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Poste Italiane Spa – spedizione in abb. postale – DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 e 3 NE/TN – taxe perçue Registrazione Tribunale di Trento n. 2/2010 del 18/02/2010 Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli Specchi ANNO IV NUMERO 3 – OTTOBRE 2013 DALLA PAURA ALLA SPERANZA: PER IL BENESSERE COMUNE ALL'INTERNO IL PROGRAMMA COMPLETO 11-16 NOV 2013 TRENTOBOLZANO

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Dalla paura alla speranza: per il benessere comune, con all'interno il programma completo della settimana di novembre

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Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli SpecchiANNO IV NUMERO 3 – OTTOBRE 2013

DALLA PAURA ALLA SPERANZA:PER IL BENESSERE COMUNE

ALL'INTERNO IL PROGRAMMA COMPLETO

11-16 NOV 2013TRENTOBOLZANO

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2Editoriale

IL GIOCO DEGLI SPECCHI FESTIVAL DI LETTERATURA MIGRANTETRENTO 4 - 9 FEBBRAIO 20032003, l’Italia si è trasformata da paese di emigrazione a paese di immigra-zione, in modo talmente rapido da creare tensioni e problemi. Solo una dif-fusa cultura della solidarietà tra uomini può degnamente risolverli e questa può nascere dalla conoscenza dei mondi stranieri con cui ormai si convive, dal ricordo di quando i gli italiani.erano stranieri in altri paesiIl Gioco degli Specchi rivolge a tutti un invito: l’invito all’ascolto, che aiuti a conoscere, a vedere Persone e non masse anonime con l’etichetta del pre-giudizio, un invito al ricordo delle sofferenze specularmente patite da milioni di italiani emigrati. Gli scrittori, i giornalisti, gli studiosi sono invitati per dare la loro autorevole voce alle molte persone che non sanno o non possono par-lare, per ricordare un passato di colonialismo ed emigrazione, per stimolare la costruzione di una società fondata sulla dignità e la giustizia in cui i figli di tutti possano vivere in pace.

IL GIOCO DEGLI SPECCHI CINEMA IMMAGINI DAL MONDOTRENTO 3 - 7 MARZO 2004

Il Gioco degli Specchi propone il cinema per riflettere sui temi della migra-zione e dell’intercultura. Per rafforzare la cultura della mediazione in un Trentino che ha una lunga storia di emigrazione alle spalle e un futuro di terra d’accoglienza per molti cittadini immigrati.Dall’Himalaya all’Etna, dal Pakistan al Senegal, dal Gange al Tamigi: il ci-nema che racconta i colori, le voci, i suoni del mondo. Film per conoscere altri popoli. Film per viaggiare e attraversare nuove terre. Ma anche Film che raccontano storie dure, vicende di emigrazione. Film che parlano di uomini e donne costretti a lasciare il loro Paese. Film su sogni e speranze spesso infranti. Film sullo sfruttamento, la violenza e la lotta per la so-pravvivenza. Insomma, un Cinema non solo per divertire ma anche per riflettere, per riuscire a mettersi nei panni degli altri.

IL GIOCO DEGLI SPECCHI FESTIVAL DI LETTERATURA MIGRANTETRENTO 21 - 27 FEBBRAIO 2005Il Gioco degli Specchi ha sempre avuto l’obiettivo principale di incontrare e ascoltare persone, di riflettere sul nostro posto nel mondo. La letteratura è per noi, con il cinema, esperienza diretta, conoscenza di vite e fatti, vicini o lontani nel tempo e nello spazio. Agli storici ed ai sociologi chiediamo poi maggiore comprensione della realtà che viviamo per meglio programmare il futuro comune. Abbiamo visto la nostra città cambiare nel tempo con ra-pidità, arricchirsi di colori e suoni i più vari: vogliamo essere parte attiva e cosciente di questa trasformazione, senza paure che ci rendano disumani, felici invece delle possibilità che la nuova, ineludibile, realtà ci offre, attenti a prevenirne i problemi, mettendoci in una relazione corretta, nuova, con il resto del mondo, su basi di dignità e parità. Dalla prima edizione del 2003 ad ora abbiamo avuto nuove guerre, a cui perfino il nostro stato partecipa, tragedie di dimensioni inimmaginabili.Se piangi il mondo le lacrime non ti bastano, ma non si tratta di piangere, bensì di convincersi che, si voglia o no, il mondo è affare nostro, di tutti ed a tutti giova programmare rapporti basati sull’equità e sulla pace. “Chi ascolterà la mia voce e la mia pena?”, si chiedeva da Sarajevo Abdulah Sidran. Noi vogliamo restare vigili in ascolto. Per costruire. Con la grande rete di persone che credono nell’umanità e nella pace.

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IL GIOCO DEGLI SPECCHIperiodico dell’Associazione “Il Gioco degli Specchi”

Reg. trib. Trento num. 2/2010 del 18/02/2010direttore responsabile Fulvio Gardumidirettore editoriale Mirza Latiful Haque

redazionevia S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461.916251 - cell. 340.2412552info@ilgiocodeglispecchi.orgwww.ilgiocodeglispecchi.orgprogetto grafico Mugrafikstampa Litografia Amorth, loc. Crosare 12, 38121 Gardolo (Trento)con il sostegno diComune di TrentoAssessorato alla Cultura e TurismoProvincia Autonoma di TrentoFoto di copertina© Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A. Di Ronny Kiaulehn - L'Alba delle Dolomiti Alessandro Baricco e Mario Brunello Rifugio Segantini

EDITORIALE Una sfida quotidiana

PRIMO PIANO Anni di emozioni

CULTURE L'odore degli altri

MIGRANTI Quando ci si sente «a casa» in una nuova terra? IMMI/EMI Il privilegio di avere un «problema di identità»DALLA PAURA ALLA SPERANZA: PER IL BENESSERE COMUNE IL PROGRAMMASOCIETÀ Con la lingua in bocca si va dappertuttoLEGGI E DIRITTI

CRONACHE In bici nei cinque continentiLIBRI Parlare civile

FUSIONI Quanto è bello cucinare in altre lingueCINEMA Profezie pasoliniane in due recenti film italianiSTORIE DI PROFUGHI In attesa, in una piccola parte del mondo

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DIECI ANNI DA RICORDARE

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Ciò che il Gioco degli Specchi ha fat-to in questi anni non è poco: inizia-tive culturali, interventi nelle scuole, momenti formativi, insegnamento dell’italiano, appuntamenti gastrono-mici, campagne d’opinione e tanto altro. Un lavoro spesso poco visibile ma costante, silenzioso e profondo, capace di porre al centro dell’atten-zione l’individuo e la sua dignità. Come volontari ci siamo più volte in-terrogati sul senso del nostro agire, a fronte di piccole delusioni o pro-getti non perfettamente riusciti: mai, però, è venuta meno la caparbietà e la determinazione nel percorrere nuo-ve strade e affrontare le complessità che si sono presentate nel corso di questi lunghi anni.Collaborare con il Gioco degli specchi, dapprima come volontario e poi con incarichi nel consiglio di amministra-zione, mi ha confermato quello che ho sempre pensato: che essere attivi in un’associazione abbia un duplice risvolto, da un lato individuale, dall’al-tro collettivo. Fare parte di un gruppo soddisfa alcune nostre esigenze per-sonali come il bisogno di relazioni o il sentirsi coinvolti in un qualcosa di più ampio della propria cerchia fami-liare o affettiva. Tuttavia, ritengo che

l’attivismo, soprattutto nell’ambito del volontariato, abbia un significato anche collettivo e politico. Impegnarsi in un ambito piuttosto che in un altro rispecchia una scelta, anche politica, che ciascuno di noi matura e porta avanti con convinzione. Mi preme inoltre sottolineare come l’Associazione, nello svolgere la sua attività, si sia sempre saggiamente tenuta lontana dalla stanca ripetizio-ne del ritornello “poverini, aiutiamo-li!” di stampo assistenzialista che non ci appartiene né ci compete. Il Gioco degli Specchi ha optato per un’altra via, forse difficile e ambizio-sa, ma sicuramente stimolante. Pro-prio perché “politico”, il nostro agire – e in particolare il nostro agire in re-lazione ai temi migratori – è stato e sarà sempre rivolto al cambiamento. Con le forze a nostra disposizione e con gli strumenti a cui siamo più af-fezionati abbiamo cercato, con alter-ne fortune, di puntare ad un cambia-mento culturale del nostro territorio. Come scardinare vecchi e abusati luoghi comuni sui cittadini stranieri? Come connettere il nostro passato nazionale di emigrazione con le at-tuali immigrazioni? Come rendere la società e la quotidianità in cui vivia-

di Andrea Petrella*

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Una sfida quotidiana affrontata con caparbietà e determinazione

mo un po’ più armoniose, giuste e impreziosite da culture diverse da quella italiana?Il Gioco degli Specchi ha deciso di dare il proprio contributo su questi temi. Non perché siano più impor-tanti di altri, o perché vada di moda farlo. La nostra azione muove princi-palmente dalla constatazione che le nostre città e i nostri paesi stanno mutando: i fenomeni migratori sono processi sempre esistiti, con diverse intensità e forme, che ovunque han-no portato cambiamenti, ibridazioni, evoluzioni sociali e culturali. Anche in Italia, anche in Trentino. Sembra però che di questo non ci sia ancora piena consapevolezza. Far capire che non bisogna sorprendersi o, peggio, indignarsi, che nell’appartamento di fianco al nostro, nell’auto in coda al semaforo davanti a noi, nelle aule scolastiche dei nostri figli, dietro allo sportello bancario o perché no su qualche scranno delle istituzioni, dal consiglio comunale a quello provin-ciale per arrivare fino al Parlamento, ci sono e ci saranno – forse, sempre più – persone provenienti dai più di-versi angoli del mondo, è la vera sfi-da che il Gioco degli Specchi affronta quotidianamente.

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4Primo piano

Anni di emozioni, dalle persone, dai personaggi dei libri, dai protagonisti dei film. Questo è stato il Gioco degli Specchi. È stato come passare in treno davanti a fine-stre spalancate sulla vita quotidiana di altri, gettarvi uno sguardo partecipe, e conoscere un po’ della città ignota che si attraversa nella notte.L’ultima emozione in ordine di tempo: ritrovare Helena. L’avevo persa di vista in que-sti anni, ma le avevo insegna-to la nostra lingua, ricordavo bene le confidenze sulla sua vita ‘di prima’, la bambina che giocava felice arrampi-candosi sugli alberi, gli aqui-loni che ci aveva insegnato a fare nelle nostre feste, come la difendevo dal marito che le rimproverava di non imparare l’italiano abbastanza in fretta. Già, perché quando non sai una lingua agli altri sembri scemo. Mi ricordo Mahlet, dava proprio quest’impressione, bisognava ripetere piano piano cento volte e l’incertezza, lo smarrimento con cui contava i soldi per pagare al supermercato! E invece che fibra che energia che determinazione. Mi aveva mostrato delle foto in cui tutti erano eleganti con splendidi abiti colorati, avevo capito che era il suo fidanzamento, invece era il matrimonio e lavorando lavorando era riuscita a far arrivare in Italia anche il marito. Qualche anno dopo l’ho rivista, un buon italiano, una splendida bambina.Li ricordo ancora, in modo vivido, questi allievi, ideali per qualunque insegnante dato il loro desiderio di imparare. Nessun volontario resiste all’intensità dei rapporti umani che si instaurano ai corsi. Solo ad ascoltare si stabilisce un rapporto stretto, cementato dal fatto che l’immigrato viene riconosciuto come persona, con le sue capacità, le esperienze e il ruolo sociale della sua vita e del lavoro di prima. Non buttato vuoto a perdere nella massa con etichetta etnica, i cinesi, i rumeni, gli africani...marchiati

spesso da colpe di un singolo individuo.Per chi fa la badante, lavoro già reso servile nel nome, è una boccata d’aria fresca farsi riconoscere nel suo lavoro precedente di insegnante di liceo, di giornalista, trasmet-tere conoscenze sulla cultura, sulle bellezze del suo pa-ese. Quanta storia nel dettaglio e dal vivo ho imparato, quanta geografia ogni volta che andavo a cercare dov’è la

