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Nuova Secondaria mensile di ricerca, cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali per le scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione POSTE ITALIANE S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB BRESCIA Editirice La Scuola 25121 Brescia - Expédition en abonnement postal taxe perçue tassa riscossa - ISSN 1828-4582-Anno XXXIV L’educatore e la custodia dei legami sociali La democrazia del merito Insegnare la storia contemporanea Speciale Ns ricerca. Don Bosco: il progetto pedagogico e l’Utopia possibile Frontiere in Biologia 2 ottobre 2016

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Nuova Secondaria mensile di ricerca, cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali

per le scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione

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L’educatore e la custodia dei legami sociali

La democrazia del merito

Insegnare la storia contemporanea

Speciale Ns ricerca. Don Bosco: il progetto pedagogico e l’Utopia possibile

Frontiere in Biologia

2ottobre

2016

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Per informazioni: Servizio Clienti - tel. 030.2993.286/[email protected] - www.lascuola.it

LA SANTA AL SERVIZIO DEI PIÙ POVERI DELLA TERRA

Il volume è arricchito dalla testimo-nianza di Folco Terzani, volontario nella Casa dei morenti di Calcutta, e da immagini inedite a colori.

Un volume che testimonia alcuni passaggi della lunga attività svol-ta da Madre Teresa di Calcutta.

Un ritratto originale che, in occa-sione della sua canonizzazione, ri-corda anche alcune visite in Italia, come quella al penitenziario dell’I-sola di Pianosa o a Firenze.

pp. 176 - € 14,00

MADRE TERESA DI CALCUTTA:

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Nuova SecondariaMensile di cultura, orientamenti educativi, problemi didattici eistituzionali per le scuole del secondo ciclo di istruzione e formazione 2ottobre

2016

EDITORIALE

Giuseppe Bertagna, L’educatore e la custodiadei legami sociali 3

FATTI E OPINIONI

Il futuro alle spalleCarla Xodo, L’educatore e il pedagogista:finalmente qualcosa di nuovo 6

Vangelo docentePaola Bignardi, Scrutando i segni dei tempi 6

La lanterna di DiogeneFabio Minazzi, Natura non nisi parendo vincitur 7

Il lavoro e la scuolaGiuliano Cazzola, Crisi e livelli occupazionali:chi sono i più colpiti? 8

OlogrammaCristina Casaschi, Questione di priorità 10

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Francesco Magni, L’educatore professionalein Europa 12

Elena Vivaldi, La democrazia del merito 14

Giacomo Zagardo, Dove sta andando l’Istruzionee la Formazione Professionale in Italia 17

Stefano Casarino, Le lezioni del Peripato, un modello per la didattica di oggi? 22

Matilde Mundula, La valutazione di percorsi di Educazione allo Sviluppo Sostenibile (ESS) 24

STUDI

FRONTIERE IN BIOLOGIAa cura di Caterina La Porta 28

Chiara Vasco, La saga dei gameti.Meiosi: a love affair 30

Caterina La Porta, Biomedicina e fisicanello studio dei tumori 33

Umberto Fascio, Microscopia perl’identificazione di cellule staminali 35

Silvia Colombo, Obesità infantile e ruolo della nutrizione in età evolutiva 39

PERCORSI DIDATTICIGiuseppe Ignesti, Insegnare la storia contemporanea (1) 42

Riccardo Cristiano, La crisi dello stato:dall’impero ottomano all’IS (Islamic State) 48

Laura Bartolini, Vertere 53

Igor Campagnola, Dalla polis democratica alla democrazia scolastica. Per l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” 55

Lucia Danioni, Giovanni Segantini.Leggere per capire l’arte 59

Giorgio Pastelli, Musorgskij 67

Carlo Genzo, Spirali nella vegetazione:conteggi sulle pigne 71

Saverio Mauro Tassi, Dal cosmo diviso all’universounitario. La cosmologia platonico-aristotelica (1) 75

LINGUE, CULTURE E LETTERATUREa cura di Giovanni GobberSilvia Gilardoni, Daniela Corzuol, Il modellodella grammatica valenziale per l’italiano L2. Una sperimentazione in atto in contesto scolastico 81

Flavia Zappa, Teaching Reading sub-skills: Distinguishing between fact and opinion 90

LIBRI 95

Sul sito di Nuova Secondaria disponibili lezioni con slide http://nuovasecondaria.lascuola.it

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Nuova Secondaria RicercaMensile di studi e ricerche empiriche sull’apprendimento/insegnamento(http://nuovasecondaria.lascuola.it) 2ottobre

2016

Speciale: Don Bosco: Il progetto pedagogico e l’Utopia possibile (a cura di Laura Clarizia)

Presentazione. Simonetta Ulivieri, Giovanni Bosco. Una vita dedicata ai giovani, pp. 1-2 - Laura Clarizia, Una pe-dagogia per la Persona e la Comunità, pp. 3-4 - Don Pasquale Martino, Un carisma per la felicità dei giovani, pp.5-6

I. Don Bosco educatore e pedagogista: ieri, oggi. Don Pascual Chávez Villanueva, L’ecologia educativa di DonBosco, pp. 7-12 - Marinella Attinà, The Religious Feeling in Don Bosco: An Updated Approach to Reflect on Con-temporary Pedagogical Theories, pp. 13-15 - Maria Chiara Castaldi, The “vocatio amori”: hermeneutical heart ofthe pedagogy of Don Bosco, pp. 16-17 - Maria Grazia Lombardi, L’educativo politico e l’utopia possibile nella pe-dagogia di Don Bosco, pp. 18-20 - Elena Visconti, Don Bosco: il progetto educativo attraverso il sogno, pp. 21-23

II. La cura intergenerazionale. Riccardo Pagano, “L’educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi”.Ascolto, vicinanza, vigilanza, accompagnamento e cura in don Bosco, pp. 24-27 - Elsa Maria Bruni, Don Bosco ela cura della gioventù, pp. 28-30 - Chiara D’Alessio, “To see you happy in the time and in the eternity”. Moder-nity in St. John Bosco’s Preventive System, pp. 31-33 - Paola Martino, L’amore che educa. Don Bosco personalistaante litteram, pp. 34-35 - Adriana Schiedi, Aver cura del cuore: l’utopia possibile della pedagogia “empatica” di DonBosco, pp. 36-38

III. Il “sistema preventivo”. Don Carlo Nanni, “Progettare oggi con il sistema di Don Bosco”, pp. 39-45 - Dario

De Salvo, “If you want to be respected, make yourself loved”. The vocational and spiritual roots of the preventivesystem, pp. 46-47 - Carlo Macale, Don Bosco e don Guanella: una figliolanza pedagogica, pp. 48-52 - Fabiana Qua-trano, The centrality of the person in Don Bosco’s preventive system, pp. 53-55 - Maria Ricciardi, Giovani e policy:dimensioni e approcci per l’education e l’employability, pp. 56-59 - Iolanda Zollo, Filomena Agrillo, Maurizio Si-bilio, Suggestioni pedagogiche donboschiane: dallo “stile preventivo” all’anticipazione probabilistica?, pp. 60-62IV. L’Oratorio. Floriana Falcinelli, L’oratorio salesiano come servizio educativo per l’extrascuola, pp. 63-67 - Leo-nardo Acone, «Un oratorio senza musica è un corpo senz’anima». Gli orizzonti musicali di Don Bosco tra armo-nia, condivisione, aggregazione e formazione, pp. 68-70 - Antinea Ambretti, Rodolfo Vastola, Il ruolo dell’attivitàludico motoria nel modello preventivo di Don Bosco, pp. 71-72 - Francesco P. Calvaruso, L’utopia offline. Orato-rio e con-tatto pedagogico, pp. 73-75 - Ilaria Viscione, Francesca D’Elia, Il cortile come frontiera educativa: l’at-tività ludico-motoria nella pedagogia di Don Bosco, pp. 76-78 - Manuela Valentini, In Oratorio: il gioco, i giochi,il movimento, la competizione, l’animazione. Lab-Oratorio del fare e dell’Essere, pp. 79-81V. La scuola, la formazione, il lavoro. Paola Dal Toso, Giovanni Bosco e il lavoro, pp. 82-84 - Giuseppe Acocella,Don Bosco: l’impegno operoso nella storia comune, pp. 85 - Piergiuseppe Ellerani, Salvatore Patera, Fausto SàenzZavala, Ecosistema de Aprendizaje que Capacite (EDAC): Il caso della Universidad Politécnica Salesiana (Ecua-dor), pp. 86-88 - Emiliana Mannese, “The link between school and work and preventive system: a pedagogical mo-del”, pp. 89-92 - Marco Piccinno, Insegnare e apprendere nel sistema preventivo di Don Bosco, pp. 93-94

Direzione, Redazione e Amministrazione: EDITRICE LA SCUOLA, Via Gramsci, 26, 25121 Brescia - fax 0302993.299 - tel. centr. 030 2993.1 - Sito Internet: www.lascuola.it - Direttore responsabile: Giuseppe Bertagna - Autoriz-zazione del Tribunale di Brescia n. 7 del 25-2-83 - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in A.P.-D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Brescia - Editrice La Scuola - 25121 Brescia - Stampa Vincenzo Bona 1777 Spa,Torino - Ufficio marketing: Editrice La Scuola, Via Gramsci 26 - 25121 Brescia - tel. 030 2993.290 - fax 030 2993.299- e-mail: [email protected] - Ufficio Abbonamenti: tel. 030 2993.286 (con operatore dal lunedì al venerdì negliorari 8,30-12,30 e 13,30-17,30; con segreteria telefonica in altri giorni e orari)- fax 030 2993.299 - e-mail: [email protected] annuo 2016-2017: Italia: € 69,00 - Europa e Bacino mediterraneo: € 114,00 - Paesi extraeuropei: €138,00 - Il presente fascicolo € 7,00. Conto corrente postale n.11353257 (N.B. riportare nella causale il riferimentocliente). L’editore si riserva di rendere disponibili i fascicoli arretrati della rivista in formato PDF. I diritti di traduzione,di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i mi-crofilm), sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5 dellalegge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commercialeo comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciatada AIDRO, corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected] e sito web: www.aidro.org.Per eventuali omissioni delle fonti iconografiche, l’editore si dichiara a disposizione degli aventi diritto.http://nuovasecondaria.lascuola.it

CONSIGLIO PER LA VALUTAZIONE SCIENTIFICA DEGLI ARTICOLI

Coordinatori: Luigi Caimi e Carla XodoFrancesco Abbona (Torino) - Giuseppe Acone (Salerno) - Emanuela Andreoni Fontecedro(Roma Tre) - Dario Antiseri (Collegio S. Carlo, Modena) - Gabriele Archetti (Cattolica, Milano)- Andrea Balbo (Torino) - Giorgio Barberi Squarotti (Torino) - Raffaella Bertazzoli (Verona) -Fernando Bertolini (Parma) - Gianfranco Bettetini (Cattolica, Milano) - Lorenzo Bianconi (Bo-logna) - Maria Bocci (Cattolica, Milano) - Cristina Bosisio (Cattolica, Milano) - Marco Buz-zoni (Macerata) - Luigi Caimi (Brescia) - Luisa Camaiora (Cattolica, Milano) - RenatoCamodeca (Brescia) - Franco Cardini (ISU, Firenze) - Maria Bianca Cita Sironi (Milano) - Mi-chele Corsi (Macerata) - Vincenzo Costa (Campobasso) - Giovannella Cresci (Venezia) - LuigiD’Alonzo (Cattolica, Milano) - Cecilia De Carli (Cattolica, Milano) - Bernard D’Espagnat (Pa-rigi) - Floriana Falcinelli (Perugia) - Vincenzo Fano (Urbino) - Ruggero Ferro (Verona) - Sa-verio Forestiero (Tor Vergata, Roma) - Arrigo Frisiani (Genova) - Alessandro Ghisalberti(Cattolica, Milano) - Valeria Giannantonio (Chieti, Pescara) - Massimo Giuliani (Trento) -Adriana Gnudi (Bergamo) - Giuseppina La Face (Bologna) - Giuseppe Langella (Cattolica, Mi-lano) - Erwin Laszlo (New York) - Giuseppe Leonelli - (Roma Tre) - Carlo Lottieri (Siena) -Gian Enrico Manzoni (Cattolica, Brescia) - Emilio Manzotti (Ginevra) - Alfredo Marzocchi(Cattolica, Brescia) - Vittorio Mathieu (Torino) - Fabio Minazzi (Insubria) - Alessandro Minelli(Padova) - Enrico Minelli (Brescia) - Luisa Montecucco (Genova) - Moreno Morani (Genova)- Gianfranco Morra (Bologna) - Maria Teresa Moscato (Bologna) - Alessandro Musesti (Cat-tolica, Brescia) - Seyyed Hossein Nasr (Philadelphia) - Salvatore Silvano Nigro (IULM) - MariaPia Pattoni (Cattolica, Brescia) - Massimo Pauri (Parma) - Jerzy Pelc (Varsavia) - Silvia Pianta(Cattolica, Brescia) - Fabio Pierangeli (Roma Tor Vergata) - Pierluigi Pizzamiglio (Cattolica,Brescia) - Simonetta Polenghi (Cattolica, Milano) - Luisa Prandi (Verona) - Erasmo Recami(Bergamo) - Enrico Reggiani (Cattolica, Milano) - Filippo Rossi (Verona) - Giuseppe Sermonti(Perugia) - Ledo Stefanini (Mantova) - Ferdinando Tagliavini (Friburgo) - Guido Tartara (Mi-lano) - Filippo Tempia (Torino) - Marco Claudio Traini (Trento) - Piero Ugliengo (Torino) -Lourdes Velazquez (Northe Mexico) - Marisa Verna (Cattolica, Milano) - Claudia Villa (Ber-gamo) - Giovanni Villani (CNR, Pisa) - Carla Xodo (Padova) - Pierantonio Zanghì (Genova)Gli articoli della Rivista sono sottoposti a referee doppio cieco (double blind). La documentazionerimane agli atti. Per consulenze più specifiche i coordinatori potranno avvalersi anche di professorinon inseriti in questo elenco.

DIRETTORE EMERITO

Evandro Agazzi

DIRETTORE

Giuseppe BertagnaBergamoCOMITATO DIRETTIVO

Cinzia Susanna Bearzot, Cattolica,Milano - Edoardo Bressan, Macerata -Alfredo Canavero, Statale, Milano -Giorgio Chiosso, Torino - LucianoCorradini, Roma Tre - LodovicoGalleni, Pisa - Pietro Gibellini, Ca’Foscari, Venezia - Giovanni Gobber,Cattolica, Milano - Angelo Maffeis,Facoltà Teologica, Milano - MarioMarchi, Cattolica, Brescia - GiovanniMaria Prosperi, Statale, Milano - PierCesare Rivoltella, Cattolica, Milano -Stefano Zamagni, Bologna

REDAZIONE

CoordinamentoFrancesco Magni([email protected])

Segreteria di redazioneAnnalisa Ballini ([email protected])

Nuova SecondariaSettore [email protected] Bergomi - Cristina Casaschi - Lucia De Giovanni

Settore scientifico e [email protected] Martinelli

Nuova Secondaria RicercaAlessandra Mazzini - Andrea Potestio -don Fabio Togni([email protected])

Illustrazione di copertinaMonica Frassine

ImpaginazioneMarco Filippini

Supporto tecnico area [email protected]

Contiene I.P.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 3

EDITORIALE

L’educatore e la custodia dei legami socialiGiuseppe Bertagna

Società liquida, senza più legami sociali e,perfino, con sempre meno relazioniinterpersonali costanti e profonde;

nemmeno, visti i livelli di natalità, di precarietà e dimobilità delle famiglie, a livello intergenerazionale,tra padri e figli, tra nonni e nipoti: questa lafotografia di molte analisi sociologiche. Ma può unasocietà esistere e durare con queste caratteristiche,senza rapidamente ripiegarsi su se stessa,implodendo e sciogliendosi come neve al sole?

Per una risposta, forse dimentichiamo troppofacilmente alcune antiche lezioni che ci possonotuttora ammaestrare.

Riscoprire i legami sociali- La prima. Gli uomini non possono vivere senza

philia, senza ciò che i latini chiamavano «amicizia».L’amicizia è il legame confidente e reciproco trapersone. Ma essere amici non di tutti, ma anche solodi tanti è impossibile. Per ragioni di tempo, di luogoe di circostanza.

Gli economisti classici, da Senofonte a Smith,hanno allora osservato che, per sopperire a questaimpossibilità strutturale, gli uomini hanno«inventato» il mercato. Il mercato è un succedaneodel legame tra persone che non si conoscono e chenon sono necessariamente «amiche» tra loro, mache è comunque fondato sulla fiducia, sullasocievolezza e sulla libertà umane.

Il mercato può esserci, tuttavia, come bensappiamo, solo se ci sono prodotti da scambiare innome di un reciproco, reale o ideale poco importa,vantaggio. Non c’è mercato, quindi, senza prodottiche siano frutto delle trasformazioni dell’industria,dell’impresa, del lavoro.

- La seconda. Non c’è né industria, impresa olavoro produttivi possibili, né mercato nel qualescambiare questi prodotti, quindi, senza che esista esi rispetti, lo ricordava Carlo Marx o, dopo di lui,nel 1911, sebbene da un’opposta prospettiva, il più

noto teorico de L’organizzazione scientifica dellavoro capitalista, l’ing. Taylor, la legge insuperabiledel legare insieme, del riunire, del connettere e delcon-dividere (bringing together) ciò che si fa perprodurre qualcosa che si possa poi portare almercato.

Nessuno, insomma, da un lato, può fare qualsiasiimpresa per produrre e svolgere qualsiasi lavorosenza legami organizzativi interni ai processiproduttivi stessi e senza relazioni comunicative einterpersonali, siano essi conflittuali o cooperative,nel mercato; dall’altro lato, nessuno può entrare nelmercato, e tanto meno svilupparlo con nuoviprodotti, da solo, senza aver costruito e costruirelegami e interconnessioni sociali sempre più vaste.

Questa regola vale anche nella nostra societàavanzata e globalizzata, dove l’economia,diversamente dal passato, non potrà che esseresempre più fondata sulla sharin e gig economy,sull’Internet of Things, sull’Industry 4.0, sullastampanti 3D, sulla robotica e sull’intelligenzaartificiale, sulle biotecnologie e nanotecnologie,sulla genetica chimico-tecnologica che trasforma lastessa agricoltura in una grande laboratoriotecnologico.

Un’economia dove, cioè, il tradizionale lavorodipendente debba a mano a mano scomparire avantaggio del lavoro in-dipendente, con lapossibilità di fare sempre più impresa e lavoro dasoli, da casa propria, in qualsiasi tempo della vita eluogo del mondo, in piena autonomia e senza vincolidi subordinazione, con personale proprietà non solodelle proprie competenze maturate, ma anche deimezzi di produzione necessari per declinarle inopere e in prestazioni professionali. Che si tratti diprofessioni oggi ancora pressoché inesistenti (peres., dal Cloud Broker al Network Programmer, dalData Scientist al Robot teacher) oppure diprofessioni attuali che dovranno per forza di cosericonvertirsi e reinventarsi. Economia, insomma, da

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV4

EDITORIALE

quarta rivoluzione industriale, l’unico ambito, delresto, ricorda forse un po’ troppo ideologicamente ilRapporto di Davos 2016, nel quale si creerannoposti di lavoro nei prossimi cinque anni e a maggiorragione negli anni successivi.

Proprio questa quarta rivoluzione industriale,tuttavia, ci obbliga a riconoscere che quantomaggiore è la complessità e l’estensione geograficae temporale dell’organizzazione produttiva e delmercato, tanto più intensa e pervasiva dovrà esserela capacità di legare insieme le parti isolate checontribuiscono ad essa, nonché di tenere insiemel’in-dipendenza e la competenza di tante,diversissime persone che operano senza conoscersi,nel mercato mondiale, anche a migliaia dichilometri di distanza; e che quanto maggiore è lacapacità di connessione di elementi così disparati,minore sarà sempre più anche l’esigenza diconcentrare questi legami indispensabili al lavoro eal mercato in una stessa struttura fisica e areageografico-materiale, come accadeva ai mercati diun tempo e con le fabbriche delle due ultimerivoluzioni industriali, che, oggi, con i loro vuotispettrali, segnano malinconicamente i nostripaesaggi urbani e sub urbani.

- La terza lezione. Al di là di romantichenostalgie agro-pastorali, peraltro così di moda,l’avvento della quarta rivoluzione industriale con lesue tecnologie avanzate pare un destinoinarrestabile. Tale avvento, però, nella suasostenibilità, è direttamente proporzionale ad unfortissimo e profondo accompagnamento sociale deiprocessi che lo contraddistinguono.

Non solo perché il mercato, l’impresa e il lavoro,anche tecnologicamente connotati come si stasempre più profilando, non stanno letteralmente inpiedi, nel medio e a maggior ragione nel lungoperiodo, senza legami solidali, ma soprattuttoperché le persone che fanno il mercato, l’impresa eil lavoro anche da quarta rivoluzione industriale nonpossono farlo bene, con vantaggio personale e ditutti, se non vivono di philie, di «amicizie» che dianoun senso condiviso, relazionalmente motivante esignificativo, al loro vivere e al loro con-vivere.

E ciò soprattutto nei tanti momenti di fragilità edi precarietà che sono connaturati allo svolgimentodi ogni esistenza umana, per sua natura debole efinita, sempre bisognosa di altro e di altri, ancheoggi e nel futuro, qualunque sia la potenza e la

pervasività delle tecnologie avvenienti. Non è uncaso, dunque, che proprio in parallelo allo sviluppodella quarta rivoluzione industriale, mentrearretrano in maniera rapida ed inesorabile lavori daterza, seconda e prima rivoluzione industriale, sisviluppino maggiormente quelli tipici dellacosiddetta economia sociale, profit e non profit.

In Italia, per esempio, 14 milioni di personelavorano nell’impresa sociale; 1 milione di famigliespendono 16 miliardi solo per assistenti familiari(“badanti”) e baby sitter; senza contare le centinaiadi miliardi spesi per attività dove la relazione trapersone è fondamentale e fa la differenza di qualità,come è il caso delle attività educative o sportive, diquelle relative al matching tra formazione e lavoro,alle cure domiciliari, all’integrazione delleprestazioni sociosanitarie, ai processi diriabilitazione motoria, psichica e professionale, alsostegno alle famiglie in situazione di bisogno, allasanità leggera intesa come presa in carico dellefragilità, ai servizi cooperativi e mutualistici per iproblemi di minori, adulti e anziani ecc. E questonon tanto «sebbene», ma «perché», tra il 2008 e il2016, in Italia il numero di persone che vivono incondizioni di povertà assoluta è più che raddoppiato(da 1,8 a oltre 5 milioni) e «perché» il valore deifondi trasferiti dallo Stato agli Enti Locali per iservizi sociali sia diminuito, nello stesso periodo, del70%, mandando in frantumi i fragili equilibri delnostro tradizionale sistema di protezione sociale.

Quale educatore professionale?I laureati dei corsi di laurea classe L-19 devono

essere specialisti della natura e dell’evoluzione diqueste diverse tipologie di legami. Da quelli tipicidella philia interpersonale ed intergenerazionale chesi ritrova nei processi educativi, cooperativi emutualistici a quelli che ne surrogano la mancanzanell’ impresa e nel mercato a quelli, infine, di naturapiù istituzionale che sono l’ossatura di ogni presenteo futura governance sociale.

Essi devono essere competenti nel custodire,valorizzare e moltiplicare relazioni via via piùintenzionali, libere e responsabili, cioè davveroeducative, ai più vari e differenti livelli, siano essiinterpersonali, istituzionali, organizzativi, produttivi,intergenerazionali o interculturali.Indipendentemente dall’età, dalla lingua, dallareligione, dal genere, dallo stato sociale, dal luogo

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 5

EDITORIALE

geografico, dal mezzo tecnologico, dalle condizionidi salute e di benessere dei singoli.

I laureati di questi corsi di studio devono essere,quindi, custodi e costruttori di relazioni che, nei piùdiversi luoghi e contesti, siano davvero definibilicome «educative». In grado di sfruttare leconsapevolezze teoriche offerte dalle scienzedell’educazione per declinarle in manierapedagogica nel concreto di tutte le pratiche dilegame, indispensabili per assicurare servizieducativamente adeguati alla prima infanzia, alledinamiche adulte segnate dalla fragilità, ai rapportidi lavoro nel mercato e nelle diverse formeorganizzative del lavoro produttivo, alle esigenzedelle persone anziane più o meno autosufficienti.

Sì, come ha annotato polemicamente l’on.Binetti poco dopo l’approvazione alla Camera, il21 giugno scorso, del testo unificato delle propostedi legge 2656 Iori e 3247 Binetti sugli educatoriprofessionali socio-pedagogici e socio-sanitari, ilaureati nei corsi di studio in Scienzedell’educazione (L- 19), diversamente da quellilaureati nei corsi di studio attivati a Medicina sullabase del famoso decreto n. 520/1998 (c.d. decretoBindi), nella classe L - SNT/2 (professioni sanitariedell’area della riabilitazione), «potranno occuparsidi bambini dall’anno 0 fino agli anziani fragili,quelli per intenderci ospitati nelle RSA o affetti dapatologie degenerative, senza limiti di nessun tipoe genere. Potranno lavorare nelle scuole, e nellestrade, nei centri per immigrati e nelle carceri, neicentri sportivi e nelle biblioteche; potrannooccuparsi di beni culturali e di crisi della famiglia:tutto ma proprio tutto, niente escluso diventa diloro competenza, senza toccare affatto il lorocurriculum accademico». In pratica, potrannooccuparsi di tutto, salvo che di ciò che è per leggeriservato all’educatore professionale socio-sanitario.

Ma, e non è un paradosso, lo possono fareproprio perché provengono da un corso di studi nonriduzionista. Cioè perché preparati a capire che nonsono le scienze medico-scientifiche-tecnologiche agarantire i vincoli e le possibilità di relazioniinterpersonali e di legami che possano essereterreno di elezione dell’intenzionalità, della libertà edella responsabilità di ciascuno, ma appunto lapedagogia che si confronta con le scienzedell’educazione, tra cui non sfigurano certo, ma

senza alcuna signoria, anche consapevolezze di tipomedico-scientifico-tecnologico.

In questo senso, osservare, come fanno i difensoridell’educatore professionale socio-sanitario, chequesta tipologia di educatori diversa da quellaformata nella classe L-19, farebbe 1500 ore ditirocinio specifico in tre anni mentre gli educatoriprofessionali socio-pedagogici ne fanno molte menoe per di più non solo negli ambiti di lavoro riservatidalla legge ai primi, aumenta i problemi dellaformazione degli educatori professionali socio-sanitari al posto di risolverli. Non è infatti iltirocinio in sé che rende competenti questi educatoriad operare nei servizi sanitari, come in ogni altroservizio, bensì il quadro epistemologico all’internodel quale avviene questa abilitazione professionaleche parte dall’esperienza concreta.

La prospettiva più ragionevole per le due figureprofessionali, allora, è semmai quelladell’ibridazione dei percorsi, offrendo anche aipercorsi per educatori professionali socio-sanitaril’opportunità di conoscere e padroneggiare, seintendono operare in ambiti professionali più vasti,il quadro epistemologico e metodologico chesorregge i corsi di studio in Scienze dell’educazionee, per converso, offrendo, con opportuneintegrazioni di esperienza e di scienze mediche,anche ai laureati in Scienze dell’educazionel’opportunità di integrare aggiuntivamente il propriopercorso di studi al fine di poter prestare servizioanche nei posti oggi riservati ai colleghi sanitari.

L’unico rischio da evitare è quello che ha afflittonegli ultimi anni la scuola e le relative politichenazionali: quello della medicalizzazionedell’educazione e dei suoi processi, facendopenetrare come linguaggio comune pedagogicoconcetti e parole che hanno senso soltanto in unambito medico e riabilitativo come, per esempio,dislessico, disgrafico, discalculico, affetto dasindrome autistica o da Adhd, e tante altre.Basterebbero elementari conoscenzeepistemologiche, infatti, per comprendere chel’occupazione imperiale di ambiti altrui nuoceall’occupante e all’occupato e che ambedueavrebbero di che guadagnare riconoscendo leproprie differenze di natura e di fine.

Giuseppe Bertagna

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV6

FATTI E OPINIONI

l’emergere dei segnali di bene e disperanza che la storia sempre con-tiene, a indicare la presenza provvi-dente e misteriosa di Dio. Per questooccorreva diffidare dei profeti di sven-tura che hanno uno sguardo così pes-simista da non riuscire a scorgere Dioche è sempre all’opera. Per i profeti disventura la storia si è fermata al ve-nerdì santo senza riuscire a vedere inessa gli indizi di una Presenza risorta.Accade anche a noi di guardare la re-altà con gli occhiali scuri del pessi-mismo che percepisce solo il male,

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L’educatore e il pedagogista:finalmente qualcosa di nuovo

Se si vuole una prova dell’incessantecambiamento a tutti i livelli chestiamo vivendo, si può considerare unfenomeno che interessa la nostra areadi riflessione. Mi riferisco a due figureprofessionali che si stanno imponendonel panorama culturale, politico e so-ciale: l’educatore e il pedagogista.Sono anni che hanno vissuto quasinella clandestinità, pur se le Universitàitaliane ne sfornano da vari decenni. Ilproblema che, fortunatamente, si èimposto, è riconoscerli nel mercatodel lavoro come detentori di una pro-fessione specifica. A tutt’oggi, infatti,chiunque può esercitare questa pro-fessione; nel caso migliore, anche conuna laurea non specifica: un ingegnereanziché un sociologo, un architettoanziché un filosofo. Domani, ci augu-riamo, non sia più così. Infatti, nelloscorso mese di giugno, l’Assembleadella Camera dei Deputati ha appro-vato il testo unificato, che passa al-l’esame del Senato, delle proposte dilegge n. 2656 Iori e 3247 Binetti. Una legge, attesa per anni, che disci-plina le professioni educative, valo-rizzandole e garantendone il ricono-scimento a partire dalla loroformazione. Il conseguimento del ti-tolo di studio specifico costituirà il re-quisito obbligatorio per svolgere inqualunque forma e in qualunque am-bito il lavoro educativo. La legge riconosce tre figure profes-sionali: l’educatore socio-pedagogico,l’educatore socio-sanitario ed il pe-dagogista.Il titolo di educatore sarà rilasciatounicamente al termine del Corso di

laurea triennale della Classe di laureatriennale L19, Scienze dell’Educazionee della Formazione; il titolo di Peda-gogista sarà rilasciato al termine delleClassi di laurea magistrali LM50 Pro-grammazione e gestione dei servizieducativi, LM57 Scienze dell’educa-zione degli adulti e della formazionecontinua, LM85 Scienze pedagogiche.Oggi si stima che in Italia i lavoratoridell’ambito educativo-formativo sianopiù di 150.000 che saranno chiamatiad adeguare la loro preparazione aglistandard culturali fissati dalle disposi-zioni di legge. Un passaggio epocale,di cui dobbiamo essere grati a chi,come le colleghe Iori e Santerini, se nesono fatte carico, appunto due peda-

gogiste elette in Parlamento. Al di làdella doverosa legittimazione di que-ste professioni, la proposta di leggeper essere apprezzata fino in fondodeve essere proiettata in una logicapiù ampia, essere inscritta, cioè, al-l’interno delle politiche dell’educa-zione e della formazione di questi ul-timi anni. Dopo la riforma dell’edu-cazione formale (scuola), il riconosci-mento delle professioni educative è lapremessa – ci si augura – per la ri-forma dell’educazione non formale,se è vero, come si legge nella rela-zione di presentazione della propostadi legge, che è stata approvata dallaCamera la delega al Governo per la ri-forma del terzo settore e dell’impresasociale. Un altro tassello importanteper realizzare il nostro sistema educa-tivo di istruzione e formazione se-condo autonomia e sussidiarietà.

Carla XodoUniversità di Padova

Il futuro alle spalledi Carla Xodo

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Scrutando i segni dei tempi

L’espressione “segni dei tempi” fa ri-cordare Giovanni XXIII, che la usònella sua enciclica Pacem in terris.Tre erano i segni che il Pontefice in-dicava come promessa di un mondonuovo: l’ascesa economico-socialedelle classi lavoratrici, l’ingresso delladonna nella vita pubblica, l’indipen-denza dei popoli. E pochi mesi prima,aprendo il Concilio Vaticano II, avevainvitato a scrutare in profondità il no-stro tempo per scorgere in esso

Vangelo docentedi Paola Bignardi

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 7

FATTI E OPINIONI

ciò che non funziona, ciò che è nega-tivo. Certo una disgrazia, un pro-blema, una sconfitta ci colpiscono im-mediatamente, e rischiano diaccecarci, impedendoci di vedere chel’orizzonte è ricco anche di altro. Anche gli educatori – insegnanti, ge-nitori, sacerdoti – corrono questo ri-schio: dai loro ragazzi vorrebbero sem-pre il massimo: li vorrebbero pronti aimparare, a impegnarsi, a migliorare,ad aprirsi a grandi orizzonti. Fanno fa-tica ad accettare i piccoli passi, e nonsempre lineari, dello loro crescita. Espesso finiscono per vedere solo le re-sistenze, le pigrizie, le fatiche.Un educatore che non sa vedere il benenei propri ragazzi non ha nessuno spi-raglio per mettersi in comunicazionecon loro, perché l’educazione ha il suosegreto nella fiducia; è una scommessasulle possibilità di bene che ogni ra-gazzo porta dentro di sé.Occorre dunque allenarsi a sconfig-gere il profeta di sventura che è in noiper diventare profeti di speranza. Sitratta di un esercizio spirituale digrande impegno, che è fede nel-l’azione dello Spirito e ascolto intel-ligente e sensibile della realtà. E poioccorre ricordare che i segni deitempi non sono evidenti: c’è un de-serto da attraversare, come ha fatto ilpopolo di Israele che ha imparato apoco a poco, dentro i fatti della vita,a scorgere la presenza di Dio e a ri-conoscere la sua guida nell’oscurità.Nelle nostre riflessioni cercheremodi allenarci a leggere in profondità lavita dei giovani di oggi: ciò che vi èin loro di positivo e di promettente eanche le loro difficoltà, i loro scorag-giamenti, le loro solitudini. E forse, al termine di questo discer-nimento, ci renderemo conto che sonodiversi da come siamo abituati a pen-sarli e troveremo nuove strade di dia-logo con loro.

Paola BignardiPubblicista, già Presidente nazionale

dell’Azione Cattolica Italiana

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Natura non nisi parendovincitur

Una delle innovazioni connesse conla Legge 107/2015 riguarda l’attua-zione dell’alternanza scuola-lavoro.In genere questa alternanza, estesa atutte le scuole (e che sarà progressi-vamente introdotta a tutte le classidelle scuole secondarie superiori), haregistrato una scarsa o nulla collabo-razione dei privati, mentre il pubblico(in particolare le università), destina-tario di molteplici richieste, ha cer-cato di individuare vari percorsi persoddisfare questa nuova esigenza.Se però si guarda all’alternanzascuola-lavoro da un punto di vistasquisitamente culturale è agevole ren-dersi conto come agli stessi promotoridella normativa sia sfuggito un puntodecisivo. Quest’ultimo si radica – perdirla ora molto sinteticamente – nelpieno valore culturale del lavoro pra-tico e di quello tecnico. La nostrascuola, nella sua stessa struttura disci-plinare gerarchica (che risale ancora,volenti o nolenti, alla riforma di Gen-tile) svaluta infatti la dimensione dellatecnica e del lavoro pratico. Questasvalutazione si radica nella stessa sto-ria dell’Occidente, dal V secolo a. C. aoggi, e trova pochissimi oppositori. Tra questi va ricordato Galileo Galileiche, nel 1638, pubblicando i suoi Di-scorsi e dimostrazione matematicheintorno a due nuove scienze, decise diaprire il suo capolavoro con formida-bile elogio della tecnica, sottolinean-done il grandissimo valore culturale.Se nella nostra tradizione “mecca-nico” indica una realtà vile e bassa,per Galileo, invece, la dimensione“meccanica” costituisce il terreno per

le più originali e acute riflessioni filo-sofiche. Per quale ragione? Perché perGalileo la tecnica costituisce la mate-rializzazione dell’intelligenza umanala quale costruisce un prodotto artifi-ciale che mette in relazione il mondodella natura (dominato da leggi“sorde e inesorabili”) e il mondo dellalibera creazione culturale (quellodella fantasia, della creatività e del-l’immaginazione). Per questo, ragione, sostiene Galileo,agli “intelletti speculativi” la rifles-sione sul lavoro pratico e sulla mec-canica, in particolare, offre “largocampo al filosofare”, aprendo nuoviorizzonti e nuove prospettive. Infatti,per dirla con Francis Bacon, naturanon nisi parendum vincitur, alla na-tura si comanda ubbidendole ed èproprio questo che l’oggetto tecnicoci consente di fare: per suo tramiteconseguiamo dei nostri fini rispet-tando rigorosamente le leggi naturali.Scusate se è poco.

Fabio MinazziUniversità dell’Insubria

La lanterna di Diogenedi Fabio Minazzi

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV8

FATTI E OPINIONI

conseguenze della contrazione gene-ralizzata dell’attività economica. L’oc-cupazione maschile è infatti scesa di866 mila unità, mentre quella femmi-nile ha fatto registrare un incremento(251 mila). Il gap di genere nei tassi dioccupazione, tuttavia, rimane di 18punti, e il calo di 6 punti verificatosinei sette anni di crisi dipende esclusi-vamente dall’arretramento di quasi seipunti del tasso di occupazione ma-schile più che dal modesto incremento(0,2 %) di quello femminile. Rica-viamo, come anticipato all’inizio, que-ste indicazioni dal ‘’Monitoraggio evalutazione delle riforme del mercatodel lavoro” (Quaderno n.1/2016, acura del Ministero del Lavoro, di cui,nel momento in cui scriviamo, ab-biamo a disposizione un testo provvi-sorio). Altro segmento che ha eviden-

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░░Crisi e livelli occupazionali:chi sono i più colpiti?

Secondo il Ministero del Lavoro, lacrisi economica ha avuto un effettoeterogeneo sulla struttura dell’occu-pazione del nostro paese. Innanzitutto,hanno in particolare sofferto il com-parto industriale e quello delle costru-zioni, che hanno fatto registrare unacontrazione del valore aggiunto in ter-mini reali pari, rispettivamente, al16,7% e al 30,7% tra il 2007 e il 2014.In termini di manodopera impiegata,nell’industria in senso stretto il nu-mero di occupati è sceso tra il 2008 eil 2014 di 419 mila unità, in quellodelle costruzioni di 468 mila unità.Oltre alla componente settoriale, si re-gistra anche una notevole eterogeneitàregionale, con il pesante arretramento

dell’occupazione del Mezzogiorno(610 mila posti di lavoro persi tra il2007 e il 2014, pari a quasi il 10% deltotale degli occupati prima dell’iniziodella crisi) rispetto al resto della peni-sola (nel Centro Italia l’occupazione,ad esempio, è addirittura cresciuta diquasi 3 punti percentuali). Specificitàsettoriali e geografiche contribuisconoa spiegare le significative divergenzenella evoluzione dell’occupazione ma-schile e femminile tra il 2007 e il2014. Infatti, il comparto industriale sicaratterizza per una maggiore pre-senza di manodopera maschile e, pa-rimenti, il gap di genere nei tassi dipartecipazione al mercato del lavoro èparticolarmente marcato nelle regionidel sud Italia. Anche in ragione di ciò,quindi, la componente maschile dellamanodopera ha subito le maggiori

Il lavoro e la scuoladi Giuliano Cazzola

2007 2014 Differenze assolute Variazione %

Italia 22.894 22.279 -615 -2.7

Area geografica

Nord 11.754 11.612 -142 -1.2

Centro 4.674 4.811 137 2.9

Mezzogiorno 6.466 5.856 -610 -9.4

GenereFemmine 9.083 9.334 251 2.8

Maschi 13.812 12.945 -866 -6.3

Classi di età

15-24 anni 1.456 929 -526 -36.1

25-34 anni 5.627 4.106 -1.521 -27.0

35-44 anni 7.257 6.603 -653 -9.0

45-54 anni 5.793 6.663 870 15.0

55-64 anni 2.385 3.508 1.123 47.1

65 anni e più 377 469 92 24.5

Titolo di studio

Fino alla licenza di scuola elementare 1.655 893 -762 -46.1

Licenza di scuola media 7.366 6.358 -1.007 -13.7

Diploma 10.200 10.491 291 2.8

Laurea e post-laurea 3.673 4.537 864 23.5

Livello dell’occupazione in Italia per area geografica, genere, età e titolo di studio, anni 2007-2014 (v.a. in migliaia e variazioni percentuali)

Fonte: Istat - Indagine sulle Forze di Lavoro

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 9

FATTI E OPINIONI

dei policy maker europei. A preoccu-pare non è solo l’arretramento neitassi di occupazione degli under 25,che può essere in parte spiegato con laprogressiva crescita dei livelli di sco-larizzazione delle coorti più giovani,ma anche quello della fascia di età 25-34 anni, nella quale i tassi di occupa-zione sono crollati dagli oltre 70 puntidel 2007 al 59,4 % del 2014. In pa-rallelo, i tassi di disoccupazione sonosaliti dal 20,4 % al 42,7 % per gli un-der 25 e dall’8,3 % al 18,6 % per igiovani in età 25-34. Al netto degli ef-fetti di composizione, dunque, la crisisembra aver maggiormente colpito ilMezzogiorno, il comparto industriale,la componente giovanile della forzalavoro e in generale la popolazionecon un basso livello di qualifica.

Giuliano CazzolaEconomista e politico

ziato particolari difficoltà nel mante-nere un’occupazione è quello dei la-voratori con basso titolo di studio (icosiddetti low-skilled). Il numero dioccupati con titolo di studio inferioreal diploma di scuola secondaria supe-riore è sceso tra il 2007 e il 2014 diquasi 1 milione e 800 mila unità. Se èvero che per quanto riguarda i menoscolarizzati parte della contrazionepuò essere spiegata dal fatto che il li-vello medio di istruzione della popo-lazione in età lavorativa è nel frat-tempo mutata (e infatti il tasso dioccupazione per coloro che posseg-gono al massimo la licenza elementareè diminuito di appena 3 punti percen-tuali), i tassi di occupazione dei pos-sessori di licenza media sono scesi dioltre 7 punti percentuali, passando dal52,0 % al 44,7 %. E che durante lacrisi economica il mercato del lavoronon sia stato in grado di assorbire la

crescita delle competenze dell’offertadi lavoro, lo dimostra il fatto che afronte di una crescita del numero deilavoratori diplomati di 291 mila unità,il corrispondente tasso di occupazionesia sceso di 5 punti percentuali e ilnumero di disoccupati con un diplomadi scuola secondaria superiore sia nelfrattempo passato da 266 mila a 715mila. In altre parole, tra il 2007 e il2014, i diplomati tra la forza lavorosono cresciuti di oltre un milione diunità e solo poco meno di 300 milahanno trovato un impiego.Va segnalato poi, secondo il docu-mento, il profondo arretramento deilivelli occupazionali dei giovani, ac-compagnato da un forte incrementodei tassi di disoccupazione e dal-l’emersione del fenomeno dei c.d.NEET (Not in Employment, Educa-tion, or Training) che ha rappresentatouna delle maggiori preoccupazione

2007 2014 Variazione %

Italia 58.6 55.7 -2.9

Areageografica

Nord 66.6 64.3 -2.2

Centro 62.2 60.9 -1.3

Mezzogiorno 46.5 41.8 -4.8

GenereFemmine 46.6 46.8 0.2

Maschi 70.6 64.7 -5.9

Classi di età

15-24 anni 24.5 15.6 -9.0

25-34 anni 70.1 59.4 -10.7

35-44 anni 76.6 71.7 -4.9

45-54 anni 72.9 70.3 -2.6

55-64 anni 33.7 46.2 12.6

Titolo distudio

Fino alla licenza discuola elementare

30.9 28.0 -2.9

Licenza di scuolamedia

52.0 44.7 -7.4

Diploma 67.8 62.6 -5.3

Laurea e post-laurea 77.7 75.5 -2.2

Tassi di occupazione in Italia per area geografica, genere, età etitolo di studio, anni 2007-2014

(15-64 anni, variazioni percentuali)

Fonte: Istat - Indagine sulle Forze di Lavoro

2007 2014 Variazione %

Italia 6.1 12.7 6.6

Areageografica

Nord 3.5 8.6 5.1

Centro 5.3 11.4 6.1

Mezzogiorno 11.0 20.7 9.7

GenereFemmine 7.8 13.8 6.0

Maschi 4.9 11.9 7.0

Classi di età

15-24 anni 20.4 42.7 22.3

25-34 anni 8.3 18.6 10.3

35-44 anni 4.6 10.6 6.0

45-54 anni 3.1 8.4 5.3

55-64 anni 2.4 5.5 3.1

Titolo distudio

Fino alla licenza discuola elementare

7.4 18.8 11.4

Licenza di scuolamedia

7.3 16.2 8.9

Diploma 5.6 11.9 6.3

Laurea e post-laurea 4.4 7.8 3.4

Tassi di disoccupazione in Italia per area geografica, genere,età e titolo di studio, anni 2007-2014 (15 anni e più, variazioni percentuali)

Fonte: Istat - Indagine sulle Forze di Lavoro

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV10

FATTI E OPINIONI

vani – e non ci riferiamo qui tantoalla spiritualità, quando agli attori eagli scenari che affollano i loro pen-sieri – è davvero molto differenteda quello degli adulti, e facilmentepossono crearsi disallineamenti che,da comunicativi, possono diventaresostanziali; di conseguenza, l’iden-tificazione delle priorità per un ra-gazzo, quando anche sia intenzio-nale (fatto per l’appunto nonscontato), si fonda su fattori perlo-più ignoti agli adulti od ormai daloro incompresi.A fronte di queste evidenze, molteincomprensibili incomprensioni pos-sono viceversa essere comprese, emolto può essere fatto per ritrovarsisu un terreno concreto comune.La strada apparentemente più sem-plice, ma difficile da praticare neifatti, è quella di contestualizzare, co-municando con i ragazzi senza la-sciare nel regno della presunzione discontatezza tanti impliciti che, se ri-mangono tali, portano ciascuna dellaparti a credere di avere perfettamentein pugno il quid, senza quindi potercomprendere come alcune cose, infin dei conti, non risultino chiare al-l’altro. È il caso, ad esempio, dell’in-segnamento della storia, per il quale,alla scuola superiore, si ritengono i ra-gazzi ormai avvezzi ad inserire gli

eventi nel loro contesto socio-poli-tico, illuminandoli quindi di signifi-cato storico, mentre invece spesso,per loro, si tratta solo di eventi forsecollegati tra loro, ma non per questocontestualizzati. Se la scuola riesce in quest’opera dicorrelazione significativa compiegrande parte della sua opera forma-tiva, ma per far questo deve usciredalla standardizzazione dei presuntiprogrammi, così come dalla generi-cità, e dall’astrazione dei contenutidisciplinari dalla realtà.Saper collocare un evento, una rea-zione chimica, un brano di lettera-tura, un fatto di attualità in un conte-sto che lo ha preparato e che in partene determinerà le conseguenze o che,viceversa, ne sarà a sua volta deter-minato nelle conseguenze, costitui-sce un viatico alla maturazione di unacompetenza attiva nell’ordinare leproprie priorità. Non si pensi, qui,alla tipica frase del mondo adulto“Devi studiare non per l’interroga-zione, ma per il tuo futuro!” perché,in questo caso, a non sapere identifi-care la priorità è l’adulto stesso. A scegliere, infatti, si impara sce-gliendo, e se l’ordine delle priorità èsempre eterodiretto, e non assuntopersonalmente, esso diventa una for-malizzazione astratta, per cui ognistudente conoscerà quello che sarebbeda farsi secondo la vulgata o anchesecondo ragione, ma continuerà a fareesattamente il contrario secondo laprassi.Una didattica che faccia leva sullascelta, sull’esercizio reale dello sta-bilire priorità – con i rischi inevitabiliche ne conseguono – sull’esperienzaviva e, conseguentemente, sulla com-petenza nel contestualizzare le situa-zioni, aiuta il formarsi di uomini edonne capaci di stare nella realtà e,per questo, di cambiarla in meglio.

Cristina CasaschiUniversità di Bergamo

Questione di priorità

La mattina del ‘venerdì nero’ dellaBrexit, si svolse questo colloquio sur-reale tra una mamma e una figlia se-dicenne, davanti alla colazione:Mamma (con aria grave): – È uscita –Figlia (tra l’incuriosito e l’educato): –Chi? –Mamma (incredula): – La Gran Bre-tagna! –Figlia (perplessa): – Beh, non mi parecosì grave –La mamma (sconsolata) resta in si-lenzio.La stessa sera la figlia si rivolge allamadre dicendole:– Sai mamma, questa mattina, quandomi hai detto che era uscita, pensavo tiriferissi all’Inghilterra dagli Europei!– (erano in corso, allora, i campionatieuropei di calcio).Questo semplice scambio del quoti-diano fa riflettere su due evidenzetra le più importanti, discusse ma alcontempo trascurate del nostrotempo: il mondo interiore dei gio-

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Ologrammadi Cristina Casaschi

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV12

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

La formazione e lo status professionale della figuradell’educatore a livello europeo si presenta frasta-gliata, con situazioni differenti e variegate. Come

è stato sottolineato1, occorre rilevare la varietà di titoli coni quali i vengono definitivi i lavoratori sociali, e tra que-sti anche gli educatori, tra i paesi europei: in alcuni casitroviamo una chiara separazione tra la figura dell’assi-stente sociale e quella dell’educatore; in altri le moltepliciprofessionalità ricadono tutte sotto il comune ombrello di“lavoratori sociali”. A complicare ulteriormente una sin-tetica comparazione vi è il fatto che, anche laddove si uti-lizzi lo stesso termine, possono esserci diversi significatida attribuire a ciascuno di essi: talvolta, infatti, ad una dif-ferenza terminologica non segue necessariamente unadifferenza sostanziale e viceversa. Sussistono invece im-portanti differenze in merito ai percorsi formativi e aglistatus professionali.

fessione di assistente sociale (assistant de service socialo social assistant) sia quella di educatore professionale(educateur spécialisé), suddivise al loro interno, in 12 dif-ferenti figure professionali2.Il percorso formativo dell’educateur spécialisé, rifor-mato nel 20073, prevede una formazione triennale (180CFU) erogata da appositi centri accreditati a livello na-zionale (denominati solitamente Ecoles de Travail Social),composta da 1.450 ore di formazione teorica e da 2.100ore (circa 60 settimane) di formazione pratica in tirocinio.La prima parte della formazione è di solito comune pertutte le professioni “sociali”; nella seconda si provvede in-vece ad una maggiore specializzazione in quattro aree(éducateurs spécialisé, assistants sociaux, educateur jeu-nes enfants, consellier in economie sociale et familialle).Al termine del triennio si ottiene un diploma statale (Di-plôme d’Etat d’éducateur spécialisé - DEES), previsto findal 1967. Circa l’80% degli educatori in Francia lavora nel settoredel privato sociale, mentre il restante 20% è assunto tra-mite concorsi come dipendente pubblico (statale o neglienti locali) e ha un salario che si aggira tra i 1.466 e i 1.530euro lordi mensili4.

