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NOTE SUL FASCISMO PIACENTINO NEGLI ANNI 1925-40 Premessa Queste note costituiscono un primo tentativo di ricostruire le vicende del fascismo piacentino nel periodo che va dal definitivo consolidamento del nuovo regime all’intervento italiano nella seconda guerra mondiale. Se, come ha osservato il Tasca a conclusione del suo Nascita e avvento del fascismo, « definire il fascismo è anzitutto scriverne la storia », anche indagini locali come la presente possono portare qualche contri- buto utile. Nuovi raffronti e ulteriori approfondimenti ci restituiranno una immagine più completa del fascismo piacentino: scopo delle pagine che seguono è soprattutto quello di tracciare un profilo che indichi via via le caratteristiche degne di essere sviluppate in un più compiuto discorso storiografico. Il periodo che si chiude col 1929 riceve la sua impronta dalla per- sonalità di Barbiellini e dai contrastanti fermenti (velleità socialisti- che, esasperazione nazionalista, cattolicesimo misticheggiante ) che in essa convivevano. Barbiellini ha un suo posto nelle vicende del fasci- smo, rientra in quella schiera di ras locali (non a caso tenne strettis- simi rapporti con Farinacci, suo protettore nei momenti più difficili) che furono successivamente portatori di esigenze diverse e contrastanti. Le lotte intestine coi nazionalisti e coi « vandeani », forza « d’ordine » i primi, esponenti della grande proprietà agraria i secondi, illumina il carattere composito del fascismo piacentino, spiega quell’alternarsi, alla sua guida, di gruppi e frazioni che caratterizzerà l’intero periodo in questione e che sarà una delle cause fondamentali del mancato costi- tuirsi di una classe dirigente fascista locale. Alla prima fase segue l’adeguamento incondizionato (seppur percor- so da violenti contrasti) al nuovo «stile staraciano ». Il dibattito al- l’interno del partito si svuota sotto le prepotenti pressioni dell’apparato organizzativo e degli interventi prefettizi. Le componenti — ideologiche e sociali — che sin dall’inizio avevano accompagnato gli sviluppi del movimento convivono precariamente determinando continui stati di ten- sione, mentre i responsabili che via via si susseguono, segretari federali e prefetti, sembrano soprattutto preoccupati di salvaguardare posizioni di potere personale e di mediare la contrapposizione dei gruppi più

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NOTE SUL FASCISMO PIACENTINO NEGLI ANNI 1925-40

Premessa

Queste note costituiscono un primo tentativo di ricostruire le vicende del fascismo piacentino nel periodo che va dal definitivo consolidamento del nuovo regime all’intervento italiano nella seconda guerra mondiale. Se, come ha osservato il Tasca a conclusione del suo Nascita e avvento del fascismo, « definire il fascismo è anzitutto scriverne la storia », anche indagini locali come la presente possono portare qualche contri­buto utile. Nuovi raffronti e ulteriori approfondimenti ci restituiranno una immagine più completa del fascismo piacentino: scopo delle pagine che seguono è soprattutto quello di tracciare un profilo che indichi via via le caratteristiche degne di essere sviluppate in un più compiuto discorso storiografico.

Il periodo che si chiude col 1929 riceve la sua impronta dalla per­sonalità di Barbiellini e dai contrastanti fermenti (velleità socialisti- che, esasperazione nazionalista, cattolicesimo misticheggiante ) che in essa convivevano. Barbiellini ha un suo posto nelle vicende del fasci­smo, rientra in quella schiera di ras locali (non a caso tenne strettis­simi rapporti con Farinacci, suo protettore nei momenti più difficili) che furono successivamente portatori di esigenze diverse e contrastanti. Le lotte intestine coi nazionalisti e coi « vandeani », forza « d’ordine » i primi, esponenti della grande proprietà agraria i secondi, illumina il carattere composito del fascismo piacentino, spiega quell’alternarsi, alla sua guida, di gruppi e frazioni che caratterizzerà l’intero periodo in questione e che sarà una delle cause fondamentali del mancato costi­tuirsi di una classe dirigente fascista locale.

Alla prima fase segue l’adeguamento incondizionato (seppur percor­so da violenti contrasti) al nuovo «stile staraciano ». Il dibattito al­l’interno del partito si svuota sotto le prepotenti pressioni dell’apparato organizzativo e degli interventi prefettizi. Le componenti — ideologiche e sociali — che sin dall’inizio avevano accompagnato gli sviluppi del movimento convivono precariamente determinando continui stati di ten­sione, mentre i responsabili che via via si susseguono, segretari federali e prefetti, sembrano soprattutto preoccupati di salvaguardare posizioni di potere personale e di mediare la contrapposizione dei gruppi più

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forti. Inoltre, larga parte della popolazione era toccata solo superficial­mente dall’iniziativa del partito: scarse erano le possibilità di penetra­zione sia tra i ceti operai (particolarmente influenzati dalla propaganda comunista) che nel mondo contadino (assai sensibile ai fattori religiosi espressi dalla vita parrocchiale e nel cui ambito operava l’Azione catto­lica). Tutte queste circostanze ci riportano all’osservazione precedente e secondo la quale la storia del fascismo piacentino è soprattutto la sto­ria della mancata formazione di una nuova classe dirigente. Rispetto a tale ipotesi, le pagine che seguono vogliono offrire una prima serie di riferimenti, ricavati e ricostruiti anche sulla base della più minuta cro­naca politica locale e con l’apporto di un cospicuo fondo di documenti inediti consultati presso l’Archivio centrale dello Stato.

1. 1924-1930: lotte interne e resistenze esterne

Come s’è detto, il fondatore del fascismo piacentino, conte Bernar­do Barbiellini Amidei, portava nella propria personalità elementi discor­danti: gli slanci spiritualistici si univano ai fermenti socialistici e al nazionalismo di impronta militarista. Tutto ciò era calato entro un carattere generoso e insieme esclusivista, geloso e diffidente, animato dalla passione idealistica e incline all’assolutismo1. Congedato nel 1920, si era accostato al combattentismo fiumano ed era stato tra gli anima­tori del gruppo nazionalista piacentino. Il sorgere dello squadrismo lo vide in prima fila. All’inizio del 1921 (il 26 febbraio usciva il primo numero de La Scure, l’organo fascista locale) Barbiellini entrava in rapporto con Mussolini e Farinacci attraverso il movimento fascista milanese. Seguace diretto di Farinacci, partecipava all’opposizione al « patto di pacificazione » coi socialisti. Intanto a Piacenza scoppiava il dissidio con il gruppo dei cosiddetti « vandeani », di cui parleremo più avanti. Ma le ragioni che avrebbero portato Barbiellini ai limiti della rottura col partito sono altre. Nel 1923, infatti, il fondatore del fascismo piacentino si faceva portavoce del malcontento diffuso in tutta la provincia per le crescenti difficoltà economiche e la assenza di prov­videnze governative al riguardo. Il 9 ottobre, poi, spingeva la propria protesta sino alla presentazione delle dimissioni. Il Gran Consiglio, su iniziativa dello stesso Mussolini, veniva investito della questione e il 17 novembre Barbiellini tornava da Roma investito di pieni poteri. Le divisioni in seno al fascismo piacentino restavano così aperte.

Nell’imminenza della campagna elettorale dell’aprile 1924 i contra­sti si accentuavano ulteriormente. La frazione nazionalista dava vita ad una contestazione accanita dei modi e delle linee seguite da Barbiellini

1 Per una più esauriente definizione delle idee politico-sociali di Barbiellini cfr. il suo articolo Primo saluto su La scure, 26 febbraio 1921.

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nella gestione del partito. La circostanza è di estrema importanza, in quanto le posizioni dei nazionalisti si fonderanno progressivamente con quelle dei « vandeani » e daranno vita al più forte nucleo della opposi­zione antibarbelliniana. Sul loro giornale, L’Alfiere, i nazionalisti così si esprimevano: « Non siamo monopolizzatori della libertà, e iniziamo queste libere battaglie senza recitare nessun credo ipocrita della libertà taumaturga ». « I liberi sono i degni e i forti, volere la libertà per sè, come uomini e come cittadini, è vana pretesa se non si vuole anzitutto la propria dignità morale e la forza della Nazione. Ma l’una e l’altra cosa, crediamo, non si otterranno mai senza spostare coraggiosamente il proprio angolo visuale dagli interessi contingenti a quelli necessari » 2.1 nazionalisti aggiungevano di ritenersi sciolti « da ogni vincolo di par­tito » e ansiosi invece di trovare un punto di convergenza con gli uomini di qualsiasi partito d’ordine, ai quali la dignità e la forza della nazione fossero « più cari degli arrivismi dei gruppi e delle persone, delle beghe di campanile, dei nastri variopinti, dei ciondoli aurei ». Il libero giudizio sulla politica interna ed esterna non smentiva la fidu­cia in Mussolini, « l’uomo destinato dalla Provvidenza » a difendere la vitalità del paese. Ma — proseguivano — « l’Italia si è fatta sopra granitiche basi: Dio, Re, Popolo, Statuto. Chi attenta a queste basi è sacrilego ». Era dunque necessario ricondurre lo Statuto alla sua fun­zione e « tuttavia il concetto della rappresentanza popolare, fonte par­ziale del potere legislativo » andava « attuato con una grande libertà di azione congiunta a una disciplina di pensiero » 3. Per pacificare il popolo occorrevano sincera concordia unita alla libertà del lavoro, sere­na discussione sull’evoluzione sociale ed economica, rispetto delle idee, prima fra tutte quella religiosa.

Nello stesso numero del giornale si osservava che il corpo organiz­zato della Milizia era accettato « come un male, sì, ma necessario e almeno minore ». È vero che si riaffermava l’identità di fascismo e Na­zione, chiarendo tutavia che si trattava di « un’entità indimostrata » e si chiedeva che « avanti che la storia chiudesse su questo punto il suo ciclo indimostrabile » la Milizia fosse chiamata al giuramento. Non era essa al servizio del Re? E questi non impersonava la Nazione? Che la Mili­zia fosse al disopra dei partiti era evidente, ma questo non era argo­mento valido, « senza voluta speciosità, a sottrarre un corpo organiz­zato e stipendiato dallo Stato per la protezione dello Stato medesimo, da quel giuramento » che il governo fascista richiedeva agli impiegati civili e agli insegnanti4.

2 L ’Alfiere, « Il settimanale politico di libere battaglie », 7 gennaio 1924.2 Ibid.

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La politica del futuro andava non più impostata sulla rivoluzione; quest’ultima veniva « tollerata » poiché il fascismo, « insediatosi al pote­re », aveva battezzato « col nome di rivoluzione spirituale il suo com­pito rigenerativo della Patria sonnacchiosa ». Ora, siccome la « cresima dello spirito » non era ancora venuta, « tra l’una e l’altra manganel­lata » i nazionalisti si dichiaravano delusi del partito e del governo e, come s’è detto, ostentavano fiducia soltanto in Mussolini 5.