Val Fergana o Sebha, perché quello sventolio minaccioso di bandiere albanesi, aquile e rosso sangue, se sono cittadi-ni macedoni, attenta a distin-guere tra Paraguay e Uruguay. Leggi per saperne di più, ti fai dire i loro grandi autori, ti eser-citi a pronunciare Crnjanski e Krleža. Fissi l’occhio in quella direzione, su quei temi perché

ti rendi conto che se hai letto “Bilal” di Fabrizio Gatti, let-to e visto “Come un uomo sulla terra”, guardi in modo più consapevole il senegalese che si avvicina per venderti qualcosa: diventi più umano e lui ti diventa figlio, anche se solo un momento.Impari la complessità, nei nostri discorsi c’è sempre un “noi” e un “gli altri”, niente di più falso.Per il noi lo sapevamo, un noi diversificato da Trento alla sua campagna (i poeri, i pinaitri, i mocheni: sono termini antichi e non di apprezzamento) per non parlare dei “ter-roni - quei da ‘nzo”. Delle fratture all’interno dei paesi d’origine degli immigrati o fra i diversi paesi abbiamo in-travisto forse qualcosa negli studi, ma è diverso vedere ucraine che si ignorano a seconda della zona di prove-nienza o lo sguardo che lancia la ragazza dell’est Europa alla pakistana col suo abito tradizionale e col velo. (Come hanno ingentilito Trento queste eleganze femminili, con i loro colori, tono su tono, il movimento delle loro vesti).Come hanno colorato le strade colorano e danno inten-sità/spessore alla realtà in cui viviamo: vedere in tv un

Anni di emozioniNon è il sapere che ci dà l'accesso all'altro, ma ciò che è anteriore al sapere e alla riflessione: l'emozione. (Tahar Lamri)

di Maria Rosa Mura

Il Gioco mi ha dato una vita diversa. Un Gioco, laboratorio festoso e collettivo, da continuare senza sosta. Non si estirpano

mai abbastanza i propri pregiudizi, incancreniti, avvitati saldamente nel profondo a nostra insaputa.

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5Primo piano

rimpatrio ora significa sentire i sentimenti di Rachid, se parlano di albanesi/rumeni criminali e stupratori tu pen-si alla serietà di Mihai e Besnik, alla signorilità dolce di George. Se poi vedi la Vlora! ti prende alla gola l’emozione. Vedo Anila in quella massa brulicante che ha occupato la nave, nella festa con cui i ragazzi si lanciano nel mare, nella tristizia infame dello stadio. Ci vedo la sua tranquilla se-rietà, il suo dottorato in filosofia e il Ph.D che l’ha lancia-ta in un’altra patria ancora, la storia di quando, in una dittatura che non lasciava pubblicare Dumas, giocava a viaggiare verso un altrove. “Prendevamo il mappamondo, lo facevamo girare, poi, con gli occhi chiusi, puntavamo il dito sul posto in cui saremmo andati....Il gioco finì quan-do rischiai di puntare il dito sul posto dove eravamo.”Tante le persone incrociate in questi anni, per alcuni l’e-mozione è di dolore, per la perdita, in un fiume, nell’ocea-no, nella malattia, è il ricordo della loro passione, di una voce, di un messaggio: “Avanti. Per rendere il mondo più umano”.Immigrati, emigrati, immigrati discendenti da emigrati, vo-lontari, della nostra e di tante altre associazioni, indimen-ticabili volontari da altri paesi dell’Europa, scrittori, stu-diosi, artisti, mediatori, insegnanti, studenti, bibliotecari, editori, i collaboratori e gli stagisti.. una folla, qualcuno difficile, altri che diventano amici o con cui il rapporto prosegue negli anni. Giovani entusiasmi che rallegrano l’autunno.Il pacifista che paga la sua scelta coerente con la inestin-guibile nostalgia per un luogo d’altri tempi, la terra ormai perduta di molte culture e di convivenza.Il dolore di chi rientrando in patria ritrova tranquilli per le strade gli assassini dei suoi cari o i loro complici, il suo riscatto nella scrittura che si piega a guardare il dolore di altri.Il sorriso rassicurante della donna che vive insieme tre profonde appartenenze e quello dell’uomo che affronta il razzismo con scherzosa serietà, il suo calore e la sua

energia, l’affettuosità ruvida di chi ha vissuto con i mi-natori emigrati, la profondità e la capacità organizzativa dell’uomo di cultura.Ricordi il ringraziamento del rifugiato per avergli dato la parola in biblioteca trattandolo con rispetto: mentre “se mi siedo su una panchina la signora vede la mia pelle nera e subito tira a sé la borsetta”.La generosità del direttore di ATAS che per anni ci cedeva il suo ufficio per fare i corsi di italiano: noi arrivavamo e ci chiedeva scusa per non averci ancora liberato il campo.Mossa dalla curiosità, dal gusto dell’esotico, dall’amore per le lingue straniere (non servono però per insegnare l’italiano a gente di tante origini diverse!), dal desiderio di essere utile, ho trovato molto altro.Il Gioco mi ha dato una vita diversa. Un Gioco, laboratorio festoso e collettivo, da continuare senza sosta. Non si estirpano mai abbastanza i propri pregiudizi, incancreni-ti, avvitati saldamente nel profondo a nostra insaputa. E sono questi preconcetti le basi per ferire, disprezzare, segregare, danneggiare, uccidere.È un lavoro lungo, ininterrotto, ma decisamente appagan-te e molto festoso, butti alle spalle tante e tante paure e sai come diventi leggero! e perspicace anche: media e politici non te la raccontano come vogliono, ne sai di più. E puoi goderti lo spettacolo di un auditorium che, tutto intero, balla la musica dell’Orchestra di Piazza Vittorio.

Guida alle bellezze e alla storia del Buon Consiglio per i frequentanti i corsi di italiano del Gioco degli Specchi.

IL GIOCO DEGLI SPECCHI SU TIMU IL SITO DI "INFORMAZIONE CIVILE"Visitate la nostra pagina e partecipate al racconto collettivo dei piccoli passi (fatti/da fare) per realiz-zare un sogno: una società dove TUTTE le persone possano aver una vita serena.http://timu.civiclinks.it/it/m/inquiry/migranti-cultu-ra-societa-il-gioco-degli-specchi/

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6Culture

Questione di pelle, di cibo, di profumi...

L’odore degli altriQuando sono gli stranieri ad ‘annusare‘ i trentini

di Maria Serena Tait

Il tema mi sembrava interessante a partire dalla mia convin-zione di essere una persona particolarmente sensibile alla dimensione olfattiva nel rapporto con gli altri. Non mi era chiarissimo il filo da seguire, ma non disperavo di trovarlo strada facendo. Quello che non sospettavo minimamente era che alla fine avrei scoperto di essere olfattivamente una primitiva.Per semplificarmi la vita ho iniziato la mia piccola indagine con due amici trentini: un pediatra, Saverio, e un’insegnante di una scuola professionale per estetisti e parrucchieri, Lucia.Per Saverio l’impatto olfattivo più forte è quello dei genito-ri pakistani e indiani, che lasciano nella sala d’aspetto un odore complesso di aglio, spezie e fritto capace di resistere alcune ore. Tutto cambia però appena entrano in ambulatorio e levano gli indumenti ai bambini per la visita: nella stanza si diffonde un profumo delizioso di talco che emana diretta-mente dai loro vestiti e dalla pelle liscia come la seta. “E i bambini trentini?” Mi racconta che non profumano più di tal-co ma solo di creme e prodotti farmaceutici o di erboristeria.Nella scuola di Lucia quasi l’ottanta per cento degli studenti è costituito da stranieri. L'età è compresa tra i 15 e i 20 anni. Quest’ultimo dato non è irrilevante perché l’odore più forte, un odore che riguarda un po’ tutti i ragazzi in modo trasversale, è direttamente legato alle tempeste ormonali dell’età. Un odore vagamente selvatico sul quale lo specifico legato alla provenienza geografica si innesta saldamente. An-che qui la gamma comprende aglio, spezie e cibi fritti, ma an-che tipologie e livelli diversi di intensità nell’utilizzo di profumi e deodoranti, causando qualche problema nella scelta dei posti in classe. L’esperienza ha insegnato a Lucia che anche se i ragazzi studiano e si esercitano insieme senza problemi, nella vita al di fuori della scuola, quando si tratta di amicizia e amore, che comportano una vicinanza di pelle più intensa e costante, la scelta cade quasi esclusivamente sui compagni affini per odore e, di conseguenza, paese di provenienza.Per capire cosa succede quando sono gli stranieri ad annu-

sare noi trentini e gli italiani in generale, ma anche stranieri di diversa nazionalità, prendo contatto con alcuni allievi dei corsi di italiano per stranieri.La prima è Pascaline. Viene dal Burundi e non manifesta il minimo imbarazzo nell’affrontare il tema. Mi spiega che l’o-dore della pelle di noi trentini è molto più forte di quello di un pakistano. In Burundi le donne e le ragazze hanno addosso il profumo del loro olio cosmetico personale, mentre è difficile individuare l’odore del profumo che usiamo noi: sembriamo tutte uguali. L’odore di chi proviene da altri paesi, ad esem-pio dall’Asia, non è mai così forte come quello dei bianchi. “E il cibo?” Il cibo trentino non è molto profumato, solo la pizza ha un odore forte che si può riconoscere.Simone è polacco e, a differenza di Pascaline, accoglie le mie domande con circospezione e un filo di diffidenza. Preferisce parlarmi dei suoi rapporti di lavoro con i trentini, buoni sul piano professionale e con qualche dubbio su quello umano. L’unico odore di cui parla è quello buono e pulito della sua stanza in affitto.Nicola viene dalla Romania, è disponibile a parlare ma alla fine dai profumi scivola nel racconto dei suoi rapporti con i trentini, iniziati già in Romania, dove dalla seconda metà dell’Ottocento vive una comunità molto ben integrata arrivata dalla Valle di Fiemme per cavare la pietra.Per quanto riguarda gli odori ricorda che in un corso prece-dente riconosceva anche senza voltarsi la presenza di uno studente pakistano, forse perché doveva cucinare il suo Ke-bab nella stessa stanza in cui dormiva. Le persone prove-nienti da India e Pakistan usano profumi e bagni schiuma dall’odore molto più forte dei suoi. In realtà dopo qualche tempo l’odore cambia perché non trovi e non puoi più usare i tuoi prodotti abituali.I trentini comunque fanno la doccia e la loro cucina è leggera. Mahamuda viene dal Bangladesh e sugli odori ha delle idee molto precise e in qualche modo sorprendenti. Anzitutto bam-bini e bambine hanno un odore diverso e così pure una perso-

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na giovane rispetto ad una anziana. Il nostro stato di salute e il nostro umore producono un odore che cambia ed è chia-ramente percettibile. Gli italiani e i trentini si coprono troppo poco con i vestiti e in modo diverso. Il nostro cattivo odore dipende anche dal fatto che non indossiamo fibre naturali. Il cibo in Italia comprende molto maiale e l’odore pertanto è sgradevole. Anche l’odore del vino è sgradevole, mentre quello di caffè è buono. Le piacciono pure l’odore della pizza e della pasta al pomodoro.Ricorda uno studente del Marocco con un odore misto di vino, fumo e cibo che la metteva molto a disagio.Le ragazze africane invece hanno un buon odore e anche i loro vestiti vanno bene.Paulina è arrivata in Italia dal Burundi e dice di avvertire mol-to bene il nostro odore. Parla del nostro odore “vero”, perché i profumi e i vestiti possono cambiare, ma l’odore è legato alla nostra natura, che non cambia.A lei piacciono tutte le persone perché sono creature di Dio e per questo le accoglie anche se ognuna ha un corpo diverso, un colore diverso e viene da un paese diverso. In questo momento per lei la cosa più importante è imparare l’italiano

e non cercare le differenze.Meri è finlandese e ha la pelle più bianca e trasparente che mi sia mai capitato di vedere. Per lei il Trentino significa pro-fumo di caffè. Ci sono tanti bar dove puoi trovare marmellata e brioches, ma anche pizza e pasta.Sente con molta forza l’odore della pelle degli africani: per lei è un odore né bello né brutto, solo molto forte. Pensa che l’odore degli indiani dipenda dal cibo e che più scura è la pelle, più forte sia l’odore. Se può scegliere dove sedersi in classe preferisce mettersi vicino ad un ragazzo polacco perché l’odore di persone provenienti da altri paesi è troppo forte e non le piace molto.Non sono in grado né desidero trarre conclusioni da questo mio breve viaggio tra gli odori. Mi è parso di capire che più la pelle è chiara o, viceversa, scura maggiore diventa l’intensità della percezione delle differenze reciproche. Sicuramente ora mi sento un po’ più scoperta e indifesa rispetto ad una silen-ziosa e intima indagine olfattiva che alcune persone sono in grado di fare con la stessa facilità e leggerezza con la quale io potrei percepire il colore degli occhi e dei capelli. E forse ne sono anche un po’ invidiosa…

