i casi di pronunciata compensazione integrale delle spese, ivi compresi quelli di
transazione dopo sentenza favorevole alle amministrazioni (sentenze successive al 25
giugno 2014), e nei giudizi in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali, ai
dipendenti sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o
contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, il quale non può superare
il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.
In ogni caso a ciascun avvocato possono essere attribuiti compensi professionali
globalmente non
superiori al rispettivo trattamento economico complessivo.
L’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi deve avvenire entro tre mesi
dall’entrata in vigore della legge di conversione (19 novembre 2014).
In assenza di adeguamento, a decorrere dal 1° gennaio 2015, non sarà possibile
corrispondere compensi professionali ai legali interni.
Articolo 10 - Abrogazione dei diritti di rogito del segretario comunale e provinciale e
abrogazione della ripartizione del provento annuale dei diritti di segreteria
La disposizione in commento ha abrogato i diritti di rogito riconosciuti al segretario
comunale e provinciale (ex articolo 41, comma 4, legge 312/1980).
Inoltre, è stato novellato l’articolo 30, comma 2, della legge 734/1973, stabilendo che i
proventi annuali dei diritti di segreteria saranno attribuiti integralmente al comune o
alla provincia.
In sede di conversione sono stati introdotti i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater.
Negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i
segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento
annuale spettante al comune, é attribuita al segretario comunale rogante, in misura non
superiore a 1/5 dello stipendio in godimento, per i seguenti atti:
1) Avvisi d'asta per alienazioni, locazioni, appalti di cose e di opere, concessioni di
qualsiasi natura
51
2) Verbali relativi ai procedimenti degli incanti e delle licitazioni private
riguardanti gli oggetti di cui al numero 1
3) Contratti relativi agli oggetti di cui al n. 1, anche se stipulati a seguito di
licitazioni o trattativa privata e se vi sia intervento di terzi garantiti o
cauzionanti
4) Scritturazione degli atti originali contemplati ai numeri 2 e 3 e per le copie degli
atti estratti dall'archivio
(Tabella D allegata alla legge 604/1962 e smi).
Le norme di cui al presente articolo non si applicano per le quote già maturate alla data
di entrata in vigore del presente decreto (25 giugno 2014).
E’ stato modificato l'articolo 97, comma 4, lettera c), del Tuel:
Il Segretario “roga, su richiesta dell'ente, i contratti nei quali l'ente é parte e autentica
scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente”.
La modifica ha previsto che l’attività rogatoria svolta dai segretari comunali e
provinciali, quando richiesta dall’Amministrazione, è obbligatoria e non più facoltativa
come nel testo previgente.
Articolo 11 - Disposizioni sul personale delle regioni e degli enti locali
E’ stato novellato il comma 1 dell’articolo 110 del Tuel.
Gli enti locali dal 25 giugno 2014 possono prevedere, nel regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che la copertura dei posti di responsabili dei
servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, avvenga
mediante contratto a tempo determinato in misura non superiore al 30% dei posti
istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno n.
1 unità.
Tali incarichi devono essere conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in
capo ai soggetti in possesso dei requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, la
comprovata esperienza pluriennale e la specifica professionalità nelle materie oggetto
dell'incarico.
La legge di conversione ha ulteriormente modificato il comma 5 dell’articolo 110 Tuel,
con estensione all’incarico di direttore generale, di cui all'articolo 108 Tuel, del
trattamento previsto per i dipendenti delle p.a. con incarichi a tempo determinato di
responsabile di servizio, in dotazione organica o extra dotazione (di cui ai commi 1 e
2), ossia il collocamento in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità
di servizio.
Nel testo originario, in vigore fino al 24 giugno 2014, era prevista la risoluzione del
rapporto di pubblico impiego nel caso in cui il dipendente fosse stato incaricato ai sensi
del comma 2 (disposizione disattesa nella maggior parte dei casi).
In sede di conversione è stato nuovamente introdotto l’articolo 19, comma 6-quater, del
d.lgs. 165/2001, che ha esteso la possibilità di conferire incarichi dirigenziali di prima e
seconda fascia per gli enti di ricerca di cui all'articolo 8 del dpcm. 593/1993.
Resta confermata l’abrogazione operata dal d.l. 90/2014 della disciplina
precedentemente prevista per gli enti locali dal comma citato 6-quater.
Per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa degli
enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il limite dei posti di dotazione
organica attribuibili tramite assunzioni a tempo determinato, nonché ai sensi di
52
disposizioni normative di settore riguardanti incarichi della medesima natura, previa
selezione pubblica ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del Tuel, è fissato nel 10%.
E’ stato inserito il comma 3-bis all'articolo 90 del Tuel, utilizzando una “frase sibillina”
che di fatto consente la possibilità di affidare incarichi di staff degli organi politici
indipendentemente dal titolo di studio richiesto per l’inquadramento nella categoria
contrattuale individuata.
Il nuovo comma 3-bis stabilisce infatti “Resta fermo il divieto di effettuazione di attività
gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico,
prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale”.
Pertanto, in modo quasi “mascherato” si stabilisce che:
gli incarichi affidati ex art. 90 del tuel possono prevedere un compenso
“parametrato a quello dirigenziale”, anche se l’incaricato non può svolgere attività
gestionale, ma lo stipendio può essere di tale livello;
l’inquadramento in una determinata categoria prevista dal ccnl. enti locali non
rileva in quanto si possono affidare incarichi a chiunque, prevedendo stipendi
anche molto elevati (nel rispetto comunque dei limiti di spesa ex art. 1, commi
557 e ss legge 296/2006 e/o ex art. 9, comma 28 d.l. 78/2010) senza
preoccuparsi del titolo di studio posseduto dall’interessato.
E’stato modificato l’articolo 9, comma 28, del d.l. 78/2010 con la previsione secondo cui
“Le limitazioni previste dal presente comma non si applicano agli enti locali in regola con
l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nell'ambito delle risorse disponibili a
legislazione vigente”.
Pertanto, in base alla nuova disciplina del comma 28, gli enti locali, rispettosi
dell’obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell’art. 1
della legge 296/2006 (Legge finanziaria 2007) potranno effettuare assunzioni a tempo
determinato oltre il limite previsto del 50% della spesa utilizzata per le stesse finalità
nell’anno 2009.
Ai fini del rispetto dell’obbligo di riduzione della spesa sopra citato, la legge di
conversione con l’introduzione del comma 557-quater alla legge 296/2006 ha previsto
che ai fini dell’applicazione del comma 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti
dovranno assicurare, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di
personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del
triennio precedente la data di entrata in vigore della disposizione, ossia 2011-2013
All'articolo 16 del d.l. 138/2011, è stato aggiunto il comma 31-bis, con la previsione che
restano escluse dal limite di cui al citato comma 557 le assunzioni a tempo determinato
effettuate dai comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti per le sole
spese di personale stagionale strettamente necessarie a garantire l’esercizio delle
funzioni di polizia locale in ragione di motivate caratteristiche socio-economiche e
territoriali connesse a significative presenze di turisti.
Articolo 12 - Copertura assicurativa dei soggetti beneficiari difforme di integrazione
e sostegno del reddito coinvolti in attività di volontariato a fini di utilità sociale
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha istituito, in via sperimentale per il
biennio 2014-2015, un Fondo finalizzato a reintegrare l'INAIL dell'onere relativo alla
copertura assicurativa in favore dei soggetti beneficiari di ammortizzatori e di altre
53
forme di integrazione e sostegno del reddito previste dalla normativa vigente, coinvolti
in attività di volontariato a fini di utilità sociale in favore di Comuni o enti locali.
Al fine di promuovere la prestazione di attività di volontariato da parte dei suddetti
soggetti, i Comuni e gli altri enti locali interessati, promuovono le opportune iniziative
informative e pubblicitarie finalizzate a rendere noti i progetti di utilità sociale in corso
con le associazioni di volontariato.
L'INPS, su richiesta di Comuni o degli altri enti locali, verifica la sussistenza del
requisito soggettivo degli interessati alla prestazione di dette attività.
Con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali saranno stabiliti modalità
e criteri per la valorizzazione, ai fini della certificazione dei crediti formativi,
dell'attività prestata per le predette finalità.
Articolo 13 - Abrogazione dei commi 5 e 6 dell’articolo 92 del d.lgs. 163/2006, in
materia di incentivi per la progettazione
La disposizione in commento ha abrogato i commi 5 e 6 dell’art. 92 del d.Lgs. n.
163/2006, relativi agli incentivi per la progettazione al personale interno alle
Amministrazioni.
Articolo 13-bis Fondi per la progettazione e l’innovazione
L’art. 13-bis, introdotto in sede di conversione del decreto legge, regola i fondi per la
progettazione e l'innovazione, destinati in parte ad incentivare le attività connesse alla
progettazione delle opere pubbliche svolte da personale interno all'Amministrazione, e
in parte all'investimento in innovazione.
La norma interviene sull’articolo 93 del d.lgs. 163/2006, al quale, dopo il comma 7,
aggiunge i commi da 7-bis a 7-quinquies.
Le amministrazioni pubbliche destinano al fondo per la progettazione e l’innovazione
risorse finanziarie in misura non superiore al 2% degli importi posti a base di gara di
ciascuna opera o lavoro.
Un importo pari all’80% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e
l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri stabiliti
nel regolamento adottato dall’Ente e previsti in sede di contrattazione decentrata
integrativa, tra il RUP e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della
sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli
importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico
dell’amministrazione.
Il regolamento deve stabilire:
- la percentuale effettiva delle risorse finanziarie, entro il limite del 2%, in
rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare;
- i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità
connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a
quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale
ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e
dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi
previsti dal quadro economico del progetto esecutivo;
- i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla
singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi
54
previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, depurato del ribasso
d’asta offerto.
Non devono essere considerate ai fini della decurtazione i ritardi connessi alle
varianti dovute (ex art. 132, comma 1, d.lgs. 163/2006) a:
sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari (lett. a);
cause impreviste e imprevedibili o per migliorie tecnologiche o di
materiali (lett. b);
eventi inerenti la natura dei beni (lett. c);
cause geologiche, idriche e simili non previste.
La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile previo
accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti (privi di
qualifica dirigenziale) interessati.
Ciascun dipendente non può percepire a titolo di incentivi, anche da parte di più
amministrazioni, un importo superiore al 50% del trattamento economico complessivo
annuo lordo.
Le quote parti dell’incentivo che non possono essere erogate al personale, in quanto
corrispondenti
prestazioni affidate all'esterno costituiscono economie.
In caso di mancata verifica da parte del dirigente o il responsabile del servizio, le
corrispondenti risorse non possono essere erogate e costituiscono, di conseguenza,
economie.
Il restante 20% delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è
destinato a finanziare l'investimento in innovazione, attraverso l’acquisto di beni,
strumentazioni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, di implementazione
delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa per centri di
costo nonché all’ammodernamento e all’accrescimento dell’efficienza dell’ente e dei
servizi ai cittadini.
Gli organismi di diritto pubblico e le società partecipate [ex art. 32, comma 1, lett. b) e
c)] possono adottare con proprio provvedimento criteri analoghi a quelli sopra
indicati.
Articolo 16 – Nomina dei dipendenti nelle società partecipate
La disposizione in commento ha apportato alcune modifiche all’articolo 4, commi 4 e 5,
del d.l. 95/2012 relativo alla composizione del Cda delle società.
Anche la legge di conversione ha confermato l’eliminazione dell’obbligo di nominare
dipendenti dell'amministrazione socia nei consigli di amministrazione delle società
partecipate.
Il novellato comma 4 disciplina le modalità di nomina dei consigli di amministrazione
di società partecipate dagli enti pubblici (ex art. 1, comma 2 d.lgs. 165/2001), che
abbiano conseguito nel 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di p.a.
superiore al 90% dell'intero fatturato.
La norma conferma che tali consigli non possono essere composti da più di tre membri
nel rispetto dei vincoli in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi di cui
al d.lgs. 39/2013.
La legge di conversione ha imposto a tali organismi dal 1°gennaio 2015 di diminuire
del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la
55
remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, rispetto al costo
complessivamente sostenuto nel 2013.
La norma consente ancora di poter nominare dipendenti dell'ente socio, stabilendo il
“diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate”, nel rispetto del
limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i dipendenti nominati di riversare i
relativi compensi all'ente datore di lavoro.
E’ stato nuovamente novellato anche il comma 5, il quale stabilisce che i consigli di
amministrazione delle società che nel 2011 hanno avuto un fatturato da prestazione di
servizi a favore di p.a. inferiore o pari al 90% dell'intero fatturato possono essere
composti da tre o da cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità
delle attività svolte.
Anche tali società devono ridurre del 20% il costo annuale sostenuto per i compensi
degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari
cariche, rispetto al costo complessivamente sostenuto nel 2013.
Infine, anche per tali organismi è stato confermato che possono nominare dipendenti
dell'ente socio, fatto salvo il “diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese
documentate”, nel rispetto del limite di spesa dell’80% del 2013 e l’obbligo per i
dipendenti nominati di riversare i relativi compensi all'ente datore di lavoro.
