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NUMERO/249 in edizione telematica 10 novembre 2017 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]r “Gli è tutto da rifare !” L’ultima decade di ottobre non è stata avara, nel campo dello sport, di notizie clamorose e talora del tutto inattese. Non tutte, bisogna ricordarlo. Per esempio molti si sono meravigliati quando, in una intervista pubblicata dal più letto quotidiano della capitale, il ministro dello sport Luca Lotti ha annunciato che nella prossima legislatura la famosa Legge 91 del 23 marzo 1981 verrà sicuramente modificata. Al momento, nonostante tutti gli annunci, non se ne fa niente. Ma, nel frattempo, siccome uno che è Ministro da circa un anno non può uscire di scena senza lasciare traccia, viene annunciato che nella prossima Legge di Bilancio si parlerà di sport. E’la prima volta che succede nel nostro Paese, visto che anche nella Costituzione della Repubblica Italiana sport e simili attività non sono neanche accennati. Invece adesso avremo le “Associazioni Sportive Lucrative”. So che i nostri lettori sono acculturati ma, probabilmente per la mia irrimediabile inscienza (che non è ignoranza, ma ci assomiglia), quando mi imbatto in lemmi come questi penso che si tratti di parolacce.E, nel dubbio, consulto il prezioso Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia. Oltre allo scontato significato di affare che “produce lucro, profitto, guadagno, arricchimento” ha anche quello, meno nobile e che sospettavo, di “esoso o dispendioso”. Tanto che Filippo Tommaso Marinetti nel suo proclama “Democrazia futurista” condanna i “filosofi e storici che avevano fatto della filosofia e della storia dei mestieri lucrativi”. Pur non essendo assolutamente dedito al futurismo (mi riconosco soprattutto nel passato) trasferisco eguale dissenso nei confronti di chi voglia trasformare un pensiero “dilettantistico” in un affare commerciale. Di tutto questo si è trattato il giorno 20 ottobre nel Convegno nazionale su “Le Società sportive dilettantistiche oggi in Italia – Criticità e proposte”, indetto ed organizzato dalla ANSMeS (Associazione nazionale stelle al merito sportivo) con la collaborazione delle Fiamme Gialle. Quale migliore occasione per affrontare il problema, visto il tema scelto e preso atto del livello dei relatori ? Infatti, introdotti da Giovanni Malagò , pilotati da Gianni Gola e con la moderazione di Vincenzo Parrinello hanno esaminato il problema Mario Pescante, Luca Pancalli, Franco Castellano, Antonio Buccioni, Silvia Salis, Andrea Mancino, Pier Paolo Manno, Valerio Piccioni. Un “parterre de rois”, con interventi di alto contenuto. Sarebbe difficoltoso e forse impossibile riassumerli. Forse per questo del Convegno non è apparsa una riga né sui giornali né sui siti istituzionali. Tento di tradurli in poche parole magari ricorrendo al suggerimento del Ginettaccio Nazionale: “ Gli è tutto da rifare !” Infatti non c’è stato oratore che non abbia dimostrato come le attuali leggi siano confuse, contradditorie, insufficienti. Nessuno, soprattutto, ci ha detto come si intendono aiutare e sostenere le attuali società, a parte certi sgravi fiscali che in molti casi avvantaggiano organizzazioni che di sportivo poco o nulla hanno. Potrei indicare, senza pindarici voli di fantasia, cosa si stia facendo in Paesi simili al nostro. La più facile ricerca, per chi Ricerca non ha, è documentarsi su cosa gli altri hanno già fatto in maniera virtuosa.In attesa di tempi migliori arrivano altre notizie per lo meno sconcertanti. Il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) comunica che i video-giochi sono attività altamente sportiva. Potrebbero essere ammessi nel programma delle Olimpiadi, alla voce Video-Giochi. Bisogna ammettere che di passi avanti dal 776 avanti Cristo ad oggi ne sono stati fatti… In 2793 anni si è passati dallo “stadio” allo Stadio. Parlo dello Stadio Flaminio che, notizia dell’ultimo giorno di questo fatidico mese di ottobre 2017, diventerà nel frattempo parcheggio per i pullman turistici. Evviva l’Italia! Vanni Loriga P.S. 1 –All’inizio del citato Convegno è stata consegnato alla Polisportiva Lazio il premio. Ugo Stecchi. Momenti di meraviglia considerato che in quei giorni si parla solo della tifoseria laziale e di una sua pessima iniziativa. Gianni Gola, Presidente della ANSMS, chi ha spiegato che un deprecabile gesto non può cancellare la storia di una Società che vanta 50 benemerite sezioni. P.S. 2 – Mi permetto di consigliare al Presidente del CIO Thomas Bach la lettura del testo di Antonio Gramsci “ Sotto la Mole” in cui spiega quale sia la differenza tra Sport e giochi.

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NUMERO/249 in edizione telematica 10 novembre 2017 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

“Gli è tutto da rifare !” L’ultima decade di ottobre non è stata avara, nel campo dello sport, di notizie clamorose e talora del tutto inattese. Non tutte, bisogna ricordarlo. Per esempio molti si sono meravigliati quando, in una intervista pubblicata dal più letto quotidiano della capitale, il ministro dello sport Luca Lotti ha annunciato che nella prossima legislatura la famosa Legge 91 del 23 marzo 1981 verrà sicuramente modificata. Al momento, nonostante tutti gli annunci, non se ne fa niente. Ma, nel frattempo, siccome uno che è Ministro da circa un anno non può uscire di scena senza lasciare traccia, viene annunciato che nella prossima Legge di Bilancio si parlerà di sport. E’la prima volta che succede nel nostro Paese, visto che anche nella Costituzione della Repubblica Italiana sport e simili attività non sono neanche accennati. Invece adesso avremo le “Associazioni Sportive Lucrative”. So che i nostri lettori sono acculturati ma, probabilmente per la mia irrimediabile inscienza (che non è ignoranza, ma ci assomiglia), quando mi imbatto in lemmi come questi penso che si tratti di parolacce.E, nel dubbio, consulto il prezioso Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia. Oltre allo scontato significato di affare che “produce lucro, profitto, guadagno, arricchimento” ha anche quello, meno nobile e che sospettavo, di “esoso o dispendioso”. Tanto che Filippo Tommaso Marinetti nel suo proclama “Democrazia futurista” condanna i “filosofi e storici che avevano fatto della filosofia e della storia dei mestieri lucrativi”. Pur non essendo assolutamente dedito al futurismo (mi riconosco soprattutto nel passato) trasferisco eguale dissenso nei confronti di chi voglia trasformare un pensiero “dilettantistico” in un affare commerciale. Di tutto questo si è trattato il giorno 20 ottobre nel Convegno nazionale su “Le Società sportive dilettantistiche oggi in Italia – Criticità e proposte”, indetto ed organizzato dalla ANSMeS (Associazione nazionale stelle al merito sportivo) con la collaborazione delle Fiamme Gialle. Quale migliore occasione per affrontare il problema, visto il tema scelto e preso atto del livello dei relatori ? Infatti, introdotti da Giovanni Malagò , pilotati da Gianni Gola e con la moderazione di Vincenzo Parrinello hanno esaminato il problema Mario Pescante, Luca Pancalli, Franco Castellano, Antonio Buccioni, Silvia Salis, Andrea Mancino, Pier Paolo Manno, Valerio Piccioni. Un “parterre de rois”, con interventi di alto contenuto. Sarebbe difficoltoso e forse impossibile riassumerli. Forse per questo del Convegno non è apparsa una riga né sui giornali né sui siti istituzionali. Tento di tradurli in poche parole magari ricorrendo al suggerimento del Ginettaccio Nazionale: “ Gli è tutto da rifare !” Infatti non c’è stato oratore che non abbia dimostrato come le attuali leggi siano confuse, contradditorie, insufficienti. Nessuno, soprattutto, ci ha detto come si intendono aiutare e sostenere le attuali società, a parte certi sgravi fiscali che in molti casi avvantaggiano organizzazioni che di sportivo poco o nulla hanno. Potrei indicare, senza pindarici voli di fantasia, cosa si stia facendo in Paesi simili al nostro. La più facile ricerca, per chi Ricerca non ha, è documentarsi su cosa gli altri hanno già fatto in maniera virtuosa.In attesa di tempi migliori arrivano altre notizie per lo meno sconcertanti. Il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) comunica che i video-giochi sono attività altamente sportiva. Potrebbero essere ammessi nel programma delle Olimpiadi, alla voce Video-Giochi. Bisogna ammettere che di passi avanti dal 776 avanti Cristo ad oggi ne sono stati fatti… In 2793 anni si è passati dallo “stadio” allo Stadio. Parlo dello Stadio Flaminio che, notizia dell’ultimo giorno di questo fatidico mese di ottobre 2017, diventerà nel frattempo parcheggio per i pullman turistici. Evviva l’Italia!

Vanni Loriga P.S. 1 –All’inizio del citato Convegno è stata consegnato alla Polisportiva Lazio il premio. Ugo Stecchi. Momenti di meraviglia considerato che in quei giorni si parla solo della tifoseria laziale e di una sua pessima iniziativa. Gianni Gola, Presidente della ANSMS, chi ha spiegato che un deprecabile gesto non può cancellare la storia di una Società che vanta 50 benemerite sezioni. P.S. 2 – Mi permetto di consigliare al Presidente del CIO Thomas Bach la lettura del testo di Antonio Gramsci “ Sotto la Mole” in cui spiega quale sia la differenza tra Sport e giochi.