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IL GIOCO DEGLI SPECCHI CINEMAMIGRANTI E DIRITTI UMANITRENTO 15 - 19 MARZO 2006

Ci sono posti nel mondo che abbiamo solo sfiorato, altri che sono la nostra casa. Ci sono posti nel mondo che abbiamo dovuto lasciare, altri ancora che abbiamo conosciuto attraverso le narrazioni o le immagini. Il cinema mette insieme immagini e narrazioni: racconta storie che catturano, incuriosiscono, fanno riflettere. Storie che riguardano l’altro, ma anche noi, da più o meno vicino. Storie che superano i confini delle geografie e delle culture, arrivano per un giorno fino ad una Cina che conosciamo poco o parlano dell’emigrazione italiana.Sono storie raccontate da lungometraggi, cortometraggi, documentari o messe in scena con lo spettacolo teatrale “La nave fantasma” di R.Sarti con Bebo Storti e Renato Sarti: la tragedia avvenuta la notte di Natale del 1996, quando al largo della costa siciliana affondò una nave carica di immigrati.

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8Migranti

MIGRANTI

Quando mio padre ci portava in montagna, ci faceva no-tare, tra tante altre cose, dove si trovava casa nostra. Ri-cordo lo stupore e la meraviglia di questa nuova visione, dall’alto, del luogo che mi circondava tutti i giorni, visto da una nuova prospettiva. Ho cercato di fare un’operazione di questo tipo: raccoglie-re la visione che hanno del territorio una serie di donne di origine straniera, stabilmente residenti nella provincia di Bolzano.

Narrare il territorio Chi migra è, all’inizio, un viaggiatore, che scopre ed esplo-ra con curiosità un territorio che non gli è familiare, fa-cendo confronti con altre terre conosciute. Per questo si trova nella posizione di aiutare coloro che ci sono cre-sciuti a riscoprire il proprio luogo d’origine, guardandolo da un punto di vista diverso. Ritenere che ci sia una unica lettura “giusta” diventa insostenibile anche riguardo ad aspetti che possono sembrare tanto obiettivi e misurabi-li, come la temperatura. La narrazione del clima di Bolza-no che fa una donna proveniente dal Burkina Faso a sua madre rimasta in patria è quella di un freddo gelido: lei racconta di aver imparato qui a portare indumenti prima sconosciuti, come la sciarpa, e si fa una foto con gli abiti invernali per far vedere alla madre quanto bisogna coprir-si per superare i gelidi inverni locali. La narrazione di una donna che proviene dalla Germania del Nord a sua madre

ha toni molto diversi: loro confrontano il numero di giorni di sole, il numero di giorni sotto zero. Lei descrive il clima altoatesino come tiepido, soleggiato, mediterraneo. Alcune donne percepiscono Bolzano come una città ita-liana, anche se multilingue e multiculturale, mentre altre dicono “Bolzano non è Italia” o sottolineano che si tratta di una zona di confine, dicendo che è “una porta verso l’Italia”. Questa pluralità di narrazioni riguarda gli ambiti più sva-riati: il mondo del lavoro, il mondo della scuola, il bilin-guismo e la divisione tra i cosiddetti “gruppi etnici”, le relazioni familiari, i rituali sociali, la cura del corpo, il pae-saggio urbano e rurale, e via dicendo.

Diversi modi di sentirsi “a casa”Quando ci si sente “a casa” in una nuova terra? Come vengono combinate le diverse appartenenze e linguaggi culturali nel quotidiano? Come viene gestita la diversità all’interno della nuova società? Queste sono domande che hanno guidato l’analisi delle testimonianze. Lo schema proposto dal sociologo Enzo Colombo nello studio delle strategie identitarie delle nuove generazioni risulta interessante per comprendere le diverse forme di gestione delle molteplici appartenenze. Una prima modalità è quella dell’inclusione etnica, nella quale l’immigrato tende a dare priorità all’appartenenza alla rete etnica di origine e a mantenere con le culture d’approdo rapporti di tipo funzionale. Ecco un esempio: Veronica è una donna cinese, che gestisce insieme a suo marito un bar a Bolzano. Mantiene buoni rapporti con la popolazione locale, ma il suo progetto è di tornare in Cina. Il sentimento di appartenenza predominante è quel-lo che riguarda la famiglia e il popolo cinese, sia nella terra d’origine sia in quella di approdo.Un’altra modalità è il mimetismo, nel quale si tende a mi-nimizzare le differenze. Malvina proviene dalla Bielorus-sia, e i suoi legami affettivi più significativi li ha formati in Italia. Quelli che rimandano alla terra d’origine sembrano essersi affievoliti. Non si identifica più con il gruppo di immigrati della stessa provenienza ma con abitudini e persone del luogo, da cui si sente accolta in termini di parità. Vive come un successo la “invisibilità” della sua

Alto Adige allo specchio

Quando ci si sente “a casa” in una nuova terra?Storie di cittadine di Bolzano di origine straniera

di Franca Zadra

allo specchiosguardi

femminili tra

appartenenza e

mobilità

altoadige

Quali immagini dell’alto adige emer-gono dal vissuto delle donne immigra-te? come si viene a creare un senso di appartenenza alla società altoatesina? attraverso focus group, interviste in-dividuali e lavori scritti sono state rac-colte e analizzate le testimonianze di donne immigrate stabilmente residenti in alto adige provenienti da 16 diver-se nazioni. sia che si parli di trekking, di bilinguismo o di vini pregiati, le nar-razioni espresse in questa ricerca ci spingono ad allargare la nostra visione del territorio, per rispecchiarci nelle scoperte, nelle delusioni e nei progetti delle nuove cittadine.

allo specchio

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appartenenza e mobilità

Questo volume non è in vendita e può essere ritirato gratuitamente presso la Biblioteca Provinciale Italiana claudia augusta, via Mendola 5, Bolzano.

Franca Zadra La recente pubblicazione

“Alto Adige allo specchio”, nata dal Tavolo di lavoro Con Nuove Culture promosso dal Dipartimento Cultura Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano, in collaborazione con l’Associazione Donne Nissà e con la Biblioteca Provinciale Italiana Claudia Augusta

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diversità culturale, che la fa sentire partecipe del noi so-ciale. E’ innamorata delle montagne sudtirolesi, che per-corre con sci, “ciaspole” o scarponi. E le tutela, dato che ora sono il suo mondo: si guarda bene di raccogliere le stelle alpine, perché sono una specie protetta. Una terza modalità è la marginalità, in cui vivono le perso-ne che si trovano bloccate al confine tra due culture, sen-za una reale appartenenza a nessuno dei mondi. Sabeen è fuggita con suo marito dalla persecuzione e la guerra nell’Iraq di Saddam. Essendo curda, l’esperienza di esse-re perseguitata per la sua diversità culturale anziché tute-lata dalle istituzioni, è iniziata già nella terra d’origine, e quel sentimento di vulnerabilità si è protratto nel luogo di approdo: le barriere materiali e culturali le impediscono di sentirsi tutelata nella nuova terra e di costruire un senso di appartenenza al nuovo con-testo sociale e una progettua-lità futura.C’è un’ulteriore modalità che è il transnazionalismo, nel quale si cerca riconoscimento in reti virtuali di contatto e scambio tra la terra d’origine e la terra d’approdo, valorizzando la propria differenza in entrambi i contesti al fine di assumere un ruolo media-tore. Nadifa è una giornalista che in Somalia aveva fatto una brillante carriera. Negli anni della guerra decide di seguire il progetto migratorio del marito, interrompendo la sua carriera con l’aspettativa che in Europa, percepita come il luogo in cui sono state vinte molte battaglie per le pari opportunità delle donne, sarebbe riuscita a ricre-are per sé uno spazio lavorativo. Quando ha trovato solo proposte di lavoro domestico, non essendo in situazione di bisogno, ha preferito mantenere i suoi contatti interna-zionali, che le offrono quel riconoscimento che non trova nell’ambito locale. C’è poi la cosiddetta identificazione molteplice degli “ita-liani-con-il-trattino” che pone in primo piano la pluralità per partecipare pienamente alla società d’approdo sen-za per questo negare altre appartenenze, che sono viste come una ricchezza. Cecilia, avvocata cubana, si è inna-

morata di un bolzanino nel luogo d’origine, e poi è venuta in Alto Adige a sposarlo. Sentendosi bersaglio di pregiu-dizi sia sul piano sociale che su quello professionale, Cecilia non si rassegna, e prova a ridefinire le regole del gioco creando uno spazio per sé nel mondo del lavoro. Potendo lavorare per l’azienda del marito, preferisce fon-darne una propria: una catena di negozi e servizi per le feste dei bambini. Ha avuto tanto successo, che il marito ha venduto la sua azienda e ora lavora per lei. Infine c’è il cosmopolitismo, che rifiuta di definire le pro-prie appartenenze, valorizzando invece la capacità perso-nale di adeguarsi ai diversi contesti per creare relazioni significative. Luise è una drammaturga che appartiene

a una minoranza di madrelin-gua tedesca in Romania. La sua traiettoria migratoria ha avuto diverse tappe, e anche se al momento risiede a Bol-zano, non vuole radicarsi nei luoghi ma “fare una casa nel cuore delle persone”. Luise non sente di avere una identi-tà definita e gioca la carta au-

tobiografica che risulta più adeguata alle circostanze di volta in volta. Quando parla con gli italiani, considerando i diffusi pregiudizi verso i romeni, dice di essere tedesca. Quando parla con i sudtirolesi spiega di appartenere ad una minoranza di madrelingua tedesca che non veniva tu-telata in Romania. Molto più importante delle definizioni identitarie statiche risulta per lei la dinamica relazionale, e i legami che si riescono a sviluppare trovando zone di empatia.

Nelle parole delle donne intervistate non si rivela soltanto una legittima rivendicazione del diritto di accedere, come ogni cittadino, alle opportunità e alle risorse strumenta-li e culturali della società di cui fanno parte, ma anche la testimonianza di un legame profondo con il territorio. Sono parole che rielaborano lo spazio tra noi e gli altri, e ci rendono più consapevoli del processo attraverso cui ci sentiamo parte di un “luogo” che è allo stesso tempo nostro e altrui.

Migranti

Chi migra è un viaggiatore, che scopre ed esplora con curiosità un territorio che non gli è familiare e può aiutare

coloro che ci sono cresciuti a riscoprire il proprio luogo d'origine, guardandolo

da un punto di vista diverso.

