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31 marzo 2016 13 I loro figli sono nati e cresciuti in Belgio. Poi si sono radicalizzati e sono andati a combattere per l’Is. E tornano per compiere stragi, come quella del 22 marzo. I racconti, il dolore e la lotta delle donne che li hanno messi al mondo di Davide Lerner da Bruxelles foto di Poulomi Basu Noi, le madri dei terroristi A BRUXELLES TUTTI SI ASSICURANO di non avere parenti o amici fra le vittime. A Molenbeek la paura è avere parenti o amici fra i carnefici. Come le mamme di questo quartiere: quelle i cui figli sono partiti per fare la “guerra santa” in Siria o Iraq e potrebbero essere tornati, in se- greto, per compiere stragi. Molte di queste madri dove- vano trovarsi in Rue de l’École 76, a Bruxelles, alle 16.30 di martedì 22 marzo: proprio il giorno degli attentati. Sono invece rimaste attaccate al telefono, chiuse nelle loro case. «Devi perdonarmi ma siamo tutte nel panico», si scusa frettolosamente Jamila Hamdaoui, una delle re- sponsabili dell’associazione “Les Parents Concernés” (Genitori preoccupati): «Molte di noi non riescono a entrare in contatto con i figli, e non sono ancora usciti i nomi dei responsabili degli attacchi». Molenbeek è un bel comune a due passi dal centro di Bruxelles, una ventina di minuti a piedi dal quartiere delle istituzioni europee. Qui si era appena tirato un so- spiro di sollievo per la fine della caccia a Salah Abdelslam, senza sapere che la tem- pesta era pronta a ricominciare. «Ho già perso un figlio in Siria: scongiurare che un altro dei miei bambini diventi un estremi- sta è la sola cosa che mi fa andare avanti giorno dopo giorno», racconta Malika, un’altra delle madri. «In questi quartieri ci conosciamo un po’ tutti», spiega una terza che agli incontri indossa sempre un hijab rosa con le perline argentate: «Se non è un parente diretto ad essere coin- L’ATTESA DI CHANTAL Chantal Dubois, 65 anni, nella sua casa di Molenbeek. Il figlio ha lasciato il Belgio nel 2012 per la Siria e da allora la donna non ha più sue notizie e le sue ricerche sono state infruttuose. Spera sia ancora vivo

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Page 1: Noi, le madri dei terroristicia». Però non gli porta rancore e ogni tanto gli parla su Skype: «Non cerco nemmeno di convincerlo a tornare, conosco le ingiustizie che se lo sono

31 marzo 2016 13

I loro !gli sono nati e cresciuti in Belgio. Poi si

sono radicalizzati e sono andati a combattere

per l’Is. E tornano per compiere stragi, come

quella del 22 marzo. I racconti, il dolore e la

lotta delle donne che li hanno messi al mondo

di Davide Lerner da Bruxelles

foto di Poulomi Basu

Noi, le madridei terroristi

ABRUXELLES TUTTI SI ASSICURANO di non avere parenti o amici fra le vittime. A Molenbeek la paura è avere parenti o amici fra i carne�ci. Come le mamme di questo quartiere: quelle i cui �gli sono partiti per fare la “guerra santa” in Siria o Iraq e potrebbero essere tornati, in se-

greto, per compiere stragi. Molte di queste madri dove-vano trovarsi in Rue de l’École 76, a Bruxelles, alle 16.30 di martedì 22 marzo: proprio il giorno degli attentati. Sono invece rimaste attaccate al telefono, chiuse nelle loro case. «Devi perdonarmi ma siamo tutte nel panico», si scusa frettolosamente Jamila Hamdaoui, una delle re-sponsabili dell’associazione “Les Parents Concernés” (Genitori preoccupati): «Molte di noi non riescono a entrare in contatto con i �gli, e non sono ancora usciti i nomi dei responsabili degli attacchi».