Le nuove regole si applicano dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione
successivo al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del d.l. 90/2014).
Articolo 17, comma 4 - Ricognizione degli enti pubblici e unificazione delle banche
dati delle società partecipale
Tale disposizione prevede che, dal 1° gennaio 2015, il Ministero dell’economia e delle
finanze debba acquisire le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di
diritto pubblico e di diritto privato, detenute direttamente o indirettamente dalle p.a.
individuate dall'Istat ex lege 196/2009, attraverso:
l’utilizzo di banche dati esistenti;
la richiesta di comunicazioni da parte delle amministrazioni pubbliche ovvero
da parte delle società da esse partecipate.
Tali informazioni saranno rese disponibili nella banca dati delle p.a. di cui all'articolo
13 della legge 196/2009 (banca dati ISTAT).
Entro il 17 novembre (90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del d.l. 90/2014), il Ministro dell'economia e delle finanze dovrà adottare
un decreto contenente le informazioni che le amministrazioni dovranno comunicare,
nonché le modalità tecniche di attuazione.
Sul sito istituzionale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell'economia e delle
finanze e su quello del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, sarà pubblicato l'elenco delle amministrazioni adempienti e di
quelle non adempienti all'obbligo di comunicazione.
_________________________
Società: i vincoli assunzionali a seguito della legge di conversione del d.l. 66/2014
Dal 24 giugno 2014 le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo
devono attenersi al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il
contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale.
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A tal fine, spetta all’ente controllante definire con proprio atto di indirizzo, tenuto
anche conto dei propri divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, per ciascun
organismo partecipato, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di
contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun
organismo opera.
Questa la novità introdotta dalla legge di conversione del d.l. 66/2014 che ha inserito
all’articolo 4 il comma 12-bis.
Tale disposizione ha novellato nuovamente il comma 2-bis dell’articolo 18 del d.l.
112/2008 che, nella formulazione precedente, disponeva l’estensione automatica dei
divieti e delle limitazioni alle assunzioni di personale previste dalla normativa vigente
per le amministrazioni pubbliche anche in capo alle società a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo.
Allo stato attuale, pertanto, alle società da ultimo citate, i vincoli assunzionali e di
contenimento delle politiche retributive trovano applicazione mediante la mediazione
dell’ente controllante di riferimento.
Le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo dovranno adottare tali
indirizzi con propri provvedimenti e, laddove l’ente controllante disponga indicazioni
in materia di contenimento degli oneri contrattuali, questi dovranno essere recepiti
nella contrattazione di secondo livello adottata dalla società, fermo restando il
contratto nazionale in vigore al 1º gennaio 2014.
Per le società che gestiscono servizi pubblici locali, occorre però ricordare che l’art. 3-
bis del d.l. 138/2011, così come modificato dalla legge di stabilità 2014, ha stabilito che
le stesse devono adottare, “con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento
del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3
dell'articolo 35 del d.lgs. 165/2001, nonché i vincoli assunzionali e di contenimento delle
politiche retributive stabiliti dall'ente locale controllante, ai sensi dell'articolo 18, comma 2-bis,
del d.l. 112/2008”.
Le società che gestiscono servizi pubblici a rilevanza economica, quindi, devono
approvare un atto interno (anche avente natura di atto di indirizzo oppure quale atto
integrativo del regolamento in cui sono disciplinate le procedure assunzionali e di
affidamento di incarichi a professionisti esterni) in cui devono essere previsti criteri di
contenimento della spesa di personale ed eventuali limitazioni per le nuove assunzioni
stabiliti dagli enti pubblici soci.
Atto necessario e propedeutico affinché le società si dotino di atti di programmazione
per il contenimento dei costi del personale è l’atto di indirizzo dell’ente socio.
A seguito dell’approvazione di tale atto del socio pubblico, le società in house
potranno adottare atti di pianificazione e programmazione del personale adeguati a
darne attuazione.
Le società dovranno inoltre approvare un atto organizzativo, in cui dovranno essere
indicate le risorse umane necessarie, sia da un punto di vista quantitativo, che
qualitativo, per l’erogazione dei servizi affidati in quel momento.
A tal proposito, appare utile richiamare quanto precisato dalla Corte dei Conti, sez.
contr. Veneto, nella deliberazione 212/2012, ai fini di fornire concrete indicazioni alle
società per l’attuazione di tale vincolo.
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I magistrati contabili hanno chiarito che in relazione alle disposizioni finalizzate al
rispetto di principi giuslavoristici che prevedono dei necessari adempimenti, deve
essere realizzata dagli organismi interessati:
la valutazione periodica, almeno triennale della consistenza ed eventuale
variazione delle dotazioni organiche, previa verifica degli effettivi fabbisogni;
la programmazione triennale del fabbisogno di personale, in linea con gli
strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale.
Difatti quest’ultimo nell'esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo dovrà
stabilire le modalità con cui verranno applicati i citati vincoli, modalità che verranno
adottate con propri provvedimenti.
______________________________
Le società pubbliche possono fallire
Tribunale Pescara, Decreto 14 gennaio 2014
di Federica Caponi
Una società di capitali, partecipata della p.a., non muta la propria natura di diritto
privato solo perché gli enti pubblici ne posseggono le azioni, la stessa infatti opera
nell'esercizio della propria autonomia negoziale.
Il contemperamento fra tutela dei creditori e necessità di un’efficiente gestione del
servizio non consente l’applicazione di istituti di privilegio, tipicamente previsti per
enti pubblici, come l’esenzione dal fallimento.
Pertanto, una società di capitali, di cui un comune detenga la maggioranza del capitale
può essere ammessa al concordato fallimentare come una qualsiasi altra società.
Questo il principio sancito dal Tribunale di Pescara, nel Decreto 14 gennaio 2014, con
cui ha ammesso al concordato una società, a maggioranza pubblica, che svolgeva
servizi a favore dello stesso socio pubblico.
Il Tribunale ha preliminarmente chiarito alcuni elementi in ordine alla tematica della
fallibilità delle società a partecipazione pubblica, ricordando che si sono contrapposte
due impostazioni di fondo, volte rispettivamente ad affermare e a negare la soggezione
a procedure concorsuali di tali società.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene possibile estendere
l’applicazione del comma 1 dell’articolo 1 della legge fallimentare.
Una primo orientamento ha aderito alla tradizionale teoria degli indici sintomatici
della pubblicità, in forza della quale la qualificazione, ai fini della disciplina
applicabile, in senso privatistico o pubblicistico, di un ente, pur formalmente definito
società per azioni, va operata caso per caso, dando prevalenza alla sostanza sulla forma
e avendo riguardo al carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al
perseguimento di finalità pubblicistiche e all'esistenza di una disciplina derogatoria
rispetto a quella propria dello schema societario.
Pertanto, l’applicazione analogica del citato articolo 1 ad un ente formalmente privato
avviene sulla base di una riqualificazione pubblicistica operata in via interpretativa,
secondo i c.d. indici esteriori sintomatici della pubblicità, individuati, ad esempio nella
costituzione ad iniziativa pubblica, nella nomina o designazione pubblica degli organi,
nello scioglimento ad iniziativa pubblica, nella sottoposizione ad amministrazione
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straordinaria, nel controllo pubblico sul bilancio preventivo e sul conto consuntivo, o
sullo statuto, nel finanziamento pubblico e nella titolarità dell'ente di potestà
pubblicistiche.
Tale interpretazione si scontra con il principio stabilito dalla legge 70/1975, che, nel
prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non
per legge, richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa
disposizione di legge, debba desumersi da un quadro normativo di riferimento chiaro
ed inequivoco.
La seconda impostazione ritiene applicabili le disposizioni di diritto pubblico, qualora
espressamente previste, e di diritto privato, in assenza di diverse previsioni, quando
non vi sia ragione di derogare ad esse in considerazione degli interessi protetti.
In questa prospettiva, l'esenzione dal fallimento viene considerata una norma posta a
garanzia della continuità di una determinata funzione, come tale suscettibile di
applicazione analogica nei confronti di società per azioni, allorquando queste ultime
siano destinate allo svolgimento di attività che abbiano rilievo pubblicistico.
Tale posizione presuppone una lacuna nell'ordinamento che comporterebbe la
“necessità di tutelare l'interesse pubblico mediante l'esenzione dal fallimento”.
L’applicazione della procedura fallimentare potrebbe comportare la lesione di interessi
meritevoli di tutela, in tutti i casi in cui l'esistenza della società sia considerata
necessaria dall'ente territoriale di riferimento.
La necessità viene ancorata al dato dell'erogazione di un servizio pubblico essenziale,
rispetto al quale, se intervenisse la dichiarazione di fallimento, si avrebbe
un'inammissibile, sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria a quella
amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere pubblicistico, quali la
decisione in ordine alla continuità o meno nella gestione del servizio.
Si sostiene che la procedura fallimentare lederebbe interessi pubblici, ponendo
problemi di compatibilità con i principi costituzionali che regolano l'agire
amministrativo.
Tale interpretazione, però, potrebbe prospettare l’esclusione dal fallimento anche per
soggetti privati che erogano, ad esempio in forza di una concessione, un servizio
pubblico.
Per quanto riguarda le società in house, qualunque sia l'indirizzo interpretativo che si
intenda seguire in ordine alla qualificabilità di una società quale ente pubblico, alcuna
conseguenza ne deriverebbe rispetto all'applicazione della legge fallimentare.
La natura del rapporto funzionale con l'ente proprietario non si riflette nei rapporti con
i terzi, né sulla disciplina normativa applicabile all'organizzazione societaria, che
rimane quella ordinaria stabilita dal codice civile.
Questo è vero anche nel caso in cui la società sia interamente partecipata da soci
pubblici e in quanto tale debba essere considerata espressione organica dell'ente
pubblico.
Il Tribunale ha chiarito che le società di capitali con partecipazione pubblica non
mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché vi sono soci pubblici
che ne posseggono le azioni.
Non assume rilievo la persona dell'azionista, dato che tale società, quale persona
giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale e gli strumenti
utilizzati per regolare il rapporto tra società ed ente locale non possono essere quelli
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autoritativi di diritto pubblico, ma l'ente può avvalersi unicamente degli strumenti
propri del diritto societario.
La legge non prevede “alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina
privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi
pubblici istituiti dall'ente locale. La posizione del Comune all'interno della società è unicamente
quella di socio di maggioranza, derivante dalla prevalenza del capitale da esso conferito; e
soltanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società avvalendosi
non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto
societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della
società” (Corte Cass., sez. civ., sent. 7799/2005).
Pertanto, il contemperamento fra la tutela dei creditori e la necessità di un’efficiente
gestione del servizio non ammette l’applicazione di istituti di privilegio che operano
sul piano dell'attività, quale l’esenzione dal fallimento.
Alla luce delle considerazioni evidenziate, il Tribunale di Pescara ha ritenuto che, in
base alla concreta situazione patrimoniale e finanziaria emergente dalla
documentazione contabile, fosse opportuno disporre la nomina di un commissario
giudiziale, fissando un termine per il deposito della proposta di concordato
preventivo, del piano e della documentazione richiesta dalla legge fallimentare o di
una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione.
___________________________
Il consigliere non può accedere agli atti della partecipata in piccola quota
I Consiglieri non hanno diritto di accedere agli atti di una società mista, se il Comune
possiede una limitata quota del capitale sociale.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 4403 del 4 settembre
2013.
Nel caso di specie un consigliere comunale aveva chiesto di accedere agli atti di una
società partecipata dal Comune, accesso negato dalla società e successivamente accolto
dal Tar.
La società ha proposto appello al consiglio di Stato ritenendo, tra l’altro, non
ammissibile l’accesso non potendo essere assoggettata a controllo da parte del Comune
a fronte dell’esigua partecipazione in essa detenuta.
Il consiglio di Stato ha accolto il ricorso della società sulla base dell’interpretazione
dell’articolo 43 Tuel che riferisce il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti e
documenti delle aziende ed enti dipendenti dal Comune, nonché dello statuto
comunale che prevedeva tale diritto solo nei confronti di società di cui il Comune
doveva avere il controllo.
_____________________________
Società pubbliche: se svolgono attività d’impresa non sono soggette alla Corte dei
Conti
Corte dei conti, III sez. giur. centrale d'appello, sent. 546/2013
di Federica Caponi
Se la società controllata da un ente pubblico svolge attività commerciale, d’impresa,
non è assoggettata alla giurisdizione della Corte dei Conti.
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La giurisdizione della Corte dei Conti infatti sussiste per responsabilità degli
amministratori di società a partecipazione pubblica, quando sia ravvisabile
contemporaneamente l’intero capitale pubblico, la società operi per statuto in via
esclusiva o prevalente in favore dell’ente socio e vi sia un reale controllo analogo da
parte dell’ente pubblico o una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria
da parte della p.a.
Questo il principio sancito dalla Corte dei Conti, sezione III giurisdizionale d’appello
nella sentenza in commento, con la quale ha dichiarato la competenza del giudice
ordinario in merito ad una società che svolge attività economica sul mercato, benché il
capitale sia interamente pubblico.