Se per sedici mesi la politica forte non era stata inopportuna, ora occorreva che si trasformasse « in politica giusta, la definitiva. Perchè la forza che non è giustizia rivela debolezza ». I nazionalisti piacentini chiedevano perciò che il presidente del Consiglio raggiungesse « con giu­stizia quella forza politica che non s’improwisa sulle baionette di par­tito, ma nasce dal leale consenso che i governati danno ai governanti » 6. La critica era rivolta pure alle autorità le quali si erano lasciate « pren­dere dalle parti », ed era rivolta alla stampa cittadina, che avrebbe dovuto sentirsi ben più vincolata « alla sua missione » di verità. Si era stanchi delle violenze dei « vandeani » e dei fascisti barbelliniani. Ormai era inutile sentire le « buone prediche di moderazione », mentre « qua e là qualcuno » sentiva « delle buone bastonature che fracassano le co- stole » 7. La responsabilità era di molti, tutti promuovevano inchieste, ed intanto rimaneva insoluto il problema della formazione di una classe dirigente e del superamento della lotta di classe mediante il collabora­zionismo. L’Alfiere aderiva senza riserve alla dissidenza fascista dell’on. Alfredo Misuri8 che criticava aspramente il governo chiedendo « la smobi­litazione degli spiriti e delle organizzazioni, l’allargamento della base di governo a tutte le “ sane correnti nazionali ”, il ristabilimento della normale funzione parlamentare ».

Il giornale nazionalista piacentino riportava il programma ufficiale dell’Associazione costituzionale « Patria e libertà », espressione appun­to del dissentismo misurino e lo faceva seguire da una intervista di Misuri sui piani del movimento e da una nota redazionale. Nella prima si sottolineava l’intento sodale-politico dei nazionalisti piacentini di « orientare quella equilibrata coscienza che si forma in seno ad ogni classe sociale desiderosa di ritornare ad una duratura normalità di vita » 9, mentre nella nota redazionale si riconosceva naturale che la intransigenza fascista, non fondata « sulla verità » ma « sprezzante, pre­potente, determinasse una reazione in seno alle stesse file fasciste »,

5 L’Alfiere, 14 gennaio 1924.« Ibid.1 L’Alfiere, 21 gennaio 1924.8 L. Salvatorelli - G. M ira, Storia d ’Italia nel periodo fascista, Torino, 1957, p. 267.9 L’Alfiere, 2 aprile 1924.

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e poiché la forza voleva imporsi, « contro la degenerazione di certi atteggiamenti del partito ufficiale » sorgevano « gli idealisti del primo tempo » 10.

Le elezioni politiche del 6 aprile 1924 impegnavano dapprima L ’Alfiere a sostenere la candidatura dell’on. Giovanni Raineri in una lista fiancheggiatrice liberale, ma questi si ritirava ed al suo posto subentrava il nobile Giuseppe Fioruzzi. Gli stessi nazionalisti -peraltro « tolleravano » i due candidati fascisti ufficiali, Barbiellini e Michele Terzaghi u, mentre ignoravano Bruno Biagi, presidente della Federazione combattenti di Bologna e appoggiato da Raggio. I commenti più aspri erano riservati all’on. Giovanni Pallastrelli per non essere riuscito ad entrare nel « listone mussoliniano » 12 e per aver presentato una lista propria ignorata dal Direttorio centrale fascista. L’Alfiere così com­mentava il contrassegno della lista raffigurante un orologio: « ogni ora che passa fede che cambia » 13.

Trascorse le elezioni, dopo alcuni mesi di silenzio, i nazionalisti pia­centini riprendevano la pubblicazione de L’Alfiere perchè — come essi affermavano — « la libertà, la fortuna, l’onore di Piacenza impe­riosamente » chiedevano « che dalla massa dei servi e degli imbelli » si staccasse un manipolo di forti, a combattere per tutti » 14. Gli alfieriani ritenevano di rappresentare « l’eterna giovinezza degli ex combattenti », puri dal compromesso, avversi ai profittatori, assetati di verità e liber­tà 15. Intanto il direttore del giornale pubblicava una severa lettera aper­ta diretta a Barbiellini affermando che i piacentini avevano il diritto di sapere se erano vere le accuse lanciate continuamente contro di lui. Il silenzio dell’interessato, politicamente assai dannoso, e poi la lettera aperta indirizzata dal Barbiellini al generale Guido Mori (e pubblicata sull’organo ufficiale fascista La Scure) ló, non spiegavano nulla. Così concludeva il direttore de L’Alfiere Cigala: « Io, al pari di te di­sprezzo gli avversari che si nascondono dietro le quinte: perciò fissan­doti in faccia mi dichiaro tuo avversario fin che non avrai parlato chia­ramente e non proverai la falsità delle accuse » 17. Nello stesso numero de L’Alfiere venivano pubblicate anche due lettere dei capi « vandea­ni », che erano da tempo confluiti nel fronte della resistenza antibar-

w lb id .11 L ’Alfiere, 18 febbraio 1924. Più tardi, nel numero del 27 settembre 1924,11 giornale si augurerà che corrispondano a verità le voci di elezione di Ter­zaghi a presidente della Camera come di un’occasione per « allontanare il pre­detto onorevole dalla nostra città ».12 L ’Alfiere, 11 febbraio 1924.13 L ’Alfiere, 3 marzo 1924.14 L ’Alfiere, 27 settembre 1924.15 Ibid.16 La Scure, 1° settembre 1924, Gli ultim i spari delle solite cartucce.17 L ’Alfiere, 27 settembre 1924.

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belliniana. L’una era di Antonino Maccagni e in essa l’autore sosteneva che la forza del Barbiellini era « la risultante di elementi negativi e perniciosi » quali « la viltà di troppa gente, l’interesse egoistico di altri molti, e soprattutto la insuperabile impudenza » dell’accusato, impu­denza che permetteva « di bluffare continuamente » e mantenere una « insopportabile ed odiosa dittatura ». L’altra lettera era di Alberto Ca- gnani, presidente della vecchia associazione agricoltori ora disciolta. La mancata risposta alla lettera del Cigala e il silenzio sulla lettera di Mario Merli, pubblicata dalY Avanti! del 1° ottobre 1924 e ripresa dal Popolo del 3 ottobre, orientavano il giudizio dell’opinione pubblica. Il Cigala pubblicava poi una seconda lettera diretta al Barbiellini, nel­la quale affermava che tutti i fascisti, « meno quelli » che lo circon­davano, e la cittadinanza facevano alcune richieste « per l’onore e la dignità di Piacenza » al governo nazionale e alla direzione del partito. Le richieste erano le seguenti: « Scioglimento della Federazione e di tutti i Fasci provinciali, invio di un Commissario straordinario con pieni poteri »; al Barbiellini poi si chiedeva « la grazia di lasciare al più presto la città » 18.

Ma in che cosa consistevano queste accuse? Secondo gli esponenti « vandeani », Barbiellini avrebbe esibito in pubblico decorazioni mili­tari mai ottenute (una medaglia d’argento, una di bronzo, una croce di guerra francese), avrebbe richiesto una speciale pensione per ferite risalenti al periodo prebellico, avrebbe ricoperto cariche nella masso­neria. Gli si addebitava inoltre la gestione disordinata degli organismi politici e sindacali piacentini, donde il costume dei « dirigenti fascisti di tassare, con un crescendo spaventoso, industriali, agricoltori, pro­prietari, esercenti, fascisti » 19. Si aggiungevano gli intrighi condotti a Roma per ottenere la candidatura, il ricorso al gen. Attilio Teruzzi, capo di stato maggiore della MVSN, per organizzare una grandiosa dimo­strazione in suo favore alla presenza di molti lavoratori (facendo a tal fine « proclamare lo sciopero generale », con minaccia di licenziamento per chi non vi aderisse). Balbo, che nel frattempo era chiamato a Pia­cenza da incidenti verificatisi tra militi e fascisti con sparatorie not­turne, telegrafava a Mussolini facendo fermare il gen. Teruzzi a Civi­tavecchia. Il corteo già preparato serviva allora per accogliere Balbo con prolungate acclamazioni a lui e a Barbiellini. Balbo presentava poi a Roma le « ridicole conclusioni » dell’inchiesta. Mussolini meravigliato « alle spiegazioni dell’Onorevole Balbo finì per concludere, riferendosi al Barbiellini, se proprio lo vogliono, se lo tengano! » 20.

18 L ’Alfiere, 4 ottobre 1924.19 Ibid.2» Ibid.

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Più incisiva era l’opposizione della parte fascista staccatasi da Bar- biellini per i suoi metodi assolutistici ed egocentrici tendenti all’identi­ficazione di se stesso col partito. Tale concentrazione di potere nelle sue mani sottraeva qualsiasi spazio necessario alla presenza di altri nel partito; inoltre il soggettivismo di Barbiellini, instabile ed oscillante quanto mai, teneva nell’incertezza qualsiasi partecipazione alla vita poli­tica e soprattutto faceva pesare su di essa l’estrema irrequietezza del suo comportamento21. Già si è accennato alle accuse mosse da Macca- gni e Cagnani a nome dei « vandeani ». Questa fazione aveva il suo centro nella zona rurale di Gragnano e influenzava la contigua vallata del Tidone e la rivierasca padana. Il disagio risaliva a « qualche anno » avanti, poiché Barbiellini aveva « dimenticati e sepolti i meritevoli, ed il fascismo piacentino “ negava ” ad ogni fascista, per quanto di fede e d’intelligenza, il diritto di ragionamento e il peso della propria volon­tà » 22. Il Cagnani si faceva portavoce del malcontento diffuso tra gli agricoltori, i quali avendo dapprima sostenuto l’affermarsi del fascismo per combattere il social-comunismo, ne ritenevano ora esaurita la fun­zione o comunque non intendevano essere da questo comandati. Il con­trasto più aperto veniva dalla Milizia, che proclamava di avere la prio­rità nella difesa ed efficienza del regime e quindi del partito. Questa profonda incrinatura era un fatto diffuso, ma nei « vandeani » conflui­vano anche altri fattori non secondari. Essi si consideravano i fascisti della prima ora, degli idealisti, e non sopportavano il cambiamento tanto rapido ed interessato intervenuto nel fondatore del fascismo piacenti­no. Dove rifugiarsi? Tra gli avversari antifascisti? Era impossibile; non restava che agitarsi e combattere dall’interno per un ritorno sulle posi­zioni originarie. I « vandeani » intendevano appunto ricondurre il par­tito all’integrità delle origini. La maggioranza della popolazione, stanca di violenze, d’ingiustizie e di soprusi, abbandonata a se stessa dall’auto­rità accondiscendente verso il più forte, senza speranza nell’affermarsi di qualche altra forza democratica, moderata, seguiva con interesse le vicende « vandeane ».

Così, ciascuno dei tre parlamentari fascisti piacentini rappresentava una fazione in lotta: Barbiellini capitanava i propri seguaci, Terzaghi i fascisti governativi, Raggio i « vandeani ». Tutti affermavano la pro­pria fiducia incondizionata in Mussolini. Barbiellini, per altro, non si sentiva sicuro e sollecitava l’intervento di Roberto Farinacci23.