SPIRIDON/2

Voi non ci crederete, ma sono state le prese di posizione delle organizzazioni legate alla memoria dei partigiani, la targa negata per una via di Prato e di una ciclabile intitolata al “Terzo Uomo”, a farmi scoprire un lato per me sconosciuto di Fiorenzo Magni, uno dei più grandi campioni della storia dello sport e del ciclismo in particolare, che ha avuto il torto di dover condividere la strada ed il podio con due mostri sacri, coetanei o quasi, come Fausto Coppi e Gino Bartali (rispettivamente vicini all’area comunista - che era un falso, in presenza di un messaggio di felicitazioni a De Gasperi, ed era il 1948 - e democristiana, per l’immaginario collettivo di settant’anni fa). Dunque Magni, che fu squalificato dalla Federciclismo nel 1946 (imputato, latitava a San Marino) e poi assolto nel 1947 in Corte d’Assise d’Appello a Firenze per i reati imputatigli, nonostante il clima di dagli all’untore persistente subito dopo la Liberazione, ebbe il coraggio di non negare comunque la sua fede politica e il giuramento fatto per la Repubblica di Salò, la forza di vincere tre Giri d’Italia e delle Fiandre, di rinunciare - da maglia gialla – alla probabile vittoria nel Tour del 1950 per solidarietà con Bartali, di classificarsi secondo ai Mondiali su strada del 1951. Adesso, a bocce più che ferme, sarebbe indegno per la intestazione di una strada nella natale Prato, cosa che pare non si neghi a nessuno, a partire dal “fascista” dichiarato Indro Montanelli, salvo che a Fiorenzo Magni a Prato, a Franco Califano ad Ardea, Giuseppe Bottai a Roma e Bettino Craxi a Milano. Dopo avere regalato due decenni di onori e gloria alla collettività italiana con le sue imprese sportive, essere stato nominato per questo Commendatore della Repubblica, ricevuto il Collare olimpico dal Presidente Azeglio Ciampi per i servigi resi al Paese, ha avuto gli stessi problemi del grande del palcoscenico Giorgio Albertazzi, peraltro ringraziato a sua volta da un Presidente, oggi emerito,come Giorgio Napolitano, che non sembra abbia un passato dubbio se non quello di essere stato l’eminenza, grigia del PCI degli anni migliori. Qualcuno, purtroppo, continua ad alimentare il refolo d’odio che condiziona negativamente lo stato d’animo degli italiani sin dai tempi di Garibaldi (anche lui ancora sotto processo per la sconfitta nella battaglia di Mentana). Credo di essere al riparo da ogni supposizione di parte, vista la mia ultratrentennale milizia socialista, ma vi posso garantire

che, come Sandro Provvisionato, da poco involato per Borea e che voglio ricordare, non sopporto ingiustizie e prese di posizione per partito preso o, peggio, complotti. Dunque, accertato che Fiorenzo nel 1995 ricevette finanche il Premio ALTIS, assegnato proprio da noi socialisti dell’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport) anche ad Oscar Barletta, Claudia Testoni, Arturo Maffei, Mario Belardinelli, e che in quella occasione nessuno ebbe da ridire, rimane il dubbio che lo strano algoritmo dipenda dalle contingenze politiche, ovvero da strumentalizzazioni, che diventa difficile accettare, come nel caso di Magni. Del resto, non bastò il gesto clamoroso di Walter Veltroni, che da vice Presidente del Consiglio e ministro dei Beni Culturali fece restaurare nel 1994 “L’apoteosi del fascismo”, enorme dipinto di Luigi Montanarini, sino allora nascosto nel Salone d’Onore del Palazzo H al Foro Italico, se ancora oggi gli

onorevoli Fiano e Boldrini nutrono sentimenti talebani contro l’obelisco di Mussolini e l’intero complesso del Foro, ignorando che a Roma e in Italia sopravvivono innumerevoli altre strutture di pregio architettonico realizzate nel ventennio e non suscettibili di veto ideologico, piuttosto che utili e indispensabili realtà, di cui bisognerebbe fare tesoro e non mandarle colpevolmente in disfacimento. Dico da sempre che bisogna avere il coraggio delle proprie idee e di governare, ma adesso aggiungo anche il coraggio dell’appartenenza. Per questo, mentre ricordo la scomoda coerenza di Magni e Albertazzi, aggiungo l’imbarazzo che si aggiunge per il fatto che, per quanto riguarda Fiorenzo, salvo il grande Alfredo Martini, non mi pare che il mondo dello sport abbia brillato per solidarietà nel momento critico del processo e poi adesso in quello del ritorno di una atmosfera politica astiosa, anti celebrativa. Di questo dovremmo farci tutti carico, ovvero che il livello di promozione storica culturale dello sport italiano è infimo e che dietro l’apparire non c’è quasi nulla, come dimostrato da casi dolorosi come quello di Tiberio Mitri, morto disperato il 12 febbraio del 2001 sotto un treno e dello stesso Arturo Maffei, scomparso a Torre del Lago il 12 agosto del 2006 e le cui storiche “mirabilia”, in assenza di un Museo nazionale dello sport, a più riprese negato, considerate dal Sindaco di Viareggio come un problema, sono state scaricate nella sede della Polizia Urbana. Ruggero Alcanterini

SPIRIDON/3

fuori tema di Augusto Frasca

Ne scrive in altra pagina, con la consueta lucidità, Pino Clemente. Per dilatare le opinioni, aggiungo la mia: l'allargamento del programma olimpico ai videogames più che un'anomalia culturale è un'idea semplicemente idiota. Peggio, molto peggio di quando la televisione irruppe nelle nostre case con quella sorta di bollitore da caffè con maniglia, sospinto sul ghiaccio con un operatore ecologico pronto con uno scopino a spianargli la strada, con cui il curling entrò a vele spiegate ai Giochi di Sochi del 2014. Potenza dei tempi nuovi e dei mercati, quando lo schermo, nelle sue infinite applicazioni, fa e disfa con l'imbarazzante complicità di quanti, da Losanna a Montecarlo, governano il mondo dello sport. Ne sa qualcosa l'atletica, un versante in cui la ricerca del nuovo fa da qualche tempo a pugni con una consuetudine di costruzioni regolamentari che hanno reso nobile l'immutabilità ultra secolare della più aristocratica delle discipline. Pressati dai mercati e dai mercanti, ne è visibile testimonianza la norma, anch'essa idiota, che nelle ultime stagioni ha indotto i vertici della federazione internazionale a stravolgere la regola delle partenze dai blocchi. Su altro fronte internazionale, la discussione verte in queste ore sulle modifiche di accesso a competizioni di primo livello, quali campionati mondiali e giochi olimpici, con l'abbandono dello sperimentatissimo criterio dei minimi di partecipazione, sostituito con un sistema di ranking, vale a dire con graduatorie di merito-comparato, con una previsione applicativa da introdurre a Doha nei Mondiali del 2019 e proiezione successiva all'Olimpiade di Tokyo del 2020. Lanciata all'attenzione del prossimo, al momento fumosa nei criteri di applicazione, la prospettiva è tutta da esaminare, a confronto con i pro e i contro di una regolamentazione inevitabilmente volta ad incidere in profondità nei calendari stagionali e negli strumenti di valutazione agonistica.

Sul fronte nazionale, archiviate le sessioni che hanno messo a confronto le ragioni del Ct Elio Locatelli con il meglio del poco, in senso tecnico, attualmente presentabile del vertice agonistico dell'atletica italiana, insieme con il benvenuto a Sara Dossena nelle stesse ore in cui da New York giungeva l'immagine del felicissimo esordio in quella specialità che da ora in poi rappresenterà l'avvenire competitivo di una atleta trentatreenne rubata al triathlon, l'inizio di novembre ha dovuto purtroppo registrare tre brutte notizie, la tristezza per la scomparsa di Sandro Provvisionato, giornalista di frontiera e di forte professionalità, che molto dovette alla formazione di prima e seconda adolescenza nel mondo della nostra disciplina, di Bruno De Luca, con Filippo Carboni, Antonio Arnaudo e Augusto D'Agostino mezza atletica abruzzese dal 1960 in poi, e di Luigi Mengoni, che per lunghe stagioni, con arcaicità di strumenti, con serietà, con applicazione, con ironia, con la sua nobile, disincantata, innocente appartenenza alle ragioni primarie dell'ideologia comunista fu per molti maestro, aprendo mondi nuovi, dall'Africa alla Cina, a quanti s'accostavano all'atletica, in una Ascoli Piceno che ebbe la singolare peculiarità d'essere stata testimone diretta della costruzione, concomitante con quella di Carlo Vittori, di due protagonisti nella storia dell'atletica nazionale della seconda metà del ventesimo secolo. Chiudo con una segnalazione e una riflessione. Nata, la prima, dalla lettura della rassegna stampa quotidiana e, la seconda, dalla sgangherata proliferazione di corse su strada, d'ogni tipo e per ogni livello: che la Provincia di Como, in ambito nazionale, risulta essere nettamente la testata giornalistica con i maggiori spazi dedicati all'atletica, e che la disciplina farà un salto di qualità in termini tecnici e di crescita agonistica quando, nell'avvio delle stagioni invernali, iniziative istituzionali, cronache e risultati di corsa campestre potranno godere, in un difficile ma necessario recupero culturale, di maggiore attenzione.

