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Universit ` a degli studi di Salerno Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea Triennale in Fisica NEBULOSE PLANETARIE Relatore: Prof. VALERIO BOZZA Candidata: ROSA MARTUCCIELLO Matricola: 0512600187 Anno Accademico 2016/2017

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Universita degli studi di Salerno

Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e NaturaliCorso di Laurea Triennale in Fisica

NEBULOSE PLANETARIE

Relatore:Prof. VALERIO BOZZA

Candidata:ROSA MARTUCCIELLO

Matricola:0512600187

Anno Accademico 2016/2017

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Indice

1 Introduzione 3

2 Le nebulose planetarie 72.1 Evoluzione delle stelle di piccola e media massa . . . . . . . . 72.2 Ramo asintotico delle giganti (AGB) . . . . . . . . . . . . . . 82.3 Formazione della nebulosa planetaria . . . . . . . . . . . . . . 102.4 Evoluzione delle stelle centrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

3 Morfologia delle nebulose planetarie 153.1 Classificazioni morfologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153.2 Relazione tra la morfologia nebulare e alcune proprieta della

stella centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

4 Spettroscopia nebulare 234.1 Fotoionizzazione e ricombinazione . . . . . . . . . . . . . . . . 254.2 Linee di emissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

4.2.1 Linee di ricombinazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 294.2.2 Righe di eccitazione collisionale . . . . . . . . . . . . . 32

4.3 Determinazione della temperatura elettronica e della densita . 334.4 Determinazione delle abbondanze chimiche . . . . . . . . . . . 37

5 Nebulose planetarie extragalattiche 415.1 Nebulose planetarie come indicatori di distanza . . . . . . . . 425.2 Nebulose planetarie e materia oscura . . . . . . . . . . . . . . 45

6 Conclusioni 51

Bibliografia 53

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2 INDICE

Figura 1: Un collage di 22 nebulose planetarie mostrate approssimativamentein scala.

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Capitolo 1

Introduzione

Figura 1.1: La nebulosa planetaria M27. Immagine presa dahttp://oposite.stsci.edu/pubinfo/pr/97/pn/photo-gallery.html

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4 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

La prima nebulosa planetaria fu osservata da Charles Messier nel 1764,elencata come M27 (Figura 1.1) nel suo catalogo di oggetti nebulosi (Kwok2000). Il nome “nebulosa planetaria” fu coniato intorno al 1780 da WilliamHerschel, che descrisse questi oggetti come sistemi planetari in fase di for-mazione. Infatti, con i primi telescopi a bassa risoluzione, M27 e le nebuloseplanetarie scoperte successivamente sembravano simili al disco verdastro diun pianeta. Le nebulose planetarie si distinguevano da altri tipi di nebulosain quanto avevano strutture definite ed erano associate ad una stella centra-le. La vera natura delle nebulose planetarie (PN) rimase sconosciuta fino alleprime osservazioni spettroscopiche, effettuate da William Huggins nel XIXsecolo. Egli, infatti, riuscı ad ottenere il primo spettro di una nebulosa pla-netaria (NGC 6543). Gli spettri delle nebulose planetarie sono dominati dalinee di emissione, a differenza dello spettro continuo delle stelle. La primalinea di emissione identificata fu una linea Balmer dell’0idrogeno (Hβ), seb-bene fossero presenti linee piu intense associate ad un elemento sconosciutodenominato “nebulium”. Hubble (1922) dimostro che lo spettro di emissionedi una PN e il risultato dell’assorbimento, da parte della nebulosa, della ra-diazione continua proveniente dalla stella centrale. Un grande passo in avantifu compiuto da Bowen nel 1928, il quale identifico le linee di emissione piuintense associate ad elementi conosciuti ma in condizioni inusuali. Egli mo-stro che queste linee si originano da transizioni proibite di stati metastabiliin alcuni atomi e ioni. Queste transizioni non sono osservabili in laborato-rio, poiche e impossibile riprodurre le condizioni di bassa densita del mezzointerstellare.

La comprensione teorica dell’origine delle PN inizio con il lavoro di Sh-klovskii (1956a,b), il quale suggerı che le PN sono i progenitori delle nanebianche e i discendenti delle giganti rosse. Qualche anno dopo Abell e Gol-dreich (1966) utilizzarono le velocita di espansione delle PN e le velocita difuga delle giganti rosse per dimostrare che le PN sono le atmosfere espulsedelle giganti rosse. Il modello evolutivo delle PN ha subito dei cambiamentiin seguito al progresso dei modelli evolutivi stellari e grazie alle moderneosservazioni.

Lo studio delle nebulose planetarie e di grande interesse non solo perchepermette di ricavare le proprieta fisiche di questi oggetti come la massa, ladensita, la temperatura e la composizione chimica, ma anche perche svolgonoun ruolo importante nella fase evolutiva delle stelle di piccola e media massa.Inoltre le PN rappresentano un laboratorio ideale per lo studio dell’intera-zione tra radiazione e materia, in cui hanno luogo interessanti processi fisicinon osservabili in ambiente terrestre. La radiazione emessa dalla stella vie-ne assorbita dalla nebulosa, che quindi contiene materia in forma ionizzata,atomica, molecolare e allo stato solido. Tuttavia esistono alcune questioni

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ancora aperte che riguardano la morfologia delle PN e la determinazione delledistanze delle nebulose planetarie galattiche.

L’origine fisica delle differenti morfologie delle PN rappresenta una dellesfide piu grandi nella ricerca delle PN. Ci sono stati due differenti approccinell’interpretare la morfologia di una PN. Il primo consiste nel rappresen-tare la varieta delle morfologie come differenti punti di vista di una singolastruttura tridimensionale (Khromov e Kohoutek, 1968), mentre il secondoconsidera le diverse forme delle PN come il risultato del vento interagenteproveniente dalla stella centrale (Balick, 1987).

La distanza di una PN rappresenta un importante parametro fisico perdeterminare la sua dimensione, massa nebulare, luminosita, densita spazia-le e distribuzione galattica. I metodi standard per la determinazione delledistanze non sono di solito applicabili alle PN a causa della loro eccessivalontananza. Di conseguenza sorge la necessita di introdurre metodi specificiper le nebulose planetarie che sono applicabili a singoli casi.