Nel caso di specie, la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti del Lazio aveva
condannato i membri del consiglio di amministrazione di una società a totale
partecipazione pubblica, sottoposta a poteri di vigilanza del Ministero dei beni
culturali in quanto aveva ritenuto tali soggetti responsabili del danno cagionato alla
società a causa della costituzione di una società per azioni di gestione del risparmio
(SGR), istituita con finalità di associare capitale privato.
Il carattere pubblicistico della società, secondo la Corte sarebbe dimostrato dal capitale
interamente pubblico e dallo statuto, che prevedeva poteri incisivi di direttiva e di
indirizzo riconosciuti al Ministero quale socio unico, tra cui il fatto che la società è
totalmente finanziata con danaro pubblico, è inserita funzionalmente nell'ambito delle
politiche statali nel settore di riferimento ed è assoggettata a poteri di vigilanza da
parte del Ministero che nomina i componenti degli organi societari.
I consiglieri di amministrazione hanno rilevato che il danno contestato si
sostanzierebbe in una diminuzione diretta del patrimonio della società per azioni con
capitale totalmente pubblico (e non invece in un pregiudizio per l’erario) e che, di
conseguenza, andrebbe esclusa la giurisdizione della Corte dei Conti secondo quanto
statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 26806/2009.
Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei
danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite
degli amministratori o dei dipendenti quando non sussiste tra la società e l’ente socio
un rapporto di servizio, né un danno direttamente arrecato alla p.a.
Sussiste invece la giurisdizione dei magistrati contabili quando il rappresentante
dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere ha colpevolmente
trascurato di esercitare i propri diritti di socio, pregiudicando il valore della
partecipazione, ovvero sono stati realizzati comportamenti tali da compromettere la
ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al
perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o
quando si sia realizzato direttamente un danno al patrimonio pubblico.
E’ escluso che sussista un idoneo collegamento, per radicare la giurisdizione contabile
nei confronti degli amministratori di una società per azioni, per il solo fatto che vi sia la
totale o maggioritaria partecipazione societaria dell'ente pubblico, mentre è necessario
verificare se la società sia “un soggetto non solo formalmente, ma anche sostanzialmente
privato” (giurisdizione del giudice ordinario) o, invece, rappresenti un “mero modello
organizzatorio utilizzato dalla p.a. al fine di perseguire le proprie finalità” (Cass. SS.UU. sent.
10063/2011).
61
La giurisdizione della Corte dei Conti sussiste anche in ragione della natura
sostanzialmente pubblica delle società e della loro “specialità” ravvisabile in uno
specifico e differenziato statuto giuridico o, ancora, in una specifica disposizione
legislativa che prevede, come oggetto sociale esclusivo della società per azioni, la
produzione di beni e servizi strumentali all'attività delle amministrazioni (regionali e
locali).
In merito al caso di specie, la Corte dei Conti ha ritenuto non sussistente la propria
competenza in quanto la società, nonostante sia totalmente a partecipazione pubblica e
assoggettata a un pregnante controllo da parte della p.a.:
a) non opera “in via esclusiva o prevalente in favore dell'ente pubblico socio;
b) non svolge attività “amministrativa”;
c) svolge attività di impresa, commerciale vera e propria, improntata a parametri di
concorrenza non astratta (in quanto riferibile ad un segmento di mercato) e di
economicità.
Inoltre, il danno contestato agli amministratori della società è stato individuato nel
pregiudizio sofferto dalla stessa e non dalla p.a. socia, come conseguenza di una
fallimentare iniziativa.
Infine, la società avendo creato una nuova società di gestione del risparmio, ha
realizzato sostanzialmente attività di impresa, certamente non qualificabile come
attività amministrativa.
La Corte dei Conti ha così chiarito che in merito all’accertamento della responsabilità
degli amministratori per i danni cagionati alla società pubblica in ragione di scelte
imprenditoriali connesse alla creazione di una società per la gestione del risparmio,
spetta al giudice ordinario.
_____________________________
Scioglimento consorzio e personale: non è automatico il reinserimento negli organici
della p.a.
Corte dei Conti, sez. controllo Piemonte, deliberazione. 295/2013
di Federica Caponi
In caso di messa in liquidazione di un organismo partecipato, per il personale trasferito
dall’ente pubblico socio l’obbligo di riassunzione da parte della p.a. di provenienza
sussiste in caso di rispetto dei vincoli assunzioni, di regolamentazione al momento del
trasferimento del reintegro nel ruolo del comune e di reinternalizzazione dei servizi e
delle attività precedentemente esternalizzate.
A tal fine, inoltre, è necessario che l’ente pubblico abbia una carenza organica nei ruoli
e per le funzioni di competenza dei dipendenti già trasferiti presso l’organismo
esterno, la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al
reinquadramento, e che intenda procedere alla copertura dei posti scoperti mediante la
riammissione dei dipendenti, i quali devono essere inquadrati nella medesima
posizione giuridico – economica rivestita anteriormente al trasferimento.
Questi i principi ribaditi dalla Corte dei Conti, sezione controllo del Piemonte, con la
deliberazione 295/2013, con cui ha risposto alla richiesta di chiarimenti di un ente che
intendeva sciogliere un consorzio di cui faceva parte unitamente ad altri due comuni.
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In particolare, l’ente aveva chiesto se era possibile derogare ai vincoli in tema di spesa
di personale (riduzione tendenziale della spesa ex art. 1, comma 557, legge 296/2006;
incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente ex art. 76 del d.l. 112/2008) a
seguito del riassorbimento da parte dell’ente del personale dipendente dal consorzio.
I magistrati contabili hanno chiarito che la disciplina vincolistica in materia di spesa di
personale deve essere riferita non solo al singolo ente locale, ma anche a tutte quelle
forme di cooperazione e di esternalizzazione, che tendono a disarticolarne l’unità in
più centri giuridici (di diritto pubblico o privato), dotati di propria soggettività e
competenze, su cui l’ente, tuttavia, mantiene il controllo gestionale dall’esterno, quali
le unioni di comuni, ma anche i consorzi e le società interamente partecipate o
controllate dall’ente locale.
Pertanto, la spesa di personale deve essere valutata in senso sostanziale, sommando
alla spesa di personale propria di ciascun comune la quota parte di quella sostenuta da
un organismo partecipato, ancorché questo sia formalmente un soggetto terzo, secondo
un principio valevole per tutte le forme di esternalizzazione.
In caso di trasferimento di personale, a qualsiasi titolo, fra comuni e le varie tipologie
di organismi partecipati, in entrambe le direzioni, si deve tenere conto della somma
complessiva delle spese, calcolata sommando i dati degli enti locali che costituiscono
l’ente terzo e quelli di quest’ultimo soggetto.
La Corte ha ricordato infatti che attraverso l’utilizzo da parte degli enti locali di tali
forme organizzative non devono essere attuate operazioni elusive dei vincoli posti dal
legislatore.
Il dato relativo alla spesa per il personale transitato alla società partecipata (o
all’unione, al consorzio, etc.) e ritrasferito ad un ente partecipante, pertanto, deve
essere consolidato al dato della spesa del comune presso il quale fa rientro.
Tale modalità di calcolo deve essere attuata anche per individuare le spese di personale
sostenute nell’esercizio precedente, imputabili al comune, quale parametro di
riferimento per l’applicazione dell’obbligo di riduzione tendenziale della spesa ex art.
1, comma 557, della legge 296/2006.
La spesa di personale degli organismi partecipati, dovendo essere conteggiata in quella
complessiva per il personale dei comuni, nell’annualità in cui si verifica il rientro dei
dipendenti, soggiace ai parametri di contenimento previsti dalla legge al momento
della riassunzione negli enti di provenienza e alle relative conseguenze in caso di
violazione.
In merito al reinserimento nell’organico dell’ente locale dei dipendenti a seguito della
reinternalizzazione di un servizio, già svolto da un soggetto esterno, i magistrati
contabili del Piemonte hanno richiamato quanto chiarito dalle Sezioni riunite con la
deliberazione 8/2010, che hanno definito alcune condizioni necessarie.
In particolare, nella citata delibera, i magistrati contabili hanno precisato che i requisiti
che consentono il reinserimento di personale negli organici delle p.a. sono i seguenti:
la persistenza di una carenza organica nei ruoli e per le funzioni di competenza dei
dipendenti già trasferiti presso l’organismo esterno;
la disponibilità di risorse economiche per sostenere gli oneri connessi al
reinquadramento;
l’espressa volontà dell’amministrazione di procedere alla copertura dei posti
scoperti mediante la riammissione dei dipendenti;
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l’inquadramento dei dipendenti nella medesima posizione giuridico – economica
rivestita anteriormente al trasferimento.
Infine, la Corte dei Conti del Piemonte, ha ricordato che in caso di soppressione dei
consorzi di funzione [ex art. 2, comma 186, lett. e), legge 191/2009] sono fatti salvi i
rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione da parte dei comuni
delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con
successione dei comuni agli stessi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro
effetto.
In base al citato comma 186, tutto il personale del consorzio ha diritto al mantenimento
dell’impiego e in sede di scioglimento dell’organo associativo, i comuni devono
accordarsi in ordine al trasferimento di tutto il personale e, in particolare,
all’individuazione degli enti di destinazione di ciascun dipendente.
In ogni caso, i magistrati contabili del Piemonte hanno chiarito che i merito al
riassorbimento di personale proveniente da un consorzio disciolto i relativi
trasferimenti dovranno sottostare alle regole generali che disciplinano la materia e, in
particolare, a quelle finanziario-contabili in materia di contenimento delle spese di
personale.
Per quanto riguarda il personale delle società in house, l’ente locale, in caso di
reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni, non può
derogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della
spesa, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che rispondono a imprescindibili
esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento
finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi
comunitari (Corte dei Conti, sez. riunite, del. 26/2012).
2/2/2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
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02 Feb 2016
Per la dismissione delle partecipate «contralegem» l'ultima parola spetta all'assembleadi Federica Caponi
L'ente locale che ha deliberato la dismissione di una partecipata senza essere riuscito a vendere lequote, ha diritto a essere liquidato dalla società, ma la decisione deve essere discussadall'assemblea della società, che dovrà adottare misure idonee a garantirne l'attuazione. Il legislatore ha disciplinato una forma di liquidazione peculiare rispetto ai presupposti stabilitinel Codice civile per il recesso, introducendo un'ipotesi speciale valida solo per le societàpartecipate da enti pubblici, disciplinata dal comma 569 della legge 147/2013, ulteriore rispetto aquelle ordinarie contemplate dall'articolo 2437 del Codice civile; ma le decisioni assunte dall'entepubblico non vincolano automaticamente la società, essendo rimessa all'assemblea dellapartecipata la valutazione sulle modalità attuative più idonee della decisione espressa dal socio.
La vicenda Questi gli interessanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione di controllo Friuli VeneziaGiulia, nella deliberazione 158/2015 (su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Padel 25 gennaio), con cui ha risposto a una società in house, interamente controllata da entipubblici territoriali; uno degli enti partecipanti, per reperire risorse finanziarie per ripristinare ipropri equilibri di bilancio, aveva manifestato l'intenzione di dismettere una parte delle azioni insuo possesso. In particolare, la società aveva chiesto se era obbligata a liquidare la quota dell'ente socio, che nonaveva trovato un acquirente terzo, o se fosse possibile a fronte di legittime e oggettive ragioniopporsi alla richiesta, anche per evitare la riduzione delle partecipazioni dei soci a mere quotesimboliche, utili solo al mantenimento dell'affidamento in house.
Le regole «speciali» La problematica sottoposta ai magistrati contabili riguarda l'acquisizione di quote socialidismesse da un ente partecipante al capitale di una società in house, materia che è stata oggetto dinumerosi interventi legislativi negli ultimi anni, oltre che dello schema del decreto attuativo dellalegge 124/2015, appena approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri. L'articolo 2357 del Codice civile stabilisce che «la società non può acquistare azioni proprie senon nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancioregolarmente approvato. (…) L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa lemodalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, nonsuperiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed ilcorrispettivo massimo». Nel caso delle società pubbliche, però, questa disciplina, vincolante per le società di dirittocomune, è integrata da un'ulteriore serie di previsioni. Per ridurre il peso delle partecipazioni societarie degli enti locali, il legislatore ha previsto che,una volta che l'ente pubblico socio abbia qualificato come non più strettamente indispensabile la
2/2/2016 Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
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presenza nel capitale di società estranee alle proprie finalità istituzionali, se per qualsiasi causanon sia riuscito a dismetterle, possa farsi liquidare dalla società il valore del suo investimento exarticolo 2437ter, comma 2, del Codice civile. In base al rinvio a questa disposizione, il socio pubblico ha diritto alla liquidazione delle azionisecondo un valore determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e delsoggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimonialedella società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delleazioni. In base a quanto previsto dall'articolo 2437ter, comma 5, i soci hanno diritto di conoscere ladeterminazione del valore di liquidazione e a presentare eventuali contestazioni. La disciplina introdotta dal comma 569 non può essere completamente assimilata al recessocodicistico, ma secondo i magistrati contabili è corretta una lettura più ampia, individuando inessa un'ipotesi di recesso sui generis, conseguente alla mancata individuazione di un acquirente.L'intento del legislatore, infatti, con la previsione del comma 569, è proprio quello di superare ledifficoltà di cessione a terzi.