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SPIRIDON/4 Una sindrome italiana

UNIVERSIADI 2019 A NAPOLI GIA’ IN TOTALE EMERGENZA L’Italia è il paese dell’eterna emergenza. E quindi non ci si stupisce se Napoli e la sua organizzazione dell’Universiade 2019 versano già in totale orgasmo per completare la gamma degli impianti a disposizione, primo fra tutti lo stadio Collana. Chi entra a Roma da sud può ammirare l’incompletezza di quello che doveva essere il cuore pulsante dei Mondiali di nuoto del 2009. Le Vele di Calatrava sono un inno allo spreco. Costate 240 milioni (da cui pescare anche il ricco appannaggio per l’archistar) non sono mai state utilizzate. Come immagine desolata ora fanno il paio con le Vele di Scampia. E oggi servirebbero 400 milioni per ultimare l’opera. Che giace come una cattedrale nel deserto. E Napoli rischia di fornire lo stesso poco edificante esempio. Il presidente del Coni Malagò è arrivato a ricontattare il suo antico rivale per l’elezione alla massima carica, Pagnozzi, proponendogli un incarico di commissario straordinario per sanare il ritardo. Se saremo fortunati arriveremo sotto botta all’evento, costringendo i cantieri a essere operativi anche di notte, con quale stress per i lavoratori (e per le finanze) si può immaginare. Centra anche il fatto che Pagnozzi, trombato per le elezioni alla Lega Calcio di serie C, erroneamente proposto per un altro paio di eccellenti posti di lavoro, a 69 anni, va ricollocato in nomenclatura e l’emergenza di Napoli giungerebbe propizia. Intanto Napoli si distingue per le spese disinvolte. Sono stati destinati a quattro saggi 600.000 euro di ingaggio come “esperti di organizzazioni sportive”. Peccato che di qualcuno si sia documentata la stretta contiguità con il Governatore della Regione De Luca. Se Napoli non sarà pronta la brutta figura la farà l’Italia che nell’ultimo ventennio ha disertato volontariamente molti possibili appuntamenti con i grandi eventi (prima fra tutte l’occasione olimpica) e con un certo realismo visto una crisi economica che si è fatta martellante dal 2007-2008 in avanti. Se ci si ripropone bisogna farlo con serietà e con la carte in regola. Ci sono 11 impianti da recuperare a Napoli e i soldi non mancano visto anche il massiccio utilizzo di fondi europei, addirittura 270 milioni che non possono essere persi. In più cento milioni dal governo centrale. Non si può dire che mancano le riserve economiche ma è il modo in cui saranno utilizzate che preoccupa, l’istituzione sportiva in primis che vigila ma non decide. Una soluzione originale sarà quella di far dormire la gran parte degli atleti su navi-traghetto. Così’ si eviterà il problema del villaggio universitario, evitando anche di ingombrare gli alberghi napoletani. Un’operazione sottocosto che è solo un corollario dell’operazione complessiva. Cantone vigila perché, visti i precedenti, non bisogna stare troppo tranquilli. Intanto l’entusiasmo con cui fu accolta a suo tempo la “nomination” di Napoli sembra già evaporata. Daniele Poto

Una intera maratona con i tacchi. Sì, si può fare. Irene Sewell ha stabilito un nuovo Guinnes World Record percorrendo 42 chilometri e 195 metri non con normali scarpe da ginnastica bensì con i tacchi. E' l'unica donna al mondo ad esserci riuscita. L'idea a Irene è nata quando ha letto che una donna in precedenza ci aveva già provato salvo poi cambiare le scarpe poco dopo la mezza maratona, quindi record non omologato. La Sewell dunque ci ha provato e ci è riuscita a Chattanooga in Tennesse. Non solo, per una indisposizione del giudice del Guinness World Record, la Sewell ha dovuto organizzarsi per filmare l'intera maratona in modo tale che il record venisse omologato e dimostrata effettivamente l'impresa

SPIRIDON/5

In piena 'bagarre' elettorale italiana, a compattare trasversalmente dalla destra, alla sinistra, ai 5 Stelle, l'apertura del Cio ai Video Games che potrebbero entrare 'a tasti pressati' nei Giochi Olimpici del 2024 a Parigi. Anima di Pierre De Coubertin, fantasioso fondatore dei Giochi, 1896 ad Atene con la Maratona mortifera ma resa immortale del leggendario Fidippide, se ci ascolti, pressa il tasto che nei Video Games è fatto di figure geometriche e di una X. Il nostro consulto al segretario del PD Matteo Renzi che, anche nei frangenti cruciali, non resiste all'attrazione dei Video Games calcistici. I Maestri dell'Isef (1) insegnarono anche e soprattutto l'adeguamento all'attualità dei Giochi Sportivi Studenteschi. Riprendiamo dalle nostre lezioni di Epistemologia dello Sport a Scienze Motorie nei primi anni del secondo millennio: 'lo Sport è un'attività del tempo liberato dal lavoro, può diventare una professione ed è fondato sul movimento, sull'agonismo e sul fair play'. L'agonismo è la tendenza, insita o indotta, a lottare, dal greco agon, la radice di agonia, l'estremo palpito di una sconfitta terrena, nell'attesa per i credenti della Beata Speranza. Nei Video Games l'agonismo è mentale. I giocatori stanno nella sedia, come e più dei Paralimpici, per circa otto ore. Come compensare alla ridottissima mobilità? Come far alzare dai 'decubiti' in posizioni varie i bambini, i preadolescenti e gli adolescenti? Attendiamo 'luce' dal Coni nazionale. Al Cio nulla interessa che nella gran parte delle scuole italiane l'educazione tramite il movimento sia 'virtuale', o 'ricreazione' nel senso non buono. Le corse, i salti, i lanci, i giochi sportivi, la ginnastica sono un ricordo e ci si dovrà prendere cura di generazioni tra la normalità e la disabilità, carne malata e aggressività patologica che sfocia negli sballi drogati forieri di autodistruzione e di violenza straripante. Sintetizziamo le motivazioni del Cio. I videogiochi sono ufficialmente delle discipline agonistiche, questa l'apertura annunciata in un comunicato emesso dopo il summit di Losanna, sostenendo per la prima volta che i cosiddetti e-sports possono essere considerati una vera e propria attività sportiva. Per essere pienamente riconosciuti come sport i videogiochi dovranno comunque rispettare i valori olimpici e dotarsi di strutture per i controlli antidoping e la repressione di fenomeni come le scommesse. <<Gli e-sports competitivi - è scritto nel comunicato del Comitato internazionale olimpico - possono essere considerati un'attività sportiva, e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un'intensità che può essere paragonata a quella degli atleti delle discipline tradizionali>>. Il Cio fa notare che gli e-sports sono in forte crescita, in particolare fra i giovani, e ciò può essere la piattaforma per un coinvolgimento nel movimento olimpico. Nella nota viene auspicato che il Cio stesso, assieme alle associazioni internazionali delle varie federazioni sportive, abbia un dialogo con l'industria dei videogiochi e i cibernauti per esplorare maggiormente questa area e le possibilità che offre. La nota - nonostante ad aprile il presidente Thomas Bach non abbia nascosto la propria personale contrarietà verso i gli e-sports - appare come il primo passo verso l'ingresso dei videogiochi nel mondo olimpico. Bisogna ricordare che i video giochi di tipo sportivo faranno parte del programma dei Giochi Asiatici del prossimo anno, in Indonesia, e che di un loro ipotetico futuro alle Olimpiadi avevano parlato gli organizzatori di Parigi 2024 prima ancora dell'assegnazione ufficiale di questa edizione dei Giochi, che poi la capitale francese ha ottenuto. (1) Pari de Palmeri, da Trapani a Palermo, avvocato e docente di Educazione fisica con il suo saggio Lo Sport Moderno e fuori del tempo nella rivista Scienza e Sport dell'Isef di Palermo 1966, fregiata da firme illustri: Ignazio Gatto, pediatra e direttore dell'Isef di Palermo ( si prepara per il futuro una razza di giganti? ), Antonio Venerando, cardiologo e Presidente del Federazione Medici Sportivi ( la forma atletica si controlla così ), Ferruccio Antonelli, fondatore della Psicologia dello sport ( i muscoli non sono tutto ), Maria Grazia Ferraris, insegnante di Educazione Fisica (la femminilità è uno stato d'animo ), e anche il sottoscritto.

Pino Clemente

SPIRIDON/6

Mentre nel resto d’Italia il fallimento della prima guerra d’indipendenza provoca un irrigidimento antiliberale, il Piemonte non recede dalle scelte costituzionali. È un decennio decisivo per l’affermazione dello Stato piemontese, in cui si consuma anche un netto distacco tra Stato e Chiesa. È anche processo di centralizzazione statale, che culmina nel 1855 con l’abolizione della personalità giuridica degli Ordini religiosi e l’incameramento dei loro beni (Legge Cavour-Rattazzi) e nel 1859 con la Legge Casati di riforma della scuola. Dure polemiche esasperano gli animi e provocano una grave crisi di coscienza dei cattolici, lacerati tra patriottismo e fedeltà alla Chiesa. Don Bosco si tiene lontano dalla politica e la esclude dall’orizzonte del suo impegno. «La politica non mi avrà», avrebbe detto. In realtà, quel rifiuto non significa che la sua opera non abbia inciso anche sul piano della politica, ma ad un livello più profondo e forse più efficace di quello, a cui tutti siamo abituati, delle contrapposizioni di parte. Nato in una famiglia popolana del vecchio stampo piemontese, Don Bosco non ritenne estraneo alla sua carità educativa l’amore schietto a tradizioni e glorie della sua piccola patria, che conobbe con non comune perizia. Nel 1846, quando l’Austria inasprì il dazio sui vini piemontesi, scrisse l’“Enologo italiano”, destinato ai piccoli produttori; nel medesimo anno pubblicò un dialogo sul “Sistema Metrico Decimale”, avendone un decreto regio imposto l’uso negli Stati Sardi. Nel 1856 scrisse per la gioventù italiana la “Storia d’Italia”, giudicata fra le migliori e premiata in un concorso nazionale. Così, quando l’Italia era ancora da fare, il Santo scrisse per i giovani la storia della “nobilissima penisola”, invece che un metodo per confessare la gioventù. Mostra sempre rispetto verso l’autorità civile, anche se non può condividere molti

orientamenti, ed anzi li osteggia; del resto, non ha detto a Pio IX nel 1867 che la sua unica politica è quella del Pater Noster? Don Bosco gode dell’ammirazione di tutta la famiglia Cavour (padre Michele, figli Camillo e Gustavo) che lo riceve più volte. Al Cavour padre scrive: «In fatto di religione io sto col Papa e col Papa intendo di rimanere da buon cattolico sino alla morte, ma ciò non m’impedisce di essere pure buon cittadino; imperocché non essendo mio ufficio di trattar di politica, io non me ne immischio, e nulla fo contro il Governo». «Don Bosco! O è un pazzo – strillava Cavour padre – o è un uomo da portare in “senato”!». Per la storia, si denominava senato il palazzo delle regie galere. E il marchese Michele di Cavour presiedeva la “ragioneria municipale” in qualità di sindaco o “vicario”.