21 L. Salvatorelli - G. Mira, op. cit., p. 368, lo definiscono «semipazzo».22 L ’A lfiere , 4 ottobre 1924, La crisi nel fascismo piacentino.23 Tra i due vi era affinità di temperamento e di intenti, sebbene la loro ori­gine politica fosse diversa. Farinacci, per quanto sensibile in modo tutto parti­colare a certi motivi socialisti, allorché aveva aderito al fascismo nella riunione milanese del 23 marzo 1919, seguiva in realtà la corrente nazionalistica confluita nel volontarismo attivistico mussoliniano. Questo fu infatti l’aspetto che lo attraeva

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Il 30 settembre 1924 Barbiellini scriveva infatti a Farinacci: « la pa­zienza ha un limite; il canagliume dissidentista », del quale aveva indi­viduato i componenti più attivi, comprendeva « persone di alte cari­che della Milizia Nazionale di Roma (M.), di Bologna (R.T.), funzio­nari del Governo (Rag. M.), impiegati di Prefettura ora trasferiti ad Alessandria, e il Professor (B.R.) insegnante presso il Ginnasio di Pia­cenza, esponente massimo della Massoneria e personalità politiche » 24. L’opportuno silenzio aveva voluto « evitare lo scandalo », ma ora Bar­biellini sentiva « nell’animo dei fascisti il dolore dell’offesa, i fremiti dell’impazienza per la impossibilità del loro intervento diretto ». Da ogni parte della provincia gli si chiedeva « l’ordine di agire », di lanciare il grido « A noi! ». D’altronde, il giudizio di responsabilità personale o meno circa le accuse avanzate era « nelle mani dell’Autorità Giudizia­ria ». Il segretario federale gen. Mori aveva fatto pervenire « relazioni precise sulla situazione, ma nulla si è risposto ». Il Mori, « all’uscita del giornale dei dissidenti (qui accluso) 25 finanziato dall’onorevole Rag­gio » si era recato in prefettura « a scindere ogni responsabilità ». Barbiellini chiedeva con insistenza l’interessamento di Farinacci presso il direttorio nazionale del partito.

I dissidenti de L’Alfiere impugnavano le accuse di Barbiellini con­tro Raggio, e negavano che « la sua casa » fosse « diventata la sede dell’opposizione » e che egli lottasse « contro i sindacati » essendo « rea­zionario, gretto » 26.

La rappresaglia minacciata da Barbiellini si traduceva in un delitto

maggiormente, secondo la linea espressa da Mussolini nel convegno regionale dei fasci lombardi, convocato da Farinacci a Cremona il 5 settembre 1920. Allora il capo del fascismo aveva affermato: « Io sono, reazionario e rivoluzionario, a seconda delle circostanze. Farei meglio a dire — se mi permettete questo ter­mine chimico — che sono un reagente. Se il carro precipita, credo di far bene se cerco di fermarlo; se il popolo corre verso un abisso, non sono reazionario, se lo fermo, anche con la violenza ». « Questa è l’ora del fascismo antidemo­cratico ». Farinacci mirava ad una interpretazione propria del contenuto ideolo­gico e programmatico del partito sino dalla fase iniziale 1922-1925. Tale interpre­tazione avrebbe determinato poi quella tipica autonomia del fascismo cremonese, caratterizzata non soltanto dall’accento antimussoliniano ma dalla strutturazione di un organismo politico a sè stante entro l’entità nazionale del regime e animato dall’hitlerismo razzistico.

L’affinità di temperamento tra Barbiellini e Farinacci era evidente nello stile e nell’intransigenza tenace, violenta. La reciproca collaborazione invece non sem­bra soltanto determinata dal vicendevole aiuto, ma anche dalle caratteristiche del social-comunismo cremonese e piacentino e dalla prevalenza dell’elemento ru­rale in ambedue le province. Sarebbe interessante chiarire, a questo proposito, per­chè il fascismo piacentino era ancorato a quello cremonese e non al lombardo in genere o al parmense.24 Lettera di Barbiellini a Farinacci. Piacenza, 30 settembre 1924, in Archivio cen­trale dello Stato (poi ACS), Carteggio R. Farinacci, fase. 3. Per ragioni di oppor­tunità, alcuni nomi sono indicati con le sole iniziali.23 Si tratta dell’A lfiere del 27 settembre 1924.26 L’Alfiere, 4 ottobre 1924.

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feroce che faceva crescere rapidamente il fermento27. Il Mori era fi­schiato e insultato. Mentre si gridava contro Barbiellini, questi si pren­deva la rivincita facendo bastonare i dissidenti in circolazione. Il pre­fetto faceva arrestare i dissidenti, fra i quali due fratelli dell’assassinato.

Giungeva da Roma l’on. Igliori, medaglia d’oro, e dopo un sopral­luogo in prefettura, ripartiva immediatamente per Roma. Il Barbiellini era dichiarato decaduto da tutte le cariche ricoperte nel fascismo pia­centino. I redattori de L ’Alfiere si rallegravano notando che gli avver­sari di Barbiellini non erano « fascisti » ma neppure degli « oppositori per sistema », bensì rappresentavano « una corrente d’ordine ». Erano soddisfatti di aver combattuto una « buona battaglia » e la attribuiva­no al « grande merito di Cagnani e Maccagni di Gragnano, di quella Santa Vandea » 28. Intanto, il 16 novembre, il Parlamento concedeva l’autorizzazione a procedere contro Barbiellini per « arrogazione abusiva di onorificenze ». Nel dicembre Barbiellini veniva espulso dal guf per indegnità morale29 ( il successivo processo dinanzi alla magistratura, celebratosi il 19 febbraio 1925, lo riconoscerà colpevole ma gli accor­derà l’amnistia). Farinacci intanto si adoperava per ricostruire la posi­zione di Barbiellini e nell’ottobre del 1925 otteneva che fosse riam­messo nel partito 30.

Nello stesso periodo, alla federazione dei fasci, dopo la breve ge-

27 L’episodio può essere così ricostruito: « Nella notte del 6-7 ottobre 1924, quat­tro individui mascherati, muniti di ferri e bastoni, entravano nell’abitazione di Artemio Solari abitante a Dosso di Roncaglia in Comune di Caorso, salivano al piano superiore dove dormiva Ercole Lertua, insieme al Solari e lo uccidevano barbaramente fracassandogli il capo ». Il Lertua era un ex combattente dell’l l 0 Reggimento bersaglieri, compagno d’arma di Mussolini, fascista della prima ora, « temuto, ma mai odiato ». « Pur rimanendo sempre iscritto al partito ufficiale egli volle entrare nelle file dei dissidenti, perché “come diceva” era nauseato dai sistemi instaurati ». Quella sera aveva assistito ad una dimostrazione in favore di Raggio che partiva per Roma (sessanta manifestanti erano stati arrestati).

Ma c’era un ulteriore motivo di gravità. Riferiva il Popolo, e lo confermava il Giornale d ’Italia, che il delitto era anche determinato dal fatto che il Lertua aveva rivelato che tre fascisti avevano avuto il mandato di uccidere l’on. Fran­cesco Buffoni, deputato lombardo del PSI, redattore della Lotta di classe e assai influente a Milano. Per questo il procuratore del re di Milano aveva spic­cato un mandato di cattura contro Merli, Cella, Borsani, tutti fascisti piacentini ritenuti emissari di Barbiellini. Gli elementi per questa ricostruzione sono attinti ai nn. dell ’A lfiere dell’l l e del 18 ottobre 1924.28 L ’Alfiere, 18 ottobre 1924. In difesa di Barbiellini si schierava il settimanale di Monticelh d’Angina Gli A quilotti. Edito dal novembre 1924 al febbraio 1925, esso affermava di porsi come programma l’instaurazione di una autentica « de­mocrazia rurale », che nulla avesse da spartire con gli interessi degli agrari.29 In coincidenza con l ’espulsione di Barbiellini anche La Scure cessava le pub­blicazioni ed era sostituita dal bisettimanale Nuova Emilia. Il vecchio giornale riapparirà nel marzo 1925.30 Tra il 1926 e il 1927, il Barbiellini occuperà le cariche di podestà e di pre­sidente degli ospizi civili, attenderà al risanamento delle finanze locali ponendosi in aperto contrasto col prefetto Tiengo. Nel corso del 1929, poi, al termine di una nuova inchiesta sul suo operato promossa dal segretario del partito Turati, Barbiellini verrà sospeso da ogni attività politica.

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stione Canestrelli, si era insediato nel 1925 Franco Montemartini. Il Barbiellini lo aveva scelto « fra le persone meno in vista della pro­vincia per servirsene quale strumento delle sue mire ambiziose » e tale restava sino al 1927. Al primi dissensi fra il Barbiellini e il prefetto Carlo Tiengo, tuttavia, Montemartini « sotto la vigile direzione » di quest’ultimo, passava all’opposizione e piegava la resistenza di Barbiel­lini e dei suoi seguaci. Cessata la lotta dopo l’allontanamento dalla vita politica dello stesso Barbiellini31 e dopo la neutralizzazione dei suoi seguaci ridottisi ad un piccolo gruppo, il Montemartini non abbando­nava « l’atteggiamento abituale di diffidenza verso i fascisti e verso i •non fascisti che non parteciparono alla lotta, o verso coloro che furono sempre avversari » 32. Così la federazione piacentina era isolata e l’effi­cienza del fascismo si reggeva solo sull’attività delle segreterie politi­che dei fasci periferici.

La condotta politica ed amministrativa del Tiengo era giudicata favorevolmente dal pubblico. Si ripeteva con soddisfazione: « ora è il prefetto che comanda » 33. Un tempo, il comando della Milizia aveva avuto dei dubbi sul Tiengo « per notizie fornitegli nei primi tempi da persone aventi l’intenzione di denigrare la Milizia » 34.

Erano dirigenti le organizzazioni locali del partito, coloro i quali non trascuravano « occasione per dimostrare livore verso la Milizia, livore for­zatamente contenuto di fronte alla pubblica simpatia » che circondava la Milizia, da chiunque « considerata con animo sereno ed obiettivo » 35. Intanto si completava la revisione dei militi della Legione, e « 149 non in possesso della tessera PNF » venivano « cancellati dal ruolo mentre rimanevano in attesa di provvedimenti » 36.

2. 1930-1932: tentativi moderatori

« Il fascismo in provincia di Piacenza, turbato fin dalla fine del 1923 da grave dissidio interno, aveva trovato nel 1929 la strada per rimettersi nell’antico vigore e rigenerare le file della magnifica compa­gine giustamente definita una delle migliori e delle più forti dellTtalia

31 ACS, Archivi fascisti. PNF. Situazione politica delle province 1923-1943. Pia­cenza. Estratto della relazione del febbraio 1931 stesa dall’Ufficio segreto politico per il segretario generale del partito. In genere tali estratti sono siglati per forza insieme a distanza di mesi.32 Cfr. la nota 29.33 Cfr. la nota 30.34 In seguito all’inchiesta provocata dal prefetto, Turati scriveva a Barbiellini che le accuse da lui rivolte a Tiengo e che gli atteggiamenti censurati dal federale erano invece conformi alla linea «del partito e del regime» (Turati a Barbiellini, Roma, giugno 1929, in Raccolta privata famiglia Barbiellini, Piacenza).35 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit. Relazione da Piacenza al comando generale della MVSN e al segretario del partito in data 3 gennaio 1928.36 Ibid.