Il passaggio in assemblea «Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socioriconosciuto e regolato dal Codice civile, e viene conseguita indipendentemente dallacomposizione sociale e dalla quota detenuta – altrimenti verrebbe vanificato l'obiettivo fissatodal legislatore e in definitiva costringerebbe l'ente pubblico a rimanere associato a un rischio diimpresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recessoappare come l'elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioniazionarie non strategiche», come chiarito anche dal Tar Brescia con la sentenza 1305/2015.La Corte dei conti ha però rilevato che un aspetto problematico della normativa è costituitodall'assemblea dei soci, cui compete l'approvazione del provvedimento di cessazione dellapartecipazione societaria. La natura discrezionale della scelta di strategicità, che appartiene all'ente pubblico partecipante alcapitale, non "elimina" o riduce il ruolo dell'assemblea dei soci, che deve essere convocata performalizzare la decisione, facendola recepire agli altri soci, e definirne le modalità attuative. L'assemblea potrà eventualmente individuare forme alternative al recesso dell'ente pubblico,procedendo (ad esempio) al riacquisto di azioni proprie, qualora ricorrano le condizioni previstedall'articolo 2357 del Codice civile (acquisto esclusivamente di azioni interamente liberate neilimiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmenteapprovato) o disporre misure diverse. I magistrati contabili hanno infine precisato che in coerenza con le generali regole in tema digiurisdizione, la società potrebbe anche contestare la dismissione e gli altri soci potrebberoeventualmente rivolgersi al giudice competente territorialmente e per materia con riguardo a vizieventualmente ravvisati nella regolarità del procedimento di dismissione.
P.I. 00777910159 Copyright Il Sole 24 Ore All rights reserved
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11 Feb 2015
di Federica Caponi
È illegittima costituzionalmente la legge regionale che sopprime una propria società in house e,assegnando le funzioni a un'agenzia regionale, dispone il trasferimento del personale dellapartecipata alla costituenda agenzia regionale. Non conta che la neo-costituita agenzia regionale,cui sono state affidate tutte le funzioni che prima erano della società in house, abbia la necessitàdi risorse umane per operare. Non è possibile disattendere il principio del concorso pubblico,perché tale fattispecie non configura una peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico.
La decisioneQuesto il principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza 7/2015, con la quale hadichiarato illegittimo l'articolo 13, comma 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 15gennaio 2014, n. 4, concernente «Istituzione dell'Agenzia regionale per la bonifica e l'eserciziodelle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione – Arbam» La normain questione disponeva il trasferimento del personale a tempo indeterminato della società inhouse della Regione, contestualmente soppressa, alla neocostituita agenzia regionale per labonifica e l'esercizio delle attività residuali delle aree minerarie dismesse o in via di dismissione.La Presidenza del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale perviolazione degli articoli 97 e 117 della Costituzione.
Le motivazioniLa Corte ha ribadito che il pubblico concorso è forma generale e ordinaria di reclutamento delpersonale della pubblica amministrazione, cui si può derogare solo in presenza di peculiari estraordinarie esigenze di interesse pubblico, che devono essere funzionali al buon andamentodell'amministrazione. Il principio del pubblico concorso ad esempio non è incompatibile, nellalogica dell'agevolazione del buon andamento della Pa, con la previsione per legge di condizioni diaccesso che consentano il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate nella stessaamministrazione, ma non è ammissibile, salvo circostanze del tutto eccezionali, la riservaintegrale dei posti disponibili in favore di personale interno. La Corte ha più volte ritenutoillegittimo il mancato ricorso al concorso pubblico in relazione a norme regionali di generale edautomatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di regioni o entipubblici regionali, «perché un simile trasferimento si risolve in un privilegio indebito per isoggetti beneficiari di un siffatto meccanismo», in violazione dell'articolo 97 Cost. (sentenza134/2014).
Il casoSecondo i magistrati costituzionali, anche nel caso in cui vi sia il passaggio di attività da uno a unaltro soggetto, con conseguente trasferimento anche del personale addetto consente diprescindere dal concorso e dall'esigenza di pari condizioni di accesso di tutti i cittadini e diselezione dei migliori. In tal caso, infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro con una p.a. nonpuò che risolversi nell'insorgenza di un rapporto di impiego pubblico alle dipendenze diquest'ultima. La corte ha rilevato che è legittima la deroga al pubblico concorso quando lo
L'agenzia regionale non può assorbire il personale della società in house http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABoGIYU/0
1 di 2 11/02/2015 16:02
scostarsi da tale principio «si riveli maggiormente funzionale al buon andamentodell'amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d'interesse pubblico». I giudici dellaconsulta hanno però ritenuto che la necessità della neo-costituita agenzia di garantire l'immediataoperatività, essendole state assegnate le stesse funzioni della soppressa società in house, con laconseguente, primaria esigenza di dotarsi di personale idoneo, non costituisce valido motivo perdisattendere il principio del concorso pubblico, non potendo qualificarsi tale condizione comeuna «peculiare e straordinaria esigenza di interesse pubblico».
Le conseguenzeLa pronuncia della Corte si ritiene dovrebbe imporre alcune riflessioni se consideriamo che:• le società in house da diversi anni devono assumere nuovo personale nel rispetto delleprocedure selettive di cui all'articolo 35, comma 3 del d.lgs. 165/2001 (ex art. 18, d.l. 112/2008),ma formalmente sia ha pubblico concorso solo quando la selezione è svolta da una Pa in sensostretto;• le società sono considerate, ormai di fatto, pubbliche amministrazioni, non rilevando nellamaggioranza dei casi la loro natura di soggetti privati se non in rarissime "eccezioni";• si dovrebbe aprire presto il tema della razionalizzazione e riorganizzazione di tali organismi e laproblematica del personale costituisce un aspetto rilevantissimo, anche alla luce della crisieconomica.
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2 di 2 11/02/2015 16:02
NORME E TRIBUTI 26 GENNAIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì
Giurisdizione. Competenza del giudice ordinario e non del Tar
L’atto del presidente di una provincia che dispone la revoca dell’amministratore di unasocietà interamente partecipata dall’ente non è un atto amministrativo in quanto la fattispeciedifetta del potere pubblicistico. Pertanto, in caso di controversia è competente solo il giudiceordinario, al quale è rimessa la verifica della vicenda e anche quella dell’eventuale profilorisarcitorio. L’atto è addirittura inesistente come atto amministrativo.È questo il principio sancito dal Tar Calabria, sezione di Reggio Calabria, che, nella sentenza4 del 15 gennaio scorso, ha dichiarato il difetto di giurisdizione e la competenza del giudiceordinario.Al Tar si era rivolto l’ex amministratore di una società, interamente partecipata da unaprovincia, che aveva impugnato il decreto con il quale il presidente dell’ente locale lo avevarevocato dalla carica. L’interessato aveva anche proposto domanda risarcitoria per ottenere lacondanna dell’amministrazione provinciale al ristoro di tutti i pregiudizi patrimoniali(individuati nell’ammontare dei compensi non percepiti a causa della revoca anticipata,ritenuta illegittima) e non patrimoniali.Il Tar ha chiarito che tra le società a capitale interamente pubblico devono differenziarsiquelle che svolgono attività di impresa da quelle che esercitano attività amministrativa. Leprime sono assoggettate, in linea di principio, allo statuto privatistico dell’imprenditore, leseconde soggiacciono allo statuto pubblicistico della pubblica amministrazione. Per stabilirequando ricorre la prima o la seconda fattispecie occorre aver riguardo:alle modalità di costituzione;alla fase dell’organizzazione;alla natura dell’attività svolta e al fine perseguito. Il che significa applicare il principiosancito dalla sentenza 326/2008 della Corte costituzionale, la quale ha distinto tra attivitàamministrativa in forma privatistica e attività di impresa di enti pubblici.I giudici amministrativi, relativamente al caso esaminato, hanno precisato che:?la società è stata costituita per iniziativa della provincia, che è socio totalitario al 100 percento;?l’organo amministrativo, a regime, è composto da un consiglio di amministrazione di tremembri, dei quali uno nominato dal socio unico, gli altri due nominati dal consiglioprovinciale, uno per la maggioranza e uno per la minoranza a maggioranza semplice e convotazione separata;?la società ha a oggetto una serie di molteplici attività anche di natura economica;?il finanziamento dell’ente, oltre che dal capitale sociale ovvero dai finanziamenti del sociounico, viene ritratto dai proventi e dagli introiti derivanti dall’esercizio delle attività conferitesecondo una logica corrispettiva;?nello statuto non è disciplinata espressamente la revoca dell’organo amministrativo.Alla luce di queste considerazioni, dall’analisi delle scritture contabili e del bilancio lasocietà ha natura privatistica, nonostante abbia un’indubbia caratterizzazione pubblicistica.La società è qualificabile, secondo i giudici amministrativi, come un organismo esercenteattività di impresa, seppur di rilievo pubblicistico. Pertanto, la società per quanto riguarda gliistituti della nomina e della revoca degli amministratori è assoggettata al diritto societario,alle prescrizioni statutarie e alle disposizioni organizzative derivanti dall’applicazione delleregole di diritto privato.Secondo il Tar, quindi, il presidente della Provincia difettava di un potere pubblicistico direvoca e il ricorrente è titolare di un diritto soggettivo dinanzi all’esercizio di una revoca(privatistica) di competenza del giudice ordinario, al quale spetta anche la verifica in meritoal conseguente ed eventuale risarcimento. Manca infatti una norma che riconosca questopotere a una Pa; quindi, più che di nullità dell’atto, dovrebbe parlarsi di inesistenza dellostesso come atto autoritativo.© RIPRODUZIONE RISERVATAFederica Caponi
Il Sole 24 Ore del Lunedì http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola...
1 di 1 09/02/2015 11:26
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Aziende speciali e assunzioni di personale
Competenza del giudiceamministrativo in caso di nuoveassunzionidi Federica CaponiConsulente di enti locali
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L’azienda speciale e una forma peculiare di articolazione del comune di riferimento, quindi,in caso di nuove assunzioni vige il principio del concorso pubblico, tramite procedure intutto e per tutto assimilabili alle procedure selettive dell’ente pubblico. Pertanto, il regimegiuridico pubblico, che deve essere rispettato in caso di nuove assunzioni effettuate dagliorganismi partecipati, impone il rispetto del principio di imparzialita amministrativa, e nonla logica imprenditoriale, determinando la competenza del Giudice amministrativo
Premessa
Le aziende speciali, cosı come le societa in house,possono essere considerate enti che rappresentanodelle vere e proprie articolazioni della p.a., attesoche gli organi di queste sono assoggettate a vincoligerarchici facenti capo all’ente locale di riferimen-to.Pertanto, i dipendenti di tali organismi sono legatial comune da un rapporto di servizio come avvieneper i dirigenti preposti ai servizi direttamente ero-gati dall’ente pubblico.L’art. 7, comma 2, del c.p.a. stabilisce espressa-mente che ‘‘Per pubbliche amministrazioni, ai finidel presente codice, si intendono anche i soggettia esse equiparati o comunque tenuti al rispettodei principi del procedimento amministrativo’’,quindi, tale norma e gia di per se idonea a radicarela giurisdizione del G.A. in relazione ad atti di sog-getti che, pur avendo una natura privatistica, comenel caso delle aziende speciali e degli enti pubblicieconomici in generale, sono tenuti al rispetto deiprincipi del procedimento amministrativo.Questo il principio sancito dal Consiglio di Stato,sez. V, nella sentenza n. 820 del 20 febbraio2014, con la quale ha accolto il ricorso presentatoda una dipendente di un’azienda speciale avversoil provvedimento di approvazione degli atti dellaselezione comparativa per la scelta del direttore ge-nerale dell’azienda.Il Tar, in primo grado, aveva dichiarato il difetto di
giurisdizione del Giudice amministrativo in favoredel giudice ordinario.Secondo il Tribunale, sarebbero di competenza delgiudice ordinario le controversie relative al rappor-to di lavoro del personale degli enti pubblici econo-mici, tra cui sono annoverabili anche le aziendespeciali.Gli interessati avrebbero dovuto adire il giudice dellavoro anche in caso di procedura concorsuale, inquanto la discrezionalita di un ente pubblico econo-mico che permea la fase selettiva non e espressionedi una potesta pubblica di autorganizzazione, masempre esercizio di capacita e poteri di matrice pri-vatistica.Pertanto, vi sarebbe la competenza del giudice or-dinario sia sotto il profilo del rispetto delle disposi-zioni normative e contrattuali, che sotto quello del-l’osservanza dei principi generali di correttezza, ditutela dell’affidamento legittimo e di divieto dell’a-buso del diritto.Tale pronuncia e stata impugnata di fronte al Con-siglio di Stato.I giudici amministrativi hanno chiarito che le azien-de speciali in quanto enti strumentali del comune,devono essere considerate alla stregua di una p.a.Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter, della leggen. 241/1990, ulteriormente rafforzato dalla legge n.190/2012, ‘‘I soggetti privati preposti all’eserciziodi attivita amministrative assicurano il rispetto deicriteri e dei principi di cui al comma 1’’, ovverodei principi del procedimento amministrativo.