Buonissimi i rapporti con Crispi. Ciccio Lupo, l’usciere dello statista siciliano, ci ha lasciato il ricordo di una visita a Roma del santo. Un Crispi che ha un sobbalzo sulla poltrona quando gli viene comunicata la notizia che nell’anticamera c’è un prete emaciato e dimesso, con un cognome che somiglia a Bosco. E poi, la frase: «C’è un ospite illustre da noi, Lupo... Ecco: tu, forse, ne sentirai parlare quando io sarò morto. Baciagli la mano. Sai chi è? Si chiama Don Bosco». Crispi, Nicotera, Lamarmora, Minghetti, Zanardelli, gli stessi Cavour; tutte personalità che, certamente, non sono passate alla storia per essere state in odore di santità, ma hanno intrattenuto rapporti quasi familiari con questo prete carismatico, popolano e nobile, di cultura perfino modesta ma di una immensa operosità. Emblematico il feeling con il ministro della giustizia piemontese Rattazzi, noto anticlericale, massone, promotore della Legge del 1855 che decreta la soppressione degli Ordini religiosi. Eppure lo stesso Rattazzi comprende l’importanza dell’opera del santo, indirizzandovi aiuti anche economici e suggerendo di organizzarsi non come una Congregazione, ma come «una società religiosa che davanti allo Stato risulti una società civile». Il progetto, suggerito dal ministro e sostenuto da Pio IX, si concretizza con la fondazione della Pia Società di san Francesco di Sales (18 dicembre 1859). Proprio Rattazzi definirà Don Bosco «la più grande meraviglia del secolo». Ricordiamo le parole che Il Corriere della Sera, giornale di espressione della borghesia liberale italiana, dedicò a Don Bosco all’indomani della sua morte: «Lontani da lui in fatto di opinioni politiche, non possiamo non ammirare l’opera sua... Così nel campo liberale si potessero contare tanti nomi i quali di Don Bosco avessero la mente organizzatrice davvero superiore e sorretta da quella forza di volontà, da quella perseveranza che conduce a compiere le più meravigliose opere!». Gaetano Salvemini, storico “non-credente”, scrisse anche di Don Bosco sotto il profilo politico: «Senza dubbio Don Bosco agì in un contesto politico e influì su di esso. Ma rimase al di sopra della politica e al di fuori di essa, dedicandosi alla sua opera educativa essenzialmente con la preghiera, i sacramenti e l’amore. Nel senso appunto dei mistici, alla maniera di san Francesco d’Assisi...». Antonio Gramsci e Giuseppe Lombardo Radice: «Per noi, che siamo fuori dalla Chiesa, e di ogni Chiesa, Don Bosco è un eroe, l’eroe dell’educazione preventiva e della scuola-famiglia. I suoi prosecutori possono esserne orgogliosi». Sacerdote e non politico, educatore e non sociologo, padre dei giovani e non sindacalista. «Nel 1848 – ebbe a scrivere – mi accorsi che se volea fare un po’ di bene, dovea mettere da banda ogni politica. Me ne sono sempre guardato. E così ho potuto fare qualche cosa, e non ho trovato ostacoli, anzi ho avuto aiuti anche là dove meno me lo aspettava». Pierluigi Lazzarini Exallievo e storico di Don Bosco

SPIRIDON/7

Animula vagula, blandula...

scelti da Frasca

URI. Unione Radiofonica Italiana . Uno, R,O. Stazione di Roma. Lunghezza d'onda: metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto d'inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana per il servizio radio audizioni circolari. Il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani eseguirà Haydn dal quartetto opera 7, primo e secondo tempo. Irradiazione da via Maria Cristina di Savoia dai negri. Questa musica ha veramente attraverso una stazione collocata in località San Filippo, piazzale delle

Muse, Roma. Da Radio e musica nell'Italia fascista di Gioachino Lanotte , Prospettiva editrice, Civitavecchia 2016.

Se un pericolo c'è , è costituito dalla musica e dalla danza importata in Europa conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici: a) si tratta di un

fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone, specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che si esprimono nel linguaggio più universale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una civiltà non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva ed elementare, cioè facilmente assimilabile e generalizzabile dalla

musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. Da Lettere dal carcere di Antonio Gramsci (Ales 1891-Roma 1937), edizioni de l'Unità, Roma 1988.

Indispensabile una legislazione rigida per fare in modo che non ne arrivino troppi. Ripeto: gli islamici sono una realtà forte, con una religione forte, non possono in alcun modo essere integrati nel nostro contesto (come in nessun altro contesto: vedi la Francia) anche se lo volessero, ma non lo vogliono. L'integrazione è impossibile perché il Corano è un codice sia civile sia religioso. L'islamismo è immodificabile, perché un testo sacro non lo si può manipolare. Questo significa che tutto quello che noi abbiamo conquistato nel corso della storia, ossia l'affermazione

di un'etica scissa dal sacro, è incompatibile con la loro visione del mondo. Da Per una rivoluzione italiana , di

Ida Magli (Roma 1925-2016), editore Baldini & Castoldi, Milano 1996.

Bisognerà poi occuparsi di un'altra faccenda: ancora oggi capita che bambini ebrei frequentino scuole tedesche. Mi sembra intollerabile. Mi pare impossibile che mio figlio stia seduto in un liceo tedesco accanto a un Ebreo, mentre gli insegnano la storia tedesca. Diventa assolutamente indispensabile allontanare gli Ebrei dalle scuole

tedesche, e lasciare che si occupino loro stessi, nelle loro comunità, di educare i loro figli. Joseph Goebbels (Rheydt 1897-Berlino 1945), 12 novembre 1938.

E però, come tutti dovremmo sapere , sottrarsi ai pericoli del dissenso è da vigliacchi, ha detto Saul Bellow. Ma il premio Nobel del 1976 parla soprattutto della sostanza di un essere umano, e dell'impulso di comprendere il mondo. Bellow ha citato molti importanti scrittori, e dentro questa raccolta di saggi ce n'è uno bellissimo in cui lui e Philip Roth fingono una sterminata intervista durata due anni e mezzo, ma a questo punto, per spiegare che cos'è l'uomo libero, cita "uno scrittore che ammiro enormemente, Ignazio Silone", che nell'Avventura di un povero cristiano racconta di avere incontrato in una biblioteca un amico letterato, il quale gli chiese perché stesse facendo ricerche su Celestino V... A Silone non importa dell'educazione progressista o radicale, non gli importa di niente che non sia vivere, respirare, credere nell'esistenza degli altri. Si considera post risorgimentale, post marxista, post tanto

altro, perché il suo spirito ha trovato la forza di liberare l'intelletto, l'unica cosa che conta. Annalena Benini , da

Il Foglio del 21 ottobre 2017.

SPIRIDON/8

RASSEGNA STAMPA Il coinvolgimento di Gianfranco Vissani nella Casa Atletica Italiana allestita a Londra negli scorsi Mondiali, con esiti inversamente proporzionali alle attese agonistiche della rappresentativa azzurra, ha suggerito il recupero di un episodio risalente al maggio 1999 e di un commento apparso sull'Espresso a firma di Francesco Merlo. Eccolo. <<Dev'essere stata una terribile via crucis la cena di gala che, il 17 maggio, Massimo D'Alema ha offerto al suo collega tedesco Gerhard Schroeder. Parlare della pace nel Kosovo ingoiando una zuppa di fave e cicoria + un carpione di alici + lasagne dei due mari è stato infatti come officiare una cerimonia per esorcizzare i vivi dal tocco dei morti. Masticare, ancora, il tortino di cicoria ai ricci di mare e poi passare ai ravioli di cipolla con salvia e arancia grattuggiata più che nutrirsi significa predisporsi al rigonfiamento eoliano, preparare una tempesta di vento. Il menu, culminato nell' aragosta di Gallipoli al rosmarino, sfarzosamente appesantita da pancotto di Altamura , aglio fresco e olive nere, è firmato dal cuoco di corte Gianfranco Vissani che lo ha realizzato portandosi dietro ben diciassette assistenti di cucina. Alcuni giorni prima della cena, le materie prime erano state caricate su un aereo e trasportate da Bari a Baschi, in Umbria, dove Vissani ha il suo ristorante. Qui il prodotto era stato lavorato e quindi ricaricato sull'aereo e rispedito a Bari dove è stato <<finito>> e servito alle delegazioni nei locali del ristorante Kursaal. Non bisogna credere che le mille foglie di ricotta di mucca + zabaione + salsa di carciofi + strega Alberti + piccola pasticceria + cardoncelli siano dettagli secondari di questa bizzarra architettura gastronomica che somiglia davvero alle ricette dei fumetti... Il gigantismo gastronomico, lo stile rococò, indurito dalla salsa di burrata ma impreziosito dal gelato di Bocconetto delle suore di palo + cioccolata amara è una sorta di sberleffo alla fame, un'esagerazione che è prova del suo contrario, un'abbondanza, anche linguistica, che rimanda all'atavica penuria meridionale, alla dolorosa sorte di uomini sazi di pane e milza, come a Palermo, o gonfi dell'acqua di bollitura del polipo, come a Napoli. Solo un meridionale può capire questo pasticcio trimalcionesco che la ditta Vissani-D'Alema spaccia per raffinatezza, tanto più in un'occasione, quella di un dialogo su guerra e pace che, pur senza fare moralismi nutrizionali, consiglierebbe un'architettura di sapori più sobria e composta. Benedetto Croce, che odiava il barocco, avrebbe certamente inserito i menu di Vissani tra le bruttezze artistiche, gli eccessi grotteschi, come il poetare di Marino che dava all'arte la sola funzione di meravigliare o come il verseggiare di Lodovico Leporeo che componeva solo con parole in rima baciata: <<Sentieri, pensieri, lusinghieri, manieri, poderi, poteri, sederi e giocolieri>>. Anche Vissani riempie la sua pentola di fave e ricotta, ricci e carciofi, Arabica Tiziana e pane di Altamura, zabaione e cordoncelli... Annaffiata da ben tredici vini , quella cena non è dunque espressione di sapienza culinaria né di misurati dosaggi culturali. Lo è invece di un rapporto da parvenu con la ricchezza che, passando dal cuoco al suo re , è probabilmente lo stesso che D'Alema ha con il potere, con il governo, ma anche con le famose barche da ricchi e con l'ospitalità dovuta all'ospite tedesco. Un rapporto che rimanda allo stomaco vuoto e al sogno dell'affamato, a quel paese di cuccagna dove i fiumi sono di miele, la neve è di panna, le case sono di cioccolata, le nuvole di zucchero e gli alberi di marzapane. Un menu che deforma la gastronomia ed esagera la ricercatezza, è un mangiare per star male, un cibo che lievita, gonfia ed esplode nel mal di pancia e nell'acidità>>.