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fascista » 37 38 : così era scritto nell’estratto preparato dalla segreteria na­zionale col visto di Starace. I fattori operanti nella compagine fascista piacentina erano tre. Il prefetto Tiengo aveva lottato strenuamente con­tro la tendenza barbelliniana, sino ad ottenere dalla Corte di disciplina il ritiro della tessera al capo di essa, e vigilava perchè « la normalità » poteva « venire nuovamente turbata se il Barbiellini si agitava » per far riprendere in esame la sua posizione3S. Piuttosto lasciava che « la situazione per quanto normale », ma « un poco statica », si evolvesse senza fare « adunanze per spegnere meglio l’eco della questione » 39 40. Il nuovo prefetto, Guglielmo Montani, esercitava per parte sua un’azio­ne « equilibrata, conciliatrice ed imparziale », « assai apprezzata » per il ritorno della tranquillità dopo una lotta durata anni e che aveva na­scosto « ambizioni malcelate, meschine rivalità personali, ed una fìtta ed intricata rete di interessi » w.

L’altro elemento era costituito dal segretario federale Montemartini. Permaneva « il disagio in quella parte della popolazione che nella pas­sata lotta » era rimasta « restia ed indecisa dal prendere posizione net­ta » e ora viveva « in disparte diffidente ». Era evidente « il desiderio di una più efficace azione di conciliazione e di equilibrio fra tutte le popolazioni » e a ciò volevasi che « s’ispirasse decisamente l’azione del­l’autorità politica » 41. Invece il Montemartini non era « considerato in grado di spiegare una proficua azione d’equilibrio e giustizia nel cam­po del partito », nè lo si riteneva « all’altezza dei suoi compiti per cultura, fermezza di carattere e meriti personali ». Tra l’altro, gli si muoveva l’addebito d’aver scelto come collaboratori « persone di secon- d’ordine, alcune incapaci e non serie » 42. Egli trascurava i contatti con gli iscritti: all’assemblea convocata dal Fascio cittadino il 15 otto­bre del 1930 intervenivano soltanto ottocento iscritti su milletrecen- tocinquanta, poco più del sessanta per cento, mentre restava lettera morta la delibera presa per l’organizzazione dei quattro gruppi rionali fascisti43. Provocava inoltre « qualche commento la dichiarazione fatta dal segretario per difendersi dall’accusa di massone che da taluni » gli veniva mossa44. Il Montemartini precisava infatti che nel 1926 era stato avvicinato da due persone, tra le quali G. P., all’Hotel Villa d’Este di Como e invitato, « presente l’on. Barbiellini », ad entrare nel­l’associazione, ma aggiungeva di aver rifiutato recisamente45. Nel rap-

37 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione aprile 1931.38 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione novembre 1930.39 lbid.40 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione febbraio 1931.41 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione settembre 1930.42 lbid.43 lbid.44 lbid.45 lbid.

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porto si affermava inoltre che « molti degli intervenuti alla detta as­semblea » dell’ottobre scorso, erano « contrari all’azione personalistica » svolta dalla federazione, ma che avevano taciuto « per tema di rap­presaglie » 46.

Il terzo elemento, assai cospicuo, era costituito da un gruppo di gerarchi della MVSN un tempo « vandeani ». Essi lamentavano che il Montemartini avesse negato la tessera del partito a vecchi fascisti fida­ti, avesse favorito l’infiltrazione di profittatori, e affidato il comando dei fasci giovanili di combattimento, « con funzioni delicatissime di educatore, ad un elemento di dubbia fede politica e di dubbia mora­lità » 47. Inoltre il Montemartini si faceva assistere e consigliare da ele­menti « non iscritti al partito e notoriamente affaristi, legati da fortis­simi vincoli con enti bancari cittadini » dei quali il federale era « capo e tutore per interposte persone »48. La direzione del partito aveva la­sciato intendere che il provvedimento di rimozione sarebbe venuto, ma non immediatamente, perchè si voleva evitare di far credere di avere « subite pressioni » 49. Conduceva questa opposizione il seniore della Mi­lizia Antonino Maccagni, a tal punto preso dalla lotta da incorrere nel­la diffida del prefetto. Comunque egli impartiva direttive in propo­sito ai segretari dei fasci provinciali50.

Nella seconda quindicina d’aprile dello stesso 1931, i vecchi fascisti avevano costituito una apposita commissione di quindici militanti della prima ora « capeggiati da Radini Tedeschi conte Raffaele, luogotenente generale MVSN, dal seniore Maccagni Antonino, da Cappelli cav. Luigi capomanipolo, da Orlando Bergamaschi, da Gino Carini ed altri » per condurre un’azione di fondo51. Il 10 aprile la commissione disciplina del partito aveva convocato a Roma alcune persone citate dal Carini per testimoniare sulla situazione. Prima di partire, costoro si presentarono al prefetto avvisandolo che avrebbero dimostrato come « attualmente il fascismo piacentino » fosse « privo di un vero capo » S2. Alla celebrazio­ne del « 21 Aprile » 1931, dei milletrecento iscritti al fascio cittadino, ne erano presenti solo duecento.

Nello stesso tempo, interveniva direttamente nei contrasti anche il comando della Legione segnalando che i segretari dei Fasci di dieci comuni, avversi al federale, erano pronti a dare le dimissioni e che la ostilità si diffondeva tra i vecchi ufficiali53. Allora, il 30 aprile, la dire-

46 Ibid.47 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione aprile 1931.« Ibid.49 Ibid.50 Ibid.51 Ibid.52 Ibid.53 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione dell’Ufficio politico della Le­gione di Piacenza al Comando generale della MVSN, 23 aprile 1931.

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zione del partito inviava l’on. Mario Barenghi, capo gabinetto di Ciano, per un’accurata inchiesta. Nell’attesa tornava la calma e si apprendeva, in via riservata, che il Montemartini sarebbe stato dimesso. Alla fine di maggio, tuttavia, non essendo ancora intervenuto alcun cambiamento, l’impazienza dei dissidenti esplodeva al punto di dover sospendere la commemorazione del caduto fascista Nando Gioia per il timore che in quell’occasione si dessero convegno i fascisti contrari al Montemartini. Nonostante la diffida prefettizia al Carini e al Maccagni, che erano i due più accesi, l’adunata si tenne egualmente. L’inquadramento fu affi­dato al Maccagni e la commemorazione ufficiale all’on. Ezio Maria Gray A Ma il F giugno il Carini veniva arrestato e ammonito dalla commissione provinciale come perturbatore dell’ordine pubblico; il Mac­cagni, invece, era posto agli arresti presso il comando della LXXX le­gione MVSN in Piacenza. La direzione del partito sospendeva i due ribelli per sei mesi per « eccitazione delle correnti » 54 55.

Infine, il 20 giugno 1931, il Montemartini era sostituito nella cari­ca dal nobile Carlo Anguissola la cui nomina « lasciava » entrambe le fazioni « in attesa della posizione » che il nuovo segretario avrebbe assunta « all’inizio del suo faticoso e difficile lavoro » 56. Una sola voce dissenziente si era fatta sentire, precisamente quella del Maccagni che alludeva in pubblico alla condotta privata dell’Anguissola. Questi « con sincerità avrebbe esposto alla Direzione del Partito » 57 il suo operato e la direzione non trovò nulla « da obiettare, essendo l’An- guissola uno scapolo » 58. Ma il motivo dell’opposizione di Maccagni era

54 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Promemoria in data 16 giugno 1931.55 Ibid. A rendere più agitata la situazione si aggiungeva un altro episodio. Il 4 giu­gno davanti al Tribunale di Piacenza si svolgeva un procedimento penale a carico di elementi della Milizia e di un gruppo di dirigenti politici tra i quali il presidente provinciale dei Fasci giovanili, commissario dell’ospedale e segretario politico di Borgonovo Valtidone, l’addetto all’ufficio stampa della federazione piacentina, il se­gretario particolare della segreteria federale. I fatti risalivano a qualche mese avanti. Il 28 marzo 1930 l’aw. Fiorani, non appartenente al partito, conversando col podestà di Borgonovo Valtidone « circa lo sciopero attuato, in quel tempo, dai bottonieri di Piacenza ebbe a dire, a torto, che le autorità locali avevano favorito gli industriali, danneggiando la massa operaia ». Tale dichiarazione fu dal podestà riferita al Segre­tario politico di Borgonovo « il quale la comunicò al Segretario federale e il Fiorani venne diffidato » dal prefetto a non propagare « false notizie ». La sera seguente il Fiorani fu proditoriamente aggredito, in una via di Piacenza, dalle persone sopra ac­cennate e da altre rimaste sconosciute. Nella circostanza « l’aggredito riportò contu­sioni guarite in ventisette giorni, e fu derubato del bastone di malacca, con pomo d’oro, del valore approssimativo di lire quattrocento ». I colpevoli principali erano condannati a un anno e mesi tre di reclusione e al risarcimento dei danni. Tale verdetto veniva « accolto assai favorevolmente dai fascisti e non fascisti piacentini ». Per fascisti si devono naturalmente intendere gli avversari di Montemartini.56 ACS, A rchivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione da Milano alla Segreteria na­zionale del partito in data 22 giugno 1931.57 Ibid.

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ovviamente un altro. Nel 1925 l’Anguissola, « essendo stato assalito come partigiano del Barbiellini », lo aveva attaccato violentemente in pubblico59. In conclusione, traspariva preoccupazione per l’energia che l’Anguissola aveva dimostrato in varie occasioni « durante le interne lot­te del fascismo piacentino » 60. S’iniziava così la prima fase operativa del nuovo segretario con una « acutissima analisi della ragione dei dissidi » 61. L’Anguissola, « uomo di molto buon senso e di pronta percezione », intendeva innanzi tutto riavvicinare la Milizia al partito modificando i « rapporti alquanto incerti » che intercorrevano fra i due organismi62. A tal fine si susseguirono ripetuti colloqui tra il gen. Radini Tedeschi, il maggiore Lamma della Milizia e le autorità politiche, di pari passo con l ’azione del governo. Si notava « la grande differenza di cultura, d’iniziativa e di elevatezza esistente tra il vecchio e il nuovo gerarca » 63. Sembrava dunque che la situazione si rasserenasse, e poiché a capo dei gruppi rionali cittadini erano elementi dissidenti, i gruppi venivano sciol­ti e posti alle dirette dipendenze del federale. Tra i componenti del direttorio federale uno solo apparteneva al dissidentismo, il centurione della Milizia Giuseppe Moschiari. Sembrava che dovesse essere nomi­nato vice-segretario federale, ma egli stesso aveva dichiarato di non voler essere « un passa ordini », bensì di seguire « una direttiva pro­pria ». Il che significava fare rientrare « dalla finestra » i dissidenti « messi fuori dalla porta » 64.