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In primo piano
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6/2014 323
FEDERICA CAPONI - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
L’azienda speciale, quindi, anche se qualificabileformalmente come soggetto privato, in quanto pre-posta (anche) all’esercizio di attivita amministrati-ve, e un organismo assoggettato al rispetto di taliprincipi.
Le peculiarita dell’azienda speciale
L’azienda speciale e qualificabile come ente pub-blico economico e in quanto tale e vincolata, oltreall’iscrizione nel registro delle imprese, alla disci-plina di diritto privato per quanto attiene al profilodell’impresa e per i rapporti di lavoro dei dipenden-ti (come confermato anche dalla Corte di cassazio-ne, sez. un., sentenza n. 12654/1997 e dal Tar Ligu-ria, sez. II, sentenza n. 272/1995).I contratti collettivi di lavoro non sono quelli delsettore pubblico, ma quelli stabiliti dalle parti in ri-ferimento al settore merceologico di appartenenza.La giurisprudenza amministrativa ha escluso ancheche i dipendenti di un’azienda speciale possano in-vocare l’applicazione del testo unico sul pubblicoimpiego, in quanto gli enti pubblici economicinon rientrano nella nozione di amministrazionepubblica (Cons. Stato, sez. V, n. 641/2012).L’azienda speciale, inoltre operando come unaqualsiasi impresa commerciale, soggiace al regimefiscale proprio delle societa di diritto privato e,quindi, e soggetto passivo di imposta distinto dal-l’ente locale, ai fini del pagamento di Iva, Ires eIrap (Cass., sez. V, sent. n. 7906/2005).Tale organismo pero, in quanto ente strumentaledel comune, e un elemento del sistema ‘‘ente loca-le’’, che nel proprio agire deve conciliare il rispettodell’autonomia decisionale che, in astratto, consen-te all’azienda speciale stessa di effettuare scelte ditipo imprenditoriale, e l’essere sostanzialmente par-te della p.a.I connotati caratteristici dell’azienda speciale, comeespressamente previsto dall’art. 114 del Tuel, sonola strumentalita, la personalita giuridica el’autonomia imprenditoriale.L’attribuzione alle aziende speciali della personali-ta giuridica e dell’autonomia imprenditoriale rap-presenta, indubbiamente, il punto di arrivo di unlungo processo normativo teso ad avvicinare sem-pre piu le aziende al modello organizzativo dell’en-te pubblico economico.In sostanza, la personalita giuridica, l’autonomiaimprenditoriale e la strumentalita dell’azienda spe-ciale, rispetto all’ente locale conferente, evidenzia-no come la scelta del legislatore sia ricaduta, perquanto attiene al modello astratto di gestione, senzadubbio sul cd. ‘‘modello aziendale’’ rispetto al piuarcaico sistema delle ‘‘municipalizzate’’.
L’azienda speciale, quindi, non e piu vista come unorgano di esecuzione delle determinazioni dell’entelocale, ma e un’impresa retta da principi pubblici-stici alla quale si applica, sostanzialmente, la disci-plina del Codice civile.Non vi e alcun dubbio in ordine all’ascrivibilitadelle aziende speciali alla categoria degli enti pub-blici economici.A tal proposito, e necessario ricordare infatti chesono enti pubblici quegli organismi:— la cui personalita giuridica e riconosciuta diret-tamente dalla legge, secondo norme di diritto pub-blico;— diversi dallo Stato;— strumentali alla p.a. di riferimento che svolgeattraverso questi la propria funzione amministrati-va;— idonei a essere titolari di poteri amministrativi;— svolgono una funzione di pubblico interesse.Si ricorda che secondo quanto chiarito dall’Istitutonazionale di statistica (Istat), nella ‘‘Classificazionedelle forme giuridiche delle unita legali’’, che haclassificato le forme giuridiche disciplinate dal di-ritto privato e dal diritto pubblico (1) in 16 divisio-ni e 62 classi, attribuendo a ciascun organismo uncodice a quattro cifre, dove la prima cifra individuala sezione, la seconda la divisione e le ultime due laclasse, le aziende speciali sono state inserite nellasezione 1.6 - Ente pubblico economico, aziendaspeciale e azienda pubblica di servizi (2).Per quanto riguarda le aziende speciali, in dottrinae in giurisprudenza, negli anni si e consolidato l’o-rientamento secondo il quale queste sono ‘‘entiche, operando nel campo della produzione di benie servizi e svolgendo attivita prevalentemente oesclusivamente economiche, informano la propriaattivita al criterio della obiettiva economicita, intesa
Note:(1) Le fonti giuridiche prese in considerazione per la realizzazione della classifi-cazione sono la Costituzione della Repubblica, il Codice civile e la legislazionespeciale. Inoltre, per cogliere alcuni fenomeni non riconducibili alle forme giu-ridiche tipiche l’Istat ha fatto riferimento alla giurisprudenza.
(2) 1.6.10 - Ente pubblico economicoGli enti pubblici economici pur essendo regolati da norme di legge, possiedonoun accentuato grado di autonomia finanziaria patrimoniale amministrativa econtabile: personalita giuridica e patrimonio proprio, propri organi di gestionee controllo, bilanci propri (ma vi era anche un controllo esterno, contabile e digestione, affidato alla Corte dei conti).1.6.20 - L’azienda speciale e ai sensi dell’art. 114 del D.Lgs. n. 267/2000.E un ente di gestione di pubblici servizi locali, dotato di autonomia imprendito-riale nonche statutaria. Tale modalita di gestione e stata prevista quando losvolgimento dei servizi pubblici locali implica un’attivita imprenditoriale caratte-rizzata dalla snellezza, managerialita.Rappresenta una delle forme con cui gli enti locali possono provvedere alla ge-stione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni e attivitarivolte a realizzare fini sociali.
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In primo piano........................ ................
324 6/2014
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quest’ultima come necessita minima di coperturadei costi dei fattori di produzione attraverso i rica-vi’’ (Cass., sez. unite, sent. 15 dicembre 1997, n.12654; Cass. sez. unite, sent. n. 7639/2008).E principio consolidato in giurisprudenza che ‘‘none l’oggetto dell’attivita che determina il discriminetra ente pubblico non economico, ente pubblicoeconomico e azienda speciale, ma la struttura giuri-dica e il modo in cui l’ente esercita la propria atti-vita’’ (Cass. sez. unite, sent. n. 15661/2006).A riprova della qualita di ente pubblico economico,l’art. 114 comma 4 del Tuel statuisce che l’aziendaha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguireattraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, com-presi i trasferimenti.
Strumentalita
La qualificazione dell’azienda speciale quale entestrumentale dell’ente locale rivela l’esistenza diun collegamento inscindibile tra l’azienda e il co-mune.Il principio di strumentalita dell’attivita di gestionedeve essere inteso come identificazione dello scoposociale nella cura degli interessi della comunita lo-cale, perseguibili attraverso l’attivita di gestionefunzionalmente svolta dall’azienda nei settori deiservizi pubblici per i quali la stessa e stata costituita(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 4586/2001).L’ente locale ‘‘si serve’’ dell’azienda speciale perlo svolgimento di un servizio e, quindi, per soddi-sfare un’esigenza della collettivita.In quest’ottica, spetta all’ente locale esclusivamen-te la fase ‘‘politica’’ della determinazione degliobiettivi e della vigilanza sul perseguimento e rag-giungimento di questi.La strumentalita dell’azienda speciale e il regimenormativo vigente in materia pretendono, in defini-tiva, un collegamento molto saldo, seppur di natura‘‘funzionale’’, tra l’attivita dell’azienda e le esigen-ze della collettivita stanziata sul territorio dell’enteche l’ha costituita.I vincoli che legano l’azienda speciale al comunesono pertanto molto stretti sia sul piano della for-mazione degli organi, che su quella degli indirizzi,dei controlli e della vigilanza, da farla ritenere‘‘elemento del sistema amministrativo facente capoallo stesso ente territoriale’’ (Corte cost., sent. n.28/1996).
Personalita giuridica
L’attribuzione della personalita giuridica, ai sensidel citato art. 114 del Tuel, rende l’azienda specialeun soggetto a se stante rispetto all’ente locale di ri-ferimento che l’ha costituita.
L’azienda dunque non e piu un organo dell’ente lo-cale a legittimazione separata, come era l’aziendamunicipalizzata prevista dal R.D. n. 2578/1925.L’attribuzione della personalita giuridica pero nonha mutato la natura pubblica e non ha trasformatol’azienda in un soggetto privato, ma l’ha solo con-figurata come un nuovo centro di imputazione disituazioni e rapporti giuridici, distinto dal comune,con una propria autonomia decisionale.Tale riconoscimento ha reso necessario che l’a-zienda effettui autonome scelte di tipo imprendito-riale e organizzative, connesse ai fattori della pro-duzione, secondo modelli propri dell’impresa pri-vata, compatibilmente pero con i fini sociali del-l’ente titolare, per il conseguimento di un maggio-re grado di efficacia, efficienza e economicita delservizio.L’azienda speciale e soggetto istituzionalmente di-pendente dall’ente locale ed e legata a questo dastretti vincoli (sul piano della formazione degli or-gani, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza),al punto da farla ritenere un elemento del sistemaamministrativo facente capo allo stesso ente territo-riale, ovvero, pur con l’accentuata autonomia deri-vante dall’attribuzione della personalita giuridica,anche parte dell’apparato amministrativo del comu-ne (Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4850/2000; sent. n.2735/2000; sent. 4586/2001; Corte cost., sent. n.28/1996).Il riconoscimento della personalita giuridica all’a-zienda speciale comporta, oltre l’iscrizione nel regi-stro delle imprese, alla sua assoggettabilita al regi-me fiscale proprio delle aziende private (Cons. Sta-to, sez. III, sent. 18 maggio 1993, n. 405) e alla di-sciplina di diritto privato per quanto attiene al pro-filo dell’impresa e per i rapporti di lavoro dei di-pendenti (Tribunale di Milano, sez. lavoro, sent.n. 4776/2011; Tribunale di Ragusa, sez. lavoro,sent. n. 711/2013; Tar Liguria, sez. II, sent. 24maggio 1995, n. 272).
Autonomia imprenditoriale
Con il riconoscimento dell’autonomia imprendito-riale il legislatore ha voluto evidenziare che l’azien-da non deve essere vista come un organo di esecu-zione delle determinazioni dell’ente locale, ma co-me un’impresa alla quale si applica, salvo eccezio-ni, la disciplina del Codice civile.La capacita imprenditoriale non va oltre tali confi-ni, anzi subisce restrizioni.E sufficiente a rilevarlo il fatto che spetta al comu-ne la fissazione delle tariffe dei servizi prodotti dal-l’azienda speciale.L’azienda speciale, comunque anche nella sua nuo-va configurazione, resta un soggetto pubblico e la
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sua azione e regolata dal diritto pubblico e si espri-me con atti amministrativi autoritativi.Per l’azienda speciale, come per tutti i soggetti pub-blici, anche la negoziazione privatistica e regolatada procedure di diritto pubblico, da atti amministra-tivi e deliberazioni, attraverso i quali si concretizzain forma procedimentale la volonta dell’ente cheprecede la conclusione del negozio (Cons. Stato,sez. V, sent. n. 4850/2000 e sez. V, sent. n.2735/2000).Il patrimonio delle aziende speciali e sottoposto alregime della proprieta privata e il rapporto di lavo-ro con i dipendenti rientra nella contrattazione col-lettiva di diritto privato.L’economicita della gestione, non riconducibile aun fine di lucro, pretende come per tutti gli entieconomici la copertura dei costi corrispondenti allaremunerazione dei fattori della produzione impie-gati.L’autonomia imprenditoriale esclude che gli entilocali possano sostituirsi alle aziende nelle sceltedi espletamento dei servizi loro affidati, fatta ecce-zione per i poteri di indirizzo, controllo e vigilanzariconosciuti all’ente di appartenenza, che ne appro-va il bilancio e tutti gli atti fondamentali.
Vincoli e limiti
L’azienda speciale deve informare la propria attivi-ta a criteri di efficacia, efficienza ed economicita eha l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguireattraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, com-presi i trasferimenti.Nell’ambito della legge, l’ordinamento e il funzio-namento delle aziende speciali e disciplinato dallostatuto e dai regolamenti.Dal 2013, le aziende speciali e le istituzioni devonoiscriversi e depositare i propri bilanci al registrodelle imprese o nel repertorio delle notizie econo-mico-amministrative della camera di commercio,industria, artigianato e agricoltura del proprio terri-torio entro il 31 maggio di ciascun anno.Le aziende speciali inoltre devono rispettare le di-sposizioni del D.Lgs. n. 163/2006 e le disposizioniche stabiliscono, a carico degli enti locali di riferi-mento, divieti o limitazioni alle assunzioni di per-sonale, contenimento degli oneri contrattuali e del-le altre voci di natura retributiva o indennitaria eper consulenza anche degli amministratori, oltreagli obblighi e limiti alla partecipazione societariadegli enti locali.Spetta agli enti locali conferenti vigilare sull’osser-vanza di tali vincoli e prevedere eventuali deroghea favore delle aziende che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, servizi scolastici e perl’infanzia, culturali e farmacie.