Nel capitolo 2 sono riportate alcune informazioni generali sulle nebuloseplanetarie, come il processo di formazione delle nebulose, ripercorrendo lefasi evolutive della stella centrale. Nel capitolo 3 viene trattata la classifi-cazione morfologica delle nebulose in relazione al modello del vento stellareinteragente. Nel capitolo 4 viene descritto il processo di formazione deglispettri ad emissione e viene spiegato come ricavare, dall’analisi delle righespettrali, quantita fisiche della nebulosa come temperatura, densita e abbon-danze chimiche. Nel capitolo 5 viene sottolineata l’importanza dello studiodelle nebulose planetarie, usate come indicatori di distanza e come prove perl’esistenza di materia oscura. Il capitolo 6 presenta le conclusioni di questolavoro.

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6 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE

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Capitolo 2

Le nebulose planetarie

Una nebulosa planetaria e costituita da gusci di gas ionizzato in espansione,espulsi durante la fase finale della vita di stelle di piccola e media massa(∼ 1 - 8 M ); queste stelle non raggiungono mai una temperatura suffi-cientemente alta per innescare la fusione del carbonio, ma attraversano unafase evolutiva chiamata “ramo asintotico delle giganti” (AGB), caratterizza-ta dall’espulsione degli strati piu esterni della stella tramite forti venti che siespandono e formano la nebulosa. La stella inizia a contrarsi ed aumenta lasua temperatura, provocando l’emissione di radiazione ultravioletta che io-nizza l’involucro circumstellare. Questo involucro di gas assorbe la radiazioneUV ed emette uno spettro dominato da linee di ricombinazione e proibite.

Quando la fusione dell’idrogeno nel guscio che circonda il nucleo termina acausa delle reazioni nucleari, la stella centrale si raffredda gradualmente perdiventare una nana bianca. In queste condizioni la radiazione provenientedalla stella centrale non e piu in grado di ionizzare la nube di gas, ponendofine all’emissione da parte della PN.

2.1 Evoluzione delle stelle di piccola e media

massa

Durante questa prima e lunga fase del suo ciclo vitale, la stella si pone al-l’interno della sequenza principale in una posizione che e determinata prin-cipalmente dalla sua massa; questa fase e caratterizzata dal bruciamentodell’idrogeno nel nucleo.

Quando tutto l’idrogeno e stato convertito in elio al centro della stella,il nucleo inizia a contrarsi a causa della forza gravitazionale. La contrazionedel nucleo produce un aumento della temperatura interna della stella e laformazione di un guscio di gas intorno al nucleo di elio in cui avviene il

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8 CAPITOLO 2. LE NEBULOSE PLANETARIE

bruciamento dell’idrogeno; in queste condizioni gli strati esterni della stella siespandono a causa della forte pressione di radiazione proveniente dalla zona dibruciamento dell’idrogeno. In questa fase evolutiva la stella percorre il ramodi giganti rosse (RGB), caratterizzata da un aumento delle dimensioni dellastella e della sua luminosita e una conseguente diminuzione delle temperaturasuperficiale, che in tal modo emette radiazione a lunghezze d’onda maggioridiventando piu rossa.

La continua contrazione del nucleo della stella fa innalzare la sua tempe-ratura accelerando il tasso di reazioni nucleari nel guscio di idrogeno. Quandoil nucleo raggiunge temperature che superano i 108 K si innesca la fusionedell’elio nel nucleo della stella.

Quando tutto l’elio e esaurito, si forma un nucleo di carbonio e ossigenoin stato degenere; tuttavia per stelle di massa M < 8 M non si raggiungonole temperature richieste per la fusione del carbonio in nuclei piu pesanti.Le reazioni nucleari nel nucleo terminano ma la sua contrazione porta adun’espansione degli strati piu esterni della stella; questo e l’inizio del ramoasintotico delle giganti (AGB).

2.2 Ramo asintotico delle giganti (AGB)

Durante la fase di gigante asintotica, le stelle di piccola e media massasviluppano un nucleo di C-O degenere dopo l’esaurimento dell’elio nel nucleo.

Una stella AGB e composta da un nucleo degenere di carbonio e ossigeno,una zona di bruciamento dell’elio, uno strato composto principalmente di elioe, in minore quantita, di carbonio, neon e ossigeno, una zona di bruciamentodell’idrogeno e un profondo strato convettivo, come mostrato in Figura 2.1.

Il ramo asintotico delle giganti e caratterizzato da due fasi distinte: ilramo asintotico iniziale (Early asymptotic giant branch, E-AGB), e unafase contraddistinta dalle cosiddette pulsazioni termiche (Thermal pulsingasymptotic giant brach, TP-AGB). La prima fase (E-AGB) e dominata dalbruciamento dello strato di He mentre lo strato di H si spegne come risulta-to dell’espansione dell’involucro; questa fase dura ∼ 107 yr (Iben e Renzini,1983).

La seconda fase (TP-AGB) inizia con la riaccensione del sottile strato diH che rappresenta la principale fonte di energia. Tuttavia, quando la massadello strato di He aumenta, si verifica un aumento del tasso delle reazioninucleari che causa un evento conosciuto come “flash dell’elio” o “pulsazionetermica”. Lo strato di bruciamento di He e termicamente instabile, e pulsacirca ogni 104 yr (Karakas, Lattanzio, Pols, 2002), a seconda della massadel nucleo e dalla composizione della stella. In ogni pulsazione termica, la

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2.2. RAMO ASINTOTICO DELLE GIGANTI (AGB) 9

Figura 2.1: Struttura di una stella nella fase AGB (Karakas, Lattanzio, Pols,2002). Questa figura non e in scala: il rapporto tra lo spessore radiale delnucleo di C-O e quello della zona convettiva e circa 1 x 10−5.