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10Dieci anni da ricordare

IL GIOCO DEGLI SPECCHI MIGRAZIONI LETTERATURE E SOCIETÀ NOI È PLURALETRENTO 26 MARZO - 1 APRILE 2007

Nel 2007 Il Gioco degli Specchi ha già alle spalle una piccola storia: il punto d’avvio sono stati i corsi d’italiano per stranieri adulti, tenuti dai volontari ATAS Onlus, poi a.t.a.s.Cultura, a partire dal 1994.Questa origine da un’attività con fini sociali caratterizza ancora i nostri appuntamenti che tendono ad essere sempre incontri di persone, non eventi, anche quando ci troviamo a presentare studiosi, scrittori, artisti di grande fama.Ci è sembrato importante ‘mettersi nei panni degli altri’, per questo abbiamo privilegiato l’emozione del libro e del film per stimolare riflessioni ed approfondimenti, ma non mancano studi, spettacolo, danza, musica, cibo e, ovviamente, gioco.Nel tempo è aumentato l’aspetto formativo e maggior impegno è stato dedicato alla scuola, coinvolta dalla materna alle superiori. Lavorare tutto l’anno, ma concentrare alcune attività in una settimana continua a rispondere allo scopo di rendere maggiormente visibile il progetto, di trovare sinergie, di approfondire ed estendere la rete di relazioni e di scambi. Anche di fare festa insieme. Il Gioco fornisce così il suo apporto per disseminare comprensione e pratiche di convivenza pacifica, pro-getta un territorio che può essere un giardino felice e in pace per tutte le persone che ci vivono.

IL GIOCO DEGLI SPECCHI CINEMA GLI UOMINI NON SONO ALBERI TRENTO, 24 – 27 SETTEMBRE 2008

Una rassegna cinematografica sulla migrazione dedicata “a chi parte, a chi arriva, a chi torna” , a quest’Uomo che mai resta fermo nel posto in cui è nato. L’immagine della scrittrice Jarmila Očkayovà, scelta come titolo della rassegna, esprime il fatto che, per desiderio di co-noscenza, di avventura, per evitare guerra e fame e persecuzioni, gli uomini si sono spostati e si muoveranno sempre sul pianeta, a dispetto di tutti i muri ed i fili spinati che si possano erigere. Nonostante i deserti ed i mari da attraversare, non più pericolosi di uomini e di apparati statali.“È veramente difficile convincere chi non ha nulla che è meglio restare a casa” – “A fare cosa?” Sono storie che sottolineano l’analogia tra le attese e le speranze degli italiani partiti per l’America in cerca di fortuna, con le loro fisarmoniche e le loro arie d’opera, e i desideri di Raùl e Hocine, che cercano lavoro in Italia e vi portano la ricchezza della loro musica. “Italia”, la terra delle possibilità a lungo sognate, il faro della cultura, il paese del rispetto dei diritti civili; la patria verso cui vuole ‘tornare’ il giovane brasiliano che rivendica con orgoglio la sua origine italiana, con tutto l’entusia-smo e le illusioni dei suoi 18 anni, incurante degli ammonimenti del fratello maggiore che si è già scontrato con una realtà ben diversa. Queste, e molte altre storie.

IL GIOCO DEGLI SPECCHI RIEMPIRE IL MONDO DI STORIE TRENTO, 2-8 NOVEMBRE 2009

Intorno ai tavoli dei corsi di italiano per adulti immigrati sedevano persone delle più varie provenienze, con le culture e le conoscenze più differenti. Per cercare di capirli, oltre all’ascolto, lo strumento migliore erano i libri, quelli dei grandi autori del loro paese d’origine, degli immigrati che ormai cominciavano a pubblicare in italiano, quelli degli emigrati italiani che avevano vissuto anche in anni e luoghi lontani esperienze analoghe.Un processo prima individuale è diventato poi un percorso condiviso e una proposta alla comunità. Se vogliamo cono-scere il resto del mondo dobbiamo guardarlo con lo stupore degli esploratori: una storia ben raccontata, libro, film, fumetto che sia, può attirare la nostra attenzione e rendere interessante per noi un’umanità lontana nel tempo e nello spazio. Può renderci curiosi di conoscere e capire le persone che, pur vicine a noi, non hanno abbastanza voce per farsi sentire.

DIECI ANNI DA RICORDARE

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11Immi/Emi

IMMI/EMI

Il privilegio di avereun “problema di identità”Carla, 28 anni, nata in Brasile, ora abita a Mattarello, paese di origine del bisnonno emigrato nel 1875, e ha imparato a fare tesoro delle cose migliori delle due culture

di Maurizio Tomasi

«Che bella cosa avere un “problema d’identità” ed essere in conflitto con me stessa, spezzando pregiudizi, ste-reotipi e cambiando tutti i miei con-cetti»: chi ha scritto queste parole è Carla Teresinha Nardelli, che compirà ventotto anni il prossimo novembre ed è nata a Iratì, nello stato del Pa-ranà, in Brasile, e da tre anni vive e studia in Trentino. Suo padre Carmo è figlio di Joaquim Clemente e nipote di Sigismondo Agostino Nardelli, che nel 1875, come migliaia di altri trenti-ni, lasciò Mattarello e con tre figli e la moglie incinta emigrò con destinazio-ne il Brasile. Anche il ramo materno di Carla ha radici trentine: il cognome della nonna era infatti Facchini ma la ricerca genealogica non ha ancora portato ai fruttuosi risultati ottenuti indagando sulla famiglia Nardelli.Quello di Carla è un problema di iden-tità “gioioso”, come si desume leg-gendo la riflessione che ha pubblica-to sul suo profilo Facebook, qualche

settimana fa, quando ha festeggiato i suoi tre anni di permanenza in Tren-tino: «che meraviglia sentirmi a casa qui e sapere che anche in Brasile mi sento a casa - ha infatti scritto Carla - che bella sorpresa la mia… scoprirmi così brasiliana qui e al tempo stesso cercare ogni giorno di più di vivere le mie origini “italiane-trentine-tirolesi” storicamente, geograficamente, lin-guisticamente e “anacronisticamen-te” (nel senso che cerco di vivere “come il mio trisavolo”, pur sapendo che i tempi sono altri). E so che se torno in Brasile mi scoprirò un’altra volta italiana».Carla è arrivata in Trentino nell’a-gosto 2010 grazie ad una borsa di studio della Provincia riservata ai di-scendenti di emigrati trentini. Dopo essersi laureata in lingua e letteratu-ra italiana in Brasile, all’Università di Trento sta ora seguendo i corsi per la laurea specialistica in filologia e criti-ca letteraria.«La mia vita è una sorta di “code-switching” - ha dichiaro Carla su Fa-cebook - dal quale non voglio uscire. Ora sono da una parte, ora dall’altra, cambio codice quando voglio io. Ho scoperto che non ho bisogno di com-pletare questo “processo” ma soltan-to di viverlo. Approfittando delle cose migliori delle due culture».Dal luglio scorso un altro importante tassello rende ancora più ricco il mo-saico che compone la sua “identità”: infatti adesso abita a Mattarello, lo stesso luogo di origine del nonno di suo padre. E si emoziona quando dice che può vedere ogni giorno gli stessi profili delle montagne che riempivano gli occhi del trisnonno e che diventaro-no indelebili ricordi trasmessi di padre in figlio dall’altra parte dell’oceano.

Carla ha sentito parlare delle monta-gne trentine fin da quando era picco-la, quando la sua famiglia la dome-nica si riuniva con gli altri parenti a casa di uno zio. I racconti di quelle montagne e “el talian stort” (come suo padre definiva il dialetto trentino) che veniva usato nei dialoghi durante quelle riunioni familiari, le hanno fat-to crescere il desiderio di sapere di più sulle sue origini.«Se voglio scoprire “da dove vengo” devo fare in modo che la lingua ita-liana diventi il mio mestiere», ha pen-sato Carla. È stata questa consape-volezza a determinare la sua scelta universitaria. Poi il caso ha anche voluto che incontrasse João, anche lui studente universitario, impegnato in una tesi sull’emigrazione italiana, che “aveva bisogno” di una famiglia di origine italiana sulla quale svilup-pare la sua ricerca. Quella di Carla era perfetta per questo obiettivo. Nell’estate del 2010 Carla e João si sono sposati e un mese dopo sono arrivati a Trento. Nel 2007 Carla ha anche acquistato la cittadinanza ita-liana, grazie alle legge 379/2000, fortemente voluta dall’Associazione Trentini nel mondo onlus.«Ora abito a Mattarello - si legge an-cora sulla pagina Facebook di Carla - e ciò significa che 138 anni dopo che il mio trisavolo ha lasciato que-sto posto, una sua discendente vive qui. Mi sento tanto, tanto privilegia-ta. Il mio desiderio è quello di trovare qui l’energia di quel signore che in un momento di povertà assoluta e di estrema disperazione, ha avuto il co-raggio di cambiare posto ma anche di cambiare se stesso… perché possa anch’io non avere mai paura di cam-biare me stessa».

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12Appuntamenti

APPUNTAMENTI

La paura è necessaria alla sopravvivenza, abbiamo paura di tutto ciò che ci è estraneo come forma di difesa da un possibile pericolo.Il nostro tempo sembra però dominato dalla paura che è diventata un sentimento di ansia diffusa, indipendente dalla realtà del pericolo e spesso scatenata ad arte.Per motivi politici viene ad esempio diffusa a piene mani la paura degli immigrati: ci «invadono», ci rubano il lavoro, deprezzano le case, abbassano il livello della scuola.Le frasi sono le stesse sentite dai nostri emigrati, discriminati per i loro principi anarchici o rifiutati come catto lici idolatri, alla pari di islamici ed arabi visti come un tutt'uno tra loro e sempre come fondamentalisti/terroristi.E le paure degli immigrati? quella molto reale di dittature e guerre da cui scappano, quella altrettanto cogente di non trovare i mezzi per sopravvivere e provvedere alla propria famiglia. Grande è la paura del viaggio, innumerevoli i pericoli reali: i trafficanti e la polizia, le montagne, il deserto, il mare.. Hanno paura di non trovare o di perdere il lavoro, umiliati e trattati come criminali perché privi di documenti, rinchiusi per lunghi mesi nei CIE ed espulsi. Ve le ricordate le «badanti» arrestate sul lungo Fersina a Trento? Sia gli italiani sia gli stranieri hanno paura di perdere la loro identità.Ma cos'è mai l'identità? certo non è un monolite ricevuto dagli antenati, immutabile nel tempo e identico per un popolo intero: ogni individuo costruisce e trasforma nel corso della vita la sua eredità.La paura genera razzismo e mina la società. Per superarla bisogna conoscere e capire.L'associazione da molti anni, e dal 2003 con le sue rassegne di una intera settimana, propone la conoscenza dei fatti per distinguere razionalmente pericoli reali da pericoli immaginari: persone, libri e film per conoscere cosa pensano e come vivono i migranti, per ricordare l'emigrazione per far conoscere possibilità e situazioni positive per progettare futuro. Per vivere tutti meglio.

PROGRAMMALUNEDÌ 11 NOVEMBREORE 10INAUGURAZIONE BIBLIOTECA COMUNALE CENTRALE, sala degli Affreschivia Roma 55 - Trento

Paure e Speranzeselezione di letture interpretate da Maura Pettorruso, attrice, autrice e regista teatrale

MARTEDÌ 12 NOVEMBREORE 10.35 - 12.15Aula magna, Liceo Leonardo da Vinci, via Madruzzo 34,Trento

Piccolo, rosso e altri racconti. La nostalgia di Božidar Stanišić per la sua Bosnia, terra di convivenzaGli studenti della classe II D invitano alla lettura i loro compagni. Dram-maturgia di Ilaria Andaloro.

MERCOLEDÌ 13 NOVEMBRE Giornata dedicata alla presentazione del secondo volume del progetto «Presenti», laboratorio di giornalismo sociale del Liceo Leonardo da Vinci di Trento.Il volume, dopo quello già pubblicato nel 2011 sul tema della libertà, raccoglie le interviste, gli articoli e le recensioni realizzate da un gruppo di circa 50 studenti provenienti da varie classi.Il programma è in via di definizione, ma si prevedono incontri al liceo ed anche per il pubblico in città. Saranno presenti il regista Andrea Segre e Fabio Pasinetti, maratoneta non vedente, e altri intervistati.In collaborazione col Forum per la Pace e i diritti umani e il Centro Astalli.