Inoltre, tutte le aziende speciali, in quanto enti stru-mentali dell’ente locale, sono assoggettate a unvincolo di territorialita per quanto riguarda lapossibilita di svolgere attivita a favore di enti diver-si rispetto a quello di appartenenza.Tale limite sussiste nel caso in cui l’azienda intendaacquisire direttamente l’affidamento di uno o piuservizi da parte di un soggetto diverso dall’enteconferente.L’art. 5 del D.P.R. n. 902/1986 ha previsto che ‘‘ilcomune puo deliberare (...) l’estensione dell’attivitadella propria azienda di servizi al territorio di altrienti locali, previa intesa con i medesimi, sulla basedi preventivi d’impianto e d’esercizio formulatidall’azienda stessa. Con lo stesso atto deliberativoe approvato lo schema di convenzione per la disci-plina del servizio e per la regolazione dei conse-guenti rapporti economico-finanziari, fermo restan-do che nessun onere aggiuntivo dovra gravare sul-l’ente gestore del servizio’’.A tal proposito, e necessario ricordare che il Consi-glio di Stato, in numerose sentenze (tra cui, n.6325/2004; n. 4586/2001; n. 475/1998) ha chiaritoche l’estensione dell’attivita delle aziende specialial di fuori del territorio dell’ente che le ha costitui-te, richiede il rispetto delle regole procedimentali edei limiti sostanziali posti dalle norme positive epresuppone l’interesse della collettivita dell’enteconfinante.La giurisprudenza infatti ha ribadito piu volte chel’azienda speciale puo svolgere attivita esclusiva-mente per l’ente locale di riferimento.Nel caso in cui il comune sottoscriva accordi conaltri enti confinanti per lo svolgimento di servizidi interesse per i propri cittadini, gestiti dall’azien-da speciale, e possibile, previo accordo tra gli enti,che l’azienda sia affidataria da parte del proprio co-mune, dello svolgimento delle attivita anche a fa-vore dei cittadini degli enti aderenti all’accordo.La giurisprudenza ha infatti da sempre richiesto uncollegamento funzionale tra il servizio eccedentel’ambito locale e le necessita della collettivita loca-le (3).L’azienda speciale di un comune, infatti, ‘‘puo an-
Nota:(3) Il Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23 aprile 1998, n. 475, ha chiarito chel’estensione dell’attivita delle aziende speciali comunali al di fuori del territoriodell’ente locale che le ha costituite presuppone comunque un collegamentofunzionale - che non puo essere ridotto al puro dato dell’interesse imprendito-riale - tra il servizio eccedente l’ambito locale e le necessita della collettivita lo-cale.Tale collegamento funzionale sussiste, ad esempio, nel caso dell’integrazionefunzionale della propria attivita con quella del comune confinante, sicche ven-gono in tal modo soddisfatte anche le esigenze della collettivita stanziata sulterritorio dell’ente che l’ha costituita.
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che estendere il proprio servizio in un altro comu-ne, ma a patto che cio realizzi un’integrazione fun-zionale della propria attivita con quella del comunevicino’’.L’azienda speciale, quindi, puo esercitare attivita aldi fuori del territorio dell’ente costituente sulla basedi specifiche convenzioni tra enti locali, nell’ambi-to delle quali i comuni possono disporre l’affida-mento di taluni servizi all’azienda speciale.Il Consiglio di Stato ha precisato che tali limiti epossibilita per le aziende speciali derivano dall’ele-mento della strumentalita e sono le stesse norme aindicare il nesso eziologico che necessariamentedeve sussistere tra le funzioni, che e chiamata adassolvere l’azienda, quale ente strumentale del co-mune che l’ha costituita, e la tutela degli interessidi cui sono portatori i cittadini residenti nel comunestesso.L’azienda pertanto puo realizzare la propria attivitaverso l’esterno, oltre la stretta dimensione localedell’ente di riferimento, solo nei casi e con le mo-dalita previste dalle speciali disposizioni in tema diconvenzioni (ed eventualmente di consorzi), ai sen-si degli artt. 30 e 31 del Tuel e dell’art. 5 del D.P.R.n. 902/1986 (4).Al contrario, al di fuori degli speciali moduli con-venzionali e consorziali tra enti locali previsti dallenorme di legge e regolamentari, le aziende specialinon sono legittimate a partecipare alle gare perl’appalto di pubblici servizi da svolgersi presso al-tri enti locali (5), in concorrenza con altri soggettiprivati e alla stregua di una qualsiasi impresa ope-rante sul mercato.L’eventuale convenzione sottoscritta tra gli enti lo-cali dovra disciplinare le modalita attuative e i rap-porti economici tra gli enti.Una tale scelta organizzativa potra essere adottatadal comune tramite delibera del consiglio comunaleche, oltre ad approvare lo schema convenzionale,potra disporre l’affidamento del servizio alla pro-pria azienda speciale.
Le procedure assunzionali
Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in commen-to (6), ha chiarito che le procedure selettive perl’assunzione di dipendenti di un’azienda speciale,considerato che questa e qualificabile come unap.a. per la quale vige il principio del concorso pub-blico, sono in tutto e per tutto assimilabili alle pro-cedure concorsuali di un ente locale, di cui l’azien-da speciale e ente strumentale.Il Consiglio di Stato ha ricordato che per pubblicheamministrazioni, secondo il Codice amministrativo,si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o
comunque tenuti al rispetto dei principi del proce-dimento amministrativo.Inoltre, l’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 241/1990 stabilisce che ‘‘i soggetti privati preposti al-l’esercizio di attivita amministrative assicurano ilrispetto dei criteri e dei principi di cui al comma1’’, pertanto, secondo i giudici amministrativi ‘‘ealtrettanto indubbio che un’azienda speciale, anchese qualificabile come soggetto privato, e preposto(anche) all’esercizio di attivita amministrative’’.Sotto il profilo sostanziale, le aziende speciali, cosıcome le societa in house, come di recente affermatodalle sezioni unite della Corte di cassazione (sen-tenza 25 novembre 2013, n. 26283, ribadito con or-dinanza 2 dicembre 2013, n. 26936), possono esse-re considerate come enti che rappresentano dellevere e proprie articolazioni della p.a.Gli organi di tali organismi sono assoggettati a vin-coli gerarchici nei confronti delle p.a., i cui compo-nenti sono legati a quest’ultima da un rapporto diservizio, come avviene per i dirigenti preposti aiservizi direttamente erogati dall’ente pubblico(per le aziende speciali, qualificate espressamentequali enti strumentali dei comuni, Cass., sez. un. ci-vili, sent. n. 14101/2006).Gli organismi controllati dalle p.a., tra cui rientranole aziende speciali, altro non sono che forme pecu-liari di articolazione della stessa p.a.Pertanto, anche per quanto riguarda le procedureassunzionali poste in essere dalle aziende speciali,in quanto hanno la stessa natura delle procedure se-lettive per l’assunzione dei dipendenti pubblici, ecompetente il giudice amministrativo.Infine, e necessario ricordare che l’art. 18 del D.L.n. 112/2008, modificato dalla legge n. 147/2013
Note:(4) Il Consiglio di Stato, sez. V, n. 2360 del 27 aprile 2010, ha chiarito che uncomune puo legittimamente avvalersi dell’azienda speciale di altro comune perla gestione di un proprio servizio, a seguito di convenzione stipulata nel conte-sto della normativa di cui al D.P.R. n. 902/1986, in quanto, sulla base del com-binato disposto dell’art. 5 del D.P.R. n. 902 cit. e dell’art. 24 della legge n. 142/1990, puo delinearsi un modello procedimentale tipizzato (conclusione diun’intesa disciplinante aspetti predeterminati, deliberazione con maggioranzaqualificata dell’estensione dell’attivita dell’azienda speciale al territorio dell’altroente locale) per l’adozione di una formula organizzatoria alternativa alla conclu-sione di contratti con imprese in concorrenza tra loro. Rispetto a tale moduloconvenzionale rimane interdetta anche l’applicazione della disciplina comunita-ria in tema di procedure di appalto, posta a tutela del mercato e della concor-renza (Riforma della sentenza del Tar Lombardia - Milano, sez. III, n. 1905/1997).In tal senso, Tar Lazio Roma, sez. II, sent. n. 11799/2006.
(5) Il Tar Sicilia, Palermo, sez. II, con la sentenza n. 331/2005 ha ribadito cheun’azienda speciale non puo partecipare a una gara per l’affidamento della ge-stione di un servizio pubblico al di fuori del proprio territorio, tranne che nei casidi avvenuta stipula di apposite convenzioni.
(6) Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 820/2014.
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(legge stabilita 2014) ha previsto che gli organismiche gestiscono servizi pubblici locali a totale parte-cipazione pubblica, sono obbligati a dotarsi, me-diante ‘‘propri provvedimenti’’, di criteri e modali-ta per il reclutamento del personale conformi aiprincipi richiamati dall’art. 35, comma 3, delD.Lgs. n. 165/2001 in materia di reclutamento delpersonale.Il legislatore ha inteso introdurre, a carico di tali en-ti vincoli di trasparenza, imparzialita, pubblicita edeconomicita in particolare per il reclutamento delpersonale che l’art. 97 della Costituzione imponeper le p.a. e gli enti pubblici strettamente intesi.
Tale nuova attenzione posta dal legislatore rendedunque obsoleto e non piu condivisibile l’indiriz-zo espresso dalla giurisprudenza amministrativafino ad ora, secondo cui ‘‘appartengono alla co-gnizione del giudice ordinario le controversie rela-tive al rapporto di lavoro del personale degli entipubblici economici, anche se inerenti alla proce-dura concorsuale che precede la costituzione delsuddetto rapporto, in quanto la discrezionalitache permea la fase concorsuale non e espressionedi una potesta pubblica di autorganizzazione maesercizio di capacita e poteri di matrice privatisti-ca’’.
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Reperimento risorse per interventi in ambito culturale e sociale
Il comune non puo costituireuna fondazione per ricercadi finanziamentidi Federica CaponiConsulente di enti locali
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Non e legittima la costituzione di una fondazione da parte di un comune per il reperimentoe la gestione di risorse per attivazione di interventi nel campo della cultura, della solidarietasociale e del turismo. Tale ‘‘scopo’’ istitutivo e qualificabile come attivita di raccolta e digestione di provvista finanziaria per la realizzazione di politiche di carattere sociale, didiretto interesse comunale, ma data la strumentalita della fondazione rispetto all’entelocale, questa incasserebbe somme in entrata al di fuori delle garanzie e delle procedureprescritte dall’ordinamento, in quanto fattispecie gestionale di carattere atipico
PremessaUn comune si e rivolto alla sezione di controllodella Corte dei conti della Sardegna per sapere sesia legittima la costituzione di una fondazione perla raccolta di risorse finanziarie (consistenti in libe-ralita, donazioni e similari da parte di enti e privaticittadini), per la loro successiva gestione/destina-zione da parte della stessa fondazione in favore dispecifici eventi culturali e di solidarieta socialenel territorio del comune.Il comune ha anche precisato che in favore dellafondazione avrebbe concesso l’utilizzo gratuito diuno specifico immobile di proprieta comunalecon spese di gestione, utenze, pulizia, manutenzio-ne e similari interamente ed esclusivamente a cari-co della fondazione, che non avrebbe beneficiato dinessun altro ausilio economico da parte dell’ente,ne di ‘‘sovvenzionamenti’’ in natura.I magistrati contabili della Sardegna, con la delibe-razione n. 19 del 10 aprile 2014, hanno risposto ne-gativamente, ritenendo il reperimento e la gestionedi risorse per attivazione di interventi nel campodella cultura, della solidarieta sociale e del turismo,di diretto interesse comunale, attivita afferentiesclusivamente alla sfera di intervento proprio delcomune.Se tali attivita fossero trasferite a una fondazione,‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate aldi fuori delle garanzie e delle procedure prescritte
dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispeciegestionale di carattere atipico.’’.La fondazione al massimo potrebbe essere costitui-ta solo come struttura amministrativa di supporto alcomune, cui affidare esclusivamente l’attivita am-ministrativa, propedeutica di back office.Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolverei compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso lapropria struttura organizzativa.Il reperimento delle risorse per la realizzazione difinalita istituzionali non puo essere ‘‘demandato otrasferito’’ a un organismo terzo, esterno al comu-ne, in quanto trattasi di una funzione propria del-l’ente locale, cui lo stesso deve far fronte esclusiva-mente attraverso la propria struttura burocratico-amministrativa, con propri dipendenti.