L’educatore in EuropaFrancesco Magni

COME RIFERITO NELL’EDITORIALE E NELLA RUBRICA A CURA DI CARLA XODO, UNA PROPOSTA DI

LEGGE MIRA A RICONOSCERE PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA LA FIGURA DELL’EDUCATORE SOCIO-EDUCATIVO, DIFFERENZIANDOLA DA QUELLA DELL’EDUCATORE SOCIO-SANITARIO: MA QUAL È LA

SITUAZIONE A LIVELLO EUROPEO?

1. A. Meeuwisse, H. Sward, Cross-national comparisons of social work – a que-stion of initial assumptions and levels of analysis, in «European Journal of So-cial Work», vol. 10, n. 4, 2007, p. 491; W. Lorenz, Towards a European Modelof Social Work, in «Australian Social Work», vol. 61, n. 1, 2008, p. 7; E. Frost,Is there a European social work identity?, in «European Journal of SocialWork», vol. 11, n. 4, 2008, pp. 341–354; J. Kornbeck, N. Rosendal Jensen (a curadi), The Diversity of Social Pedagogy in Europe, Studies in Comparative SocialPedagogies and International Social Work and Social Policy, vol. VII, Europäi-scher Hochschulverlag, Bremen, 2009.2. J. Boddy, J. Statham, European Perspectives on Social Work: Models of Edu-cation and Professional Roles, Thomas Coram Research Unit, Institute of Edu-cation, University of London, 2009, p. 8; AA.VV., The profession of Social Edu-cation in Europe, Consejo General de Colegios de Educadoras y EducadoresSociales - CGCEES, (www.eduso.net), 2011, p. 22 e pp. 44-45.3. Arrêté du 20 juin 2007 relatif au diplôme d’Etat d’éducateur spécialisé, cosìcome aggiornato il 17 marzo 2015, http://www.ones-fr.org/?pageid=1580.4. http://www.onisep.fr/.

Paese Assistente sociale Educatore professionale

Francia, Belgio Assistant de servicesocial

Éducateur spécialisé

Germania,Austria

Sozialarbeiter Sozialpädagoge

Regno Unito eIrlanda

Social worker oYouth andcommunity worker

Social worker, Youth andcommunity worker

Spagna Asistente social Educador socialDanimarca Socialrådgiver SocialdædagogPolonia Pracownik socjalny Pedagog socjalny,

Pedagog szkolny, Pedagoganimacji kulturalnej,Pedagog medialny

FranciaIn Francia la professione di educatore è ricompresa al-l’interno della macro area delle professioni sociali (Tra-vail Social): sotto questa dicitura sono inclusi sia la pro-

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 13

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Importante punto di riferimento per gli educatori francesiè l’associazione nazionale Organisation nationale deséducateurs spécialisés-ONES5.

GermaniaIn Germania i singoli Länder sono responsabili per la re-golamentazione delle professioni sociali (Soziale Arbeit),al cui interno troviamo sia l’assistente sociale (Sozial Ar-beiter), sia l’educatore sociale (Sozialpädagoge): per que-sto motivo c’è una grande varietà di figure professionalie non ci sono standard professionali uniformi fissati a li-vello di Stato Federale e sono i singoli Länder che stabi-liscono a quali condizioni una persona possa conseguireuno dei due titoli. Nell’ultimo decennio, però, si è assistito all’introduzionedi alcuni elementi unificanti: il percorso formativo av-viene presso le “Università di Scienze applicate” (Fa-chhochschulen) e le due distinte tradizioni della scienzasociale (Sozialarbeitswissenschaften) e della (Sozialpa-dagogik) sono confluite all’interno delle scienze sociali(Wissenschaften Soziale Arbeit), portando così ad unamaggiore unitarietà del percorso formativo.Circa 2/3 dei laureati in Soziale Arbeit oggi lavora nel set-tore del privato sociale, mentre nel settore pubblico il 79%è assunto a livello municipale, il 2% a quello regionale e1% in quello statale. Solo il 4% dei lavoratori in questosettore è coinvolto in sindacati o in organizzazioni pro-fessionali, solitamente racchiusi entrambi in una un’unicaorganizzazione denominata Deutsche Berufsverband fürSoziale Arbeit – (DBSH) 6.

Regno UnitoNel Regno Unito troviamo una situazione di inter-pro-fessionalizzazione e convergenza di differenti prospettivenel campo dei servizi sociali (social work), all’interno deiquali vengono ricompresi sia la figura dell’assistente so-ciale, sia quella dell’educatore.Una serie di organismi si sono susseguiti nel corso deglianni con il compito di supervisionare e coordinare le pro-fessioni sociali nel Regno Unito: nel 1970 è stato fondatoil Central Council for Education and Training in SocialWork (CCETSW), sostituito nel 2001-2012 dal GeneralSocial Care Council (GSCC), sostituito anch’esso dal2012 ad oggi dal Health and Care Professions Coun-cil (HCPC).Dal 2003 tutti i lavoratori sociali (social workers) devonoessere in possesso di una laurea triennale o magistrale inSocial Work, che ha sostituito il Certificato di Qualifica-zione in Social Work – CQSW (in vigore tra il 1975 e il1991) e il Diploma in Social Work -DipSW (in vigore dal1991), entrambi di livello pre-universitario7. Allo stesso

tempo, sono state aumentate le ore di formazione pratica(200 giorni) nel corso del triennio/biennio ed è stata ri-mossa l’età minima (in precedenza fissata a 22 anni) perconseguire la qualifica di social worker.Quest’ultimo cambiamento ha modificato anche il profilodei nuovi studenti: la quota di studenti sotto i 24 anni è au-mentata dal 20% del a.a. 2003/2004 al 39% dell’a.a.2007/2008 (con un 15% di studenti con età inferiore ai 20anni) e una corrispettiva diminuzione degli studenti “over35” che sono passati dal 50% a meno del 30%8.Ancora in discussione è il fatto se mantenere una quali-fica generale che permetta di esercitare la professione disocial worker in tutti i differenti contesti (adulti, bambinie adolescenti, comunità famigliari, persone con disabilitàdisabilità, ecc…) oppure se non prevedere qualifiche piùspecialistiche, che consentano di lavorare solo con deter-minate categorie di persone.Non ci sono salari prefissati, ciascun lavoratore è liberodi negoziare il proprio stipendio. Solitamente, un neo-la-voratore guadagna attorno alle £22.000 annue, che pos-sono arrivare fino a £40,000 se assume su di sé partico-lari responsabilità o lavora in zone dove il costo della vitaè particolarmente elevato (come per esempio Londra).L’associazione professionale di riferimento è la British As-sociation of Social Workers9.A livello europeo, ancorché sussistano dunque differenzeed eterogeneità nei percorsi formativi e nello status pro-fessionale della figura dell’educatore, sembra si sia ormaiaffermata la necessità di una qualifica universitaria a li-vello di laurea triennale come requisito fondamentale peroperare in questo delicato, strategico e vastissimo ambitod’azione. Molti sono i cambiamenti intercorsi negli ultimianni, sia nel contesto sociale sia negli ordinamenti interniai singoli stati. Quella dell’educatore professionale appareperciò come una professione ancora in via di definizionee in costante sviluppo, per la quale è lecito aspettarsi, an-che a livello europeo, una crescente attenzione e un no-tevole interesse anche nei prossimi anni.

Francesco MagniUniversità di Bergamo

5. http://www.ones-fr.org/.6. AA.VV., The profession of Social Education in Europe, cit., 2011, p. 41.7. J. Boddy, J. Statham, European Perspectives on Social Work: Models of Edu-cation and Professional Roles, cit., p. 5.8. General Social Care Council, Social work at its best: a statement of social workroles and tasks for the 21st century, London, GSCC, 2008.9. https://www.basw.co.uk/.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV14

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Nuova Secondaria - n. 3 2016 - Anno XXXIV14

Quale ruolo può giocare il merito nelle democrazie?Quali sono i rischi sottesi ad una generalizza-zione della logica del merito negli ambiti più di-

sparati del vivere comune? In che modo la democraziapuò riuscire vincitrice dal confronto con chi non la intendecome uno strumento di promozione umana e la consideraormai quasi spenta o deformata fino ad essere irricono-scibile? Il dibattito sulla natura della democrazia è antico:opportunamente il testo di Giuseppe Tognon1 ha volutodedicare un capitolo alle sue origini e alla sua “ambiguità”così come anche alle “trappole” di una concezione dellameritocrazia fondata sulle teorie del capitale umano e suuna competizione falsata da miti profondamente antiu-manistici.

Meritocrazia o meritorietà?Come noto, il concetto di meritocrazia è stato teorizzatodal sociologo inglese Michael Young nel 1958, il quale loha inteso quale principio di organizzazione sociale chefonda ogni forma di promozione e di assegnazione di po-tere esclusivamente sul merito. La formula che lo descriveprevede che il merito sia la sommatoria tra il quoziented’intelligenza e lo sforzo che ciascuno deve compiere perottenere un determinato risultato. «Il merito è … la risul-tante di due componenti: il talento che ciascuno ottienedalla lotteria naturale e l’impegno profuso dal soggettonello svolgimento di attività o mansioni varie»2. Se, comesi afferma in apertura del lavoro, «le istituzioni, le am-ministrazioni pubbliche, la scuola, la ricerca, le imprese,soffrono … di un “mal di merito” che condiziona forte-mente il funzionamento della vita democratica», è altret-tanto indubbio che il peso che il merito può e deve averein una società non può spingerci ad accettare che «una mi-noranza, anche se composta dai migliori, possa attribuirea sé ciò che la democrazia reclama per tutti, vale a dire lelibertà, l’istruzione, il benessere, l’accesso alle cariche».Detto in altri termini, occorre distingue tra merito (o me-ritorietà) e meritocratizia, come sistema di governo e or-ganizzazione dell’azione collettiva. Peraltro va ricordatoche verso quest’ultimo concetto lo stesso Young fu molto

critico, in quanto riteneva che esso rappresentasse unostrumento potenziale di trasformazione della democraziain una tecnocrazia oligarchica. Dove sta il punto di equi-librio in prossimità del quale l’eguaglianza di tutti i cit-tadini, la loro pari dignità sociale, l’eguale esercizio dellasovranità – di cui sono indistintamente titolari – si com-bina con l’esaltazione delle differenze finalizzate a faremergere i più meritevoli?

Il merito e la Carta costituzionaleNon vi è dubbio che la società italiana all’entrata in vigoredella Costituzione fosse fortemente elitaria: le ragioni dicenso erano decisive ai fini della collocazione socialedegli individui e le opportunità di ascesa sociale erano ri-messe soprattutto ad una combinazione casuale di eventifavorevoli. Sulla base di questa consapevolezza, a fon-damento della proclamazione della dimensione sostan-ziale dell’eguaglianza (art. 3, comma 2 Costituzione Ita-liana) vi fu proprio il «riconoscimento della sussistenzanell’ordinamento […] di un sistema di rapporti indicentedifferenziazioni di posizione sociale fra gruppi e gruppidella popolazione tali da contrastare con la pari dignità so-ciale e da ostacolare lo sviluppo di un gran numero di per-sone, e più in particolare di lavoratori»3. In tale contesto,

La democrazia del meritoElena Vivaldi

IL RAPPORTO TRA DEMOCRAZIA, MERITOCRAZIA E MERITORIETÀ A PARTIRE DA UN RECENTE LIBRO DI

GIUSEPPE TOGNON.

1. G. Tognon, La democrazia del merito, Salerno Editrice, Roma, 20162. S. Zamagni, Meritocrazia, in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani,2012.3. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova 1975.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 15

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Nuova Secondaria - n. 3 2016 - Anno XXXIV 15

prendere sul serio il secondo addendo della formula delmerito sopra richiamata (lo sforzo) porta a dover neces-sariamente considerare il contesto in cui si trova la per-sona, i suoi bisogni, le mancanze che soffre rispetto ad al-tri, affinché essa possa avere, in concreto, le stessechances di tutti. Meriti e bisogni, in altri termini, impli-cano una deroga al principio dell’eguaglianza giuridica,seppur da opposti angoli visuali. Come è stato efficace-mente osservato, entrambi (meriti e bisogni) «(ri)trovanoun comune denominatore … nella tensione al raggiungi-mento del pieno sviluppo della persona»4. Pensiamo, adesempio, all’art. 34 Cost. secondo il quale «i capaci ed imeritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di rag-giungere i gradi più alti degli studi». All’impegno dellaRepubblica a garantire parità di chances – e non quindi aprodurre una eguaglianza nei risultati – segue l’esalta-zione del merito, del talento, dell’impegno, della perse-veranza del singolo nell’assecondare le proprie attitudinie nello sfruttare le opportunità che gli si presentano nellavita. D’altro canto se queste qualità non trovano riscon-tro nei fatti non può certo dirsi che il principio persona-lista che innerva la nostra Costituzione sia effettivamenterealizzato, ma anzi potremmo dire che esso vada in fran-tumi. Non si ravvede pertanto nessuna relazione opposi-tiva tra tutela dei bisogni e valorizzazione del merito, inquanto entrambi perseguono il fine del pieno sviluppodella persona e quindi dell’inclusione sociale: solo la li-berazione dal bisogno può consentire la successiva pro-mozione sociale di quanti hanno le capacità. Ma, se que-sto è il punto di partenza per impostare una adeguataindagine sul ruolo che effettivamente ha giocato la pro-mozione sociale, e quindi il merito, in questi anni, dob-biamo previamente rispondere ad un’altra domanda, chein effetti il libro pone: quando diversa dovrebbe essere lasocietà attuale affinché possiamo affermare che il disegnocostituzionale è stato davvero attuato? Non è in discus-sione infatti che quello contenuto nei primi articoli dellaCarta fondamentale fosse l’annuncio di una rivoluzionepromessa5 e che, di conseguenza, l’art. 3, comma 2 Cost.costituisse il cardine della palingenesi della struttura so-ciale. E, inoltre, la diversità può misurarsi solo sulla basedella possibilità per tutti di raggiungere le più alte sferedel potere? È (solo) questa la dimensione del merito cheemerge dalla trama costituzionale?

Il rapporto tra merito, valutazione edemocrazia nelle università italianeIl libro opportunamente si sofferma anche ad analizzarei temi sottesi alla questione più generale del rapporto trademocrazia e merito, appunto: chi giudica il merito econ quali criteri. Per individuare il merito occorre, infatti,

valutare e per valutare bisogna prima misurare. Ma alloraè necessario che siano chiare le intenzioni di chi misurae soprattutto, come vengano usati i risultati. «La valuta-zione è anche una tecnica di potere politico, per esaltarei buoni risultati, per nasconderne altri, […] per scaricaresu qualcuno la responsabilità della crisi, per prepararel’opinione pubblica a riforme dolorose». Pensiamo allavalutazione del merito nelle Università, tema peraltro cuilo stesso Autore dedica riflessioni importanti, rilevandocome, in questo settore, le teorie meritocratiche si sianointrecciate con le politiche di austerità, esasperando il li-vello di competizione tra le nazioni e finanche tra i sin-goli atenei. Se guardiamo al caso italiano, nella Legge 30 dicembre2010, n. 240 la valutazione viene proposta come la ri-sposta a tutti i mali e le inefficienze del sistema e, su talepresupposto, viene congegnata in modo da investire tuttii profili organizzativi e funzionali del sistema universita-rio. Ora, a parere di chi scrive, lo statuto costituzionaledella libertà di ricerca scientifica e la garanzia di autono-mia riconosciuta all’università non si pongono certo comelimiti invalicabili all’introduzione di un sistema di valu-tazione. Anzi, un finanziamento a pioggia delle attività diricerca potrebbe limitare la libertà espressa nel 1 commadell’art. 33 Cost. in quanto non vi sarebbe la concreta pos-sibilità di vedere valutati (e quindi finanziati) i prodottidella ricerca in relazione al loro merito scientifico e perquello che possono significare per la società, in terminianche di elevazione culturale. Non solo: un sostegno in-differenziato delle attività di ricerca pregiudicherebbel’imparzialità e il buon andamento della pubblica ammi-nistrazione (art. 97 Cost.), in quanto comporterebbe unanon ottimale allocazione delle risorse pubbliche. In que-sto quadro la valutazione costituisce anzi il presuppostoindispensabile della promozione della ricerca scientificae delle sedi in cui essa si svolge. Ma perché la valutazionedel merito nelle università sia ben fondata occorre che siaassunta una scelta chiara, di tipo culturale e politico, sul-l’università che si intende costruire e promuovere. Quelloche, invece, emerge dalla disciplina attuale è un sistemadi valutazione che misura, classifica, controlla, punisce,imponendo – infine – uno standard cui uniformarsi. Pen-siamo a come la valutazione è stata legata al finanzia-mento delle strutture. Oggi il risultato delle diverse espe-rienze di valutazione è quello di distribuire una quota

4. G. Fontana, Diseguaglianza e promozione sociale: bisogno e merito,http://www.gruppodipisa.it, 2015.5. P. Calamandrei, Introduzione storica sulla Costituente, in P. Calamandrei, A.Levi (a cura di), Commentario sistematico alla Costituzione italiana, Barbera,Firenze 1970.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV16

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

premiale del fondo di funzionamento ordinario; la com-petizione, quindi, ha ad oggetto un quantum di risorse chefa parte di quell’insieme di mezzi economici che con-sentono alle singole università di rispondere alla loromissione. Peraltro, se negli anni tale quota premiale va au-mentando, è noto che dal 2008 al 2013 vi sia stata una di-minuzione del FFO6 del 22%. In questo senso possiamoforse affermare che la quota del FFO che dovrebbe esserepremiale, in realtà premiale non è, poiché non si ag-giunge alle risorse necessarie per garantire il buon fun-zionamento delle strutture, ma ne è in realtà una parte ri-levante. Questo elemento rivela la scelta politico-culturaleche è alla base dell’ultima stagione di riforme e pone unproblema di parità di chances (non solo direttamente di ri-sultati, quindi) tra gli atenei: tra quelli che ottengono mi-gliori performances e quindi sono dotati di maggiori ri-sorse finanziarie (e conseguentemente riescono ad attrarrestudenti migliori, potendo contare anche su strutture di piùalta qualità), e quelli, invece, con minori risorse finan-ziarie. Quale divario consideriamo costituzionalmenteaccettabile? Da un lato, infatti, è indiscutibile che la pe-nalizzazione finanziaria possa spronare gli atenei conperformances peggiori a migliorare, ma questo elemento,da solo, rischia di essere controproducente. Al contempo,però, premiare atenei con prestazioni eccellenti, che si di-scostano in modo considerevole dalla media (nazionale edeuropea) può, allo stesso modo, trasmettere messaggifuorvianti in quanto tale dislivello andrebbe ad affiancarsia quello territoriale, incidendo in modo pregnante sul ri-conoscimento di un diritto costituzionalmente garantito,quale il diritto all’istruzione. Da questo esempio emergechiaramente come il merito non possa essere ridotto ad«una dimensione che riguarda soltanto la materialità dellecose o i rapporti economici». In questa ottica il rapporto che il libro di Tognon vuole mettere in evi-denza, quello tra democrazia e merito, è quanto mai cru-ciale.

I risvolti personali e sociali di una democrazia del meritoLa democrazia non è solo rispetto delle procedure per con-sentire, ad esempio, l’eguale godimento dei diritti politici,la libera competizione elettorale secondo cadenze tem-porali definite, alle quali partecipino una pluralità di sog-getti. Ma è prima di tutto sostanza: «una democrazia nonsolo formale implica che tutti i cittadini siano messi ef-fettivamente in grado di esercitare i poteri che spettano alpopolo»7. O detto in altri termini, una democrazia può de-finirsi sostanziale quando tutti i consociati, a prescinderedalle condizioni di partenza, possono aspirare, secondo leproprie ambizioni ed attitudini, al potere, che in una so-

cietà composita come la nostra, non è certamente solo po-litico-istituzionale. La Costituzione, infatti, non pretendedi tracciare il percorso di crescita per tutti allo stessomodo, ma fonda una «benemerenza a priori per tutti i cit-tadini», che solo in un secondo momento, percorrendo levie tracciate nei principi fondamentali, potranno tradursi,come efficacemente sottolinea l’Autore, in merito so-ciale o politico. Una di queste vie è sicuramente la pienaattuazione del pluralismo sociale, vero e proprio ele-mento costitutivo delle democrazie, come ha detto laCorte costituzionale (sent. n. 187/1990): esso non solo«favorisce la socialità della persona, il suo inserimento nelcontesto sociale mediante una rete di relazioni che ne con-senta la partecipazione alla vita collettiva e quindi la suapiena realizzazione», ma ha anche un risvolto sulla so-cietà, come antidoto alla «democrazia plebiscitaria», neiconfronti della quale l’esistenza di formazioni socialiconsente di opporre una democrazia matura, in cui sipresentano proposte e dove l’azione dei rappresentanti èposta sotto controllo8. Un’altra strada è poi sicuramentequella tracciata dall’art. 4, comma 2, Cost., ossia «il do-vere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la pro-pria scelta, un’attività o una funzione che concorra alprogresso materiale o spirituale della società». Ecco infattiche il lavoro, o meglio la laboriosità dell’individuo, di-ventano strumento privilegiato attraverso cui realizzare lapersonalità e contribuire alla costruzione della dignità diciascuno, un lavoro che non deve essere per tutti uguale,ma che deve chiamare il singolo a partecipare alla realiz-zazione del bene comune a seconda di quelle che sono leproprie inclinazioni. Vi è poi la via maestra: quella dellasolidarietà, del dono, del talento all’umanità, come lo de-finisce efficacemente l’Autore. Espressione più pienadella fiducia che si ripone nella vita e della consapevo-lezza con cui si dispone della propria persona per il com-pimento dell’interesse alieno, al di fuori degli obblighi po-sti dall’ordinamento. Detto in altri termini, comebrillantemente osserva l’Autore, «una democrazia delmerito non è il sistema per selezionare e premiare il me-rito di qualcuno, ma piuttosto quello in cui tutti meritano,sia pure in misura diversa, se esercitano il loro dovere divivere, nel tempo e nella società che li ospita».

Elena Vivaldi Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

6. Fondo di Finanziamento Ordinario MIUR per gli atenei italiani.7. G. Ferrara, Dalla democrazia formale alla democrazia sostanziale, in F. Len-tini (a cura di), Individuo, collettività, Stato, Acquario, Palermo 1983.8. E. Rossi, Art. 2, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commen-tario alla Costituzione, Utet, Torino 2006.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Il sogno thatcheriano di decentrare il governo ammi-nistrativo delle scuole, invitandole a uscire dalla ge-stione governativa, ha preso forma lo scorso marzo

con un “libro bianco” di riforma sulla scuola intitolato“Educational Excellence Everywhere”1. Il cambiamentoera stato annunciato con un piano per trasformare entro il2022 tutte le scuole inglesi in Academies: ossia, scuoledotate di completa autonomia e autogoverno, sovvenzio-nate ma non gestite direttamente dallo Stato né dalle Au-torità locali (LEAs). In quest’ottica, autogoverno e auto-nomia sarebbero bilanciati dalla responsabilità dellascuola, che rischia anche la chiusura in caso di mancatacorrispondenza agli standard e prolungato cattivo fun-zionamento. Alla direzione delle nuove “accademie” pos-sono accedere anche associazioni di genitori, cooperativedi docenti, aziende, enti e fondazioni, potendo decidere inmateria di scelta del personale e di sviluppo dell’offertaformativa. Non ci sfugga l’importanza di questo cambia-mento, perché Cameron aveva pianificato in 10-12 annila trasformazione del sistema inglese di education, a par-tire dall’Academies Act, la legge del luglio 2010 emanataa meno di tre mesi dalla sua elezione. In sostanza, si pas-serebbe da uno Stato centralista in materia di education auno Stato che allarga l’istruzione pubblica alle scuole“paritarie” migliori, gestite autonomamente ma ampia-mente sovvenzionate e controllate severamente dalloStato. Infatti, si intuisce che con il passare del tempo leIstituzioni centrali saranno sempre più in affanno a copriretutte le necessità del wellfare e dell’education2 (sia gene-ralista che professionalizzante). Il mutamento, dunque,non avviene tutto nel 2010 ma si realizza lentamente, “dalbasso”, con un disegno che era stato visto dieci anniprima da Blair (e dal suo Segretario di Stato per l’educa-zione Ruth Kelly) durante il suo mandato, ma poi bocciatodai sindacati e dall’ala più intransigente del suo partito.

Dove sta andando la IeFP in Italia?È una premessa “decentrata”, ma occorre per capire dovesi sta posizionando, invece, l’Italia nel settore dell’Istru-zione e Formazione Professionale (IeFP), che a pieno ti-tolo fa parte dell’education. Innanzitutto, vale la pena ricordare che la IeFP, nata perfornire ai ragazzi dotati di “intelligenza delle mani” unavia primaria e alternativa all’apprendimento tradizionale,sia rifluita, in mancanza di risorse adeguate, verso unascolasticizzazione del settore. La Tabella 1 introduce il“tasso di formazione” come indicatore di equilibrio del si-stema territoriale della IeFP. Per “tasso di formazione” siintende il livello di partecipazione degli enti della societàcivile al sistema di IeFP, facendo riferimento, in partico-lare, alla quota degli allievi delle Istituzioni formative ac-creditate al 1° anno. Pertanto, un basso tasso di forma-zione indica un processo di “sostituzione” (dei CFP) daparte della scuola che, secondo gli accordi3, dovrebbe es-sere solo sussidiaria nella costruzione di percorsi profes-sionalizzanti. Questo fenomeno, con il tempo, ha provo-cato un impoverimento unilaterale dell’offerta, che sievidenzia soprattutto nel Meridione. Il tasso di formazionerisulta determinante per riconoscere lo sforzo prodotto daogni Amministrazione nel sostenere la propria offertanella forma di un bilanciato pluralismo e di un controlloadeguato. La Tabella 1 dà evidenza della proporzione, tal-volta marginale, che può acquisire la IeFP delle Istituzioniformative nel modello adottato dal territorio.

Dove sta andando l’Istruzione e laFormazione Professionale in Italia?Giacomo Zagardo

MENTRE IN INGHILTERRA SI FA STRADA SEMPRE PIÙ UN MODELLO DI ISTITUZIONI SCOLASTICHE

FONDATE SU AUTONOMIA E AUTOGOVERNO, IN ITALIA LA FORMAZIONE E ISTRUZIONE

PROFESSIONALE (IEFP) DEVE SCEGLIERE SE TORNARE ALLA GESTIONE CENTRALISTICA STATALE

OPPURE PROCEDERE AL PRUDENTE ALLARGAMENTO SUL VERSANTE PUBBLICO NON STATALE

PREFIGURATO DAL D.LGS. N. 226/2005.

1. https://www.gov.uk/government/publications/educational-excellence-every-where 2. È un fenomeno che è avvertito recentemente anche in Italia: http://formi-che.net/2016/03/31/cosa-chiedono-le-associazioni-del-settore-scuola-giuseppe-sala/.3. Intesa 16.12.2010 sugli “organici raccordi”.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Nel corso degli ultimi quattro anni censiti, il tasso mediodi formazione in Italia è rimasto pressoché stabile, fissandoormai una presenza delle Istituzioni formative accreditate(IF) su una quota di poco superiore al 40% rispetto al to-tale della IeFP. Non è stato sempre così: le Istituzioni for-mative avevano mantenuto fino al 2009 una quota di pre-senza decisamente superiore a quella delle Istituzioniscolastiche (IS), ma già nell’a.f. 2009/10 si registraval’anomalia del sorpasso delle iscrizioni delle IS sulle IF.Nei quattro anni formativi considerati nella tabella, il tassodi formazione risulta più elevato al Nord, dove si attestaalla fine al 66,8% mentre al Sud copre una quota quattrovolte inferiore (17,4%), evidenziando in quelle regioniuna grande difficoltà a gestire l’offerta che proviene dalterritorio. Nelle realtà che espongono un “tasso di forma-zione” più alto si manifesta, invece, una strutturata ge-stione politica, organizzativa e procedurale del sistema del-l’offerta formativa che, per essere operativa, fa pernostoricamente su un consolidato coinvolgimento della so-cietà civile, anche per garantire i servizi educativi.

Un altro indicatore, il “tasso di tenuta”4 dei percorsi, ri-mane al momento l’unico strumento disponibile per for-nire elementi, pur parziali, sulla capacità di permanenzadegli allievi iscritti.La conoscenza del tasso di tenuta per il primo triennio deipercorsi quinquennali degli Istituti professionali di Stato(IPS) serve, qui, a stabilire un paragone tra il grado di per-manenza degli studenti nei corsi tradizionali IPS e quelloattribuibile agli allievi nei percorsi di IeFP realizzati al-l’interno degli stessi Istituti professionali di Stato. NellaTabella 2, si evidenzia un vantaggio dei percorsi tradizio-nali degli IPS rispetto ai percorsi triennali scolastici in sus-

Fonte: elaborazione su dati Isfol e delle Amministrazioni regionali e P.A.* Quota di partecipazione degli allievi delle Istituzioni formative alla IeFP al 1° anno rispetto alle Istituzioni scolastiche: (Iscritti IF*100) /(Iscritti IF + Iscritti IS).

Tabella 1 - Tasso di formazione* della IeFP per regione

Regioni e P.A. A.f. 2009/10 A.f. 2010/11 A.f. 2011/12 A.f. 2012/13 A.f. 2013/14 A.f. 2014/15Piemonte 69,1 77,4 58,0 55,4 42,5 55,1Valle d’Aosta 0 15,5 32,0 38,3 38,5 39,6Lombardia 72,3 74,1 73,4 73,4 77,8 79,8Liguria 100,0 32,4 28,4 28,2 25,8 34,4Bolzano 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0Trento 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0Veneto 100,0 100,0 91,3 88,8 89,2 87,9Friuli VG 67,0 100,0 83,2 87,5 85,3 84,3Emilia Romagna 59,0 62,7 33,4 31,8 30,6 30,8Toscana 7,2 13,6 18,4 16,9 18,0 18,3Umbria 100,0 100,0 0 0 2,3 1,9Marche 0 1,2 1,2 1,3 2,2 11,4Lazio 100,0 100,0 53,0 49,8 52,5 50,5Abruzzo 100,0 100,0 6,0 6,6 9,0 5,6Molise 100,0 100,0 29,6 14,6 24,1 21,8Campania 0 - 0 0 0 0Puglia 100,0 6,6 9,0 5,8 1,6 5,0Basilicata 100,0 100,0 0 0 0 0Calabria 100,0 21,3 19,5 18,4 5,0 n.d.Sicilia 100,0 48,2 31,4 31,2 33,8 36,2Sardegna 0 0 0 0 0 100,0Nord 76,2 77,6 64,0 63,9 62,9 66,8Centro 23,6 31,2 27,3 26,0 27,2 28,3Sud 100 16,5 13,6 14,5 15,1 17,4Totali 62,6 47,6 40,2 41,2 40,5 42,6

4. Per “tasso di tenuta” si intende la quota di allievi di 1° anno che concludonoil triennio, non ancora al netto di eventuali immissioni/fuoriuscite durante il per-corso. Nel calcolo si fa riferimento agli studenti di primo anno in rapporto a quelliche, superando l’ultimo, ottengono la qualifica (nelle Istituzioni formative e inquelle scolastiche in sussidiarietà integrativa e complementare) oppure agli stu-denti che, superando il terzo anno degli IPS (corsi tradizionali di Istruzione pro-fessionale), si iscrivono al quarto.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 19

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

sidiarietà (71,9% di tenuta negli IPS tradizionali su 56,8%dei percorsi in sussidiarietà). In campo nazionale questo fe-nomeno sembra prefigurare negli Istituti professionali unatendenza alla “delega” dei casi di maggiore problematicitàscolastica ai percorsi in sussidiarietà, sia integrativa (56,5%di tenuta) che complementare (60,7% di tenuta).Alla problematicità negli esiti si affianca anche una di-scontinuità scolastica in entrata, rivelata dalla minorepercentuale di 14enni al primo anno nella sussidiarietàcomplementare rispetto a quella evidenziata nella sussi-diarietà integrativa e di entrambe su quella degli Istitutiprofessionali tradizionali: un quattordicenne entra nellaIeFP, generalmente, per scelta mentre un ragazzo piùgrande è portato a farlo per ripiego, dopo aver perso annidi apprendimento. Così, la percentuale dei 14enni si at-testa al 30,2% nelle Istituzioni scolastiche della sussidia-rietà complementare e al 37,6% nella sussidiarietà inte-grativa5, con uno stacco di 16 punti rispetto e al 53,6% neipercorsi tradizionali degli Istituti professionali (IPS). Sul versante della sussidiarietà complementare, sul qualein Italia si intende puntare nel prossimo futuro, è interes-

sante il caso della Lombardia. Questa Regione è l’unicaa vantare un’esperienza consolidata di oltre 10 anni nellasussidiarietà complementare, con numeri tali da costituireun laboratorio attendibile per eventuali proiezioni nazio-nali. Nel suo territorio, negli anni compresi tra il 2011 eil 2015 aumenta sensibilmente l’attrattività dei corsi de-gli IPS, mentre si rileva un minore ma costante peggio-ramento nel tasso di tenuta dei percorsi in sussidiarietàcomplementare fino a toccare il 41% di insuccesso.La grande differenza negli andamenti della tenuta dei per-corsi, di cui si avvantaggerebbero soprattutto i corsi statalitradizionali, se per un verso conferma i consistenti bene-fici di un “alleggerimento” del sistema di istruzione dai casidi ragazzi più difficili che prediligono stili di apprendi-mento alternativi, dall’altro mette in evidenza la necessitàdi risorse e di una reale offerta pluralistica per i percorsi piùconsoni e rispondenti alle caratteristiche dei ragazzi a ri-

Fonte: elaborazione su dati Miur e delle Amministrazioni regionali e P.A.

Tabella 2 - Tasso di tenuta dei percorsi

Regioni e P.A. IPS 2011-15 (I/IV anno)

IF 2011-14 (I anno/qualif.)

IS 2011-14 (I anno/qualif.)

Di cui:IS integrativa

2011-14IS complementare

2011-14Piemonte 73,3 50,2 50,1 50,1 -Valle d’Aosta - 66,1 52,1 53,5 44,1Lombardia 93,4 76,7 59,5 - 59,5Liguria 70,6 72,9 63,4 63,4 -Bolzano - 76,1 - - -Trento - 78,0 - - -Veneto 87,7 76,1 75,2 - 75,2Friuli Venezia Giulia 91,6 66,6 51,9 67,1 46,2Emilia Romagna 67,8 65,4 51,0 51,0 -Toscana 72,1 50,6 38,9 38,9 -Umbria 76,6 - 67,7 67,7 -Marche 72,8 - 66,2 66,2 -Lazio 84,1 67,1 67,0 67,0 -Abruzzo 71,1 - 65,1 65,1 -Molise 78,3 47,5 - - -Campania 58,7 - 52,4 52,4 -Puglia 67,8 - 54,6 54,6 -Basilicata 73,1 - 43,1 43,1 -Calabria 68,9 - 46,2 46,2 -Sicilia 59,3 38,5 75,2 75,2 -Sardegna 56,5 - - - -Nord 81,2 69,3 54,4 52,1 60,7Centro 77,4 63,2 54,7 54,7 -Sud 62,6 38,7 59,2 59,2 -

5. Isfol, Istruzione e formazione professionale. Una chance vocazionale, a.f .2013-14, 2015, p. 29.

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schio. La consistenza raggiunta dagli abbandoni baste-rebbe a confermare che l’utenza maggiormente a rischiogià non è collocabile nel mondo dell’Istruzione e richiedesempre più chiaramente dispositivi formativi, organizzativie pedagogici alternativi e dedicati, flessibili rispetto aquelli presenti in una scuola non realmente autonoma.Ma il vero interrogativo si pone quando da una Regioneperformante come la Lombardia, che ha a suo vantaggioun tasso di formazione tra i più alti del Paese, si passeràa introdurre la sussidiarietà complementare nelle Regionimeridionali, dove la presenza compensativa delle Istitu-zioni formative accreditate, notoriamente più inclusive, ri-mane appena marginale: in altre parole, se è vero che lasussidiarietà ha quasi ovunque una minore tenuta dei nor-mali corsi IPS e accoglie per ripiego, c’è il pericolo realedi formare un ghetto che potrebbe mantenere inattiva unagrossa quota di ragazzi a rischio, molto al di là di quel37,4% di fallimenti registrata nel Meridione, già oggi, nelprimo triennio della Istruzione professionale tradizionale(Tabella 3). Il tentativo di superare le criticità delle scuole nel proporreun’offerta adeguata agli obiettivi della IeFP si evidenziaanche nel ripescaggio delle vecchie tipologie dismesse deicosiddetti “percorsi integrati e misti”6, che venivano fi-nanziate dalle Regioni per la parte professionalizzante,realizzata con l’aiuto dei CFP e/o di personale “esterno”.

Perché non puntare su una gestione pubblicanon statale?Queste tipologie erano state abbandonate praticamente intutte le regioni (Tabella 4, colonne 3-7), negli anni pre-cedenti alla messa a regime del settore, a causa della dif-ficile sostenibilità dei percorsi e della disaffezione deglistudenti. Ora, in carenza di risorse, vengono propostenuovamente, riprovando a innestare il contributo deglioperatori dei Cfp sui percorsi in sussidiarietà della scuola.Si cerca di fermare l’emorragia di abbandoni, talvolta uti-lizzando a questo fine i finanziamenti delle Regioni per le“azioni di accompagnamento”. Questo fenomeno di in-debolimento della memoria storica interessa, a macchia diLeopardo, sia Nord che Centro e Sud7. Non si tiene conto,tuttavia, che l’offerta sussidiaria è ancora soggetta a unalogica disciplinarista e non garantisce la valenza profes-sionale necessaria per il lavoro8, almeno fino a quandonon si opterà decisamente per l’autonomia reale delleIstituzioni scolastiche, come hanno fatto con successo, adesempio, gli Inglesi con le loro Academies. Intanto, il no-stro modello di istruzione professionale, ancora “napo-leonico” per centralismo, stenta a reggere al cambia-mento quando i suoi docenti, in media i più anzianid’Europa, sono stati formati e valutati sulle discipline.

È, dunque, lecita la domanda: risulta conveniente per lacollettività orientarsi ancora a mantenere una gestione di-retta della IeFP da parte dell’Amministrazione centrale,

Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV20

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Tabella 3 - Tasso di tenuta dei corsi IPS nel primo triennio, anno 2015

Fonte: elaborazione su dati Miur e delle Amministrazioni regionali eP.A.(*) escluso iscritti in sussidiarietà complementare

6. I percorsi integrati e misti sono percorsi con docenti provenienti dalle Istitu-zioni scolastiche per le competenze di base e docenti dei CFP per le competenzeprofessionalizzanti non coperte dalla scuola. Le azioni integrate riguardano leazioni di sistema. 7. Ad esempio, in Piemonte, dove sono presenti in alcuni Istituti scolastici dueanni integrati con i CFP, che conducono a un terzo anno nelle Istituzioni for-mative (tipologia che sarà abbandonata nell’a.f. 2017/18); in Umbria, dove nel-l’a.s. 2014/2015 sono segnalati alcuni progetti destinati agli allievi degli IPS,iscritti al 1° anno dei percorsi in regime di sussidiarietà integrativa, caratteriz-zati da un’integrazione con la formazione professionale da effettuare nell’ambitodella quota di flessibilità scolastica e pagati con il FSE; in Basilicata, dove finoall’avvento della nuova Agenzia unica LAB le Agenzie provinciali, in supportoalle scuole per i percorsi in sussidiarietà integrativa, ne gestivano la parte am-ministrativa e organizzativa e, inoltre, realizzavano un monte ore triennale di 198ore (orientamento in ingresso, formazione d’aula tecnico specialistica relativa alprofilo e tirocinio); in Sardegna, dove fino al 2015/16 alcuni Istituti professio-nali di Stato, in sussidiarietà, venivano ulteriormente finanziati per attivare le ri-sorse necessarie ai nuovi percorsi con un costo di 83 euro ora/corso.8. Cfr. Convegno Treellle “Accendere i fari sull’Istruzione e Formazione pro-fessionale” Torino, 23 giugno 2016: “L’offerta in sussidiarietà per la qualificatriennale di IeFP offerta dalle scuole statali (IP) non garantisce la valenza pro-fessionale necessaria per il lavoro” (slides).

Iscritti I anno(a.s. 2011/12)

Iscritti IV anno (*)(a.s. 2014/15)

Dispersione Tenuta

Piemonte 8.645 6.335 -26,7 73,3Lombardia 13.603 12.704 -6,6 93,4Liguria 3.121 2.203 -29,4 70,6Veneto 9.395 8.241 -12,3 87,7Friuli Vg 1.770 1.622 -8,4 91,6Emilia R. 10.847 7.349 -32,2 67,8Toscana 8.247 5.945 -27,9 72,1Umbria 1.676 1.283 -23,4 76,6Marche 3.774 2.749 -27,2 72,8Lazio 9.351 7.866 -15,9 84,1Abruzzo 2.211 1.571 -28,9 71,1Molise 5.67 444 -21,7 78,3Campania 19.437 11.414 -41,3 58,7Puglia 12.818 8.692 -32,2 67,8Basilicata 1.800 1.315 -26,9 73,1Calabria 5.343 3.681 -31,1 68,9Sicilia 14.722 8.737 -40,7 59,3Sardegna 4.105 2.319 -43,5 56,5Nord 47.381 38.454 -18,8 81,2Centro 23.048 17.843 -22,6 77,4Sud 61.003 38.173 -37,4 62,6Totale 131.432 94.470 -28,1 71,9

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 21

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Tabella 4 - Modalità attuative dei percorsi di IFP segnalate dalle Regioni

Fonte: Amministrazioni regionaliLegenda: Nelle caselle grigie si riporta l’anno nel quale la tipologia è stata estinta (1° anno nel quale i percorsi non sono più attivati al 1°anno), in quelle bianche è contenuta l’indicazione del 1°anno di avvio della tipologia.

Tipologie Percorsi con riferimento al repertorio nazionale dell’offerta IFP

Modalità attuative 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 *

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Piemonte 2011/12 2008/9 2011/12 2017/18 2004/5 2011/12 2011/12

Valle d’Aosta 2016/17 2011/12 2007/8 2010/11 2007/8 2010/11 2010/11

Lombardia 2004/5 2006/7 2004/5 2005/6

Liguria 2003/4 2007/8 2010/11 2011/12 2014/15 2010/11

P. A. Bolzano ante ‘03 ante ‘03 2014/15

P. A. Trento ante ‘03 2002/3 2014/15

Veneto 2011/12 2011/12 2013/14

Friuli V. Giulia 2011/12 2010/11 2010/11 2011/12 2011/12 2012/13

Emilia-Romagna 2005/6 2010/11 2010/11 2011/12

Toscana 2009/10 2007/08 2007/8 2007/8 2012/13 2011/12

Umbria 2011/12 2013/14 2008/9 2014/15 2011/12

Marche 2010/11 2010/11 2010/11 2010/11

Lazio 2002/3 2015/16 2011/12

Abruzzo 2003/4 2010/11 2008/09 2008/9 2011/12

Molise 2006/7 2004/5 2007/8 2011/12 2014/15

Campania 2015/16 2004/5 2008/9 2011/12

Puglia 2011/12 2006/7 2010/11 2011/12 2016/17

Basilicata 2011/12 2011/12

Calabria 2005/6 2011/12 2014/15

Sicilia 2003/4 2008/9 2012/13 2011/12 2011/12

Sardegna 2016/17 2016/17 2010/11 2011/12 2016/17 2011/12

sto che tutti già paghiamo, e pagheremo ancora di piùquando ci accorgeremo di dover formare al lavoro la fa-scia più giovane della popolazione immigrata.

Giacomo ZagardoISFOL

9. Cfr. Salerno Giulio M., Zagardo G., I costi della IeFP: un’analisi comparatatra istituzioni formative regionali e istituzioni scolastiche statali, Roma, ISFOL,2015 (ISFOL Research Paper, 23).

oppure sarà opportuno sostenere un prudente allarga-mento del più inclusivo ed economico9 pubblico non sta-tale? Inoltre, è giusto lasciare il Meridione solo nellacomplessa gestione della IeFP, oppure l’attenzione pere-quativa dello Stato va indirizzata, nel Sud del Paese, alsupporto tecnico della debole seconda gamba del sistema,in una collaborazione che faciliti gli scambi a partiredalle migliori pratiche di monitoraggio e di controllo? Unasola cosa è certa: sono ancora troppi quelli che ritengonoche l’esperienza dell’Inghilterra e di altri Paesi in mate-ria di allargamento della public education da noi nonvalga. Disattenzioni e dimenticanze, però, hanno un co-

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV22

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Da troppo tempo quando parliamo di scuola – a tuttii livelli – ci preoccupiamo esclusivamente degliaspetti organizzativi e non affrontiamo mai dav-

vero il problema dei problemi: come fare scuola? Cometrasmettere i contenuti delle diverse discipline?Non ce ne preoccupiamo seriamente né a livello di ri-flessione propedeutica all’emanazione di leggi e norma-tive varie né a livello di preparazione dei futuri docenti,tranne qualche tentativo più o meno nobile, avvenutoprima nelle defunte SSIS e praticato forse ancora in qual-che TFA.Le rare volte che qualcuno lo fa, spesso si ha la sensa-zione – almeno questa è la mia impressione – che si vo-glia sempre ripartire da zero, senza avere l’indispensabileumiltà di guardarsi indietro, di meditare sulla storia del-l’educazione: per questo credo che una riflessione sullacultura greca in generale – quella che più di tutte è in-centrata sul concetto di “paideia” – e sull’insegnamentodi Aristotele in particolare possa risultare di notevole uti-lità.

Aristotele maestro di coloro che vogliono saperePiù che «maestro di color che sanno» (Dante, Inf, IV,131)Aristotele fu e resta maestro di coloro che vogliono sa-pere o, meglio, imparare. Attorno al 335 a.C. Aristotele sitrasferì ad Atene e vi fondò il suo Liceo – nome destinatoad avere straordinaria fortuna, in onore di Apollo Liceo –o Peripato, da περίπατος, “passeggiata”. Così, infatti, fa-ceva lezione: passeggiando e discutendo coi suoi allievi,in giardino e sotto un porticato. Scuola all’aperto, co-m’era possibile nel favorevole clima greco. E lezioni inmovimento, niente di statico, nessun posto fisso come oranelle nostre chiuse aule con cattedra e banchi: arredi dav-vero anacronistici nel Duemila.Prima di provvedere alle LIM e a svariati ausili informa-

tici – a proposito: da qualche tempo cominciano a suo-nare campanelli d’allarme sui danni che la “bulimia in-formatica” può arrecare all’istruzione (si veda B.Vertecchi, Alfabeto a rischio e M. Spitzer, Demenza di-gitale): ci sarà qualcuno che a livello politico/decisionaleci rifletterà sopra? –, bisognerebbe pensare a quantostanno scomodi docenti e insegnanti su sedie a volte lil-lipuziane e in aule squallidissime… certo che prima bi-sognerebbe avere scuole sicure, ma questo è un altrodiscorso, meglio tornare ad Aristotele.Secondo Diogene Laerzio, soltanto quando aumentò con-siderevolmente il numero dei suoi discepoli, Aristotele fucostretto a stare seduto. Invece, come perfetto esempiodei tanti travisamenti posteriori del pensiero aristotelico,il filosofo che amava passeggiare viene visto da Dante«sedere tra filosofica famiglia» (Dante, Inf. IV, 132)!Sappiamo anche come Aristotele strutturava la sua atti-vità didattica: voleva che ciascun alunno per dieci giornifosse a capo della scuola; maestro e discepoli mangia-vano assieme; la mattina le lezioni erano riservate aglistudenti, al pomeriggio e alla sera, invece, erano aperte alpubblico e si trasformavano in conferenze.Da privato precettore di Alessandro a divulgatore dellacultura, Aristotele applica alcune strategie didattiche mo-dernissime: la rotazione dei ruoli maestro-alunno; la col-laborazione tra studenti, il lavoro di gruppo e lasupervisione del docente; la scuola come centro di cul-tura (di produzione e di trasmissione della cultura) apertoal territorio, nel convincimento che si impara a ogni etàdell’esistenza.Insomma: peer education, cooperative learning, flippedclassroom, LLP (cioè Lifelong Learning Programme,programma di apprendimento permanente): tutto ciò cheoggi sembra rivoluzionare la didattica tradizionale – e chedobbiamo sempre, chissà perché, esprimere con degli an-glismi – era già stato applicato, e con ottimi risultati, pro-

Le lezioni del Peripato, un modelloper la didattica di oggi? Stefano Casarino

RISCOPRIRE L’ANTICO INSEGNAMENTO DI ARISTOTELE PERMETTE DI COGLIERE UTILI SUGGERIMENTI

ANCHE PER LA SCUOLA DI OGGI, SU MOLTI TEMI ALL’ORDINE DEL GIORNO: DAL RAPPORTO MAESTRO-ALLIEVO ALLE PIÙ MODERNE METODOLOGIE DIDATTICHE.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 23

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

prio da colui che la tradizione ha fossilizzato, del tuttoingiustamente, nell’immagine del Maestro “tiranno”,sulle cui parole si doveva addirittura giurare. Aristotele voleva alunni critici – li vogliamo così anchenoi oggi, o preferiamo degli esecutori, certamente più fa-cili da gestire? –, coi quali discutere e condividere ricer-che, coinvolgendoli in un costante interscambio di ruoli,rendendo dinamico ed entusiasmante il processo di inse-gnamento/apprendimento.

L’insegnamento di AristoteleMa poiché, ieri come oggi, non basta l’adozione di me-todologie “nuove” se manca la personalità del docente –credibile e autorevole per i suoi alunni nella misura in cuiè egli stesso intellettualmente curioso, appassionato delsapere e interessato a loro –, è importante anche rifletteresul carattere di Aristotele, come emerge dai «detti bellis-simi» riferiti da Diogene Laerzio.

Ne cito solo alcuni:Era solito dire continuamente sia agli amici sia a coloro che lofrequentavano, in qualsiasi tempo e luogo si trovasse a conver-sare, che la vista riceve la luce dall’aria che ci circonda, l’animadalla scienza. […] Diceva che dell’educazione le radici sonoamare, il frutto è dolce. […] Gli fu domandato quanto differi-scano gli uomini colti dagli incolti e la sua risposta fu: «Tanto,quanto i vivi dai morti». […] Gli fu domandato qual vantaggiomai avesse tratto dalla filosofia e rispose così: «Il fare senza chemi sia ordinato ciò che alcuni fanno per paura delle leggi».