Molenbeek è un bel comune a due passi dal centro di Bruxelles, una ventina di minuti a piedi dal quartiere delle istituzioni europee. Qui si era appena tirato un so-

spiro di sollievo per la �ne della caccia a Salah Abdelslam, senza sapere che la tem-pesta era pronta a ricominciare. «Ho già perso un �glio in Siria: scongiurare che un altro dei miei bambini diventi un estremi-sta è la sola cosa che mi fa andare avanti giorno dopo giorno», racconta Malika, un’altra delle madri. «In questi quartieri ci conosciamo un po’ tutti», spiega una terza che agli incontri indossa sempre un hijab rosa con le perline argentate: «Se non è un parente diretto ad essere coin-

L’ATTESA DI CHANTAL

Chantal Dubois, 65 anni,

nella sua casa di Molenbeek.

Il figlio ha lasciato il Belgio

nel 2012 per la Siria e da

allora la donna non ha più

sue notizie e le sue ricerche

sono state infruttuose.

Spera sia ancora vivo

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Dopo Bruxelles / Esclusivo

volto, è probabile che sia qualcuno di noto alla famiglia, almeno un conoscente…».

QUEL LETTO RIMASTO VUOTO «Un giorno venne da me e disse: posso partire per un matrimonio islamico, mamma? Certo che ci puoi andare, risposi stupita, non immaginavo intendesse partire per il jihad». Il giorno dopo il letto era vuoto, e alla prima battaglia siriana un proiettile trapassava la tempia del diciannovenne Sabri, missionario “sposo” dell’Islam. Saliha Ben Ali, la madre, da allora ha deciso di convocare periodicamente quelle che chiama «le orfane d’enfants»: le mamme che come lei si sono viste portare via il !glio dalla causa dell’Islam radicale. Obiettivo: capire che cosa è successo, aiutare le altre madri dei quartieri a rischio a «non fare la nostra stessa !ne», estirpare il fenomeno dei fo-reign !ghter dal Paese che detiene il record Ue nel rapporto tra combattenti e numero di abitanti. La costante attività nelle scuole, nelle case di Molen-beek ma anche di Schaerbeek e Vilvoorde, non potrebbe continuare senza i loro incontri prepa-ratori al centro Vaartkapoen - in !ammingo signi-!ca “Ragazzacci”, ma è solo un caso - nel pieno centro di Molenbeek. Ci arrivano ogni settimana, una dopo l’altra, i capi velati e i bambini per ma-no. Tutto intorno i bar sono gremiti di uomini, che sorseggiano tè alla menta fumando narghilè mediorientali. Non si vede mai una donna in questi luoghi d’incontro rigidamente maschili, sugli schermi i notiziari sostituiscono le cronache sportive in questi giorni di catture e di nuovi attentati.

CONTRO L’OMERTÀ, COME DA VOI CON LA MAFIA«Non sono solo i nostri uomini: anche lo Stato ci sta la-sciando sole», spiega Malika, una delle poche con il !glio ancora vivo, sebbene nelle !le di Daesh. «Le istituzioni sembrano non capire che la repressione è soltanto la cura estrema di un malanno che andrebbe invece prevenuto». È d’accordo Annalisa Gadaleta, assessore all’Istruzione di Molenbeek, che riceve “l’Espresso” nella sede del comune, a poche ore dagli attentati. «Queste donne eroiche mi ri-cordano Falcone e Borsellino», dice con le lacrime agli

occhi, ricordando i suoi ultimi anni italiani prima del trasferi-mento in Belgio, nel 1994: «Com-battono l’omertà che protegge il fenomeno jihadista facendo cul-tura nelle scuole, portando la bat-taglia sul piano culturale, proprio come i magistrati facevano contro la ma!a». Il nuovo “Plan Canal”, un programma da 300 milioni proposto dal Ministro dell’Inter-no Jan Jambon per contrastare l’islamismo nei comuni a rischio della capitale, dovrebbe rafforza-re la polizia di Molenbeek che al momento è a corto di personale di almeno 70 agenti. Poco o nulla è previsto per i servizi sociali - pro-prio da lì bisognerebbe comincia-re, secondo le madri - e per inizia-

tive di sensibilizzazione e sostegno culturale come quelle che loro propongono di continuo.