K. Daifanto

REVERENDO NON S’ARRABBI Don Angelo Del Zotto è un pacioso sacerdote di 75 anni che questa volta però si è veramente arrabbiato. Tre ragazzi marocchini ai quali aveva offerto un aiuto in cambio del loro impegno a svolgere qualche lavoretto utile alla piccola comunità di Palmanova - in provincia di Udine - l'hanno derubato mentre diceva messa. Due di loro sono stati arrestati dai carabinieri. I nordafricani, finiti alla sbarra, hanno chiesto di patteggiare un anno e quattro mesi di pena con l'obbligo di svolgere attività di volontariato nella stessa parrocchia che avevano razziato. Il pm aveva acconsentito ma il sacerdote, in tribunale, si è opposto, chiedendo che gli immigrati restituissero l'intera cifra sottratta, ossia 10mila euro tra contanti e oggetti preziosi. I due giovani, quindi, torneranno in tribunale lunedì per conoscere la loro condanna. E dire che don Angelo gli aveva spalancato le porte della parrocchia. Il prete conosceva solo uno dei tre ragazzi, al quale aveva fatto spesso la carità, ma aveva voluto fidarsi anche degli altri due. Gli sembravano perbene. Mai si sarebbe aspettato un simile tradimento. Avevano bussato alla sua porta per parecchie settimane di fila per chiedergli una mano, Vogliamo per dirgli che erano disposti a fare qualsiasi cosa pur di poter ottenere un riparo e un pasto caldo: «aiutare, fateci fare qualcosa». In effetti qualcosa hanno fatto. Hanno ringraziato don Angelo svaligiandogli l'appartamento mentre celebrava. Hanno rubato 6 mila euro, immagini sacre, monili d' oro, perfino i ricordi di famiglia dell'anziano prete. Hanno infilato tutto in un sacco e sono fuggiti.

Caro Reverendo, nel Sermone del Monte (o Discorso della Montagna), Gesù Cristo disse: “Non resistete a chi è malvagio; ma a chi ti schiaffeggia sulla guancia destra, porgi anche l’altra”. — Matteo 5:39. O

forse sarebbe meglio che si svegliasse.

SPIRIDON/9

Doppio bronzo a squadre per l'Italia

A Balatonakarattya, nella contea di Veszprem, dal lago Balaton in Ungheria, si è disputata la 57° edizione dei Campionati mondiali militari di corsa campestre con la partecipazione di oltre trecento concorrenti, per la quasi totalità dilettanti oltre ai professionisti delle società militari d’Italia. I protagonisti, almeno in campo maschile sono stati gli algerini che hanno fatto il bello ed il cattivo tempo in tutte le gare. Nella prima gara,disputata dopo la cerimonia d’apertura alla presenza del capo di Stato delle forze armate ungheresi Generale Tibor Benk c’è stato l’evento maschile sulla distanza lunga dove l’Algeria ha dato la prima dimostrazione di forza piazzando suoi due atleti nei prime cinque posti di graduatoria Un gruppo composto da 20 corridori provenienti da Algeria, Francia, Polonia e Tunisia ha preso il comando sin dall'inizio. Infine, grazie ad una brillante accelerazione durante l'ultimo giro, Ali Guerine (Serg. Du 12° Parachutistes Commnados di Bistkra) è riuscito a sbarazzarsi dei suoi avversari ed imporsi come nuovo campione del mondo

militare con un vantaggio di 5 secondi sul compagno di squadra Khireddine Bourouina (35: 15.0). Il Legionario francese del 1° REI Charles Ogari ha completato il podio con un tempo totale di 35: 2.0 mentre Nassim Drigel e Rabeh Khaouas hanno confermato il dominio algerino con un posto nelle posizioni successive. Le lacune sono aumentate sui giri e dopo tre giri, solo cinque corridori sono ancora in posizione per vincere il titolo. Rabeh Khouas (ALG) non ha potuto seguire il ritmo imposto dai quattro leader Ali Guerine (ALG), Khireddine Bourouina (ALG), Nassim Drifel (ALG), Charles Ogari (FRA) e Hassan Chahdi (FRA). Con i singoli risultati l'Algeria ei suoi quattro corridori hanno

vinto la gara di squadra con un vantaggio di 17 punti davanti alla Francia (Ogari, Chahdi, Durand e Theuri) mentre la Polonia (Nowicki, Gardzielewski, Brezinski e Rogiewicz) ha conquistato la medaglia di bronzo. Nel cross corto dove il titolo individuale è stato conquistato , come da facile pronostico, dal francese Bedrani del 3° Regiment Materials di Arras, si sono messi in evidenza anche i crossisti italiani il migliore deiquali è stato il livornese Lorenzo Dini arrivato quarto ai piedi del podio in 13:36. Davanti al 23enne gemello delle Fiamme Gialle, autore di un bel finale all'attacco. Due ottmi risultati che sommati all’ ottavo posto del 26enne Marouan Razine (Esercito) 13:54 e del decimo del campione europeo under 23 dei 3000 siepi Yohanes Chiappinelli (Carabinieri) 13:58 ha permesso alla quadra italiana di conquistare il bronzo a squadre alle spalle di Algeria e Francia, ad appena due secondi dall'argento. In campo femminile la prima arrivata al traguardo è stata Martina Merlo. La 24enne piemontese dell'Aeronautica arriva sesta in 16:02. Il titolo mondiale militare va alla romena Roxana Birca, saldamente in testa fin dalle prime battute di gara, che in 15:28 precedendo la polacca Katarzyna Kowalska (15:44) e la connazionale Cristina Simion (15:47). Il bronzo a squadre va alle Azzurre grazie al contributo oltre cehe della Marlo anche la trentina tricolore di cross Federica Dal Ri (Esercito), ottava in 16:12, e la piemontese campionessa italiana di mezza maratona Sara Brogiato (Aeronautica), nona in 16:25. Undicesima in 16:29 la cesenate Margherita Magnani (Fiamme Gialle), mentre la romana Sveva Fascetti (Esercito) ha chiuso 17esima (16:51). In cima al podio per team c'è la Francia davanti alla Polonia.(Gabor Bodnar)

SPIRIDON/ 10

2103 trailer tra cantine, borghi, campagne e vigneti di Valtellina per la

Tutto come da pronostico, soprattutto per quanto riguarda il numero dei partecipanti che sono stati ben oltre duemila trailer di 26 differenti nazioni Un evento. , il Valtellina Wine Trail, che ha visto schierati fianco a fianco, giovani emergenti, campioni affermati e il popolo delle fuori strada Ad attenderli un viaggio ricco di sapori, colori e emozioni. Tre le gare in programma: la maratona di 42km con partenza da Tirano, la semi maratona di 21 km. e la 12 km. Nella gara più lunga i concorrenti sono stati 560 che hanno scritto un’altra bella pagina di una spettacolare competizione. Davanti, a dettare il ritmo, gli azzurri Luca Carrara, Christian Pizzatti e l’inglese Phil Gale. A circa metà gara il locale Pizzatti ha però dovuto alzare bandiera bianca causa crampi, spianando la strada all’orobico Carrara. Il portacolori del Team Mammut non si è fatto certo pregare andando a incidere il proprio nome nell’albo d’oro del Wine

Trail. Per lui finish time di 3h32’05” e la soddisfazione di chiudere in bellezza una stagione memorabile. I continui cambi di ritmo di un tracciato nervosissimo hanno rimescolato non poco le carte in tavola nei chilometri finali. Complice una strepitosa rimonta, secondo in piazza Garibaldi si è presentato il morbegnese del Team Valtellina Stefano Sansi (3h32’57”). Terzo il lecchese Massimiliano De Bernardi in 3h39’43”. Un posto nei 5 anche per il brianzolo Danilo Brambilla e per l’iberico Alfredo Gil Garcia. Ed eccoci con le donne dove c’è stato il predominio della francese Celine Lafaye che ha letteralmente innestato il turbo e

vinto in 3h57’47”. Argento per la lecchese Debora Benedetti (4h17’05”). Terza Aprica Lucia Moraschinelli (4h31’52”). In gara anche il campione di MTB Juri Ragnoli del Tea Scott che, chiusa la stagione delle marathon, ha voluto vivere questa esperienza dimostrandosi anche ottimo runner. Per lui un 12° finale e la soddisfazione di avere portato a termine una splendida avventura. In 840 si sono dati battaglia nella gara di 21 chilometri con un superfavorito il campione europeo di corsa in montagna Xavier Chevrier. Con il sorriso, e per nulla affaticato, il fenomeno valdostano ha trionfato in 1h24’41”. Secondo posto alllo svedese Albin Ridefelt in 1h25’20”, mentre terzo si è piazzato il bergamasco Matteo Bossetti in 1h28’31”. Al femminile bella conferma della runner dell’Atletica Alta Valtellina Elisa Compagnoni (1h40’59”). Sul podio con lei sono salite pure Arianna Oregioni (1h42’21”) e la svedese Johanna Öberg.

Nella gara di 12 chilometri che molti consideravano manifestazione di contorno si sono viste cose interessanti tanto da farla diventare gara con tutti crismi agonistici e tecnici. Si son visti alla partenza oltre settecento concorrenti e fra loro alcuni nomi importanti del mountain running che hanno preso la testa della corsa e inciso il loro nome nell’albo d’oro con riscontri cronometrici da record. Il primo a presentarsi in zona arrivo è stato l’azzurrino di corsa in montagna e scialpinismo Andrea Prandi. Per il bormino del Team Hoka One One finish time di 54’36” che gli ha permesso di avere la meglio sullo svizzero del team Salomon Micha Steiner (54’56”) e l’altro sondriese di Lanzada Giovanni Rossi (55’56”). Nomi di assoluto valore anche al femminile con la britannica Emmie Collinge prima assoluta on 56’46”. Alle spalle della campionessa europea 2016 di corsa in montagna, l’ex iridata Alice Gaggi in1h01’03”. Terza l’esperta Alessandra Valgoi (Atletica Alta Valtellina) in 1h12’01”.