La scienza – cioè, la conoscenza – come «luce del-l’anima»; la consapevolezza della fatica che comporta al-l’inizio ogni processo educativo ma, anche e soprattutto,la gioia del “raccolto” che si ottiene alla fine – quanto ciòdovrebbe essere oggi oggetto di riflessione, in questitempi di “garanzia del successo formativo”, di “nientecompiti durante le vacanze”, di “apprendimento senzasforzo” ecc. –; la cultura come unica, rimarchevole dif-ferenza tra il vivo e il morto, tra chi si rende conto di esi-stere e chi è inerte, passivo; infine, la filosofia come“legge interiore”, come moralità imprescindibile.Tutti concetti sui quali corriamo il rischio di far scenderel’oblio, confondendo troppo spesso la scuola con tutt’al-tro, la conoscenza con l’informazione e l’insegnamentocon l’addestramento.Fu una “buona scuola”, quella di Aristotele, almeno neitempi a lui più vicini, proprio per la curiosità intellettualeche la animava, per i risvolti etici che aveva, per lo stiledei rapporti instaurati tra docente e discenti: tutti elementiessenziali che noi stiamo perdendo, anzi forse già ab-biamo perso.Solo a causa dei travisamenti della Scolastica e della trat-tatistica cinquecentesca Aristotele da promotore di cul-tura e magnifico didatta divenne il filosofo dell’ipse dixit.Oggi, fortunatamente, viviamo in un tempo di piena ri-valutazione della sua metodologia di ricerca e del suo in-segnamento: così sta avvenendo per la biologia (ArmandMarie Leroi esalta Aristotele definendolo addirittura “ilfilosofo che inventò la scienza”) e per la fisica (Carlo Ro-velli apprezza molto la sua “chiarezza concettuale” e lasua “attenzione alla varietà della natura”). Così dovrebbeavvenire anche per la sua didattica: anche qui, ritornaread Aristotele vorrebbe dire riscoprire la serietà e il piaceredi studiare, rivendicando davvero la centralità dello stu-dente e dell’insegnante, i veri “attori” della scuola di oggie di sempre.

Stefano CasarinoPresidente dell’Associazione Italiana Cultura Classica di Cuneo

Docente, liceo “Vasco-Beccaria-Govone” di Mondovì

Luca della Robbia, La Filosofia (Platone e Aristotele).Campanile di Giotto, Firenze.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Un percorso di ESS richiede una pianificazioneattenta e coordinata fra più attori, dovendo essorispondere a criteri di qualità, che vanno dall’ef-

fettivo coinvolgimento degli studenti in azioni concrete,al costruire in essi un nuovo bagaglio cognitivo e com-portamentale, fino alla verifica adeguata degli esiti delpercorso. Quest’ultimo atto è non solo fondante per il con-trollo dei risultati, per la valorizzazione dell’esperienza,per il consolidamento di rapporti di collaborazione fra imembri di una stessa comunità di pratica, ma si rivela an-che potente strumento per sviluppare quelle capacità chesono alla base di comportamenti sempre più consape-voli.Al termine del Decennio per l’Educazione allo SviluppoSostenibile (DESS), appare dunque necessario focalizzarel’attenzione non solo sulla realizzazione delle molte espe-rienze realizzate, ma anche sulla valutazione dei risultatidi questa azione e di ogni atto educativo che abbia glistessi obiettivi. Ciò, non solo per sostanziare gli effetti diquesti interventi, ma anche perché la società e la politicarichiedono queste informazioni per sostenere e deliberareinvestimenti futuri1. Inoltre, è indubbio che il lavoro finorasvolto non abbia prodotto i risultati sostanziali che si po-tevano auspicare2.L’ESS coinvolge una varietà di discipline, le rispettivemetodologie didattiche e i contenuti caratterizzanti i variinsegnamenti. Questi diversi elementi forniscono contri-buti per il potenziamento delle conoscenze e dei processicognitivi nell’ottica della sostenibilità, ma anche oppor-tunità per trasformare atteggiamenti e comportamenti e ri-flettere sui valori sottostanti a essi3.Valutare i diversi fattori implicati richiede la struttura-zione di un piano di valutazione articolato e strumentispecifici.

Una ricerca valutativaIn quest’ottica è stata avviato in Piemonte uno studiovolto a monitorare gli esiti di esperienze di ESS4. Sonostate infatti esaminate quattro scuole dell’istruzione se-condaria di secondo grado della provincia di Torino, par-tecipanti a un progetto europeo5, per un totale di noveclassi (circa 150 allievi). I gruppi sono stati selezionatipoiché rappresentavano tre frequenti tipologie di percorsisul tema dello sviluppo sostenibile. Nella prima tipologia,l’idea di sviluppo sostenibile, già presente nella pro-grammazione delle materie caratterizzanti il percorso distudi, è stata sviluppata attraverso approfondimenti spe-cifici e lectio magistralis. Una delle scuole che ha sceltoquesta modalità di intervento ha contemplato fra le atti-vità anche pratiche di storytelling, costruite col contributodi più discipline. Esse sono sfociate in un’esposizione deilavori prodotti, presso l’istituto.Una seconda tipologia di intervento si è articolata in-torno all’idea di sviluppo sostenibile come argomentoconnesso a contenuti disciplinari, in particolare a quelli discienze naturali.

La valutazione di percorsi di Educazione allo SviluppoSostenibile (ESS)Matilde Mundula

GLI ESITI DEL MONITORAGGIO DI UN PERCORSO DI ESS, ATTUATO IN NOVE CLASSI DELLA SCUOLA

SECONDARIA DI SECONDO GRADO COINVOLTE IN UN PROGETTO EUROPEO.

1. K.V. Sarabhai, ESD for Sustainable Development Goals (SDGs), «Journal ofEducation for Sustainable Development», IX, 2 (2015), pp. 121-123.2. M. Mayer, Dieci anni di educazione allo sviluppo sostenibile. Quale bilancio?,«Eco», 200-201 (2014), pp. 12-16; W. Sachs - M. Morosini (a cura di), Futurosostenibile. Le risposte eco-sociali alle crisi in Europa, Edizioni Ambiente, Mi-lano 2011, p. 38.3. C. Coggi - P. Ricchiardi, L’EDD-SI: una sfida per gli insegnanti europei inC. Coggi - P. Ricchiardi (a cura di), Educare allo sviluppo sostenibile alla soli-darietà internazionale, Pensa MultiMedia, Lecce 2014, pp. 47-76.4. Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.5. Esse si sono svolte nell’ambito del progetto europeo REDDSO (2013-2015),nell’ambito di Europe Aid - Régions pour l’Education au Développement Du-rable et Solidaire promosso in Italia dalla Regione Piemonte e dal Consorziodelle Organizzazioni Non Governative (COP) piemontesi. Capofila è stata la Re-gione Rhône-Alpes (Francia) e vi hanno altresì partecipato la Regione Catalo-gna (Spagna) e la Regione Malopolska (Polonia).

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 25

PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

La terza tipologia di progetto è stata caratterizzata dal-l’idea di sviluppo sostenibile come connettivo di molte-plici iniziative, a partire da una programmazione checomprendeva questo tema e da un patrimonio di parteci-pazione della scuola a precedenti progetti, anche di coo-perazione internazionale.

Strumenti multifattoriali per valutare glieffetti di un intervento in ESSAll’interno di questo quadro la ricerca qui presentata hainteso affiancare, alla parte progettuale e di realizzazione,momenti di verifica dell’efficacia del percorso utiliz-zando un metodo quanti-qualitativo. Esso ha identificatouna o più modalità adatte allo scopo, dopo aver descrittocon chiarezza gli obiettivi, sia dal punto di vista concet-tuale, sia nei termini della performance che al discente erachiesto di soddisfare6. Gli strumenti utilizzati sono stati i seguenti: un test semi-strutturato (somministrato all’inizio e alla fine del la-voro) attraverso cui misurare l’effetto del cambiamentodovuto all’intervento negli studenti; un’intervista semi-strutturata di gruppo, che aveva come obiettivo aggiun-gere informazioni sulla quotidianità, indagata nella di-mensione di avvicinamento personale a comportamenti“sostenibili”; la verbalizzazione di alcune discussionisvoltesi durante attività laboratoriali realizzate insieme aesperti, avente come fine il raccogliere dati utili per rile-vare gli atteggiamenti verso alcune situazioni-problema;da ultimo si è voluto rilevare l’effettivo impegno degli stu-denti in attività concrete di sensibilizzazione sul tema7.In specifico, il test semi-strutturato conteneva prove au-tentiche, connesse alle quattro dimensioni ambientale,sociale, economica e istituzionale dello sviluppo sosteni-bile, introdotte fin dal conosciuto Rapporto Brundtlanddel 19878. La dimensione “istituzionale”, non sempre“interna” ai percorsi educativi di ESS, è stata tenuta inconsiderazione non solo perché attori istituzionali hannopartecipato alle attività (non limitandosi a offrire oppor-tunità di finanziamento), ma anche perché si ritiene chela scuola debba avvicinare gli studenti alle istituzioni, ren-dendoli consapevoli di qual è il ruolo di queste nella so-cietà.Attraverso le prestazioni degli studenti nella prova sisono valutati le conoscenze e i processi cognitivi (la com-prensione, il ragionamento, la creatività, il senso critico9).Si è altresì proceduto a prendere in considerazione gli at-teggiamenti e le condotte. Inoltre si è agito assegnando unpunteggio alle posizioni rilevate rispetto all’ambito dei va-lori10, rifacendosi a quella letteratura scientifica che con-sidera possibile quella misurazione se la definizione diessi è ben specificata, condivisa, contestualizzata11 e la

questione posta è strutturata senza omettere alcuna di-mensione del problema. Sono stati pure predisposti quesiti adatti a indagare i pro-cessi metacognitivi.Il test comprendeva diverse tipologie di esercizi: questionilegate alla consapevolezza delle proprie scelte quotidiane,problemi autentici, scale Likert per raccogliere reazionipersonali rispetto ad affermazioni date, quesiti Vero-Falso, richieste di esprimere scelte proprie di fronte a si-tuazioni contestualizzate, situazioni-stimolo per coglieregli atteggiamenti. Conteneva inoltre domande per inda-gare quando e come gli studenti pensassero di aver ac-quisito gli strumenti cognitivi e i valori utilizzati perorientarsi nel capire questioni di sostenibilità, misurarsicon esse e prendere eventualmente una posizione (pro-cessi metacognitivi).Di seguito si presentano a titolo esemplificativo tre degliitem proposti.

Il cosiddetto “zaino ecologico”12 misura in chili il carico di Na-tura che ogni prodotto o servizio si porta sulle spalle e si calcolasottraendo, dal peso dei materiali utilizzati per realizzarlo, il pesodel prodotto stesso.

6. A. Notti, Origine e sviluppo della Docimologia, in C. Coggi - A. Notti, Do-cimologia, Pensa MultiMedia, Lecce 2002, p. 30.7. Nel caso della classe che ha lavorato con attività di storytelling sono stati an-che costruiti strumenti per la valutazione del materiale visuale, qui non trattati.8. Il Rapporto Brundtland è redatto nel 1987 dalla Commissione mondiale sul-l’ambiente e lo sviluppo, alla quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Uniteha chiesto di produrre una Global agenda for change, con cui proporre strate-gie per raggiungere uno sviluppo sostenibile entro l’anno 2000, basate su una vi-sione condivisa dai vari attori e che tenga in considerazione le interrelazioni frapopolazione, risorse, ambiente e sviluppo. È il primo documento in cui vieneusato il termine “sviluppo sostenibile”. World Commission on Environment andDevelopment, Report of the World Commission on Environment and Develop-ment: Our Common Future, Oxford University Press, London 1987, pp. 260-263.Disponibile online all’indirizzo http://www.un-documents.net/our-common-fu-ture.pdf ultima visita maggio 2016.9. È stato utilizzato il modello teorico che ha integrato la teoria di J.P. Guilfordcon gli orientamenti della ricerca più recente, dovuto ad Anderson e Krathwohle all’elaborazione di essi da parte di Coggi e Ricchiardi. L.W Anderson - D.R.Krathwohl (a cura di), A Taxonomy for learning, teaching, and assessing, Abrid-ged Edition, New York U.S. 2001; C. Coggi - P. Ricchiardi, Il Fenix: un progettonella scuola dell’infanzia e primaria per contrastare gli effetti della deprivazionesocio-culturale, «Journal of Educational, Cultural and Psychological Studies»(ECPS Journal), 1 (2010), p. 62.10. Valori etici, valori estetici, valori ecologici, valori economici e valori poli-tici hanno influenza nel determinare i comportamenti, e i diversi insegnamentiprevisti dal piano di studi della secondaria di secondo grado offrono la possibi-lità di una riflessione puntuale su essi, approfondendo la dimensione educativadi un percorso.11. G. Burford et al., Bringing the “Missing Pillar” into Sustainable Develop-ment Goals: Towards Intersubjective Values-Based Indicators, «Sustainabil-ity», 5 (2013), pp. 3035-3059. Per un’approfondita riflessione sul tema, si vedaanche J. de Leo, Quality Education for Sustainable Development, Unesco-Ap-nieve Australia, Adelaide, Australia 2012. 12. http://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/il_wwf_per_una_cultura_della_so-stenibilita/perche_e_importante2/gli_indicatori_di_sostenibilita_/ ultima visitamaggio 2016.

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a) Prova a elencare almeno 5 componenti dello zaino ecologicodi un prodotto dolciario industriale al cioccolato.

Contesto valutativo: consapevolezza rispetto alle proprie sceltequotidiane.

Obiettivo specifico della valutazione: comprensione, ragio-namento.

L’impronta idrica di un telefonino è circa 910 litri per ogni di-spositivo messo in vendita. Ma – per contro – senza rinunciarea esso è possibile fare qualcosa per bilanciare questo costo ini-ziale.a) Prova a indicare almeno una ragione per cui questa afferma-

zione è vera.b) L’azione che hai proposto, potrebbe essere applicabile anche

nei paesi poveri? Giustifica la tua risposta.

Contesto valutativo: consapevolezza rispetto alle proprie sceltequotidiane.

Obiettivo specifico della valutazione: ragionamento, creatività,senso critico.

Ti piace molto un certo frutto, ma ti hanno detto che nei terri-tori di coltivazione più usuali (paesi in via di sviluppo) i lavo-ratori sono sfruttati e l’uso di pesticidi rende questo cibo menosano e inquina le falde acquifere locali.a) Cosa fai? Scegli fra una sola delle possibili azioni che vedi

elencate: Rinuncio a mangiarlo/ Lo mangio raramente, cosìriduco il mio impatto/ Cerco sul frutto il logo di produttori chelimitano l’uso dei prodotti chimici, anche se non ho garanziesul trattamento dei lavoratori. Se non altro, essi lo faranno inambiente meno contaminato/ (…).

b) Quali conoscenze e/o quali esperienze (scolastiche, personali)ti hanno condotto alla scelta?

Contesto valutativo: scelte di fronte a situazioni contestualiz-zate/ Processi metacognitivi.

Obiettivo specifico della valutazione: condotte, valori, meta-cognizione.

La prova semi-strutturata si è mostrata uno strumento ef-ficace per rilevare i cambiamenti ex post in tutte le tipo-logie di intervento esaminate e può essere considerata unvalido mezzo di valutazione degli esiti quando non siapossibile procedere a verifiche di varia tipologia.

Risultati della ricerca riguardanti gli studentiDai risultati dell’analisi emerge come in tutti i gruppi spe-rimentali l’intervento abbia accresciuto le conoscenze. In-vece i percorsi educativi nei quali è stata privilegiata unamodalità di lavoro più tradizionale (approfondimenti inclasse, lectio magistralis) si rivelano meno efficaci nel po-tenziare i processi cognitivi rispetto a quelli impostati sumolteplici attività. Si veda a esempio la rappresentazionegrafica seguente, basata sul calcolo dell’effect size (misuradegli effetti dell’intervento) attraverso il d di Cohen, nella

quale sono comparate una classe sperimentale (che seguel’attività di ESS) e una di controllo (che non riceve in-tervento specifico), utilizzando i risultati della provasemi-strutturata. Nelle figure 1 e 2 sono rappresentate duefra le classi cui è stata somministrato un intervento mul-tifattoriale. La classe in cui si sono rilevati i maggioricambiamenti marca un d = 1,3913 (fig. 1). La classe in cuii cambiamenti sono stati più limitati rimanda a un d = 0,67(fig. 2).In figura 3 (fig. 3) è rappresentata invece la classe impe-gnata in un percorso più tradizionale, per la quale si è cal-colato un d = - 0,4914. Le curve descrivono i cambiamentinei processi cognitivi e metacognitivi, considerati in-sieme. La curva più scura descrive la classe di controlloe quella più chiara la classe sperimentale, che invece lo ri-ceve. Dall’analisi dei dati è risultato inoltre che il cambiamento– anche parziale – nelle conoscenze e nei processi co-gnitivi e metacognitivi supporta quello di atteggiamenti econdotte coerenti con la sostenibilità. Incidere sui valoripare possibile solo nel caso in cui i cambiamenti coin-volgano contemporaneamente tutti i fattori suindicati.In aggiunta si è notato come le attività metacognitivesiano ancora deboli e non costituiscano un supporto ab-bastanza efficace a valorizzare le attività svolte a scuola,nonché a muoversi in modo permanente in direzione diuno sviluppo sostenibile. Infine, anche attraverso l’analisidelle prove che hanno affiancato il test semi-strutturato(interviste, ...), si è rilevato come l’orientamento rispettoai valori, che sottendono la posizione dei ragazzi verso uncomportamento sostenibile, indichi una prevalenza delladimensione “conservazione degli ecosistemi” (Interdi-pendenza Uomo-Natura; Vivere a basso impatto) rispettoa quella della “giustizia sociale” (Bisogni umani primari,Equità intergenerazionale)15.

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

13. I cambiamenti con d ≥ 0,2 indicano un miglioramento minimo; ampio mi-glioramento è indicato da quelli con d ≥ 0,8. Nella scala, lo zero corrisponde alpicco della curva rappresentante la classe di controllo.14. Si faccia attenzione al fatto che il valore negativo del d deriva dal confrontofra la classe sperimentale e quella di controllo. La classe sperimentale ha in-fatti rivelato miglioramenti (non peggioramenti), ma evidentemente limitati.Entrambe le classi hanno lavorato sui temi dell’ESS durante il corso di studi,poiché il loro istituto considera tale prospettiva come rilevante, tuttavia la ti-pologia di intervento scelta per questo approfondimento non si è rivelata es-sere la più adatta a potenziare significativamente le prestazioni della classe spe-rimentale.15. È stata utilizzata la classificazione proposta dal gruppo di lavoro costituitofra la World Conservation Union (IUCN), il Worldwide Fund for Nature (WWF)and il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), visionabile nelsito Unesco Teaching and learning for a sustainable future, all’indirizzohttp://www.unesco.org/education/tlsf/mods/theme_d/mod22.html?panel=2 ul-tima visita maggio 2016

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PROBLEMI PEDAGOGICI E DIDATTICI

Risultati riguardanti gli altri attoriI docenti hanno confermato come pratiche di condivisionefra attori che generalmente non collaborano – né per laprogrammazione, né per la effettiva realizzazione delle le-zioni – abbiano avuto effetti positivi. Ciò sia in termini dicrescita della progettazione interdisciplinare (in alcune re-altà tuttavia ancora limitata), che della progressiva co-struzione di personali competenze progettuali. Tali esitinon potranno che incoraggiare trasformazioni più pro-fonde nelle modalità di lavoro degli insegnanti e dellestesse organizzazioni scolastiche. Per tutte le scuole è peròancora necessario entrare in una dimensione degli inter-venti di ESS che implichi non solo il mantenimento dicondizioni di reiterazione e stabilizzazione di simili espe-rienze, ma produca trasformazioni di tutta la strutturaeducativa così come della persona nel suo complesso16.

La valutazione di percorsi di Educazione allo Sviluppo so-stenibile, necessariamente articolata e condivisa, accantoai vantaggi consueti di tale azione (possibilità di revisionemirata di un percorso, valorizzazione del lavoro, ...), aiutaa saldare i rapporti tra coloro che stanno lavorando sullo

16. L.G. Hargreaves, The whole-school approach to education for sustainabledevelopment: From pilot projects to systemic change, «Policy & Practice: A De-velopment Education Review», VI, Spring, 2008, pp. 69-74. Disponibile onlineall’indirizzo: http://www.developmenteducationreview.com/issue6-perspectives2ultima visita aprile 2016; P. Boyreys et al., L’établissement en démarche de dé-veloppement durable: Une construction collective, Canopé, CRDP de l’Aisne,Francia 2013.

stesso obiettivo e pone le basi per una comunità di praticaibrida, efficace e permanente.Inoltre, se svolta con la dovuta cura, rafforza le capacitàmetacognitive degli adulti e degli studenti nell’ambito delpersonale percorso verso la sostenibilità. A partire da questo presupposto tutti gli attori appartenential settore dell’educazione formale possono costituire unnucleo fondante la trasformazione dell’intera strutturaeducativa in “scuola sostenibile”, sia dal punto di vistadell’organizzazione interna, che da quello della progetta-zione didattica.

Matilde MundulaDottoranda, Università di Torino

Figura 1.

Figura 3.

Figura 2.

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Biology is a scientific discipline still in development and in last years it has been characterisedby many changes.Biology studies everything is connected to life and living organisms, including their structure,function, growth and evolution. Herein we have decided to discuss the up to date topics indifferent biological fields, such as molecular and cellular processes and evolution and theimportant role of nutrition during childhood.In particular, we have discussed cancer stem cells (Caterina La Porta), cell division (ChiaraVasco), new microscopy techniques (Umberto Fascio) and new aspects regarding nutritionand connected pathologies (Silvia Colombo). The aim of these contributions is to give a complete and useful support both to teachers andstudents.The life of each cell is determined by a series of events that constitute the cell cycle. The cellsgenerate other cells that die after a fixed number of divisions. The cell division is importantto reach the optimal size and to replace dead or damaged cells. Moreover, cell division playsan important role in reproduction. Our cells, in fact, can divide or reproduce using twodifferent mechanisms: mitosis or meiosis. Mitosis is the process that allows the growth andrenewal of cells. Meiosis, in contrast is “a love affair” where only gametes are involved.The cell division is a process involved in the development of cancer cells. For years, researcheshave been interested in studying their cell cycle in order to understand where they come fromand how they migrate. Recently, many evidences have shown that cancer cells are highlyheterogeneous and for this reason it is really difficult to study their biological properties andthen to develop effective drugs. In particular, it was shown that a small cell population, the

Frontiere in biologiaa cura di Caterina La Porta

La Biologia è una disciplina tuttora in evoluzione. È la scienza che studia tutto ciò che riguarda lavita e gli organismi viventi, come la loro struttura, la funzione, la crescita e l’evoluzione. Abbiamodeciso di trattare argomenti di per sé non strettamente correlati tra loro ma che considerano i diversiambiti biologici: processi molecolari e cellulari alla base dell’evoluzione, da anni al centro della ri-cerca scientifica, e l’importante ruolo dell’alimentazione durante l’età pediatrica.In particolare, abbiamo raccolto alcuni degli aspetti innovativi e di estrema attualità, come la divi-sione cellulare (Chiara Vasco), le cellule staminali tumorali (Caterina La Porta), le recenti tecnichedi microscopia (Umberto Fascio) e le nuove frontiere dell’alimentazione con particolare riguardoalle patologie nutrizionali legate all’età evolutiva (Silvia Colombo).Lo scopo è proprio di fornire materiale semplice e completo, utile sia per un aggiornamento pro-fessionale sia da utilizzare con gli studenti.La vita di ogni cellula è determinata da una serie di eventi che costituiscono il ciclo cellulare: le cel-lule generano altre cellule che poi si accrescono, si sviluppano, spesso si dividono a loro volta e poimuoiono. La divisione cellulare permette agli organismi di accrescersi e di sostituire le cellule morteo deteriorate; inoltre, è il processo alla base della riproduzione. Le nostre cellule si possono dividere,ovvero riprodurre, in due modi: per mitosi e per meiosi. La mitosi interviene nei processi di accre-scimento e di rinnovamento cellulare di tutti gli organismi, indipendentemente dal tipo di riprodu-zione; la meiosi, “a love affair”, è invece un evento che riguarda solo i gameti, cioè le cellule coin-volte nella riproduzione sessuata. La divisione cellulare è un processo che coinvolge anche le cellule tumorali. Da anni la ricerca sista occupando dello studio del loro ciclo cellulare, di come nascono e di come migrano. Un problemarilevante è che le cellule tumorali non sono tutte uguali, perciò è molto difficile trovare dei bersagli

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Cancer Stem Cells, that share some properties with the common Stem Cell, are able to sustaina cancer.Stem cells are characterized by three main properties: they are able to replicate indefinitely,they are not specialized and they can generate specialized cells. The Stem Cells are thereforean important “supplier” of all new cells. These features make them extremely important andextensively studied. The techniques used to understand the biology of the Stem cells are both traditional, such asmorphological and histological techniques, and innovative ones, such as those based on cellbiology, which allows the isolation of cells from the tissue. Once isolated, they can be studiedfrom the functional gene expression point of view. The use of fluorescent probes in microscopyallowed analysis of biological structures at cellular and sub-cellular levels in situ. However,the most important limitation of these techniques is the performance of the optical system. Arecent improvement is represented by the confocal laser scanning microscope. This instrumentallows to make thin optical sections of sample and a 3D reconstruction.Extremely importat is also to investigate the role of nutrition in connection to serious humanpathologies, such as obesity. In Italy, and in general in Europe and all over the world, thereis an important increase of childhood obesity: a truly pandemic! In that part of population whohas less availability to quality food and/or who has a sedentary lifestyle, there is an increaseof obesity during the childhood. As an important, and quite harmful, consequence, it has beenobserved an incerase of connected pathologies, such as dyslipidaemia, type 2 diabetes, cancerand endocrine disorders. In this frame, it is crucial to teach young children the correctapproach to food in order to prevent obesity.

terapeutici per sviluppare farmaci efficaci. Negli ultimi anni, la ricerca focalizza l’attenzione non sututte le cellule che formano il tumore, ma solo una piccola sotto-popolazione ritenuta in grado di so-stenere la crescita tumorale. Queste cellule sono state definite cellule staminali tumorali per via dellaloro analogia con le cellule staminali ordinarie.Le cellule staminali sono caratterizzate da tre principali proprietà: sono in grado di replicarsi inde-finitamente, non sono specializzate e possono generare cellule specializzate; sono, quindi, i “forni-tori” di tutte le nuove cellule. Queste caratteristiche le rendono di estrema importanza e al centro dimolte ricerche.Per studiare le cellule staminali si utilizzano sia tecniche convenzionali di analisi morfologica e isto-logica sia metodiche più innovative, basate su tecnologie biomolecolari che permettono di isolarele cellule dal tessuto, studiarne il comportamento, seguirne la progenie nel corso del tempo o mo-dificarne l’espressione genica. Molto utilizzata è la microscopia a fluorescenza, un mezzo assai va-lido per l’analisi morfo-funzionale in situ delle strutture biologiche a livelli cellulari e sub-cellulari,ma la limitazione di questa tecnica è dovuta alle prestazioni del sistema ottico. Una evoluzione delmicroscopio a fluorescenza è rappresentato dal microscopio confocale a scansione laser. Questo stru-mento è in grado di mettere a fuoco piani diversi del preparato, realizzando così delle sezioni otti-che sottili di un preparato che non può essere sezionato ulteriormente.Altro argomento di estrema attualità, è l’obesità infantile. L’Italia è al primo posto in Europa per nu-mero di bambini in sovrappeso. L’attuale quadro epidemiologico mostra che la prevalenza di so-vrappeso e obesità nei bambini in età pediatrica è aumentata in tutti i Paesi del mondo: una vera epropria pandemia! Scorrette abitudini alimentari e stili di vita sedentari sono alla base dello sviluppodi obesità in età evolutiva. Quello che preoccupa di questa patologia sono le conseguenze patolo-giche a cui si può andare incontro (dislipidemie, diabete di tipo 2, tumori, problemi endocrini). Unacorretta alimentazione sin dalla giovane età è fondamentale per prevenire e/o curare l’obesità.

Caterina La PortaUniversità di Milano

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV30

STUDI

La meiosi è il processo che porta alla formazione deigameti (o cellule germinali): quello femminile sichiama oocita e quello maschile spermatozoo.

Si tratta di un processo complesso, finemente regolato. Main verità si tratta di un love affair: ogni cromosoma cercail suo omologo, la sua anima gemella, finché non la trovae le si appaia stretto stretto in una danza all’interno del nu-cleo durante la quale avviene addirittura lo scambio di por-zioni di materiale genetico (tramite un processo chiamatocrossing over). E poi, inevitabilmente, la separazione finale.Parrebbe una storia d’amore dall’esito triste ma in realtànon è affatto così. In seguito a questa separazione, i nu-clei raggiungono un numero di cromosomi pari alla metàdi quello iniziale. Questa condizione, chiamata aploidia,è fondamentale affinché l’incontro fra gameti di sesso op-posto porti alla formazione di un’unica cellula, detta zi-gote, che sarà in grado di dare origine a un nuovo orga-nismo diploide, cioè dotato dello stesso numero dicromosomi iniziale, della stessa specie. La meiosi è im-portante nella riproduzione sessuata poiché permette di ot-tenere gameti con patrimonio genetico ricombinato, tuttidiversi tra di loro.Ogni cellula che va in meiosi passa attraverso fasi distinteche interessano da vicino il DNA. All’interno di ognicellula diploide esiste uno specifico corredo cromosomicodefinito 2n, dove n indica un numero di cromosomi spe-cie-specifico. Durante la meiosi, questo corredo cromo-somico viene dapprima duplicato, diventando 4n, e poisuddiviso secondo due divisioni successive dette rispet-tivamente riduzionale ed equazionale, durante gli stadi dimetafase I e metafase II che portano alla formazione di ungamete aploide con corredo cromosomico n. Da ogni cel-lula eucariote diploide si ottengono 4 gameti aploidi.Ma vediamo che cosa accade ai cromosomi durante la me-iosi.

La meiosiAll’interno di ciascun nucleo avviene la duplicazione o re-plicazione del DNA, cioè un processo molecolare cheporta alla formazione di una copia identica del DNA dipartenza a opera di numerosi enzimi. Il processo è quasi

perfetto ed è regolato in maniera molto fine; gli errorisono rari, e la cellula è in grado di riconoscerli e correg-gerli. Una volta duplicato il DNA comincia la vera e pro-pria meiosi I, nella quale i cromosomi cominciano illungo percorso di spiralizzazione per raggiungere la loroforma più compatta. La meiosi I è a sua volta suddivisain diverse fasi tra le quali la profase è la più lunga: que-sta prevede diversi passi che portano ogni cromosoma aritrovare il suo omologo e legarvisi nel processo di si-napsi, per poi scambiare porzioni di materiale genetico.All’interno del nucleo ciascun cromosoma è ora dotato delsuo cromatidio fratello (ovvero ciascuno dei due fila-menti che si originano dalla duplicazione di un cromo-soma durante la divisione meiotica). I due cromatidi sonolegati tra di loro attraverso il centromero che è costituitoda sequenze ripetute di DNA e da un complesso proteicoformato da proteine dette coesine. Nelle fasi di leptotene,zigotene e pachitene della prima profase meiotica ciascuncromosoma cerca il suo omologo, lo avvicina e vi si ap-paia formando un legame proteico, detto complesso si-naptonemale, che terrà uniti i due cromosomi omologhiche potremo ora chiamare bivalenti. Il pachitene è una fasepiuttosto lunga che prevede lo stretto abbraccio tra i duecromosomi omologhi e lo scambio di piccolissime por-zioni di DNA a livello di alcuni punti detti chiasmi attra-verso il crossing over. La ricombinazione genetica così av-venuta permette di ottenere gameti che siano tutti diversitra di loro: questo processo è alla base della diversità traindividuo e individuo all’interno della stessa specie.Al termine di questi eventi, il complesso sinaptonemalecomincia a dissolversi e i cromosomi omologhi a sepa-rarsi: a questo punto della meiosi la cromatina (cioè ilDNA e le proteine ad esso associate) è completamente spi-ralizzata ed i cromosomi perfettamente visibili, la mem-brana nucleare si sta dissolvendo e così anche il nucleolo.Si è inoltre formato il fuso meiotico, al quale i cromosomisi legheranno attraverso il centromero (Figura 1). Durantela Metafase I, i cromosomi omologhi si separano e ilfuso meiotico ne trasporta uno da un lato e uno dall’altro,in modo da portare a termine la prima divisione del DNA,detta riduzionale.

La saga dei gametiMeiosi: a love affairChiara Vasco

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 31

La meiosi II segue subito dopo la meiosi I, senza che visia duplicazione del DNA né crossing over. I cromatidifratelli si posizionano sul piano equatoriale della cellula,il centromero di ogni cromosoma si divide in due e i duecromatidi, ormai separati, migrano verso i poli oppostidella cellula, portando a termine la divisione detta equa-zionale. Infine, nella telofase II, i cromosomi despiraliz-zano e le membrane nucleari si riformano, dando originea 4 cellule figlie con corredo cromosomico aploide.

La meiosi maschile e femminile e la fecondazioneUn particolare da tenere in considerazione è che nei mam-miferi la determinazione del sesso è cromosomica e di-pende dalla presenza di due cromosomi X (XX, fem-mina) o di un cromosoma X e uno Y (XY, maschio). Lapresenza di due cromosomi così diversi nel maschio au-menta notevolmente la complessità degli eventi sopradescritti perché l’omologia di X ed Y è solo parziale e almomento della sinapsi una porzione del cromosoma Xnon trova omologo. Le cellule però sono programmate af-finché questa diversità venga salvaguardata e non rico-nosciuta come un errore.Il processo meiotico avviene sia nelle cellule germinalimaschili sia in quelle femminili, a partire dalla pubertà.Nell’uomo, la produzione di gameti si protrae sino allamorte nel maschio e sino alla menopausa nella donna. Èbene ricordare che, mentre nel maschio vi è sempre la pro-duzione di quattro spermatozoi perfettamente funzionali,nella donna si forma un unico oocita che ha mantenutotutto il citoplasma e di tre globuli polari che non conten-gono altro se non DNA in eccesso. Un’altra importantedifferenza tra meiosi maschile e femminile è quella ri-guardante i tempi di maturazione del gamete: mentre nelmaschio la produzione è continua e procede lungoun’onda detta onda dell’epitelio seminifero, nella fem-mina la produzione di gameti è regolata dal ciclo del-

l’estro ovvero dalla produzione di alcuni ormoni specifici:solitamente nella specie umana ne matura uno per ciclomentre in altri mammiferi questo numero può esseremaggiore. Nel maschio, invece, si producono parecchi mi-lioni di spermatozoi al giorno.I gameti così formati sono ora pronti per dare origine a unpotenziale nuovo individuo quando si incontreranno.Gli spermatozoi maturi sono in grado di risalire le vie ge-nitali femminili dove acquisiscono la loro definitiva ca-pacitazione – ovvero l’abilità di fecondare la cellula uovo– sino a incontrare l’oocita. Un solo spermatozoo sarà ingrado di attaccarsi all’ovulo e, attraverso la reazione acro-somiale, romperne la membrana per penetrarvi, in modoche i due nuclei aploidi possano infine fondersi e dare ori-gine a un embrione diploide.Ed è proprio a questo punto che la divisione cellulare, lamitosi, assume un’importanza fondamentale, perché saràproprio questo processo a dare origine ai miliardi di cel-lule che compongono un organismo adulto.

La mitosiLa mitosi interessa le cellule somatiche dell’organismo ele cellule germinali immature come oogoni e spermato-goni che conservano ancora caratteristiche di staminalitàcome l’autorinnovamento (cioè la capacità di compiere unnumero infinito di divisioni mitotiche senza differen-ziarsi) e la pluripotenza (cioè la capacità di differenziarsi,attraverso successive divisioni mitotiche, in altri tipi cel-lulari). Essa conduce alla formazione di due cellule figlieche contengono lo stesso corredo cromosomico della cel-lula di partenza.Anche la mitosi è divisa in fasi (Figura 2, p. 32) di cuiquella più lunga è l’interfase. In essa tutte le strutture cel-lulari devono essere duplicate in modo che ogni cellula fi-glia possa essere una copia esatta della cellula madre. Laduplicazione del DNA avviene in una fase detta sintesi ofase S ed è accompagnata dalla duplicazione di ciascuncromosoma in due cromatidi. Come già detto preceden-temente i cromatidi in questa fase non sono ancora visi-bili, ma la loro struttura lo diventerà nella successivaprofase che ricalca quella vista per la meiosi: la cromatina(definita come l’insieme di DNA e proteine ad esso as-sociate) spiralizza passando da cromatina dispersa (eu-cromatina) a cromatina organizzata in strutture (etero-cromatina). Al procedere della profase, i cromosomidiventano sempre più corti e compatti, i due cromatidisono perfettamente visibili, e sono uniti per il centromeroe le costrizioni primarie e secondarie. Lentamente i cro-mosomi si accostano alla membrana nucleare e si formail fuso mitotico formato da filamenti di actina. La mem-brana nucleare si dissolve, come anche i nucleoli.

STUDI

Figura 1. Metafase I di oocitadi topo. Nella figura si possonoapprezzare i cromosomicompletamente spiralizzati (inrosso) e le fibre di actina delfuso meiotico (in verde) allequali i cromosomi sonoattaccati attraverso ilcentromero. L’immagine è stataottenuta dopo una reazione diimmunofluorescenza eacquisita al microscopio afluorescenza, ingrandimento100X).

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV32

I cromosomi si dispongono ora sul piano equatorialedella cellula a formare la piastra equatoriale e i centro-meri prendono contatto con le fibre del fuso; i centromerisi dividono e i cromatidi vengono tirati verso i due poliopposti della cellula (anafase). L’ultima fase della mitosi,detta telofase, prevede la ricostruzione dei nuclei figli conla despiralizzazione dei cromosomi, e la formazione dellemembrane nucleari e dei nucleoli. In contemporanea av-viene anche la citodieresi, nella quale i componenti cel-lulari citoplasmatici – come per esempio l’apparato delGolgi e i mitocondri – si separano nelle due cellule figlie:il solco equatoriale lentamente si restringe sino a dare ori-gine a due cellule figlie separate.

Dallo zigote alla blastocisti: l’importanza della mitosiTorniamo a occuparci dei nostri gameti.I pronuclei maschile e femminile si sono finalmente unitiindissolubilmente fino a formare lo zigote. A questo puntoquesto comincerà a dividersi proprio per mitosi portandoalla formazione della blastocisti tramite un processo chia-mato segmentazione, durante il quale le divisioni mitoti-che procedono secondo uno schema geometrico ben pre-ciso: la segmentazione oloblastica rotazionale. La primadivisione mitotica avviene lungo un asse e porta alla for-mazione dello stadio definito due cellule. A loro voltaesse si dividono secondo un asse perpendicolare al prece-dente (ecco che si spiega il termine rotazionale) dando ori-gine alla formazione di uno stadio a quattro cellule. Se-guendo continuamente lo schema geometrico appenadescritto abbiamo la formazione dello stadio di otto cellule.Qui avviene il primo commitment delle cellule che sino adora possono considerarsi identiche tra loro durante una fasedetta compattazione: le cellule (chiamate ora blastomeri),si avvicinano in maniera sensibile mantenendo dei legamimolto stretti tra di loro ma occupando posizioni spaziali se-condo le quali saranno destinate a differenziarsi in una spe-cifica linea cellulare. Dobbiamo ricordare che, fino a ora,tutte queste divisioni sono avvenute in uno spazio moltopiccolo, ovvero all’interno della zona pellucida che rac-

chiudeva l’oocita, e hanno portato all’aumento del numerodi cellule che compone l’embrione senza alterarne la gran-dezza. Il citoplasma di queste cellule infatti si dimezza aogni divisione e le cellule risultanti saranno quindi semprepiù piccole. Lo stadio di otto cellule assume ora un aspettopiù compatto e quello successivo di divisioni mitoticheporta alla formazione della morula, composta di un nu-mero variabile di cellule (da 16 a 32) molto piccole emolto compatte. Questo stadi cellulare deve il nome allasomiglianza del piccolo embrione con una mora formatada piccoli acini saldati strettamente tra di loro. Le successive divisioni portano alla formazione dellablastocisti, l’ultimo stadio embrionale prima che l’em-brione stesso possa impiantarsi nell’utero. Le cellule dellablastocisti cominciano a migrare e a formare una strutturaben distinta: una piccola masserella di cellule, definita in-ner cell mass (ICM), formerà un piccolo bottone com-pletamente attorniato da una larga corona di cellule checostituiscono il trofoectoderma. Questo è un altro momento cruciale per l’embrione: è av-venuta una percepibile differenziazione spaziale e fun-zionale dei blastomeri. Le cellule della inner cell masssono quelle dette embrionali staminali, cioè quelle che sa-ranno in grado di dare origine a tutti i differenti tipi cel-lulari dell’organismo; esse sono definite come cellulestaminali pluripotenti. Le cellule del trofoectoderma in-vece sono quelle che daranno origine a tutti gli annessi ex-tra-embrionali. Il destino dell’embrione è segnato: lo spazio a sua dispo-sizione è ora troppo poco, la membrana pellucida si rompee la blastocisti fuoriesce da quello spazio ormai troppostretto per contenerla (stadio di blastocisti hatching) an-dandosi a impiantare nell’utero materno. Da qui il numerodi divisioni sarà enorme: le cellule si divideranno e si dif-ferenzieranno fino a formare, al termine della gestazione,un individuo adulto.Ma qui comincia un’altra storia.

Chiara VascoFondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta

STUDI

Figura 2. La figura mostra lo sviluppo embrionale pre-impianto di topo dalla formazione dello zigote, circa sei ore dopo lafecondazione, fino alla blastocisti (cinque giorni dopo la fecondazione).

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 33

STUDI

Capire come nascono le cellule tumorali, come cre-scono e migrano è stato un aspetto fondamentaledella ricerca biomedica nel passato ma ancora

oggi è un argomento di grande interesse e oggetto di in-tenso studio. Uno dei principali ostacoli alla sconfitta deltumore è rappresentato dalla sua eterogeneità (Figura 1). Le cellule tumorali non sono infatti tutte uguali e questorende estremamente difficile trovare dei bersagli tera-peutici appropriati se si pensa ad una strategia terapeuticadi popolazione. Inoltre, la difficoltà nel reperire cam-pioni di pazienti ai diversi stadi del tumore rende com-plicato comprenderne nel suo insieme la progressione. In-fatti “nella stragrande maggioranza dei casi” abbiamo adisposizione solo un piccolo frammento che rappresentauna piccola e limitata parte della sua storia. Vi è anche poida considerare la variabilità tra soggetti che spesso fa ladifferenza nella risposta terapeutica.

Le cellule staminali tumorali Negli ultimi anni si è fatta strada l’idea che solo una pic-cola sotto-popolazione dell’insieme delle cellule tumoralisia in grado di sostenere la crescita tumorale. Queste cel-lule sono state definite cellule staminali tumorali (cancerstem cells o CSC) per via della loro analogia con le cel-lule staminali ordinarie. È evidente che per un’efficace te-rapia, nel caso sia corretta la teoria delle cellule staminalitumorali, bisogna indirizzare potenziali farmaci versoquesta sottopopolazione e per poter far questo è necessa-rio caratterizzare le CSC. È così fiorita una letteratura in cui ogni lavoro scientificocercava di convincere la comunità scientifica che stava de-scrivendo il miglior marcatore. Spesso i marcatori sonostati scelti per analogia da quanto espresso da popolazioni

staminali. Inoltre, perché fossero credibili, ci si è affidatialla conferma in vivo verificando se le sottopopolazionifossero in grado di ricapitolare il tumore. È evidente che, al di là della validità della teoria generale,la procedura sperimentale ha dei problemi e dei limiti:inoculando cellule umane in un contenitore vuoto che do-vrebbe essere rappresentato dal topo immunocompro-messo, potrebbe venire a mancare l’ambiente fisiologicoin cui si sviluppa il tumore stesso. Inoltre, nello stesso mo-dello utilizzato potrebbe comunque scatenarsi una, se purdebole, risposta immunitaria alterando la risposta ottenuta. Recenti pubblicazioni hanno evidenziato come, utiliz-zando topi severamente immunocompromessi, anche cel-lule negative per marcatori indicati come marcatori delleCSC erano in grado di ricapitolare il tumore, mettendo indiscussione la teoria delle CSC. Mi sembra evidente chequalunque modello si utilizzi bisogna tenere presente chesi tratta sempre di un modello! Anche se si usano cellulemurine e si utilizzano quindi animali singenici, da una

Biomedicina e fisica nello studio dei tumoriCaterina La Porta

Figura 1. Eterogeneità di una popolazione cellulare. Ognipunto rappresenta una clone cellulare. Come si osserva ci

sono cloni di dimensioni diverse sottintendendo una diversacapacità proliferative Per maggiori dettagli: Baraldi et al.,

“Growth and form of melanoma cell colonies”, in Journal ofStatistical Mechanics, 2013.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV34

parte, si ovvia a questi problemi, ma, dall’altra, le celluletumorali di topo non sempre sono perfettamente sovrap-ponibili alle cellule umane tumorali. Vi è poi un altro aspetto critico che spesso si sottovaluta:come sono scelti i marcatori per isolare le sottopopola-zioni. La biologia è una scienza sperimentale, l’essereumano e in generale l’essere vivente è un essere soggettoa fluttuazioni e cambiamenti e altamente complesso. Dif-ficile quindi pensare che esista un marcatore perfetto.Spesso di questi marcatori non sappiamo la funzione o ilsignificato biologico e la loro scelta è dettata in modo al-quanto arbitrario o per analogia con quanto espresso dallecellule staminali. Più recentemente la storia si è nuovamente complicata. In-fatti, recenti evidenze hanno mostrato come il fenotipodelle CSC nel melanoma e in altri tumori sia un processodinamico. Alla luce di recenti evidenze infatti sembre-rebbe che le CSC, una volta eliminate dalla popolazione,possano ritornare ad essere presenti. È abbastanza intuitivo che un approccio puramente bio-logico ha dei limiti perché l’utilizzo di marcatori è sog-getto ad errori statistici e sperimentali di difficile solu-zione come abbiamo anche noi recentemente discusso1.Non è quindi chiaro se la dinamica delle CSC sia un ef-fetto di un marcatore imperfetto2 o sia dovuto ad un cam-biamento di fenotipo (phenotypic switching).

Una nuova ipotesi di lavoroPer chiarire definitivamente la dinamica delle popola-zioni all’interno delle cellule tumorali in questi ultimi annila ricerca ha intrapreso una strada nuova. Infatti, utiliz-

zando un approccio interdisciplinare che utilizzi metodidi analisi quantitativa e modelli matematici ispirati alla fi-sica statistica unitamente e strettamente a classici biolo-gici strumenti quali la biochimica e la genetica, e quindigrazie a una nuova e più stretta cooperazione tra scienzefisiche e biomedicina si sono aperte nuove prospettive,idee e strumenti. Le discipline fisiche in particolare possosvolgere un ruolo cruciale poiché hanno sviluppato, in-dipendentemente e per scopi diversi, una serie di stru-menti sia teorici che sperimentali per cercare di capire estudiare la dinamica di sistemi eterogenei e complessi.Questi possono essere dei validi strumenti che stannoguidando i biologi sia nel capire la nascita di un tumoreche il suo sviluppo e l’identificazione delle strategie piùadatte a combatterlo. Il grosso problema che va affrontatoda subito nel corso della formazione è la comunicazionetra discipline che hanno aspettative diverse e che sulpiano formale parlano linguaggi diversi. Si tratta quindidi operare una vera rivoluzione. Multidisciplinarietà, se sivuole che funzioni, vuol dire introdurre un nuovo mododi pensare in cui tutte le discipline partecipano alla pari.Quindi una vera e propria rivoluzione culturale. Nelcampo dei tumori un approccio di tipo quantitativo ha mo-strato come le cellule tumorali vanno in senescenza in unmodo che dipende dalla presenza di marcatori caratteri-stici delle CSC3. La senescenza è uno stato della cellulain cui le cellule non proliferano anche se in presenza difattori di crescita. Un altro aspetto che sarà oggetto del prossimo futuro èl’integrazione delle vie metaboliche e la loro regolazioneda parte di piccole molecole di RNA non codificanti chia-mate microRNA. Questi piccoli RNA sono in grado di re-golare RNA messaggeri con i quali interagiscono favo-rendo la loro degradazione. La presenza di un certofenotipo non è quindi determinata esclusivamente dalDNA ma da questo complesso network di microRNA4.

Caterina La PortaUniversità di Milano

STUDI

1. S. Zapperi, C.A.M. La Porta, “Do cancer cells undergo phenotypic switching?The case for imperfect cancer stem cell markers”, in Scientific Reports, II, 441,2012. C.A.M. La Porta, S. Zapperi, “Human breast and melanoma cancer stemcells biomarkers”, in Cancer Letters, 2012.2. S. Zapperi, C.A.M. La Porta, Do cancer cells undergo phenotypic switching?,cit.3. C.A.M. La Porta, S. Zapperi, J.P. “Sethna, Senescent Cells in Growing Tumors:Population Dynamics and Cancer Stem Cells”, in PLOS Computational Biology,8, 2012.4. A. Sellero et al., “Overshoot during phenotypic switching of cancer cell pop-ulations”, in Scientific Reports, (2015).

Molecola microRNA.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 35

STUDI

Le cellule staminali sono molto affascinanti ma,come tutte le cellule, sono sostanzialmente traspa-renti. Per studiarle, i ricercatori hanno inizialmente

utilizzato metodiche tradizionali, ma esse non offrono lagaranzia di legare in modo specifico una particolare mo-lecola. Si pensi, ad esempio, all’ematossilina che si legaal DNA colorandolo con un blu intenso, ma allo stessomodo si lega agli altri tipi di acidi nucleici o a proteineacide. Per questo motivo le cellule staminali si studianoutilizzando sia tecniche classiche di analisi morfologicae istologica sia usufruendo di metodiche più innovative,basate su tecnologie biomolecolari che permettono diisolare le cellule dal tessuto, studiarne il comportamento,seguirne la progenie nel corso del tempo o modificarnel’espressione genica.