UNA BIRRA E UNA CANNA PRIMA DELLA STRAGE «Lo so che per voi è impensabile, dopo quello che è suc-cesso, ma non sono cattivi», sostiene Jamila Hamdaoui parlando di suo !glio e di quelli come lui: «Amano le bevute, le discoteche e le donne, come tutti i ragazzi di quell’età. Hanno solo bisogno d’aiuto». Parole di una madre, naturalmente: e di una madre disperata. Ma che non ci sia coerenza tra i comportamenti e il fanatismo religioso di quei giovani lo dice anche Othman, un taxista che abita nella stessa via dove è avvenuta la cattura di Salah Abdelslam. Racconta di averlo incontrato in un locale con una birra e una canna in mano a sole tre setti-

«UN GIORNO MI HA DETTO:

MAMMA, POSSO PARTIRE PER

UN MATRIMONIO? MA ERA UNA

BUGIA. STAVA ANDANDO A

UCCIDERE PER IL CALIFFO. ORA

SONO UN’ORFANA DI FIGLIO»

AMORE, MALGRADO TUTTO Saliha Ben Ali, 49 anni, madre di Sabri, 19 anni, morto in Siria nel 2013. A destra: la foto di Sabri con la scritta: «Figlio mio, un giorno hai deciso di partire senza dirci nulla. Sei andato laggiù e il tempo si è fermato. Non te ne vogliamo perché per noi non sei stato tu a scegliere. Con il nostro amore per sempre. Mamma, papà, Ismail, Mehdi, Zineb. Manchi a tutti noi»

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mane dagli attacchi del Bataclan: «Mai conosciuto nes-suno con uno stile di vita più libertino», ride.

«MA DI ISLAM NON SANNO QUASI NIENTE»«Lasciate perdere la religione, è l’esclusione sociale che ce li porta via», scandisce Malika, rilanciando la tesi di Ga-daleta. Suo "glio Mohammed poco prima di partire per la Siria le urlò: «Mamma, se solo mi chiamassi Jean-Jacques, se fossi biondo e bianco come loro, oggi mi girerei i pollici in un uf"cio guadagnando un buono stipendio».

Tornano i conti anche per Fabio Merone, esperto d’Islam politico all’università di Anversa: «Il disagio socio-econo-mico è la chiave, la loro violenza è rabbia vestita d’Islam», dice. La loro conoscenza dell’universo religioso «è ancora più scarna di quella che i nostri estremisti rossi avevano dell’ideologia comunista negli anni Settanta», aggiunge. Più giovani e ignoranti di quelli che partirono dal Belgio per andare a combattere contro i russi nell’Afghanistan degli anni Ottanta, più frustrati e arrabbiati di quelli par-titi per la Bosnia dieci anni più tardi o per l’Iraq nel 2003: questo il pro"lo che emerge dei foreign "ghter belgi, men-tre l’agenzia viaggi in fondo alla strada continua a stacca-

re biglietti di sola andata per la Turchia. «Le madri sono ancora troppo sospettose per venire a chiederci aiuto», si rammarica Saliha Ben Ali, «e anche quando sentono che qualcosa non va, non si rivolgono alle associazioni temen-do che facciamo da delatori per la polizia».

E SABRI PENSÒ: «MEGLIO TERRORISTA CHE SPAZZINO»Saliha continua a descrivere il percorso di suo "glio Sabri. Racconta che da ragazzo soffriva moltissimo le dif"coltà di rapporto con i compagni di scuola, distanza che attribuiva alle origini straniere e alla fede per l’Islam. «Non andò me-glio al momento di cercare un lavoro», dice: «Ricordo an-cora la sua frustrazione dopo i tentativi di entrare nell’eser-cito e nel corpo dei pompieri della città». Il posto da spaz-zino - ripudiato quasi subito perché degradante agli occhi del padre - fu l’ultimo atto prima dei mesi della radicalizza-zione e dell’identi"cazione della propria frustrazione con quella dei popoli musulmani nel mondo, soprattutto i pale-stinesi. «Il check-point israeliano rappresenta il male asso-luto per molti ragazzi disagiati di qui», spiega Karim, che gestisce un’associazione indipendente per sostenerli. «Il rapporto con Sabri ha cominciato a incrinarsi quando

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ha cominciato a frequentare gente brutta», continua Sa-liha. «Poi, un giorno, volle vedere i nonni per restare a !ssarli delle ore senza parlare: un altro segnale dell’immi-nente partenza che non ho saputo interpretare».