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10 CAPITOLO 2. LE NEBULOSE PLANETARIE

Figura 2.2: Schema del modello di Interacting Stellar Winds (Kwok, 2000)

luminosita dello strato di He puo raggiungere ∼ 108 L. Questo evento durafinche lo strato di He si espande e si raffredda e la stella ritorna alla fasedi bruciamento di H. Questo processo si ripete ciclicamente, dando origineal fenomeno delle pulsazioni termiche. Durante la fase AGB, una stella puosubire un certo numero di pulsi termici che dipendono dalla sua massa. Dopoun flash di He, la base della zona convettiva si estende in profondita fino araggiungere la discontinuita H/He e avviene un fenomeno conosciuto come“dredge up”, che consiste nel trasporto degli elementi prodotti dalle reazioninucleari fino in superficie. Durante la fase di dredge up, si verifica un aumentodell’elio e dell’azoto presenti in superficie; questi elementi, infatti, risultanovisibili nello spettro della stella. (L’aumento del N e dovuto alla precedenteconversione di C e O in N nella regione tra le due shell di H e He).

2.3 Formazione della nebulosa planetaria

Durante la fase AGB, le stelle subiscono consistenti fenomeni di perdita dimassa. I meccanismi che guidano tali fenomeni non sono completamentecompresi, tuttavia l’avvento dell’astronomia dell’infrarosso ha reso possibile,

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2.3. FORMAZIONE DELLA NEBULOSA PLANETARIA 11

dall’inizio degli anni ’70, l’osservazione diretta del materiale esplulso; furonotrovati, inoltre, alti tassi di perdita di massa di 10−5 M yr−1 (Kwok, 2000)per stelle nell’ultima fase AGB. Questo implica che il tempo di vita dellestelle nella fase AGB e controllato dall’espulsione di massa dalla superficietramite vento stellare. Tale fase termina con la completa rimozione dellostrato esterno di idrogeno attraverso il processo di perdita di massa, guida-to da pulsazioni termiche combinate con la pressione di radiazione; questocausa una riduzione in dimensioni della stella che mantiene la sua luminositapressoche costante grazie alla zona di bruciamento di H. Quando la tempera-tura della stella supera i 30000 K, si sviluppa un debole vento causato dallapressione di radiazione UV che ionizza l’involucro di gas circostante, il qualeemette righe di ricombinazione e proibite rendendo cosı visibile la nebulosaplanetaria.

La possibilita che gli involucri circumstellari delle stelle nella fase AGBpotessero essere responsabili della formazione delle PN fu considerata ancheda Paczynski (1971b); il suo modello tuttavia presentava diversi problemi:le velocita di espansione osservate per le PN erano maggiori rispetto allevelocita del vento stellare per le stelle AGB; le densita osservate per le PNerano piu grandi rispetto alle densita degli involucri circumstellari delle AGB.Da queste osservazioni si poteva dedurre che le PN non erano semplicementegli involucri delle stelle AGB espulsi nel mezzo interstellare, ma era necessariointrodurre un meccanismo che fosse in grado di spiegare l’accelerazione e lacompressione che subiva l’involucro di una stella AGB nel formare una PN.

Un modello per la formazione di una nebulosa planetaria fu propostoda Kwok, Purton e Fitzgerald (1978), che introdussero il concetto di ventostellare interagente (Interacting Stellar Winds - ISW).

Il modello ISW suggerisce che la nebulosa planetaria rappresenta un rias-setto del materiale espulso in un lungo periodo di tempo, formata comerisultato dell’interazione tra un debole vento stellare proveniente dalla stellaAGB e un rapido vento sviluppatosi nella stella centrale che comprime e ac-celera l’involucro circumstellare della stella AGB. Il rapido vento stellare noninteragisce direttamente con l’involucro di gas emesso nella fase AGB. Se lamaggior parte dell’energia cinetica viene trasformata in energia termica nelpunto in cui si verifica lo scontro tra il vento stellare e lo strato esterno digas, si forma una regione di gas ad alte temperature denominata ’bolla’, checomprime il materiale precedentemente espulso in un anello molto denso (PNshell). Poiche sono presenti tre componenti (il debole vento, il rapido vento,anello denso espulso), si formeranno due fronti d’urto: un fronte d’urto piuinterno dovuto al rapido vento proveniente dalla stella centrale, una regioneintermedia in cui e presente un anello di gas compresso e un fronte d’urto piuesterno dovuto al debole vento scaturito dalla stella nella fase AGB. Nella

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12 CAPITOLO 2. LE NEBULOSE PLANETARIE

Figura 2.2 e mostrato uno schema del modello ISW.Secondo il modello proposto da Kwok, una PN e un sistema dinamico la

cui evoluzione e fortemente legata all’evoluzione della stella centrale, questoimplica che l’espansione della nebulosa avvenga sulla stessa scala dei tem-pi dell’evoluzione della stella centrale. Sebbene il modello ISW spiega consuccesso molte delle proprieta delle PN come la densita, la velocita di espan-sione, e la struttura a shell, il modello fa anche predizioni differenti. Essopredice l’esistenza di un debole alone come risultato del restante involucrodelle stelle AGB fuori dal denso anello nebulare; prevede inoltre che tuttele stelle centrali presentino alte velocita dei venti, e l’emissione di raggi Xprovenienti dalla calda bolla. Tutte queste previsioni sono state confermatedalle osservazioni.

2.4 Evoluzione delle stelle centrali

La nebulosa planetaria rappresenta una breve fase ( ∼ 104 anni) dell’evolu-zione stellare tra il ramo asintotico delle giganti (AGB) e le nane bianche. Lestelle centrali delle PN sono cio che rimane dei nuclei degeneri di C-O dellestelle AGB, che hanno perso la maggior parte dell’involucro di H dovuto allaperdita di massa nella fase AGB. Le stelle centrali continuano a produrre laloro energia attraverso il bruciamento della shell di idrogeno ed evolvono conluminosita costante da basse ad alte temperature nel diagramma H-R, comemostrato in Figura 2.3.

Quando il loro involucro di idrogeno e consumato dalla combinazione direazioni nucleari e perdita di massa, la loro luminosita inizia a decrescere ele stelle centrale gradualmente si raffreddano per entrare nella fase di nanabianca (∼ 109 anni) . Questo scenario fu sottolineato da Paczynski (1971),e fu confermato dai calcoli sui modelli evolutivi di Schonberner (1979).

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2.4. EVOLUZIONE DELLE STELLE CENTRALI 13

Figura 2.3: Evoluzione sul diagramma H-R per stelle di massa 0.6 M, 0.8M, 1.2 M ( Paczynski, 1971).