Tecniche per identificare le cellule staminaliIn primo luogo occorre localizzarle, capirne la forma e lecaratteristiche molecolari in modo da distinguerle dalle al-tre cellule, progenitori unipotenti o elementi completa-mente maturi.Molto utili a questo scopo sono le tecniche di immunoi-stochimica. Questa metodica è ormai quella prevalentenell’istochimica e sfrutta la capacità che gli anticorpihanno di distinguere differenze anche minime tra un pro-teina e l’altra. Gli anticorpi sono proteine prodotte nor-malmente dagli animali superiori come difesa verso so-stanze estranee che penetrino nell’organismo. Iniettandoin animali la proteina da studiare si inducono i loro lin-fociti a reagire contro questa proteina estranea, l’antigene,e a produrre anticorpi che la riconoscono. Dal sangue diquesti animali è quindi possibile isolare gli anticorpi pro-dotti (anticorpi policlonali) e utilizzarli per localizzarel’antigene nei tessuti che stiamo analizzando. Questa tec-nica è stata ulteriormente sviluppata con la coltura in vi-tro dei linfociti dell’animale immunizzato per ottenere laimmortalizzazione dei singoli cloni linfocitari attivati perprodurre anticorpi. In questo modo è possibile produrre invitro una quantità illimitata di anticorpi estremamentespecifici, gli anticorpi monoclonali.

L’uso di anticorpi (IgG) come strumento di localizza-zione dei rispettivi antigeni è fondato sulla loro alta spe-cificità di combinazione. Tuttavia, le IgG, come la mag-gior parte delle proteine, non possono essere osservatedirettamente e si deve, quindi, ricorrere a sistemi di rile-vazione, che permettano di riconoscere se e dove l’anti-corpo ha individuato il suo bersaglio specifico, l’antigenecorrispondente. Gli anticorpi vengono legati covalente-mente ad una molecola segnale (marcatore) identificabilecon l’osservazione al microscopio.

Il microscopio a fluorescenzaIn immunofluorescenza, i marcatori sono molecole fluo-rescenti, dette fluorocromi. I fluorocromi sono anche essiinvisibili, ma hanno la proprietà di emettere luce visibilese colpite da radiazioni luminose della lunghezza d’ondaopportuna. Vi sono dei fluorocromi eccitabili a lunghezzed’onda nell’ultravioletto (100-400 nm circa) o nel campovisibile dello spettro (400-700 nm circa).Ad esempio, l’eccitazione della fluoresceina isotiocianato(FITC) avviene nella regione della luce blu e la fluore-scenza emessa dal fluorocromo è nella regione del giallo-verde (Figura 1).

Microscopia per l’identificazione di cellule staminaliUmberto Fascio

Figura 1. Schema semplificato di ciò che avviene quando unfluorocromo viene eccitato da una opportuna lunghezzad’onda.

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Il microscopio confocale a scansione laserUna evoluzione del microscopio a fluorescenza è rappre-sentata dal microscopio confocale a scansione laser. Que-sto strumento è in grado di mettere a fuoco piani diversidel preparato, realizzando così delle sezioni ottiche sottilidi un preparato che non può essere sezionato ulterior-mente.La ricostruzione tridimensionale di un campione spesso(ad esempio, cellule in coltura o un tessuto) osservato conun microscopio standard a fluorescenza è un processolento e costoso, che richiede una complessa elaborazionede1l’immagine, eseguita al computer, applicata ad una se-rie di immagini di piani focali diversi. Questo perché, sesi osserva un campione spesso con un microscopio a fluo-rescenza convenzionale, l’immagine ottenuta mettendo afuoco piani diversi è indistinta e sfocata per la presenzadi strutture fluorescenti del campione che si trovano so-pra e sotto il piano del fuoco.Il microscopio confocale a scansione laser permette lamessa a fuoco di un piano selezionato di un campionespesso, rigettando la fluorescenza che proviene dalle re-gioni fuori fuoco sopra e sotto quel piano.Il confocale, quindi, è un microscopio ottico a luce inci-dente, comandato mediante un computer, capace di se-zionare otticamente un campione di un certo spessore erestituire la sua immagine ricostruita sovrapponendo tutteo parte delle sezioni ottiche eseguite. Il campione fluo-rescente, invece di essere tutto illuminato nel solito modo,è illuminato in un singolo punto, a una profondità speci-fica nello spessore del campione, con un punto di luce fo-

Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV36

Con il microscopio a fluorescenza si riesce a eccitareuna molecola fluorescente alla lunghezza d’onda di as-sorbimento adeguata e osservandola attraverso un filtro disbarramento che lasci passare solo la luce della lunghezzad’onda emessa la si vede brillare contro uno sfondo scuro.L’intensità e il colore di tale luminescenza sono caratte-ristici della molecola fluorescente utilizzata, così come lelunghezze d’onda di eccitazione e di emissione. In ognicaso, poiché lo sfondo è scuro, anche una minuscolaquantità di fluorescenza può essere visibile. Ciò costitui-sce un grosso vantaggio rispetto alla microscopia otticaconvenzionale, mediante la quale lo stesso numero dimolecole di un colorante non fluorescente sarebbe prati-camente invisibile, perché darebbe soltanto una debolis-sima sfumatura di colore alla luce trasmessa attraverso laparte colorata del campione.La microscopia a fluorescenza permette di studiare ma-teriali che fluorescono naturalmente (fluorescenza spon-tanea primaria o autofluorescenza) oppure trattati conopportune sostanze chimiche capaci di fluorescere (fluo-rescenza secondaria o indotta). Esempi di componenti bio-logici caratterizzati da fluorescenza spontanea sono laelastina e il collagene, presenti nella matrice extracellu-lare, le porfirine, presenti in alcuni tessuti emopoietici;l’aumento del contenuto di queste ultime in alcune con-dizioni patologiche e il conseguente aumento della ti-pica intensità di fluorescenza può addirittura essere sfrut-tata a scopo diagnostico.Il microscopio a fluorescenza è simile a un normale mi-croscopio ottico, tranne che per due caratteristiche: ilcampione è colpito dalla radiazione di eccitazione dal-l’alto (eccitazione in luce incidente o epi-illumina-zione), invece di essere attraversato da essa; la luce perilluminare il campione, emessa da una sorgente moltopotente, attraversa due insiemi di filtri di sbarramento(filtri barriera): uno per intercettarla prima che rag-giunga il campione e uno per filtrarla dopo che lo ha ab-bandonato. Il primo filtro barriera (filtro di eccitazione)serve a selezionare le lunghezze d’onda idonee a ecci-tare la particolare molecola fluorescente, il secondoserve a bloccare (assorbire) queste lunghezze d’onda,lasciando passare invece quelle emesse per fluorescenza(Figura 2).La microscopia a fluorescenza è un mezzo assai valido perl’analisi morfo-funzionale in situ delle strutture biologi-che a livelli cellulari e sub-cellulari. Le principali limita-zioni di questa tecnica sono intrinseche alle sostanzefluorescenti (ad esempio, decadimento della fluorescenza,specificità) oppure sono dovute alle prestazioni del si-stema ottico o del dispositivo di rivelazione (per esempio,la risoluzione ottica).

STUDI

Figura 2. Schema semplificato del sistema ottico di unmicroscopio a fluorescenza. Il dispositivo filtrante consiste didue filtri di sbarramento e di uno specchio dicroico, filtrospecializzato che riflette efficientemente lunghezze d’onda dieccitazione e lascia passare lunghezze d’onda di emissione.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 37

STUDI

Figura 3. Schema semplificato dell’assetto ottico di unmicroscopio confocale a scansione laser.

calizzato da un minuscolo foro. La fonte di luce sottile,molto potente, è un laser. La fluorescenza emessa dallestrutture illuminate del punto focale e raccolta è messa afuoco in un secondo foro, posto prima del rivelatore,esattamente nel punto che è confocale con il foro di illu-minazione, cioè esattamente dove i raggi emessi dalpunto illuminato sono messi a fuoco. La fluorescenza cheproviene dal punto illuminato del campione convergequindi su questo secondo foro, entra nel rivelatore, è di-gitalizzata e memorizzata dal computer. La fluorescenzaemessa dai fluorocromi situati in regioni fuori dal puntodi fuoco del raggio di luce, cioè che si trovano sopra osotto il punto illuminato, e fuori fuoco a livello del se-condo foro confocale, è in gran parte esclusa dal rivela-tore (Figura 3).Per costruire un’immagine bidimensionale del pianoesatto di fuoco, il laser scansiona il campione punto perpunto nello spazio x, y con un movimento avanti e indie-tro e i dati di ciascun punto del piano di fuoco sono vi-sualizzati su uno schermo video. Acquisendo insiemi diimmagini bidimensionali ottenute spostando il fuoco del-l’obiettivo lungo l’asse z, il confocale produce immaginidi fette sottili del campione, ciascuna delle quali è una se-zione ottica.I programmi per l’elaborazione di immagini non regi-strano solo la luminosità di ciascun punto di ogni se-zione, ma anche la sua localizzazione nel campione, la di-sposizione cioè in un piano (x, y) e sull’asse z. I puntidefiniti dalle tre coordinate, i voxel, costituiscono l’equi-valente tridimensionale dei pixel di un’immagine bidi-mensionale. I programmi di elaborazione di immaginepossono combinare i voxel per produrre ricostruzioni tri-

dimensionali e ruotarle con facilità lungo un asse o ve-derle da una prospettiva favorevole.Un’altra interessante applicazione della microscopia con-focale è data dall’osservazione in vivo di specifiche pro-teine fluorescenti.Questa tecnica si basa sulla proteina fluorescente nelverde, la green fluorescent protein (GFP).La GFP, isolata dalla medusa Aequorea victoria, è unaproteina di 238 amminoacidi che contiene residui di se-rina, di tirosina e di glicina le cui catene laterali reagi-scono spontaneamente l’una con l’altra formando uncromoforo fluorescente che emette una fluorescenzaverde. Il gene della GFP può essere introdotto in cellulein coltura o di un animale e le cellule esprimenti tale geneemetteranno una fluorescenza verde quando verrannoirradiate. Si possono, quindi, mettere in evidenza singoleproteine in singole cellule o addirittura in organismi vi-venti (Figura 4).Come ogni sostanza fluorescente, anche la GFP deveprima essere colpita da una radiazione, con lunghezzad’onda e quindi energia, che permetta ai suoi elettroni dipassare nello stato eccitato; in breve tempo, gli elettroni

Figura 4. Cellula dell’epitelio alveolare di polmone umano in coltura (verde = tubulina; rosso = actina; blu = DNA).

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ritornano nello stato fondamentale e riemettono una ra-diazione, con energia inferiore a quella iniziale. Nel casodella GFP, l’assorbimento ha dei picchi con radiazioni alunghezze d’onda di 395 nm e 475 nm. L’emissione avràun picco massimo intorno a 505 nm. Questo significa chepuò essere utilizzata una radiazione nello spettro visibile(475 nm), di colore blu.

Il successo e l’interesse della proteina fluore-scente si deve anche al fatto che con la mi-croscopia confocale si possono fare delle ri-prese in time-lapse.Con la tecnica cinematografica del rallenty(slow motion), si possono ottenere riprese cheallungano il tempo semplicemente aumen-tando il numero di fotogrammi in modo da su-perare la quantità di immagini che l’occhio re-gistra normalmente. Se viene viceversaacquisita solo una frazione di queste imma-gini, la scena viene accelerata di un fattore cor-rispondente, si ha così una ripresa in time-lapse. Il microscopio confocale diventa così in gradodi registrare automaticamente l’evoluzione difenomeni che si sviluppano in tempi molto piùlunghi di quelli di una normale osservazionemicroscopica. Acquisendo a intervalli regolariimmagini dello stesso campione lungo uncerto numero di ore, si ottiene una sequenzarelativamente fluida del fenomeno studiato esi possono vedere accadere in poche decine disecondi eventi che si svolgono nell’arco diore, come il ciclo cellulare, l’invio di segnalimolecolari tra cellula e cellula, e altri feno-meni della vita cellulare, come motilità, mor-fogenesi, proliferazione e apoptosi. Il risultatodella registrazione è un filmato che può esserevisto e rivisto, bloccato, invertito o addiritturatrasformato in singoli fotogrammi. Con la microscopia confocale si possono cosìidentificare le cellule staminali sfruttando laloro capacità proliferativa rilevando, durantetutto il periodo della divisione cellulare, lapresenza di determinate strutture molecolariattive. L’attività proliferativa è solo uno degliindizi utili per identificare le cellule staminali;un’altra interessante tecnica è basata sul-l’espressione di proteine presenti sulla super-ficie delle cellule. Le cellule così selezionate

possono essere testate in saggi che ne rivelino il com-portamento staminale, trapiantate o studiate sotto il pro-filo dell’espressione genica per capire quali geni sono spe-cificamente attivi nelle cellule staminali.

Umberto Fascio Università di Milano

STUDI

Aequorea victoria.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 39

STUDI

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)definisce l’obesità una condizione clinica ca-ratterizzata da un eccessivo peso corporeo per

accumulo di tessuto adiposo in misura tale da influire ne-gativamente sullo stato di salute. L’obesità rappresentauno dei principali problemi di salute pubblica a livellomondiale sia perché la sua prevalenza è in costante au-mento sia perché è un fattore di rischio per diverse pato-logie croniche, quali diabete di tipo 2, malattie cardiova-scolari, tumori senza dimenticare gli elevati costi sanitari,a carico della collettività, che ne derivano.L’attuale quadro epidemiologico mostra che la preva-lenza di sovrappeso e obesità dei bambini in età pediatricaè aumentata in tutti i Paesi del mondo: una vera e propriapandemia!L’Italia è al primo posto in Europa per numero di bambiniin sovrappeso1: più di un bambino su tre ha un peso mag-giore a quello che dovrebbe avere.

Le cause dell’obesità infantileL’obesità viene classificata in obesità primaria sempliceo essenziale, e obesità secondaria. Nell’obesità primariasemplice vengono coinvolti fattori genetici, alimentari epsico-comportamentali. Nell’obesità secondaria, invece,si fa riferimento a malattie genetiche o riguardanti il si-stema endocrino.I geni giocano un ruolo permissivo e interagiscono coni fattori ambientali promuovendo l’obesità. Esiste unacorrelazione tra il peso alla nascita e l’obesità infantile,indipendentemente dal peso corporeo e dall’indice dimassa corporea (BMI) dei genitori; così come un rapidoincremento ponderale, sia nei primi quattro mesi di vitasia nel corso della prima settimana è associato a un mag-gior rischio di obesità. Un precoce aumento del tessutoadiposo prima dei sei anni predispone a una maggior pro-babilità di accumulare e mantenere grasso in eccessodurante lo sviluppo e in età adulta con problemi meta-bolici correlati.Scorrette abitudini alimentari e stili di vita sedentari sonoalla base dello sviluppo di obesità in età evolutiva.

Tra gli errori nutrizionali (Figura 1) commessi comu-nemente da bambini e adolescenti vi sono: scarso con-sumo di verdura e frutta, eccessivo consumo di alimentialtamente calorici e nello stesso tempo di scarso o addi-

Obesità infantile e ruolodella nutrizione in età evolutivaSilvia Colombo

1. Dati provenienti dal Sistema di sorveglianza nazionale “Okkio alla Salute”,promosso dal ministero della Salute/Centro per il Controllo e la prevenzione delleMalattie (CCM) coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazionecon il ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, le Regioni e leaziende sanitarie locali.

1. I bambini assumono troppe calorie rispetto al lorofabbisogno quotidiano.

2. La ripartizione dell’energia nei diversi pasti non èquella corretta, spesso la prima colazione non èadeguata.

3. Spuntini e merendine sono molto calorici, ma scarsidal punto di vista nutrizionale e spesso ricchi dizuccheri e sale.

4. Il consumo di proteine animali è eccessivo.

5. Il consumo di zuccheri semplici è eccessivo.

6. I bambini mangiano poca frutta e verdura.

7. Spesso manca dalla loro alimentazione il pesce.

8. I bambini mangiano molto spesso fuori casa pastipreparati industrialmente.

9. I bambini mangiano molto spesso davati alla TVriducendo la capacità di controllare consapevolmentela quantità di cibo ingerito.

10. I bambini svolgono troppo poca attività fisica.

Figura 1. I principali errori alimentari dei bambini.

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rittura nullo valore nutrizionale (merendine confezio-nate, snack, junk food), eccessivo consumo di alimentiricchi di zucchero e poco sazianti (bibite gasate, zuc-cherate, dolci).Altro errore commesso da molte persone è la scorretta di-visione dei pasti e la scarsa attenzione poste nel consu-mare la prima colazione: molti bambini e adolescenti, er-roneamente, saltano frequentemente questo pasto oppurefanno una colazione nutrizionalmente non adeguata, dalpunto di vista sia quantitativo sia qualitativo. Le princi-pali cause sono da imputare all’acquisizione di scorretteabitudini di vita, al poco tempo a disposizione, alla man-canza di appetito, alla scarsa attenzione alimentare cheprivilegia un eccessivo apporto energetico, grassi saturi,zuccheri semplici, a scapito di uno scarso apporto di fibre,sali minerali, vitamine.La sedentarietà tra i bambini e gli adolescenti è in conti-nuo aumento e ha già assunto proporzioni preoccupanti.Recenti dati statistici riportano che solamente un bambinosu dieci esegue una costante attività fisica adeguata per lasua età. I bambini obesi sono meno attivi rispetto a quelli

in normopeso sia per quanto riguarda l’attività fisica mo-derata sia per quella spontanea, quotidiana.Molti genitori, soprattutto di bambini in sovrappeso odobesi, sottovalutano il problema, non prestando atten-zione alle quantità di cibo assunte dai propri figli in rap-porto al livello di attività fisica svolta.Gli alimenti, inoltre, possono rappresentare una sorta disfogo, di gratificazione. Il continuo senso di fame e la con-tinua assunzione di grandi quantità di cibo possono ri-scontrarsi in bambini o adolescenti molto ansiosi, chehanno subito traumi e/o situazioni di disagio sociale.

Come contrastare l’obesità infantileL’obesità già in età pediatrica è correlata a numerosecomplicanze mediche e psicosociali (Figura 2). Questapatologia implica problemi alla salute fisica, sociale e psi-cologica del bambino, ma può rappresentare un fattorepredittivo di manifestare obesità in età adulta. Più precoceè l’esordio di tale patologia, tanto maggiori saranno lecomplicanze ed i rischi per la salute sia durante la fase disviluppo che in età adulta.

STUDI

Figura 2. Complicanze correlate all’obesità.

Il bambino obesoIl bambino obeso è caratterizzato da massa grassa in eccesso, sia i valori assoluti sia in percentuale rispetto ai valori normali per l’età, dallastatura superiore alla media, dal viso tondeggiante, dal tronco con diametri aumentati ed addome prominente e dalla circonferenza dellebraccia e delle cosce superiore alla media. Può anche mostrare striature biancastre e rossastre specie sui fianchi e alla radice degli arti.Tutti questi fattori indicano l’abbondanza del tessuto adiposo sottocutaneo e danno l’impressione che testa, mani e piedi sianosproporzionati rispetto al corpo. L’adipe è accumulato soprattutto in sede sottocutanea, ma è la quota viscerale quella che sembra megliocorrelata alla morbilità associata al sovrappeso, specie a lungo termine.

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Una corretta nutrizione in età pediatrica svolge un ruolomolto importante nella prevenzione dello sviluppo di pa-tologie cronico degenerative in età adulta. Un basso con-sumo di verdura e frutta, per esempio, aumenta lo stressossidativo e infiammatorio, influenzando negativamentela funzionalità vascolare con possibili complicanze car-diovascolari e metaboliche, come sindrome metabolica,diabete di tipo 2 e dislipidemie. Per tutto ciò, è di primaria importanza educare i bambinisin da piccoli a seguire un’alimentazione varia ed equili-brata, ben distribuita nell’arco della giornata: cinque pa-sti, di cui tre principali (colazione, pranzo, cena) e duespuntini (metà mattina, metà pomeriggio). La cura dell’obesità del bambino prevede il coinvolgi-mento del nucleo familiare che è determinante per il suc-cesso del programma dietetico e psicologico e in parti-colare per il mantenimento dei risultati.

Quale dieta seguire?Ma come deve essere composta la dieta durante l’etàevolutiva?La colazione è uno dei pasti più importanti della giornataperché normalmente i bambini al risveglio si trovano a di-giuno da otto o più ore, di conseguenza, hanno poca ener-gia, per questo è indispensabile far subito rifornimento perevitare di innescare un vero e proprio circolo vizioso. Chinon mangia al risveglio consumerà un abbondante spun-tino a scuola e poi non avrà fame a pranzo e così via. Unabuona colazione innesca, invece, il circolo virtuoso coneffetti benefici su tutta la giornata.Una colazione equilibrata si basa sull’assunzione di: zuc-cheri complessi, forniti dai cereali da colazione, biscotti,fette biscottate o pane; zuccheri semplici, dati dalla frutta;proteine, fornite dal latte o yogurt. Gli zuccheri com-plessi rilasciano energia lentamente, necessaria quindiper affrontare al meglio la mattinata, per concentrarsi e permemorizzare, quelli semplici, invece, forniscono energiaimmediata, indispensabile per attivare il metabolismo.Le proteine sono necessarie per il corretto accrescimentoe sviluppo di organi e tessuti.Da tre anni in su la composizione della dieta in un bam-bino è simile a quella dell’adulto, in cui l’energia princi-pale deve essere apportata dai carboidrati complessi (55-60%), dalle proteine (10-15%) e dai grassi (25-30%). Glizuccheri semplici non dovrebbero superare il 10%. Fondamentale per la crescita è un giusto apporto di pro-teine, di sali minerali e vitamine.Le proteine svolgono una funzione plastica e di struttura,sono i “mattoni per la crescita”: sono implicate nella for-mazione di nuovi tessuti e organi, nella coagulazione delsangue e nella produzione di ormoni ed enzimi; il fabbi-

sogno proteico giornaliero, per questi motivi, è maggiorenei bambini e adolescenti rispetto che nell’adulto: circa1g/kg di peso corporeo nei bambini di tre anni e 0,9 g/kgdi peso corporeo negli adolescenti.Tutti i sali minerali sono indispensabili per l’età evolutiva,ma in particolare ferro e calcio. Il ferro è indispensabileper prevenire anemia cronica, soprattutto nelle ragazzeadolescenti. Il fabbisogno di ferro, infatti, è maggiorenelle femmine (10/18 mg/die) rispetto ai maschi (10/13mg/die). Altro minerale fondamentale per lo sviluppo e lacrescita è il calcio, necessario per la formazione delle ossae dei denti, per la trasmissione degli impulsi nervosi e mu-scolari e per la prevenzione di manifestare osteoporosi inetà adulta (fabbisogno giornaliero di calcio fino a di-ciotto anni di età è di circa 1200 mg/die).Anche le vitamine possiedono un ruolo essenziale in que-sta fase della vita, soprattutto, la vitamina D, la vitaminaC e le vitamine del complesso B. La vitamina D è neces-saria per la formazione delle ossa ed è implicata nell’as-sorbimento del calcio, è contenuta principalmente inuova, tonno, latte, burro, yogurt, carne di maiale e vitello.La vitamina C svolge un’importante attività antiossi-dante, la troviamo principalmente in frutta e verdura di co-lore giallo-arancione, come arancia, limone, melone, pe-perone. Le vitamine del complesso B sono coinvolte neimetabolismi cellulari e sono presenti in latte, uova, carnerossa, pollo, formaggio, cereali.Importante è, inoltre, l’assunzione di alimenti ad alto po-tere antiossidante, oltre a frutta e verdura, quali pesce, le-gumi e cereali, olio di oliva.Di fondamentale importanza, è il ruolo dei genitori, mo-dello di riferimento dei bambini anche a tavola, capaci dieducare i propri figli a un’alimentazione sana e ben bi-lanciata, già a partire dai primi anni di vita, proponendoloro un’alimentazione adeguata ai fabbisogni nutrizionaligiornalieri e in relazione all’età del bambino. La strategiamigliore è riproporre cibi indesiderati assieme ad altri ali-menti che i bambini mangiano volentieri; la presenta-zione del piatto gioca un ruolo fondamentale nel cercaredi convincere i piccoli a convertirsi alle buone abitudinialimentari: offrire piatti piacevoli alla vista potrebbe es-sere un modo efficace per fargli consumare le poco gra-dite verdure. Per crescere sani e in forma, è importante essere attivi, esvolgere un’adeguata attività fisica, che giornalmente peri più piccoli può essere giocare, camminare o andare in bi-cicletta, mentre per i più grandi può essere integrata conattività organizzate, sport di squadra.

Silvia Colombo Biologo nutrizionista

STUDI

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PERCORSI DIDATTICI

Lo studio della storia, come studio scientifico delpassato umano, non può essere inteso che come co-noscenza razionale di un particolare evento o fatto

umano e non come conoscenza della storia dell’umanitànella sua globalità. La riflessione sulla storia dell’uomonella sua globalità, infatti, non può essere oggetto di unaconoscenza scientifica, giacché avrebbe un oggetto inde-finito, equivalente cioè a umanità, a mondo, a creato, auniverso. Sarebbe una conoscenza di tipo totalizzante, fi-losofica (o meglio: metafisica), oppure teologica. Sarebbequindi una storia priva di un soggetto autonomo, del-l’uomo con la sua libertà e autonomia, liberamente agentecon la sua attività creatrice di concreti atti storici. Sarebbequindi impossibile concepire anche l’esistenza stessa diuna storia. Questa, invece, come oggetto di conoscenzascientifica non può che essere una realtà del passatoumano colta nella sua individualità, cioè nella sua unicitàe irripetibilità. E tale individualità del fatto storico è defi-nita dalle due condizioni fondamentali della sua esistenza,dalla sua collocazione cioè nello spazio e nel tempo.Si ha, quindi, una vera e propria conoscenza scientificadella storia quando per comprendere gli eventi del passatoumano si fa riferimento esclusivamente ad altri eventi pre-cedenti o coevi rispetto a quelli oggetto di studio, questiultimi venendo in tal modo colti quali effetti di quelli con-siderati come reali cause, individuate grazie a generaliz-zazioni (o leggi) desunte da altre forme di conoscenzascientifica empirica a carattere teorico, cioè falsificabili,confutabili o controllabili, quali le scienze umane spessoutilizzate, come sono appunto la sociologia, l’antropolo-gia, la scienza politica, l’economia, il diritto e la psicolo-gia sociale.Per la necessità stessa di padroneggiare la materia dellastoria nel suo indistinto continuum, fin dall’antichitàl’uomo da sempre è ricorso a suddividere il passatoumano in periodi, in epoche, che di volta in volta gliconsentissero di conoscere a fondo i vari problemi oggettodel suo interesse. Nel procedere a tale periodizzazione, in

parte vi è certamente anche un qualcosa di convenzionale,un bisogno di corrispondere a una necessità “puramentemnemotecnica”, come scrive Benedetto Croce. Ma que-sto problema non ci esime dal procedere rispettando l’esi-stenza di una corrispondenza culturale tra il contenuto danoi considerato come caratterizzante il periodo storico og-getto di analisi e le cesure, iniziale e finale, con le qualidifferenziamo il periodo stesso dai periodi contermini.Questo accade anche per l’epoca a noi più vicina, quellanella quale viviamo, l’età che definiamo appunto “con-temporanea” e che, rispetto alle altre età della storia pre-senta, di particolare, questo carattere, che non è un’etàconclusa, è un’età “aperta”.

Il carattere della contemporaneitàSe è certamente vero che tale carattere di contemporaneità– come notoriamente ha messo in luce Croce in una suacelebre pagina – è proprio di ogni momento storico inquanto questo scaturisce dal suo rapporto con l’attività co-noscitiva di chi con il suo studio lo mette in luce, confe-rendogli vitalità culturale – in quanto è “storia sempre ri-ferita al bisogno e alla situazione presente” – pur tuttaviaè al tempo stesso corretto definire “contemporanea” an-che l’età cronologicamente ultima nella periodizzazionetemporale della storia. In quest’ultima accezione mi sembra quindi particolar-mente esatta la definizione della storia contemporanea checi offre, nel suo aureo libretto dedicato a questa problema-tica, Geoffrey Barraclough, quando scrive che «la storiacontemporanea ha inizio quando i problemi che sono attualinel mondo odierno assumono per la prima volta una chiarafisionomia». Resta indubbiamente il problema di definirel’“inizio” di quei problemi che definiamo come “attuali”,un inizio che non è semplice cogliere, poiché contempo-raneamente coinvolge sempre vari altri problemi, a voltecomplessi e spesso intrecciati fra loro: tale “inizio”, quindi,può essere inteso solo come un arco temporale, che alfondo può comportare anche una scelta di carattere pratico.

Insegnare la storia contemporanea (1)Giuseppe Ignesti

PUBBLICHIAMO LA PRIMA PARTE DI UNO STUDIO CHE, ANALIZZANDO L’ATTUALE IMPASSE DELLE

DISCIPLINE STORIOGRAFICHE, SUGGERISCE ALCUNI INTERVENTI POSSIBILI PER UN LORO RILANCIO.LA SECONDA PARTE SARÀ PUBBLICATA SUL NUMERO 3, NEL MESE DI NOVEMBRE.

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PERCORSI DIDATTICI

L’interdipendenza degli avvenimenticontemporanei in una prospettiva mondialeCarattere fondamentale della storia a noi contempora-nea, segnata da un accelerato processo di globalizzazioneplanetaria, è certamente quello della forte interdipen-denza fra loro degli avvenimenti: questo postula che dalpunto di vista spaziale il quadro geografico si dilata a talpunto da dover abbracciare il mondo intero. Pur essendoinfatti pienamente legittima, in relazione all’oggetto pre-scelto per l’indagine storica, ogni definizione spaziale an-che la più limitata, resta imprescindibile per ogni correttalettura degli eventi contemporanei che lo storico mantengasempre presente la necessità di poterla inquadrare in unaprospettiva mondiale.Quanto detto, a mio parere, non modifica di uno iota la va-lidità del modo di procedere dello storico dell’età con-temporanea rispetto allo studioso delle precedenti vi-cende storiche. Come quest’ultimo anche lui si trova adover fondare ogni spiegazione storica sul legame che in-dividua tra eventi coevi o precedenti rispetto a quelli esa-minati, legati da leggi formulate dalle altre scienze sociali,economiche, politologiche, psicologiche e giuridiche, masoprattutto sociologiche.

L’adozione di sguardo diacronicoAnche l’età contemporanea è saldamente legata all’etàche la precede, giacché nella vicenda storica l’elementofondamentale è certamente quello della continuità deglieventi storici. La nostra età, quella in cui noi viviamo, èstrettamente legata a quella che l’ha preceduta. Questospiega perché, soprattutto per l’età contemporanea, cosìdifficile a definirsi nei suoi caratteri fondamentali, proprioperché per definizione è l’unica età “aperta” nella storiadell’umanità, cioè un’età ancora non compiuta, è fonda-mentale ancorare la sua definizione, che è quanto dire co-

glierne la sua essenza, la sua determinazione, a partire da-gli eventi caratterizzanti dell’età che immediatamente laprecede, cioè dell’età moderna. Al momento, la sensa-zione è che siamo ancora in un periodo intermedio, concaratteri sempre più chiari per l’epoca che stiamo abban-donando, la cosiddetta età moderna, e con profili ancoranon molto ben definiti della nuova epoca, cioè l’età con-temporanea, nella quale però già stiamo vivendo. Sonotuttavia persuaso che i mutamenti di carattere strutturaleche già possiamo cogliere negli eventi a noi contempo-ranei a livello planetario possiedono un oggettivo carat-tere di novità rispetto al passato da indicare certamente nelpresente la nascita di un nuovo periodo storico.

Il distacco dagli eventi; una necessità imprescindibile?Non costituisce invece, a mio parere, problema la que-stione, sempre sottolineata negli studi sul metodo della ri-cerca storica, della necessità di un certo distacco tral’opera di ricostruzione storica e gli eventi oggetto del-l’indagine, giacché il problema del distacco opera insenso duplice, presentando a un tempo elementi di van-taggio e insieme di difficoltà nella ricostruzione storicastessa: basti pensare alla questione relativa alla indivi-duazione delle fonti, apparente vantaggio perché caratte-rizzate dalla loro abbondanza, tipica nello studio dell’etàcontemporanea, ma fattore problematico perché causadella maggiore difficoltà critica nel loro utilizzo. Né costituisce motivo d’impedimento per una corretta ri-costruzione storica del mondo contemporaneo l’impos-sibilità di conoscere gli eventi successivi a quelli oggettodi studio, poiché infatti questa impossibilità, che costi-tuisce proprio l’elemento che dal punto di vista tempo-rale deriva a tale età dall’essere l’unica “aperta”, rap-presenta semmai un carattere positivo per ogni bencondotto studio della storia. È buona regola ermeneutica, infatti, che gli storici diogni età debbano operare sempre schermando il propriosguardo, in modo da escludere da esso gli eventi succes-sivi a quello esaminato, proprio per meglio cogliere del-l’oggetto della loro analisi tutti quegli elementi che al-l’epoca già in esso esistevano e che pertanto già loqualificavano, pur non essendo poi stati posti in essere equindi divenuti produttivi in tutte le loro potenzialità.«Lo storico autentico – scrive infatti il Marrou – è coluiche si fa contemporaneo degli avvenimenti che narra,che ritrova l’incertezza fondamentale, avvertita tanto vi-vamente dall’uomo d’azione, che era propria d’essi,quando erano ancora un futuro in divenire». Non si trattacerto di scrivere una storia fantastica, mai posta in essere,ma di mettere in luce quelle potenzialità nel passato re-Barak Obama e Angela Merkel.

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almente esistite e che tuttavia non ebbero un esito con-creto, non divennero successivamente realtà storica. Unalettura di diverso tipo postulerebbe infatti l’esistenza nellastoria di una sorta di determinismo che annullerebbe nel-l’agire dell’uomo ogni forma di libertà e quindi, in ultimaanalisi, la storia stessa.Quanto al tema del pregiudizio, poi, esso è proprio del-l’uomo, in ogni età e condizione, è cioè tema sempre pre-sente in ogni lavoro storiografico, su ogni periodo storico,non particolarmente proprio nello studio dell’età con-temporanea.Il fatto poi che lo studio dell’età contemporanea, per il fattodi essere quest’ultima un periodo storico “aperto”, cioè non“concluso”, necessiti di ricorrere a predizioni, o congetturesul futuro, non aggiunge nulla sulla conoscenza storica delpresente che è indagato, in quanto un elemento di conget-tura nell’analisi dei fatti umani è proprio di ogni spiega-zione storica, anche riferita ad altre epoche.Infine, la conoscenza storica degli eventi del passatoumano è possibile grazie al fatto che tali eventi hanno la-sciato tracce, cioè “documenti” della loro esistenza, chenoi siamo in grado di capire, cioè che non solo abbiamoritrovate, ma che siamo anche in grado di “leggere”, di in-terpretare. Queste tracce, che noi chiamiamo “fonti” dellaconoscenza storica, non esistono di per sé, ma esistonosolo nella misura in cui noi le riconosciamo come tali,cioè, come abbiamo detto, se siamo in grado di metterlein relazione con gli eventi dei quali appunto costitui-scono tracce.

Il carattere scientifico del lavoro storiograficoPer comprendere se, di fronte a quello che ci si presentacome un lavoro storiografico, noi abbiamo un risultato dicarattere scientifico oppure un’esposizione di un pen-siero frutto di un’interpretazione di tipo ideologico, dob-biamo procedere a un’analisi della narrazione che ci vienepresentata. Questo – come studi sul linguaggio storio-grafico hanno ampiamente messo in luce – è possibile ren-dere evidente attraverso l’analisi di tre momenti del lavorosvolto dallo storico. In primo luogo, occorre individuare bene il problemamesso in luce come oggetto dell’indagine, nella sua esattadefinizione, attraverso le “tracce”, cioè i “documenti”della sua esistenza, o – come li definiscono gli storici – le“fonti” della ricerca stessa. In tal modo si consegue un li-vello abbastanza garantito circa la storicità del fatto stesso.In secondo luogo, bisogna evidenziare bene tutte quelleaffermazioni contenute nel ragionamento dello storicoche descrivono quegli eventi che da questi sono indivi-duati come cause o condizioni dell’accadimento oggettodell’indagine, cioè del problema posto al centro della no-

stra attenzione. La spiegazione di un evento storico av-viene dunque mediante l’indicazione da parte del ricer-catore delle cause che lo hanno determinato, cause chesono individuate solo in relazione a una teoria.Questo dà ragione al fatto che nella ricerca storica non sidànno, perché non si possono dare – come scrive Antiseri– «né cause assolute, né spiegazioni ultime e definitive»:infatti, come lo stesso autore spiega, «un fatto è causa diun altro fatto solo in relazione a una teoria; e noi sap-piamo, per di più, che non ci sono teorie assolute e defi-nitive, date una volta per sempre». Ma non ci sono anche,né ci possono essere, spiegazioni ultime e definitive perla stessa ragione; oppure non si dànno spiegazioni totali,perché si possono sempre avere nuove prospettive attra-verso le quali leggere i medesimi eventi.Quel che è certo è che gli storici nel formulare le loro spie-gazioni storiografiche mirano a fornire una lettura deglieventi passati individuandone le cause in quegli altrieventi che li produssero, articolandoli tra loro secondol’incidenza che ebbero, come risulta loro secondo le provedocumentali raccolte nel corso dell’attività di ricerca. Intal modo si realizza una sorta di “gerarchizzazione dellecause”, che costituisce la modalità di espressione dellaspiegazione storiografica. La comprensione di questa let-tura interna del linguaggio usato dagli storici nel loro la-voro di comunicazione dei risultati della loro attività di ri-cerca è la via maestra per comprendere se il prodotto dellaloro indagine è frutto di un impegno scientifico o di unadivulgazione ideologica.

Un carattere a-scientifico del lavorostoriografico: l’interpretazione ideologica Una prima spia circa il carattere non scientifico di unaspiegazione storiografica, la quale in tal modo si rivelauna vera e propria interpretazione ideologica della storia,sta senz’altro quando lo storico indica una sola causa delfatto storico oggetto d’indagine: gli eventi umani infattisono sempre causati da più eventi precedenti o coevi, iquali concorrono, come con-cause, a dar vita, con di-versa modalità, all’evento studiato. Presentare quindi unaspiegazione di un evento storico fondandola su una solacausa, questa viene ad assumere di fatto un carattere as-solutizzante che denuncia la sua matrice ideologica e nonscientifica. Una seconda spia ci viene offerta dalla gerarchizzazionedelle cause che viene formulata nella spiegazione propo-sta, in quanto se lo stesso studioso è solito, nel suo lavorostoriografico, proporre sempre a fondamento delle suespiegazioni la stessa gerarchizzazione di cause, nasce ildubbio che questo studioso di storia non sia un vero e pro-prio scienziato, quanto piuttosto un interprete degli eventi

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del passato umano mosso da visioni assolutizzanti. In talcaso è bene analizzare la procedura logica e tecnica daquesti seguita nel suo lavoro storiografico e, sulla basedella identificazione delle leggi di copertura utilizzate, ve-rificare se queste sono generalizzazioni tratte da visionidella storia di tipo totalizzante. Questo modo di procedereci consente di poter identificare un lavoro storico di ca-rattere scientifico da un lavoro prodotto solo da un intentoideologico o teologico, da una filosofia della storia o dauna teologia della storia. In terzo luogo, e qui la nostra attenzione deve esseremassima, è necessario rendere ben esplicita la “legge” lo-gica che collega tra loro il problema oggetto della nostraindagine con gli eventi storici messi in luce quali condi-zioni, o con-cause, dell’evento che costituisce il pro-blema stesso della nostra indagine. Se tale “legge” uti-lizzata dallo storico è da questi desunta dalle altre scienzesociali, cioè, per esempio, dalla sociologia, dall’antropo-logia, dall’economia, dalla politologia, dalla psicologiasociale, dal diritto, e in tal modo è anch’essa oggetto di co-noscenza scientifica, possiamo affermare che l’argomen-tazione storica che ci è stata offerta è anch’essa frutto diattività di ricerca scientifica. Se invece tale “legge” ètratta da visioni totalizzanti della storia, sia di carattere fi-losofico, sia di tipo teologico, o d’altra natura sempre as-solutizzante, tale argomentazione non costituisce cono-scenza di tipo scientifico e quindi è di tipo ideologico enon falsificabile.

L’insegnamento della storia nelle scuoleQuanto alla situazione dell’insegnamento della storianelle scuole italiane di ogni ordine e grado, essa è al mo-mento veramente penosa. Gli studenti, al termine delcorso degli studi secondari superiori, ignorano quasi deltutto aspetti fondamentali della vicenda storica del-l’umanità. Spesso i programmi di questa materia sonopressoché lettera morta nell’insegnamento effettivo dimolti docenti. Sarebbe opportuno che a livello ministe-riale si ponga mano a un’indagine approfondita su talestato di cose, per procedere poi a un vero riassetto del-l’intera materia, per ogni ordine e grado dell’insegna-mento scolastico. Il livello d’ignoranza della storia del-l’uomo da parte dei giovani italiani che s’iscrivono nelleuniversità è assai profondo e diffuso, con un danno effet-tivo sulla loro formazione generale, anche per i loro fu-turi sbocchi professionali apparentemente lontani dallacultura umanistica, poiché una seria educazione fondatasulla storia conferirebbe loro un’elasticità intellettualeutile a meglio comprendere una società in così rapido mu-tamento. Purtroppo, invece, nel confronto con studentiprovenienti da scuole straniere, soprattutto con quelli del

programma europeo di scambio Erasmus, il livello dipreparazione dei giovani italiani rivela una carenza di cul-tura storica molto significativa.

Le ragioni di una debolezzaEvidentemente le cause di tutto ciò sono di carattere ge-nerale: esse vanno cioè ben oltre il puro riferimento aiprogrammi scolastici ora vigenti in Italia, attengono cioèin larga misura al carattere generale della vita culturaledella società contemporanea, segnata da una forte in-sensibilità per la sua dimensione storica; ma in largaparte esse dipendono anche dalla scarsa formazione nellediscipline storiche degli insegnanti stessi, soprattutto deipiù giovani, nelle scuole di ogni ordine e grado. Questiultimi, infatti, a causa anche di talune errate riforme in-tervenute di recente negli studi universitari, non ricevonopiù nelle Facoltà dove nel passato si praticavano studi distoria, quella formazione interdisciplinare che allo studiodella storia univa quello dei fondamenti di diritto, dieconomia, di scienza politica, di statistica e di geografia,oppure quelli di cultura filologica, antropologica, lette-raria, geografica e religiosa. Erano allora percorsi di stu-dio – all’interno delle Facoltà di Scienze Politiche, diGiurisprudenza, di Economia e Commercio, e di Letteree Filosofia – nei quali alla storia era riservata una cen-tralità culturale assai rilevante, che dagli accostamenticon le altre discipline riceveva un arricchimento signifi-cativo: questa interdisciplinarietà centrata sulla storiacostituiva un mix altamente formativo. Oggi siamo giunti all’opposto a una specializzazione ol-tremodo sterile, quella di una storia isolata su se stessa,fino a concepire persino un corso di Laurea dedicato allostudio della sola storia, privo però di ogni legame cultu-rale con le altre discipline: un vuoto contenitore senza al-cuna capacità formativa, senza sbocchi professionali, conl’unica finalità, forse, di soddisfare bisogni di sottogo-verno accademico, con proliferazione di inutili cattedreuniversitarie. Probabilmente, sarebbe opportuno tornareindietro, con indubbio risparmio di denaro pubblico, masoprattutto cessando di immettere sul mercato del lavorogiovani laureati senza sbocchi professionali, perché prividi una formazione professionale utile a loro stessi e allasocietà. Nell’immediato, per far fronte a questa situa-zione, sarebbe inoltre auspicabile che, in attesa di una ri-forma degli ordinamenti didattici della scuola secondariasuperiore, nell’insegnamento universitario della storia,la preoccupazione maggiore del corpo docente fosse con-centrata sugli aspetti generali e di metodo della materia,mettendosi da parte, almeno nei primi anni di studio uni-versitario, ogni impostazione dei programmi di tipo mo-nografico, che potrà essere semmai prevista solo per anni

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di studio successivi, quelli dedicati alla specializzazione.Ma – come abbiamo già accennato – questa carenzanello studio della storia nelle scuole italiane, oltre dallecause già poste in luce, deriva essenzialmente da ragionidi carattere culturale assai profonde, che investono l’in-tera società contemporanea. Una società, questa, tutta ap-piattita nel presente, alla quale manca del tutto la co-scienza dello sviluppo storico della vita, e che in talmodo mostra di essere incapace di comprendere gli stessiproblemi attuali e di prevedere e di progettare un serenoprossimo avvenire. Tale carattere viene alla società contemporanea dallacultura individualistica della quale è permeata. Infatti,questo forte individualismo, prodotto da un malintesosenso della libertà individuale vissuta come valore asso-luto, induce l’uomo contemporaneo a vivere isolato da-gli altri, chiuso in se stesso, atomizzato, quasi del tuttoprivo di quel bisogno ancestrale di far ricorso al patri-monio di esperienza prodotto dalla vita delle passate ge-nerazioni; questa situazione esistenziale provoca semprepiù spesso quegli episodi di solitudine e di alienazioneche distruggono nell’animo il piacere della vita e il de-siderio di aprirsi al futuro, attraverso una fiduciosa pro-iezione di sé verso nuove generazioni: distruggono cioèil piacere della famiglia, delle amicizie, della vita di re-lazione. Da tutto questo – a mio parere – essenzialmentederiva nell’attuale società italiana la perdita culturaledel senso storico della vita.

Un’ulteriore carenza: gli insegnamenti della geografiaUn’altra carente istruzione scolastica, accanto a quelladell’insegnamento della storia, è quella relativa all’inse-gnamento della geografia. Tale carenza influisce note-volmente sulla formazione di una cultura storica nellenuove generazioni, alle quali viene a mancare un ele-

mento, quello della dimensione spaziale, assai impor-tante nella conoscenza degli eventi del passato umano, ac-canto a quello relativo alla dimensione temporale. Que-st’ultimo rappresenta una grave mancanza nellacomprensione degli eventi passati, giacché in tal modotende a sfuggire l’influenza dell’elemento spaziale sul-l’esistenza stessa della vita dell’uomo. È certamente pa-radossale che proprio in un momento storico come l’at-tuale, nel quale l’attenzione per l’ecologia in tutte le sueforme è così diffusa presso l’opinione pubblica, abbiamoassistito nel nostro paese alla pressoché totale scomparsadell’insegnamento della geografia presso taluni fonda-mentali percorsi di studio a livello universitario.Per lo studio della storia è infatti necessario il parallelostudio della geografia. Accanto alla lettura temporale,che spesso viene considerata erroneamente come l’unicadimensione in cui intendere la vicenda del passato umano,con la collocazione degli avvenimenti nello scorrere deltempo, la storia dell’uomo non è comprensibile se non èinquadrata nell’ambiente stesso in cui si è svolta e dalquale è stata condizionata. A tale scopo è sempre utile sulpiano didattico affiancare a un buon manuale di storiacontemporanea pensato per l’ultimo anno della scuola se-condaria superiore l’uso di un atlante storico, quale aesempio quello edito dalla Garzanti o dalla De Agostini.Tuttavia, in taluni casi, a seconda dei manuali scolasticioggi in commercio, anche questi a volte sono dotati dibuone carte geografiche a corredo del testo, le quali pos-sono rendere superfluo l’uso di un autonomo atlante sto-rico-geografico: è necessario, in tal caso, l’invito da partedel docente affinché gli allievi ricorrano all’esame attentodelle carte geografiche inserite a corredo del testo, lequali sfuggono spesso all’attenzione di chi studia sul ma-nuale, abitualmente attratto dal solo testo scritto.Lo studio della storia – come abbiamo già visto – non puòche essere centrato su aspetti particolari del passato, senzaalcuna pretesa di essere in grado di cogliere la vita del-l’uomo nella sua globalità. Questo tuttavia non contrad-dice al fatto che nell’operare in tal modo lo studioso dellevicende passate, mentre concentra la sua attenzione sumomenti particolari, al tempo stesso non sia consapevolee quindi non tenga conto che tale ricostruzione parzialedel passato debba essere inquadrata in una prospettiva divasto respiro, fino a considerare che la vita dell’uomo, in-dividuo o comunità, sia sempre da ripensare come vissutaa tutto tondo, à part entière. Inoltre, dal punto di vista pedagogico più generale, lo stu-dio della storia sviluppa nel giovane un impegno interiorenello sforzo di comprensione del particolare oggetto dellavicenda storica da condurlo a una visione culturale unifi-cata dell’uomo, nei suoi diversi aspetti, morali, religiosi,

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sociali, giuridici, politici, economici, tecnici ed estetici.Scrive il Marrou: «Quanto più sarà intelligente, colto,ricco di esperienze vissute, aperto a tutti i valori umani,tanto più sarà capace di ritrovare elementi importanti delpassato, tanto più la sua conoscenza sarà suscettibile diricchezza e di verità». Questo esercizio nello studio dellastoria porterà dunque il giovane ad arricchire se stesso, acrescere nella sua umanità, nella saggezza interiore.

L’allenamento al metodoScopo dello studio della storia non deve tanto essere quellodi apprendere con la memoria i fatti del passato umano,quanto quello di impadronirsi del metodo della ricercastorica: quindi il giovane studioso va piuttosto allenato nelragionamento, nella discussione, nella formulazione pre-cisa del problema oggetto di indagine, nella ricerca perti-nente degli eventi precedenti e di quelli coevi che rispettoall’oggetto stesso ne costituiscono le concause. La stessamemorizzazione dei singoli fatti storici oggetto di studio,anche nelle loro coordinate cronologiche e geografiche,deve scaturire piuttosto come frutto razionalmente neces-sario di tale rete di eventi messi in luce dall’indagine sto-rica che non da una nuda e meccanica ripetizione dei datiappresi da una lettura passiva di un manuale. Non si può ridurre lo studio della storia, a causa spesso diun suo insegnamento di tipo statico, alla mera ripetizionedi nude nozioni, mandate meccanicamente a memoria.Oggidì poi la moderna tecnologia, invece di alleviarel’uso dell’apprendimento puramente mnemonico, lo in-centiva quasi, e per di più toglie a esso la comprensioneinteriore del procedimento logico e il significato stessodelle singole espressioni usate.Gli strumenti informatici, oggi così largamente diffusipresso i giovani, possono portare a una sostanziale perditadella memoria di lungo termine: essi infatti nel breve pe-riodo saranno portati a memorizzare sempre molto meno,in quanto avranno ben presto coscienza che molte dellenozioni oggetto di quegli sforzi mnemonici saranno fa-cilmente accessibili via personal computer o tablet osmartphone. E se è pur vero che la memoria è ben diversadall’intelligenza, tuttavia la memoria, che più a lungoperdura nelle coscienze degli uomini, è indispensabile perla crescita del pensiero critico, essenziale per lo sviluppoindividuale dell’uomo e per il progredire civile dellastessa comunità. Al fine quindi di salvaguardare le stesselibertà morali e intellettuali delle future generazioni saràdunque necessario svolgere intelligente e prudente operadi discernimento circa i vantaggi che da tale sempre piùinvadente progresso tecnologico potranno derivare, in-sieme agli inevitabili danni che sarà doveroso fronteg-giare.