SI è chiusa un’altra porta. E’ venuto a mancare l’amico Pierluigi Migliorini. Nato a Pavia nel 1938, Presidente di Società negli anni ’80, è stato dapprima eletto Presidente del Comitato Provinciale FIDAL di Varese, e poi, nel quadriennio 1988-1996, Presidente del Comitato Regionale FIDAL Lombardia. Successivamente è rimasto nel Consiglio regionale FIDAL fino al 2004, anno della prima elezione in Consiglio federale e in Giunta esecutiva: sedi nelle quali, Migliorini ha sempre avuto in carico a delega all’attività della corsa in montagna, oltre che a quella dei Master

SPIRIDON/11

di Pino Clemente Il volto aggrondato del Presidente del Senato Pietro Grasso, che dal secondo più alto scranno dello Stato 'arbitrava' il dibattito sulla Legge Elettorale e intuiva gli accordi 'sotterranei' con i partiti e i gruppi ben distanti dalla matrice della sinistra, era foriero di tempesta. Il laconico annuncio, addio al PD, e l'intervista a Repubblica. Lampi, fulmini, tuoni e saette nei talkes. Uno spaccato nell' Aria che tira su La 7: la biondona Myrta Merlino ha come ospiti preferiti Paolo Cirino Pomicino, al nono posto nella disonorevole graduatoria dei dieci uomini politici con più condanne, seguito da Marcello Dell'Utri. Il curriculum giudiziario dell'ex ministro: 42 processi, 2 condanne, salvato dalle depenalizzazioni e dalle prescrizioni, nel 2012 scontata la pena conseguente al finanziamento illecito ai partiti, processo Enimont (1993-2000). Ha richiesto la riabilitazione penale. Il ringalluzzito Pomicino ha definito la decisione di Pietro Grasso indegna e, con il viso paonazzo, ha contestato la sua competenza di Presidente del Senato. Gli ha fatto eco l'editorialista del Corriere della Sera Francesco Verdirami, trascorsi a Mediaset, dagli occhi che incantano la conduttrice, la quale, separatasi da Domenico Arcuri, mministratore delegato di Invitalia, una figlia e due figli gemelli in gioventù, dal 2017 è fidanzata con Marco Tardelli, urlo ondiale e donne belle per lui, le racchie agli altri, con l'incomodo della curiosa designazione a nume tutelare dell'ancor più curiosa situazione che vede Napoli alle prese con la grana Universiadi 2019. Per non farci mancare il 'curtigghiu', Pomicino che ha un cognome evocativo di 'stricamementi' e il nome, fiammifero, che può accendere, a 75 anni compiuti ha sposato la 48 enne Lucia Marotta. Il Cav dei Cav ha una marcia in più: classe 1936, fidanzato con Francesca Pascale, napoletana, classe 1985. Nello studio anche Ernesto Carbone, 'biddazzu', che professa rispetto per il Presidente del Senato e non dice: Ciaone, tipico dei suoi 'trilli' su facebook per altri personaggi. Macari Vauro Sanesi, il comunista ferreo, era presente e confuso. Per Pietro Grasso, in gioventù centrocampista nella Valerio Bacigalupo e tifoso del Palermo, del cui addio al PD nel nostro infinitesimale siamo solidali, l'addio è stato in parte mitigato dalla vittoria del Palermo, 2 a 0 sulla Virtus Entella con la doppietta di Ilija Nestorovski, che conduce la classifica nel Campionato di Serie B nel pomeriggio del minimo storico di spettatori (circa 4600, abbonati inclusi) al Renzo Barbera. Grasso era in tribuna e, da cultore del bel gioco, ha applaudito alle fitte trame dei rosa nero e ai due tiri piazzati (rigore e punizione) del cannoniere macedone. Nel Gruppo Sportivo del Liceo Meli Grasso si distingueva anche nell'atletica. Fu reclutato dalla Valerio Bacigalupo, la società dilettantistica fondata da Beppe Dell'Utri negli anni Sessanta e negli anni seguenti diretta da Marcello Dell'Utri, la stessa Bacigalupo della quale il sottoscritto è stato preparatore atletico e allenatore, in un modello di fair play e di integrazione sociale con il figlio del barone, i figli della borghesia, i figli di umili operai, e Pietro Grasso. Nella sede palermitana di via Villareale, accanto al bar Cofea, si svolgevano i raduni, le lezioni di tattica e sulle norme regolamentari. Marcello Dell'Utri, che orbitava nell'Opus Dei e prossimo a prendere 'voti', fu costretto ad avvalersi di Vittorio Mangano, già custode del Campo Resuttana e dopo Faldese, per opporsi, nelle trasferte, agli eventuali assalti dei tifosi avversari nelle trasferte. Vittorio Mangano era 'pisantuliddu', un uomo che si faceva rispettare anche con le cattive. Ma di mafia, commista agli interessi economici del Cav dei Cav, abbiamo scritto ai limiti della querela. Noi riteniamo che a Pietro Grasso piaccia Marcello Dell'Utri nella veste di bibliofilo e in virtù dei trascorsi giovanili, specchiati. Qualche dettaglio su Pietro Grasso. Da ragazzo si chiedeva chi fossero i responsabili delle immagini di cadaveri in un pozzo di sangue. Nel 1980 gli fu affidata la titolarità dell’inchiesta sull’assassinio di Piersanti Mattarella, intreccio di segreti collegamenti fra detentori delle rispettive leve del potere politico mafioso: "Una coincidenza di interessi che non siamo mai riusciti a chiarire e che tutt’ora mi toglie il sonno insieme ad altre intuizioni laceranti su tante strage di mafia". Nel settembre 1985 Francesco Romano, Presidente del Tribunale di Palermo, lo designò Giudice a latere nel primo Maxi Processo a Cosa Nostra (10 febbraio 1986-10 dicembre 1987), con 475 imputati. In afflato con Falcone e Borsellino, la sentenza: 19 ergastoli e 2665 anni di reclusione. Ma la vendetta iniziava a maturare. Lo farà sapere un 'pentito' Giovanni Brusca: "Eravamo pronti a colpire il dottore Grasso nelle frequentazioni della casa della suocera, residente a Monreale. Per una serie di coincidenze, l'attentato fallì".

Texas, strage nella chiesa battista. Celebrati da eroi i due uomini che lo hanno inseguito dopo la strage Ecco la cronaca “Dopo aver scaricato il fucile sui fedeli, Kelley lascia la chiesa. Fuori incrocia un uomo armato che lo affronta e poi lo insegue insieme a un altro uomo cui chiede aiuto, dopo che il killer è salito sul suo Suv”. Osannati come eroi sui social media i due uomini che lo hanno inseguito per aver rincorso Kelley. Il primo a intervenire è Stephen Willeford, 55enne idraulico di Sutherland Springs che, allertato dalla figlia, prende il fucile e si dirige verso il luogo della sparatoria. Lì incontra Kelley, si scambiano colpi d'arma da fuoco prima che il killer salga sul suo Suv e scappi. Willeford vede un giovane nei pressi, Johnnie Langendorff, e gli chiede aiuto. Come ha raccontato lo stesso Langendorff alla stampa, "mi sono avvicinato all'incrocio dove era avvenuta la sparatoria. Ho visto due uomini scambiarsi colpi d'arma da fuoco, uno dei due era un membro della comunità. Questo si è avvicinato alla mia auto, era in difficoltà con la sua arma, mi ha spiegato velocemnete cosa era successo. Ha detto che dovevamo inseguirlo ed è quello che ho fatto, ho agito". Il Kelley ci rimette le penne e, pensate, a nessun giudice è venuto in mente d’incriminare i due inseguitori.

SPIRIDON/12 il racconto del mese

Le vacanze erano agli sgoccioli, come quell'estate torrida che stava allentando la sua presa asfissiante. Con

settembre alle porte, la natura stava mettendo in scena qualcosa di preciso e costante: ogni giorno la temperatura si abbassava di mezzo grado, né una frazione di più né una di meno. Raffaella considerava le sue vacanze estive terminate, anche se non era veramente così. In realtà mancava ancora qualche giorno per impegnarsi con i bagagli e con tutte quelle noiose faccende necessarie a una dignitosa partenza.

Era attraverso questo termine che a sua madre piaceva esprimersi, anche se nessuno in famiglia capiva cosa avesse in comune la dignità con un'incombenza tanto banale. Raffaella sapeva bene cosa aspettava a lei, a sua sorella e a suo padre nei giorni a venire; alla Vigna, così veniva chiamata la casa di famiglia in campagna, si respirava quest'aria di mobilitazione generale che, grazie alle fisime di sua madre, condizionava gli ultimi giorni di vacanza a tutti. Fosse dipeso da lei, avrebbe fatto la valigia in quattro e quattr'otto l'ultimo giorno senza dannarsi.

Quel pomeriggio, Raffaella se ne stava rannicchiata sotto la vite americana che fungeva da pergolato e alla quale la vecchia casa doveva il nome. La piccola vigna, che annunciava il cambio di stagione attraverso il cambiamento di colore, da verde vivo a rosso scarlatto, si allungava spontaneamente verso l'alto e, neanche a farlo apposta, abbelliva stupendamente l'angolo più malmesso della facciata. Quella ragazza, alta e spigolosa dai capelli ricci e fulvi, era proprio in quel luogo che si rifugiava a metà pomeriggio quando si sentiva malinconica, preoccupata o semplicemente stanca. Distesa, con un libro in grembo, ingannava pigramente il tempo catturando con lo sguardo le minuscole porzioni d'azzurro che le foglie frastagliate del pergolato, agitate dalla brezza pomeridiana, scoprivano a caso.