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14 CAPITOLO 2. LE NEBULOSE PLANETARIE

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Capitolo 3

Morfologia delle nebuloseplanetarie

Esiste una notevole varieta di forme di nebulose planetarie, alcune delle qualimolto complesse e bizzarre. La grande varieta di morfologie e in parte dovutaall’effetto di proiezione: la stessa nebulosa vista sotto punti di vista diversiavra aspetti diversi. Quindi e molto difficile trarre conclusioni che riguardanole strutture intrinseche delle PN basate solo sulle loro forme apparenti, senzaconsiderare l’orientazione spaziale della nebulosa rispetto alla linea di vista.Per tale motivo comprendere l’origine fisica delle differenti morfologie dellePN rappresenta una vera e propria sfida.

3.1 Classificazioni morfologiche

Le nebulose planetarie sono raggruppate in classi morfologiche in base allaloro struttura apparente. Dai primi studi condotti da Curtis (1918) sonostati compiuti molti sforzi per raggiungere una migliore comprensione dellavarieta di forme delle nebulose planetarie. Esistono diverse classificazionimorfologiche per le PN; la piu comune e quella di Balick (1987), che offre unaspiegazione delle diverse morfologie delle nebulose in termini delle dinamichedei venti stellari interagenti.

Egli definisce tre classi morfologiche: sferiche, ellittiche, butterfly. Oltrealle classi, la descrizione morfologica delle PN include anche un “tipo”. Itipi sono denominati early, middle, e late e sono definiti dalla prossimita deibordi luminosi interni rispetto alla stella centrale.

Lo schema morfologico e descritto graficamente nella Figura 3.1. Le clas-si morfologiche sono definite in base alla geometria dei bordi e degli aloniinterni. Le nebulose sferiche (Figura 3.2a) sono in realta piuttosto rare. Esse

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16 CAPITOLO 3. MORFOLOGIA DELLE NEBULOSE PLANETARIE

Figura 3.1: Illustrazione delle differenti classi morfologiche (orizzontale) coni relativi tipi (verticale). Le regioni grigie sono quel che resta del RGE (alo-ni interni). Le linee marcate indicano i bordi luminosi interni. Le lineetratteggiate indicano i perimetri degli aloni esterni, tipici delle PN di tipolate.

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3.1. CLASSIFICAZIONI MORFOLOGICHE 17

sono il risultato dell’espulsione dell’involucro della gigante rossa (Red GiantEnvelope - RGE) sfericamente. In questo modello si assume che i venti pro-venienti dalle stelle centrali delle PN sono emessi isotropicamente fuori dallafotosfera. Un rapido vento interagisce con il RGE, riscaldando la sua partepiu interna fino a 105−7 K (Balick 1987) e formando una bolla ad alta pres-sione che si espande adiabaticamente nel RGE. Un fronte d’urto si propagaverso la stella centrale mentre un altro fronte d’urto esterno forma uno stratocompresso di materiale precedentemente espulso dalla gigante rossa che puoraffreddarsi attraverso la radiazione.

Supponiamo invece che l’involucro della gigante rossa sia espulso quasiisotropicamente con velocita leggermente piu alte nella direzione polare chelungo il piano equatoriale perpendicolare; tale variazione di velocita puo es-sere causata da un cambiamento della velocita del vento e della sua densitain seguito alla rotazione della stella (Castor 1979, Abbott 1978). Se la zonaequatoriale ha una maggiore densita, essa puo presentare un “disco”; in que-sto caso il fronte d’urto piu esterno si propaga piu velocemente nella direzionepolare che lungo l’equatore. La calda bolla diventa prolata e si ottiene unaPN ellittica (Figura 3.2b). Tale modello e in accordo con le forme osservatedelle PN ellittiche di tipo early.

Nella fase avanzata dell’evoluzione delle PN sferiche ed ellittiche (tipimiddle e late in Figura 3.1), il fronte d’urto esterno raggiunge il bordo esternodel RGE; nelle nebulose ellittiche questo accade prima lungo l’asse polare.Il gas ad alta pressione nella bolla non e piu confinato e si espande lungol’asse polare, in cui la densita e minore, raffreddandosi adiabaticamente.Si formano cosı, per le PN ellittiche, due lobi di gas in espansione lungol’asse maggiore del sistema. Il gas caldo in espansione al di fuori del RGEavanza nel mezzo interstellare (ISM). L’interfaccia tra la bolla e il mezzointerstellare e difficile da osservare e puo apparire come un alone esternobipolare leggermente illuminato.

Nel caso in cui il contrasto di densita (ovvero il rapporto tra le densitaequatoriale e polare) e molto grande, l’involucro espulso dalla stella ha laforma di un denso e sottile disco. Il vento stellare interagisce con le porzio-ni esposte del disco di materiale formando una bolla di gas che si espandeperpendicolarmente al disco; si creano cosı dei lobi allungati caratteristici diuna PN butterfly (o bipolari), mostrata in Figura 3.2c. Nella fase successivadell’evoluzione delle PN bipolari (tipi middle e late in Figura 3.1), il ventostellare erode le zone interne del disco, e si forma una cavita centrale. Le PNbipolari sono caratterizzate da aloni esterni bipolari e da un disco toroidaleche circonda la stella centrale.

Le nebulose irregolari (Figura3.2d) non presentano strutture ben definite,ma piuttosto mostrano proprieta intermedie tra le PN ellittiche e bipolari.

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18 CAPITOLO 3. MORFOLOGIA DELLE NEBULOSE PLANETARIE

(a) Nebulosa planetaria sferica Abell 39(WIYN Observatory’s 3.5 m telescope,1997)

(b) Nebulosa planetaria ellittica NGC6720 (HST WFC3/UVIS, 2011)

(c) Nebulosa planetaria bipolareNGC 6302 (HST WFC3/UVIS,2009)

(d) Nebulosa planetaria irregolareNGC 2452 (HST WFPC2, 2013)

Figura 3.2: Esempi di nebulose planetarie con diverse morfologie.