Se la meccanica ripetizione di quel che il giovane ap-prende grazie ai sussidi informatici oggi esistenti sembraquasi agevolare tale apprendimento, al contrario esso èproprio danneggiato, nel senso che quasi si sostituisce, nelprocesso conoscitivo, a quell’acquisizione del metodo dicollegamento causale degli avvenimenti del passato traloro in rapporto con le altre forme di conoscenza dellescienze sociali, collegamento causale degli avvenimentiche costituisce il proprio della spiegazione storica.

I manuali didatticiIn tale ottica, il manuale di studio, pur sempre didattica-mente necessario, deve essere piuttosto lo strumento dalquale partire per l’insegnamento della storia, un meropunto di partenza, dallo studio del quale il docente puòprendere le mosse, avviare la riflessione sui fatti del pas-sato, al fine di esercitare i giovani nell’apprendimento delragionamento storico. In tal modo – come scrive Antiseri– «il manuale è un canovaccio di problemi o, meglio, uninventario di possibili interessi». Sarebbe quindi auspica-bile che il docente non fissasse un solo manuale come te-sto obbligatorio per lo svolgimento del suo insegnamentodella storia, ma offrisse ai giovani allievi la possibilità diavvalersi a loro scelta di uno dei tanti testi, di diversoorientamento culturale, ma tra i migliori al momento editiper le scuole secondarie superiori. Durante il corso deglistudi, infatti, la presenza nelle aule di vari manuali redattida studiosi di diverso orientamento culturale nelle mani deigiovani potrà essere tra questi ultimi motivo di stimolo in-diretto per una lettura della storia di impostazione cultu-rale la più varia e quindi occasione per una discussione trai giovani stessi provocata dalle diverse interpretazioni of-ferte dai vari autori dei libri in loro possesso.

Giuseppe IgnestiUniversità di Roma LUMSA

David Cameron.

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In questo momento drammatico, tra terrorismi, re-pressioni e stati in via di dissoluzione, prendere inmano il proprio passato mi sembra un’urgenza per gli

arabi, per costruire un futuro che li sottragga alla banca-rotta politica di cui sono testimoni e vittime. È riflettendo su questo auspicio che vorrei proporreun’analisi interpretativa, sia pure a grandi linee, di quelloche è accaduto in Medio Oriente nei cruciali momenti,dopo il “sonno” dei secoli XV-XVII, del confronto con lamodernità e l’Occidente alla luce della mia esperienza digiornalista e soprattutto di persona vicina, partecipe.Non ho la pretesa di possedere lo specchio rotto della me-moria araba, io ho soltanto una vecchia fotografia che hocomprato su una bancarella del Cairo. Siamo in una stradanon distante da Piazza Tahrir, il cuore della città mo-derna, in mezzo a quegli edifici in stile parigino con do-lorosi inserimenti in stile sovietico; tra le auto del temposi distinguono alcuni passanti, pantaloni a zampa d’ele-fante, basette lunghe, e una vigilessa: regola il traffico in-dossando una gonna al ginocchio. La sua divisa prevedeanche una camicetta d’ordinanza e un foulard annodato alcollo, che si intravede sotto il colletto. Che cosa è suc-cesso? Probabilmente bisogna tornare ai tempi del disfa-cimento dell’Impero ottomano per farsi un’idea. Quella foto, a mio avviso, ci indica proprio il lascito delmondo di cui parla il grande scrittore libanese Amin Maa-louf, ricordando che suo nonno, un suddito del sultano direligione cristiana, poteva esibire fieramente la sua ca-micia bianca e il suo tarboush (fez) rosso ben fermo in te-sta, dicendosi finalmente «orgoglioso di essere un citta-dino ottomano» (Maalouf, Origini, Milano 2004).Maalouf fa riferimento alla breve stagione della costitu-zione ottomana, quella che aveva cercato una soluzioneal problema cruciale della cittadinanza. Il noto umanistaPhilip Mansel, studioso di Istanbul e dei sultani, ha rias-

sunto con l’invidiabile capacità di semplificare nodi cru-ciali: «l’Impero ottomano aveva al suo interno tanti popoliquanti ne aveva la monarchia degli Asburgo, e molte piùreligioni. Quel che lo rese unico fu il suo sforzo di farlevivere insieme» (T. Mansell, intervista a «The guideIstanbul»).

La “modernizzazione” ottomanaMolti studiosi hanno sostenuto che la “modernizzazione”ottomana fu difensiva, cioè un tentativo di resistere al-l’Europa europeizzandosi. È una spiegazione convin-cente che non toglie ciò che più interessa a Mansel: ven-tiquattro anni dopo il traumatico 1453, l’anno dellaconquista di Costantinopoli, «un censimento ebbe luogoper informazione personale del Sultano. C’erano, a Co-stantinopoli e Galata, 9.486 case abitate da musulmani,3.743 case abitate da greci, 1.647 case abitate da ebrei,434 case abitate da armeni, 384 case abitate da karama-niani di apparenza armena, 332 case abitate da franchi,267 case abitate da cristiani di Crimea, 31 case abitate dagitani» (Mansel, Costantinople, City of the World’s desire,Londra 1995), risultava già riaperto il patriarcato ecume-nico greco ortodosso e istituito un arcivescovado armeno,con poteri patriarcali, mai esistito prima.Per diverse ragioni, il cammino ottomano per Mansel hadunque cercato di risolvere il problema della cittadinanza,passando per l’angusto sistema delle nazioni (millet), incui ogni comunità religiosa si regolava secondo le leggidella propria autorità religiosa, per arrivare al breve espe-rimento della costituzione ottomana, che tanto entusiasmocreò in casa Maalouf.Fu una breve stagione per molte ragioni: tra queste non sipuò dimenticare la Grande Guerra, nella quale l’Impero,ormai agonizzante, si ritrovò governato dai Giovani Tur-chi, cioè dai modernizzatori laici, che in quel drammatico

La crisi dello stato: dall’imperoottomano all’IS (Islamic State)Riccardo Cristiano

UN’ANALISI INTERPRETATIVA DEL PROCESSO STORICO MEDIORIENTALE, DALLA MODERNIZZAZIONE

OTTOMANA AI NOSTRI GIORNI. NONOSTANTE LE DIFFICOLTÀ, LA CRESCITA DELLE COMUNITÀ

CRISTIANE IN QATAR, KUWAIT, BAHRAIN E ARABIA SAUDITA DIMOSTRA CHE LA PROSPETTIVA DEL

VIVERE INSIEME NON È MAI TRAMONTATA.

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contesto bellico si allearono con gli Imperi centrali con-tro Gran Bretagna, Francia e Russia. Laici, aperti alla mo-dernità, arrivando al potere in tempi di guerra diederoenorme rilievo ai militari: è per questo probabilmenteche venne concepito il genocidio armeno. Perché? «Ifunzionari del governo ottomano erano determinati asmascherare qualsiasi quinta colonna (o presunta tale) chevedesse con favore gli obiettivi territoriali degli Alleati.Nell’Anatolia orientale unità dell’esercito e milizie irre-golari organizzarono la deportazione di interi villaggi ar-meni e di altri cristiani ritenuti potenzialmente fedeli allaRussia» (C. King, Mezzanotte a Istanbul, Torino 2014).Charles King riconosce molti meriti dei Giovani Turchinegli anni precedenti il conflitto, ma poi indica uno deigrandi nodi, quello del nazionalismo che diviene nazio-nalismo malato, come non può non essere quello che ar-riva a concepire un genocidio.Per il mondo arabo i concetti di nazione e stato sovranoerano novità importanti. Tra quanti vi si avvicinavanomolti guardavano all’Europa, alle sue promesse di soste-gno agli aneliti di sovranità e indipendenza, che univanomolti intellettuali musulmani e cristiani in quell’espe-rienza nota agli storici come il risorgimento arabo, laNahda. Ma la scelta europea fu un’altra: anziché stati so-vrani e basati su “libertà, uguaglianza, fraternità” si scel-sero protettorati coloniali, britannici e francesi, costruitisu confini inventati a tavolino per dividersi le aree di in-fluenza. Il Libano forse è l’esempio più felice nella con-clusione: creato dai francesi come stato “per i cristiani”,trovò la via di definizione post-coloniale nel famoso pattoislamo-cristiano, suggellato da una bandiera al cui centro

spiccava il cedro, simbolo comune a tutti, musulmani ecristiani. Un patto non ancora paritario, ma “patto” di cit-tadinanza, in cui gli identitarismi confessionali, comequello espresso dall’intellettuale cristiano più noto altempo, Charles Corm, «fratello musulmano, apprezza ilmio candore, io sono il vero Libano, autentico e devoto»,venivano archiviati. Un messaggio, in netta controten-denza rispetto all’altro malanno lasciato alla regione dal-l’epoca coloniale: nella comprensibile necessità di rendere“sicuri” i nuovi protettorati, francesi e inglesi vollero na-zionalizzare soprattutto la religione, che non doveva di-ventare un volano anti-colonialista: i nuovi protettoratinacquero infatti completi di autorità religiose fedeli, contanto di muftì, giudici (qadi) e anche rettori delle grandiuniversità islamiche nominati dal potere politico.Il colonialismo europeo è stato vissuto da molti come untradimento, e questo ha indebolito quel filone che si ispi-rava proprio all’esperienza europea, figlia dei lumi e deidiritti dell’uomo, e quindi a stati sovrani per tutti e di tuttii loro cittadini. E nel rancore ha preso forma un altro na-zionalismo, «esaltatore dell’eterna missione di eterne na-zioni portatrici di immortali valori». Qui vale la pena difare un esempio, paradigmatico; Michel Aflaq, fonda-tore del partito laico e panarabista Baath. Ex comunistanella sua esperienza e formazione francese, Aflaq ha sem-pre conservato, tornato a Damasco, l’impostazione cen-tralista del PC nel quale aveva creduto e militato. Ma da-vanti al tradimento della sinistra francese, che conquistatoil governo parigino confermava la scelta coloniale, ha so-stituito nella sua visione il proletariato con i popoli colo-nizzati, in uno scontro tra nazioni sfruttate e sfruttatrici.

Ibb, Yemen.

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Il nazionalismo totalitarioIl problema della cittadinanza, vitale per tutti ma ancor piùvitale davanti alla complessità costitutiva, risuonava chia-rissimo nello slogan coniato dal premier del primo governopost-coloniale siriano, Fares al-Khoury, «la religione è diDio e la patria è di tutti». Ma una catena di colpi di statolo ha oggettivamente rimosso. La complessità sociale, re-ligiosa ed etnica, è lentamente scomparsa, come indicanole parole attribuite a uno dei più noti golpisti, l’irachenoSaddam Hussein: «curdi, arabi … siamo tutti arabi».Pensato da Aflaq in termini di grande “proletaria”, que-sto nazionalismo salvifico è rapidamente finito nelle manidi élites militari golpiste: non è il vincolo della legge a te-nere unito un popolo, ma il senso di una continuità spiri-tuale e di una “missione”. E la Nazione è ovviamente na-zione per eccellenza, anzi “popolo originario”.Ispirato dal pensiero europeo, il nazionalismo risorgi-mentale è stato progressivamente sostituito da quello to-talitario, anch’esso forse ispirato da altri pensieri europei,e comunque nemico dell’individuo, soggetto progressi-vamente scomparso e sostituito dalla Nazione, unica in-testataria di diritti. E “unico”, nella nuova era militare, hasostanzialmente finito con l’essere il partito, e, soprattutto,il capo, presentato, a ogni tappa, come espressione sem-pre più autentica della voglia di riscatto. La storia politicaha legato questi regimi militari, impadronitisi anche deipartiti, all’Unione Sovietica, creando il mito “socialista”dei Movimenti di Liberazione Nazionale. E in effetti icampus universitari, come ha notato tra i tanti Gilles Ke-pel, erano in mano a studenti di orientamento marxista:emancipati dall’analfabetismo, arrivavano numerosissiminell’epoca post-coloniale nelle grandi città, nutriti dal-l’attesa di progresso, sviluppo sociale, equa distribuzionedi quelle risorse ora nazionalizzate e sin lì appannaggiodelle potenze sfruttatrici. Ma la “nazione proletaria” di cuiaveva parlato Aflaq, conquistata dai militari, non si è di-stinta da quella colonizzatrice. Al riguardo della profon-dità di questa mutazione genetica serbo un piccolo ricordopersonale: non tanti anni fa ho chiesto a un amico della di-rigenza del partito panarabista siriano Baath, ormai mili-tarizzato da tempo dagli Assad, cosa significasse per lorola lezione di uno dei più grandi intellettuali siriani, Con-stantine Zureyq, pioniere del nazionalismo arabo, soste-nitore della necessità di trasformazione sociale e dei me-todi di pensiero in base a un approccio razionale:«Zureyq? Nessuno sa più che sia esistito», è stata la ri-sposta. Non è difficile credere che i dividendi dell’indi-pendenza e le risorse, attesi dai giovani, questi sistemi to-talitari li abbiano tenuti per sé e per i vari apparati disicurezza connessi agli eserciti, vera “ala marciante” delnuovo potere.

Uno slogan egiziano dell’epoca nasseriana sembra rias-sumere tutto questo nel più eloquente dei modi: «nessunavoce si levi sopra la voce della battaglia». Una battagliache in Egitto, in Siria, in Iraq, in Algeria, in Libia, è ap-parsa sempre la stessa: una battaglia che progressiva-mente ha cancellato i diritti della persona, o del cittadino,nel nome dell’esercito e del partito-nazione e quindi delladestrutturazione della società civile, con la moschea di-venuta l’unico luogo di aggregazione non sopprimibile. Ilsocialismo apparente e l’alleanza con i sovietici (dopol’epoca terzomondista) hanno accompagnato le retate dimassa di chiunque dissentisse, dal campo di sinistra o daquello religioso. Esercito e servizi di intelligence, le fa-migerate mukhabarat, ovunque sono divenute il segno diuna politica sempre più a partito più o meno unico e lea-der unicissimo. Ci sono paesi che in mezzo secolo distoria hanno avuto un solo “leader”, altri due. Incapaci di dare sviluppo economico, i regimi hanno fattodella repressione un’ideologia “totale”, tacciando ognidissidente di essere “una quinta colonna” dei nemici dellanazione, come fu all’inizio di questa storia, quando si con-cepì il genocidio degli armeni per difendersi da “quintecolonne” delle mire espansioniste russe.Le quinte colonne potevano essere ovunque: tra i palesti-nesi dei campi profughi in Libano, trucidati all’inizio dellaguerra civile libanese dai siriani a Tell al Zataar (1976): in

Esempio di architettura yemenita.

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Siria le quinte colonne sono state viste annidarsi tra i fra-telli musulmani arroccati ad Hama (1982); il regime, mi-nando l’intero centro cittadino, lo fece crollare su un nu-mero imprecisato di sepolti vivi, forse 10mila, forse50mila, forse ancora di più. In Iraq le quinte colonne sonostate viste tra i curdi, sterminati da Saddam Hussein con igas ad Halabja (1988), durante il conflitto con l’Iran.

Il campo “panislamista”Sono solo alcune tappe di una parabola che si lega aquella dell’altro campo, che potremmo chiamare “pani-slamista”, giunta alle tremende derive di cui il terrorismodell’ISIS è l’ultimo devastante prodotto.Il 1978, l’anno che in Iran ha segnato l’ascesa di Kho-meini, è stato presentato da molti come l’anno dellasvolta, del passaggio di molti campus universitari dal-l’egemonia marxista a quella religiosa, avversa ai regimimilitari di cui abbiamo parlato. Anche qui, pur non po-tendo che soffermarci fugacemente su qualche titolo, nonsi può che tornare indietro nel tempo, e accennare almenoa un’altra esperienza, quella della riforma islamica, notaagli studiosi come Islah. Per differenziarla e affiancarlaalla citata Nahda può aiutarci ricordare la felicissima for-mula riassuntiva della Islah utilizzata in più studi dalprofessor Massimo Campanini: non pensava alla moder-nizzazione dell’Islam ma all’islamizzazione della mo-dernità. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio Novecento inquesto campo emerse una figura di spicco e cruciale,

Muhammad Abduh. Consideratoda molti il padre di quel movi-mento salafita di cui oggi tanto siparla (anche in connessione al ter-rorismo), Abduh dopo essere statoespulso dall’Egitto nel 1882, ebbedue esperienze fondamentali, aBeirut e Parigi, e insieme al suomaestro Giamal al-Din al-Afghani,fondò una società e una rivista pa-nislamica. A Beirut, nel quartieredi Zuqaq al-Blat, dove operava an-che il cristiano Butros al-Bustani,Abduh si impegnò come lui nelcampo educativo, sollecitando gliottomani a introdurre nei curricu-lum scolastici l’insegnamento dellescienze. Tornato in patria, fu no-minato supremo mufti. Si può direche il suo programma fosse basatosul ritorno alla semplicità del-l’Islam delle origini, sull’esame di-retto delle fonti della religione e

sull’affermazione di non contraddizione tra Corano,scienza e civiltà moderna. Tutte le religioni conoscono la tendenza a cercare nelle ori-gini, nei padri, nei primi tempi, l’ispirazione di camminidi riforma. La riforma è sovente una riscoperta. Questo lovediamo anche nel campo a noi più noto, quello cattolico:il cammino della teologia conciliare ha guardato soventealla Chiesa delle origini, al Vangelo. Ma la riscopertadelle origini può condurre anche altrove, e se concepita di-versamente, senza “discernimento e aggiornamento”, puòcondurre a rigorismo, integralismo, letteralismo.Sembra proprio questo il cammino intrapreso nell’altrodecisivo soggetto emerso dopo il disfacimento dell’Im-pero ottomano, l’Arabia Saudita, in cui il potere politicodei Saud e la dottrina del puritanesimo wahhabita si sonoalleati, facendo della famiglia reale il braccio politico e ar-mato del wahhabismo e del wahhabismo la legittima-zione religiosa del potere saudita. La religione è così entrata nella battaglia politica intrapresadai sauditi, che ha avuto nello scontro con Nasser e nel-l’alleanza con gli Stati Uniti il suo fulcro: «L’acquisto si-stematico, da parte dell’Arabia, di armi americane ha per-messo di finanziare ricerche e programmi di sviluppodelle tecnologie militari – care ad Albert Wohlstetter e aisuoi discepoli neoconservatori – che hanno contribuito inmaniera decisiva al crollo del sistema sovietico» (G. Ke-pel, Fitna, Roma-Bari 2006). L’influenza saudita, con-trapposta ai “nazionalisti” a vario titolo filo-sovietici, si èpresentata come religiosamente giustificata; il richiamo al-l’Islam delle origini è divenuto qualcosa di simile (e op-posto) al nazionalismo militarizzato, cioè la giustifica-zione di un potere politico che si assolutizza: «[…]vediamo come il principio, centrale nella dottrina politicasunnita, della shura (o consultazione) venga come svuo-tato e coartato dal carattere autoritario e francamente ti-rannico del sistema politico saudita». (M. Campanini, inStoria ed evoluzione dell’islamismo arabo, a cura di LauraGuazzone, Milano 2015). Grazie alla potenza economicasaudita il wahhabismo ha progressivamente assunto unruolo inatteso nel contesto salafita e il suo rigorismo è statousato per giustificare persecuzioni e conculcamenti.

La forza insopprimibile del vivere insiemeIl confronto sul vivere insieme, e quindi sui diritti, sullacittadinanza, non ha trovato una soluzione soddisfacentein epoca ottomana, ma è stato cruciale fino ai primi de-cenni del Novecento. Poi è come se fosse cominciato unduplice avvitamento; alle repubbliche dei regimi militarisi sono contrapposti i petromonarchi, guidati dai sauditilegati dal citato patto con i wahhabiti. In un territorio in-grato, dove una guerra hobbesiana ha opposto per secoli

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tribù beduine nell’accaparramento delle rare risorse, «ilwahhabismo emerge come un’opzione che, con la sua por-tata settaria e intollerante, offre paradossalmente l’equi-librio più adeguato all’ecosistema beduino, fornendo lapossibilità di rompere il circolo vizioso della sua autodi-struzione. […] Esso però non disponeva di quegli stru-menti di conoscenza necessari per affrontare le sfide delmondo moderno» (G. Kepel, cit., pp. 155 e 166).Quanto è accaduto dagli anni Ottanta in poi – con jihadi-smi intrisi di narrativa apocalittica, sia tra i sunniti che tragli sciiti – ha ulteriormente aggravato le politiche di an-nichilimento e ha portato al terrorismo globale. Dal 2011molte rivoluzioni non violente sono state o ridotte a re-golamento dei conti tra “nazionalisti” e “religiosi” o mi-litarizzate dagli opposti regimi, lasciando svanire la vita,di uomini impegnati nella rivendicazione della loro di-gnità, tra azioni abiette, disegni egemonici e culture del-l’odio che hanno trasformato Libia, Yemen, Iraq, Siria enon solo in ring regionali o globali. Ma la prospettiva delvivere insieme è rimasta, testimoniata dall’empatia, veromotore dell’onda del 2011, e, se si vuole, da un dato poconotato: mentre i cristiani del Medio Oriente sembrano spa-

rire – si ricordi solo quanto è accaduto a Mosul – i cristianinel Medio Oriente aumentano, proprio per quei flussi mi-gratori che, come in Europa amplificano la presenza dellecomunità islamiche, lì fanno considerevolmente crescerela presenza di comunità cristiane nelle aree affluenti: siconsideri che solo i cattolici in Qatar, Kuwait, Bahrain eArabia Saudita sono più di 2 milioni e 500mila, portandole comunità cristiane da percentuali minime al 7% nel Ku-wait o il 10% nel Bahrein. Si tratta di lavoratori immigratida paesi africani o asiatici, come Filippine, Sri Lanka, In-dia. E così il Medio Oriente ritrova antiche tradizioniquasi perdute: ritorna, a esempio, la presenza della Chiesamalankarese, con i suoi migranti dal Kerala indiano; unfilo che sembrava spezzato si riannoda: «la Chiesa ma-lankarese a Dubai è un’erede vivente della stessa tradi-zione che ha costruito i grandi monasteri della Chiesad’Oriente intorno al Golfo circa 1.400 anni fa» (P. Jenkins,La storia perduta del cristianesimo, Bologna 2016). È unpiccolo segnale, per me non irrilevante: sembra, infatti, in-dicare la forza non sopprimibile del vivere insieme.

Riccardo CristianoVaticanista Radio Rai

Moschea Sheikh Zayed, Abu-Dhabi.

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La peer to peer education: un esempio.

Prendete una versione di greco o di latino. Toglietelequel sapore di fatica solitaria, quell’odore di voca-bolario consultato solo per cercare frasi già fatte,

quell’immagine di regole un po’ misteriose applicate o daapplicare. Aggiungete la complicità e il sorriso di un coe-taneo, il piacere di capire, un clima collaborativo e nongiudicante, un ambiente luminoso e vivace, infine un po’di sfida e di spirito di competizione per vedere chi perprimo arriva a risolvere le difficoltà. Con attenzione in-troducete altri due ingredienti: una versione accurata-mente selezionata sia per la sua significatività semanticasia per la sua rappresentatività rispetto a un autore o ad al-cuni aspetti morfo-sintattici, un atteggiamento incorag-giante e volto a stimolare la fantasia e la creatività deglistudenti più grandi, ma anche ad attivarne le competenze.

Mescolate con cura e vedrete piano piano lievitare sottoi vostri occhi Vertere, un’esperienza di laboratorio di tra-duzione dal greco e dal latino attuata già da due anni nelLiceo classico “G. Casiraghi”, immerso nel Parco Nord,a Cinisello Balsamo (Milano).

Le attivitàIn sintesi: un laboratorio di traduzione a cadenza quindi-cinale, in cui vengono invitati come forma di recupero uf-ficiale gli studenti con valutazione insufficiente frequen-tanti le prime quattro classi del liceo classico, scelti sullabase delle valutazioni e comunque a discrezione del do-cente della classe, e in cui sono anche coinvolti, su basevolontaria, gli studenti delle classi finali (V e IV; talora,nella fase finale dell’anno, anche III) con funzione di tu-

VertereLaura Bartolini

NON SOLO PEER TO PEER: ATTIVITÀ E RISULTATI DI UN’ESPERIENZA DI LABORATORIO DI TRADUZIONE

PER IL RECUPERO DELLE INSUFFICIENZE, CHE È STATA ATTUATA CON SUCCESSO PRESSO IL LICEO

CLASSICO G. CASIRAGHI DI CINISELLO BALSAMO (MI).

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PERCORSI DIDATTICI

tor. Anche l’attività di questi ultimi viene documentata epuò essere utilizzata per il credito scolastico e, essendo subase volontaria, capita, anzi, è addirittura auspicabile,che ricoprano questo ruolo anche studenti con profittonello scritto non sufficiente o appena sufficiente. L’attivitàha inizio a novembre e si conclude ad aprile, ma coinvolgegli studenti delle classi prime solo a partire da gennaio.Diversi sono i bisogni e le finalità a cui questa iniziativarisponde, in relazione ai diversi destinatari: è infatti un’at-tività di recupero formalizzato, in orario extra scolastico,per i recuperandi, di eccellenza e di potenziamento, a se-conda dei casi, per i tutor. La flessibilità del progettorende infatti possibile anche un lavoro specifico per le ec-cellenze, mirato, per esempio, alla partecipazione a qual-che concorso di traduzione oppure all’approfondimento dialcuni aspetti, sempre legati al testo e alla sua traduzione,che difficilmente trovano spazio nell’attività curricolare. L’idea di base è semplice, già testata e sostenuta da unacopiosa letteratura: il peer to peer, ovvero la forma diaiuto allo studio attuata tra pari. Ma in questo caso c’èqualcosa di più: il coinvolgimento attivo e indispensabiledi tutti i docenti. È loro il compito preliminare di “arruo-lare” e “distribuire” i tutor assegnandoli alle varie classiin relazione ai numeri dei partecipanti ma anche alle lorostesse caratteristiche (legate sia al profitto, sia alla per-sonalità, sia alle preferenze che i ragazzi possono segna-lare quando danno la propria disponibilità), di scegliere itesti per i vari livelli (uno per fascia, ma talvolta occorronomirate revisioni solo per un gruppo classe), infine diprovvedere alla “formazione” dei tutor in due diversedirezioni. Da una parte è necessario infatti attivarne e co-

ordinarne gli interventi, per esempio mostrando i punti sa-lienti del testo, evidenziando le difficoltà che presumi-bilmente i recuperandi incontreranno, indicando le stradeda percorrere per dare un aiuto efficace ed evitare che illoro entusiasmo (davvero alla lettera, il loro “metterci ilcuore”) si trasformi in semplice suggerimento della so-luzione del problema agli studenti più piccoli. Dall’altradevono sollecitare i tutor a una lettura più approfonditadel testo, guidando riflessioni, a seconda dei casi, sullostile, sul lessico, sulla struttura testuale, sul collegamentocon altri testi, perché l’esperienza risulti formativa ancheper loro. Infine i docenti supervisionano l’attività del la-boratorio, con mirati e opportuni interventi.

I risultatiI risultati? Miglioramenti si riscontrano mediamente sianei recuperandi, soprattutto per i casi di insufficienzanon gravissima, sia nei tutor, spesso spinti dalla necessità,per gestire il loro ruolo, di rivedere e focalizzare i nucleifondanti della lingua e di ripensare alla metodologia dellatraduzione. La pratica ha inoltre evidenziato come, graziea un’attività di questo tipo, si attivino numerose compe-tenze (cittadinanza attiva, interpersonali, intra personali,comunicative, spirito di iniziativa) e si raggiunga unobiettivo a lungo perseguito e difficilmente ottenuto nellascuola italiana: il lavoro di squadra sia tra docenti sia tradocenti e studenti. Su un altro versante, tanto più in tempidi spending review, è opportuno sottolineare come atti-vando progetti come questo si ottenga un uso più effi-ciente delle risorse a disposizione della scuola: i docentinecessari per gestire ogni incontro sono due o tre, certa-mente un numero inferiore rispetto a un recupero tradi-zionale e, inoltre, la cadenza frequente e spalmata subuona parte dell’anno scolastico, rende questo appunta-mento didatticamente significativo. Altro aspetto, non meno importante, riguarda la parteci-pazione e il coinvolgimento personale degli studenti: hasorpreso anche noi verificare come, grazie al semplicepassaparola, molti di loro abbiano desiderato sperimentarealmeno una volta il ruolo di tutor e molti siano stati an-che i fedelissimi collaboratori dell’iniziativa. E poi, dul-cis in fundo, Vertere ha offerto la possibilità di creare nellanostra scuola un ambiente dinamico e vivo anche al po-meriggio, un ambiente in cui è piacevole studiare e con-frontarsi con le proprie difficoltà e risorse; il tutto in unallegro e operoso viavai di studenti e docenti.Perché l’entusiasmo, lo sanno tutti, è contagioso.

Laura BartoliniDocente di latino e greco presso il liceo classico G. Casiraghi

Cinisello Balsamo (Mi)

La peer to peer education: un esempio.

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PERCORSI DIDATTICI

Un progetto di insegnamento di “Cittadinanza eCostituzione” coerente con il percorso geosto-rico costituzionale proposto in questa sede, non

avulso o calato dall’alto a caso con l’unico scopo di ot-temperare burocraticamente alla normativa ministerialevigente, può consistere nell’usufruire delle opportunitàdi dibattito democratico che l’istituzione scolastica of-fre regolarmente al suo interno: il regolamento d’istitutoe il patto di corresponsabilità siglati a inizio anno sco-lastico con le classi possono essere infatti analizzati congli studenti, qualora il docente di storia e geografia siao meno il coordinatore di classe, quali esempi di “co-stituzioni” della comunità scolastica, ovvero una mi-crosocietà simile a una piccola polis, divisa in classi chesi dotano di un codice di regole condivise, da appenderealle pareti dell’aula come una politeia fondante delgruppo classe.

Una analogia con i principi della polis anticaAlcune regole da approvare e far applicare durantel’anno scolastico risalgono a principi sanciti dal consi-glio di classe che possono essere correttamente para-gonati con i principi della polis antica, usando propriola terminologia greca per indurre gli studenti a consi-derare lo spirito costituzionale greco vivo e attuale:sarà allora importante porre in evidenza l’isonomia,ovvero il trattamento uguale di tutti gli studenti e l’ap-plicazione delle stesse regole per tutti, con elezione aturno dei rappresentanti e sorteggio, a esempio per in-terrogazioni da rispettare o incarichi da portare a ter-mine; la parrhesia, ovvero il diritto di libertà di parola

di tutti, purché non si offendano le persone o le istitu-zioni scolastiche; l’isegoria, ovvero il diritto di tutti diparlare durante le assemblee di classe, ponendo però unlimite di tempo cui attenersi come nelle antiche assem-blee greche, senza urlare coprendo reciprocamente l’in-tervento altrui (pessimo esempio di comportamento vi-sibile quotidianamente in televisione); l’eunomia,ovvero il buon funzionamento del gruppo classe, da ve-rificare periodicamente, mensilmente o almeno al ter-mine di ogni trimestre o quadrimestre con una riunionedi classe, chiamata naturalmente ekklesia; infine l’au-tonomia del gruppo classe, che prevede la partecipa-zione a progetti di gruppo cui tutti sono tenuti a contri-buire se sono stati concordati, cioè secondo homonoia.Anche il meccanismo delle sanzioni cui lo studente vaincontro se viola i patti stabiliti a inizio anno sono chia-ramente in rapporto con il mondo politico antico: unasanzione come la sospensione dalle lezioni, attuabile perparere comune dei docenti, degli studenti, della diri-genza e dei genitori, nel caso di gravi violazioni delleregole d’istituto o di classe, sarà quindi paragonabile al-l’ostracismo; per chi invece nel corso dell’anno sov-verta l’istituzione democratica così regolata, a esempiocon atti di bullismo per intimorire i compagni di classe,si attuerà invece una sanzione simile alla graphe para-nomon, ovvero quel provvedimento giuridico atenieseper cui un cittadino poteva essere accusato e processatoper aver pronunciato nell’assemblea popolare una pro-posta contraria alle leggi e, quindi, alla democrazia, an-che nel caso in cui tale proposta fosse stata accolta e so-stenuta dall’assemblea stessa, per paura di ritorsioni incaso contrario.

Dalla polis democratica alla democrazia scolasticaPer l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”Igor Campagnola

REGOLAMENTO DI ISTITUTO E PATTO DI CORRESPONSABILITÀ POSSONO ESSERE UTILIZZATI COME

ESEMPIO DI “COSTITUZIONE” DELLA COMUNITÀ SCOLASTICA, SUI QUALI FONDARE UNA POLITEIA DEL

GRUPPO CLASSE.

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PERCORSI DIDATTICI

Un approccio empaticoIl dibattito democratico antico così tradotto all’interno delgruppo classe, in particolare di gruppi classe difficili dagestire per gravi discordie interne, ovvero le staseis, puòcostituire un approccio empatico alla disciplina giuridicae costituzionale, specialmente nel momento in cui sifonda la piccola comunità che sarà chiamata a conviverecivilmente, gomito a gomito, nel corso dell’anno scola-stico, si spera per più anni consecutivi: la classe e lascuola diventano così un primo esempio di democraziaagita giorno per giorno e messa di fronte a problematichenuove con l’evoluzione sociologica e tecnologica deglistudenti, di cui l’uso indiscriminato dei telefoni cellulariè solo uno degli esempi più recenti e fastidiosi.Ritengo importante che tali principi siano affissi alle pa-reti insieme alle regole di classe che ne deriveranno, cosìche gli allievi abbiano davanti a sé un contesto in parte si-mile a quello della fase costitutiva aurale, in cui il testo eracodificato con finalità sacrale e monumentale ancoraprima che per essere letto; è chiaro che, anche nella scuolamultimediale contemporanea, potrà essere divertente porretale politeia o “costituzione fondativa” prima su supportografico (i cosiddetti cartelloni) e poi, in un secondo mo-mento, tradurre i frutti di tale assemblea costituente susupporto digitale, slides o elaborati in power-point, daconservare su chiavetta: simbolicamente e fisicamentesarà allora consegnata la chiavetta con le regole dellaclasse ai rappresentanti degli studenti, così come si con-segnano le chiavi di una città ai suoi rappresentanti.

La pratica didatticaNella prassi didattica quotidiana si cercherà in questomodo di attuare fin dall’inizio del percorso un “dibattitopermanente” particolarmente utile a sviluppare capacitàdi problem solving: esso può essere introdotto durante latrattazione stessa delle costituzioni antiche, in base alledomande degli allievi e alla propensione del docente a te-nere una lezione dialogica piuttosto che frontale, ma l’at-tuazione in forma ludica, socializzante e partecipativa(learning by doing) avrà sicuramente un impatto diversosugli allievi, mentre in un secondo momento, quando glistudenti padroneggeranno i requisiti di partenza, si potràeffettuare un confronto teorico fra costituzioni antiche ecostituzioni moderne (reflective learning).Quando gli studenti avranno imparato a interagire cor-rettamente all’interno dell’istituzione scolastica supe-riore, ovvero nella seconda parte del primo anno, magaridurante gli eventuali periodi di autogestione o di coge-stione richiesti dai rappresentanti d’istituto degli studentisecondo le norme o consuetudini proprie di ogni istitutonei mesi di febbraio o di marzo, si potrà proporre l’ana-

lisi dei principi fondamentali della Costituzione italianacercando di ridare un senso alle parole usate dai padri co-stituenti, un valido esercizio linguistico e storico al con-tempo: attraverso lo studio anche etimologico dei ter-mini usati nella Costituzione si creerà naturalmente unponte con l’antichità greca e romana di cui, più o menoconsapevolmente, è intrisa la nostra società contempora-nea. Ritengo importante, però, non cadere nella retoricadeteriore, chiedendo agli studenti di esercitare il loro spi-rito critico durante questa rilettura meditata e consapevoledei principi della Costituzione per coglierne la vitalità eal contempo le inadempienze, anche gravi, che purtroppocaratterizzano il nostro tempo.

Lo studio della CostituzioneI principi della Costituzione sono dodici, un numero li-mitato di articoli sintetici che può essere suddiviso fra gliallievi per un lavoro di analisi a coppie: ogni coppia do-vrà leggere attentamente l’articolo rispondendo a do-mande fornite dal docente, che potranno essere sviluppateanche tramite ricerche autonome, al fine di produrre un te-sto scritto o una presentazione in power-point che con-tenga un confronto fra uno ieri (l’età dei padri costituenti,ma anche l’antichità greco-romana) e un oggi (la con-temporaneità), distinguendo spazialmente, sul cartelloneo sulle slides da presentare, a sinistra le parole usate nellaCostituzione con la loro etimologia, a destra le proble-matiche attuali e i casi in cui il principio non è rispettatoappieno. Si può qui analizzare, a titolo esemplificativo, ilprimo articolo della Costituzione italiana:

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme enei limiti della Costituzione.

Le domande poste da una griglia fornita dal docente ri-guarderanno a esempio i seguenti aspetti:● Repubblica è un termine latino: che cosa significa? Qual

era la forma costituzionale della repubblica romana?● democratica è un aggettivo greco: che cosa significa?

Qual era il significato originario del termine? Quale co-stituzione greca antica fu la più “democratica”?

● fondata sul lavoro: ti pare attuato oggi questo principio?Su che cos’erano fondate invece le costituzioni antichee quelle liberali ottocentesche?

● sovranità: quale forma di governo prevede un sovrano?Perché la sovranità del popolo deve essere regolata e li-mitata dalla Costituzione? Quando nacquero i diritti ina-lienabili dell’uomo?

È evidente che gli allievi vengono così stimolati a sof-fermarsi sui termini lessicali pregnanti ed estremamente

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PERCORSI DIDATTICI

significativi del testo, ricercando elementi di continuità odifferenziazione con il passato greco-romano, a partireproprio dal binomio ibrido, latino e greco, “Repubblicademocratica”. La riflessione critica sul presente viene in-vece incentivata, in un momento di disoccupazione cro-nica, e in particolare di disoccupazione giovanile, dalla ri-flessione sulla diversa base costitutiva del corpo elettorale:il lavoro nell’Italia contemporanea, il censo nelle costi-tuzioni antiche e in quelle liberali precedenti la Repub-blica, che si inventarono il concetto di “stato polizia”,usando anche in questo caso un grecismo che stravolse ilsenso originario del termine politeia.Così come le differenze di censo portarono a contrasti so-ciali nella Sparta o nella Roma di età ellenistica, ancheoggi la differenza esasperata di censo e, quindi, di possi-bilità di accesso all’istruzione, ai servizi sociali, sanitarie culturali, costituisce uno fra i problemi maggiori per ledemocrazie odierne, con il rischio di una scomposizionedella società globale in tre parti: una ristretta aristocraziamondiale a livello economico, che finanzia in base aipropri interessi un’aristocrazia scientifica avanzata, che

poco si interessa della massa di esclusi, sia dal sapere, siadai consumi. Anche a un livello meno ideologico e astrattodello studio costituzionale l’esperienza greco-romana ri-sulta imprescindibile: come comprendere altrimenti il di-battito riguardante la democrazia diretta ateniese con-trapposta a quella moderna rappresentativa iniziato nientemeno che da Jean-Jacques Rousseau nel suo Contrat so-cial del 1762, in aperta polemica con il sistema elettivo in-glese, che illude i sudditi di essere liberi, mentre essi losono solo una volta ogni quattro anni, per poi essereschiavi di coloro che hanno votato?

Una attività didattica per gli ultimi giorni di scuolaIl referendum, previsto dalla nostra Costituzione, è, aesempio, un tentativo di riportare in vita una modalità didemocrazia diretta, niente affatto trascurabile visto che lanostra Repubblica ha avuto avvio da una votazione di taletipologia. Cercando allora di rendere un po’ meno astrattaed estemporanea la festa nazionale del 2 giugno, reintro-dotta nel calendario scolastico nel 2001 con la Legge 20

Un momento assembleare.

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PERCORSI DIDATTICI

novembre 2000 n. 336, si potrebbe proporre agli studentiuna riflessione guidata sulla nascita della Costituzione ita-liana, ripercorrendone le tappe fondamentali e insegnandoagli allievi quale ruolo ebbero le personalità politicheche dovettero scrivere tale testo, un ruolo a tutti gli effettinon così lontano da quello dei nomoteti delle antiche po-leis greche. È evidente che un tale progetto di fine annoscolastico, nel mese di giugno, assume un’altra valenza segiunge al termine di un percorso costituzionale già avviatocon la classe, che può mettere in pratica le competenze ac-quisite non solo attraverso una prova semistrutturata (test)relativa alle proprie conoscenze, bensì tramite l’organiz-zazione di una giornata di dibattito, di ricordo e di rifles-sione problematica sul futuro.L’attività proposta, adatta per gli ultimi giorni di scuola,quando gli studenti sono meno propensi all’ascolto di le-zioni frontali, prevede il coinvolgimento attivo degli stu-denti e un lavoro a piccoli gruppi: ogni gruppo avrà untempo prestabilito per approntare un cartellone o unapresentazione in power-point in cui si evidenzino in modosintetico le domande poste dagli studenti, alle quali si ri-sponde con l’esito di eventuali ricerche individuali suproblematiche di particolare interesse e, ovviamente, conriferimenti al percorso didattico svolto.Si può organizzare il dibattito, di cui deve rimanere trac-cia scritta nelle modalità suggerite per favorirne la me-morizzazione, improntando il confronto fra un noi (i mo-derni) e un loro (gli antichi) mediante una distinzionespaziale sul cartellone o sulle slides da presentare cheponga a sinistra le opinioni degli antichi, a destra l’evolu-zione costituzionale moderna e le problematiche attuali. Letematiche possono essere assegnate al gruppo di lavoro a

scelta degli allievi o per sorteggio tra una rosa di argomentiche abbiano suscitato domande in classe, quali a esempio:● la schiavitù, il pensiero antico, la sua abolizione in età

recente, la sua permanenza sotto forma di sfruttamentoeconomico;

● gli stranieri, la concessione dei diritti di cittadinanza, lemigrazioni in atto in particolare nel bacino del Medi-terraneo;

● le forme della democrazia, la democrazia diretta equella rappresentativa, il referendum;

● la libertà di espressione e il diritto di parola, l’ostraci-smo, la censura presso i Romani e nel mondo contem-poraneo;

● il suffragio e la concessione del diritto di voto, le ti-mocrazie antiche, gli stati liberali oligarchici del XIXsecolo; il voto alle donne.

Questa attività ha il pregio di poter essere svolta anchementre il docente interroga oralmente i singoli studenti: sipuò così affiancare alla valutazione tradizionale un’attivitàpiù partecipativa nella quale gli studenti non interrogati de-vono procedere con il lavoro di gruppo, che sarà valutatodal docente sia dal punto di vista comportamentale, sia peri suoi risultati, grafici, con la correzione del materiale ap-prontato dagli studenti, e orali, nel caso in cui vi sia la pos-sibilità di far esporre da parte dei gruppi di lavoro i proprielaborati al resto della classe. Sarebbe opportuno che tuttigli argomenti proposti venissero trattati, e non è esclusoche, nelle attuali classi iniziali molto numerose (30-35 al-lievi), si creino due gruppi per ogni tematica, in modo daconfrontare i risultati ottenuti dalla ricerca.

Igor CampagnolaDocente liceo classico, I.I.S. “Enrico Fermi” - Arona (NO)

� BIBLIOGRAFIA �

Augé M., Che fine ha fatto il futuro? Dai nonluoghi al nontempo,Milano 2009.Mantellini G.,Valente D., Il bello delle regole. Lezioni diCittadinanza e Costituzione, Milano 2010.Marcone A., Democrazie antiche. Istituzioni e pensiero politico,Roma-Bari 2006.Mattozzi I., La didattica dell’antico, Roma 2006.Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro,Milano 2001.Zagrebelsky G., Questa repubblica. Corsi di educazione civicaper le scuole superiori, Firenze 1993.Zagrebelsky G., Imparare democrazia, Torino 2007.

Un momento assembleare.

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PERCORSI DIDATTICI

Senza lettura non c’è comprensione, non c’è conoscenza, non c’è competenza e non c’è pensiero

Annamaria Testa1

Inostri studenti leggono sempre meno e faticano aconcentrarsi sulla pagina scritta. Urge proporre mo-dalità didattiche che riportino l’attenzione su questa

azione spesso trascurata anche dagli insegnanti.

Lettura e web

Non è strano che la cultura possa essere indebolita da un eccesodi informazione che impedisce di selezionare e di riflettere e

mette in difficoltà i tempi dell’autentica cultura che non ècumulo di nozioni bensì capacità critica e autocritica,

passione e distanzaClaudio Magris2

La lettura profonda e consapevole è minacciata dall’usodel web che ne ha completamente modificato le modalità.Quando andiamo on line, infatti, entriamo in un ambienteche favorisce la lettura rapida, ricca di informazioni e va-rie interazioni (link, video, ...) tali da indurre il nostro cer-vello a sviluppare nuovi circuiti per scorrere e filtrare iflussi di dati. Questa modalità non facilita la concentra-zione, diminuisce la capacità di lettura di testi di unacerta lunghezza e mina anche la memoria a lungo termine,facoltà cognitiva fondamentale per l’apprendimento. D’al-tra parte i nostri studenti, nativi digitali per eccellenza,presentano diversi stili di attenzione fra cui prevale quellofluttuante tipico del multitasking.Si tratta, dunque, di avviare processi di apprendimento cheritornino a una lettura accurata e personale dei testi ac-compagnata da una fruizione più consapevole degli stru-menti ricchissimi della Rete a partire da un monitoraggiometacognitivo delle proprie intenzioni e finalità quando siè on line. Attenzione, valutazione critica delle informa-

zioni e anche gestione degli aspetti sociali della Rete sonoquelle competenze di base necessarie per utilizzare inmodo efficace le tecnologie digitali come proposto dal Par-lamento europeo e dal Consiglio del 18 dicembre 2006.

Elogio della lettura

Non c’è bisogno di dire che leggere è bello, utile, arricchente eprezioso, in, cult, must, trendy ...

Chi legge sa che cosa è leggere. Chi vuole provare, provi. Noisottintendiamo solo, con un piccolo gioco di parole, che esiste

una felicità del leggere, un’allegria di chi è lettorePaola Mastrocola3

Se l’uso del web modifica le modalità di lettura è neces-sario che la scuola dimostri che leggere – e saperlo farein modo consapevole e profondo – è un vantaggio primaancora che un dovere. Ogni anno quando spiego Edvard Munch entro in classee inizio a leggere brani scritti dall’artista e sento che l’at-tenzione si acuisce. Ho la conferma di ciò che Cesare Pa-vese scriveva nel 1938 nel suo Mestiere di scrivere: «Leg-gendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noipensati, che acquistano nella pagina un suggello di con-ferma».La lettura di scritti di artisti apre una breccia nel mondodei giovani e può veicolare una conoscenza approfondita.Spesso dimentichiamo che l’arte innnanzitutto racconta eche parla del suo tempo come neppure i libri di storia tal-volta riescono a fare; attraverso la voce degli artisti pos-

Giovanni SegantiniLeggere per capire l’arteLucia Danioni

UNA PROPOSTA DIDATTICA INTERDISCIPLINARE, RIVOLTA A UNA CLASSE QUINTA DI LICEO

SCIENTIFICO, PER SVILUPPARE LA COMPRENSIONE DEL MAESTRO DEL DIVISIONISMO ITALIANO.DISCIPLINE COINVOLTE: ITALIANO E STORIA DELL’ARTE.

1. A. Testa, Se tutti faticano a leggere, perchè non scrivere più chiaro? in nuo-voeutile.it 2. C. Magris, L’eccesso di notizie semina ignoranza, «Corriere della Sera», 26febbraio 2014, p. 33.3. P. Mastrocola, Il manifesto della parola bandita, «La Stampa», 2 marzo 2010.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV60

PERCORSI DIDATTICI

siamo sperimentare l’emozione di viaggiare nel tempo edi essere contemporaneamente in più luoghi. Questo ap-proccio metodologico richiede tempo e non può essere ap-plicato costantemente, ma presenta indubbi vantaggi di-dattici di tipo interdisciplinare. Una buona lettura aiuta,infatti, a dare forma adeguata alle proprie idee, predisponea usare una lingua in modo corretto, sperimentando dif-ferenti registri comunicativi.

La proposta didattica: soggetto, obiettivi,modalità e prodotto finaleRivolta a una classe quinta di liceo scientifico, l’attivitàsi focalizza sul pittore Giovanni Segantini e presenta unafase di lettura e comprensione di testi e un’altra, sottoforma di esercizi, che prevede un uso guidato e consape-vole della Rete. Il lavoro dovrà concretizzarsi in un dos-sier testo/immagini che supporti un’uscita didattica inpinacoteca sulle tracce di Segantini. Suddiviso in quattrocapitoli – cenni biografici, naturalismo e simbolismo,opere e tecnica pittorica – il documento sarà realizzato informato digitale e inserito sul sito ufficiale della scuola.I principali obiettivi didattici sono:● potenziare l’attività di lettura come strumento impre-

scindibile di conoscenza;● cogliere gli aspetti interdisciplinari del tema oggetto

d’indagine;● utilizzare le risorse digitali in modo critico; ● comunicare in modo corretto, chiaro e accattivante

quanto reperito;● costruire strumenti utili per una visita didattica.

L’approfondimento richiede l’azione sinergica dei docentidi storia dell’arte, italiano e storia con una programma-zione iniziale che concordi i tempi di realizzazione. Il do-cente di italiano, a esempio, potrà analizzare il linguaggioe lo stile degli scritti di Segantini e commentare i riferi-menti dell’artista a D’Annunzio e Carducci.La proposta ha il vantaggio di poter avvicinare i grandidell’arte in modo empatico; per questa ragione sarebbepreferibile che insegnanti e studenti concordassero in-sieme il soggetto. La conduzione del lavoro dovrà consi-derare le caratteristiche del gruppo. Alcuni brani potreb-bero, a esempio, essere letti ad alta voce in classe,prevedendo la compresenza del docente di storia del-l’arte e di quello di letteratura italiana. Altri passi po-trebbero essere affidati a gruppi ristretti di studenti chepresenteranno ai compagni i risultati del loro studio. È importante programmare le attività in modo che gli stu-denti abbiano ben chiara l’idea della costruzione del dos-sier come risultato dell’impegno individuale e di gruppo. Una riflessione potrà essere svolta anche sulle modalità di

comunicazione di quanto elaborato affinché il patrimoniodi conoscenze non rimanga all’interno del gruppo classe.Oltre che sul sito della scuola, i materiali potrebbero es-sere presentati in una lezione condotta dagli studenti e ri-volta ad altri compagni o trovare modalità di diffusioneanche in realtà culturali del territorio.

Il testo di riferimentoI brani scelti per la lettura sono tratti da Scritti e lettere diGiovanni Segantini pubblicato nel 1910 a cura di BiancaSegantini, nata nel 1886 e quartogenita dell’artista. Il te-sto è consultabile all’indirizzo www.archive.org/stream/scrittielettere00sega#page/n7/mode/2up. Per il lavoro inclasse è utile stampare i passi scelti o, qualora la scuolapossegga un laboratorio informatico, si privilegerà laconsultazione digitale.Gli scritti proposti si connettono strettamente alla produ-zione di Segantini illustrando in modo originale diversiaspetti della sua poetica compositiva.