DALLA PAURA ALLA SPERANZA:PER IL BENESSERE COMUNE

11-16 NOV 2013TRENTOBOLZANO

SI COMINCIA GIOVEDÌ 24 OTTOBREORE 10.35liceo Fabio Filzi, Via Vincenzo Foppa, 4, Rovereto

I «Ciottoli di Jonas»Angelo Villa presenta il suo libro «Intercultura e immigrazione».In collaborazione con l’associazione Jonas e il Comitato per la Pace di Rovereto

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13Appuntamenti

GIOVEDÌ 14 NOVEMBREORE 20.00Auditorium S. Chiara via S.Croce 77, Trento

OrcheXtra Terrestre in concertomusica • storie • saporiIl Gioco degli Specchi è felice di invitare tutti alla festa per il decennale delle sue attività, con la musica dell’OrcheXtra e le storie di persone dal libro “Il mondo in risto3 ” di Giuliano Beltrami e Sergio Vigliotti.ORE 20- 21 Il cous cous di Mina Igliaccompagnato da tè caldo del MaroccoORE 21 Concerto e interazioniDegustazione e spettacolo 15 euro, studenti 8 euro, sconti per famiglie (escluse consumazioni extra al bar) Posti numerati, prevendita anche on line, www.centrosantachiara.itIn collaborazione con NaturalMente ArtEventi, Risto 3, WellCafè e Mandacarù - Commercio equo e solidale

VENERDÌ 15 NOVEMBREORE 9Barycentro - piazza Venezia 34 (Port'Aquila), Trento

Oggi gioco in un'altra lingua racconti, filastrocche, canzoni e giochi attività per bambini a cura di mediatoriORE 15.00AULA MAGNA della Fondazione Bruno Kessler via S.Croce 77,Trento

Migranti Cultura SocietàUna riflessione a più voci sulla realtà italianaPaola Corti, storica delle migrazioni: Le migrazioni: importanza della lettura storica, Graziella Favaro, esperta di didattica interculturale: La parola cultura si declina al plurale ; Mercedes Frias, attivista e im-pegnata nell'associazionismo degli immigrati: Una prospettiva di diritti per tutta la società.

GLI INCONTRI SONO A PARTECIPAZIONE LIBERA E GRATUITA tranne lo spettacolo del 14 novembre all'Auditorium S.Chiara, in collaborazione con l'OrcheXtra Terrestre.

SABATO 16 NOVEMBREORE 10.00AULA MAGNA della Fondazione Bruno Kessler via S.Croce 77,Trento

Migranti Cultura SocietàAnna Vanzan, islamologa: Donne, islam e corpo; Angelo Villa, psicoa-nalista: È difficile incontrare chi è diverso da noi?ORE 15.00Sala Conferenze della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto via Garibaldi 33, Trento

Proiezioni non stopAlcuni filmati che ci raccontano le paure, gli effetti delle leggi sulla vita delle persone, la storia del nostro paese.ORE 15 «18 Jus soli» di Fred KuwornuORE 16 «La quarta via» di Simone BrioniORE 17 «23 trentine» di e con Maurizio TomasiORE 18 «Nulla è accaduto» di e con Sebastiano Luca InsingaCon la collaborazione di Amnesty international, Trento e di Trentini nel mondo Onlus

LA FESTA A SCUOLAAl liceo Torricelli di Bolzano gli studenti propongono letture sul tema dell'identità, in varie scuole incontri con gli ospiti che affrontano i nodi ir-risolti nel nostro paese, originati tutti da immotivate paure: i diritti umani dei migranti in Italia e gli effetti delle leggi italiane sull'immigrazione, la legislazione sulla cittadinanza, l'atteggiamento nei confronti del popolo romanò, i tabù del colonialismo e dell'emigrazione. Ci saranno: lunedì 11 il regista etiope Dagmawi Yimer e Jeremie Gouto, protagonista di «18 Jus soli» di Fred Kuwornu, martedì 12 Kaha Mohamed Aden, scrittrice di origine somala, giovedì 14 Rebecca Covaciu, la cui autobiografia «L'ar-cobaleno di Rebecca» è diventato anche un filmato di Roberto Malini, Maurizio Tomasi con il suo "23 Trentine". Amnesty International, Tren-to dibatte storie di donne e bambini migranti.

LA FESTA IN BIBLIOTECAda lunedì 11 novembre fino a sabato 16 novembre, in sala Manzoni e in sala cataloghi della Biblioteca di via Roma a Trento.

Una mostra multimediale per ricordare o far conoscere alla comunità le molte persone ospitate dal Gioco degli Specchi, idee e pensieri di chi abbiamo incontrato in questi anni. Grandi album da sfogliare, due postazioni per ascoltare letture in sala Manzoni, in sala Cataloghi invece un filmato realizzato da Jump Cut che dà il senso del lavoro dell'associazione. Collegamento con la piattaforma web TIMU offerta dalla Fondazione Ahref, per vedere gli interventi e partecipare a una riflessione comune. A richiesta, si organizzano percorsi guidati per gruppi.

I LIBRILibreria universitaria Drake, via Verdi 7, Trento

Lo scaffale del GiocoLa Libreria universitaria Drake ha in vendita tutti i libri degli ospiti e le selezioni del Gioco degli Specchi e li porta nella gran parte degli incontri, dall'inaugurazione al convegno all'Auditorium.L'associazione Il Gioco degli Specchi è ente accreditato presso il Servizio sviluppo e innovazione del sistema formativo scolastico e gli insegnanti coinvolti nei vari incontri possono richiedere il riconoscimento di crediti formativi.

INFORMAZIONI: IL GIOCO DEGLI SPECCHI via S.Pio X 48, 38123 TRENTO Tel 0461 916251 | Cell 340 [email protected] | www.ilgiocodeglispecchi.org

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14Società

SOCIETÀ

Con la lingua in boccasi va in tutto il mondoInteressi, progetti, obblighi e necessità (per lo più lavorative) incidono sulla disponibilità del migrante ad imparare la lingua del paese che lo ospita

La parola non è l’unico mezzo per comunicare ma è certamente il più usato

di Manuel Beozzo

Quanto sia importante la conoscenza della lingua per l’in-clusione in un nuovo Paese è un fatto evidente e messo in risalto da molti. Fermo restando che la parola non è certo l’unico mezzo per poter comunicare, possiamo però dire che è certamente il più usato e quindi quello a cui si dà, normalmente, più importanza. Uno straniero che arriva, ad esempio, a Trento con l’intento di fermarsi per un certo tem-po e quindi di avere una vita sociale, studiare e/o cercare un lavoro, ha bisogno di conoscere l’italiano per riuscire ad interagire, con facilità, con le persone del luogo.Una lingua franca, come ad esempio l’inglese, può essere certamente d’aiuto ma poter comunicare utilizzando, nel nostro caso, l’italiano aprirà molte più porte, aumentando il senso di appartenenza alla nuova comunità.La lingua, come è facile intuire, è un simbolo che definisce appartenenza o estraneità ad un gruppo, e che può creare quindi coinvolgimento o, nella peggiore delle ipotesi, discri-minazione. Ovviamente l’interesse ad imparare l’italiano dipende dal motivo per cui uno straniero è arrivato a Trento e dai progetti, a lungo o breve termine, che questa persone intende svolgere. Cerco di spie-garmi usando degli esempi. All’università mi è capitato di sentire studenti stranieri par-lare tra di loro in inglese; si tratta per lo più di studenti o giovani ricercatori che si trovano a Trento per svolgere parte delle loro ricerche e che quindi intendono fermarsi in Italia per non più di qualche mese. Tra di loro ci può essere chi, più volonteroso, si avventura in qualche scambio di parole in italiano con un cameriere ma l’imparare l’italiano non ri-entra certo tra le loro necessità, non avendo il bisogno della lingua italiana per poter comunicare all’interno del loro mon-do sociale e non avendo troppo interesse all’integrazione.Davanti ad un supermercato di Trento è facile trovare un africano, che vende cinture, borse, cappelli, eccetera. Mi è rimasto impresso dal giorno che, passandogli davanti e dopo aver buttato un occhio alla sua merce, mi sono sentito dire “Vei chi vecio, varda qua che bela roba”. Una simpatica

frase detta in perfetto dialetto trentino che può essere “tra-dotta” in italiano così: “Vieni qui a vedere che bella merce che ho da vendere”. Sono sicuro che grazie alla sua simpa-tia, data anche dall’utilizzo del dialetto, certamente non ha stupito solo me. Due anni fa ho scritto, su questa rivista, sul quartiere di San Martino a Trento. Un quartiere con un’alta, forse la più alta, concentrazione di attività gestite da stranieri. Parlando con loro ho avuto un piccolo spaccato della loro vite lavorative ma anche del loro rapporto con la lingua italiana. Come c’era da aspettarsi, si passava da un’ottima conoscenza dell’italiano (specialmente in negozi frequentati anche da italiani) fino ad una bassissima, se non nulla, capacità di interagire in italiano. Un amico polacco lavorava in un’autofficina in Polonia; è arrivato a Trento una decina di anni fa ma, prima di poter ri-prendere il suo vecchio lavoro, ha dovuto imparare l’italiano, importante, a suo dire, quanto competenze ed esperienza

lavorativa.Ho raccontato questi esempi per dare una breve panoramica dei vari e diversi livelli d’impor-tanza che viene data alla lingua italiana in base agli interessi, ai progetti o agli obblighi / ne-cessità (per lo più lavorative).

Come spesso accade, c’è però anche l’altra faccia della medaglia. Uno straniero che si trasferisce in un altro Paese diverso dal proprio per cultura, lingua e tradizioni è messo di fronte ad una questione: come avviare un processo di inclusione in una nuova cultura e mantenere al contempo il contatto con le proprie origini? La lingua, o meglio le lingue, può essere la risposta alla domanda.Se la prima parte della domanda può trovare risposta nell’apprendimento della lingua del Paese di arrivo, per la seconda parte bisognerà, come si legge nella domanda, guardare alle origini. La domanda è tutt’altro che banale, soprattutto nel caso di presenza di bambini piccoli: porsi e rispondere a questa questione può evitare di entrare in una zona grigia, ovvero una zona che non è né caratterizzata

La lingua è un simbolo che definisce appartenenza o estraneità ad un gruppo e che può creare

coinvolgimento o discriminazione

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15Società

dalla cultura di origine (propria o dei propri genitori) né dalla nuova cultura in cui si sta iniziando a socializzare, portando a sentirsi sempre “straniero”.Il tema dell’importanza delle origini è stato trattato dai so-ciologi Maurizio Ambrosini e Paola Bonizzi in uno studio inti-tolato “I nuovi vicini”. Gli autori mettono in evidenza come, nelle famiglie immigrate in Italia, sia di centrale importanza mantenere vive le proprie origini e tradizioni. Come appena ac-cennato ciò aumenta di rilevan-za quando nel contesto famiglia-re si trovano minori, che sono o che verranno inseriti in un con-testo (quello scolastico) esclusivamente italiano. Nelle fa-miglie con bambini è usuale che in casa si parli la lingua “materna”, considerata la lingua degli affetti (dell’infanzia, dei prima uditi), mentre all’italiano è assegnato il ruolo di lingua dell’integrazione, importante, come accennato sopra, per evitare l’esclusione dal gruppo, in questo caso, di amici e compagni di classe.I bambini, così scrivono i due ricercatori, sono quotidiana-mente immersi in nuovi, altri, stimoli culturali, e i genitori, tramandando la lingua e la cultura “materna”, cercano di mantenere un canale che, da una parte, tenga vive nei figli le radici della famiglia, e dall’altra che permetta ai genitori

di essere genitori. Infatti se i genitori non parlano l’italiano, essi vivono una sorta di esclusione dalla quotidianità dei figli, dove si vanno a creare situazioni in cui i figli hanno il compito di traduttori e svolgono, nello spazio pubblico, ciò che viene definito il ruolo di “genitore dei propri genitori”, comportando una perdita di autorità da parte dei genitori stessi.Accanto alla famiglia, hanno un ruolo fondamentale le asso-

ciazioni culturali, che attraverso corsi specifici, cercano di fare imparare (o di non fare dimenti-care) la lingua e la cultura “ma-terna”. Forse inconsciamente, le madri vedono nell’apprendere (o

nel non dimenticare) la lingua “materna” un’esigenza al non dover fare ripercorrere ai propri figli, nel caso di un ritorno al Paese natale dei genitori, le stesse difficoltà, vissute da loro stesse, per raggiungere un’integrazione (o nei migliori dei casi un’inclusione) in una nuova società, evitando quindi di entrare nella già nominata zona grigia. Nella conversazione sono presenti almeno due persone: chi parla e chi ascolta. Non sempre si tratta di non riuscire a parlare bene la lingua del Paese in cui ci si trova; alle volte dipende molto anche dalla volontà dell’interlocutore di (non) voler capire. Quindi bravo chi impara una nuova lingua e bravo anche chi sa ascoltare chi sta imparando una lingua nuova.