Chiusa così la brevissima fase iniziale del tentato ravvicinamento, subentrava quella di rinnovati contrasti. La meticolosità dell’Anguis- sola si rivela « eccessivamente pedante ». Intanto l’organismo federale risentiva del permanente stato di crisi. Composto in prevalenza da « creature del deposto Segretario », queste avevano saputo indurre l’An- guissola « nelle loro vedute e scuotere le sue energie non solo, ma conquistarlo quasi completamente alle loro proprie idee » 65.

Il nuovo gerarca doveva, come sempre, ritenersi « non duraturo ». « Appunto perché freddo e privo d’entusiasmo » poteva moderare i turbolenti, ma non sapeva fondere le correnti perché « un po’ mi­santropo ed alquanto scontroso » 66. Restavano a capo della federa­zione elementi indesiderabili per moralità, tra i quali quel M.T., « per­sona invisa per il suo carattere autocrate » sempre comandante dei Fasci giovanili nonostante l’accennato « affare Fiorani », « tanto che,

59 Ibid.« Ibid.61 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione luglio 1931.« Ibid.63 Ib id .64 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione agosto 1931.65 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione settembre 1931.« Ibid.

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oltre ad essere inviso » era « palesemente odiato » 67. Il prefetto ne avrebbe chiesta più volte la destituzione senza riuscire tuttavia ad otte­nerla per « l’ostinatezza e la caparbietà » del federale. L’attesa dunque era vana, occorreva ben altra energia ed intanto la fazione barbelli- niana continuava a mantenersi lontana dalla partecipazione alla vita del partito6S. L’apparente collaborazione tra prefetto e federale sfumava. Il 16 gennaio del 1932 l’Anguissola presentava al prefetto un ordine del giorno, approvato all’unanimità dal Consiglio federale, col quale si ordinava ai podestà e ai dirigenti degli altri enti sottoposti alla giurisdizione prefettizia di « segnalare direttamente alla Federazione i posti vacanti presso detti Enti, onde la Segreteria Federale potesse provvedere a coprirli mediante idonei elementi disoccupati » 69. Protesta del prefetto, discussione tra i due, trasmissione dell’odg alla stampa al­l’insaputa del prefetto, sequestro del numero de La Scure del 17 gen­naio. Nella stessa giornata l’Anguissola inviava al segretario del par­tito Starace un rapporto dettagliato, col quale dichiarava di ritenere il dissidio insanabile e rimetteva la propria carica a disposizione del partito. Il prefetto intanto faceva pubblicare due circolari, dirette ri­spettivamente ai podestà e ai presidenti degli enti sottoposti, con le quali ordinava di trasmettere direttamente alla prefettura i dati richiesti dalla federazione. Sia la cittadinanza che la massa dei fascisti non avvertivano la gravità del dissidio, poiché « cause così sottili » erano tali da « non poter cadere sotto la percezione della pluralità » 70. Molti, anche fra i non simpatizzanti, elogiavano il federale, mentre « i fa­scisti di maggior levatura » giudicavano la condotta del prefetto al­quanto precipitosa. Sta di fatto che questi si recava a Roma dal sot­tosegretario per l’Interno Arpinati e Starace telegrafava all’Anguissola che le « due Autorità agirono ambedue in buona fede » 71 : quindi il fatto doveva ritenersi chiarito. Invece non si chiariva per nulla e i due esponenti rimanevano sulle proprie posizioni di partenza. Il pre­fetto faceva comprendere che spettava all’Anguissola avvicinarsi, questi continuava a « far sapere ai propri collaboratori » che desiderava es­sere « esonerato dalla carica, alla quale si dedicava » per « puro spirito di disciplina » 72. L’esonero avveniva infine il 24 giugno del 1932.

I tentativi moderatori non avevano dunque raggiunto l’obiettivo della conciliazione interna. La delusione del nazional-fascismo mode-

67 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione ottobre 1931.68 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione gennaio 1932.89 Ihtd.70 Ibid.71 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione febbraio 1932.72 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione da Milano in data 27 apri­le 1931.

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rato aumentava, i « vandeani » non disarmavano, i « barbelliniani » at­tendevano attivi e uniti gli eventi.

Già nell’aprile del 1931 i barbelliniani « e pertanto, seguaci del­l’onorevole Roberto Farinacci, essendo l’onorevole Farinacci non solo amico del Barbiellini, ma entrambi impegnati in un’attiva azione po­litica convergente ad un medesimo scopo » 73, erano venuti a violenta colluttazione con i seguaci di Maccagni. Il conflitto si risvegliava, la situazione ritornava preoccupante, tanto che il prefetto di Cremona, il quale « doveva intervenire qualche giorno dopo, ad una cerimonia » pare religiosa, giustificava la sua assenza con « la situazione anormale creatasi non solo in Piacenza, ma in tutta la provincia » 74. I « bar­belliniani » esultavano per la riammissione di Barbiellini nel partito. In suo onore era « stato fatto un banchetto a Milano con la parteci­pazione di alcuni dissidenti piacentini » 75 ancora più decisi alla lotta contro l’Anguissola. L’impressione era vivissima, benché la riammis­sione non fosse stata « pubblicata sui giornali, ma tenuta nascosta » 76.

Anche le forze antifasciste non disarmavano sebbene compresse e costrette all’inerzia apparente. Dopo l’espulsione dalla Camera dei de­putati popolari nel 1926, tra i quali Giuseppe Micheli e Nino Conti, gli ex componenti del disciolto PPI e un cospicuo gruppo di giovani dell’azione cattolica non avevano desistito dall’opposizione.

Questo atteggiamento era noto ai fascisti dissidenti più accesi, e dal corteo recatosi nel giugno del 1931 in Piazza Cavalli dopo i fu­nerali del fascista Amedeo Tarantola, si lanciavano grida ostili alla massoneria, al partito popolare, all’azione cattolica77. Un rapporto uf­ficiale dell’anno precedente affermava: « L’azione del Clero è ostile al centro (il Vescovo di Piacenza è piuttosto antifascista) e nelle alte valli. Nella parte bassa della Provincia i Parroci sono migliori » 78. Molte illusioni di cattolici piacentini sul fascismo ormai cadevano ed era in atto una resistenza sorda.

Per parte sua, la ripresa clandestina dell’organizzazione del par­tito comunista piacentino aveva provocato nel marzo del 1930 lo scio­pero di tutti i lavoratori bottonieri. Agivano nella zona abili propa­gandisti, tra i quali la piacentina Linda Rota che dovette poi espatriare per sfuggire alle persecuzioni.

Da Reggio Emilia veniva spesso a Piacenza Nello Tagliavini che si

73 Ibid.74 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione luglio 1931.73 Ibid.76 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione giugno 1931.77 Ibid.78 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione novembre 1930.

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teneva in contatto con le centrali comuniste francese e svizzera. Dalla Toscana giungeva il Venturi per smuovere qualche altra categoria e indurla allo sciopero sfruttando la crescente disoccupazione determinata dalla crisi economica. Intanto comparivano sui muri le scritte coniate dal partito per il 30 luglio, « giornata della pace ». Campeggiavano gli slogan: « Il fascismo è guerra, guerra al fascismo » e « Viva l’Interna­zionale Comunista » 79. Il gruppo degli attivisti era composto da ope­rai 80 ed era riuscito ad organizzare un centinaio di elementi fidati con recapiti a Piacenza, Fiorenzuola, Cortemaggiore, Roncaglia, Mortizza81, Gragnano, Borgonovo, Ziano. Tra il 29 e il 30 luglio molti attivisti venivano arrestati, tradotti nella caserma comando della Milizia, inter­rogati, duramente percossi e quindi assegnati al confino82.

Alla fine del 1932 tornarono, amnistiati, il Bellizzi, Bernardelli, Fava. Molto sorvegliato il primo, cui era stato ingiunto di non avere contatti con gli altri detenuti, dopo l’inutile tentativo di fargli fir­mare una lettera di ringraziamento a Mussolini.

3. 1932-1939: Espansione organizzativa

All’Anguissola succedeva nella segreteria federale, il 21 giugno del 1932, Dante Bionda, e sembrava che la sua opera fosse « attiva, so­lerte, improntata a giusto equilibrio politico » 83. La popolazione dimo­strava simpatia, le relazioni col prefetto erano buone, insieme si ado­peravano per alleviare le conseguenze di una crisi bancaria acuitasi e precipitata « a causa delle tristi situazioni » create nelle Banche locali « per colpa dei rispettivi dirigenti » 84. Il Bionda, « alquanto ambizioso, ma entusiasta ed accorto », s’imponeva « sia per l’attività e per l’inte­ressamento », sia perchè dimostrava « di avere una esatta visione dei bisogni politici del fascismo » nella provincia85. Ma, guardando al fon­do, le relazioni col prefetto già a distanza di pochi mesi dall’elezione

79 Testimonianza Paolo Bellizzi.80 Erano P. Bellizzi mobiliere, M. Bellizzi meccanico, C. Bernardelli fabbro, E. Ca­nini meccanico, G. Fava carpentiere, P. Gaiandini muratore, G. Schiavi muratore. Te­stimonianza Bellizzi, cit.81 Qui la penetrazione comunista era risultata particolarmente incisiva. Durante la segreteria Anguissola Testratto mensile inviato alla direzione del partito lamentava che il prefetto non ricevesse il pubblico soprattutto a Mortizza dove « le dimostrazioni ostili » potevano « essere fatte dai contadini e dagli operai » i quali soffrivano la disoccupazione e, per « recenti prove » non erano « teneri per il Fascismo » (ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione giugno 1932).82 II Fava e il Bellizzi venivano tradotti nell’isola di Lipari dove il trattamento era tollerabile, benché in occasione di determinati avvenimenti interni, come ad esempio l’attentato a Mussolni fossero « bastonate da orbi » (Testimonianza Bellizzi, cit.).83 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione settembre 1932.«<_ Ibid.,85 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza Estratto relazione ottobre 1932.

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del nuovo federale, « presentavano qualche lieve sintomo di minore sincerità » e « qualche scissura » 86. Quali le ragioni del dissenso? Per­sone non gradite eppure mantenute a posti direttivi dal Bionda, prefe­renze del prefetto per l’on. Steiner, sopportato a fatica dal federale per motivi personali, mancata nomina di un suo protetto « a curatore del dissesto della Banca Popolare Piacentina » 87. Più esplicito era il rapporto del Comando carabinieri, il quale parlava di divergenze costanti e della « diffusa sensazione che il federale volesse far allontanare il prefet­to » M. Più tardi si confermava che i rapporti erano soltanto formal­mente cordiali e che il prefetto sarebbe stato « contento di un tra­sferimento » 88 89. Comunque la situazione continuava a mantenersi fluida. Anche il Bionda si trovava alle prese con il « barbiellinismo »; un tempo era stato contrario ad esso, ma ora sembrava vi si accostasse, forse per aiuti avuti, e forse per l’attrattiva esercitata dal Barbiellini nei primi tempi del fascismo piacentino sul Bionda, allora adolescente e impegnato in altro campo. Una commissione si presentava al federale chiedendo « qualche provvedimento a favore “dell’Onorevole” allonta­nato da circa quattro anni dalla vita politica provinciale » 90. Il fede­rale, non ritenendosi competente a decidere, « avrebbe volentieri ac­compagnato a Roma qualcuno della commissione stessa per sentire il pensiero in proposito di Sua Eccellenza Starace » 91. Sembra che Sta­race non li avesse ricevuti. « Anzi, allo scopo di chiudere l’argomen­to », pareva si studiasse « il modo d’inviare Barbiellini all’estero, con qualche speciale mandato » 92. Il federale tentava allora, invano, di ottenere una dichiarazione, anche verbale, dal presidente della provin­cia, membro della commissione suddetta, che attestasse che il prefetto era stato informato del passo tentato « e ciò al fine di far ricadere sulla prefata Eccellenza la inopportunità della richiesta contraria ai de­sideri della Federazione » 93. Tra i membri della commissione erano due ufficiali della Milizia, ed il Bionda segnalava il fatto al comandante della locale Legione. Di qui l’invio di una circolare riservata personale a tutti gli ufficiali con l’ingiunzione « o di essere fedeli esecutori degli ordini del Duce e dei' suoi Gerarchi, oppure la radiazione dai qua­dri » 94. La circolare provocava sorpresa, proteste e risentimenti in molti

88 Ibid.87 ibid.88 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza Estratto rapporto Comando CCRR, di­cembre 1932.89 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto rapporto Comando CCRR, gennaio 1933.90 Cfr. n. 88.9> Ibid.92 Ibid.« Ibid.94 Ibid.