Giovanni Segantini: cenni biograficiL’artista, nato ad Arco di Trento nel 1858, così si auto-presenta: «Nome di mio padre, Agostino; di mia madreMargherita de Girardi di Castello; questa morì in Trentoall’età di 25 anni; fui a Trento colla famiglia fino all’etàdi 5 anni incirca ... partì da Trento che avevo circa 6 annie venni a Milano col padre. Entrai all’Accademia di Mi-lano all’età di 18 anni e ne uscii a 20 disgustato e più nonvi tornai»4. In una lettera inviata alla scrittrice Neera del 18965 Se-gantini delinea le fasi della sua produzione che sono an-che specificate in un’altra lettera del 1898 all’amico poetaDomenico Tumiati6 (allegato 1); quest’ultimo documentoè interessante perché l’artista per ogni singolo periodoelenca le opere prodotte. Milano, la Brianza, lo sposta-mento a Savognino nei Grigioni e, infine, il Maloja se-gnano le principali tappe di questa ascesi artistica.I due brani letti in classe costituiscono, reciprocamente in-tegrati, una traccia iniziale delle vicende artistico/umanedel pittore individuando il progressivo abbandono dellaformazione accademica, sostanzialmente ancora ispirataa un verismo a volte mediato dall’esperienza lombardadella Scapigliatura per sperimentare sia la tecnica del di-visionismo sia la preferenza per i nuovi temi della pitturadefinita da molti suoi contemporanei ideista.

4. Lettera al signor Zippel, Savognino, 4.8.1891 in B. Segantini, Scritti e letteredi Giovanni Segantini, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, p. 195.5. Ibi, pp. 83-85. 6. Ibi, pp. 101-105.

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Esercizi. Scoprire la biografia di GiovanniSegantiniNei testi proposti l’artista non riferisce date precise che in-dividuano i luoghi corrispondenti ad altrettante fasi delsuo iter artistico.Consultando www.segantini.com/it/giovanni-segantini-it, sito ufficiale del Centro Segantini-Maloja, puntualizzala cronologia degli spostamenti compiuti dall’artista.Costruisci una tabella indicando su distinte colonne pe-riodo cronologico, luogo e opere prodotte.

Naturalismo e simbolismo La sezione Così penso e sento la pittura è utile per capirela filosofia dell’artista; emerge, infatti, il ruolo della naturacome motore della creazione artistica. Segantini scrive:«Un’opera d’arte dovrebbe essere l’incarnazione dell’io

con la natura, non l’incarnazione del pensiero d’un terzocon l’io in una natura di convenzioni. Il pensiero dell’ar-tista deve liberamente correre alle limpide e sempre fre-sche sorgenti della natura, eternamente giovane, eterna-mente bella, eternamente vergine. È lì l’ovaia sacradell’arte in cui il pensiero si feconda e prolifica; è appuntonella natura che l’idea si ingenera e si matura, senza biso-gnio che alcuno vi comunichi o vi infiltri quel raggio chedovrebbe vivificare le concezioni dell’artista»7.L’importanza della riproduzione della natura è sottolineataanche in un altro passo della lettera inviata alla scrittriceNeera dove si legge: «Scopo finale del mio continuo stu-

Allegato 1: Bianca Segantini, Scritti e lettere di GiovanniSegantini, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, pp. 101-105.

Maloja, 29. v. 98.Caro Tumiati,(...)Subito che presi nelle mani i colori, dipinsi l’interno del coro dellachiesa di Sant’Antonio a Milano, poi la camera ardente d’un Prode,una Pescivendola, una Falconiera, qualche paesaggio e qualcheinterno di stalla, studii fatti nei dintorni di Milano. Tutti questilavori avevano tendenze divisioniste; ma da noi, a quei tempi, nonsi conosceva questa conquista dell’arte che la scienza consolidavapiù tardi, ed i pontillonisti applicavano all’arte della pittura.(...)Giunto in Brianza, non m misi però a studiare queste mie ideesull’armonia espressiva della colorazione, ma tentai di riprodurredei sentimenti che provavo, specialmente nelle ore della sera, dopoil tramonto, quando il mio animo si disponeva a soavi melanconie.Questo tempo durò dal 1882 al 1885 e vi composi una quantità diopere pastorali, fra le quali Vi dò il nome di qualcuno ehe ricordo: Uno di più - Un bacio alla croce - Un effetto di luna - I nostri morti(Museo di Berlino) - Al fonte - Un pastore innamorato - Un giornodi San Sebastiano - Ave Maria a trasbordo (grande medaglia d'oro,Amsterdam, 1883) - Temporale sulle Alpi - Ultima fatica del giorno(prima medaglia d’oro, Guatemala, 1898) - La fede (Museo diBerlino) - Cavalli al guado - Ritorno all’ovile - Pastoreaddormentato - Raccolta delle zucche - La culla vuota - Babbo èmorto - Gli orfani - Pastorale - Le due madri - Maggio - Amore suimonti - Idillio - La fascina - Ritorno dal pascolo. Nei primi tempi, per poter meglio esprimere le mie sensazioniemozionali, ed animare anche tutto l’ambiente dell’opera mia diquel poetico-pittorico sentimentale cha era nel mio spirito, miemancipai dai freddi modelli. Andavo fuori, aoleinente nelle ore deltramonto, per vedere e sentire le impressioni che poi di giornoriportavo sulla tela. Qualche volta mi sentivo impotente a dar formaalle idee che germogliavano entro il mio spirito: pensai allora distudiare e conquistare la Natura, uscendo quasi dal mio sentimento

intimo. Composi, studiandole dal vero, le opere seguenti: Il raccolto dei bozzoli - Il reddito del pastore - I zampognari - Latosatura - Messa prima - Alla stanga (Museo di Roma, grandemedaglia d’oro della città di Amsterdam, 1886). Con questo intermezzo iniziai il secondo periodo passando nelleAlpi dei Grigioni a Savognino. Qui la mia arte prese quel carattereche ancora conserva. Quel misterioso divisionismo dei colori chevoi vedete nell’opera mia, non è che naturale ricerca della luce. Qui il mio spirito si riempiva d’una grande gioia, gli occhi siestasiavano nell’azzurro del cielo, nel verde tenero dei pascoli eguardavo le superbe catene dei monti colla speranza di conquistarle.Incominciando a tener calcolo del colore come bellezza armonica,presi a studiare quadri d’animali, essendo il paese molto dedito allapastorizia, e composi i quadri seguenti: L’autunno (vacca bianca) - La pastora - Vacca bruna al trogolo(pascoli) - Lo squagliarsi delle nevi a Savognino (intimo) - Vaccheaggiogate (grande medaglia d’oro a Parigi, 1889) - Il fruttodell’amore (accordi pittorici da un fiore delle Alpi) - L’Aratura(grande inedaglia d’oro dal Ministero della Pubblica Istruzione) -La montanara - I miei modelli (effetto di lanterna) - Mezzogiornosulle Alpi (pastora) - Ritorno dal bosco (di sera, effetto di neve) -L’eterno amore, La vita eterna, L’eterno dolore (pastelli) - Le madri(effetto di lanterna, gran medaglia d’oro dello Stato, Vienna, 1896)- Meriggio (medaglia d’oro di 1a classe, Monaco, 1892) - All’ovile(effetto di lanterna) - Vacca macchiata - Alpe di maggio - Castigodelle lussuriose - (Mus. di Liverpool) - Riposo all’ombra - Albalcone - Giorno di pioggia (vacche che tornano all’ovile) - Pascolialpini - Le cattive madri - L’angelo della vita; ed una trentina didisegni. Dopo questi lavori salii subito quassù al Maloja e subito dipinsi: Il ritorno al paese natìo (premio internazionale del Governo,Venezia, 189;5 Galleria Koenigs) - Pascoli di primavera - Il doloreconfortato dalla fede (Museo di Amburgo) - L’amore alla fontedella vita (medaglia d’oro di 1° grado, Dresda, 1897) - Ritratto dibenefattore (di commissione dell’Ospedale Maggiore di Milano) -La fonte del male (la vanità) - Figurazione della primavera sulleAlpi (Museo di San Francisco).

7. Ibi, p. 33.

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diare: impossessarmi assolutamente, francamente di tuttala natura, in tutte le gradazioni, dall’alba al tramonto, daltramonto all’alba, colla relativa struttura e forma di tuttele cose; così per gli uomini come per gli animali, ondecreare poi energicamente, divinamente l’opera che saràtutta ideale».Questo realismo diventerà con gli anni specchio dellavita interiore dell’artista: le Alpi svizzere, in particolare,si trasformano in una sorta di patria elettiva e luogo dellamente. Alcuni storici paragonano l’amore di Segantini peri paesaggi dell’Engadina a ciò che avverrà per Cèzannecon la montagna Saincte Victorie.Nell’ultimo Segantini la natura diviene foresta di simbolia tal punto che naturalismo e simbolismo diventano i duetermini di un’identica equazione; questo dualismo è ano-malo nel contesto di fine XIX secolo quando il simboli-smo è tendenzialmente percepito come antitetico al na-turalismo, ma è proprio la fusione di questi due opposti laricchezza del linguaggio segantiniano. Quasi tutti i dipintirealizzati a Savognino e Maloja riproducono realtà oro-grafiche esistenti anche se a volte ricomposte in manieraarbitraria. Se, dunque, la rappresentazione realista discuola lombarda non fu mai del tutto abbandonata, nel-l’ultimo decennio di vita Segantini ricorre a uno schemacompositivo che offre un certo grado di astrazione visiva.Nei suoi paesaggi montani non ritrae quasi mai ghiacciai,abissi, burroni, ma riprende pianori per campiture per lopiù parallele o delineate da curve concave e convesse chesi chiudono all’orizzonte con il profilo delle cime comese fossero osservate dall’alto. Ne deriva, in sintesi, la vi-sione di una montagna antiromantica dove, però, gli ele-menti del paesaggio assurgono a funzione simbolica: lanuvola è presagio di sventura, la neve è assimilabile allamorte, il ruscello al fluire della vita.

Esercizi. Capire il significato della natura neidipinti di SegantiniL’amore per la natura è presente in brani dove l’artista de-scrive le sensazioni provate di fronte a manifestazioni na-turali. Leggi il passo della sezione intitolata Pensieri:

Aprendo la finestra, il sole entrò involgendomi nella sua caldaluce dorata, me tutto mi abbracciò; socchiusi gli occhi inebbriatodal suo bacio di vita, e sentìì che la vita è pur bella, e mi discesenel cuore la gioventù e la speranza dei miei vent’anni. Il cieloè azzurro e profondo, la vallata è inondata di sole, i campi diavena tagliata luccicano al sole come pagliuzze d’oro; c’è nel-l’aria qualcosa di festante. Pensare che ci troviamo a 1200 me-tri sopra il livello del mare!8

Ripercorri il testo e sottolinea le parole che descrivono ilpaesaggio.

Opera allo stesso modo sullo scritto tratto dalla raccoltadi Bianca Segantini9.Rintraccia gli elementi descritti nei due brani nel dipintoPascoli di primavera (figura 1) conservato presso la Pi-nacoteca di Brera di Milano. Dipinto nel 1896 ritrae un pa-scolo contornato dalla catena dei monti della Val Marozzo. Analogo esercizio può essere condotto su un dipinto del1897 Primavera sulle Alpi (figura 2) conservato a NewYork presso French and Company.Ora hai raccolto tutti gli elementi che ti permettono di il-lustrare i due dipinti ricorrendo a frasi di Segantini. Riferimenti al paesaggio sono ancora presenti in questopasso:

Torno da una passeggiata. Sento nel cuore la mia calma abitualee nel cervello come uno sbalordimento, che è effetto del vento.

Fig. 1. G. Segantini, Pascoli di primavera, 1896, olio su tela,95X155 cm., Milano, Pinacoteca di Brera.

Fig. 2. G. Segantini, Primavera sulle Alpi, 1897, olio su tela,116X227 cm., New York, French and Company.

8. Ibi, Dal diario, 1 gennaio 1885 – Savognino, p. 52.9. Ibi, pp. 75-76.

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Intorno, tutto è triste, il cielo è grigio, sporco e basso; soffia unvento di levante che geme come lontana bestia che muore, laneve si stende pesante e malinconica come lenzuolo che coprela morte, i corvi stanno tutti vicini alle case, tutto è fango, laneve sgela10.

Rintraccia in Rete dipinti di Segantini che rappresentinopaesaggi innevati. Ordinali cronologicamente riportandoper ciascuno una didascalia che indichi dimensioni, tec-nica e collocazione. Rifletti sul significato simbolico at-tribuito dall’artista alla neve e componi un breve testo ac-compagnato dalle riproduzioni trovate.Il lavoro proposto può essere assegnato a gruppi di stu-denti. I risultati degli esercizi saranno discussi con tuttala classe per selezionare quelli più significativi da inserirenel dossier generale.

OpereSi propone la lettura dell’allegato 2 dove Segantini de-scrive l’opera che, dipinta a soli ventun anni, riscosse ilprimo successo; nel Coro di Sant’Antonio rivela la suamaestria nella costruzione prospettica degli spazi e nellaraffigurazione dei personaggi; sono visibili sapienti gio-chi di luce capaci di contrastare l’oscurità interna dellachiesa attraverso alcuni raggi di sole che penetrano da unafinestra. Prova finale di prospettiva all’Accademia di Brera,l’opera gli frutterà una medaglia d’argento all’esposi-zione di primavera della scuola, ma soprattutto attirerà

l’attenzione dei fratelli Vittore e Alberto Grubicy, mercantid’arte italo-ungheresi che firmano con lui un contrattoprevedendo un piccolo appannaggio per tutti i quadriprodotti. L’accenno al quadro è importante in quanto, ol-tre alla descrizione del soggetto, Segantini ne spiega latecnica di colorazione.Altri scritti rimandano a specifiche opere. Due missive en-trambe del 1896, la prima indirizzata a Domenico Tu-miati11 e l’altra a Vittorio Zippel12 si riferiscono a L’amorealla fonte della vita; definito da Annie Paule Quinsac «ilpiù preraffaelita dei quadri di Segantini», testimonia letendenze simboliste dell’artista ed è conservato alla Gal-leria d’Arte Moderna di Milano.Nel 1897 l’artista progettò il Panorama dell’Engadina perl’Esposizione Universale del 1900 a Parigi; sviluppò l’ideain collaborazione con il pittore svizzero Giovanni Giaco-metti (1868-1933) e con alcune personalità engadinesi, di-rettori d’albergo e di banca. Segantini presentò il suo pro-getto in una conferenza tenuta il 14 ottobre 1897 aSamaden. Molteplici tracce di questa opera sono presentinegli scritti raccolti dalla figlia Bianca. Può essere utile leg-gere in classe Per spiegare il perché nacque l’idea del Pa-norama (pp. 123-124 del testo di riferimento).Il progetto sfumò per mancanza di fondi nel 1898 e sul fi-nire dell’anno l’artista concepì il Trittico dell’Engadina odella natura. I tre monumentali dipinti a olio (figure 3, 4e 5) oggi conservati al Museo Segantini di St. Moritz, cor-rispondono alla parte centrale di un complesso ciclo pit-torico non realizzato di cui abbiamo testimonianza attra-verso tre disegni conservati presso il citato museo.

10. Ibi, Dal diario, cit., p. 52.11. Ibi, p. 97.12. Ibi, pp. 201-202.

Fig. 3. G. Segantini, La vita,1896-1899, olio su tela,190X322cm, St. Moritz, Segantini Museum.

Allegato 2: Bianca Segantini, Scritti e lettere di GiovanniSegantini, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, pp. 17-18.

(...)Fu nel tempo che frequentavo quest’Accademia, che produssi ilmio primo dipinto ad olio “Il coro della chiesa di Sant’Antonio”.Non avevo certamente inteso di fare un’opera d’art, masemplicemente di provarmi a dipingere. Da una finestra apertaentrava un torrente di luce, che illuminava gli stalli intagliati inlegno del coro: dipnsi questa parte, e la resi con efficace ricercadella luce. Qui subito compresi che, col mescolare i colori sullatavolozza, non si otteneva né luce né aria; trovai il modo di disporlischietti e puri avvicinandoli sulla tela gli uni agli altri, nella stessadose che avrei adoperata mescolandoli sulla tavolozza, lasciandoche la retina dell’occhio li fonda guardando il dipinto a sua naturaldistanza. Ottenni cosi una semovenza delle materie coloranti,creando in tal modo maggior luce, maggior aria e maggior verità.Questo fatto é provato oggidì anche dalla scienza, e molti pittori ditutti i tempi e di tutti i paesi intuirono questa verità: in me sisviluppò naturalmente, nello studio sincero ed amorosamentescrupoloso della natura, dimodochè ha preso una forma personale,individuale, naturalmente spontanea nell’esprimere il colore.Questo per la parte tecnica.

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Destinato a essere presentato all’Esposizione Universaledi Parigi del 1900, il Trittico è la sintesi delle esperienzeartistiche di Segantini dove le allegorie sono armoniosa-mente integrate nel paesaggio. I disegni del progetto ini-ziale mostrano il formato arcuato diviso in due fasce; lavita terrestre presenta nella parte inferiore il suo ciclo tri-partito partendo da una natività contadina, seguita dairitmi dei prodotti dell’agricoltura per terminare in in-verno con un triste corteo innevato che si dirige verso ilmistero delle montagne. Nella parte semicircolare è di-pinto un mondo apertamente simbolico con rappresenta-zioni botaniche – rododendro, stella alpina – metaforedella primavera e dell’estate unite a un mondo celeste chevede luoghi specifici come il villaggio di St. Moritz e vi-sioni di angeli fluttuanti.L’osservazione dei disegni di progetto va associata con lalettura dell’allegato 3 dove Segantini descrive in modopuntuale la sua idea.

Esercizi. La genesi di un capolavoroOsserva i disegni di progetto del Trittico della natura(www.segantini-museum.ch) e confrontali con le tele ef-fettivamente realizzate. Scopri analogie e differenze.Su pagine distinte affianca la soluzione iniziale e la rea-lizzazione effettiva, riporta sotto ciascuna riproduzione ladidascalia completa. Prendendo spunto dall’allegato 3,correda le riproduzioni con le frasi di Segantini che de-scrivono i soggetti.

La tecnica pittoricaGli scritti degli allegati 2 e 4 delineano le modalità di la-voro di Segantini. La tecnica si basa su teorie scientifichedella scomposizione cromatica secondo cui due coloristesi puri sulla tela in pennellate giustapposte sono per-cepiti unificati dalla retina che li legge facendone spon-taneamente una sintesi. I colori così accostati si caricano

Allegato 3: Bianca Segantini, Scritti e lettere di GiovanniSegantini, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, pp. 151-152.

A Zurigo per Parigi.(Come sarebbe stato il Trittico ad opera finita).

Secondo il Suo desiderio, Le ho mandato la fotografia del disegnodell’opera alpina che intendo esporre a Parigi, e che misura 12½metri di lunghezza e 5½ d’altezza.Il primo quadro, “La Natura”, è un effetto d’Autunno, col sole chetramonta dietro ai monti ehe chiudono l’Alta Engadina. La lunettasoprastante è il villaggio di St-Moritz in una notte d’inverno,protetto dai raggi della luna. Nel medaglione di destra una figurasimboleggia il rododendro, la primavera alpina; in quello di sinistrauna figura simboleggia l’edelweiss, l’estate alpino. Così facendointesi di raggruppare e sintetizzare la natura alpestre e le suestagioni.Il quadro di mezzo, la “Vita”, rappresenta la vita di tutte le coseche hanno radice nella terra madre.Le montagne del fondo sono illuminate dal sole che tramonta.Nella lunetta soprastante, il vento soffia sulla terra i due elementidi vita e di morte, l’acqua ed il fuoco. Nei medaglioni a destra esinistra sono due figure simboliche.Il terzo quadro, “La Morte”, rappresenta la morte di tutte le cose. È d’inverno, la Natura è sepolta sotto la neve, le montagne nelfondo sono illuminate dal sole nascente.In un casolare alpino una fanciulla é morta; mentre s’attende alfunerale, nella soprastante lunetta, gli angeli trasportano l’animanella vita eterna. I medaglioni di fianco contengono altre due figuresimboliche. La tappezzeria è da me disegnata e fatta eseguire in lane naturali;anche le cornici sono da me disegnate e modellate. Mi occorre di avere la certezza che una parete di salone di 19½metri sarà riservata per questa mia opera. Ringraziando dell'invito mi tenga per Suo

Devotissimo G. Segantini.

Fig. 4. G. Segantini, La natura, 1897-1899, olio su tela,235X403 cm., St. Moritz, Segantini Museum.

Fig. 5. G. Segantini, La morte, 1896-1899, olio sutela,190X322 cm., St. Moritz, Segantini Museum.

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Allegato 4: Bianca Segantini, Scritti e lettere di GiovanniSegantini, Fratelli Bocca Editori, Torino 1910, pp. 152-154.

Caro ed egregio amico Orsi,(...)Pei colori e la tela mi servo dalla Ditta Lefranc e C. di Parigi; la miatavolozza è la più semplice che imaginar si possa:Blanc d’argent (Carbonate de plomb). Questo bianco non loavvicino mai nè al vermillon nè nè al cadmium.Blanc de zinc (Oxyde de zinc). Lo posso avvicinare e mescolare aqualunque colore.Terre rouge.Rouge de Pouzzoles (Terra rossa naturale).Jaune de Mars.Jaune de Cadmium (Sulfure de Cadmium).Vermillon français (Sulfure de Mercur).Bleu de Cobalt.Outremer.Vert de Cobalt (Oxyde de Cobalt et Oxyde de Zinc).Vert Émeraude (Oxyde de Chrome).Brun de Mars.Brun Vibert.Laque de Garance.La tela che adopero è preparata a gesso e ad olio; la tiro sul telaio,passandoci poi sopra con un largo pennello, una tinta di terra rossa

piuttosto liquida, perché il bianco della tela non lo posso soffriresotto gli occhi. Finita questa operazione, passo a fissare sulla tela lelinee fondamentali dell’idea che intendo fissare, che io coltivo datempo, precisandola, sempre fino al più piccolo dettaglio; se ilquadro che intendo fare mi fu suggerito dalla Natura, mi faccio undisegno prima, che corrisponde a quell’impressione di sentimentoche mi colpì in quel dato momento, e sulla preparata tela traccioqueste linee; se l’idea è nata in me, cerco nella Natura quelle lineecorrispondenti all’idea. Stabilite, sulla tela le linee esprimenti la mia volontà ideale,procedo alla colorazione, dirò così, sommaria, come preparazioneperò, piú vicina alla verità che m’è possibile; e ciò faccio con sottilipennelli piuttosto lunghi, e incomincio a tempestare la mia tela dipennellate sottili, secche e grasse, lasciandovi sempre fra unapennellata e l’altra uno spazio, interstizio, che riempisco coi coloricomplementari, possibilmente quando il colore fondamentale èancora fresco, acciocché il dipinto resti più fuso. Il mescolare i colori sulla tavolozza, è una strada che conduce versoil nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela, meglioeondungrno ìl nostro dipinto verso la luce, l'aria e la verità. Questofatto é ora ammesso da tutti i pittori intelligenti, ma ben pochi diessi (quasi nessuno) sanno rendersi conto di tutta l’estensione didiversità ehe esiste fra il mescolare i colori sulla tavolozza ed ilmetterli puri sulla tela.

13. Ibi, p. 172.

di una luminosità più intensa di quanto avrebbero avutose il tono corrispondente fosse stato prodotto da un mi-scuglio previamente realizzato sulla tavolozza.La critica d’arte ha spesso considerato i divisionisti italianiuna sorta di imitatori dei puntinisti francesi anche se An-nie Paule Quinsac, la maggiore esperta di Segantini, so-stiene un’assoluta indipendenza delle due correnti, certa-mente accomunate dalla scoperta del colore come datoottico e non solo più chimico. Sia i pittori francesi siaquelli italiani attinsero contemporaneamente a fonti scien-tifiche quali il Trattato sul contrasto simultaneo dei co-lori di Chevreul e il Modern Chromatics di Rood. In Ita-lia Vittore Grubicy, gallerista e amico di Segantini, fu ilportavoce di queste istanze innovatrici a tal punto da sug-gerire all’artista una seconda versione di Ave Maria a tra-sbordo utilizzando la pittura divisa e tralasciando quellatonale.Pointillisme e divisionismo si svilupparono, dunque, inparallelo, ma senza influsso diretto uno sull’altro. Primafonte di differenza è l’origine: gli artistiti francesi, non acaso definiti anche neoimpressionisti, prendono spuntodagli impressionisti relativamente ai soggetti; di contro larigorosa tecnica di colore applicata nega l’en plein air el’accostamento libero e sciolto delle pennellate. I divi-sionisti italiani di prima generazione, a cui appartiene Se-gantini, si formano a Milano e scoprono l’impressionismo

francese molto più tardi, quando le loro scelte sono ormaiconsolidate. Ottenere la maggior luminosità possibile è stato il fine pri-mario di puntinisti e divisionisti. Per arrivarci, Segantini,dopo il 1890, farà uso di foglie d’oro su cui stendere lun-ghi filamenti di colore. Questa ricerca porterà l’artista adaffermare in una lettera indirizzata a Vittorio Grubicy: «Sel’arte moderna avrà un carattere, sarà quello della ricercadella luce e del colore»13. La tecnica divisionista preludealla scomposizione cromatica che pochi anni dopo porteràalla prima pittura futurista.

Esercizi. Ossevare e descrivere la pennellatadi SegantiniOsserva l’opera Paesaggio alpino (figura 6) e leggi conattenzione l’allegato 8; individua i particolari che descri-vono la tecnica di stesura del colore e, confrontandoli conciò che è presente nell’immagine, studia il modo di di-pingere di Segantini; puoi rintracciare altri particolari ditipo tecnico-pittorico anche nell’allegato 2. Sintetizza inun elenco i pricipali aspetti della tecnica pittorica del-l’artista.

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Fig. 6. G. Segantini, Paesaggio alpino, 1898/99, olio su tela,51X90 cm., Aarau, Aargauer Kunsthaus.

14. Ibi, p. 66.15. Ibi, pp. 127-128.16. www.segantini-museum.ch.17. www.gam-milano.com18. Le immagini sono tratte dai siti www.brera.beniculturali.it (fig. 1); www.fren-chandcompanyart.com (fig. 2); www.segantini-museum.ch (figg. 3, 4 e 5); pres-simages.fondationbeyeler.ch/en/forthcoming-exhibitions (fig. 6).

Altre indicazioniI carteggi raccolti da Bianca Segantini aprono un inte-ressante spaccato sui rapporti personali del padre con ar-tisti, letterati e varie personalità dell’epoca. Emerge cosìl’amicizia con Giuseppe Pellizza da Volpedo a cui Se-gantini scrive descrivendo particolari della vita quoti-diana, scambiando fotografie di quadri e fornendo consi-gli su come disegnare14. Seguendo queste note si puòconfrontare il modo di rappresentare lo stesso soggetto daparte dei due pittori. Per concretizzare questi confronti è utile osservare Con-trasto di luce di Segantini e Lo specchio della vita di Pel-lizza da Volpedo; in entrambe le opere gli artisti tratteg-giano pecore che pascolano. Il testo raccolto da BiancaSegantini rivela le preferenze del padre su poeti come Car-ducci e D’Annunzio15. Proprio quest’ultimo gli dedicheràun canto in Elettra, libro secondo delle Laudi del cielo, delmare, della terra e degli eroi, che testimonia la stima cheil pittore godeva nei circoli culturali più raffinati del-l’epoca. La composizione poetica può fornire uno spuntointeressante di collegamenti interdisciplinari con la lette-ratura italiana.

Sulle tracce di Segantini. Possibili uscitedidatticheIl lavoro di approfondimento è propedeutico a uscite di-dattiche per una visione diretta delle opere dell’artista. AMilano, a esempio, la Galleria d’Arte Moderna, la Pina-coteca di Brera e Le Gallerie d’Italia conservano esempiinteressanti della pittura di Segantini, mentre il Trittico èconservato al Segantini Museum a St. Moritz non di-stante dall’atelier dell’artista visitabile a Maloja, il vil-laggio alpino che ospitò il celebre pittore dal 1894 finoalla sua morte.Le opere conservate a Milano e in Svizzera possono es-

sere consultate in Rete. Sul sito del Segantini Museum aSt. Moritz16, a esempio, cliccando su Museum e poi suCollection è possibile osservare tutti i dipinti e i disegniconservati. Un’indagine analoga può avere come sog-getto la Galleria d’Arte Moderna di Milano17 che presentacapolavori come Le due madri, L’angelo della vita eL’amore alla fonte della vita.Il dossier potrà essere completato inserendo anche infor-mazioni pratiche per raggiungere la sede espositiva del-l’uscita didattica.

Brevi considerazioni finali La proposta didattica centrata su Giovanni Segantini puòessere applicata ad altri artisti. Come non pensare, aesempio, al ricchissimo carteggio di Van Gogh, consul-tabile interamente in Rete in lingua inglese e rintraccia-bile in testi in edizione italiana, oppure a Lo spirituale nel-l’arte di Kandinsky, ai Diari di Klee o alle Memoriedella mia vita di De Chirico.Non è da escludere la possibilità che i documenti consi-gliati possano guidare un’esplorazione autonoma del temasecondo le modalità della flipped classroom, detta ancheclasse capovolta o classe rovesciata.Secondo questa metodologia l’insegnante come primostep fornisce ai propri studenti tutti i materiali utili a unapproccio autonomo dell’argomento di studio da svol-gere a casa. Successivamente in classe, l’allievo cerca diapplicare quanto appreso a casa per risolvere problemie svolgere esercizi pratici proposti dal docente. Il ruolodell’insegnante ne risulta trasformato; il suo compito, in-fatti, diventa quello di guidare l’allievo, durante l’atti-vità didattica svolta in classe, nell’elaborazione attiva enello sviluppo di compiti complessi. Poiché la fruizionedelle nozioni si sposta nel tempo passato a casa, il tempotrascorso in classe con il docente può essere efficace-mente impiegato per altre attività fondate sull’appren-dimento18.

Lucia DanioniDocente di disegno e storia dell’arte

Liceo scientifico Angelo Omodeo – Mortara (Pavia)

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PERCORSI DIDATTICI

Conviene partire da qualche dato di fatto. Questafortunatissima suite deve la sua origine a unamostra di acquerelli e disegni di Victor Alek-

sandrovič Hartman, giovane pittore e architetto russo,morto prematuramente nel 1873. Nel febbraio-marzo1874, un anno dopo la morte dell’artista, Musorgskijcon alcuni amici, che nell’opera di Hartman sentivanoun tono “nazionale” affine a quello che essi stessi cer-cavano di suscitare nella musica, organizzarono la mo-stra e nello stesso anno Musorgskij ebbe l’idea dellacomposizione portandola rapidamente a compimento;secondo le sue abitudini, non si curò della stampa, cheapparve solo nel 1886, cinque anni dopo la sua morte,in una arbitraria rielaborazione di Rimskij-Korsakov. Ilmanoscritto originale sarà pubblicato solo nel 1931;per la nostra guida utilizziamo l’edizione Henle, Mün-chen 1992, curata da Petra Weber-Bockholdt sulla basedell’autografo. Nonostante l’eccezionale precocità pianistica di Mu-sorgskij, e una consuetudine con lo strumento duratatutta la vita, i Quadri d’una esposizione restano l’unicolavoro per pianoforte all’altezza del suo genio. La presaimmediata della composizione, la novità sconcertante diuna tecnica pianistica non riferibile a nessuna scuola, ela fama (che oggi sappiamo del tutto infondata) di unMusorgskij “dilettante”, favorirono diverse orchestra-zioni dei Quadri; quella di Maurice Ravel, destinata aeclissare tutte le altre, risale al 1922, e per la maestriacon cui è realizzata è diventata quasi un’opera dal valoreautonomo; tuttavia, la sua sontuosa vernice timbricasposta l’attenzione dal centro creativo dell’opera, pie-namente realizzato già nella spoglia essenzialità dellascrittura pianistica.

I pezzi caratteristiciMusorgskij era incapace di concepire un pezzo di musica“assoluta”, cioè sciolta da riferimenti a contenuti extra-musicali; la sua fantasia si metteva in moto solo davanti

a figure e fatti concreti, paesaggi realistici o leggendari,scene quotidiane insomma; ne consegue che quanto contaper lui è il primo nucleo inventivo, assai più dell’elabo-razione, in un imperativo di immediatezza assoluta. IQuadri appartengono al genere del “pezzo caratteristico”,sono una suite, un seguito di pezzi caratteristici (ossiabrani di breve durata dotati di un proprio e inconfondibilecarattere musicale, tipici del Romanticismo); certo, ancheun preludio di Bach, un tema di Beethoven o di Chopinhanno un carattere; ma in questi casi il carattere è in fun-zione di una forma sintattica articolata, mentre nel “pezzocaratteristico” il carattere è coltivato di per sé, e questoviene incontro al genio icastico di Musorgskij, alla sua fa-coltà di accendersi in una rappresentazione concreta. Tal-volta i pezzi caratteristici si collegano, mediante ricor-renze tematiche, in un ciclo, come nei famosi ciclipianistici di Schumann (Papillons, Carnaval) che Mu-sorgskij conosceva bene; i Quadri sono appunto un ciclodi pezzi caratteristici legati fra loro dall’apparizione di untema ricorrente. Ora, la vera anima del lavoro non consiste tanto nella riu-scita descrittiva di ogni quadro, di per sé portentosa,quanto nel rapporto stabilito fra i pezzi ispirati ai “quadri”e il tema ricorrente, denominato Passeggiata, che rap-presenta l’autore (ma può benissimo rappresentare cia-scuno di noi) nell’atto di “vedere” i quadri dell’esposi-zione. Occorre, in via preliminare, prestare moltaattenzione a quel tema; riconoscerlo nelle sue periodicheapparizioni è il primo passo per comprendere la confor-mazione strutturale della composizione.

L’esame dell’operaPossiamo passare all’esame dell’opera, avvertendo dellanecessità di una integrazione attraverso l’ascolto o uncommento al pianoforte dei singoli brani (tra le varie in-terpretazioni disponibili online, si ascolti a esempio quelladel pianista russo Michail Vasil’evič Pletnëv inhttps://www.youtube.com/watch?v=BMg_A8eYweY); Mu-

MusorgskijGiorgio Pestelli

UNA GUIDA ALL’ASCOLTO DELLA SUITE QUADRI D’UNA ESPOSIZIONE DI MODEST MUSORGSKIJ NELLA

VERSIONE ORIGINALE PER PIANOFORTE SOLO. TEMA RICORRENTE E PEZZI CARATTERISTICI VENGONO

RILETTI ANCHE ATTRAVERSO IL RIFERIMENTO ALLO SPARTITO MUSICALE.

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sorgskij ne scrive i titoli in francese, in russo, in italiano,in tedesco; ai nostri fini sarà sufficiente darli tutti in ita-liano.

Passeggiata. Allegro giusto, nel modo russico, senza al-legrezza, ma poco sostenutoNella didascalia colpisce subito la dizione “in modo rus-sico”. Pur non essendo un tema riferibile a una identifi-cata melodia folclorica, il tema arieggia il tono popolare,lo inventa, diventando per così dire più vero di un realetema popolare; nel suo lapidario disegno è un tema tipi-camente diatonico, ossia formato da ampi spazi interval-lari fra una nota e l’altra, ciò che gli conferisce un carat-tere distintivo cavalleresco-leggendario. Singolare è la suaimpaginazione: nelle prime due battute la melodia è allasola mano destra, senza accompagnamento, nelle duebattute successive la melodia è armonizzata con accordiad ambo le mani (cfr. Figura 1), e questa distribuzione ri-corda l’alternanza solo-coro molto usata nell’opera tea-trale russa; anche di qui, forse, quel “in modo russico”,mentre il “senza allegrezza” è una indicazione per l’ese-cutore che deve suonare Allegro giusto, cioè non troppoveloce e festoso per non turbare il tono cavalleresco-leg-gendario del tema.

Gnomus. Sempre vivoNell’ordinare i pezzi della sua suite, Musorgskij seguesempre la legge del contrasto; dopo la nobiltà impersonaledella Passeggiata, Gnomus (nano, coboldo) spinge il “ca-ratteristico” all’estremo. La prima idea del pezzo è unosgorbio, una smorfia, una di quelle raffigurazioni del“brutto” che i romantici, con Victor Hugo in testa, hannoannesso ai quadri dell’estetica; invece del tessuto accor-dale di Passeggiata, Gnomus adotta una scarna scritturaa mani parallele, secondo esempi di Chopin ben noti aMusorskij: le note non contano una per una, ma solo nellampeggiare dell’effetto sonoro complessivo, il cui ca-rattere è condizionato dall’intervallo di “tritono”, un in-tervallo di tre toni (la metà esatta di un’ottava) percepitoda lunga tradizione come “diabolico” (cfr. Figura 2, coni riquadri in verde). Il tritono è pure alla base della se-conda idea, formata da accordi che scendono verso ilbasso con ritmo claudicante tra il maligno e il buffo.

Passeggiata Scomparso Gnomus, si ripresenta per la prima volta iltema della Passeggiata, ma “variato”; in realtà il tema re-sta intatto, varia il contesto, con armonie che lo sfumanosenza modificarne il tono cavalleresco-leggendario. “Va-riazione” abbiamo detto: la prima di una serie di cinque;quindi una seconda forma, tema con variazioni, si inseri-sce parallela a togliere monotonia alla prima forma, quelladella suite che allinea un brano dopo l’altro.

Il vecchio castello. Andantino molto cantabile e con doloreAltro forte contrasto, dal procedere sussultorio di Gnomusallo stile appianato del nuovo quadro ispirato al nototema romantico dell’annosa rovina. Il pezzo è steso conla pennellata larga del ritmo di 6/8, il ritmo del racconto,della ballata dal contenuto malinconico, garantito quidalla tonalità minore di Sol diesis. Una prima melodia albasso, ristretta in piccoli spostamenti come una nenia, di-venta l’accompagnamento di una seconda melodia piùevidente, caratterizzata da intervalli e abbellimenti orien-talizzanti, di un “dolore” un po’ caricato (cfr. Figura 3).

Figura 1. Passeggiata, bb. 1-4.

Figura 3. Il vecchio castello, bb. 1-17.

Figura 2. Gnomus, bb. 1-6.

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Vale ricordare che Ravel nella sua strumentazione asse-gna a questa melodia il timbro assonnato del sassofonocontralto, inedito nella strumentazione classica: è unascelta timbrica che rivela profonda comprensione della na-tura lontana e indolente di questa melodia, le cui fre-quenti ripetizioni, destituite di ogni dramma, contribui-scono a delineare un panorama a perdita d’occhio.

PasseggiataEcco la seconda variazione del tema, che sempre senza ri-nunciare al suo profilo, si presenta in asciutte sonorità diottave, passando dal registro alto a quello basso; l’autoresa che ormai il tema è entrato nelle nostre orecchie e lotratta in modo più conciso, interrompendone l’esposi-zione completa; più che concludersi la variazione s’in-canta su un frammento di tre note che servono ad aggan-ciare il quadro successivo.

Tuileries (Litigio di fanciulli dopo il gioco). Allegrettonon troppo, capricciosoLes Tuileries sono i famosi giardini pubblici di Parigi, ti-pico luogo di ritrovo per il diporto di bambini e loro ac-compagnatori; “capriccioso” è indicazione più che altropsicologica, intesa a suggerire all’esecutore una certaestrosità estemporanea di fraseggio. L’unico tema è co-stituito di due elementi: una cadenza di due accordi fra-seggiati in coppia (cfr. Figura 4), come un gesto invitante,seguiti da un contorno “capriccioso” di rapide note sal-tellanti (evidente l’influsso delle Scene dei fanciulli op. 15di Schumann). La corsa, o il litigio, s’interrompe per unbreve intermezzo di sei battute, compiacenti e carezzevoli,come per rifare amicizia e cominciare un gioco nuovo:vera epigrafe del mondo infantile, che Musorgskij avevapenetrato in modo mirabile nel ciclo per voce e pianoforteLa camera dei bambini (1868-1872). Il giochetto del-l’apparizione “a sandwich” della Passeggiata è riman-dato, per sfruttare al massimo l’improvviso impatto so-noro di quanto segue.

Bydlo. Sempre moderato, pesanteBydlo è un rozzo carro di lavoro agricolo: sull’accompa-gnamento cadenzato di densi accordi nel registro pro-fondo, il carro avanza al passo di un tema di forza barba-

rica, alternato ad accordi stridenti; sul concetto di “osti-nato” in questo brano e sul colore scuro del registro, è dif-ficile che non abbia influito la suggestione della parte cen-trale del Preludio op. 28 n. 15 di Chopin (lo si ascoltinell’interpretazione di Maurizio Pollini inhttps://www.youtube.com/watch?v=BczgDb9-ctQ); rag-giunto il culmine sonoro (con tutta forza), gradualmenteil volume deve diminuire in modo da dare il senso del-l’allontanamento del pesante veicolo.

Passeggiata. TranquilloDal silenzio ancora rimbombante affiora tranquillo iltema di Passeggiata: la variazione consiste nel presentarlosenza le prime due note, come un ricordo che affiora ri-conoscibile ma ancora incompleto; alla fine, caso unicoin tutta la composizione, Musorgskij ci dà un anticipo te-stuale del brano seguente: un composto ritmico-accordaledi quattro note che sembra schizzato fuori dalla cornicedella scena successiva.

Balletto dei pulcini nei loro gusci. Scherzino. Vivo, leg-gieroLa nuova scena, infatti, ha dentro la vitalità dell’argentovivo, la mimica di un animato balletto. “Scherzino”: il di-minutivo indica bene il senso del brano, nella tipica formaABA, tutto tratteggiato in un allucciolìo di acciaccature(cioè quelle note prese “di sfuggita” sui tasti), di onoma-topee che traducono il chiocciare e dimenarsi dei piumosianimaletti, ancora nei gusci ma già pronti a zampettare;l’atto del pigolare è reso realisticamente con il fraseggiodi tre note con appoggio sulla seconda, ma più di tutto èda ammirare la sfavillante riuscita “coloristica” con i solimezzi del pianoforte nel registro acuto.

“Samuel” Goldenberg e “Schmuyle”È un essenziale studio musicale di caratteri, testimo-nianza del genio visivo-plastico di Musorgskij. Il primopersonaggio è il ricco (Andante. Grave energico), chegonfio di sé guarda dall’alto in basso in un tratto solo conle mani all’ottava senza sfumature di armonie; il secondoè il povero (Andantino), ritratto nella sua querula insi-stenza: qui Musorgskij cerca di sciogliere la materia delpianoforte, con i tasti divisi come scomparti, simulandola sottigliezza dei quarti di tono per rendere il realisticobalbettio del lamento. I due caratteri, dopo la loro pre-sentazione, si fondono: la musica del ricco è ripresa dallamano sinistra, mentre la destra si sovrappone con il ritmolamentoso del povero; in quattro battute di coda (poco ri-tardando con dolore), mirabile ritaglio di commedia im-maginaria, c’è da pensare che il povero se ne vada avvi-lito e senza un copeco.

Figura 4. Tuileries, bb. 1-2.

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Passeggiata. Allegro giusto, nel modo russico, poco so-stenutoA questo punto, all’incirca al centro della composizione,Passeggiata può essere riproposta come all’inizio, conqualche puntello sonoro in più.

Il mercato di Limoges. Allegretto vivoNell’autografo Musorgskij riporta sotto il titolo un testofrancese (La grande nouvelle, “La grande notizia”) che al-lude a un diverbio fra due personaggi in merito al ritro-vamento di una vacca; menzioniamo questo testo, poi cas-sato, solo per ricordare ancora la tendenza delcompositore alla scena, alla rappresentazione teatrale;per altro il pezzo scorre fluido dall’inizio alla fine, e ce lopossiamo godere come “musica assoluta” nei suoi coloriscintillanti, nella briosità delle sue frasi che si incalzanoe si sospingono come l’avvicendarsi di una folla. L’entu-siasmante girandola del finale porta all’estremo la poeticadel contrasto con il brano seguente: l’accelerazione correcol cuore in gola verso il Mi bemolle acuto, per piombaredi colpo al Si naturale al basso.

Catacombae (Sepulcrum romanum). LargoIl brano è impostato come contrasto fra oscurità e lieve lu-core: dapprima note tenute ad libitum nel registro pro-fondo, bassi che scendono cromatici, accordi con aspredissonanze come nel Liszt di Vallée d’Obermann; segue,Andante non troppo, con lamento, un nuovo episodio chepresenta alla mano sinistra la quinta variazione di Pas-seggiata (non più intermezzo dunque, ma integrata nelquadro), con effetto di magia per il tremulo acuto dellamano destra che discende dall’alto come un filo di luce;i gradi cromatici della discesa possono dare ragione diquel “con lamento”, che l’interprete può evocare accen-tuando il rapporto fra semitoni. Magico è pure, alla fine,l’effetto atmosferico di una riemersione alla luce verso latonalità maggiore: in Musorgskij il realismo è “magico”perché partendo dalla realtà si ribalta su un piano supe-riore d’immaginazione fantastica.

La capanna dalle zampe di gallina (Baba-Jaga). Allegrocon brio, feroceBaba-Jaga, la strega cattiva delle fiabe di magia russe,vive nel bosco in una capanna a forma di orologio a cucùsorretto da zampe di gallina. È il quadro più lungo dellaserie e infatti si articola in tre sezioni, secondo la comunestruttura ABA, e presenta pure un’abbondanza tematicainconsueta; “feroce” è indicazione molto pertinente perl’episodio principale, con l’urto di temi sbozzati, grotte-sche acciaccature, profusione di tritoni come in Gnomus.Il riferimento al soggetto, del tutto generico fin qui, di-

venta forte nell’intermezzo (Andante mosso) dedicato al-l’aspetto terrifico della strega: la materia è la paura, trac-ciata con la linea obliqua del tritono e il brivido del tre-molo alla mano destra (cfr. Figura 5): due luoghi comunidel terrore riscattati dal genio rappresentativo di Musor-gskij. Dopo la ripresa, un grandinare spettacolare di ottaveconduce direttamente all’ultimo quadro.

La grande porta di Kiev. Allegro alla breve “Maestosocon grandezza”

Conclusione dalla sonorità ridondante (indispensabile ilpedale di risonanza del pianoforte), di una festosità tut-tavia temperata dalla solennità; adopera due idee distinte:la prima, scandita come un corale, arieggia il tema di Pas-seggiata, reso solo più massiccio dal volume degli ac-cordi; la seconda, come un particolare dello scenario,prende spunto dal repertorio della chiesa ortodossa, conun tema dal tono religioso e impassibile (“senza espres-sione”); dopo la ripetizione dei due elementi, il brano im-bocca la coda conclusiva, punto nevralgico di tutta lacomposizione: a sorpresa si mette in moto un movimentopendolare su armonie di allucinata fissità (una firma diMusorgskij, autore della “scena della pendola” nel BorisGodunov), sulle quali il tema di Passeggiata fa la suatrionfale, euforica apparizione, prima della conclusione inuno scampanio assordante.

Giorgio PestelliUniversità di Torino

Figura 5. La capanna dalle zampe di gallina (Baba-Jaga), bb.108-109.

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Anche prendendo spunto da rilevazioni relativa-mente semplici, è possibile, in più situazioni, giun-gere a risultati e leggi di carattere generale che a

loro volta possono condurre a riflessioni profonde riguar-danti la natura e il mondo in cui abbiamo la sorte di vivere.Un approccio molto semplice può derivare dall’esame dioggetti molto diffusi in natura, come possono essere adesempio le pigne. Una passeggiata in una pineta con-sente di raccogliere sul suolo in tempi molto brevi nu-merose pigne, che poi potranno essere esaminate concura in un’aula scolastica, o a casa, dando origine a os-servazioni notevolmente interessanti e significative1.

Osservare le spirali nelle pigneTutte le pigne sono formate da un asse da cui si dipartononumerose sporgenze legnose denominate brattee. Se os-serviamo una pigna dalla parte del peduncolo (quella concui essa si attacca al ramo), possiamo notare che le brat-tee non si dispongono in modo disordinato, ma secondolinee curve divergenti, a partire dal peduncolo, denomi-nate spirali (Figura 1). Ogni spirale può essere conside-rata come derivazione di un punto che ruota rispetto a uncentro con un raggio progressivamente crescente2. Se laparte esterna della spirale piega nella stessa direzione incui ruotano le lancette di un orologio diremo che la spi-rale ha un senso orario; se essa invece piega in direzioneopposta alla rotazione delle lancette diremo che essa ha unsenso antiorario3 (Figura 2 e Figura 3).

Spirali nella vegetazione: conteggi sulle pigneCarlo Genzo

È POSSIBILE SCOPRIRE LE LEGGI DI CARATTERE GENERALE OSSERVANDO E STUDIANDO OGGETTI CHE SI

TROVANO IN NATURA. IN QUESTO CASO, LE PIGNE POSSONO INSEGNARE MOLTO SUL CONCETTO DI SPIRALE.

Fig. 3. Spiraleorientata in sensoantiorario.

Fig. 2. Spiraleorientata in sensoorario.

Fig. 1. Pigna vistadall’attaccaturaal ramo.

1. È importante, per i successivi raffronti/confronti che vogliamo fare, che le pi-gne raccolte appartengano alla medesima specie, o, se di specie diverse, venganoraccolte separatamente in diversi sacchetti.2. Se il raggio non varia si ottiene ovviamente una circonferenza.3. ATTENZIONE! Se come punto di vista si considera quello corrispondente al-l’apice della pigna, il senso di rotazione della spirale si trasforma nel suo oppo-sto. In tutti gli esempi qui riportati con le pigne, come punto di riferimento siprende come punto di vista quello in cui il peduncolo si collega alla pigna.

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Vi sono diversi tipi di spirali, ma quella che più si ap-prossima alla disposizione delle brattee della pigna è laspirale di Fermat. Essa ha per formula: r = k √ α, dove rrappresenta la distanza di ogni punto della spirale dal suocentro, α l’angolo che ha per lati la semiretta orizzontaleche parte dal centro ed è rivolta a destra e quella che partedal centro e passa per il punto4, mentre k è un valore co-stante, specifico per ogni spirale. È interessante osservare che, disponendo la pigna dallaparte in cui è presente il peduncolo, si possono individuarenumerose spirali disposte sia in senso antiorario che insenso orario.Per contare in modo adeguato tali spirali è opportunoadottare qualche accorgimento. Usando un gessetto, op-pure una lacca a colori, si può ad esempio colorare conquesta tutte le successive brattee appartenenti alla stessaspirale. Partendo da tale spirale si conteranno quindi lesuccessive, adiacenti l’una all’altra, fino a giungere aquella che precede la spirale che abbiamo colorato.Avremo ottenuto quindi il numero di spirali presenti inquella pigna, secondo un determinato senso di rotazione.Usando la stessa tecnica, coloreremo sulla medesima pi-gna una spirale che abbia il senso di rotazione opposto alprecedente, ottenendo anche qui il numero totale di spi-rali disposte secondo quest’altro senso di rotazione.