È bravo chi impara una nuova lingua ed è bravo anche chi sa ascoltare

chi sta imparando una lingua nuova

IL GIOCO DEGLI SPECCHI FILI D’ORO TRENTO, 2-6 NOVEMBRE 2010

FILI D’ORO: sono i legami che ci uniscono agli emigrati italiani ed ai loro discendenti, i legami che mantengono gli immigrati ed i loro figli con i paesi d’origine. Entrambi costituiscono per lo stato in cui viviamo un arricchimento culturale ed anche di grande rilievo economico.FILI D’ORO: ogni singola persona è intessuta di molteplici fili che la collegano con i suoi antenati e con i suoi contemporanei, a seconda delle vicende della famiglia e sue personali.Legami che vanno a costruire, per un popolo come per una persona, una identità multipla e in divenire, tanto più ricca quanto più co-sciente di appartenere a molti mondi diversi in una mescolanza unica ed irripetibile per ciascun individuo.FILI D’ORO per valorizzare questa possibilità di affrontare la vita – nascere crescere morire – profittando di risposte culturalmente di-verse, di differenti punti di vista.FILI D’ORO sono gli emigrati, gli immigrati ed i loro figli che non si sentono e non sono considerati né italiani né stranieri. Se i legami persistono, se queste persone hanno l’opportunità di fiorire liberamente, senza restare schiacciati dalla burocrazia, da una legislazione razzista, da indiscriminate paure, sono il futuro più ricco della nostra comune società.

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16Leggi e diritti

Ius soli. Seconde generazioni. Non è più possibile discute-re del diritto ad acquisire la cittadinanza dello Stato in cui si nasce, senza occuparsi anche del fenomeno di sempre più ingenti dimensioni dei ragazzi e ragazze nati in Italia da genitori non cittadini italiani. A fronte della sempre maggior pressione da parte della società civile che preme per la modifica di una legge con-cepita per un paese di emigrazione che l’Italia, ormai da decenni non è più, si sono affiancate numerose iniziative da parte di amministrazioni locali per il tramite di cerimo-nie di conferimento della cittadinanza onoraria ai minori nati in Italia da genitori stranieri. Oltre alla ristrettezza dei criteri per ottenere la cittadinanza per coloro che siano nati sul territorio italiano da genitori non cittadini italiani - che concede un anno di tempo, dal compimento del diciottesimo anno, per la richiesta della cittadinanza - si affiancano difficoltà di ordine burocratico, soprattutto per quanto riguarda la prova della residenza continuativa e legale sul territorio dalla nascita fino alla maggiore età - criterio necessario, sebbene non suffi-ciente, per poter richiedere la cittadinanza - e la mancata comunicazione alle persone potenzialmente interessate all’acquisto della cittadinanza della necessità di fare do-manda entro un anno dal compimento del diciottesimo anno, passato il quale deve intraprendere la strada del-la dimostrazione della residenza decennale sul territorio, annullando, quindi, se così si può dire, il vantaggio dato dall’essere nati e vissuti in Italia.Proprio al fine di fornire una soluzione a questi problemi, un recente decreto, il n. 69 del 21 giugno 2013, all’artico-lo 33, prevede che nel caso in cui il ragazzo o la ragazza non diano avvio entro un anno dal raggiungimento della maggiore età alla procedura per motivi che non dipendono da loro, ma dai genitori o dalla Pubblica amministrazione, la prova del possesso dei requisiti per ottenere la citta-dinanza potrà essere fatta “con altra idonea documenta-zione”. Inoltre, si prevede che gli Uffici dello Stato Civile siano tenuti a comunicare la possibilità di fare richiesta entro il compimento del diciannovesimo anno a coloro che compiono diciotto anni e che possono essere interessati all’acquisto della cittadinanza. Nel caso in cui la comu-nicazione non ci sia o non vada a buon fine, la richiesta della cittadinanza potrà essere fatta anche oltre questo termine. Questa recente modifica, nonostante non intacchi i requi-siti datati e da modificare con urgenza per l’ottenimento della cittadinanza da parte dei ragazzi e ragazze nati e vis-suti in Italia, è un piccolo passo che porta a sperare che una delle tante proposte di modifica della legge n. 91 del 1992 ferme nei cassetti delle aule del Parlamento abbia-no, prima o poi, un esito positivo.

Il governo italiano ha proposto una nuova legge che darà agli stranieri l’accesso al lavoro nella pubblica amministrazione. Sebbene non sia anco-ra entrata in vigore, invito a leggere i commenti degli italiani in merito alla legge: commenti impre-gnati di cattiveria che rappresentano un livello di razzismo estremamente forte. La domanda che mi pongo da laureato in economia non è tanto il per-ché di tali commenti, ma piuttosto se il governo italiano ha veramente considerato la realtà criti-ca del nostro paese che costringe molti italiani a cercare lavoro all’estero: il governo ha informato gli italiani di questa legge? Sono state studiate le circostanze sociologiche ed economiche della società italiana? Sono stati risolti i problemi degli italiani in relazione al lavoro? Purtroppo la risposta a queste domande è ad oggi negativa. Tutto ciò vale anche per gli stranieri che vivono in Italia e che sono anch’essi colpiti da alti tassi di disoccupazione. La politica italiana deve essere riadattata alla società italiana e deve risolvere i problemi degli italiani così che leggi come quel-la in questione vengano accolte e applicate con successo. Ma scrivere le leggi e non applicarle è come uno che sta buttando l’acqua nella sabbia e pensa che quest’acqua sarà usata quando ne avrà bisogno. Il governo italiano ha scritto questa legge solo per applicare le normative dell’ONU e promuovere una storia dell’Europa. La politica ita-liana produce quindi problemi sociali ed economici piuttosto che risolverli. Il popolo italiano deve fare una mossa per cambiare tutto il sistema corrotto e non adatto alla realtà e alla posizione dell’Italia nell’economia europea e mondiale. Promuovere il lavoro degli stranieri per garantire un certo livello di integrazione è certamente necessario per evi-tare che gli stranieri entrino in contatto solo con altri stranieri, come ho potuto notare in alcuni casi anche a Trento. L’inserimento dello straniero nella pubblica amministrazione deve però essere ben studiato e completo, altrimenti nascono seri pro-blemi che non saranno semplici da risolvere diret-tamente sul posto di lavoro.

di Gracy Pelacani di Said El Hallay

Legge europea 2013: gli immigrati e il lavoro nella pubblica amministrazione

In bici nei cinque continenti

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17Cronache

CRONACHE

“Bolzanoinbici-Boznerradtag-around the World”Edizione 2013

di Mirza Latiful Haque

Sogno o son desto? Era la domanda che veniva spon-tanea in quel di Bolzano domenica 22 settembre. Il desiderio, o sogno, di molti bolzanini di avere una città senza il rombo dei motori, senza gas di scarico, sen-za pericolo per adulti e bambini, nonché strade libera-mente percorribili in lungo e in largo, si è realizzato per un giorno: domenica 22 settembre, nella XIX edizione di “bolzanoinbici-boznerradtag-around the World!”.

Per gli amanti della bicicletta, per un giorno regina di Bolzano, si proponeva un percorso ciclabile non com-petitivo, gratuito e aperto a tutti, con una serie di in-teressanti eventi collaterali. Tema dell’edizione 2013 era: In bici nei 5 continenti - musica, giochi, culture.

Erano cinque i punti di partenza e controllo: piazza del-la Mostra, piazza don Rauzi, piazza Angela Nikoletti, piazza Gries, parco Firmian più piazza Tribunale, sede principale dell’evento, dove si sono svolte anche le premiazioni finali. Ogni punto di controllo era caratteriz-zato da iniziative legate al tema dei cinque continenti.

Per animare spirito e corpo vi sono stati i balli popolari in piazza della Mostra. Per gli appassionati di musica sosta obbligata in piazza Angela Nikoletti. Per saperne di più sul Sudamerica, mercatini artigianali, esperienze sensoriali e assaggi culinari in piazza Don Rauzi. Per bambini e grandi vi erano al Parco Firmian i giochi di

strada e da tavolo di tutto il mondo, mentre in piazza Gries si offrivano storie, racconti e favole. La piazza Tribunale, infine, ha ospitato tra l’altro stand gastrono-mici multietnici.

Varie le iniziative collaterali, come i giochi a scacchie-ra (Carrom dal Pakistan o Awale dall’Africa), le magie degli artisti con le loro bombolette spray, le ristorazioni curate dagli Alpini e da varie associazioni. Non va di-menticata la prima Festa della Solidarietà, cui hanno dato vita le associazioni di volontariato impegnate nel sociale.

E’ stata un’edizione record quella del 2013: ben 6.531 i partecipanti (l’anno scorso erano 5 mila), che hanno fatto il “tutto esaurito” delle magliette a disposizione; molti di essi hanno riempito la piazza del Tribunale per la “suspense” dell’estrazione delle 20 biciclette della lotteria finale.

Il tutto con grande soddisfazione degli organizzatori, l’Assessorato alla mobilità del Comune di Bolzano. Tramite le migliaia di biciclette, sormontate da svo-lazzanti palloncini, che hanno pacificamente invaso la città, il mondo per un giorno si è unito a Bolzano, mostrando tra l’altro che la bici è un mezzo di traspor-to ma anche un movimento culturale e per qualcuno anche uno stile di vita.

In bici nei cinque continenti

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18Libri

LIBRI di Fulvio Gardumi

“Parlare civile”, un libro per aiutare a comunicare senza discriminare

Non esistono parole sbagliate Esiste un uso sbagliato delle parole

GAY

Giudeo

femminicidio

lAvAvetri

sessodebole

bArbone

mAtto

settA

diversAmenteAbile

lucciolA

bAdAnte

fondAmentAlistA

vu cumPrÀ

ZinGAro

HAndicAPPAto

delittoPAssionAle

clAndestino

Homeless

PsicolAbile

trAns

neGro

nomAde

Le parole possono essere muri o ponti.Possono creare distanza o aiutarela comprensione dei problemi. Le stesse parole usate in contesti diversi possono essere appropriate, confondere o addirittura offendere. Quando si comunica occorrono dunque precisione e consapevolezza del significato, del peso delle parole. Non è facile, ma è necessario per “parlare civile”.Questo libro – il primo del generein Italia – mette insieme inchiestagiornalistica, sociale e linguistica,con lo scopo di approfondire i principali temi a rischio discriminazione (disabilità, genere, immigrazione, povertàed emarginazione, prostituzione,religioni, minoranze e salute mentale),e il linguaggio per parlarne.

a cura di redattore sociale

0000000000009788861599284 Parlare civile a cura di redattore sociale

E 15,00

redattore sociale è l’unica agenziadi stampa quotidiana dedicata ai temidel disagio e dell’impegno sociale.Al lavoro giornalistico affianca da sempreun’intensa attività di documentazionee di formazione per gli operatori dei media.Ha realizzato questo libro in collaborazionecon Parsec, una delle più importantiassociazioni italiane per l’interventoe la ricerca sui temi sociali, e grazie al contributo di open society foundations.

Immagine © Photos.com

Parlarecivile

Bruno Mondadori

Comunicare senza discriminareNon esistono parole sbagliate.