Di lui aveva perso le tracce da ben due giorni: che fine aveva fatto? Di solito arrivava quotidianamente in compagnia di altri ragazzi e ragazze anche se, alla fine, riusciva sempre a rimanere da solo con lei approfittando delle scorribande al lago in bicicletta e, quando i suoi lo permettevano, delle uscite di gruppo serali. Nell'ultimo incontro, Raffaella, lo aveva trovato stranamente silenzioso e distante, abbastanza da farle intravedere scenari catastrofici... Come, ad esempio, che lui intrattenesse una storia parallela con un'altra, magari più matura di lei e dei suoi miseri sedici anni. Tuttavia, nonostante questi momenti di sconforto e autocommiserazione, sentiva crescere timidamente dentro di sé, giorno dopo giorno, la consapevolezza della donna che voleva essere per lui e che, presto, molto presto, sarebbe diventata.

Raffaella, di tanto in tanto, sbirciava nervosamente verso il viale d'ingresso aspettandosi di veder sbucare da un momento all'altro la sua sagoma slanciata. Perché non arrivava? Aveva presente che le vacanze volgevano al termine e che loro due avrebbero dovuto aspettare un mucchio di tempo prima di rivedersi? Raffaella, in preda a una sconfinata incertezza, sentiva salirle al petto un'ansia che conosceva bene: il turbamento che a quell'età che ti taglia le gambe e ti mozza il respiro. Le domande che affollavano la sua mente erano parecchie ma alcune veramente assillanti: con la lontananza i loro sentimenti sarebbero rimasti intatti? L'estate prossima avrebbero avuto le stesse occasioni?

Purtroppo quello che la sconsolata ragazza udì da lì a poco non era il fruscio di una bicicletta ma il ronzio di un motore. Erano i suoi, di ritorno dal centro commerciale.

« Ehi! Principessa! Ti degneresti di dare una mano? ». La voce di sua sorella Ada, che teneva una mano sul fianco e l'altra impegnata a reggere un pesante sacchetto

della spesa, la riportò bruscamente sulla crosta terrestre. La ragazza era la primogenita, due anni dopo arrivò Raffaella e fu allora che suo padre disse a sua madre:

« Un'altra femmina! Cara, fermiamoci qui, credo che in famiglia di donne ce ne siano abbastanza! ». Un gran tipo suo padre; alto e asciutto, con una bella chioma, ondulata qua e là, color miele chiaro. Quello che

colpiva di più nel suo aspetto era la serenità dello sguardo, che riconduceva a panorami vasti e maestosi. C'era una calma antica e paziente nei suoi occhi verdi, un che di serafico. Raffaella somigliava moltissimo a lui, contrariamente ad Ada che aveva preso decisamente da sua madre. Anche i suoi occhi, ricchi di spirito e piazzati a una distanza perfetta sotto una fronte spaziosa, erano dello stesso colore ma ben lontani dal trasmettere serenità. In quanto all'atteggiamento serafico... Beh... Quello affiorava solo in determinate occasioni: quando socchiudeva gli occhi e porgeva teneramente le labbra, per esempio.

Ada aveva ereditato da sua madre gli splendidi occhi scuri, come i capelli, e l'ovale cesellata del viso. Nessuno le avrebbe prese per sorelle se non per la statura, anche se Raffaella era ancor più alta; lei non poteva competere con la sorella maggiore che era classicamente bella ma, alla lunga, l'atmosfera generata dalla sua frizzante personalità aveva la meglio sull'aspetto morbido e aggraziato di Ada. I rispettivi caratteri si scontravano spesso perché completamente diversi. La natura estremamente cartesiana di Raffaella non poteva sopportare l'evanescenza svagata di Ada; tant'è che, recentemente, l'aveva addirittura ridotta in lacrime per qualcosa di assolutamente insignificante. Questi scontri si ripetevano spesso e, dato che nessuna delle due cedeva, la madre interveniva energicamente, quasi sempre a favore di Ada, rimproverando invariabilmente Raffaella per la sua spietata concretezza.

A metà pomeriggio la padrona di casa uscì, richiamando le figlie che bighellonavano in giardino. « Ragazze! Se non sapete come ingannare il tempo, fate un po' di foglie in giro! ».

SPIRIDON/13

Ada reagì con uno sbuffo, Raffaella, invece, che possedeva un innato senso del dovere, si diresse subito verso la

casetta di legno adibita a ripostiglio. Nel breve tragitto intravide, giù in fondo, suo padre che trafficava come al solito con le piante. Il giardinaggio era il suo unico hobby, la sua vera passione, l'impegno incessante e paziente dei periodi di vacanza. La rassicurante immagine paterna immersa nella natura, le riscaldò il cuore disegnandole sul volto un amorevole sorriso. Poco dopo, brandendo il rastrello come un'alabarda, cominciò di buona lena a lavorare. Ad Ada non restò altro da fare che imitare di malavoglia la sorella. Dopo dieci minuti le due ragazze avevano radunato le foglie del vialetto e ora arrivava la parte impegnativa: il prato antistante il frutteto. A questo punto era dura, trattandosi di un manto erboso di notevoli dimensioni. Avevano appena iniziato, quando Ada dichiarò di non farcela più fisicamente e, facendo seguire alle parole i fatti, si rifiutò ostinatamente di proseguire proponendo a Raffaella di continuare la mattina seguente. Naturalmente a quest'ultima non andava bene e, a sostegno della sua tesi, fece valere la sua logica inattaccabile: se nottetempo fosse arrivato un temporale o si fosse alzato il vento, le foglie si sarebbero disperse come neve al sole, gettando così alle ortiche i loro sforzi. Raffaella proseguì testardamente da sola sino alla fine pur sentendosi a pezzi dalla testa ai piedi. Incurante della camicetta incollata al petto e al dorso per il sudore, si avviò verso la casetta di legno a prendere un sacco di plastica per racchiudere il frutto di tutta quella fatica. L'interno del ripostiglio era in penombra. La luce penetrava dall'unica finestrella rivolta a est, il che significava che la casetta, in virtù del suo orientamento, disponeva di una luce accettabile solo al mattino. Raffaella procedette a tentoni, poi serrò le palpebre e trasse un respiro profondo. Quando riaprì gli occhi lo sfarfallio all'occhio sinistro continuava, come quegli strani bagliori che aveva avvertito all'ingresso.

” Che ore sono? ”. Raffaella se lo stava chiedendo. Poco prima un'infermiera le aveva raccomandato di rimanere supina e non le venisse in mente di alzarsi sul busto,

muovere bruscamente la testa o, peggio, scendere dal letto; per qualsiasi cosa, non doveva far altro che premere il pulsante appeso. Il posto era scarsamente illuminato e il difetto all'occhio perdurava senza dolore, come al suo manifestarsi. Raffaella non aveva comunque bisogno di guardarsi attorno, durante la sistemazione del lettino era riuscita a focalizzare il luogo nel quale si trovava. Si trattava di un ambiente stretto e precario con strane apparecchiature mediche sul fondo e due tende cerate ai lati. Una terza tenda, che l'infermiera aveva appena svolto dietro di sé, fungeva da porta. Per il resto c'era poco da dire: si trovava nel pronto soccorso di un ospedale. A ricordaglielo erano i lamenti soffocati e regolari di una donna che stava poco più in là, dietro la tenda.

Una striscia di cellulosa che srotola i suoi fotogrammi, così Raffaella stava ricomponendo mentalmente, passo dopo passo, gli ultimi avvenimenti.

Era arrivata al punto in cui stava correndo verso casa. Poi, altre scene si susseguirono incalzanti; nella prima, seduta in auto a osservare da dietro suo padre che,

snaturando il suo caratteristico stile di guida, correva come in un gran premio verso l'ospedale. La Vigna, infatti, si trovava in aperta campagna, lontana anche dal centro del paese che contava qualche casa, una minuscola piazza, un bar e due negozi di prodotti alimentari.

Nell'inquadratura successiva si vedeva distesa sopra un lettino in corsia, confusa nel caos abituale di un pronto soccorso. In un'altra, l'estenuante fermo immagine dell'attesa di qualcuno che si occupasse di lei. In un'altra ancora, un camice bianco e uno sguardo corrugato.

« In questi casi la tempestività è essenziale! Avete fatto benissimo a portarla qui subito! Ma cos'avrà combinato alla retina questa benedetta ragazza! ».

Disse il primario che più tardi, dopo un'accurata visita strumentale, la mise in cima alla lista degli interventi il giorno successivo.

La sequenza delle immagini fu interrotta bruscamente dalla voce autoritaria di sua madre e dal fruscio della tenda che venne nuovamente ripiegata dall'infermiera.

« La prego, trovi una dignitosa sistemazione a mia figlia, ne ho appena parlato con il dottore! ». Seguirono vari rumori e, prima che il giaciglio venisse spostato per raggiungere il reparto, sentì la mano di sua

madre afferrare la sua. Con quel gesto non le strinse solo la mano, ma anche l'anellino che le cingeva da pochi giorni l'anulare. Questo contatto la riportò sul lungolago, tra le bancarelle di un mercatino, a un'altra mano che teneva la sua, la stessa adorata mano che le avrebbe infilato quell'anello. Era un regalo da quattro soldi ma il primo di quel genere che riceveva e per questo importante, un simbolo che sua madre stava incolpevolmente dissacrando.

Il lettino era in movimento quando ne risentì la voce: « Vedrai, tesoro, tutto si aggiusterà! Ho preso informazioni e la buona notizia è che l'oculistica di questo

ospedale è un'eccellenza della regione. Tra due o tre giorni sarà tutto finito e torneremo a casa secondo programma! ».

A casa? Era l'ultimo posto al mondo nel quale avrebbe voluto andare! Raffaella, al colmo della disperazione, sentiva crescere dentro di sé una rabbia incontenibile che in qualche modo

doveva scaricare addosso a qualcuno e sua madre era lì, di fianco, ne avvertiva la pressione sulla mano. « Mamma! La devi smettere di usare continuamente quel termine teatrale e sopratutto in occasione di una

partenza, sarebbe piuttosto adatto per una dipartita!». Raffaella si pentì subito di quanto si era lasciata sfuggire ma ormai era successo. Guardò sua madre e provò

dispiacere vedendo la sua espressione sbigottita ma... Santo cielo, qualcuno doveva pur farglielo notare! Le voleva un gran bene, su questo non c'erano dubbi, e allora qual era il vero motivo del loro continuo disaccordo? Cosa non funzionava con lei? I loro caratteri non erano affini, e questo era un dato di fatto, ma ci doveva pur essere un modo!