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ufficiali ignari della causa che l’aveva provocata. Il « barbiellinismo » esisteva dunque soltanto nel desiderio dell’interessato « di tornare a contare ad essere qualcosa in provincia di Piacenza », ma questo stesso desiderio, pur accendendo « di vaghe speranze » qualche gruppo d ’ami­ci, doveva rimanere tale perchè il ritorno non era « necessario » anzi « dannoso » 95. Il Barbiellini aveva scritto al Bionda di essere mosso solo da « fini ideali » ed era « lungi da lui l’idea di voler spiegare attività in Piacenza, nella quale città “si sarebbe recato” solo in seguito a consenso superiore »

Il segretario federale intendeva dedicarsi interamente all’organizza­zione. « Era — sempre secondo le informazioni raccolte dai CC — giovane di seria consapevolezza fascista », ma forse « ancora molto gio­vane, e perciò facilmente suscettibile e suggestionabile »; subiva l’in­fluenza di un gruppo d’amici, i quali « gli stavano vicino incensandolo oltre misura ed inducendolo talvolta a presumere nella propria auto­rità » 97. Ne derivavano temporanei sbandamenti « dai quali in com­plesso » non era stato difficile « rimetterlo in carreggiata » 9S. Il direttorio federale era composto di « elementi valutati al di sopra di qualsiasi prevenzione di origine, di gruppo o di atteggiamento passato, e nella certezza invece del più assoluto superamento personalistico » ".

Questa ripresa organizzativa si concretava in tremila nuove do­mande d’iscrizione al partito, provenienti da ogni ceto, specialmente dai ceti medi, e tali da determinare « un inquadramento di elementi già aderenti al Regime » 10°. Sbandamento si determinava invece nei Fa­sci giovanili perchè il comandante aveva costituito una sua personale « claque organizzata », detta « squadracela », spavalda e manesca 101. Il Bionda la scioglieva ed anche il « beghismo paesano fra Segretari po­litici e Podestà » era quasi scomparso102.

Nell’aprile del 1934, il Bionda raggiungeva il suo più intenso sforzo organizzativo tesserando diecimila fascisti, metà dei quali in città. A questi si aggiungevano ottomila giovani fascisti e tremilatrecentoventi- nove componenti i fasci femminili. Una massa, dunque, di oltre venti­mila unità103. I Fasci giovanili erano stati trasformati in reparti ce­leri, raggruppati in duecentonovanta centurie di ciclisti, alpini, prea-

95 Ibid.96 Cfr. n. 89.97 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto rapporto Comando CCRR, di­cembre 1932.98 Ibid.99 Ibid. i°° Ibid.]°i Ibid.102 Ibid.103 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione di Dante Bionda al segre­tario del PNF. Piacenza, 8 maggio 1934.

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vieri, sportivi, motociclisti, mitraglieri. Le « mobilitazioni » erano fre­quenti, e per la celebrazione del terzo annuale della fondazione dei Fa­sci giovanili si era riusciti a radunare cinquemilacinquecento giova­ni ,04. L’attività dopolavoristica promoveva frequenti festeggiamenti nei rioni popolari cittadini (distribuendovi razioni di generi alimentari), in­diceva gare bocciofile, recite, allestimento di carri vendemmiali, e non trascurava alcuna occasione propagandistica per far convergere l’atten­zione dell’opinione pubblica sul regime. Ma due erano le attività eser­citate con cura estrema, l’assistenziale e la economico-sociale. Con la prima si gestivano mense, si disponevano ampie distribuzioni di generi alimentari, capi di biancheria, sussidi per il pagamento dei fitti, si organizzavano numerose colonie marine, montane e fluviali per bam­bini. L’attività economico-sociale, a sua volta, si estendeva a tutti i problemi pubblici, mediante il Comitato intersindacale e le Commis­sioni di collocamento per l’agricoltura, l’industria e il commercio fun­zionanti presso la federazione provinciale.

Il segretario politico disponeva del prefetto e degli organismi pro­vinciali per la produzione104 105. La politica sindacale poneva in evidenza l ’intento di monopolizzare l’assunzione della mano d’opera e suscitava resistenza nel campo padronale contro i fiduciari sindacati del partito.

Il partito comunista, nel 1933, all’apertura delle iscrizioni al par­tito fascista, disponeva che chi avesse necessità economiche entrasse nelle organizzazioni ufficiali. Le informazioni fasciste riservate affer­mavano che localmente non si rilevava « alcun sintomo di riorganiz­zazione sovversiva e contraria al Regime » 106. A Piacenza l’organizza­zione comunista riprendeva desisamente nel 1935, allacciando relazioni periodiche con la centrale francese, le cui staffette facevano capo a Milano e a Codogno per l’Emilia. Il comuniSmo piacentino spostava allora il proprio centro a Fiorenzuola, anche se l’organizzazione restava debole e numerosi militanti non si impegnavano direttamente, ma restavano ai margini107.

La « scarsa penetrazione del Fascismo tra le categorie » dalle quali si sarebbero dovuto trarre i pubblici amministratori, ossia gli avvocati, permaneva e, ancora nel 1937, « su 160 avvocati e procuratori iscritti al Sindacato solamente cinquantasei appartenevano al PNF » 108.

104 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione di Dante Bionda al segre­tario del PNF. Piacenza, 9 novembre 1933.105 Cfr. n. 103.106 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione 1933 [senza indica­zione del mese].107 Testimonianza Bellizzi, cit.108 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione del prefetto Montani al gabi­netto del ministero dell’Interno. Piacenza, 1 maggio 1937.

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Nè disarmarono ex-popolari e notevole parte dell’azione cattolica pia­centina si dimostrava piuttosto autonoma nel suo atteggiamento anti­fascista.

Intanto ritornavano le voci a carico del Bionda « già oggetto di una inchiesta da parte della direzione del partito ». Circa i provvedi­menti disciplinari comminati, i testimoni chiamati a deporre dichia­ravano « di essere reticenti nelle loro deposizioni presso l’inquirente e di aver deposto non conformemente al vero per timore di rappre­saglie » m. Sebbene l’inchiesta fosse « sviata o stroncata dalle ritrat­tazioni » 109 110 * * 113 degli accusatori, rimaneva la sensazione che molti avessero « paura a parlare ». Così si realizzava la « politica di protezione e di favori da una parte, di intimidazioni dall’altra » m. In definitiva il fe­derale si lasciava « assorbire più da una attività di forma che di so­stanza » e nel campo assistenziale prevaleva « più il gioco delle perso­ne, che dei fatti, più l’adattamento degli opportunismi che la rispon­denza a principi di obiettività e giustizia » llz.

A tutte le autorità della provincia venivano recapitate largamente « circolari anonime accusando di antifascismo nel 1924 fascisti con cariche nelle Amministrazioni del Partito » U3.

Le accuse erano ritenute ingiuste, determinate da dissensi locali « ma non in relazione con certi atteggiamenti e deviazioni del perio­do quartarellista » 114. Piuttosto, le inquietudini e il riacutizzarsi delle lotte personali sapevano di « avvisaglie elettoralistiche con annessi tentativi di cannibalismo in famiglia » 115.

Il Bionda veniva sostituito il 3 ottobre del 1934 dal console Bruno Biaggioni, squadrista romagnolo, membro del direttorio federale di Ra­venna. Da allora sino al 1940 i federali non saranno più piacentini, sia per evitare lo strascico dei contrasti locali, sia perchè ormai prevaleva il funzionarismo accentratore imposto da Starace.

Il Biaggioni applicava rigorosamente i criteri organizzativi stara- ciani. I fascisti piacentini in forza erano sedicimilanovecentotrentatre. La revisione dei quadri per i Fasci giovanili destinava cinquantotto uf-

109 ACS, Archivi fasciseli. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione 1933 [senza indica­zione del mese],110 Ibid.in Ibid.

Ibid.113 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione 1933 [senza indi­cazione del mese, ma in calce il visto della segreteria nazionale del PNF sotto la data del 22 ottobre 1933].114 Ibid.n s Ibid.

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ficiali della Milizia e trecento capisquadra a dirigere ottomilaseicento- ventuno giovani fascisti. La formazione si compiva con corsi di prepa­razione politica e di addestramento militare frequentati da duemilaotto- centocinquantotto iscritti. L’attività formativa riguardava circa un quarto dei giovani reclutati, i quali dovevano a loro volta essere impiegati per diffondere tra la massa le iniziative del partito116. L’attenzione si ri­volgeva al Fascio femminile con corsi professionali (taglio e confezioni, stenografia, cucito a macchina, puericultura, igiene, agraria) e con corsi di cultura fascista intesi quali coronamento delle attività pratiche. Ora si cercavano con insistenza, e si organizzavano, le massaie rurali.

L’orientamento ideologico assumeva espressione professionale nelle trentacinque scuole serali, culturale nell’Istituto fascista di cultura con corsi di dottrina fascista, diritto corporativo, lingue estere. Si rafforza­vano le attività assistenziali e sindacali. Ottomilacinquecentoquaranta libretti di assistenza raggiungevano ventiquattromilasettecentottantadue persone. Il Comitato intersindacale tendeva alla risoluzione di alcuni problemi preminenti quali: il bottoniero, la revisione dei prezzi dei generi di prima necessità, l’avviamento al lavoro dei disoccupati, l’ini­zio di opere pubbliche. Non tutto era facile. Ad esempio, per il rin­novo del direttorio federale si registrava « un intenso lavoro da parte degli aspiranti per mettersi in vista ». Per alcuni membri in carica ( « eccessivamente attaccati alla carica » ) si riteneva che, « appena so­stituiti », avrebbero assunto « atteggiamenti di oppositori ».