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3.1. CLASSIFICAZIONI MORFOLOGICHE 19

Manchado, Stanghellini, Guerrero (1996) presentarono un nuovo sistemadi classificazione morfologica basato sul grado di simmetria delle nebuloseplanetarie e composto da 5 principali classi morfologiche: sferica, ellittica,bipolare, multi-polari, simmetrica rispetto a un punto (Figura 3.3).

Figura 3.3: Classificazione morfologica delle nebulose planetarie (Manchadoet al. 1996)

Le PN sferiche non mostrano un’evidente deviazione dalla simmetria. Es-se possono presentare una struttura a multi-shell, composta da due o piuinvolucri gassosi che circondano la stella centrale. La maggior parte dellePN appartiene alla seconda classe (ellittica): esse presentano due assi di sim-metria e hanno una forma allungata nella direzione dell’asse maggiore. Laclasse delle PN bipolari (che equivale alla classe butterfly di Balick, 1987)mostra una simmetria rispetto agli assi maggiore e minore, inoltre questenebulose sono caratterizzate da due lobi e una strozzatura (“waist”) in cor-rispondenza della stella centrale. L’ultima classe, invece, e composta da PNche non mostrano assi di simmetria, tuttavia le loro componenti morfologichesono simmetriche per riflessione rispetto al punto centrale; tale classe e statadefinita in seguito da Manchado et al. (2000) come una sottoclasse dellePN ellittiche e bipolari. In questa classe rientrano anche le PN multi-polariche mostrano due o piu coppie di lobi orientati in diverse direzioni; tuttaviaStanghellini et al. (2000) includono le PN multi-polari nella classe delle PNbipolari in quanto hanno un meccanismo di formazione simile.

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20 CAPITOLO 3. MORFOLOGIA DELLE NEBULOSE PLANETARIE

3.2 Relazione tra la morfologia nebulare e al-

cune proprieta della stella centrale

La morfologia delle PN dipende dall’evoluzione idrodinamica degli involucricircumstellari, precedentemente espulsi dalle stelle AGB, che si espandonodalle stelle centrali verso l’esterno, dalle condizioni di ionizzazione del mate-riale nebulare, ma anche dalle condizioni fisiche del mezzo interstelllare checirconda la stella nella fase post-AGB. Quindi e estremamente utile ricavareil percorso evolutivo delle stelle centrali per spiegare le diverse forme dellePN osservate.

Greig (1971) studio 160 PN e trovo una relazione tra la loro morfologiae alcune loro caratteristiche, come il tipo di stella centrale e l’eccitazionenebulare. Egli concluse che le PN si dividono principalmente in due gruppi:classe B e classe C. Le PN nella prima classe hanno strutture tubulari ofilamentose, chiamate anse, che si estendono dal corpo centrale della PN.Molti membri della classe B che sono PN bipolari sono piu luminose lungol’asse minore. Questo tipo di nebulosa presenta intense linee proibite di [NII], [O II], e [O I] rispetto alle linee Balmer; molti dei nuclei sono di tipo[WC] (in cui predominano le linee di carbonio) e sono localizzate a latitudinigalattiche minori rispetto all’altro tipo.

Le PN che appartengono alla classe C presentano un aumento di lumi-nosita al centro e hanno una forma apparente piu regolare rispetto a quelledella classe B. Esse sono caratterizzate da linee proibite meno intense e sonolocalizzate a latitudini galattiche piu grandi.

Stanghellini, Corradi e Schwarz (1993) studiarono la posizione delle stellecentrali di nebulose appartenenti a diverse classi morfologiche su diagrammaH-R. I risultati ottenuti indicano che le PN bipolari ed ellittiche contengonostelle centrali con una differente distribuzione di massa.

Sappiamo, pero, che le classificazioni delle morfologie apparenti delle PNpossono risultare ingannevoli a causa dell’effetto di proiezione. Zhang e Kwok(1998a) riuscirono a produrre immagini simulate di 110 PN utilizzando ilmodello a shell ellissoidale, secondo cui la morfologia della maggior partedelle PN puo essere riprodotta considerando un aumento della densita nellazona equatoriale. Essi furono in grado di rimuovere gli effetti di proiezione e difornire una piu precisa classificazione morfologica delle proprieta intrinsechedelle PN.

Nonostante i numerosi sforzi compiuti nello studio delle morfologie del-le PN, non e ancora ben compresa la ragione fisica per la quale la maggiorparte delle PN conosciute sono per lo piu bipolari e non a simmetria sferica.Una possibile causa delle asimmetrie osservate nelle PN e la presenza di una

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3.2. RELAZIONE TRA LA MORFOLOGIA NEBULARE E ALCUNE PROPRIETA DELLA STELLA CENTRALE21

stella compagna di piccola massa che potrebbe esercitare un’influenza gravi-tazionale sull’involucro circumstellare. De Marco et al. (2004) suggerironola rapida rotazione e la presenza di un sistema binario come possibile causadi asimmetrie, ma una delle spiegazioni piu convincenti coinvolge i campimagnetici. E’ possibile che l’espulsione di materia avvenga lungo le lineedel campo magnetico, il quale puo essere generato o dalla stella progenitricenella precedente fase di sequenza principale oppure dalla rapida rotazionedel nucleo stellare. Tuttavia nessun campo magnetico era stato mai rilevatodirettamente nelle stelle centrali delle PN fino al 2002, anno in cui Jordan,Werner e O’ Toole hanno misurato i campi magnetici in 4 stelle centrali dinebulose planetarie. Le PN scelte presentano tutte una forma non sferica el’intensita dei campi magnetici rilevati e dell’ordine di migliaia di Gauss.

Questa scoperta avvalora l’ipotesi che le asimmetrie della maggior partedelle PN sono causate dalla presenza di campi magnetici nelle stelle AGB.Tuttavia alcune questioni rimangono ancora irrisolte, come l’origine dei cam-pi magnetici nelle stelle AGB e la loro possibile relazione con la perdita dimassa nelle giganti asintotiche.

Solo ulteriori studi permetteranno di quantificare la correlazione tra cam-po magnetico e le strane forme delle nebulose planetarie.