Parecchi anni dopo, il tempo le avrebbe fatto capire che certe piccole crudeltà sono fini a se stesse e finiscono per farci passare dalla parte del torto, oltretutto non spostano di un millimetro le ragioni degli altri. La reazione di Raffaella, se non giustificabile, si poteva comunque comprendere, anzi, forse addirittura assolvere poiché non deliberata.

Sua madre si riprese subito: come fosse stata a contatto con un tizzone ardente, ritrasse la mano e sopravanzò con aria sostenuta il lettino affiancando l'infermiera che lo stava trascinando.

SPIRIDON/14 ” Ecco... ”, pensò Raffaella, che nonostante tutto manteneva il suo innato humor:

” Questa, è un'uscita di scena dignitosa! ”. Era buio quando ritornarono suo padre e sua sorella. Prima di congedarsi, Ada pregò suo padre di recuperare sua madre che si era nuovamente eclissata nei meandri

dell'ospedale, nel frattempo lei si sarebbe trattenuta ancora qualche minuto. Rimasta sola con Raffaella, si mise a tamburellare nervosamente con le unghie la testata metallica del letto, poi, notando l'irritazione crescente della sorella, si decise:

« Papà stava mettendo in moto quando è sbucato quel ragazzo... Lo sai di chi sto parlando... Bé, non so cosa ci sia esattamente tra di voi dal momento che tu non me ne hai mai parlato... Ma lasciamo perdere questo, lui era stravolto per quello che è successo. Non potrà neppure venirti a trovare perché i suoi hanno anticipato la partenza a domani. Mi ha scongiurato di dirtelo ».

Poi, Ada, scrollandosi di dosso l'imbarazzo come fosse un capo d'abbigliamento superfluo, concluse guardando il letto vuoto di fianco al suo:

« Mamma è qui, da qualche parte, immagino stia parlando con le infermiere. Ti farà compagnia stanotte. A domani e... coraggio! ».

Rimasta sola, Raffaella serrò le palpebre e il soffitto della stanza si richiuse su di lei come il coperchio di una bara.

La ministro dello Sport Laura Flesse dà il via agli oltre duemila centisti

Aveva fatto della 100 km di Millau, il suo obiettivo di fine stagione dopo aver vinto il titolo della specialità; e Jerome Bellanca l’obiettivo lo ha raggiunto rivincendo la 46esima edizione della leggendaria gara in 7h04'01''. Il corridore di Blagnac la sua performance l’ha costruita con saggezza anche se Jerome Bellanca non ha mai nascosto le sue ambizioni che ha poi messo in

atto al secondo dal passaggio della mezza maratona Rozier quand’è passato assieme alla giovane speranza Gabriel Noutary. Dietro i due uomini, la lotta era intensa anche se la pioggia che cadeva da) ha un po 'raffreddato l'ardore di molti.Passato primo a Millau, Jerome Bellanca continuerà da solo aumentando il suo vantaggio sui suoi inseguitori. Fabien Chartoire, inizialmente un tantino in sordina si piazza al secondo posto col tempo di 7:09 '03' ' mentre il terzo posto sul podio è occupato da da Cédric Gazulla, uno steward di Saint Etienne che da poco ha scoperto il fascino dellla corsa a piedi che conclude in 7h16'14 ''. A differenza della classifica maschile, l'elenco delle donne presenta quest’anno un nuovo nome. E’ il caso di Questo sarà il caso anche

quest'anno da quando Jennifer Lemoine mai arrivata prima a Millau e che come Julius Caesar può dire "Veni, vidi, vici" (sono venuto, ho visto, ho vinto). Infatti l’atleta monpelierese ha conquistato il successo concludendo in 9:01’:12”'con una bella regolarità finendo con 26’ di vantaggio sulla seconda, Flavie Vandeville. Per completare il podio delle donne, era necessario aspettare altri quindici minuti per vedere Resplandy Lucile che è arrivato terzo nel 9h40'31 ''.

(Marc Roig)

SPIRIDON/15

Maratona di Locarno : Delorenzi campione ticinese

- Con il settimo tempo ticinese di tutti i tempi di 2h26'15'', il ventenne Roberto Delorenzi dell'USC si laurea

Campione ticinese nella maratona. Tra le donne titolo per Philine von Bremen, nella mezza per Lukas Oehen e

Evelyne Dietschi -

Da FTAL/elista – I titoli di campione ticinese di maratona e mezza maratona sono stati assegnati domenica sulle strade locarnesi in occasione della gara Ascona Locarno Run, che ha attirato sulle rive del Verbano oltre 1'500 concorrenti, classificatisi nelle tre prove in programma sui 42, 21 o 10 km.Nella gara regina dei 42,195 chilometri grande prova di Roberto Delorenzi dell'USC Capriaschese. Lo specialista di montagna era alla sua seconda partecipazione ed è riuscito a concludere al secondo rango assoluto alle spalle dello spagnolo Ortigosa, primo in 2h22'17''. Con il temo di 2'26''15'' il giovane di Sigirino, classe 1997, chiudendo in crescendo si è inserito al settimo rango della graduatoria ticinese di tutti i tempi sulla distanza, alle spalle dei vari Luca Foglia (primatista ticinese con 2h18'13'' risalente al 1994) o Jonathan Stampanoni (2'22''59 nel 1997 a Tenero), ma davanti a Lino Bianchi, Ivan Pongelli o Marco

Oberti .Quarto rango di giornata, secondo ticinese alle spalle di . Lukas Oehen Delorenzi e primo rango M40 per Enrico Cavadini del RC Bellinzona in 2'35''44, accompagnato sul podio cantonale dal compagno di club Luca Mozzini che ha chiuso la sua maratona in 2h46'05''. Tra le donne vittoria per la croata Ilijas in 2h54'04'' davanti alla triatleta di Locarno Philine von Bremen dell'USA Ascona in 3'12''29. All'Ascona Locarno Run si assegnavano anche i titoli cantonali sulla mezza maratona, che verranno consegnato durante la Festa degli atleti FTAL in programma il prossimo 17 novembre a Tenero. Tra gli uomini lo scudetto non è sfuggito a Lukas Oehen del Frecce gialle Malcantone che in 1h9'09'' ha chiuso la gara al terzo rango alle spalle degli africani Ndungu e Kipkorir. Argento per Giuseppe Gioia del GAB in 1h15'23'' e bronzo per

Evelyne Dietschi Valerio Lorenzetti dell'USC in 1h16'42''. Tra le donne titolo

invece all'esperta Evelyne Dietschi della SAL Lugano che ha chiuso non lontano dal personale in 1h17'58'' in una stagione ricca d'impegni. Per lei secondo rango assoluto alle spalle della confederata Meier.Alla Festa degli atleti FTAL, in programma il prossimo 17 novembre a Tenero, oltre a maratoneti e mezzi maratoneti, verranno omaggiati pure i vincitori della coppa Ticino di cross 2016/2017, i vincitori del Grand Prix FTAL e dei trofei FTAL giovanili per una ricca stagione atletica appena conclusa, ma che a novembre già ripartirà con i primi cross FTAL.

FOTO D’EPOCA

Emil Zatopek, Alain Mimoun , Herbert Schade, finale 5000 m. ad Helsinski

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Agonismo, solidarietà e 1884 storie da raccontare. Tanti sono stati gli atleti e i semplici “camminatori” che domenica mattina hanno preso parte alla Laus Half Marathon e alla Laus Ten, le due manifestazioni podistiche che hanno colorato le vie di Lodi. Nella mezza maratona, su un percorso di 21, 097 km, ha trionfato il marocchino Tariq Bamaarouf che ha bissato così il successo dello scorso anno facendo registrare anche il nuovo record della gara, 1h06’38”. Tra le donne, la vittoria è andata invece alla keniana Mary Wangari Wanjochi con il tempo di 1h14’48”. Anche la Laus Ten, la 10 km non competitiva, ha regalato spettacolo nel nome della solidarietà: il folto gruppo degli arbitri di calcio ha partecipato per supportare l’Ail (Associazione italiana contro le leucemie), mentre ben 128 iscritti hanno sfilato per la città per dare sostegno e visibilità alla Lilt, la Lega italiana per la lotta contro i tumori.

Sembrava tutto chiaro, documentato, vista la presenza delle immagini. Invece le riprese fatte con il telefonino dai uno dei due presunti stupratori non sono bastate a convincere i giudici. E così sono tornati in libertà i due giovani arrestati con l’accusa di aver stuprato, la notte fra il 5 e il 6 ottobre a Ravenna, una ragazza di 18 anni ubriaca. L’episodio era stato filmato con un cellulare da uno dei due e proprio i video, acquisiti dalla polizia ravennate, erano serviti a sostenere le accuse che avevano portato all’arresto, avvenuto alcuni giorni dopo. Il Tribunale della libertà di Bologna, però, ha annullato le ordinanze di custodia cautelare disponendone «l’immediata scarcerazione». Giustissimo, perbacco. Ora speriamo solo che lo stesso tribunale sbatta in galera Don Lorenzo, il sacerdote che ha pubblicato su una pagina non aperta a tutti gli utenti del social network la dichiarazione indirizzata ad una signorina ch’era stata molestata da due nordafricani: «Ciao tesoro, mi spiace, ma se 1) frequenti piazza Verdi (che è diventato il buco del c... di Bologna...) 2) ti ubriachi da far schifo! Ma perché? Se hai la(sub) cultura dello sballo sono solo ca... tuoi poi se ti risvegli la mattina dopo chissà dove... 3) e dopo la cavolata di ubriacarti con chi ti allontani? Con un magrebino??? Notoriamente (soprattutto quelli di piazza Verdi veri gentlemen., tutti liberi professionisti, insegnanti, gente di cultura per bene...». Poi la considerazione di taglio politico: «Adesso capisci che oltre agli alcolici ti eri già bevuta tutta la tiritera ideologica sull’”accogliamoli tutti”. Tesoro, a questo punto svegliarti seminuda direi che è il minimo potesse accaderti». E infine la chiusa, non propriamente evangelica: «Dovrei provare pietà? No, quella la tengo per chi è veramente vittima».