«CI DICEVA: PAPÀ, MAMMA, SIETE DUE TRADITORI» Malika ricorda il messaggio via Facebook di suo figlio Mohammed qualche tempo dopo la sparizione: «Sono in Si-ria», semplicemente. Ma già i mesi precedenti erano stati un tormento: «Mio !glio ha iniziato a vedere me e mio marito come traditori della causa, ha preso a trattarmi a pesci in fac-cia». Però non gli porta rancore e ogni tanto gli parla su Skype: «Non cerco nemmeno di convincerlo a tornare, conosco le ingiustizie che se lo sono portato via di qui. Quando ci sentiamo faccio !nta di nulla, non parlia-mo di jihadismo, di politica o di Daesh. Gli chiedo solo se sta be-ne, come ha dormito, cosa ha mangiato».

Un’altra madre, capelli tinti e niente velo, non vuole dare il proprio nome ma racconta: «Ho capito che le cose stavano comin-ciando a mettersi male quando mio !glio ha cominciato a venir-sene fuori con delle massime isla-miche: noi siamo una famiglia completamente laica e io non ho mai saputo nulla di religione». Allora, spiega sistemandosi i ca-

pelli sopra il bagliore rosso de-gli orecchini perlati, ha provato a mandarlo da un amico !dato

che invece d’Islam si intende. Ma non ha funzionato: «Il risul-tato è che ha travisato tutto, è tornato più arrogante di prima».

Fatima racconta di quanto abitava nella casa bianca di Place Communale, la bella piazza del mercato dove i sanpie-trini scintillano sotto la pioggia. A un piano di distanza abi-tavano gli Abdelslam, la famiglia del terrorista più noto d’Europa. «Ho portato mia !glia in grembo mentre la madre di Salah era incinta di lui, abbiamo partorito a pochi giorni di distanza. Ma adesso, lo ammetto, ho tagliato i ponti per evitare di essere arrestata».

Da quella casa, del resto, gli Abdelslam hanno fatto le valige da tempo, stremati dalle insistenze degli unici che i ponti non li volevano tagliare, i giornalisti. A poche vie di distanza è !ni-

ta la fuga di Salah, in una parte della cittadina che i locali de!-niscono ancora “la Little Italy di Molenbeek”. Dopo le grandi migrazioni italiane verso le mi-niere negli anni Quaranta, in-fatti, tantissimi nostri conna-zionali si spostarono proprio a Molenbeek, negli anni Sessanta e Settanta. A spingerli furono le opportunità offerte dalle indu-strie che si affacciavano sul ca-nale, oltre che la progressiva chiusura delle miniere negli anni successivi alla tragedia di Marcinelle. Oggi però sui circa 100 mila abitanti di Molenbe-ek, gli italiani sono soltanto

IL VESTITO ABBANDONATOLa vista del quartiere dalla casa di Saliha Ben Ali. Il figlio Sabri sapeva che lei non gli avrebbe mai dato il permesso di andare in Siria. Lui si è inventato un finto matrimonio. Una mattina la stanza di Sabri era vuota: era partito. Saliha ha trovato nascosta sotto il letto, la “djellaba” (foto sotto), la veste tradizionale che aveva detto di voler indossare per la cerimonia. Così ha capito la verità

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1.700: sostituiti da magrebini, turchi e mediorientali, proprio negli anni in cui la deindustria-lizzazione si portava via la fon-te di reddito principale di quest’area popolare. «Oggi qui la disoccupazione giovani-le è al 50 per cento e sono 30 mila i giovani al di sotto dei 25 anni», dice Annalisa Gadaleta.