Le fondazioni e gli enti locali
La Corte dei conti ha aumentato negli ultimi annil’attenzione verso le fondazioni costituite da entilocali, non mostrando particolare favore verso talemodello organizzativo.I magistrati contabili hanno sempre posto l’atten-zione sulla natura giuridica di tali organismi, qualienti morali riconosciuti, dotati di personalita giuri-dica, disciplinati dal Codice civile, che hanno qualeelemento costitutivo essenziale l’esistenza di un
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‘‘patrimonio’’ destinato alla soddisfazione di uno‘‘scopo’ di carattere ideale (artt. 14 e segg.).Il ‘‘patrimonio’’ non e solo elemento costitutivodella fondazione, ma ‘‘e la caratteristica che distin-gue e differenzia questo istituto dall’associazione,che ha quale elemento essenziale la personalita del-la partecipazione di una pluralita di soggetti, fina-lizzata al raggiungimento di uno scopo’’, comechiarito anche dalla Corte dei conti, sez. contr.del Piemonte, nella deliberazione n. 24/2012.Le fondazioni, come chiarito anche dalla giurispru-denza costituzionale, hanno natura privata e sonoespressione delle ‘‘organizzazioni delle liberta so-ciali’’, costituendo i cosiddetti corpi intermedi,che si collocano fra Stato e mercato, e che trovanonel principio di sussidiarieta orizzontale, di cui al-l’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione,un preciso richiamo e presidio rispetto all’interven-to pubblico (Corte cost., sentenza n. 300/2003 e n.301/2003).I magistrati contabili hanno evidenziato che la ca-ratteristica essenziale della fondazione e l’esistenzadi un patrimonio che deve consentirle di svolgerel’attivita ordinaria.Si tratta di un requisito essenziale, tant’e che, ove ilpatrimonio non sia sufficiente per raggiungere loscopo o addirittura venga meno, il Codice civileprevede che la fondazione si estingua (art. 27Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasfe-rito a soggetti che abbiano una finalita analoga (art.31 Cod. civ.), a meno che la competente autoritanon provveda alla trasformazione della fondazionein altro ente (art. 28 Cod. civ.).Secondo il modello tradizionale, la fondazione e te-nuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonioper lo svolgimento della sua ordinaria attivita e pro-seguire la stessa sino a che il patrimonio non siesaurisca o diminuisca in misura tanto significativada impedire il regolare svolgimento del compitoper lo svolgimento del quale e stata istituita.Nel caso in cui la fondazione sia affidataria di ser-vizi di interesse per la collettivita rientranti nelle fi-nalita perseguite dall’ente locale, l’erogazione di uncorrispettivo ‘‘non equivale a un depauperamentodel patrimonio comunale, a fronte dell’utilita chel’ente locale (e piu in generale la collettivita dicui e esponenziale) riceve dallo svolgimento delservizio di interesse pubblico effettuato dal sogget-to terzo’’ (Corte conti, sez. contr. Lombardia, del.n. 350/2012).Tali vincoli evidenziati dalla magistratura contabilesono stati recepiti dal legislatore con l’art. 4, com-ma 6 (norma ancora in vigore) del D.L. n. 95/2012.Tale disposizione stabilisce che ‘‘dal 1º gennaio2013 le p.a. di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs.n. 165/2001 possono acquisire a titolo oneroso ser-
vizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni,da enti di diritto privato di cui agli artt. da 13 a 42del Codice civile esclusivamente in base a proce-dure previste dalla normativa nazionale in confor-mita con la disciplina comunitaria’’.Gli enti di diritto privato di cui agli artt. 13-42 delCodice civile ‘‘che forniscono servizi a favore del-l’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito,non possono ricevere contributi a carico delle fi-nanze pubbliche’’.Sono escluse da tali vincoli, tra gli altri:— le fondazioni istituite con lo scopo di promuo-vere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazionetecnologica;— gli enti e le associazioni operanti nel campodei servizi socio-assistenziali e dei beni e attivitaculturali, dell’istruzione e della formazione.A tal proposito, e opportuno evidenziare quantochiarito dalla Corte dei conti, sez. controllo dellaPuglia, nella deliberazione n. 97/2012, in rispostaa un ente che aveva chiesto chiarimenti sull’appli-cabilita del citato art. 4, comma 6, del D.L. n. 95/2012 a una fondazione costituita da enti locali e re-gione per ‘‘valorizzare il territorio soprattutto attra-verso la musica popolare e la cultura’’.Nel caso di specie, l’attivita essenziale della fonda-zione si sostanziava nell’organizzazione e gestionedi un noto evento musicale e la stessa riceveva da-gli enti aderenti quote annuali costituenti il fondo digestione e, per quanto attiene l’organizzazione del-l’evento, contributi finanziari pubblici che copriva-no il suo fabbisogno per piu del 90%.L’ente aveva chiesto se l’attivita svolta dalla fonda-zione potesse essere qualificata come servizio e sesussistesse la possibilita di mantenere forme di con-tribuzione a favore della Fondazione ‘‘quantomenonei limiti delle attivita meramente culturali svolteattraverso di essa’’.La Corte dei conti ha fornito interessanti chiari-menti sulla natura ‘‘culturale’’ di un servizio.I magistrati contabili hanno precisato che costitui-scono ‘‘indici presuntivi’’ di tale natura il fattoche la fondazione svolga attivita di valorizzazionedel ‘‘territorio soprattutto attraverso la musica po-polare e la cultura’’, che, prima della costituzionedella stessa fondazione, tale attivita fosse organiz-zata e gestita dai singoli comuni e contabilizzatatra i ‘‘servizi culturali’’ svolti dagli stessi.Si pone come elemento necessario e sufficiente adirimere il dubbio ‘‘se un ente sia o meno da ri-comprendere nel novero degli ‘‘esclusi’’ (dai vin-coli di cui all’art. 4 del D.L. n. 95/2012), il fattoche sia possibile ravvisare, all’interno dello statutoo dell’oggetto sociale dell’ente medesimo, il carat-tere culturale dell’attivita svolta che puo estrinse-carsi, tra l’altro, anche come finalita di valorizzare
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al massimo la realta culturale del territorio di perti-nenza delle amministrazioni che ricevono il servi-zio’’.Nella misura in cui una fondazione svolga attivitadi:— approfondimento e valorizzazione di una realtaculturale, anche attraverso l’organizzazione di unevento a cio deputato;— studio, approfondimento e conservazione delletradizioni e culture locali;— promozione del territorio ‘‘attraverso la valoriz-zazione del patrimonio culturale locale’’,‘‘difficilmente potra considerarsi come rientrantenell’ambito applicativo della norma di divieto sumenzionata. Al contrario, essa potra a buon dirittoconsiderarsi compresa nel novero degli enti operan-ti nel campo dei beni e attivita culturali, come taliesenti dal divieto’’.Il tutto, giova ribadirlo, pur sempre nei limiti delleattivita prettamente culturali svolte, venendo meno,in tal caso, la ratio che ha indotto il legislatore afissare l’elenco dei soggetti esenti da divieto e, diconseguenza, non giustificandosi piu l’esclusionedal divieto contenuto nel citato art. 4 del D.L. n.95/2012.Il quesito che e stato presentato alla Corte dei conti,sez. contr. della Sardegna, attiene invece alla veri-fica dei limiti posti dal legislatore alla facolta deglienti locali di costituire organismi partecipati.La figura giuridica della fondazione, disciplinatadagli artt. 14 e ss. del Codice civile, e quella di enteavente personalita giuridica di diritto privato, chenon persegue scopi di lucro, ma puo essere costitui-ta per il perseguimento di fini educativi, culturali,religiosi, sociali o di altri scopi di pubblica utilita.La figura giuridica della fondazione si caratterizza‘‘in negativo rispetto alla tipologia societaria, perla non lucrativita dello scopo sociale, che, conse-guentemente, implica l’assenza di distribuzione diutili’’, come chiarito anche dalla Corte dei conti,sez. contr. Lazio, nella deliberazione n. 151/2013.Essa e dotata di una propria organizzazione e dipropri organi di governo e utilizza le risorse finan-ziarie, ‘‘attribuitele con il negozio di dotazione perlo/gli scopo/i indicati dal fondatore nel negozio difondazione’’ (cit. Corte dei conti, sez. contr. La-zio).E lo statuto a dettare le norme organizzative per ilfunzionamento dell’organismo, costituendo parteintegrante del negozio unilaterale di fondazione.La scarna disciplina del Codice civile e integratadal D.P.R. n. 361 del 10 febbraio 2000, che all’art.1, comma 3, richiede che lo scopo ‘‘sia possibile elecito e che il patrimonio risulti adeguato alla rea-lizzazione dello scopo’’, dizione dalla quale dottri-na e giurisprudenza concordemente deducono la
neutralita dello schema in esame rispetto alla rile-vanza pubblica del fine.Dalla particolare struttura della fondazione, caratte-rizzata dalla mancanza di un’organizzazione a basepersonale, cioe di una collettivita organizzata per ilraggiungimento di un determinato scopo (comenelle associazioni), e dall’inesistenza di una assem-blea degli associati che possa esprimere la volontadell’ente, si deduce l’immodificabilita dell’atto co-stitutivo e dello statuto, anche da parte dello stessofondatore (soggetto pubblico o privato che sia), unavolta che esso abbia ottenuto il riconoscimento giu-ridico dall’autorita pubblica regionale.In un’interpretazione evolutiva, e stata anche elabo-rata la diversa figura della ‘‘fondazione di parteci-pazione’’, che costituisce un modello atipico dipersona giuridica privata, di recente teorizzazionedottrinaria, in cui e sintetizzato l’elemento persona-le, tipico delle associazioni, e l’elemento patrimo-niale, caratteristico delle fondazioni.In entrambi i casi, caratteristica essenziale della fon-dazione e l’esistenza di un patrimonio che deve con-sentire all’ente di svolgere la sua attivita ordinaria.Si tratta di un requisito essenziale, tant’e che, ove ilpatrimonio non sia sufficiente per raggiungere loscopo o addirittura venga meno, il Codice civileprevede che la fondazione si estingua (art. 27Cod. civ.) e che il suo residuo patrimonio sia trasfe-rito a organi che abbiano una finalita analoga (art.31 Cod. civ.), a meno che la competente autoritaprovveda alla trasformazione della fondazione inaltro ente (art. 28 Cod. civ.).Secondo il modello tradizionale, la fondazione e te-nuta a utilizzare il reddito derivante dal patrimonioper lo svolgimento della sua ordinaria attivita e pro-seguire la stessa sino a che il patrimonio non siesaurisca o diminuisca in misura tanto significativada impedire il regolare svolgimento del compitoper la quale e stata istituita (Corte dei conti, sez.contr. Piemonte, del. n. 24/2012).Secondo la Corte dei conti della Sardegna, le nor-me che impongono vincoli agli organismi parteci-pati dagli enti locali ‘‘si devono intendere estensi-vamente e ricomprendono qualsiasi organismo, co-munque denominato, dotato di personalita giuridi-ca, non strettamente societario, ma caratterizzatodalla dominanza pubblica’’.Pertanto, secondo i magistrati contabili, di volta involta deve essere verificato se l’organismo, indi-pendentemente dalla natura giuridica, sia legatofin dalla costituzione o in sede organizzativo-finan-ziaria con l’ente locale e con il suo bilancio.Laddove tali indici siano verificati, a tali organismisi applicano le norme che impongono limiti di spe-sa e assunzionali nell’ottica del contenimento dellafinanza pubblica.
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I vincoli alla costituzione di nuoviorganismi partecipatiIl legislatore da alcuni anni ha introdotto vincolistringenti alla facolta degli enti locali di costituiresocieta o altri organismi comunque denominatiper la gestione di servizi o attivita esternalizzate.A partire dalla legge finanziaria per il 2008, in par-ticolare, il legislatore ha introdotto numerose dispo-sizioni dirette a razionalizzare e contenere l’utilizzodello strumento societario da parte delle Ammini-strazioni pubbliche.Con l’art. 3, comma 27 della legge n. 244/2007 estato previsto che ‘‘non possono costituire societaaventi per oggetto attivita di produzione di beni edi servizi non strettamente necessarie per il perse-guimento delle proprie finalita istituzionali, ne as-sumere o mantenere direttamente o indirettamentepartecipazioni, anche di minoranza, in tali societa.E sempre ammessa la costituzione di societa cheproducono servizi di interesse generale e l’assun-zione di partecipazioni in tali societa da parte delleamministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del de-creto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambi-to dei rispettivi livelli di competenza’’.Dopo aver previsto in modo esplicito la possibilitadi conservare le partecipazioni sociali collegate einerenti le finalita dell’ente pubblico, il legislatorenel 2010 ha introdotto un ulteriore limite in relazio-ne agli enti locali, riferito alle loro dimensioni, nuo-vo limite che fino al 31 dicembre 2013 ha concorsocon il precedente a definire i casi nei quali i comunipotevano ricorrere allo strumento societario perperseguire le loro finalita.Inoltre, l’art. 4 del D.L. n. 95/2012 aveva previstoaltri stringenti vincoli in merito alla possibilita per icomuni di poter mantenere partecipazioni di orga-nismi strumentali.Il quadro legislativo e stato notevolmente modifica-to dalla legge n. 147/2013 che all’art. 1, comma561 e comma 562 ha abrogato le disposizioni limi-tative sopra richiamate.In particolare, il comma 561 ha abrogato il comma32 dell’art. 14 del D.L. n. 78/2010, mentre il com-ma 562 ha disposto l’abrogazione di alcune dispo-sizioni del D.L. n. 95/2012 (cosı detto decreto‘‘spending review’’) che imponevano il divieto diistituire enti, agenzie e organismi comunque deno-minati e di qualsiasi natura, esercitanti funzionifondamentali o amministrative conferite agli entilocali e l’accorpamento o la soppressione di quelligia esistenti per evidenti ragioni di risparmio e ra-zionalizzazione della spesa (art. 9, commi 1-7,D.L. n. 95/2012).Nonostante tale significativa modifica, secondo laCorte dei conti della Sardegna, ‘‘il vigente quadro
normativo determina rigorosi parametri operativo-
gestionali espressamente rivolti a condizionare l’i-
stituzione (o la conservazione) delle istituzioni e
delle fondazioni, oltreche delle aziende speciali e
delle societa partecipate, i cui bilanci sono preva-
lentemente se non esclusivamente alimentati da
fondi pubblici’’.