Questa situazione si manteneva pressoché immutata per tutto il giugno117 118, e in sede nazionale si affermava che il fascismo piacentino era « un complesso di forze saldissime da considerare di prima linea in qualsiasi momento e per qualsiasi evento » u8. Anche il prefetto Montani esercitava un ruolo di primo piano nella situazione piacen­tina ponendosi in disaccordo col federale. Egli si era preoccupato del malcontento diffuso perchè la federazione percepiva il 4 per cento sulla vendita delle carni. Ciò accresceva le riserve « sull’andamento della cas­sa federale », sempre in deficit malgrado le somme rilevanti incassa­te 119. L’amministratore generale Tosca si recava a Roma da Barbiellini, per pregarlo di far sì che andassero a vuoto denunce del prefetto. Questi scriveva a Starace che non era certo spinto da ragioni di sal­vaguardia della sua posizione personale, « trascurabilissima cosa », ma

116 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione del console B. Biaggioni al segretario del PNF. Piacenza, 1 marzo 1935.117 Ibid. Biaggioni inoltre non doveva essere estraneo ad informazioni sull’ambiente fascista nazionale. ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Carteggio Biaggioni.118 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Appunto manoscritto in data 27 gen­naio 1937.119 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Appunto dattiloscritto da Piacenza il 17 agosto 1936.

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dal « buon nome Fascismo e consegna affidata da’ Duce a tutti i pre­fetti » e per la quale impegnava « anima e corpo ». Sembra che il Tosca, deluso per il mancato appoggio di Barbiellini, intendesse rivol­gersi ora « all’onorevole Farinacci » 12°.

Era stata posta, inoltre, la questione dello scarso rendimento del­l’organismo amministrativo, attribuito alla vecchia età degli amministra­tori. Starace, probabilmente in seguito a reclami della federazione, scri­veva a Buffarini di ritenere « forse utile esaminare un po’ la situazione della Provincia di Piacenza », dove, a cominciare dal podestà del capoluogo « sembrava che pure gli altri podestà “fossero” in buon numero eccessivamente invecchiati » 120 121. Il prefetto, nel suo rapporto in­formativo al ministero dell’InternoI22, affermava che soltanto dieci su quarantasette podestà superavano i sessant’anni, che godevano « tutti ottima salute fisica e mentale » e adempivano al loro dovere « con scrupolo pari a quello dei loro colleghi più giovani » 123. Tra gli an­ziani erano tre generali dell’esercito a riposo, comandanti in guerra di reparti di prima linea: il podestà di Piacenza era decorato con tre medaglie d’argento al valore militare. Del resto, in ventun mesi digoverno prefettizio si erano cambiati diciotto podestà, il che dimo­strava un energico controllo personale sull’attività dei capi d’ammini­strazione. Ed il prefetto così commentava la difficile operazione effet­tuata: il « grande tatto, mi si consenta l’immodestia, con cui ho con­dotto questa azione ha servito ad evitare ogni scalpore, ma ha certa­mente impedito di apprezzarne i risultati a colui che ha segnalato acodesto On. Ministero la scarsa attività di numerosi Podestà e quindi, indirettamente, anche la poca vigilanza del Prefetto » 124. Mancava un solido gruppo dirigente poiché « negli ultimi quindici anni » non si era « manifestata nessuna rivelazione di individui capaci di assumere cariche di una certa importanza » 12S. Tutti gli elementi utilizzati nelle pubbliche amministrazioni appartenevano « alla categoria dei rimor­chiati, non dei formati del fascismo » 126. Il « doloroso fenomeno », manifestatosi « in nessuna provincia in forma così grave », era dovuto ai dissidi i quali avevano « assunto spesso aspetto di vera tragedia » 127. Perdurava « una generale svogliatezza a superare la quale » era « ne-

120 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Il prefetto Montani a Starace. Piacenza, 25 settembre 1936.121 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Lettera riservata di Starace a Buffa­rini. Roma, 3 aprile 1937.122 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Il prefetto Montani al gabinetto del ministero dell’Interno. Piacenza, 1 maggio 1937.123 Ibid.>24 Ib id .125 Ibid.126 Ib id .127 Ibid.

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cessarla l’azione di capi ben più autorevoli » di quelli cui si affida­vano « importantissimi settori della politica provinciale » m .

La situazione peggiorava. Gruppi di camicie nere precettate per la guerra di Spagna protestavano perchè le gerarchie avevano creato un clima ostile trascurando la risoluzione dei problemi locali, « fatti figurare come risolti presso le superiori gerarchie romane, ma che di fatto esercitavano una penosa impressione sugli strati più umili della popolazione » 128 129. Le proteste si concretavano in questi termini: « non ci danno lavoro, si ricordano di noi soltanto quando hanno bisogno di carne da macello. Finita la guerra d’Africa si interrompe la miseria della nostra disoccupazione con quest’altra storia della Spagna, dopo che alla Casa Littoria e alla Prefettura dove chiedevamo un’occupa­zione, ci han fatto fare ore ed ore di anticamera per avere con gesto umiliante un pezzo di pane »130. Invece, il segretario federale si dava a ben altre attività, e qualche suo collaboratore diretto negli stessi uffici del partito dava la precedenza a interminabili udienze « per persone di sesso femminile note per la facilità dei costumi » 131.

« Squallore profondo e rilassatezza più cruda » erano « le note più impressionanti della situazione piacentina » tali da pensare a « come una cosa morta che soffoca ed intristisce ogni volontà ed ogni più aperta collaborazione » 132.

A smentire le proteste di questi ambienti interveniva il comando della milizia confermando il « fiero, magnifico spettacolo entusiasmo ardito spiritualità vibrante » 133 del battaglione mobilitato. Soltanto un certo A.G. « dedito alla vita brillante » si era nascosto, ma « schiaffeg­giato dal vice squadra a nome di tutti i suoi camerati per l’offensivo contegno » 134 si pentiva e si dichiarava lieto di partire. Veniva poi l’ul­timo tentativo di difesa condotto dal federale con una lunga relazione riservata alla segreteria nazionale del partito. Le « conventicole fazio­se » scomparivano, ma rimaneva preoccupante « l’intollerabile inatti-

128 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Appunto anonimo. Piacenza, 3 giu­gno 1937.129 ACS, Archivi fascisti. P N F , cit., Piacenza. Stralcio di relazione inviata da Piacenzail 13 settembre 1937. In calce la firma di Starace sotto la data del 14 settembre 1937. >3» Ibid.131 Ibid. Non mancavano neppure informazioni ancor più personali. La moglie di un alto gerarca locale vendeva « i donativi offerti al marito per favori compiuti specie verso impresari edili e commercianti ». La cittadinanza inoltre deplorava « con un’im­pressionante unanimità » che l’avvocato G.G., tra i massimi amministratori pubblici, non avesse ancora dato le dimissioni imposte in seguito all’awenuta denuncia « alla procura del Re per un grave reato: circonvenzione di un minorato di mente ».>32 Ibid.133 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Il comandante di zona della Milizia, Doro, e il federale, Biaggioni, al comando zona delle CCNN di Bologna.134 ÀCS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Il comando gruppo CCNN di Piacenza al comando zona della Milizia di Bologna.

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vita degli organi amministrativi comunali e provinciali ». La federa­zione trovava sempre « nelle sedi direttamente responsabili una intran­sigente resistenza » 135. Tutto era inutile di fronte all’esclusivismo del­l’autorità prefettizia e alla grettezza degli amministratori piacentini. Il direttore del quotidiano fascista La Scure doveva vincere la suscetti­bilità del prefetto con molti sforzi per trattare la soluzione dei pro­blemi locali sul giornale. Il prefetto non credeva alla « sanità » del fascismo piacentino e si esprimeva in pubblico con termini aspri e malevoli136. Perciò i fascisti chiedevano un prefetto di carriera per due motivi: primo perchè la continuità dei prefetti fascisti manteneva « la infondata credenza che la città “avesse” bisogno di fascistizzazione », in secondo luogo perchè un prefetto dotato di una « lunga esperienza » amministrativa avrebbe valorizzato il partitoI37.

La relazione del Biaggioni si chiudeva con l’elencazione dei pro­blemi locali rimasti insoluti. Il federale perdeva la partita, veniva trasferito a Savona e sostituito, il 25 gennaio 1938, con Mario Piaz- zesi, federale di Lucca. Ma Starace restava « in attesa di precisi chia­rimenti » da parte del prefetto Montani circa l’epiteto di « canaglia » col quale aveva « ritenuto di dovere e potere gratificare i gerarchi della provincia » 138. Anzi, ritornava alla carica, perchè era ormai trascorso un mese da questi apprezzamenti del prefetto ed ancora non giungeva risposta. Starace presumeva che il prefetto, « per pronunziare un giu­dizio così grave », dovesse « avere una completa documentazione nel cassetto del tavolo, da mettere immediatamente a disposizione » 139. Barbiellini, anche se a Roma, continuava a intervenire nella situazione piacentina. « D.A. », che occupava un posto di rilievo nella pubblica amministrazione, era venuto in forte contrasto col prefetto perchè ri­teneva che questi avesse scritto « una lettera anonima contro di lui indirizzandola al ministero Interno » 140 ed esigeva le dimissioni dalla carica. Il Barbiellini conosceva l’origine delle persecuzioni sopportate per tanti anni da D. Avendogli « raccomandato » di tenerlo informato di quanto accadeva in relazione « alla persona del Capo e del Segre­tario del Partito », D. aveva a suo tempo riferito sul contegno dell’on.

135 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione riservata della federazione di Piacenza al segretario del PNF. Piacenza, 8 gennaio 1938.136 Ibid. Ad esempio: « A Piacenza non vi è nessuna educazione politica »; « la Fede­razione non valorizza l’elemento intellettuale »; « il Federale è persona di modeste co­gnizioni e possibilità »; « su 97 Segretari Federali di tutta Italia solo una ventina saranno all’altezza del loro compito di educare i giovani ».137 Ibid.138 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Lettera riservata di Starace a Buffa­rmi. Roma, 16 gennaio 1938.139 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Lettera urgente riservata di Starace a Buffarini. Roma, 2 febbraio 1938.140 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. D.A. a Barbiellini. Piacenza, 7 mag­gio 1938.

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Steiner, dell’avvocato F. e di altre personalità. Su disposizione del se­gretario Biaggioni, aveva esaminato « le copie dell ’Alfiere, organo dei dissidenti, mettendo in condizione la Federazione di redigere un rap­porto sull’argomento, rapporto richiesto da S.E. Starace » 141.

Barbiellini inviava la lettera di D. a Starace così commentandola: « Questa è un’altra prova che il Prefetto intende sottrarsi al con­trollo di Roma perchè “ si appoggiava ” sulla cricca protettiva di Ar- pinati, durante la quartarella » 142. Barbiellini aveva ora le prove che il Tosca, segretario amministrativo di Biaggioni, era stato liquidato con « un’infame menzogna », ossia per « gravi atti contro la discipli­na ». In realtà il prefetto riteneva il Tosca « un confidente di Mari­nelli » 143. S’imponeva un’inchiesta, perchè il prefetto si era rivelato co­me un nemico del regime, un settario. In precedenza una relazione anonima, spedita a Roma, riferiva che il prefetto aveva dimostrato « più dimestichezza con gli antifascisti che con i fascisti » 144. I rurali avevano « un odio profondo per i professionisti » i quali sfruttavano « da più di dieci anni la carica di preside della provincia » 145. Il pre­fetto dimostrava di sentire troppo l’influenza dell’ambiente reggiano da cui proveniva e di quello bolognese ove « aveva vissuto ». I pia­centini, che egli insultava « troppo spesso », cominciavano ad avere l’impressione « di essere colonizzati ». A dirigere il giornale fascista La Scure aveva fatto venire un reggiano, e all’ospedale aveva assunto « un certo professore P. di Reggio Emilia, che spavaldamente “millan­tava” la sua amicizia col prefetto » quando era « messo in contrav­venzione per violazione di leggi » 146.