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22 CAPITOLO 3. MORFOLOGIA DELLE NEBULOSE PLANETARIE

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Capitolo 4

Spettroscopia nebulare

Le nebulose planetarie irradiano in tutto lo spettro elettromagnetico. Adifferenza delle stelle che mostrano uno spettro continuo, la regione otticadegli spettri delle PN e dominata da linee di emissione; esse si originanoquando gli elettroni negli atomi effettuano una transizione da uno stato legatoad un altro stato legato con minore energia.

La temperatura delle diverse regioni di una PN varia da ∼ 10K nel gasmolecolare, ∼ 100K nella componente di polvere, ∼ 10 000K nel gas ionizzato,∼ 100 000K nell’atmosfera della stella centrale, ∼ 1 000 000K nel fronted’urto della bolla calda (Kwok, 2000). La radiazione proveniente dalla stellainteragisce con la materia presente in forma atomica, ionica, molecolare esolida ed e riemessa a diverse lunghezze d’onda, collocando le PN tra glioggetti piu interessanti da osservare.

I fotoni UV provenienti dalla stella centrale ionizzeranno gli atomi nellanebulosa. Questo processo e chiamato fotoionizzazione, e gli elettroni emessiin questo processo avranno energie cinetiche tali da eccitare gli atomi attra-verso due principali meccanismi: ricombinazione di elettroni liberi con ionied eccitazione per collisione.

Il fenomeno di ricombinazione avviene quando un atomo viene fotoioniz-zato e successivamente l’elettrone libero si ricombina con lo stesso ione o conun altro ione di un diverso elemento e si diseccitera con conseguente emissionespontanea. Le linee emesse in seguito alla ricombinazione sono chiamate lineedi ricombinazione, ma sono anche conosciute come linee permesse perche essetipicamente soddisfano tutte le regole di selezione per le transizioni di dipoloelettrico. Le RL (Recombination Lines) piu intense negli spettri di emissionesono prodotte dall’idrogeno e dall’elio. Anche gli elementi piu pesanti, comecarbonio, azoto e ossigeno, producono RL ma esse sono molto piu deboli acausa della loro minore abbondanza rispetto a idrogeno ed elio.

23

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24 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

Un altro modo per eccitare un atomo e attraverso le collisioni con glielettroni liberi presenti nel gas. Questo fenomeno riguarda soprattutto i me-talli (C, N, O, etc.) in quanto la separazione energetica tipica tra i livellidei metalli e dell’ordine di pochi eV, raggiungibili mediante collisioni; men-tre, in condizioni di laboratorio, non avviene l’emissione di fotoni perche,prima che l’elettrone in un livello eccitato possa decadere, ha luogo una col-lisione con un altro atomo con conseguente diseccitazione per collisione, chenon provoca alcuna emissione. Per questo le righe eccitate collisionalmenteCEL (Collisionally Excited Lines) presenti negli spettri delle PN sono detterighe proibite, perche non sono osservabili in condizioni terrestri coinvolgen-do transizioni che violano le regole di selezione per le transizioni di dipoloelettrico, ∆l = ±1 o 0, ∆S = 0 e ∆J = 0,±1 escluso J = 0→ 0. La re-gola ∆S = 0 implica che le transizioni avverranno tra termini della stessamolteplicita. Nel caso di He, che e un accoppiamento spin-orbita puro, letransizioni avvengono solo tra stati di singoletto o stati di tripletto, quindigli stati di singoletto e tripletto di He possono essere considerati come dueatomi separati. La figura (4.1) mostra due esempi (O II e S II) di transizioniche violano le regole di selezione.

Le linee di emissione proibite sono state osservate solo in condizioni dibassa densita (circa 102 - 103 atomi/cm3) che caratterizzano il mezzo in-terstellare e fanno sı che l’emissione spontanea abbia il tempo di avvenireprima che l’atomo si disecciti a causa di altre collisioni. L’emissione e mol-to debole ma questo fenomeno avviene a una frequenza maggiore rispetto

Figura 4.1: Configurazione elettronica p3 di O II e S II

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4.1. FOTOIONIZZAZIONE E RICOMBINAZIONE 25

alla ricombinazione. Di conseguenza, le linee di emissione derivanti da que-ste transizioni dominano lo spettro di una PN e sono distinte dalle normalitransizioni mediante parentesi quadre, come [OIII].

4.1 Fotoionizzazione e ricombinazione

L’energia di un elettrone nel livello energetico n e data dalla formula di Bohr:

En = hRH

(1− 1

n2

)(4.1)

dove RH = 2π2e4m′e/h

3 e la costante di Rydberg per H e m′e e la massa

ridotta elettronica.Nella Figura (4.2) sono mostrati il livello fondamentale di H, e i primi

livelli eccitati.La fotoionizzazione avviene se la frequenza (ν) del fotone emesso e piu

grande di νn :

νn =RH

n2(4.2)

Il limite di Lyman (ν1) e definito come la frequenza minima richiesta perportare un elettrone dallo stato fondamentale di H ad uno stato libero. Tut-tavia non tutti i fotoni emessi dalla stella centrale che incontrano un atomo lofotoionizzano. La probabilita di fotoionizzazione e legata alla sezione d’urtodi fotoionizzazione (anl), che per un atomo in uno stato iniziale nl e definitada:

dP

dt= Fνnnlanld(hν) (4.3)

dove Fν d(hν) e il flusso di fotoni aventi energia tra hν e hν + d(hν), e dP/dte il numero di ionizzazioni per unita di volume per unita di tempo.

Il cammino libero medio per un fotone nel limite di Lyman e

l ∼ 1

n1saν1(1s)(4.4)

dove n1s e la densita degli atomi di H nello stato fondamentale. Assumendoche la maggior parte degli atomi di H si trovino nello stato fondamentale (n1s

= nH), un fotone continuo di Lyman viaggera solo per 5 × 10−5 pc primadi essere assorbito da un atomo di H in una nebulosa con nH ∼ 103cm−3.Poiche queste distanze sono molto piu piccole confrontate con le dimensionitipiche delle PN di 0.1 pc, i fotoni di Lyman saranno intrappolati all’internodella nebulosa.

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26 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

Figura 4.2: Livelli energetici dell’atomo H.