Un esempioConsideriamo alcune pigne5 prodotte dal Pino nero (Pi-nus nigra Arnold). Esse hanno una struttura complessi-vamente conica, ci soffermiamo a osservare la base,piatta, nel cui centro troviamo l’attacco del peduncolo concui la pigna si agganciava al ramo. Con i metodi prece-dentemente descritti contiamo le spirali in senso orario equelle in senso antiorario, indicando per ogni pigna,quante spirali ruotano in un senso e quante nel senso op-posto. Noteremo che, quasi sempre, le spirali disposte inun senso sono 13, mentre quelle disposte nell’altro sensosono 8. Il numero maggiore può corrispondere alle spiraliin senso orario oppure anche a quelle in senso antiorario,e lo stesso si verifica per le spirali del numero minore6.Andiamo ora a esaminare il numero di spirali presentinelle pigne di un’altra specie di conifera, come ad esem-pio l’Abete rosso (Picea abies Karsten). Dai conteggi no-teremo che anche qui, quasi sempre, sono presenti due solinumeri, e precisamente il 5 e l’8. Riguardo al senso di ro-tazione, si possono fare le medesime considerazioni delPino nero.Questa sostanziale costanza dei numeri di spirali pre-senti in ogni pigna appare ben evidente quando andiamoa calcolare le medie aritmetiche sia delle spirali più nu-merose sia di quelle meno numerose, in relazione alle sin-

gole specie, mentre i valori molto bassi della deviazionestandard stanno ad indicare dispersioni di valori numericimolto limitati rispetto al valore medio (vedi le colonne dideviazione standard nella Tabella 1).A questo punto sarebbe interessante ampliare l’indaginea pigne di specie di conifere qui non prese in considera-zione. A seconda dell’ambiente in cui vivono gli stu-denti, questi potrebbero essere indirizzati a esaminare ilnumero di spirali presenti nelle pigne del larice, del cem-bro, del pino mugo, del pino marittimo, dell’abete bianco,o anche di specie coltivate nei giardini come il cedro, ilpino strobo, o altre ancora.Le prime osservazioni sui numeri trovati potrebbero farciritenere che essi siano casuali, ma già da secoli è noto cheessi corrispondono a una sequenza matematica nota comesuccessione di Fibonacci7. In questa sequenza ogni nu-mero deriva dalla somma dei due precedenti, per cuiavremo la successione:

1 1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 …….. 8

Nelle pigne sono presenti numeri piuttosto piccoli dellasequenza, ma se andassimo a esaminare altre strutture ve-getali ugualmente disposte a spirale, come ad esempio lebrattee dei carciofi, o le squame degli ananas, o quelledella cupola delle ghiande o le brattee delle margherite odi altre composite, o la disposizione dei fiorellini centralio del bordo nelle infiorescenze di tale famiglia, ecc., tro-veremmo in genere numeri più grandi appartenenti tutta-via sempre alla sequenza appena descritta. Provare (omeglio… contare) per credere!

Leggi generaliLe osservazioni fatte nell’ambito delle pigne ci permet-tono già di trovare alcune regole generali, che ora de-scriveremo.

4. I valori di r ed α rappresentano le coordinate polari del punto della spirale.5. Per ottenere dati statisticamente significativi è opportuno disporre, se possi-bile, di almeno 30 pigne appartenenti alla medesima specie. 6. Può anche accadere che le spirali in senso orario e antiorario siano in numerouguale.7. Leonardo Fibonacci (secc. XII-XIII), detto anche Leonardo pisano, matema-tico di Pisa, noto per aver descritto per primo la sequenza numerica che da luiprese il nome.8. I rapporti tra ogni valore della successione e quello precedente tendono a unlimite, per n → ∞, indicato con Φ, che è un numero irrazionale. In simboli ma-tematici: lim n → ∞ a n+1 / a n = Φ.In numero Φ viene anche denominato sezione aurea di un segmento, in quantomedio proporzionale tra un segmento e la sua parte rimanente secondo la formula:a : x = x : (a – x).La convergenza di tali rapporti verso Φ è particolarmente lenta, in altre parolesi devono considerare molti più termini per giungere a un valore di Φ con unadata approssimazione decimale, in confronto ad altre successioni che portano aduguale approssimazione.

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PERCORSI DIDATTICI

1. Le brattee delle pigne hanno disposizione a spirale.2. Le pigne di una determinata specie di conifera hanno

due valori numerici di spirali (corrispondenti ai duesensi di rotazione, orario e antiorario) riscontrabili intutti gli individui.

3. Le pigne appartenenti a specie di conifere diverse pos-sono avere la stessa coppia di valori delle spirali pre-senti oppure, più spesso, coppie differenti (ad esempio,nell’Abete rosso le spirali sono normalmente 5 e 8,mentre nel Pino nero e nel Pino silvestre sono 8 e 13).

4. I numeri di spirali presenti corrispondono, fin quasi al90 % dei casi, ai numeri che si trovano nella succes-sione di Fibonacci, nella quale ogni numero naturalederiva, nella sequenza, dalla somma dei due numeriprecedenti9.

5. Le spirali orientate in un senso e quelle orientate insenso opposto sono presenti di solito con due numericonsecutivi nella successione di Fibonacci (quandotali numeri non siano uguali tra di loro).

6. L’indagine statistica su popolazioni abbastanza ampienon porta a individuare un senso prevalente di rota-zione, con una maggioranza di spirali in senso orariooppure in senso antiorario; inoltre, circa 1/5 delle pignepresenta un uguale numero di spirali nei due sensi di ro-tazione.

Il “come” e il “perché” Da tutti questi conteggi e osservazioni siamo riusciti acomprendere, almeno in parte, il modo con cui si di-spongono le brattee lungo l’asse di una pigna, e come siposizionano in modo analogo organi e parti ripetitive an-che di altri vegetali. Nella disposizione geometrica, lastruttura a spirale appare di frequente nello sviluppo dimolti vegetali, così come per quantità emergono moltospesso i numeri della successione di Fibonacci.Se questo riguarda il “come” queste strutture si dispon-gono, per quanto concerne il “perché” di tali disposi-zioni, le motivazioni risultano più complesse. La forma a spirale deriva da elementi disposti attorno a uncentro ma a distanze progressivamente crescenti. In altreparole, mentre una circonferenza si ottiene tracciandotutti i punti che sono equidistanti rispetto a un centro, laspirale deriva quando contemporaneamente aumenta an-che in modo continuo la distanza di tali punti dal centro.

Tabella 1. Numero spirali medie e scarto quadratico medio.

Tabella 2. II Senso prevalente delle spirali (conteggiate nella Tabella 1).

N. Specie Località Numero pigne

Media Spirale <

MediaSpirale >

Dev. St.Spirale <

Dev. St.Spirale >

Note

1 Pino nero Parco Farneto (TS) 43 8,04 12,90 0,37 0,43

2 Pino domestico Grado (GO) 32 7,97 12,97 0,41 0,31

3 Pino d’Aleppo Grado (GO) 18 8,11 12,67 0,47 0,49

4 Abete rosso Sappada (BL) 36 5,3 8,08 0,83 0,50 In 1 pigna: 8 e 13 spir.

5 Pino nero Parco Farneto (TS) 36 7,97 12,94 0,17 0,23 In 7 pigne: 5 e 8 spir.

6 Pino silvestre Val Resia (UD) 54 7,98 12,74 0,36 0,60 In 5 pigne: 5 e 8 spir.

N. Specie Senso orario (%) Senso antiorario (%) Uguaglianza tra i 2 sensi (con differenza numero spirali < 2) (%)

1 Pino nero 45 50 5

2 Pino domestico 27,5 50 22,5

3 Pino d’Aleppo 18,8 37,5 43,8

4 Abete rosso 65,8 21,1 13,2

5 Pino nero 52 42 6

6 Pino silvestre 27 42 32

Complessiv. 40,2 40,6 19,3

9. Ampliando l’indagine ad altre specie del mondo vegetale con strutture ugual-mente disposte a spirale (ad esempio, brattee dei carciofi o delle margherite edaltre composite, disposizione dei fiori centrali o del bordo delle infiorescenze ditale famiglia, ecc.) si nota ugualmente nel numero di spirali presenti l’emergeredi qualche numero della successione di Fibonacci.

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PERCORSI DIDATTICI

Essa è quindi formata da strutture vegetali posizionate intutte le direzioni rispetto al centro ma con una componentedinamica derivante dal fenomeno di crescita di elementicentrali nuovi che spingono quelli precedenti verso laperiferia.Si verifica, inoltre, che l’angolo al centro avente i lati chepassano per due elementi vegetali consecutivi della stessaspirale è ampio 137° 30’10. Studi matematici più appro-

fonditi portano alla conclusione che proprio con tale mi-sura le strutture che osserviamo sono in accordo con la re-gola che in tale maniera il maggior numero di elementi ri-sulta contenuto nel minore spazio disponibile. Già piccoledeviazioni del valore dell’angolo al centro conducono anotevoli peggioramenti nell’utilizzo di tale spazio, con su-perfici in parte non ricoperte dalle strutture vegetali con-siderate. La mirabile armonia di queste strutture geometriche si af-fianca quindi a una esigenza utilitaristica, senza che l’unaabbia la prevalenza sull’altra.

E per finire…E delle pigne raccolte, alla fine, che ne faremo? Esse po-trebbero essere conservate a scuola per venire utilizzateda altri studenti per il conteggio delle spirali. Oppure po-tremmo provvedere a riportarle e depositarle nei luoghiove le abbiamo raccolte ripristinando in questo modo ilmateriale organico che avevamo “provvisoriamente” pre-levato dal bosco. Ma, forse, vi sarà anche qualche indi-viduo più egoista che le utilizzerà quale combustibile peril suo caminetto.

Carlo GenzoDocente di scienze naturali nelle scuole secondarie

Da sinistra a destra:

Pigna di Pino nero,

Pigna di Abete rosso,

Spirale in pigna di Abete rosso.

� BIBLIOGRAFIA �

M. Abate, Il girasole di Fibonacci, in M. Emmer (ed.)Matematica e cultura 2007, Springer, Milano 2007.J.D. Barrow, Perché il mondo è matematico?, Laterza, Roma-Bari 1992.V. Comicioli, Biomatematica: interazioni tra le scienze della vitae la matematica, Apogeo, Milano 2006, cap. V.C. Genzo, La variabilità in grandezze discrete. Elementi fiorali esuccessione di Fibonacci, «Nuova Secondaria», XVI, 3 (1998),pp. 90-93.C. Genzo - A. Logar, Margherite e spirali, cavolfiori e frattali, inComune di Trieste (ed.) Civico Orto botanico. Quaderno 13,Trieste 2014. Disponibile anche sul sito:www.ortobotanicotrieste.it/bookshop/quaderno-13-margherite-e-spirali-cavolfiori-e-frattali-una-passeggiata-matematica-ii/M. Livio, La sezione aurea. Storia di un numero e di un misteroche dura da 3000 anni, Rizzoli, Milano 2003.I. Steward, L’altro segreto della vita. La nuova matematica e gliesseri viventi, Longanesi, Milano 2002, cap. VI.

10. Tale angolo è l’esplementare dell’angolo α , che si ottiene dalla proporzione:360° : α = α : (360° – α) L’angolo α viene anche detto angolo aureo.

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Che rapporto c’è tra scienza antica e scienza mo-derna? Come avvenne e cosa permise la lungatransizione dalla prima alla seconda? La prima ri-

voluzione scientifica si basò anche su presupposti meta-fisici? Se sì, quali furono e che grado di rilevanza ebbero?Senza alcuna pretesa di esaustività, questa serie di articolitenta di rispondere a tali domande1 prendendo in esame letappe essenziali dello sviluppo del pensiero epistemolo-gico da Platone a Galileo. Un esame dal quale emerge chela filosofia medievale, in particolare quella di Tommasod’Aquino, rappresentò uno snodo decisivo gettando quellebasi teologiche, ontologiche ed epistemologiche sul re-troterra delle quali Galileo Galilei superò i limiti del-l’epistemologia greca e costruì la scienza moderna.In questa prospettiva, l’indagine che segue si basa su unpresupposto che, dati i suoi limiti, è necessario assumerecome assiomatico2. Esso parte dalla semplice constata-zione intuitiva che l’attività scientifica, fatta, più che disuccessi, di molti tentativi, errori, correzioni e nuovi ten-tativi, è strettamente correlata all’immagine che i suoi pro-tagonisti ne hanno, ovvero alla concezione che gli scien-ziati hanno della scienza che praticano, della suacostituzione, logica, gnoseologica e metodologica, dellesue possibilità e dei suoi limiti. Questa autorappresenta-zione della scienza svolge la duplice funzione di orientareteoreticamente e di motivare, anzi perfino di legittimarepsicologicamente la ricerca. Ma l’immagine che gli scien-ziati hanno della propria pratica scientifica è, a sua volta,profondamente influenzata da idee metafisiche e/o reli-giose. Ne segue che tali idee incidono in modo rilevantesull’orientamento teorico e sulla motivazione psicolo-gica della ricerca scientifica.Con ciò non è mia intenzione oscurare e nemmeno sot-tovalutare il ruolo di altri fattori – innanzitutto quelli

stricto sensu scientifici, sia a livello teorico sia a livelloempirico-sperimentale, e poi quelli economico-sociali,politici, tecnici – ma solo indicare i confini di questa in-dagine e ribadire la sua conseguente parzialità.

L’epistemologia platonicaSenza voler sminuire i contributi dei filosofi che prece-dettero Platone, a causa della perdita delle loro opere lanostra indagine non può che partire dall’epistemologiaplatonica, la prima di cui abbiamo una documentazionecompleta.Fondata com’è sulla teoria delle idee, i modelli oggettivipuramente razionali di ogni cosa, e sulla “dialettica”, laconoscenza puramente intellettiva delle idee, l’epistemo-logia di Platone – come noto, fu proprio lui a battezzarela scienza col termine epistéme – stabilisce il primato dellateoria, cioè della elaborazione puramente razionale, ri-spetto all’esperienza, e al tempo stesso individua nella ma-tematica, scienza teorica per eccellenza, il linguaggiostesso dell’autentica teorizzazione e dunque il requisito in-dispensabile della scienza. In altri termini, per Platone farescienza consiste nel ricondurre la congerie eterogenea eirrelata dei fatti empirici all’unità di principi puramente ra-

Dal cosmo diviso all’universo unitario La cosmologia platonico-aristotelica (1)Saverio Mauro Tassi

QUALI SONO LE RADICI METAFISICHE DELLA TRANSIZIONE DALLA SCIENZA ANTICA ALLA SCIENZA

MODERNA? QUESTO PRIMO ARTICOLO ESPLORA IL RUOLO DELL’EPISTEMOLOGIA GRECA.

1. Tanto più significative oggi in quanto, in tempi relativamente recenti, è stataavanzata la tesi secondo cui la prima rivoluzione scientifica sarebbe potuta av-venire nell’età ellenistica: L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero fi-losofico greco e la scienza moderna, Feltrinelli, Milano 1996. La nostra indagine,peraltro, arriva a conclusioni che mettono in dubbio la fondatezza della tesi diRusso.2. Il suo riferimento principale è la nota opera di Thomas Kuhn, La struttura dellerivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1985 (The Structure of Scientific Revo-lutions, 1962). Ritengo che il dibattito epistemologico successivo alla pubbli-cazione del libro di Kuhn attesti come sia ormai assodata la tesi dell’influenzadelle idee metafisico-teologiche sulla ricerca scientifica, al di là delle divergenzesul suo grado di importanza.

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zionali ed elaborarne una descrizione e una spiegazionein termini matematici. In questo modo, Platone pose la pietra angolare per la co-struzione del concetto scientifico di “legge”, cioè una re-lazione puramente razionale – unica, eterna e immutabile–, espressa in forma matematica, che spiega un numeropotenzialmente illimitato di fatti pur tutti diversi tra loro.Per questo contributo – che costituisce uno degli ele-menti costitutivi della scienza moderna – Platone può es-sere a buon diritto considerato il fondatore della scienzaoccidentale in quanto, grazie ad esso, ne promosse nonsolo la nascita ma anche il successivo sviluppo. Tuttavia, l’epistemologia platonica contiene anche unatesi decisamente limitativa dello progresso scientifico.Non si tratta, come vuole una certa tradizione critica, delmisconoscimento del ruolo dell’esperienza. Se non ci siattiene solo al primo Platone, ma si considera l’intera evo-luzione del suo pensiero – l’incessante processo di revi-sione critica della teoria delle idee e della dialettica in

senso sempre più matematico ma anche nella direzione diuna sempre maggiore integrazione tra cosmo ideale e co-smo fisico – si può agevolmente comprendere che Platoneconcepisce la teorizzazione matematica non come elimi-nazione ma come direzione dell’esperienza, e come anti-doto agli inganni e ai limiti dei sensi3. Il punto dolente dell’epistemologia platonica consistepiuttosto in quello che l’epistemologia contemporanea de-nomina “criterio di demarcazione”, ovvero il parametroche permette di distinguere i diversi saperi in scientificie non scientifici. Come già accennato, secondo Platone,l’unica scienza completa, il modello supremo della scien-tificità, è la “dialettica”, la conoscenza delle idee, dunqueuna conoscenza metafisica benché pur sempre matema-tica4. Già questa tesi appare in contrasto con il processodi costruzione della scienza che si è mosso nella direzionedi una sempre maggiore distinzione dalla metafisica. Mail vero punto dolente è un altro. Platone, infatti, ammise,subordinatamente alla dialettica, solo altre quattro scienze:l’aritmetica, la geometria5, la musica (intesa come teoriamatematica dei suoni) e l’astronomia (intesa come teoriamatematica dei moti degli astri). In questo modo, Platonedeclassò tutte le altre conoscenze – fisica, chimica, me-teorologia, geologia, biologia, psicologia, ovvero quelleche per noi oggi sono altrettante scienze – a téchnai, ameri saperi empirico-artigianali, privi di effettiva scien-tificità6. D’altra parte, questa discriminazione nel IV secolo a.C.,considerando il livello al quale era giunta la ricerca scien-tifica, poteva sembrare il corollario inevitabile propriodella tesi regina dell’epistemologia platonica, quella cioèdell’indispensabile matematizzazione di ogni conoscenzache ambisca alla scientificità. Le scienze naturali, a mag-gior ragione quelle umane, del V-IV secolo a.C. nonerano matematizzate e soprattutto non sembravano ma-

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3. Il fatto, poi, che, in contrasto con il suo sempre più spinto pitagorismo, avallie imponga con la sua autorità intellettuale la teoria geocentrica dei “fisici” di Mi-leto potrebbe costituire forse un argomento non del tutto irragionevole per so-stenere che Platone abbia concesso fin troppo all’esperienza sensibile.4. A rigore bisognerebbe dire “metamatematica”, basata sul concetto di numerocome “relazione”, perché Platone distingue tra una matematica ideale, propriadel mondo delle idee, e dunque costitutiva della dialettica, e una matematica co-stitutiva del mondo fisico, corrispondente a ciò che noi intendiamo per mate-matica (Platone, Filebo, 14 C-20 C; ma anche la teoria dei numeri ideali, svi-luppata negli àgrapha dògmata, per la quale rimando a G. Reale, Per unanuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1997, cap. VIII: Nu-meri ideali, Idee, numeri matematici come “intermedi” e struttura gerarchica dellarealtà).5. Insieme aritmetica e geometria costituiscono la matematica che struttura ilmondo fisico e che dunque è diversa dalla dialettica, come già anticipato nellanota precedente (Aristotele, Metafisica, A 6, 987 b 14-18; Platone, Timeo, 53 B-56 C; G. Reale, op. cit., pp. 237-238).6. Platone, Repubblica, VI, 509 D-511 D; Timeo, 29 C-D; 49 D-E; 59 C-D.

Platone (428/427-348/347 a.C.)

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tematizzabili, e quindi Platone non poteva considerarlescienza, pena la rinuncia al nucleo fondante della suaepistemologia. La riduzione platonica delle scienze fisiche alla sola astro-nomia – dal momento che la matematica e la musicasono scienze puramente teoriche – aveva anche un fon-damento ontologico, che si può ritenere al contempo ef-fetto e causa della tesi dell’impossibilità di matematizzarele scienze fisiche. Il platonismo, infatti, com’è noto, sifonda sul dualismo ontologico tra un principio perfetta-mente razionale, cioè matematico – il “mondo delle idee”– e un principio in sé del tutto irrazionale, e dunque anti-matematico – la chòra7. Sulla base di questo dualismo on-tologico, Platone spiega la genesi del cosmo fisico comeil prodotto del miglior ordinamento matematico possibiledi un principio in sé caotico, dunque antitetico alle ideee irriducibile al loro perfetto ordine matematico. Questametafisica dualistica sancisce uno scarto ontologico in-colmabile tra cosmo noetico e cosmo fisico. Di conse-guenza, l’ordine matematico del cosmo fisico è concepitoda Platone come una versione ridotta e parziale dell’or-dine matematico del cosmo noetico. Di qui la convinzioneplatonica che i fenomeni fisici non siano matematizzabili.Questa convinzione, di per sé, non solo non sfavorisce ilprogresso della ricerca scientifica ma anzi, specie se op-portunamente calibrata, può promuoverla in quanto forni-sce una giustificazione del fatto che il singolo fenomeno fi-sico, com’è noto, non coincide mai perfettamente con lalegge matematica cui afferisce, permettendo così agli scien-ziati di accettare come vero ciò che empiricamente o spe-rimentalmente risulta solo verosimile, ossia di ammettereun certo grado di approssimazione nel loro statuto deonto-logico – un’ammissione senza la quale nessuno scienziatopotrebbe pensare di raggiungere il vero e in mancanzadella quale, dunque, la scienza – in senso forte: come sa-pere matematizzato – non sarebbe mai potuta nascere.Il problema è un altro. Platone non si limita ad asserire ingenerale la debolezza dell’ordine matematico del mondofisico, ma sostiene più specificamente che esso si dislocain modo differenziato: è più intenso, ossia più conforme aquello ideale, nella regione astrale o celeste, e meno in-tenso, ossia più difforme da quello ideale, nella regione ter-restre8. Dunque, il dualismo ontologico cosmo noetico/co-smo fisico si traduce, all’interno del cosmo fisico, in unulteriore dualismo tra fenomeni celesti e fenomeni terre-stri. In questa prospettiva, Platone teorizza che la regioneceleste è più simile al mondo ideale e dunque presenta mo-vimenti regolari, mentre la sfera terrestre è molto meno si-mile al mondo ideale e quindi i suoi fenomeni sono carat-terizzati dall’irregolarità. Ecco perché l’astronomia puòessere scienza, e le scienze della natura terrestre no.

Questa visione cosmologica trovava conferme empiri-che sia in negativo – nella già accennata difficoltà a rin-venire regolarità matematizzabili nei fenomeni terrestri(basti pensare al caso limite di quelli meteorologici) – siain positivo, nella facilità a trovarne nella regione celestea partire dalle osservazioni del presunto moto notturno –circolare e uniforme – delle stelle, e più in generale dellaciclicità dei fenomeni astrali (ad esempio, le fasi lunari el’anno solare).D’altra parte, la cosmologia platonica aveva anche delleevidenti motivazioni religiose. Platone, infatti, pur rifiu-

7. Platone, Timeo, 47 E-51 B.8. Platone, Timeo, 33 B-34 B, 38 C-40 D. La tesi della divisione del cosmo trasfera terrestre e sfera celeste solitamente è attribuita a Aristotele, il quale tutta-via non fece che sistematizzare e rendere canonico quanto da Platone già am-piamente teorizzato e da cui scaturì la prima teoria astronomica matematica dicui siamo a conoscenza, quella di Eudosso.

Aristotele (384-322 a.C.).

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tando, sulle orme del suo maestro Socrate, la versione an-tropomorfica degli dei della tradizione politeistica greca,li identificava con gli astri motivando in tal modo con an-cora più forza la regolarità razional-matematica dei loromoti. Questa identificazione, al contempo, offriva unasoddisfacente spiegazione sia alle differenti grandezze edurate delle orbite circolari uniformi dei pianeti sia allaminore regolarità dei fenomeni terrestri, non divini e dun-que inferiori, rispetto a quelli celesti.In ogni caso, il risultato è che Platone spiega l’apparenteimpossibilità di matematizzare le téchnai, cioè la loro im-possibilità di costituirsi in scienze, sulla base dell’intrin-seca ridotta razionalità dei fenomeni fisici terrestri. In talmodo fraintende un limite storico, e quindi relativo, dellaricerca scientifica, connesso alla sua inevitabile gradua-lità, interpretandolo come un limite ontologico, e quindiassoluto. Di conseguenza, sembra ragionevole ritenereche, per questo aspetto, l’epistemologia platonica abbiafrenato il progresso scientifico.

L’epistemologia aristotelicaAristotele, il miglior – perché il più critico – discepolo diPlatone, sviluppò fino alle estreme conseguenze la ri-forma in senso immanentistico dell’originaria teoria delleIdee che il suo maestro aveva già quantomeno impostatonell’ultima fase della sua instancabile riflessione filoso-fica. Egli, in tal senso, pur riproponendoli in una versioneattenuata, mantenne fermi i capisaldi del pensiero plato-nico, cioè il dualismo ontologico tra un principio pura-mente razionale – il motore immobile divino, pensiero dipensiero – e un principio materiale9; e il dualismo co-smologico, da lui sistematizzato e canonizzato, tra sferaceleste, dotata di un maggiore ordine razionale, e sfera ter-restre, segnata da un minore ordine razionale10. Non valeforse neanche la pena aggiungere che anche in Aristoteleentrambi i dualismi sono correlati all’antica teologia po-liteistica greca. Infatti, come Platone aveva identificato ledivinità tradizionali con gli astri, così Aristotele le iden-tifica con i numerosi motori immobili che sottostanno alprimo motore immobile11.Tuttavia, marcare la continuità delle filosofie di Platonee Aristotele non solo non impedisce di individuarne le di-vergenze ma può anzi permettere di selezionare quelle piùrilevanti. In questo senso, focalizzandoci sul piano epi-stemologico, tradizionalmente la loro divergenza più si-gnificativa è considerata quella relativa al ruolo del-l’esperienza. Indubbiamente Aristotele ne accentual’importanza, soprattutto rispetto al primo Platone, meno,come si è detto, relativamente al tardo Platone. TuttaviaAristotele si guarda bene dal sovvertire il primato, benchérelativo, della conoscenza razionale, cioè della teoria. In

questo senso, la differenza tra gnoseologia platonica e ari-stotelica non appare sostanziale, ma solo quantitativa, inquanto esse convergono nel dualismo tra conoscenza sen-sibile e conoscenza razionale e divergono solo relativa-mente al loro dosaggio.Ben più significativa, sembra, invece, un’altra diver-genza: quella relativa al “criterio di demarcazione” dei di-versi tipi di conoscenze e alla definizione dei loro rapporti.Contro Platone, infatti, Aristotele riabilitò i saperi terre-stri (fisica, chimica, meteorologia, biologia, ecc.) quali-ficandoli a pieno titolo come scienze e ponendoli sullostesso piano delle scienze “platoniche”, cioè della mate-matica, della musica e dell’astronomia12. Ma c’è di più.

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9. Aristotele, Metafisica, XII, 6; Fisica, VIII, 10.10. Aristotele, De Cielo, I (A), 3-10-11; II (B); III (G).11. Aristotele, Metafisica, XII, 8.12. Aristotele, Metafisica, VI, 1, 1025b, 18-30 – 1026a, 8-9; Le parti degli ani-mali, I (A), 1, 639b, 20-31; 640a, 1-7.

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Aristotele giunse perfino a sostenere che le scienze fisi-che terrestri sono scientificamente più “ricche” di quellecelesti, cioè dell’astronomia, in quanto si basano su unmaggior e più ravvicinato, e quindi più preciso, numerodi osservazioni13. Da questo punto di vista, parrebbe che Aristotele non sisia lasciato irretire dalla difficoltà di rinvenire una suffi-ciente regolarità nei fenomeni terrestri, non abbia confusoun limite storico con un’impossibilità ontologica e sia riu-scito a liberare le scienze terrestri dalle pastoie platonicheconferendo loro piena dignità scientifica e fornendo cosìuna maggiore motivazione, e quindi un maggior impulso,alla loro crescita. Parrebbe, in altre parole, che Aristoteleabbia tolto il freno all’epistemologia platonica consen-tendole di sprigionare tutta la sua forza propulsiva a fa-vore dello sviluppo scientifico.Eppure, a ben vedere, le cose non stanno proprio così. Lamedaglia epistemologica aristotelica ha un’altra faccia,possiede anch’essa il suo lato oscuro. Aristotele è costrettoa pagare un prezzo alla sua rivalutazione dell’esperienza

sensibile e al correlato primato da lui attribuito allescienze fisiche terrestri. Il prezzo, decisamente salato,epistemologicamente parlando, è la rinuncia alla mate-matizzazione come requisito indispensabile della scienza.Aristotele, infatti, considera la matematica una delle trescienze teoretiche, insieme alla fisica (nella quale rien-trano tutte le scienze della natura) e alla filosofia prima (inseguito chiamata “metafisica”), ma, a differenza di Pla-tone, la riduce a una scienza settoriale – la scienza delleproprietà quantitative della natura – che non può né deveavere alcun ruolo all’interno dei domini conoscitivi dellescienze consorelle. Dunque, Aristotele promuove sì laricerca conoscitiva relativa ai fenomeni terrestri confe-rendole piena dignità scientifica, e offrendo in tal modouna più forte motivazione alla sua pratica, ma per fare ciòdeve rinunciare alla precisione matematica, e quindi alconcetto moderno di legge scientifica, e di conseguenzadepotenzia lo statuto della scienza, allontanandosi ri-spetto a Platone da quello proprio della scienza moderna.Oltretutto, per garantire il rigore scientifico, non più assi-curato dalla matematica, ma anche per lui ugualmentenecessario al conseguimento della verità conoscitiva, Ari-stotele sostituisce la matematica con la logica (da lui chia-mata “analitica”), ossia con la sua teoria del sillogismo. E,infatti, egli non classifica la “analitica” come una scienzaa parte, in quanto da lui intesa come il linguaggio comunedi tutte le scienze, cioè come il codice della scientificità.In questo modo, Aristotele sostituisce la concezione ma-tematico-quantitativa della scienza, presente quantomenoin nuce nella espistemologia platonica, con una concezionelogico-qualitativa della scienza, divergendo dalla stradamaestra che avrebbe condotto alla scienza moderna.Questa conclusione permette di tornare, con maggiorielementi, alla questione della differenza gnoseologica traPlatone e Aristotele relativamente al ruolo, maggiore ominore, giocato dall’esperienza sensibile al fine di con-seguire una conoscenza razionale, ovvero compiutamentescientifica. Ora, infatti, è possibile comprendere meglioche la vera rottura tra i due filosofi non riguarda tanto ildiverso rapporto tra esperienza e teoria quanto il cuorestesso del processo conoscitivo, cioè la differente conce-zione della conoscenza razionale, ossia della teoria: perPlatone teorizzare significa matematizzare, per Aristotelesillogizzare.

Platone e Aristotele, dettaglio da La Scuola di Atene diRaffaello Sanzio (1509-1511), Roma.

13. Aristotele, Le parti degli animali, Milano, Rizzoli, Milano 2002, libro I (A),5, 644b-645a, in particolare laddove (39-40) è scritto che le scienze terrestri«danno luogo a una conoscenza più vasta». Sulla base di questa tesi aristotelica,nel Seicento i peripatetici avrebbero contestato le osservazioni astronomiche diGalileo sostenendo che la grande distanza degli astri rendeva imprecisa e quindiinattendibile ogni esperienza sensibile.

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Pur non volendo negare gli apporti che l’epistemologiaaristotelica diede alla crescita della scienza, soprattuttonell’ambito delle scienze più difficilmente matematizza-bili (biologia, psicologia, medicina, meteorologia, pernon dire delle scienze umane), è difficilmente contestabileche essa diverga radicalmente da quella che sarebbe statal’epistemologia della scienza moderna.

L’aporia dell’epistemologia anticaSintetizzando l’analisi delle epistemologie di Platone eAristotele, è possibile affermare che il loro pur formida-bile contributo alla nascita e al progresso della scienza siarena su un’aporia: se si accetta la fondazione matematicadella scienza si è costretti ad amputarla dei suoi rami em-pirico-terrestri, perdendone foglie, fiori e frutti, e ridu-cendola alla radice matematica e al tronco teoretico-astro-nomico; se se ne valorizzano i rami empirico-terrestri, lascienza acquisisce sì tutto il loro rigoglio di foglie, di fiorie di frutti, ma si trova costretta a recidere la sua radice ma-tematica e a perdere così la linfa vitale della rigorosa pre-cisione. Fuor di metafora, l’epistemologia antica sfocia in unsecco aut-aut: o una scienza rigorosa e precisa, ossia ma-tematico-quantitativa, ma mutilata della conoscenza deifenomeni terrestri, ovvero ridotta ai minimi termini inquanto ad ampiezza; o una scienza ricca, cioè estesa a tuttii fenomeni terrestri, ma orbata del rigore e della preci-sione, ossia meramente logico-qualitativa. Insomma: oprecisione senza ricchezza conoscitiva o ricchezza cono-scitiva senza precisione14.È interessante notare come quest’aporia poggi su unastessa concezione ontologica e religiosa della realtà. In al-tre parole, l’opposizione delle epistemologie di Platone edi Aristotele appare speculare in quanto riflette simme-tricamente una stessa visione metafisica. Non perché lemetafisiche di Platone e Aristotele siano identiche, maperché sono due versioni di uno stesso nucleo metafisico-religioso, quello rappresentato da una visione della realtàstrutturata da un doppio e intrecciato dualismo: il primoe fondamentale, tra cosmo metafisico (idee per Platone,motore immobile per Aristotele) e cosmo fisico; il se-condo e derivato, tra sfera celeste e sfera terrestre. Sul versante religioso, questo nucleo metafisico condivisoè correlato a una comune teologia che si può caratteriz-zare, in breve, come semimonoteistica, ovvero come unpoliteismo esigenzialmente monoteistico, ma ancora for-temente segnato dalla pluralità e dalla differenza, vale adire da una forte autonomia delle divinità subordinate alladivinità superiore (Uno-bene o Dio-primo motore im-mobile che sia). Infatti, pur offrendone un’interpreta-zione razionale, Platone e Aristotele nelle loro metafisi-

14. Cf. A. Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Ei-naudi, Torino 1967, pp. 90-91.15. Questa tesi ha origine dal maestro diretto di Platone e indiretto di Aristotele,cioè da Socrate, il quale sosteneva che solo il dio ha una conoscenza completa,laddove l’uomo può conseguire solo una conoscenza limitata (il famoso saperedi non sapere), e, su queste basi, in particolare, riteneva impossibile una scienzadel cosmo (Platone, Apologia di Socrate, 21 B-22 E, 23 A-B).16. In questo senso ritengo ci sia qualche non disprezzabile ragione per dubitaredella fondatezza della tesi di Lucio Russo sulla rivoluzione scientifica interrottadell’età ellenistica a causa della rovinosa conquista romana dei regni ellenistici(Cf. L. Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e lascienza moderna, Feltrinelli, 1996, cap. 1, in particolare § 4).

che attribuiscono alle divinità greche tradizionali un ruolodi governo del cosmo fisico nelle vesti di astri o di mo-tori immobili inferiori. In questo modo essi ribadisconoe rafforzano la tesi della superiorità razionale del mondoceleste rispetto a quello terrestre, ovvero degli astri ri-spetto agli esseri terrestri, uomini compresi.Ponendo sotto una lente d’ingrandimento questo risvoltoreligioso della metafisica platonico-aristotelica credo siapossibile evidenziarne altri due elementi di freno del pro-gresso scientifico: il pluralismo, ovvero l’eterogeneitàdel governo del cosmo fisico da parte dei vari dei; l’infe-riorirà dell’intelletto umano rispetto a quello divino, equindi l’impossibilità umana di comprendere la raziona-lità con cui gli dei governano il cosmo15. A maggior ra-gione per questi motivi, oltre che per il doppio dualismoontologico e cosmologico, sarebbe stato arduo, se non im-possibile, sia sul piano logico sia dal punto di vista psi-cologico, pensare di poter scoprire una legge di natura uni-versale e necessaria, dotata di una precisione matematica– come la legge di gravità di Newton, solo per fare l’esem-pio più emblematico16.

Saverio Mauro TassiLiceo scientifico statale “Albert Einstein”, Milano

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ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE(a cura di Giovanni Gobber - Università Cattolica, Milano)

1. IntroduzioneNel presente contributo vogliamo proporre una applica-zione del modello della sintassi valenziale alla didatticadell’italiano L2 in contesto scolastico.Dopo una breve illustrazione dei principi teorici del mo-dello e della sua elaborazione per la lingua italiana, vo-gliamo evidenziare i vantaggi glottodidattici della gram-matica valenziale nella prospettiva dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2. Presentiamo poi gli esitidi una sperimentazione realizzata in alcune scuole del ter-ritorio lombardo nell’ambito di laboratori di italiano L2finalizzati a potenziare la competenza comunicativa distudenti alloglotti attraverso la riflessione sulla lingua.

2. La grammatica valenziale per l’italiano:tra teoria e didatticaLa teoria della grammatica valenziale viene elaboratanella prima metà del Novecento dal linguista francese Lu-cien Tesnière, che nell’opera Eléments de syntaxe struc-turale, pubblicata postuma nel 1959, propone un mo-dello della sintassi basato sulla nozione di valenza. Talemodello, come sottolinea Gobber, “privilegia un punto divista dinamico sul fenomeno linguistico”.1 Tesnière in-fatti, riconoscendo il ruolo attivo del parlante nella pro-duzione e nella comprensione linguistica, afferma: “Co-struire una frase significa immettere la vita in una massaamorfa di parole, stabilendo un insieme di connessioni fraloro. Al contrario, capire una frase è cogliere l’insieme diconnessioni che uniscono le varie parole”.2

Tesnière, considerando la centralità del verbo nella strut-turazione della frase, definisce metaforicamente il nucleodella frase, unità sintattica e semantica essenziale, undramma di cui il verbo si costituisce rappresentazione sce-nica dell’azione; nelle vicinanze del verbo sono distribuiti,nel loro ruolo di partecipanti all’azione, i cosiddetti attanti,che si legano al verbo favorendo i principi di unità e di

completezza dell’azione, così come gli elementi dellachimica si legano l’uno con l’altro. Il concetto di valenza dunque “indica il numero di attantidi un verbo, cioè le relazioni di dipendenza che ciascunverbo richiede”.3 Per esempio nella frase Luisa ha rega-lato un libro a Fabio si osserva come regalare sia unverbo trivalente, poiché esige tre attanti, cioè “colui cheregala”, l’oggetto che viene regalato e il beneficiario delregalo. Possono poi essere aggiunti altri elementi, i co-siddetti circostanti che caratterizzano gli attanti, ma chesono facoltativi: Per Natale Luisa ha regalato a suo ma-rito Fabio un libro con le fotografie del loro viaggio del-l’estate scorsa. La teoria della grammatica valenziale è stata ripresa e ap-profondita soprattutto nell’ambito degli studi sulla linguatedesca e, come ricordano Bianco, Brambilla e Mollica,in ragione della “semplicità di questo nuovo paradigma,che si presta ad un ampio utilizzo in sede didattica”, si èpoi diffusa “a livello internazionale, prima nell’insegna-mento del tedesco come L2, successivamente nella di-dattica delle altre lingue”.4

L’applicazione della teoria valenziale alla lingua italianasi deve in particolare agli studi di Sabatini, che ha pro-posto una rivisitazione teorica del modello e una sua ela-borazione didattica, a partire dalla prima edizione della

Il modello della grammaticavalenziale per l’italiano L2Una sperimentazione in atto in contesto scolasticoSilvia Gilardoni e Daniela Corzuol*

* Il contributo è frutto di un lavoro comune dei due Autori. In particolare, nellastesura dei paragrafi, Silvia Gilardoni ha scritto i paragrafi 1, 2, 3, 4 e 5, DanielaCorzuol il paragrafo 4.1.1. G. Gobber, M. Morani, Linguistica generale, McGraw-Hill, Milano 2010, p.101.2. L. Tesnière, Elementi di sintassi strutturale, tr. it. a cura di G. Proverbio e A.Trocini Cerrina, Rosenberg & Sellier, Torino 2001, p. 30 (Éléments de syntaxestructural, Éditions Klincksieck, Paris 1959).3. E. Rigotti, S. Cigada, La comunicazione verbale, Apogeo, Milano 2004, p. 282.4. M.T. Bianco, M.M. Brambilla, F. Mollica, Il ruolo della grammatica va-lenziale nell’insegnamento delle lingue straniere, Aracne editrice, Roma 2015,p. 9.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV82

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

grammatica italiana La comunicazione e gli usi della lin-gua del 1984.5

Come sottolinea Sabatini, la sintassi valenziale consentedi rendere “più semplici i percorsi didattici nei meandridella lingua”, poiché risponde felicemente all’esigenzametodologica di osservare la sintassi della frase in frasi-tipo, attraverso “un modello esplicativo che unifichi tuttii tipi possibili di frasi e rappresenti tutte le relazioni in-terne che in esse si possono cogliere”.6

Nella rielaborazione del modello valenziale per l’ita-liano, lo studioso propone una nuova modalità per larappresentazione grafica della frase e una revisionedella terminologia e della classificazione dei compo-nenti frasali. Rispetto alla raffigurazione tramite il grafo ad albero, lo“stemma” di Tesnière, è stato ritenuto più efficace dalpunto di vista esplicativo e didattico rappresentare le con-nessioni sintattico-semantiche della frase con un’“imma-gine resa da schemi concentrici di tipo insiemistico”.7

Si riproduce così un’immagine grafica che comprende inprimo luogo in un’area centrale il nucleo della frase conil verbo e i suoi “argomenti”, termine ormai diffusosi inambito linguistico per individuare gli attanti che permet-tono di saturare le valenze richieste dal verbo. Un’area prevede poi i “circostanti” del nucleo (come ag-gettivi, sintagmi preposizionali, avverbi, frasi relative) chehanno la funzione di specificare i costituenti del nucleo(gli argomenti o il verbo), legandosi morfosintatticamentead essi. Una terza fascia comprende infine le “espan-sioni” (come espressioni preposizionali o avverbiali o lefrasi dipendenti), che possono essere aggiunte al nucleodella frase, ma che risultano indipendenti dal punto di vi-sta sintattico rispetto alla struttura interna del nucleo. Una raffigurazione del genere, tramite schemi radiali,presenta il vantaggio, come osserva Sabatini, “di tra-sporre la forma ‘lineare’ della struttura della frase (comela realizziamo in sequenza fonica o scritta ‘sul rigo’) inuna costellazione da osservare sinotticamente, nella qualegli elementi che hanno una funzione diversa nella strut-tura della frase sono collocati in posizioni diverse (tre areeconcentriche) dello schema”.8 Nell’ultima edizione dellagrammatica (Sabatini F., Camodeca C., De Santis C., Si-stema e Testo, 2011) è stata realizzata anche una versioneanimata degli schemi radiali, che illustra visivamente lacomposizione degli elementi della frase.Per quanto riguarda le classificazioni terminologiche, ri-cordiamo anche che in presenza di frasi dipendenti (cau-sali, concessive, finali, ecc.) la frase viene denominata“frase complessa”, distinta dalla “frase composta” checontiene invece frasi coordinate o giustapposte; frasicomplesse e composte sono frasi “multiple” che si diffe-

renziano quindi dalle frasi “singole” in quanto formate dapiù frasi.9

Nell’elaborazione della sua grammatica valenziale, Sa-batini sottolinea il presupposto teorico di riferimento sucui si fonda il modello, che risiede nella chiara distinzionetra la dimensione del sistema e la dimensione del testo: ladescrizione grammaticale ha come oggetto di studio lafrase, che si colloca a livello del sistema linguistico e sidifferenzia dal testo come prodotto, ossia dall’uso dellalingua per scopi comunicativi reali. La rappresentazionedella frase secondo il modello valenziale risulta tuttaviafeconda anche nella direzione dell’analisi del testo, se-condo la prospettiva della classificazione tipologica avan-zata dallo studioso, basata sul grado di rigidità/elasticitàdel vincolo interpretativo dei testi: “il fattore dominantenella caratterizzazione dei tipi di testo è costituito” dun-que, come nota Sabatini, “dalla misura dello scarto tra lamodalità di uso della lingua a livello di sistema (rappre-sentato dalla struttura della frase-tipo) e la modalità cheappare negli enunciati dei testi reali, regolata appunto dalmargine di libertà di interpretazione che di volta in voltal’emittente concede al ricevente”.10

Nel campo dell’educazione linguistica, ai vari livelli dellaformazione scolastica, la grammatica valenziale offre cosìun efficace strumento per la riflessione sulla lingua che, at-traverso l’osservazione delle strutture del sistema e la ma-nipolazione della frase a partire dallo schema a cornici, con-tribuisce a favorire lo sviluppo della competenzacomunicativa funzionale alla comprensione e produzionetestuale.

5. F. Sabatini, La comunicazione e gli usi della lingua, Loescher, Torino 1984.La grammatica è stata poi rieditata nel 1990 e successivamente ne è stata pub-blicata una nuova edizione nel 2011 (F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Si-stema e Testo, Loescher, Torino 2011), di cui è disponibile anche un’edizione perla scuola secondaria di I grado (Conosco la mia lingua. L’italiano dalla gram-matica valenziale alla pratica dei testi, Loescher, Torino 2014).6. F. Sabatini, Lettera sul “ritorno alla grammatica”. Obiettivi, contenuti, me-todi e mezzi, settembre 2004.7. F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Il modello valenziale, e un modellotestuale correlato, nella didattica dell’italiano L1 e L2, in M.T. Bianco, M.M.Brambilla, F. Mollica, Il ruolo della grammatica valenziale nell’insegnamentodelle lingue straniere, cit., p. 36.8. F. Sabatini, Lettera sul “ritorno alla grammatica”. Obiettivi, contenuti, me-todi e mezzi, cit.9. Per ulteriori approfondimenti cfr. F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Si-stema e Testo, cit. 10. F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Il modello valenziale, e un modellotestuale correlato, nella didattica dell’italiano L1 e L2, cit., p. 34. Sulla classi-ficazione dei tipi testuali proposta da Sabatini si veda F. Sabatini, “Rigidità-espli-citezza” vs “elasticità-implicitezza” possibili parametri massimi per una tipo-logia dei testi, in G. Skytte, F. Sabatini (a cura di), Linguistica TestualeComparativa, Atti del Convegno interannuale della SLI, Museum TusculanumPress, Copenhagen 1999, pp. 141-172.

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ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

3. Grammatica valenziale e italiano L2La grammatica valenziale trova la sua applicazione anchenel contesto dell’insegnamento/apprendimento dell’ita-liano L2, in cui si evidenziano i vantaggi glottodidatticidel modello.11

Tra gli aspetti che rendono il modello valenziale una “ri-sorsa glottodidattica”, come sottolinea Camodeca, si ri-scontrano la rilevanza data alla correlazione tra la frase eil testo e il riconoscimento del nesso esistente tra sintassie semantica.12 L’apprendente, guidato a riflettere sugli ele-menti necessari e accessori della frase, viene facilitato sianell’attività di comprensione del testo sia nella fase di pro-duzione testuale e nello stesso tempo, “quando realizzache il verbo definisce e può modificare la sua struttura ar-gomentale in base al suo significato, avverte che il lessicoè ‘grammaticalizzato’ e la sintassi ‘lessicalizzata’”. 13

Tale modello consente inoltre di ricorrere in modo limi-tato alla terminologia metalinguistica, offrendo anche lapossibilità di utilizzare metafore esplicative, quali l’im-magine della rappresentazione scenica e della valenzachimica, con una evidente ricaduta positiva per la didat-tica dell’italiano L2, in particolare in contesti eterogeneiper livello di scolarizzazione e competenza linguistica de-gli apprendenti. La grammatica valenziale, infine, come ricorda Camo-deca, non può separarsi dalla sua rappresentazione graficae per questa ragione “si presta particolarmente ad un usodidattico, reso ancora più efficace dall’impiego delle piùrecenti glottotecnologie”, ossia dalla visualizzazione sucomputer degli elementi grafici animati tramite Power-Point.14 Grazie alla rappresentazione della frase con glischemi radiali animati l’apprendente viene guidato, in unamodalità ludica e motivante, alla scoperta delle strutturedella lingua attraverso un approccio induttivo.Nella sua applicazione didattica la grammatica valenzialeprevede in particolare l’uso di schemi radiali vuoti, che rap-presentano la struttura valenziale dei verbi predicativi, lastruttura dei verbi copulativi e le fasce dei circostanti e delleespansioni, che sono così esempliflicati da Camodeca: 15

Un’attività didattica basata su schemi del genere puòconsistere ad esempio nell’individuare la valenza direttao indiretta dei verbi, al fine di condurre l’apprendente ariflettere sul ruolo di legamento delle preposizioni ri-chieste o sui verbi che presentano più strutture argomen-tali. Per lavorare sugli schemi valenziali dei verbi risultaessenziale fare riferimento al noto dizionario valenzialedell’italiano Sabatini Coletti (DISC), che diventa cosìuna risorsa per l’insegnamento della grammatica.16

Gli schemi radiali vuoti o parzialmente riempiti con “pa-role stimolo”, come nota Camodeca, sono poi “un utilestrumento per incrementare l’abilità di produzionescritta”: si possono creare attività didattiche per guidarel’apprendente nel passaggio dal processo al prodotto te-stuale, riflettendo sulla funzione di circostanti ed espan-sioni, sull’uso della punteggiatura o sulla possibilità di tra-sformazione di elementi nominali in frasi.17

L’efficacia glottodidattica della grammatica valenziale sirende evidente nella possibilità di adattare attività e appli-cazioni a vari contesti di apprendimento e alle diverse ti-pologie di pubblici dell’italiano L2, caratterizzati da moti-vazioni e bisogni linguistico-comunicativi specifici: adultiimmigrati in Italia e bambini o adolescenti di famiglie im-migrate in Italia, studenti internazionali nelle università ita-liane, apprendenti all’estero stranieri o di origine italiana.18

11. La grammatica valenziale viene proposta nei sillabi di italiano L2, come inM.G. Lo Duca., Sillabo di italiano L2, Carocci, Roma 2006 e A. Benucci (a curadi), Sillabo di italiano per stranieri. Una proposta del Centro Linguistico del-l’Università per Stranieri di Siena, Guerra Edizioni, Perugia 2007. Esemplifica-zioni di attività pratiche sono illustrate nei lavori di C. Camodeca, La gramma-tica valenziale nella didattica dell’italiano L2. Una sperimentazione, in L. Corrà– W. Paschetto (a cura di), Grammatica a scuola, Franco Angeli, Milano 2011,pp. 273-283 e La grammatica valenziale. Descrizione e proposte di sperimenta-zione nella didattica dell’italiano L2, “Aggiornamenti”, 3, 2013, pp. 24-36. 12. F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Il modello valenziale, e un modellotestuale correlato, nella didattica dell’italiano L1 e L2, cit., p. 46. 13. C. Camodeca, La grammatica valenziale nella didattica dell’italiano L2. Unasperimentazione, cit., p. 276.14. Ibidem.15. C. Camodeca, La grammatica valenziale. Descrizione e proposte di speri-mentazione nella didattica dell’italiano L2, cit., p. 33.16. F. Sabatini, V. Coletti, DISC: Dizionario italiano Sabatini Coletti, Rizzoli La-rousse, Milano 2008 (I edizione Giunti, Firenze 1997). Il dizionario è disponi-bile in una versione online all’indirizzo http://dizionari.corriere.it/dizionario_ita-liano. Cfr. C. Andorno, F. Bosc, P. Ribotta, Grammatica. Insegnarla e impararla,Guerra, Perugia 2003, che riporta anche alcuni esempi di attività didattiche ba-sate sul DISC.17. L’idea della trasformazione degli elementi della frase è ripresa da Sabatinidal concetto di traslazione di Tesnière. Tralasciamo in questa sede la possibileapplicazione nel campo della didattica dell’italiano L2 del modello testualecorrelato alla sintassi valenziale, utile per la selezione e la creazione di testi ascopo didattico, rimandando per approfondimenti a F. Sabatini, C. Camodeca,C. De Santis, Il modello valenziale, e un modello testuale correlato, nella di-dattica dell’italiano L1 e L2, cit.18. Cfr. F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Il modello valenziale, e un mo-dello testuale correlato, nella didattica dell’italiano L1 e L2, cit., in cui si ap-profondisce in particolare il profilo dell’apprendente adulto in Italia e dello stu-

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LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

Nell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2 nelcontesto delle classi plurilingui della scuola italiana, og-getto di attenzione in questa sede, i bisogni formativi de-gli apprendenti si specificano in due direzioni tra lorocomplementari: l’alfabetizzazione nell’italiano di base,per lo sviluppo della competenza comunicativa in italianoL2, e la formazione nel cosiddetto “italiano dello studio”,che riguarda la padronanza nell’italiano delle diverse di-scipline e implica l’insieme di abilità e competenze ne-cessarie per lo studio e l’apprendimento delle disciplinestesse.19 L’italiano L2 in ambito scolastico si configura in-fatti sia come lingua/cultura oggetto di studio in sé, siacome lingua veicolo di insegnamento/apprendimento deicontenuti disciplinari. In tale ambito il modello della sintassi valenziale si pre-sta felicemente all’esigenza di sviluppare nell’appren-dente quella competenza grammaticale, nella terminolo-gia del Quadro Comune Europeo di Riferimento per leLingue, in cui si colloca “la capacità di organizzare frasiper esprimere significati” che è da considerarsi “unaspetto centrale della competenza comunicativa”.20

Il docente di italiano L2 può rispondere così al bisogno diriflessione sulla lingua, anche in prospettiva interlingui-stica, che caratterizza in particolare la formazione glot-todidattica in età adolescenziale, quando, come ricordaBalboni, “alla competenza d’uso della lingua si affianca,come sostegno e non come sostituto, la competenza sul-l’uso della lingua, cioè la competenza metalinguistica”.21

Lo sviluppo di una competenza di natura metalinguisticapotrà pertanto facilitare e sostenere lo studente non italo-fono della scuola secondaria nel processo di compren-sione e produzione orale e scritta, con riferimento siaagli usi dell’italiano comune sia all’italiano dello studio.