II nuovo segretario federale, Federico Barboglio, già federale di En- na, eletto l’8 settembre 1938 147, trovava l’opinione pubblica piacentina e fascista attentissima agli avvenimenti internazionali. L’atteggiamento russo, sfociato nella conclusione del patto di non aggressione Stalin- Hitler, era oggetto di « discussione nell’ambiente fascista », ed « in termini ostili contro la Germania », la quale sembrava così rinunciare alla fede antibolscevica « che la faceva paladina di fronte alla minaccia russa nel centro Europa » 148. Il tanto deprecato bolscevismo appariva

Ibid.142 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Barbiellini a Starace. Roma, 11 mag­gio 1938.

Ibid.144 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione non firmata in data 14 apri­le 1938.145 Ibid.

Ibid.147 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. In una lettera di A. Vecchi a E. Muti, Piacenza 17 novembre 1939, il Barboglio era definito « un giovanottino di 27 anni, creatura di Starace ».148 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione non firmata in data 18 ot­tobre 1939.

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-« sui nostri giornali sotto una veste rosea e quasi allettante » 149. Dun­que, si sarebbe cantato « bandiera rossa » ed al distintivo fascista si sarebbe aggiunto « quello bolscevico ». Di fronte al risentimento dif­fuso verso il regime si notavano « mancanza di propaganda da parte delle organizzazioni PNF », « un ardire nel criticare e commentare fatti e persone » fino allora sconosciuto, « così che di questo stato di cose “doveva” essersene valso l’elemento sovversivo». Non era raro sentirsi chiedere « cosa altro ha rubato Hitler? » 15°, frase « ripetuta più volte e da persone diverse » e si riteneva che la domanda fosse fatta da « qualche sacerdote ». Comunque l’alleanza tedesco-russa era « sicuramente sfruttata dall’elemento clericale e i contadini che diffi­cilmente leggono giornalmente i quotidiani, parlano e discutono di que­sto fatto citando dati e commenti che dicono essere stati pubblicati anche dall 'Osservatore Romano » 151. Un informatore privato del se­gretario nazionale M uti152 notava che nessuno a Roma parlava dei pro­blemi piacentini e guardando alle province vicine, ad esempio a Cre­mona, ci si sentiva dimenticati. Eppure la maggioranza dei vecchi squa­dristi detestava tuttora Farinacci per l’aiuto dato a Barbiellini. Si po­teva sfruttare tale antipatia per rafforzare il fascismo locale, invece Biaggioni aveva ritenuto « di sopire a poco a poco le ire delle due fa­zioni mantenendole nell’inerzia più assoluta » 153. Anche il prefetto evi­tava « qualunque noia specialmente con Roma per paura di perdere il posto ». Perciò preferiva « lasciare stazionarie situazioni insostenibili e conservare in cariche importanti uomini di dubbia moralità e di si­cura disonestà » 154.

E tuttavia non mancavano elementi locali di valore. Tra di essi erano: Luigi D odi155, Giuseppe Clini156, Ferdinando Zerioli e Alberto Cagnani, Giuseppe Moschiari e Mario Comolli157, Giuseppe M ori158,

>« Ibid.■so Ibid.>5i Ibid.152 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Lettera di A. Vecchi a E. Muti. Pia cenza, 17 novembre 1939.>53 Ibid.154 Ibid.155 Ibid. « Dottore in legge, forse il capo di squadre di azione più popolare della provincia ». Maggiore dei bersaglieri, decorato, ferito. Partecipava « ad innumeri azioni fasciste e scontri anche contro le squadre dei cremonesi all’epoca di Barbiellini ». Grosso proprietario terriero, godeva di molta simpatia in Cremona, sebbene per le sue tendenze avesse avuto « più volte nei tempi passati la proibizione di entrarvi ». Onesto, lavoratore, ricco, mentalità di soldato, aveva « il fisico e la tempra morale di un capo.156 Ibid., « Capo squadre di azione, scappato a Bologna nel 1921-22 per sfuggire ad un mandato di cattura, passato squadrista di primissimo ordine. Il Dodi ha su di lui il vantaggio di una netta superiorità d’intelligenza e di cultura ».'57 Ibid. « Reduci di Spagna, legati molto al Federale attuale vecchi e valorosi squa­dristi che non godono l’unanimità dei consensi per la loro vita privata ».>58 Ibid. « Giovane serio, ben preparato, molto stimato, ma con passato di squadri-

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Antonino Maccagni159, Radini Tedeschi 16°. Si trattava in prevalenza di agricoltori e professionisti, vecchi squadristi della prima ora divenuti in seguito antibarbelliniani. Essi desideravano un federale che fosse un vecchio squadrista attivo, energico, capace « di riunire attorno a sè la vecchia guardia », chiedevano una visita « o per lo meno qualche parola di incoraggiamento dalla quale si potesse capire » che a Roma si apprezzava l’attività della provincia e speravano di ottenere almeno un aiuto indiretto per « varare presso i competenti ministeri i pro­blemi agricoli della viabilità » 161.

Il Vecchi esprimeva la generale soddisfazione dei piacentini e dei cremonesi per la nomina di Muti. A Cremona si sperava « nel nuovo Segretario per essere liberati dal peso che li opprime » e a Piacenza per la sostituzione del Barboglio. Due ufficiali superiori piacentini del­la Milizia si trattenevano dieci giorni a Roma per essere ricevuti da Muti. Da indiscrezioni, trapelava che due esponenti avevano insistito « sulla necessità di combattere e disperdere per sempre lo schiavismo agrario », il quale permetteva « a gruppi di politicanti noti ed occulti, di dominare la situazione », mentre il federale si destreggiava fra « agrari e masse rurali » ,62.

« I due alti ufficiali della Milizia piacentina » erano d’accordo con Mosconi163, incaricato del servizio politico al comando generale della .Milizia, il quale «a causa del “suo” passato» aveva «un fatto perso­nale con gli agrari piacentini imperanti con grande rigore ». Bastava ad illustrare questa situazione il fatto che « il Commendatore “ B. ”. ar­ricchitosi col Fascismo e con lo Squadrismo » fino a diventare uno dei più influenti personaggi di Piacenza si permettesse « in dispregio delle leggi vigenti, [di] ridurre i salari ai rurali dipendenti e [di] non ri­spettare i contratti agrari » 164. Nessuna autorità osava intervenire. Ma si muovevano pure « i soliti congiurati, Comm. Dorio, l’ex Federale Bion­da » ed altri per tentare « l’assalto al carrozzone » 165. Essi facevano molto assegnamento sul cambiamento di prefetto166. Intanto si spargeva la voce che Muti sarebbe intervenuto ad una partita di caccia in una riserva piacentina onde incontrare i due federali, piacentino e cremone-

sta un po’ tenue ».159 Ibid. « Capo del movimento antibarbelliniano ».160 Ibid. « Figlio dei generale, ottime qualità, ma forse un po’ troppo legato ai nume­rosi aristocratici di qui ».

Ibid.162 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Nota di un fiduciario a Muti in data 3 dicembre 1939.163 II Mosconi, « semplice seniore », era stato costretto a lasciare Piacenza in seguito alle minacce di morte dei seguaci di Barbiellini e si era trasferito a Roma.164 Cfr. n. 162.165 Ibid.

Ibid.

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se, e l’on. Farinacci il quale prometteva pressioni su Muti « in favore dei due federali » esigendo in cambio « fedeltà assoluta nei suoi ri­guardi » 167. Intanto gli on. Steiner e Barbiellini tentavano di ottenere la nomina di un « federale a loro molto ligio seniore della milizia P. cognato del più autorevole degli elementi barbelliniani, avvocato F. » 168. Ma non volevano scoprirsi ed avevano spinto il ministro Riccardi ad interessarsene presso Muti. Ma P., inviso a buona parte degli squadri­sti, poteva risvegliare la fazione barbellitiiatia. Intanto aumentava il malcontento per « l’incapacità di Barboglio », il quale, tra l’altro, in una convocazione di giovani fascisti cittadini alla casa Littoria, aveva affermato pubblicamente di « non avere nessun interesse a continuare ad essere segretario federale per le 2500 lire » 169 che riceveva men­silmente, e che sarebbe stato meglio « a casa sua ». La posizione del federale si aggravava in seguito al rapporto tenuto dal Barboglio a Fiorenzuola. Alcuni fascisti di quella zona agricola avevano chiesto, tramite il segretario politico locale, di conferire circa alcuni problemi economici del territorio, quali, ad esempio, la costruzione del locale zuc­cherificio e i criteri amministrativi applicati per la gestione del Con­sorzio irriguo Val d’Arda. Ne nasceva un « vivace battibecco aspro e duro ». Il Barboglio affermava: « Io non mi voglio più interessare della provincia di Piacenza, e quando io me ne andrò, ricordatevi che io sono in condizioni di poter spendere dei buoni biglietti da mille, senza per questo avere bisogno del Partito » 17°. Il giorno dopo, d’or­dine del prefetto, gli agricoltori interpellanti erano diffidati « a non occuparsi dei problemi di zona », pena la denuncia alla « Commissione confino di Polizia » 171. La minaccia diffondeva un’« impressione pe­nosa ». Il podestà di Fiorenzuola, a pochi mesi di distanza dalla no­mina, dava le dimissioni dichiarandosi « impossibilitato » 172 a svolgere le proprie funzioni.

Si avvicinava così l’intervento italiano in una già diffusa « atmo­sfera di guerra senza peraltro alcun segno di smarrimento e d’inquie­tudine » 173. Ma non era certamente la sicurezza ostentata dal fasci­smo a determinare un simile clima, quanto l’addomesticamento del­l’opinione pubblica, il disinteresse per gli avvenimenti politici deter­minato dall’ignoranza dei fatti più elementari. Il fascismo piacentino

167 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. L’ispettore generale di ps Giuseppe D ’Andrea al capo della polizia. Bologna, 13 dicembre 1939.168 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Relazione non firmata su Piacenza e provincia. Roma, 3 febbraio 1940.169 Ibid.i™ Ibid.«> Ibid.177 Ibid.173 ACS, Archivi fascisti. PNF, cit., Piacenza. Estratto relazione 3 giugno 1940.

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si avviava alla prova decisiva per il regime sempre chiuso nella cer­chia dei contrasti locali, quelli stessi che, modellandosi via via sul mutare delle condizioni generali, ne avevano accompagnato le vicende sin dall’inizio.

G iuseppe Berti