La Corte ha precisato infatti che le fondazioni, co-
stituite dagli enti locali, in quanto alimentate da ap-
porti patrimoniali di provenienza pubblica, unita-
mente a tutti gli altri organismi partecipati dagli en-
ti locali, ‘‘concorrono alla realizzazione degli obiet-
tivi di finanza pubblica, perseguendo la sana ge-
stione dei servizi secondo criteri di economicita e
di efficienza’’, interpretando in maniera estensiva
la disciplina contenuta nell’art. 1, comma 553, del-
la legge n. 147/2013 (legge di stabilita 2014).
Inoltre, secondo i magistrati contabili della Sarde-
gna, alle fondazioni sarebbe applicabile anche l’art.
3 comma 27 della legge n. 244/2007, che limita la
facolta degli enti locali di costituire o partecipare a
societa di capitali.
Tale disposizione, in particolare, stabilisce che gli
enti non possono mantenere o costituire organismi
aventi per oggetto attivita di produzione di beni e
servizi non strettamente necessarie per il persegui-
mento delle proprie finalita istituzionali, ne assu-
mere o mantenere direttamente partecipazioni, an-
che di minoranza.
La fondazione deve ‘‘intendersi in via interpretati-
va ricompresa nel genus delle partecipazioni’’ e ri-
spettare i vincoli posti dall’art. 3, commi 27-32 del-
la citata legge n. 244/2007.
Secondo i magistrati contabili il reperimento e la
gestione di risorse per attivazione di interventi nel
campo della cultura, della solidarieta sociale e del
turismo, di diretto interesse comunale, rientra nella
sfera di intervento proprio del comune.
Se tali attivita fossero trasferite a una fondazione
‘‘si concretizzerebbe l’acquisizione di entrate al
di fuori delle garanzie e delle procedure prescritte
dall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispecie
gestionale di carattere atipico.’’.
La fondazione al massimo potrebbe essere costitui-
ta legittimamente per tale scopo solo come struttura
amministrativa di supporto al comune, cui affidare
esclusivamente attivita amministrativa di back offi-
ce.
Spetta solo all’ente locale preoccuparsi di assolvere
i compiti e le funzioni ad esso spettanti attraverso la
propria struttura organizzativa del comune.
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448 6/2014
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Il servizio di reperimento delle risorsefinanziarieLa Corte dei conti sezione controllo della Sarde-gna, con la citata deliberazione n. 19/2014, ha chia-rito che il reperimento delle risorse per la realizza-zione di finalita istituzionali non puo essere ‘‘de-mandato o trasferito’’ a un organismo terzo, esternoal comune, in quanto trattasi di una funzione pro-pria dell’ente locale, che deve essere assolta attra-verso la propria struttura burocratico-amministrati-va.Considerato infatti che la fondazione e un organi-smo strumentale del comune, tale specifico scoposi concretizzerebbe nell’acquisizione di entrate aldi fuori delle garanzie e delle procedure prescrittedall’ordinamento, ovvero attraverso una fattispeciegestionale di carattere atipico.Gli organismi, che e consentito di costituire (o con-servare), sono solo quelli il cui scopo o attivita as-sicuri aderenza/coincidenza con le finalita istituzio-nali del comune.
L’acquisizione di eventuali liberalita/donazioni dicarattere finanziario o patrimoniale provenienti daterzi (enti o cittadini) ‘‘integrano fattispecie di en-trate da ricondurre ai moduli procedimentali pre-scritti a garanzia dell’erario e devono essere assuntedirettamente dal comune, a mezzo delle attivita in-testate ai suoi organi amministrativi, secondo le ri-spettive competenze e responsabilita, gia delineatedall’ordinamento generale’’.Anche l’appostazione nelle scritture e la successivaimputazione a spesa di tali fonti d’entrata deve se-guire le regole che presiedono alla predisposizionedei bilanci pubblici.Infine, i magistrati contabili hanno rilevato che lacostituzione di una fondazione da parte dell’entenon configura mai un’ipotesi ‘‘a costo zero’’ peril bilancio del comune, in quanto in sede istitutivadella fondazione deve essere assicurata una dota-zione patrimoniale (‘‘patrimonio adeguato alla rea-lizzazione dello scopo’’, ex D.P.R. n. 361/2000;art. 14 e seguenti c.c.) e ovviamente una dotazionedi personale.
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03 Febbraio 2014 Con questo numero Pagina 1 di 42 AUTONOMIE LOCALI E PA 03 Febbraio 2014 Il Sole 24 Ore lunedì Moduli societari. Sì alla «trasformazione eterogenea» La Spa può diventare azienda speciale Federica Caponi La trasformazione eterogenea di una società di capitali che gestisce un servizio pubblico in azienda speciale è compatibile sia con le norme civilistiche, trattandosi di organismi entrambi dotati di patrimonio separato a garanzia dei creditori, sia con le disposizioni pubblicistiche, intese a ricondurre tali organismi a un regime uniforme, quanto al rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Inoltre, dal 1° gennaio 2014 è possibile anche mettere in liquidazione una società di capitali e costituire ex novo un'azienda speciale, grazie all'abrogazione dell'articolo 9, comma 6 del Dl 95/2012. Questi i rilevanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione delle Autonomie con la deliberazione 2/2014 (su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 25 gennaio), con la quale ha posto fine al dibattito che aveva visto contrapporsi numerose sezioni regionali di controllo in merito alla possibilità applicare estensivamente l'istituto della «Trasformazione eterogenea da società di capitali» (articolo 2500-septies del Codice civile) al passaggio da una società di diritto privato a un ente di diritto pubblico. L'ipotesi di trasformare una società di capitali in un'azienda speciale costituisce oggi per gli enti un'interessante opzione, che potrebbe essere valutata soprattutto per la gestione di servizi sociali, culturali ed educativi, ma non solo. Ovviamente la scelta va adeguatamente motivata, tenuto conto della convenienza economica dell'operazione e di una valutazione prospettica, anche alla luce dell'articolo 153 del Tuel sulla tenuta e sulla salvaguardia degli equilibri finanziari complessivi della gestione e dei vincoli di finanza pubblica. La scelta in merito all'individuazione del modello gestionale più idoneo è sempre ammessa, purché si dimostri che ne conseguiranno risultati migliori dal punto di vista dell'efficienza, efficacia ed economicità della gestione, oltre al mantenimento o implementazione della qualità dei servizi erogati. La qualificazione fornita dal legislatore dell'azienda speciale quale ente strumentale del Comune rivela l'esistenza di un collegamento inscindibile tra l'azienda e l'ente locale. In effetti, "strumentalità" sta a significare che l'ente locale, attraverso l'azienda, realizza sostanzialmente una forma diretta di gestione del servizio. La sezione delle autonomie ha chiarito che proprio per i vincoli posti dal legislatore alle aziende speciali, in ultimo dalla legge di stabilità 2014, questo istituito è sempre più assimilabile alle società di capitali. Si può ritenere allora che l'elemento di continuità debba essere identificato nell'azienda, quale complesso di beni funzionalmente orientato allo svolgimento di un'attività di impresa e che la trasformazione trovi, quindi, la sua giustificazione sistematica nell'esigenza di salvaguardare la continuità dell'organismo produttivo e di evitare la disgregazione del patrimonio aziendale. L'azienda speciale, che risulterebbe dalla trasformazione della società a totale partecipazione pubblica, è dotata di un patrimonio separato a garanzia dei terzi e dei creditori, fermo restando che, sia nell'organismo di partenza sia in quello di arrivo, esistono i necessari raccordi con gli enti pubblici di riferimento. Da un lato, sussiste una società partecipata da enti territoriali, presumibilmente dotata delle caratteristiche dell'in house providing e, quindi, da intendersi come una longa manus degli enti soci, dall'altro, un'azienda speciale, che in quanto ente strumentale del comune è inserita nel sistema amministrativo dell'ente locale. La legge di stabilità 2014, inoltre, se ha escluso l'applicazione diretta del patto nei confronti delle società in house, ha imposto vincoli all'insieme ente territoriale/organismo partecipato, prevedendo il concorso di questi organismi alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Alla luce del quadro legislativo di riferimento, secondo la corte dei conti, non ha ragione di esistere la preoccupazione del possibile impiego dell'istituto dell'azienda speciale a scopi elusivi dei vincoli
di finanza pubblica, poiché la relativa normativa prevede misure severe come per le società di capitali. In ogni caso, l'operazione di trasformazione deve essere corredata da un'attività di revisione economica-patrimoniale (due diligence) della società trasformanda, a garanzia dei terzi e dell'ente che istituisce l'azienda speciale. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA MOTIVAZIONE La Sezione delle Autonomie della magistratura contabile sottolinea la continuità tra i due modelli, rafforzata dalla legge di stabilità
11 Novembre 2013 Pagina 40/41 di 52 AUTONOMIE LOCALI E PA 11 Novembre 2013 Il Sole 24 Ore lunedì Cassazione. I poteri del socio La mancata fiducia non è giusta causa per revocare il Cda Federica Caponi È illegittima la revoca degli amministratori di una partecipata disposta per aver rotto il rapporto di fiducia non avendo ottemperato a direttive impartite dal Comune e agli indirizzi formulati dall'assemblea, perché queste carenze non determinano necessariamente inadempienze gestionali nella direzione dell'azienda. Per integrare una giusta causa di revoca del mandato, le condotte che violano il rapporto di fiducia sono di per sé irrilevanti se non sono oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse le capacità gestionali degli amministratori. La Corte di Cassazione, con la sentenza 23381/2013, ha ritenuto sancito la non revocabilità per giusta causa dei membri del cda di una società controllata da un Comune che hanno posto in essere condotte che attestavano chiaramente il venir meno del rapporto di fiducia con l'assemblea dei soci. Nel caso, un Comune, socio di maggioranza di una spa di igiene ambientale, aveva chiesto la convocazione dell'assemblea per deliberare la revoca degli amministratori in carica in quanto avevano disatteso, tra l'altro, gli indirizzi approvati dall'assemblea e le direttive del consiglio comunale. L'assemblea ha deliberato la revoca degli amministratori e uno di questi ha chiesto la condanna della società al risarcimento dei danni per l'assenza di giusta causa (articolo 2383, comma 3, del Codice civile). La società ha evidenziato che gli amministratori avevano adottato condotte in contrasto con quanto deliberato dall'ente socio di maggioranza, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra assemblea e l'organo gestionale. Gli amministratori avevano, tra l'altro, respinto la richiesta presentata da alcuni consiglieri comunali di accedere agli atti della società, non avevano ottemperato a direttive impartite dal Comune socio di maggioranza, avevano proposto due citazioni in giudizio per crediti vantati dalla società ma contestati dall'ente socio, e non avevano presentato la propria situazione reddituale e la relazione semestrale espressamente indicate nell'atto di affidamento del servizio. La Cassazione ha chiarito che gli amministratori di una partecipata non sono tenuti a derogare alla disciplina dell'accesso agli atti della società o a privilegiare l'interesse del socio pubblico nei rapporti con la società se tali condizioni non sono state previste nello statuto della società. L'inottemperanza agli obblighi derivanti dal bando di incarico o dalle direttive dell'assemblea non producono automaticamente inadempienze nella gestione della società, se non qualificate come tali dagli strumenti di controllo e gestione approvati dagli enti soci. I giudici hanno anche spiegato che l'accertamento della giusta causa di revoca non può riguardare l'eventuale logoramento del rapporto di fiducia derivante da comportamenti ostili posti degli amministratori nei confronti della maggioranza che li ha eletti. Questa valutazione è estranea alla normativa societaria che non riconosce agli amministratori l'obbligo di agire nell'interesse dei singoli soci, ma della società. Secondo la disciplina civilistica, la revoca può avvenire solo quando i fatti contestati siano oggettivamente idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell'amministratore. La Cassazione ha così condannato la società pubblica al risarcimento del danno a favore dell'amministratore revocato. In questo caso, addirittura, il comportamento dell'ente locale potrebbe essere sanzionato anche dalla corte dei conti sotto due aspetti: per la mancata tutela dell'interesse pubblico nell'agire con gli strumenti del diritto societario, e per il danno arrecato alla società derivante dall'obbligo del risarcimento a favore del soggetto revocato. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL PRINCIPIO «Licenziamento» illegittimo se gli amministratori non commettono fatti che mettono in dubbio le loro capacità gestionali