Esiste un uso sbagliato delle parole.

IL GIOCO DEGLI SPECCHILA PATRIA RITROVATATRENTO, 7 - 14 NOVEMBRE 2011

Patria è il luogo in cui ci si sente a casa, che ci si abiti da sette generazioni come da una. Una Patria ritrovata.Sull’idea di patria gli Italiani hanno preferito sorvolare nel dopo-guerra, bruciati dal nazionalismo, ancora feriti dalle guerre com-battute Contro altre Patrie. Ora la ricorrenza dei 150 dell’unità nazionale la rimette in primo piano e la gran parte degli abitanti del paese hanno dimostrato di aver ritrovato il sentimento di una Patria unita, concepita come patto sociale fondato sui principi espressi nella Costituzione. Sono tornate a sventolare le bandie-re tricolori in allegre feste e mai Contro qualcuno.Una Patria trovata.Da 30 anni a questa parte mentre ancora gli italiani emigravano, si è verificato un fenomeno inverso, cittadini stranieri sono venuti

in numero sempre maggiore a vivere in Italia. Nella gran parte dei casi con la famiglia e con l’intenzione di restare a vivere qui se era loro possibile trovare lavoro, casa e sicurezza. Un augurio: di festeggiare l’Italia con un tricolore che non combatta in nessu-na parte del mondo, che sventoli a fianco delle stelle europee e della bandiera locale. L’augurio di ritrovare la forza dell’unità e la bellezza dei tanti luoghi diversi del paese. Un augurio per i molti che di recente sono arrivati in questa ter-ra, per quelli che la arricchiscono con il loro lavoro e le loro co-noscenze, affinchè, senza dimenticare quella in cui sono nati, questa diventi la loro casa. Un augurio anche ai figli di immigrati che in Italia sono cresciuti perché vi trovino al più presto anche cittadinanza legale. É un augurio e un impegno.

“Non esistono parole sbagliate, esistono modi sbagliati di usare le parole”. Così Stefano Tra-satti, direttore dell’agenzia quotidiana di in-formazione “Redattore Sociale”, ha concluso recentemente a Trento la sua lezione al Corso di giornalismo orientato al sociale. E su questo principio si basa anche il nuovo libro dal titolo “Parlare civile” (sottotitolo: “Comunicare senza

discriminare”), edito da Bruno Mondadori (euro 15) e rivolto principalmente agli operatori della comunicazione, ma utile a chiunque voglia usare un linguaggio corretto e non discrimi-natorio. Le parole, infatti, possono fare più male delle botte, come ha detto la Presidente della Camera, Laura Boldrini, pre-sentando il libro l’11 giugno scorso a Montecitorio.

Il libro, curato da “Redattore Sociale” in collaborazione con l’associazione Parsec e il sostegno di Open Society Funda-tions, è un mini-dizionario di 25 parole-chiave cui se ne le-gano quasi 350, riferite a otto aree tematiche: “Disabilità”, “Genere e orientamento sessuale”, “Immigrazione”, “Povertà ed emarginazione”, “Prostituzione e tratta”, “Religioni”, “Rom e Sinti”, “Salute mentale”. Il libro non vuole fare la predica ai giornalisti, ma essere uno strumento di servizio. “Non si tratta né di buonismo né di politically correct, ma di un modo per riappropriarci del lavoro giornalistico con responsabilità e correttezza”, ha commentato la giornalista Anna Meli, coor-dinatrice dell’Associazione Carta di Roma (che ha promosso l’omonimo Protocollo deontologico concernente Richiedenti asilo, Rifugiati, Vittime della tratta e Migranti). In altri Paesi europei il dibattito sul corretto uso dei termini relativi ai sog-getti deboli è molto più avanzato che in Italia, ma anche da

noi si sta facendo strada una consapevolezza crescente.Un titolo frettoloso e ‘sbagliato’ rimbalza ovunque nell’attua-le società della comunicazione istantanea. In pochi minuti si possono compromettere anni di lavoro contro i pregiudizi e per l’inclusione sociale e creare grande sofferenza a persone già duramente provate. “Le parole possono essere muri o ponti- scrive Sergio Trasatti nell’introduzione al volume -. Possono creare distanza o aiu-tare la comprensione dei problemi. Le stesse parole usate in contesti diversi possono essere appropriate, confondere o addirittura offendere. Le persone disabili possono chia-marsi tra loro handicappati, tra i Rom si sente usare zingari, le assistenti familiari si identificano come badanti, i vendi-tori ambulanti stranieri si dicono l’un l’altro vu’ cumprà ecc. Quando si comunica occorre però precisione, bisogna avere consapevolezza del significato, del peso delle parole. Non è facile, perché il tempo è sempre poco, perché viviamo nella nostra cultura, perché il senso e la percezione delle parole si evolvono continuamente. Non è facile, ma è necessario per “parlare civile”. E anche per non usare un linguaggio “razzista e xenofobo”, che “prende di mira neri, africani, rom, romeni, richiedenti asilo e immigrati in generale”, con dichiarazioni che “in certi casi hanno provocato atti di violenza contro que-sti gruppi”, come è scritto riguardo l’Italia nel rapporto 2012 della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) del Consiglio d’Europa”. Ogni termine citato nel libro è introdotto da un caso giorna-listico o da tipiche frasi fatte. La spiegazione della parola comprende la definizione (anche etimologica), il suo uso, rife-rimenti ai dati statistici. Dove opportuno e possibile vengono suggerite delle alternative.

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19Fusioni

Quanto è bello cucinare «in altre lingue»Ai fornelli si può sperimentare l’entusiasmo e la curiosità di imparare dal confronto con altre culture

di Lidia Saija

Sentirsi confusi e disorientati, in un posto che non conosciamo, in cui si parla una lingua che non capiamo. Qualsiasi sia il motivo che induce a lasciare il proprio paese, questa è la condizione essenziale nel quale ci si trova espatriando. Riuscire a comuni-care è l’unica cosa che ci sta a cuore e trovare un modo per farlo diventa una missione. Elena Chesta Schwarz, assecondando la sua passione per la cucina, è riusci-ta a trovarlo. Mamma di una bimba di sei mesi si trasferisce con il marito in Olanda e le avventure al di fuori dell’I-talia ampliano le prospettive e incita-no a nuove scoperte. I costi emotivi sono alti, ma per “acquisire” una nuo-va casa li si paga volentieri. Perché tra Piemonte, Amsterdam, Boston e adesso Trento le case diventano poi tante e in ognuna si sente bene, si sente parte di qualcosa.Per ambientarsi e tenersi attiva, Elena Chesta inizia a fare lezioni di cucina a domicilio e le sue prime conoscenze, con questo tramite, sono donne india-ne e giapponesi, delle quali diventerà amica. Loro la aiuteranno ad ambien-tarsi e a sperimentare l’entusiasmo e la curiosità di imparare dal confronto con altre culture. Quale veicolo miglio-re del cibo e della convivialità legata al cibo per entrare a grandi passi nel-la storia e nel modo di vivere di altri popoli?Da quel momento cucinare “in altre lingue” diventa un lavoro e nel 2003 nasce anche un blog, ottimo modo per condividere le proprie scoperte e magari farne altre. Il blog si chiama “ComidaDeMama” ed ecco perché: «“Elèna sapessi! Sono tornato a casa

per le vacanze. A Salamanca c’era un clima splendido. Che relax, vedere gli amici, la mia famiglia. E poi… la comi-da de mama!”Pur parlando un ottimo italiano il mio amico Victor non aveva trattenuto il suo spagnolo per sottolineare il gusto familiare, il profumo di buono della casa che aveva lasciato anni prima per lavorare all’estero. Quando ho dovuto scegliere il nome del blog mi è subito venuto in mente questo episodio.Volevo che le persone si sentissero come sedute nella mia cucina, beven-do un buona tazza di caffè, raccontan-dosi a vicenda le novità del giorno, magari cucinando qualcosa insieme. Detto fatto, ComidaDeMama.»E non si parla solo di cucina, ma an-che di libri, musica, architettura (Ele-na è architetto di formazione), design, intercultura, fair trade, sostenibilità e risparmio energetico. Quel che più importa è che si parla di cultura, di persone e di vita quotidiana dei luoghi in cui è vissuta e ha frequentato. Elena ha collaborato con la nostra associazione in qualche edizione del nostro festival (2007, 2009) con qual-che cena (indiana e marocchina) e cerimonie del tè (Giappone, Marocco). Quando si è trasferita a Trento è rima-sta stupita e colpita dalla sua realtà associativa e vi si è subito immersa. Multiculturalità, accoglienza incondi-zionata, contatto con le tradizioni tra-mite la letteratura e le arti, interazione e reciproco arricchimento. Queste le basi di una sensibilità condivisa che, unite all’elemento cibo e cucina, ap-pesantiscono il bagaglio di un’emigra-ta che non smette mai di imparare.

Blog: www.montag.it/comida

Cena marocchina, Mina prepara il tè alla menta

Keiko Sawayama spiega il rituale del tè nella tradizione giapponese.

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Tajine di manzo con prugne e mandorle. Sullo sfondo un piatto di cous cous alle verdure.Fo

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Nel 2003 Elena Chesta Schwarz ha

creato il blog “Comida de mama”*

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20Cinema

Profezie pasoliniane che si avverano in due recenti film italiani

"Io muoio, e anche questo mi nuoce"

(P.P. Pasolini, La Guinea, in “Poesia in forma di rosa”, Milano, 1964)

Tra disagio degli “stranieri in patria” e smarrimento delle seconde generazioni di immigrati

CINEMA

Seconda parteIl titolo del primo lungometraggio di Claudio Giovannesi, Alì ha gli occhi azzurri (2012), si riferisce all’adolescente Na-der Sharan (l’attore protagonista e l’omonimo personaggio), che scorrazza sul lungomare di Ostia esibendo un artificiale sguardo di ghiaccio dovuto alle lenti a contatto, sperando che il colore dell’iride appaia così più nordico e non tradisca la sua provenienza da una famiglia di immigrati egiziani. Nel calco mortuario effettuato da Giovannesi sull’epica borga-tara dei ragazzi di vita, replicata oggi dai figli dei migranti e ulteriormente raggelata da una sorta di diffidenza gnostica verso la loro grazia inconsapevole, ascrivibile in massima parte alla tagliente direzione fotografica di Daniele Ciprì, il titolo suddetto allude però anche alla remota “Profezia” di Pier Paolo Pasolini, apparsa nella raccolta “Poesia in forma di rosa” (1964), rimaneggiata nello zibaldone di “Alì ha gli occhi azzurri” (1965) e finalmente trasferita, con accenti più miti ed ecumemici, sulla bocca di San Francesco nell’episo-dio medievale di Uccellacci e Uccellini (1967). Dinanzi alla cancellazione della civiltà contadina e all’adesione di mas-sa agli imperativi del boom economico, prodromi di un’ir-reversibile mutazione antropologica, il poeta pronosticava l’emersione dalle lontananze marine di un’orda di barbari, condotti da una figura glaucopide proveniente da Algeri o dalle favole dei bazar alessandrini, che avrebbe condotto

i suoi briganti dai “lineamenti corti” come quelli “degli ani-mali” a spargere il proprio sperma sulle rovine fumanti di Roma, prima di risalire la penisola per invadere le capitali occidentali del consumismo. Per Giovannesi, tramontate le speranze palingenetiche riposte nel Terzo Mondo e ridotta al silenzio la voce dei corvi ideologici, i cui resti arrostiti si-gillavano per l’appunto profeticamente le peregrinazioni pi-caresche di Totò e di Ninetto Davoli nell’ultima inquadratura di Uccellacci e Uccellini, lo scongiuro alle ceneri di Pasolini non è meno favoloso e patetico della preistoria vaticinan-te vagheggiata dal poeta nei suoi ferali caroselli notturni. Come sempre succede, la profezia realizzata si è nel frat-tempo rovesciata di segno. Al posto della cruenta allegria che ravvivava gli eccessi allegorici di Alì e dei suoi candidi predoni itifallici, barbari e nativi si rimpallano ai nostri giorni la medesima livorosa impotenza, che quelli e questi fin trop-po riconoscono e avversano nello specchio che si porgono vicendevolmente.I maestri, ammoniva Giorgio Pasquali e ribadiva France-sco Leonetti dando voce all’improvvido corvo pasoliniano, sono fatti per essere mangiati in salsa piccante. Ancora in prossimità di Fiumicino e del fetido litorale di Ostia, to-ponimo eccessivamente intonato allo scempio di un mar-tire per non suggerire la presenza di un regista (fosse pur

di Giulio Bazzanella

IL GIOCO DEGLI SPECCHI SQUADRA VINCENTE, DAL SINGOLO ALLA COMUNITÀ TRENTO -BOLZANO, 5 -10 NOVEMBRE 2012

Una comunità si allena per vivere come lo fa una squadra per giocareCos’è una squadra?è un gruppo di persone che sperimenta attività comuni, ha uno scopo, lo persegue mettendo in campo le capacità dei singoliun gruppo in cui il singolo vede riconosciuto il suo valore, apporta quello che sa e sa fare, migliora nel confronto con gli altrila squadra è quell’entità che funziona se il singolo vi può crescere, fiorire, svilupparsila squadra è quel rapporto amicale in cui i difetti ed i limiti del singolo sono affettuosamente tollerati e pazientemente ridimensionati e correttiuna squadra non solo tiene a bada e sa gestire chi ha cattive pulsioni, ma ne cura i mali e li rimette in piedi, in grado di giocarela squadra vince se è stata capace di armonizzare capacità, difetti, tensioni, se ha dato spazio, promosso sollecitato incentivato sostenuto incoraggiato aiutato la crescita dei singoli suoi componentiNoi cosa siamo? una squadra? e vogliamo vincere?