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4.1. FOTOIONIZZAZIONE E RICOMBINAZIONE 27

L’energia degli elettroni liberi creati dalla fotoionizzazione dipende dall’e-nergia dei fotoni provenienti dalla stella. Nel modello nebulare gli elettronisono in equilibrio termodinamico locale (LTE), e la loro distribuzione dienergia puo essere caratterizzata da un singolo parametro Te, la temperaturacinetica dell’elettrone.

Poiche le sezione d’urto di fotoionizzazione [anl(ν)] e di ricombinazione(σnl) sono parametri atomici, i loro valori sono indipendenti dalle condizioniambientali. E’ possibile derivare la relazione che lega questi due parametriin condizioni di LTE richiedendo che il tasso di fotoionizzazione di un atomoneutro in uno stato eccitato nl sia uguale al tasso di ricombinazione mediantecattura elettronica.

Il coefficiente di ricombinazione ad un dato livello nl di un insieme dielettroni ad una certa temperatura Te e legato alla sezione d’urto di ricom-binazione σnl da

αnl(Te) =

∫ ∞0

σnlvf(v) dv (4.5)

dove f(v) e la distribuzione di Maxwell delle velocita elettroniche a tempe-ratura Te, e il coefficiente di ricombinazione totale e la somma su tutti glistati:

αA(Te) =∞∑n=1

n−1∑l=0

αnl(Te) (4.6)

Poiche il tasso di ricombinazione e piu lento rispetto al tasso di decadi-mento spontaneo, l’atomo di H cadra rapidamente nello stato fondamentaledopo ogni ricombinazione e si potra assumere che tutti gli atomi neutri di Hsono nello stato fondamentale. Quindi, in condizioni LTE, in ogni punto del-la nebulosa il tasso di fotoionizzazione dallo stato fondamentale e bilanciatodal tasso di ricombinazione totale αA(Te) per tutti i livelli dell’atomo di H,

nenpαA(Te) = n1s

∫ ∞ν1

4πJνhν

aν(1s) dν (4.7)

dove n1s, ne e np rappresentano rispettivamente la densita dell’idrogeno neu-tro nello stato fondamentale, degli elettroni e dei protoni, Jν =

∫IνdΩ/4π

e l’intensita di radiazione media in quel punto, aν(1s) e la sezione d’ur-to di ionizzazione dell’idrogeno nello stato fondamentale. Nelle regioni difotoionizzazione,

∫∞ν1

4πJνhν

aν(1s) dν domina sul termine di ricombinazione.

Tuttavia, ogni ricombinazione verso lo stato fondamentale creera un altrofotone di Lyman, che puo essere assorbito da un altro atomo di H vicino.Se la nebulosa e caratterizzata da una ionizzazione limitata (ovvero nessunfotone di Lyman puo sfuggire), la ricombinazione verso lo stato fondamentale

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28 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

non influenza il bilancio totale di ricombinazione della PN e si puo ignorare.Il coefficiente di ricombinazione totale diventa:

αB(Te) =∞∑n=2

n−1∑l=0

αnl(Te) (4.8)

Globalmente, si puo stimare il volume massimo che puo essere ionizzatoda una sorgente di ionizzazione costante. Il numero totale di fotoni ionizzantiemessi dalla stella di temperatura T∗ e raggio R∗,

Q =

∫ ∞ν1

4πR2∗πBnu(T∗)

hνdν (4.9)

dovrebbe essere bilanciato dal numero totale di ricombinazioni verso gli statieccitati all’interno del volume ionizzato,

Q =

∫npneαB dV (4.10)

La soluzione dell’equazione (4.7) evidenzia la presenza di un volume digas ionizzato circondato da una zona di transizione relativamente sottile doveil gas passa da quasi completamente ionizzato a quasi completamente neutro(Stromgren 1939, Osterbrock e Ferland 2006). Integrando l’equazione (4.10),si ottiene:

Q =4π

3r3sn

2HαB (4.11)

Figura 4.3: Sfera di Stromgren.

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4.2. LINEE DI EMISSIONE 29

dove rs e denominato raggio di Stromgren (Figura 4.3).La struttura di ionizzazione della nebulosa puo essere calcolata per He e

per i metalli. Poiche ogni linea di emissione che si osserva deriva da uno statodi ionizzazione di un atomo, e necessario un modello di ionizzazione accuratoper dedurre correttamente l’abbondanza totale degli elementi dall’intensitadi una linea. Questo richiede una buona conoscenza dei coefficienti di ricom-binazione e ionizzazione, che possono essere difficili da ottenere per atomicomplessi.

4.2 Linee di emissione

I principali meccanismi che producono linee di emissione sono la ricombina-zione e l’eccitazione collisionale. Alcune delle RL che possono essere trovatenegli spettri delle PN sono le linee H I (ad esempio Hα a 6563 A, Hβ a 4861A, Hγ a 4340 A), le linee He I (ad esempio 5875 e 4471 A), le linee He II (adesempio 4846 A), le linee O I (ad esempio 8446 e 8447 A), le linee O III (adesempio 3265A), le linee C II (ad esempio 4267/A), le linee N II (ad esempio4237 e 4242 A) e le linee N II (ad esempio 3694 A). Mentre le CEL osservatemaggiormente negli spettri delle PN sono le linee [O II] (ad esempio 2470 A),le linee [O III] (ad esempio 2321 e 2331 A) e le linee [N II] (ad esempio 3063e 3071 A). Un esempio di spettro ottico di una PN e mostrato nelle Figure(4.4) e (4.5).

4.2.1 Linee di ricombinazione

Le linee di ricombinazione sono prodotte quando gli elettroni liberi sono cat-turati dagli ioni e decadono da un livello eccitato ad uno con minore energia,emettendo fotoni. Il coefficiente di emissione di una linea di ricombinazione,jnn′ , e dato da:

jnn′ =hνnn′

4πn(X+i)neα

eff

nn′(4.12)

dove hνnn′ e la differenza di energia tra i due livelli n ed n′, n(X+i) e la densita

dello ione che emette la linea, ne e la densita elettronica e αeffnn′

rappresentail coefficiente di ricombinazione efficace, dato da

αeffnn′

=nnlAnl,n′l′

npne(4.13)

ed e legato alla probabilita di transizione spontanea Anl,n′l′ per le transizionidi dipolo elettrico. Un esempio di linee di ricombinazione osservate nelle PNe mostrato in Figura (4.6).