4. Grammatica valenziale e italiano L2: una sperimentazione in contesto scolasticoVogliamo ora proporre una esemplificazione dell’appli-cazione del modello della grammatica valenziale nella di-dattica dell’italiano L2 in contesto scolastico, presen-tando i risultati di una sperimentazione condotta in alcunescuole secondarie del territorio lombardo durante gli anniscolastici 2014/2015 e 2015/2016.22

La sperimentazione è consistita nello svolgimento di eser-citazioni nell’ambito di laboratori di italiano L2 conl’obiettivo di sviluppare la competenza comunicativa initaliano attraverso la riflessione linguistica, con atten-zione all’abilità di produzione scritta.Sono state create attività didattiche di analisi degli erroridi scrittura selezionando da produzioni scritte di alunni al-loglotti frasi che presentavano problemi di natura sintat-tico-grammaticale.

Agli alunni sono state quindi proposte attività di rifles-sione sulla lingua, ricorrendo a una modalità di inter-vento di correzione degli errori attraverso gli schemi ra-diali della teoria valenziale, così da favorire lacomprensione della strutturazione morfosintattica dellefrasi in italiano e il processo di autoverifica e consape-volezza dell’errore. Tale percorso ha rappresentato ancheun’occasione per sviluppare una maggiore consapevo-lezza dei processi di apprendimento e dei bisogni forma-tivi da parte degli studenti nella prospettiva dello sviluppodi quella competenza dell’imparare a imparare, inclusa trale competenze chiave per l’apprendimento permanentepromosse dall’Unione Europea.23

4.1 La sperimentazione sul campoLa sperimentazione ha coinvolto alunni alloglotti di etàcompresa tra i 15 e i 16 anni, frequentanti una Scuola se-condaria di primo grado, la Salvo D’Acquisto dell’IstitutoComprensivo don Rinaldo Beretta di Paina di Giussano inprovincia di Monza, e una Scuola secondaria di secondogrado, l’Istituto Statale di Istruzione Superiore MosèBianchi di Monza24.

dente universitario. Per quanto riguarda l’insegnamento dell’italiano all’esterosegnaliamo che una sintesi della grammatica valenziale per l’italiano è stata resadisponibile da Sabatini, anche ai fini di una comparazione interlinguistica, sulsito del progetto “Vivit: Vivi italiano”, che offre una banca dati multimediale conmateriali e strumenti sulla lingua e la cultura italiana destinati agli italiani al-l’estero (http://www.viv-it.org/); il testo è presente anche nella versione tradottain francese, inglese, spagnolo e tedesco. Sui diversi profili di apprendenti del-l’italiano L2 rimandiamo a M. Vedovelli, Guida all’italiano per stranieri. DalQuadro comune europeo per le lingue alla Sfida salutare, Carocci, Roma 2010. 19. Cfr. P.E. Balboni, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-plesse, UTET, Torino 2012, p. 236. Nella riflessione glottodidattica si fa riferi-mento alla nota distinzione proposta da Cummins tra la competenza nelle “ba-sic interpersonal communicative skills” (BICS) e la competenza chiamata“cognitive/academic language proficiency” (CALP). Cfr. Cummins J., Cogni-tive/academic Language Proficiency, Linguistic Interdependence, the optimumage Question and Some other Matters, “Working Papers on Bilingualism”, 19,1979, pp. 121-129.20. Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue:apprendimento, insegnamento, valutazione, trad. it. a cura di F. Quartapelle e D.Bertocchi, La Nuova Italia, Firenze 2002, p. 14121. P.E. Balboni, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse,cit. p. 97.22. La sperimentazione qui presentata è il frutto di una attività di aggiornamentoper insegnanti di italiano L1 e L2, organizzata dal Dirigente Scolastico Mariagra-zia Fornaroli dell’ITIS Leonardo da Vinci di Carate in provincia di Monza e Brianzatra marzo e settembre 2015, al fine di favorire la verticalizzazione del curriculumin relazione alle competenze linguistiche in L1 e L2 in un percorso di raccordo frala Scuola secondaria di primo grado e la Scuola secondaria di secondo grado. 23. Cfr. Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento per-manente, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:32006H0962.24. Il Nostro ringraziamento va al Dirigente Scolastico Giuseppe Angelo Pro-serpio dell’IC don Rinaldo Beretta di Paina di Giussano e al Dirigente ScolasticoGuido Garlati dell’IIS Mosé Bianchi di Monza per la disponibilità ad accoglierequesta sperimentazione nei loro Istituti. Ringraziamo inoltre la docente IsabellaGallo dell’IC don Rinaldo Beretta per l’attenzione e la disponibilità dimostratae la docente Flora Scherillo, referente per gli alunni stranieri presso l’IIS MoséBianchi di Monza.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 85

ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

Nell’ambito di laboratori di italiano L2 attivati in en-trambe le scuole sono state elaborate esercitazioni su pre-sentazione PowerPoint di Windows, finalizzate alla rap-presentazione visuo-spaziale dei componenti della frasetramite forme colorate in un progressivo movimento ra-diale, come viene proposto nel manuale di Sabatini, Ca-modeca e De Santis.25

Per realizzare gli schemi radiali abbiamo utilizzato cerchi,ovali, linee e punti di diverso colore, il cui valore è statospiegato agli alunni con le specifiche corrispondenze di ri-ferimento prima di cominciare l’esercitazione al compu-ter. Il blu rappresenta l’argomento soggetto, il rosso ilverbo, l’azzurro l’argomento oggetto diretto e un azzurropiù tenue l’argomento oggetto indiretto, il viola il com-plemento predicativo inserito nel cerchio rosso del verbo;i circostanti sono collegati al costituente cui si legano,mentre le espansioni della frase sono indicate in arancio.Per evidenziare la sintassi del periodo è stato utilizzato ilrosso per indicare il nucleo della frase principale, il dop-pio cerchio blu e rosso per indicare le subordinate e ilverde per indicare le coordinate. Per segnalare le prepo-sizioni e le congiunzioni sono stati utilizzati punti colo-rati, usando il nero su linea continua per la preposizione,il nero su linea tratteggiata per le congiunzioni subordi-nanti, il verde per la congiunzione coordinante. La modalità ottimale di realizzazione dell’attività, a que-sto punto della sperimentazione, segue la seguente evo-luzione:1a fase: dalle produzioni scritte degli alunni vengono se-

lezionate frasi che presentano errori sintattico-grammaticali;

2a fase: è sottoposta all’alunno la frase corretta rappre-sentata da schemi radiali colorati in movimento;

3a fase: è sottoposta all’alunno la visione dell’evoluzionedella struttura radiale della frase rappresentatadai cerchi colorati, in cui sono presenti solo iverbi ed eventuali soggetti sottointesi trascrittitra parentesi;

4a fase: è richiesto all’alunno di completare la strutturadella frase utilizzando le parole e i sintagmi indi-cati sotto lo schema radiale da completare;

5a fase: l’alunno riscrive la frase e l’insegnante riproponeall’alunno la frase corretta, confrontandola con lasua produzione trascritta a mano o in modalità di-gitale.

Riportiamo a titolo esemplificativo alcune esercitazioniche si sono svolte tra maggio e dicembre 2015. La sperimentazione è iniziata il 25 maggio 2015 con unaprima attività condotta durante un laboratorio di italianoL2 della durata di un’ora, rivolto a un gruppo di ragazzidi origine pakistana di 15 anni frequentanti la Scuola se-

condaria di primo grado Salvo D’Acquisto di Paina diGiussano, con un livello di competenza dell’italiano L2che può essere collocato tra il livello A2 e B1. Nell’esempio che segue si è proceduto alla correzionedella seguente frase prodotta da uno degli alunni:

Frase di partenza:Mi padre non vuole che frequento questo sport soltantoperché vuole bene me ha paura che mi faccio male.

Abbiamo riformulato la frase e abbiamo compilato glischemi radiali secondo il modello della teoria valenziale.L’alunno ha letto la frase ed è stato guidato oralmente nel-l’identificazione degli errori nella frase, attraverso l’os-servazione della frase corretta (Mio padre non vuole chepratico questo sport, soltanto perché mi vuole bene e hapaura che mi faccio male) nella sua evoluzione radiale (2a

fase – figura 1 a p. 86).Abbiamo poi richiesto all’alunno di osservare l’evolu-zione dello schema radiale, in cui sono stati inseriti soloi verbi e i soggetti sottintesi tra parentesi (3a fase). Ab-biamo quindi proposto all’alunno lo schema radiale dacompilare con le parole mancanti, che sono stati indicatesotto lo schema, e con le congiunzioni che, perché ed e,che dovevano essere inserite in corrispondenza dei punti(4a fase – figura 2 a p. 86).L’alunno è stato invitato a trascrivere sulla slide succes-siva la frase che reputava corretta ed è stato invitato a ri-flettere sull’uso dei pronomi e delle congiunzioni, sullapunteggiatura e l’uso del carattere maiuscolo a iniziofrase (5a fase).Nel dicembre 2015 la sperimentazione è stata attivataanche presso la Scuola secondaria di secondo grado, l’IISMosè Bianchi di Monza, nell’ambito di un laboratorio diitaliano L2 della durata di due ore organizzato dall’Isti-tuto.Le attività presentate di seguito si basano su frasi estra-polate dalle produzioni scritte di due alunni di 16 anni, unalunno proveniente dal Ghana, regolarmente iscritto allaclasse seconda dell’indirizzo Costruzioni, Ambiente eTerritorio e residente in Italia da circa tre anni, e un’alunnaungherese, presente da tre mesi nell’Istituto perché par-tecipante al Progetto Erasmus, inserita in una classe se-conda dell’indirizzo del Liceo Linguistico e dedita aduno studio autonomo e personale della lingua italiana; en-trambi gli studenti si possono collocare a un livello B1 dicompetenza linguistica in italiano.

25. F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Sistema e testo. Dalla grammaticavalenziale all’esperienza dei testi, cit.

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LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

Figura 1.

Figura 2.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 87

ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

Durante l’esercitazione oltre al supporto informatico èstato fornito agli alunni un foglio su cui poter prendere ap-punti. Un’attività ha preso le mosse dalla seguente frase prodottadall’alunna ungherese:

Frase di partenza:Voglio imparare in italiano perfettamente al fine questoanno

Gli alunni sono stati condotti alla riflessione sull’errore ealla sua individuazione durante la visione dello schema ra-diale della frase corretta: Per la fine di quest’anno vorreiimparare l’italiano perfettamente (2a fase). Nella fasesuccessiva abbiamo mostrato la struttura della frase conla sola presenza del verbo e del soggetto sottointeso tra pa-rentesi (3a fase). Abbiamo richiesto di compilare loschema radiale (4a fase) e abbiamo notato che l’alunna,completando lo schema, ha riprodotto lo stesso errore cheè stato rilevato nella sua produzione scritta, legato al-l’utilizzo scorretto della preposizione in.26 Abbiamo per-tanto riproposto la frase corretta (5a fase), per creare l’oc-casione di poter riflettere sull’errore, in modo piùconsapevole favorendo la memorizzazione e la com-prensione della struttura della frase. Un altro esempio di frase estratta dalle produzioni scrittedegli alunni è la seguente, tratta da un testo prodotto dal-l’alunno proveniente dal Ghana:

Frase di partenza:Per me, è un piacere a parlare italiano

Abbiamo proposto la ricostruzione corretta della frase(Per me è un piacere parlare italiano) nella slide con loschema radiale di riferimento (figura 3 a p. 88); succes-sivamente l’alunno, durante l’esercitazione, ha prodottoil suo schema radiale della frase (figura 4 a p. 88). L’alunno dimostra che, se guidato, riesce a completare inmodo corretto lo schema della frase, inserendo gli ele-menti richiesti nei cerchi vuoti e proponendo anche unapossibile variante espressiva (parlare l’italiano al postodi parlare italiano della consegna iniziale). Tuttavia allarichiesta di scrivere sul foglio la frase, l’alunno ricalca lostesso errore prodotto in origine legato all’uso della pre-posizione a prima della completiva soggettiva. Riprodu-cendo molto probabilmente il suo pensiero iniziale, rile-vabile in una indecisione nella scrittura presente nel suoelaborato originale in cui aveva cancellato le lettere st ri-conducibili alle iniziali del verbo studiare, propone infattila frase Per me è un piacere a studiare italiano.È stato dunque necessario riflettere, attraverso altri

esempi, sulla funzione di argomento soggetto delle com-pletive soggettive, sul loro uso e sulla possibile posi-zione posposta al verbo centrale del nucleo. La correzione dell’errore dovrebbe andare ad incidereproprio sull’uso della L2, per rendere l’alunno più con-sapevole del proprio percorso linguistico e dello stato delproprio apprendimento. Occorre quindi intervenire nelcaso di riemersione dell’errore andando ad incidere sulprocesso cognitivo del discente, fornendogli le giustestrategie di riflessione e di autocorrezione per progrediree migliorare la propria competenza linguistica.Proponiamo un ultimo esempio di un’attività che si è ba-sata sulla seguente frase prodotta dall’alunna di origineungherese:

Frase di partenza:Mi piace la pasta anche e alla casa mia mangiamo duevolte a giorno

Attraverso l’evoluzione dello schema radiale della frasecorretta Mi piace anche la pasta e la mangiamo due volteal giorno a casa mia si è riflettuto sull’ordine delle parole,con attenzione all’uso di anche, sulla necessità di utiliz-zare il pronome anaforico la, sull’uso delle preposizionie sulla struttura della frase composta. Gli alunni hanno poi completato gli schemi parzialmentevuoti con le parole indicate e le preposizioni e le con-giunzioni segnalate (a, e); infine hanno trascritto le frasisul loro foglio nel modo seguente:

Frase prodotta dall’alunna ungherese:Mi piace anche la pasta e la mangiamo due volte algiorno a casa mia

Frase prodotta dall’alunno ghanese:Mi piace anche la pasta, noi la mangiamo due volte algiorno a casa mia

Entrambi gli alunni, nel completare gli schemi, omet-tono la congiunzione e e non collocano le preposizioni alposto giusto in corrispondenza dei punti. L’alunna utilizzapoi bene la congiunzione coordinante e, mentre l’alunnosostituisce la e con un punto e virgola, trasformando la co-

26. Sulla difficoltà nell’uso delle preposizioni da parte degli apprendenti di ita-liano L2 osserva Camodeca: “Com’è esperienza diffusa e come è stato eviden-ziato da vari studi, difficoltà nell’uso delle preposizioni non sono solo frequentinei livelli interlinguistici prebasici e basici, causa soprattutto la forte interferenzadella L1 […] ma compaiono ancora nei livelli avanzati, facendo di questa cate-goria grammaticale un ‘terreno di fluttuazione’” (C. Camodeca, La grammaticavalenziale nella didattica dell’italiano L2. Una sperimentazione, cit., p. 7).

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV88

LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

Figura 3.

Figura 4.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 89

ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

27. Il questionario di gradimento sottoposto agli alunni è costituito dalle seguentidomande: 1. Ti è piaciuta questa esercitazione al computer? 2. L’esercitazioneè stata troppo lunga? 3. É divertente svolgere gli esercizi al computer? 4. Ora tiè più chiara la struttura della frase italiana? 5. La scomposizione della frase incerchi ti aiuta a meglio comprendere il suo significato? 6. Pensi che questo tipodi esercitazione sia utile per imparare la lingua italiana? 7. Consiglieresti que-sta esercitazione ad una tua amica / ad un tuo amico? 8. Preferisci svolgere gliesercizi tradizionali che normalmente ti assegna l’insegnante in classe? 9. Haiutilizzato carta e penna durante l’esercitazione? 10. Hai avuto tempo sufficienteper svolgere l’esercitazione? 11. L’insegnante ti ha incoraggiato/a durante l’eser-citazione? 12. Che cosa ti aiuta di più a ricordare: i colori o il movimento? 13.Come potresti definire questa esercitazione? 14. Come dovrebbe essere, secondote, una lezione che ti aiuti veramente ad imparare la lingua italiana? I tuoi sug-gerimenti e le tue critiche!28. Sul concetto di ergonomia didattica cfr. A. Calvani, Tecnologia, scuola, pro-cessi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere, Franco Angeli, Milano 2007.

ordinazione in due frasi giustapposte, anche le preposi-zioni sono comunque usate nel modo corretto.Le sperimentazioni si sono concluse con un momento divalutazione dell’attività proposta. Da un dialogo conl’alunno pakistano, frequentante la Scuola secondaria diprimo grado, è emersa la sua soddisfazione nei confrontidell’attività; l’alunno ha considerato la proposta di inse-gnamento divertente e riconducibile al modello dei vi-deogiochi della playstation, una esercitazione che ha con-tribuito a risvegliare la motivazione del fare, del provaree del riprovare. Il movimento e il colore lo hanno affa-scinato al tal punto che proprio la novità ha contribuito arisvegliare la curiosità, l’interesse e la motivazione. La situazione risulta differente per gli alunni frequentantila Scuola secondaria di secondo grado, avvezzi al rego-lare utilizzo del mezzo digitale, ma in genere non abituatiad un suo impiego finalizzato all’apprendimento; l’uso delmezzo digitale, dal punto di vista del discente, sembra in-fatti strettamente relegato all’aspetto ludico, come ab-biamo rilevato da un questionario di gradimento sotto-posto a questi alunni in relazione all’attività svolta.27

Gli alunni sono poi unanimemente concordi nell’affermareche questa modalità di esercitazione contribuisce a renderepiù chiara la struttura della frase italiana favorendo la suacomprensione: la scomposizione della frase in cerchi co-lorati aiuta a meglio comprenderne il significato e a me-morizzarla; è un’attività che può essere consigliata a tutticoloro che hanno difficoltà nella comprensione e sonoagli inizi dello studio della lingua italiana. Apprezzata èstata inoltre la presentazione, ad inizio di ogni esercita-zione, della frase corretta, poiché si impara meglio se si haanche l’occasione di poter osservare e imitare.

5. Osservazioni conclusiveLa sperimentazione condotta ha l’obiettivo di guidarel’alunno nel riconoscimento dell’errore nella struttura-zione della frase, rendendolo progressivamente semprepiù autonomo nell’identificazione e nella correzione del-l’errore stesso. Gli alunni devono essere pertanto guidatialla competenza dell’imparare ad imparare, in un pro-gressivo lavoro di riflessione volto all’autocorrezione e al-l’autovalutazione del proprio errore.Si è trattato di una sperimentazione che ha potuto stimo-lare l’insegnante in un percorso di ricerca-azione voltoprincipalmente alla correzione degli errori dei proprialunni, nella consapevolezza che lavorare sugli errori si-gnifica non solo segnalare gli errori, ma correggerli inmodo efficace.L’esercitazione sperimentata può produrre un effetto al-tamente positivo nei confronti dell’apprendimento del-l’italiano L2, se ben contestualizzata ed equilibrata ri-

spetto al grado di conoscenza della lingua italiana del-l’alunno alloglotto. Le attività proposte rendono atto del sistema di interlin-gua degli alunni, fotografando il livello di apprendimentoin evoluzione, e possono essere integrate nella progetta-zione di un percorso didattico che metta in coerente rela-zione obiettivi didattici, abilità e competenze nella pro-spettiva di una valutazione formativa che valorizzil’apprendimento raggiunto dall’apprendente alloglotto. Abbiamo anche osservato che gli alunni si affidano ad unacompilazione intuitiva degli schemi proposti, seguono icolori e il movimento, senza porsi il problema della ter-minologia grammaticale, e inseguono il senso della frase;questa modalità di lavoro permette così di passare dallagrammatica alla comprensione e produzione del testo e vi-ceversa. Abbiamo riscontrato infine la necessità di creare am-bienti digitali adeguati, che siano impiantati sul principiodi una equilibrata ergonomia didattica; occorre infattiche l’ambiente didattico interattivo ricalchi i processi co-gnitivi del discente contribuendo ad attivare e consolidareabilità, competenze e conoscenze.28 È uno dei compiti del-l’insegnante stimolare la motivazione dei propri alunni edequilibrare gli obiettivi di apprendimento creando un am-biente ergonomico cognitivamente attivo per il discente. Sperimentare nuove vie di insegnamento è dunque rile-vante per agevolare anche la generazione dei nativi digi-tali alloglotti e contribuire nello stesso tempo a integrarela didattica dell’italiano L2 con l’introduzione di una di-dattica innovativa. L’italiano L2 è una materia che devediventare campo di sperimentazione pari a tutte le altre di-scipline per favorire l’apprendimento anche attraverso losviluppo della competenza digitale.

Silvia Gilardoni Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Daniela Corzuol Docente presso l’IIS Mosè Bianchi di Monza

(indirizzo liceo linguistico)

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LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

Reading in the classroom is often felt as a waste oftime, because this may seem an activity which canbe done as homework by students on their own.

However, although research doubts the necessity of teach-ing reading, it also provides good reasons to think that train-ing learners to use sub-skills can improve not only their lan-guage competence but their reading ability too. Teachingexperience suggests that even upper-intermediate learnershave a tendency to interpret as fact what a text says, whichproves a serious problem, especially in academic reading.The present article analyses the reading process in relationto this sub-skill and offers some reflection on learners’difficulties as well as some possible teaching solutions.

1. Analysis and Issues1.1. Reading in L1 and L2Thornbury (n.d.) reports research findings showing thatreading skills are usually transferred from L1 to L2, es-pecially when learners have a “critical mass of languageknowledge”. Therefore, it would seem reasonable to teachthe language and not the skill. Silberstein (1994), in-stead, maintains that the teacher’s task is to help learnersdevelop metacognitive awareness, i.e. devise activitieswhich make strategies and skills conscious, in order to im-prove their comprehension ability. The present paper de-rives from the latter assumption.

1.2. Reading as InteractionNuttall (1982) underlines that reading is an interactiveprocess in which the writer and the reader depend on eachother. A text is usually written for a prospective reader, fora certain purpose, and in a way which should allow themeaning to be understood. From the reader’s perspective,reading is not simply an act of decoding, but a process in-volving awareness of the problems to face and of the toolsto face them. In other words, it is a co-operative task inorder to make meaning.

But what are the tools at the reader’s disposal?a) Research generally agrees on the distinction between

two kinds of processing, which successful readers drawon at the same time (Hedge, 2000, Thornbury, 2006):

● Bottom-up: building the meaning from the lower level,i.e. recognizing letters and words and working out sen-tence structure. It employs lexical, morphological, syn-tactical and discourse knowledge.

● Top-down: understanding a text drawing on back-ground knowledge. Nuttall (1982) analyses the contin-uous shifts between these two kinds of processing, asthe reader initially adopts a top-down approach to pre-dict probable meaning, then moves on to the bottom-upapproach to check it, and so on.

b) Carrell (1983) defines background knowledge or ex-perience of the world as “ schemata”. According toschema theory, we understand something only whenwe can relate it to an existing knowledge structure, veryoften culture specific, which may be formal, e.g. in-formation about or expectations of differences amonggenres, or content, e.g. the topic or content area of atext, such as the history of Europe or building a table.

c) The process of reading comprehension can also beseen as a set of sub-skills to be used at different levels,from “recognizing the script of a language” through, forexample, “deducing the meaning and use of unfamil-iar lexical items”, to “understanding the communicativevalue of a text”. (Grellet, 1981: 4,5). Nuttall (1982) di-vides them into “word-attack skills”, i.e. those skillswhich help the reader understand unknown words andface lexical density, and “text-attack skills”, i.e. thoseskills a reader needs to understand the text as a whole.

Nuttall (ibidem:122 – 123) puts the sub-skill of “distin-guishing between fact and opinion” into the final sub-

Teaching Reading sub-skills: Distinguishing between fact and opinion Flavia Zappa

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ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

group of text-attack skills which she calls “integration andapplication”. These skills make use of both bottom-up andtop-down processing, including the activation of one’sown schemata, and the other sub-skills are but a prepara-tion for them.

1.3. Distinguishing Fact and OpinionSpecialist literature (Grellet, 1981; Nuttall, 1982; Silber-stein, 1994; Stoller, 1994, Pardede, 2007) defines thesub-skill of distinguishing fact and opinion as a higher-level skill connected with critical thinking, without prop-erly analysing it. This might be due to the assumption thatthis sub-skill is as complex in L2 as it is in L1. As a mat-ter of fact, it is academic tutorials for both L1 and L2 stu-dents who take care to define fact and opinion.The Cuesta College tutorial (Interpreting what you read)gives the following definitions: Fact is objective and canbe proven, while opinion is subjective by definition. To as-sess a fact, a reader can draw on the evidence provided bythe text itself (e.g. statistics), on reference sources (e.g. en-cyclopaedias), and on his/her background knowledgeabout the topic. Opinions, which can be more or less con-vincingly justified by the text, may or may not be signalled,for example by “loaded language”, e.g. intensifying ad-verbs, and may be presented alone or blended with fact.

● Examples from a website tutorial (Flemming, 2000):1. In 1787, the British Government sent a fleet of con-victs to colonize Australia.

The statement is a fact. It can be easily verified in anynumber of reference or history books. Moreover, there isno attempt to evaluate the event, and the language revealsnothing about the author’s feelings toward the event.

2. America’s treatment of the homeless is a disgrace.

The statement is an opinion. The word ‘disgrace’ tellsreaders how they should feel about the subject of home-lessness in America, and feelings cannot be checked foraccuracy.

3. In 1852, the President of the United States, FranklinPierce, was greedy to expand U.S. influence, and heformally offered to buy the island of Cuba.

The statement is a blend of fact and opinion. While it canbe certainly verified whether or not Pierce offered to buyCuba, it cannot be accurately determined if greed was hismotive.● Academic tutorials and analysis of texts suggest that

opinions can be expressed, or blended with facts, amongothers, by:

a. introducing it explicitly, sometimes with the pronoun“I”, e.g. “it seems…”, “I think…”;

b. discourse markers: “Apparently…”c. modal verbs: “it might be that…”d. hypothetical structures, e.g. “What if…”e. positively or negatively connoted words, e.g. “dis-

grace” in example 2 above;f. adjectives, especially evaluative ones e.g. “ a convinc-

ing speaker”;g. comparisons, e.g. “far more innovative than…”;h. rhetorical devices, such as metaphors, e.g. “ Segments

of men”; contrasts, for example opposite words, e.g.“ennobling” versus “degrading”, or syntactical con-trasts, e.g. “it is true that … but …”

In real life, people generally read to obtain information,e.g. to know the program of a cultural event, for interac-tion, e.g. reading letters/emails from friends, or pleasure,e.g. reading a novel - and learners may or will need to readfor the same reasons. Reading for pleasure may involvereading literature, for which the distinction fact versusopinion is not valid per se, as the texts themselves are gen-erally based on the author’s point of view. On the contrary,distinguishing fact and opinion is a very useful sub-skillwhen reading for the other two reasons. For example, onreceiving a message from a friend saying that “the partywas fantastic” , the reader may well think that this is thewriter’s opinion if factual evidence is not provided. How-ever, the issue becomes crucial when reading for infor-mation, especially for academic purposes.

1.4. Learning IssuesOpinions may be present in most types of texts, but willcertainly constitute the major part of discursive (i.e. analy-sis of arguments in favour and against a situation, e.g. ac-ademic essays) and persuasive ones (i.e. one’s point ofview, e.g. advertising), which can be found in syllabusesfor upper-intermediate learners. These are often intendedto comment on facts, which may be more or less explic-itly expressed. Research suggests that distinguishing factand opinion is a sub-skill which tends to develop as theL2 proficiency increases (Ghahraki & Sharifian, 2005).On the other hand, research also confirms the general im-pression that “it is possible to be overly impressed by theauthority of written text, particularly in a second lan-guage” (Silberstein, 1994: 859). According to teaching experience, difficulties arise fromthe combination of cognitive and linguistic demands:1. complexity of/ unfamiliarity with the topic or with

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LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

the cultural values inherent to it: this should preventlearners from activating content schemata to verifywhat is fact and what is not;

2. unfamiliarity with the genre in L2: learners may ex-pect a different organization of the argument (Singhal,1998) and therefore activate incorrect formal schemata;

3. language difficulties (i.e. lexical density and grammarcomplexity): even at upper-intermediate level learnersmay be so deeply engaged in bottom-up processing thatthey fail to understand what is fact and what is opinion;

4. unfamiliarity with interpreting the devices used toexpress opinions (list in 2.3 except factor 1, whichshould not represent a problem for upper-intermediatelearners): despite the upper-intermediate level, learnersmay not have developed any critical reading skills, es-pecially if they are not used to it in their L1.

Critical Discourse Analysis (CDA) argues that distin-guishing fact and opinion is not as straightforward as itcould seem, because of the ways in which languageblends opinion with fact, for example by using descriptivevocabulary that incorporates a judgement, e.g. “regime”for “government” (Cook, 2003). For this reason, “beingable to dissociate facts from opinions is an essential firststep in acquiring a critical reading ability” (Grellet, 1981),i.e. the “awareness of how elements of language can bemanipulated by writers” (Hedge, 2000).

2. Suggestions for TeachingAlthough it seems that an L1 competent reader can in-stinctively understand how to scan a telephone directoryor skim a newspaper article in L2 too, critical reading re-quires more sophisticated strategies, which one may noteven have developed in his/her L1 (e.g. teenage learners)or may prove too difficult for the combination of linguisticand cognitive demands in L2.

A) Initially, the cognitive load could be reduced by pre-senting single sentences containing easy language and fa-miliar topics, with little need to activate schemata. Thesentences could contain specific language features of sig-nalling opinion, e.g. connoted words, which the learnersshould recognize, e.g. underline, and explain, e.g. definethe opinion. This would lend itself to games too, whichwould be suitable for kinaesthetic/tactile learners, e.g.flashcards showing either fact or opinion statements – thelearners turn them one by one and shout “opinion” whenthey read an opinion statement.

B) However, upper-intermediate learners have to face

complex texts, for which the sub-skill of discriminatingfact and opinion may be particularly relevant. In order tomake the cognitive demands accessible to the learners, theteacher has the task of building a reading process inwhich linguistic and cognitive demands are well-bal-anced and increase gradually. This will be discussed be-low.

Practising/teaching reading has been established as athree-stage process, i.e. pre-reading, while-reading andpost-reading activities, which respectively serve the pur-pose of providing a reason for reading and introducing thetext, giving guidance through signpost questions (i.e.questions that direct the learners’ attention to the impor-tant points in the text) and promoting evaluation and per-sonal response (Nuttall, 1982). In a reading lesson fo-cusing on the sub-skill of distinguishing between factand opinion the three phases should trigger strategies toovercome the learners’ difficulties analysed above.

● Learner issue 3 - Pre-reading: Pre-teaching key lan-guage, if the teacher believes it cannot be inferred fromcontext. However, Nuttal (ibidem) argues that pre-teaching lexis may deprive the student of a genuinereading task, i.e. getting practice in interpreting it. Ifthere is a lot of unknown language, it means that the textis above the students’ reading ability, so there is no pointin having them read it.

● Learners issue 1 - Pre-reading: Introduction of thetext and activation of Content Schemata in order topredict content. As discussed above, this is a crucialstage for establishing what is fact and what is opinion.This can be done by:

a. eliciting content from the title, layout, pictures, dia-grams, and other visual elements – this should suit “vi-sualist” learners and be suitable for texts such as news-paper articles or advertising leaflets.

b. having a plenary discussion, if the topic is very chal-lenging and needs guidance from the teacher, orpair/groupwork discussion aiming at completing a shorttask with modalities appealing to different learningstyles and intelligences, e.g. selecting and orderingcards (tactile/kinaesthetic), matching (reflectors), list-ing (theorists), drawing a concept map (mathematical-logical).

● Learner issue 2 – While-reading: Reading for Gist.Learners are engaged in silent quick reading to check

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 93

ITINERARI DIDATTICI PER LE LINGUE STRANIERE

and modify their predictions about the topic. Here theteacher should assign one or two signpost questions tobe answered individually, and/or to be checked in pairsto allow high cognitive demands to be shared and dis-cussed. This stage could be the opportunity for dis-cussing and checking formal schemata by looking attopic sentences and labelling the paragraphs with theirfunction, e.g. in a discursive essay Japanese studentsmay expect the general statement at the end of a para-graph instead of as a topic statement at the beginning(Singhal, 1998).

● Learner issue 4 (and 3) - While reading: Reading fordetail and Distinguishing fact and opinion. This is theapex of the lesson and it should be organised through

signpost questions in the form of collaborative tasks tocater for the students’ need for support within their in-dividual “zone of proximal development” (Vygotskij,1978), i.e. “the distance between what they can achievealone and under guidance” (Gibbons, 2009:15). Nuttal(1982) suggests breaking up the text if it is long, whichshould promote the sub-skill of prediction, while still al-lowing for inferring meaning of unknown words fromcontext. Learners are asked to spot facts, for example,through a list to be matched with the lines in the text.Then they are asked to find the corresponding opinionsand identify how they are signalled, which may bedone according to the learners’ learning styles:

a. given a list of categories of language, learners find thecorresponding words from the text, e.g. evaluative ad-jectives, which should suit theorists;

b. given some sentences expressing opinion, learnersidentify and categorise words/phrases by themselves,which should suit reflectors.

Further analysis of language features may be needed,e.g. matching opposites contrasting fact and opinion.

● Evaluation - Post-reading: the students are asked togive a personal response to the text, for example by dis-cussing whether they agree with the writer’s opinion/s,or by writing an essay on the same topic.

An analysis of textbooks reveals that this subskill is rarelytaught, but, when taught, it generally follows the schemepresented above, though incorporated in lessons aimingat teaching some language feature (Dummet, P., Hughes,J. and Stephenson, H., 2013). On the other hand, educa-tional websites often offer a description of fact and opin-ion statements with sample analyses and self-study ac-tivities to distinguish between them (see, for example,BBC Skillswise).

Distinguishing between fact and opinion is a crucial skillin critical reading and proves relevant to upper-interme-diate learners’ needs. Although it seems possible to trans-fer reading skills from L1 to L2, it should also be advis-able to train learners to become aware of this particularsub-skill, which involves a combination of cognitive andlinguistic demands. Effective guidance by the teacher aswell as a constructivist approach should aim at balancingthe cognitive load in order for learners to develop this sub-skill.

Flavia Zappa, I.I.S. “C.Beretta” Gardone V.T., Università Cattolica Brescia

Paricolare di una mappa dell’Impero inglese del 1866.

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LINGUE, CULTURE E LETTERATURE

� BIBLIOGRAPHY �

A. RESEARCH SOURCES

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B. TEACHING MATERIALS

BBC Skillswise – Distinguishing between fact and opinion (2011). Retrieved 29th April 2014 from http://www.bbc.co.uk/skillswise/fact-sheet/en06opin-e3-f-fact-or-opinionBBC Skillwise – Identifying Fact and Opinion (2011). Retrieved 29th April 2014 from http://www.bbc.co.uk/skillswise/worksheet/en06opin-e3-w-what-is-fact-what-is-opinionDummet, P., Hughes, J. and Stephenson, H. (2013). Life – Upper-Intermediate – B2. Student’s Book. Andover: National Geographic Learn-ing/Heinle Cengage Learning.

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV 95

LIBRI

A. MarroneLa pedagogia cattolica delsecondo OttocentoEdizioni Studium, Roma 2016,pp. 312, € 25,00

Tanto attiva e capillare fu lapresenza dei cattolici nella vitaeducativa del secondo Ottocentoattraverso l’azione di numerosecongregazioni religiose quantomodesta e irrilevante sarebbestata l’elaborazione pedagogica,di gran lunga inferiore a quellamessa a punto dai maggioriesponenti della pedagogiarisorgimentale (Aporti,Lambruschini, Capponi,Rosmini). Questa diffusaconvinzione che si è consolidataintorno al giudizio espresso asuo tempo da svariati studiosi(non ultimo Giovanni Gentile) èora ripresa e discussa in questovolume. Il saggio del giovane ricercatorele vicende pedagogiche delmondo cattolico secondoottocentesche su tre versanti. Ilprimo è dedicato a presentare lariflessione dei maggiori studiosidi questioni educative deltempo: seguaci e allievi diAntonio Rosmini comeGiuseppe Allievo e FrancescoPaoli; esponenti della tradizionetoscana come Augusto Alfani eAugusto Conti; formatori digeneratori di maestri e autori diapprezzata manualisticascolastica come Carlo Uttini.Nel secondo viene ricostruita lanon secondaria influenzaesercitata da noti studiosifrancesi coevi (Dupanloup,Guibert, Gillet) che veicolaronouna sensibilità non ostile aiprocessi di modernizzazione incorso nella società europea. Ildibattito italiano ne fu

influenzato mediante latraduzione di numerosi scritti. Ilterzo ambito d’indagine riguardal’educazione femminile e ladivulgazione di un modello didonna cristiana non più soltantoispirato alle vite dei santi e ailibri devozionali, maorganicamente inserita nellasocietà del tempo con ilriconoscimento di spazi d’azioneben superiori al passato, inspecie nel campo dell’istruzione. Gli scavi intorno alle minoranze– e non c’è dubbio che questiautori furono espressioneaddirittura di una doppiaminoranza: in minoranza versola prevalente temperie positivistae osservati con diffidenza anchedagli ambienti intransigenti perle loro non nascoste simpatieliberali – risentono sempre delrischio di una tardiva letturaapologetica. In questi casibisogna chiedersi se lo sforzodella rivisitazione non si riduce aun semplice interesse erudito. L’analisi dell’autore – condottacon ricchezza didocumentazione e ampiezzaargomentativa – non cede aquesto rischio. Senza rinunciarea individuare alcuni limiti dellaloro riflessione, Marronesottolinea come essi sepperoconfrontarsi, senza cedimenti maanche senza preclusionipreconcette (che spessoinquinavano il giudizio della“Civiltà Cattolica”), con latemperie positivista e spessoanticlericale del loro tempo (e inspecie con l’irruzione dellacultura scientifica brandita comealternativa alla concezionereligiosa dell’uomo) e con unavisione dell’educazione comesemplice sviluppo naturale. Nessun cedimento, dunque,all’evoluzionismo di Moleschotte di Lombroso e neppure nessuncedimento, su un altro piano,alla riduzione degli hegelianiall’uomo come sola forza delpensiero e alla visione delloStato come entità assoluta nellaquale si invererebbe l’esperienzaumana. Lo scontro che siconsuma tra una visionetrascendente dell’uomo e

un’assoluta immanenza ètuttavia segnato dallaconsapevolezza che le sfide dellamodernità non possono essereliquidate senza la lorodiscussione e che, anzi, daqueste sfide possono emergerenuove soluzioni e visioni delmondo più ampie e consone allasua stessa comprensione. Per portare un solo esempiobasta pensare a come questiautori si pongono di fronte alloStato e alla libertà diinsegnamento. Non c’è unapreconcetta visione negativadello Stato liberale, ma vieneespressa la convinzione che lasocietà civile non può essereasservita allo Stato: è piuttostolo Stato a doversi porre alservizio della società. Il maestrodi scuola, come osservavaancora l’Allievo, non era il“mandatario del Governo i cuivoleri abbiano ad essere normasuprema per lui”, bensì “uninviato della famiglia” e di cuidoveva “prima che dello Statorispettare gli intendimenti”.Il libro non solo concorre a unaconoscenza più completa dellastoria educativa italiana neiprimi decenni post unitari – ilche è già un merito nonsecondario –, ma avanza anchela ragionevole ipotesi che senzala mediazione di questi studiosidi minoranza sarebbe stata moltopiù difficile e complessal’elaborazione della nuovastagione pedagogica delcattolicesimo italiano d’inizioNovecento. Giorgio Chiosso

M. ViolaStoria del mio bambino perfettoRizzoli, Milano 2015,pp. 243, € 17,00

Marina, italiana di nascita,decide di stabilirsi per amorenegli Stati Uniti.Successivamente, nasce Luca,bambino Down con sindromeautistica. La prima grande lottache Marina affronta èl’accettazione di un figlio chele è completamente diverso.Nei momenti di fortedisperazione, l’autrice raccontadi essersi sentita tradita da lui,«come se fosse stata sua ladecisione di essere diverso». La nascita di Luca le permetteun confronto culturale elegislativo fra la sua terranatale e quella d’adozione.Inoltre, viene effettuato unapprofondimentosull’istituzione scolastica. Negli Stati Uniti, se la scuolapubblica non è in grado disoddisfare i bisogni deldiversamente abile grave, pagaun’istituzione privata, in questocaso specializzata in autismo. La narrazione si apre anche atemi più intimi come il ruoloche parenti e amici hanno avutonei loro confronti e ledinamiche familiari. Inparticolar modo, viene descrittoil rapporto tra i tre figli. Lasecondogenita (Sofia) che sicomporta da figlia maggiorenei confronti del fratello,mentre Emma, la più piccola,gioca ad imitare le terapiste diLuca.Oggi Luca ha diciotto anni enel giorno del suo compleannoMarina fa un bilancio deltempo che è trascorso. Il verohandicap di Luca, affermal’autrice, è la vulnerabilità, nonl’autismo o la sindrome diDown.Nel libro la scrittrice esplode ladifferenze di genere che hannopermesso a lei e al marito diaffrontare in maniera diversa lacondizione di diversa abilità delproprio figlio. Inoltre, affronta il tema etica etrattamento lasciando aperta lariflessione su quanto ènecessario intervenire sulla vitadi una persona autistica percambiarla. Barbara Galbusera

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Nuova Secondaria - n. 2 2016 - Anno XXXIV96

LIBRI

F. ErvasSe ti abbraccio non aver paura.Il viaggio di Franco e AndreaMarcos y Marcos, Milano 2012, pp. 320, € 17,00

Andrea era un bambino che, finoa due anni e mezzo, rideva eparlava. Successivamente,diventa cupo e introverso. Chesia stato il vaccino trivalente? Da allora Andrea ha cominciatoa fare gesti ripetitivi, immotivati,a non guardare più fisso negliocchi. Ed ecco arrivare unuragano infernale, la diagnosi:“Andrea è autistico!” Oggi Andrea è un adolescente.Sono lontani i ricordi di quelbambino che indossavamagliette con scritto “se tiabbraccio non aver paura” perfacilitare la codifica dei suoi attiall’altro, ma ancora attuali sonoalcuni suoi comportamenti emolte preoccupazioni deigenitori.Manca un mese alla fine dellascuola e i genitori hanno bisognodi trovare sia a chi affidareAndrea, sia un’occupazioneadatta a lui. Il padre Franco trasforma leesigenze organizzative in unviaggio oltre oceano con ilfiglio. Questo espedientepermetterà una riscoperta delladimensione esistenziale diAndrea e del proprio modo dicontattare il mondo. Andrea è un ragazzo spontaneobacia le persone sconosciute,accarezza le pance di chiunquepoiché è l’unico modo perentrare in una relazione autenticacon l’altro, mangia le fogliedelle piante e costruisce fintetorte formate da ketchup etovaglioli. Tutto ciò incurante

del giudizio dell’altro. Andrea ha anche una grossasensibilità, quella che glipermette di estrarre la propriabacchetta magica per puntarlasia sul corpo di una ragazzadistesa a terra a causa di unincidente, sia sul padre che,vedendo la scena, si mostrapreoccupato.Durante il viaggio, icomportamenti bizzarri del figliopermettono a Franco diconoscere la dimensioneesistenziale di molte persone efamiglie che casualmenteincontrano. Questo induce illettore a scardinare il significatoetimologico della parola autismo.Nella narrazione vi è un doppioviaggio. Quello reale fin quidescritto e quello metaforico chepermette a Franco di ricostruirela propria dimensione dipaternità nei confronti diAndrea.In questo libro, emergono moltispunti di riflessione tra cui: lastoria emotiva del genitore e lapreoccupazione per la vita delfiglio alla sua morte, lacondizione autistica nellediverse culture, il confronto traciò che sono i reali bisogni diAndrea e ciò che Franco pensasiano i bisogni del figlio,l’affettività e la sessualità. Alla fine del nostro viaggio conFranco e Andrea siamoincentivati a pensare checiascuno di noi potrebbeindossare la maglietta “se tiabbraccio non avere paura”.Barbara Galbusera

R. NigroNarratori cristiani di unNovecento inquietoEdizioni Studium, Roma 2016,pp. 122, € 12,00

Quando si giunge all’ultimapagina di questo volume si ha lasensazione di aver attraversatoun mondo che, in qualche modo,quel titolo che campeggia sullacopertina fatica ad esaurire.Narratori cristiani, a loro voltainseriti in una narrazione, quelladi Raffaele Nigro, scrittore egiornalista che racconta in presadiretta i propri ricordi. Perché luiquesti narratori non li ha sololetti e studiati ma li ha incrociatilungo il cammino della vita chedalla Lucania lo ha portato allascoperta del mondo. “Io volevoemergere – racconta – liberarmidal patriarcalismo e cominciavoa sentire la necessità di spaccaretutto e soprattutto far esploderela mia esistenza”. Sono le paroledi un giovane che si affaccia inquel laboratorio dicontraddizioni che è l’Italia deglianni Sessanta, alla disperataricerca di una via nelleincertezze politiche edesistenziali e per il quale gliincontri con questi grandidivengono occasione diformazione e di ripensamento disé e del proprio posto nelmondo. Non un’antologia, nétanto meno una storia dellaletteratura quindi, ma molto dipiù. Qualcosa di più simile aun’autobiografia, una riflessionepersonale scorrevole eaccattivante, un magazzino distorie che, come accenna nellapremessa anche GiuseppeTognon, riesce a spiegare “laqualità del legame che legaNigro a quel gruppo di uominiscrittori tutti così diversi e unici”ma anche a riportare alla luceuna parte della letteratura spessodimenticata.Alessandra Mazzini

F. BlezzaPedagogia e professioni sociali.Teoria, metodologia, tecnicad’esercizio e casistica clinicaCosmografica, Roma 2014,pp. 382, € 35,00

L’A. intende la pedagogia comeun sapere complesso e articolato,che non coincide con l’arte, lascienza e la filosofia, anche se sinutre in modo positivo di aspettisignificativi di queste discipline.Parte dal presupposto che perpoter comprendere pienamente ilsenso profondo della pedagogianon è sufficiente riflettere, inmodo astratto e teorico, sui suoiprincipi, ma è opportuno ancheesercitare professionalmenteattraverso di essa, occupandosidirettamente di praticaeducativa. Partendo da questaconcezione della pedagogia, ilvolume si articola in due parti.La prima teorica sul ruolo dellapedagogia e del pedagogista, laseconda ricca di esempi,situazioni e casi concreti chel’autore ha incontratonell’esercizio della sua attività di“pedagogista volontario”. Nerisulta un volume interessanteche tenta di mostrare l’intima ela necessaria circolaritàriflessione pedagogica edesercizio educativo.

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“Pierre Nora

COME SI MANIPOLA LA MEMORIA Lo storico, il potere, il passato

pp. 96 - € 8,50

Pierre Nora”Solo molto tardi, con l’ambizione di diventare una scienza nell’ultimo terzo del XIX secolo, la storia si è costituita come attività autonoma, professionale, fondata su un metodo di analisi critica dei documenti […].

“”

Il pericolo dell’ignoranza della storia è che essa fomenta inevitabilmente delle ricostruzioni del passato sia fantasiose, sia – ed è molto peggio – falsate da un’ideologia.

Rémi Brague

Rémi Brague

DOVE VA LA STORIA? Dilemmi e speranzepp. 160 - € 9,50

UNA RIFLESSIONE SULLA STORIA E SUL RUOLO DELLO STORICO