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21Cinema

questi, come vuole Giuseppe Zigaina, il martire stesso), aleggiano i ricordi pasoliniani orgogliosamente rivendicati da Alessandro Angelini nel suo secondo lungometraggio, Alza la testa (2009), che fa seguito al premiato esordio del cineasta nel 2006 con L’aria salata. Se Nanni Moretti, in Caro diario (1993), volgeva mestamente la sua Vespa verso la stele ostiense in memoria di Pasolini, assunto ipocritamente tra i Penati del patrio stivale per evitarsi la fatica di manducarlo, con o senza salsa, e finalmente assimilarlo, Angelini sembra voler tuttora credere nell’u-topia d’un cinema scampato all’alluvione informatica e al ticchettare dei social network: un cinema affine, se non proprio identico, a quella forma scritta di una lingua an-teriore alla parola, anzi “infinitamente più pura” (e pura perché “regressiva lungo i gradi dell’essere”), teorizzata da Pasolini negli avventurosi saggi di semiotica raccolti in Empirismo eretico (1972). Tuttavia, quando ogni scandalo o catabasi verso gli strati più arcaici della coscienza scola comunque nelle reti digitali e lo stesso Pontefice dialo-ga del più e del meno in twitter, tale credenza, connessa ad altre stagioni produttive e modalità di fruizione, può essere solo mimata, spogliata d’ogni sottinteso sacrale o, al massimo, ridotta alle clausole apotropaiche d’un ri-tuale di purificazione: Alessandrini lo sa, e in Alza la te-sta sostituisce all’utopia estetica di Pasolini una retorica dell’essenzialità che ha il suo fulcro nel corpo a corpo tra la macchina da presa, tenuta a mano dall’operatore Va-lerio Catinari, e i colpi vibrati dal diciassettenne Gabriele Campanelli, astro nascente della kickboxing romana, bal-buziente nella vita e sullo schermo in ossequio al desti-no etimologico dei barbari. Alla medesima nostalgia d’un cinema che Pasolini avrebbe definito “pre-grammaticale” vanno ricondotte le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Angelini nelle conferenze-stampa, durante le quali il regi-sta va ripetendo di non sapere piazzare la macchina da presa nella posizione più idonea, di affidarsi agli sviluppi intrinseci alle situazioni drammatiche senza forzarli nelle maglie di una sceneggiatura, di ritenersi, insomma, prima un padre che un cineasta. Ne L’Aria salata, il già citato

debutto di Angelini nel lungometraggio, un educatore au-torizzato (Giorgio Pasotti), in servizio presso il carcere di Rebibbia, scopriva d’avere una famiglia incontrando per la prima volta il genitore (Giorgio Colangeli) fra i detenuti di cui doveva occuparsi. In Alza la testa il quarantenne Mero (Sergio Castellitto), pugile di mezza tacca nonché operaio presso un cantiere nautico nei dintorni di Fiumi-cino, inizia nottetempo il figlio Lorenzo (Campanelli) alla boxe per vendicarsi dei fallimenti subiti e, nel contempo, provvedere il ragazzo d’un simulacro di vita familiare in un contesto esclusivamente virile, a costo d’assumersi in proprio il ruolo e le funzioni dell’assente madre albanese. Quando Mero crede di ravvisare nell’amore del figlio per una ragazzina rumena la reiterazione d’una trama già sof-ferta in proprio il fragile equilibrio generazionale si spezza: il giovane in fuga muore in un incidente stradale e il suo cuore espiantato viene trasferito ad un corpo sconosciuto, diverso da quello accudito, coltivato e addestrato fino a quel momento, che costituiva l’unico pegno di rivalsa e, ancor più, il sensuale feticcio di sopravvivenza collocato a cardine del delirio di Mero. A partire da tale cesura irrevo-cabile, nella quale un regista più prudente avrebbe indica-to l’epilogo della pellicola, Angelini lascia fluttuare il suo film in una terra di nessuno (o, com’egli preferisce dire, in uno spazio “anarchico” nell’intercapedine fra i differenti generi cinematografici), lungo una serie di sconfinamenti geografici, etnici, culturali e sessuali che, pur nel loro ca-rattere aleatorio, si attengono a una direttrice che inverte di segno il percorso dei migranti, seguendo il pulsare d’un muscolo cardiaco dal lungomare di Ostia fino alle distese della bora, dove i passi dei clandestini filtrano tra la Slo-venia e il Friuli. Qui il cuore di Lorenzo continua a battere nel petto di un immigrato transessuale: Mero, vincendo le proprie resistenze, non può che diventarne allenatore. Una conclusione, certo, troppo programmatica, che acco-muna tuttavia il film di Angelini a quelli degli altri registi italiani della sua generazione, colpiti dalla coincidenza fra il disagio degli “stranieri in patria” e lo smarrimento degli immigrati di seconda generazione.

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22Immi/Emi

Si erano incontrate una sera d’autunno, a distanza di un mese e poco più dal loro ritorno. Il centro della città era pieno di giovani seduti ai tavolini dei bar, intenti ad approfittare degli ultimi scorci di fine estate, prima che il ritmo delle giornate si facesse più intenso e l’aria pungente per il freddo.Anche loro due avevano scelto un tavo-lino di un bar nella piazza più grande e mondana di quella città circondata dalle montagne, e lì si erano sedute deside-rose di cominciare a snocciolare ricordi delle settimane estive passate insieme. La prima notizia che le diede Camilla, però, non fu una buona notizia. Li riman-davano tutti indietro, in Cecenia, era que-stione di giorni. Richiedenti asilo. Persone in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. Persone in attesa di sapere se il gover-no riconoscerà loro lo status di rifugia-to. Persone in attesa, che chiedono di poter usufruire delle prestazioni di as-sistenza sociale del governo: dormire, mangiare, lavare i propri figli. Persone in attesa per mesi, a volte anni. Perso-ne per cui l’attesa si conclude, quasi sempre, con un viaggio che li riporta nel paese lasciato con fatica.Non c’è molto da fare, la guerra in Ce-cenia è finita nel 2008. Non lasciano un conflitto, lasciano solo la povertà. E la povertà non è sufficiente per vedersi at-tribuire lo status di rifugiato. Così, alme-no, ci dicono. Così, pare, dicono a loro. Alla fine del Ramadam mancava solo

una settimana quando gli otto ragazzi arrivarono al campo quel lunedì. Il diret-tore li accolse negli stabili dove c’erano i suoi uffici e quelli degli operatori che si occupavano delle procedure, dei per-messi, di valutare quali tra le famiglie fosse la più bisognosa d’aiuto da parte del governo. Essere giudice in quella che qualcuno chiama guerra tra poveri non è un mestiere facile. C’erano stati molti arrivi da maggio a luglio, ma alla richiesta di chiarimenti sulle ragioni di questa improvvisa mol-tiplicazione delle presenze nel campo nessuno aveva saputo rispondere. Semplicemente, un giorno era accadu-to, quello dopo ancora, e così per i tre mesi successivi. Ora c’erano circa tre-centosessanta persone ospitate in quel pezzo di terra circondato da cancelli verdi e muri di cemento. Tra questi più della metà erano bambini. Ogni giovane coppia di sposi aveva già dai tre ai sei figli, la maggior parte molto piccoli, alcuni ancora in fasce. Ad ognu-na veniva assegnata una stanza nelle palazzine da cinque piani che si affac-ciavano, specchiandosi una nell’altra, sul cortile interno del campo. In ogni corridoio c’erano bagni comuni e cucine dove le donne, in quei giorni, preparava-no cibo in abbondanza in attesa che ca-lasse il sole e si potesse, nuovamente, mangiare e bere. Quasi non videro uomini, o padri, in quel-la prima settimana. Per il gran caldo, o per la diffidenza, o forse per entrambe,

In attesa, in una piccola parte del mondoOtto giovani - fra i quali due ragazze italiane - quest’estate hanno trascorso un periodo in Polonia come volontari in un campo di richiedenti asilo in fuga dalla Cecenia, a contatto con persone che vivono per mesi, e talvolta anni, nella speranza - troppo spesso vana - di essere riconosciute come rifugiati.

STORIE DI PROFUGHI di Gracy Pelacani

uscivano raramente dalle loro stanze. E se, per caso, capitava di incontrarsi da-vanti alla cabina delle guardie vicina al cancello d’entrata, era lo stesso difficile che rivolgessero loro la parola. Le donne, le madri, invece, spesso sor-risero loro in quei giorni. In fila alla men-sa all’ora di pranzo, al parco mentre gio-vani arrivati da chissà dove spingevano altalene su cui c’erano bambini le cui madri non videro mai in quei giorni, al campo da basket dove portavano i più piccoli perché potessero usare anche loro matite e tempere insieme ai fratelli più grandi. Otto ragazzi, che non sapevano della re-ciproca esistenza fino a pochi giorni pri-ma, hanno condiviso una stanza di una piccola scuola elementare posta a quat-tro chilometri dal campo, tra i boschi, un fiume e alberi di mele. Poco sapevano, poco sanno delle vite che ognuno, al ritorno, ha ripreso. Eppure, nonostante molto gli sia rimasto da scoprire uno dell’altro, sono certi che nessuno ha ri-preso il proprio giorno per giorno così com’era prima di partire per questo viag-gio. Li accomuna un pensiero che non se ne va mai: quale futuro aspetta i bambi-ni che hanno tenuto in braccio a lungo, ora che l’attesa è finita, e sono costretti a fare ritorno lì dove sapevano già prima che un futuro, così come loro lo deside-ravano, non poteva esserci. E quel pensiero ritorna anche ora, al ta-volino del bar nella piazza più grande e mondana.

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Tan Shaun, “L’approdo”, Elliot Edizioni, 2008È un lungo racconto dipinto, senza parole, che descrive nel dettaglio la migrazione: il distacco dagli affetti, il lungo viaggio nel vuoto, l’arrivo in un paese misterioso . È un libro adatto ai bambini a cui offre la tenerezza dei rapporti con gli adulti, i semplici giochi di carta, gli animali strani e dolcissimi. È per i ragazzi un favoloso mondo di fantasia, per gli adulti un racconto documentato, coerente e profondo. Per tutti è la gioia degli occhi con un susseguirsi di tavole curate e perfette, di soluzioni narrative inedite e di grande impatto emotivo.