L’attivismo di queste madri le sta rendendo sempre più conosciute. L’assessore all’edi-lizia Karim Majoros le ha con-sultate sulla gestione delle case popolari. Mentre Marcella Militiello, rappresentante dell’associazione Libera a Bru-xelles, vorrebbe coinvolgerle in un incontro con delle fami-glie italiane colpite dalla ma�a: «Ha ragione Gadaleta, ci sono molti aspetti in comune tra le due vicende, pur così diverse. Ad esempio, qui le seconde generazioni di immigrati (che non si sentono né legate al Bel-gio né ai paesi d’origine), tro-vano nell’Is un’identità forte, come nel Mezzogiorno d’Italia molti giovani ma�osi o camor-risti». Poi c’è il denaro, che aiuta a portarseli via: la massi-ma di Borsellino “segui il dena-ro trovi la ma�a” torna utile anche a capire le scelte dei fo-reign �ghter, secondo la Militiello. Il loro numero, intanto, continua a salire: in Belgio sarebbero ormai circa 450, al netto di quelli rientrati, fra cui l’attentatore del museo ebraico di Bruxelles che era stato almeno un anno in Siria. La classi�ca per numero assoluto rimane dominata dalla Francia, con circa 1.200, seguita da Inghilterra, Germania e Olanda. Il totale di foreign �ghter europei sarebbe fra i 3.000 e i 5.000, secondo le stime del direttore di Europol Rob Wainwright.

NO WAR, FUCK DAESH

Salutiamo le madri e lasciamo il quartiere, blindato come in guerra. Bastano dieci minuti di cammino dalla casa popo-lare dove è stato catturato Salah e si arriva a la Bourse, dove già poche ore dopo gli attentati i cittadini avevano ricoperto una strada di scritte come “No war” e “fuck Daesh” fatte col pastello. Non importa chi ha scritto quel-le parole sui muri: ma questa, così dif�cile e contromano, è anche la battaglia delle mamme di Molenbeek. F

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Luogo dell’attentato

Rivendicazione/attribuzione

Londra

ParigiSt.Denis

Madrid

Bruxelles

Gli attentati in Europa

Regno Unito/Londra

Metro

56 morti

Attentato suicida

Al Qaeda

7 luglio 2005

Francia/Parigi-St.Denis

Charlie Hebdo

Supermercato kosher

17 morti

Autori uccisi dalla polizia

Al Qaeda e Stato

Islamico

7-9 gennaio 2015

Francia/Parigi

Locali pubblici

130 morti

Attentati suicidi

Stato Islamico

13 novembre 2015

Belgio/Bruxelles

Aeroporto e Metro

31 morti

Attentato suicida

Isis

22 marzo 2016

Spagna/Madrid

Treno

191 morti

Bombe

Al Qaeda

11 marzo 2004

Europa insanguinata

Da al Qaeda all’Is. Nella cartina, i luoghi dei maggiori attentati terroristici

sul suolo europeo. I primi due, Madrid e Londra, furono opera dell’organizzazione

di Osama bin Laden. In Francia hanno agito insieme al Qaeda e Stato islamico.

In Belgio la paternità è tutta del califfo Abu Bakr al-Baghdadi

Il 22 marzo poco prima delle 8 i fratelli Khalid e Brahim

el-Bakraoui, già ricercati dalle forze antiterrorismo belghe,

si fanno esplodere davanti ai banchi del check-in

dell’American Airlines nell’aeroporto di Zaventem,

Bruxelles. Ad aiutarli l’arti#ciere Najim Laachroui,

lo stesso degli attentati di Parigi, che è riuscito a fuggire.

Alle 9,11 un’altra esplosione si veri#ca alla fermata

della metropolitana Maelbeek, vicino alle istituzioni

dell’Unione europea.

Le vittime complessivamente sono 31, tra cui

una donna italiana, rimasta uccisa nella metropolitana.

I feriti sono oltre 250. Le stragi hanno coinvolto 40 nazioni

fra morti e feriti. Gli attentatori sono arrivati

in taxi all’aeroporto, con le bombe nascoste nei bagagli.

Il tassista ha condotto gli inquirenti al covo della banda

a Schaerbeek, dove sono stati rinvenuti esplosivi,

chiodi e anche una bandiera dello Stato islamico. F. B.

I fatti