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30 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

Figura 4.4: Prima parte dello spettro ottico della ne-bulosa planetaria PN5-2694 (Immagini prese dal sitohttp://web.williams.edu/Astronomy/research/PN/nebulae/index.php).

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4.2. LINEE DI EMISSIONE 31

Figura 4.5: Seconda parte dello spettro ottico della ne-bulosa planetaria PN5-2694 (Immagini prese dal sitohttp://web.williams.edu/Astronomy/research/PN/nebulae/index.php).

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32 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

Figura 4.6: Le serie di Brackett delle linee di ricombinazione di H in IC 5117.(Zhang e Kwok, 1992).

I fotoni H I emessi attraverso la ricombinazione possono sfuggire oppureno. In una nebulosa otticamente sottile, tutti i fotoni attraverseranno lanebulosa senza essere assorbiti; questo e conosciuto come Caso A (Baker etal. 1938). In una nebulosa otticamente spessa, tutti i fotoni di Lyman di Hsaranno assorbiti; questo e il caso B.

4.2.2 Righe di eccitazione collisionale

Sebbene le abbondanze dei metalli siano minori rispetto a quelle dell’idro-geno, le linee eccitate collisionalmente nelle PN sono intense quanto le lineedi ricombinazione di H perche i processi collisionali sono diversi ordini digrandezza piu veloci rispetto al processo di ricombinazione.

Il coefficiente di emissione di una linea eccitata per collisione prodotta dauna transizione da un livello k a un livello l e data da

jkl =hνkl4π

fkAkln(X+i) (4.14)

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4.3. DETERMINAZIONE DELLA TEMPERATURA ELETTRONICA E DELLA DENSITA33

dove fk e la frazione di ioni X+i nel livello superiore, k, e Akl e la probabilitadi transizione spontanea dal livello k ad l.

Per calcolare l’emissivita di una riga di eccitazione collisionale, e neces-sario conoscere la popolazione del livello superiore, che si ottiene risolvendole equazioni dell’equilibrio statistico: il tasso di popolazione di un livello ebilanciato dal tasso di depopolazione attraverso processi collisionali:∑

l 6=k

flneqlk +∑l>k

flAkl =∑l 6=k

fkneqkl +∑l<k

fkAkl (4.15)

dove fl e fk sono la frazione di ioni X+i nei livelli l e k, e qlk e qkl sono itassi di diseccitazione e eccitazione collisionale, le cui espressioni dettagliatepossono essere trovate in Osterbrock e Ferland (2006).

4.3 Determinazione della temperatura elet-

tronica e della densita

Lo studio degli spettri delle PN ci permette di determinare le condizionifisiche del gas: temperatura elettronica (Te) e densita (ne), necessarie perstimare le abbondanze degli elementi nella nebulosa ionizzata.

Ogni volta che un atomo viene eccitato per collisione si ha un decadimentoradiativo spontaneo o una diseccitazione per collisione. Dal momento che ilritmo di eccitazioni collisionali e dipendente dalla temperatura, esiste unastretta relazione tra la radiazione emessa e la temperatura.

Gli ioni con configurazioni elettroniche dello stato fondamentale del tipos2p2, s2p3, e s2p4 sono facilmente osservati (poiche i loro primi quattro livellieccitati hanno energie ∼ kT , facilmente raggiungibili attraverso collisioni).Questi ioni hanno rapporti tra linee sensibili alla temperatura elettronica,mentre ioni p3 hanno rapporti tra linee sensibili alla densita elettronica.

Per calcolare la temperatura elettronica Te si utilizzano i rapporti tra leintensita di alcune linee proibite, che sono altamente sensibili alla tempera-tura del plasma. I rapporti tra le intensita delle linee comunemente usatiper stimare Te sono i rapporti [O III] (I(4363)/I(4959) + I(5007)), [N II]I(5755)/(I(6548) + I(6583)), [Ne III] I(3343)/(I(3869) + I(3968)), e [S III]I(6312)/(I(9532) + (9069)).

Il principale svantaggio e che le linee come [O III] λ4363 e [N II] λ5755sono deboli, e se le osservazioni non sono abbastanza profonde, esse non sonorilevate. Metodi alternativi sono stati proposti per calcolare le abbondanzechimiche quando Te non puo essere derivata, come ad esempio i cosiddettimetodi a linea intensa.

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34 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

Nel limite di bassa densita, ogni eccitazione collisionale causera l’emissio-ne di un fotone, e gli stati superiori possono essere popolati solo da eccitazio-ni collisionali dallo stato fondamentale. Assumendo un sistema a tre livelli,l’equazione dell’equilibrio statistico (4.15) diventa:

n2A21 = n1neq12

n3(A31 + A32) = n1neq13(4.16)

dove i livelli 1,2 e 3 corrispondono agli stati P, D, S, rispettivamente. Lasoluzione dell’equazione (4.16) e

n3

n2

=q13q12

A21

A31 + A32

(4.17)

Il rapporto tra le intensita delle linee 4363 A e 5007 A+ 4959 A e

I(4363)

I(4959) + I(5007)=n3ν32A32

n2ν21A21

(4.18)

dove ν32 e ν21 sono le differenze di frequenza tra i livelli 3 e 2 e i livelli 2 e 1,rispettivamente.

I tassi di eccitazione e diseccitazione collisionale sono legati da

qklqlk

=glgke−Elk/kTe

qlk =8.63× 10−6Ωkl

T12e gl

cm3s−1(4.19)

dove Ωkl e una quantita adimensionale chiamata forza collisionale, e gk e glsono i gradi di degenerazione dei livelli inferiore e superiore rispettivamente.

Sostituendo le equazioni (4.19) e (4.17) nell’equazione (4.18), si ottiene:

I(4363)

I(4959) + I(5007)=

Ω13

Ω12

e−E32/kTe

(ν32ν21

)A32

A31 + A32

(4.20)

Con E32 = 2.84 eV, A32 = 1.8 s−1, A31 = 0.221 s−1, Ω13 = 0.28, e Ω12 =2.17, si ha

I(4363)

I(4959) + I(5007)= 0.132× e−32990/Te (4.21)

La misura di questo rapporto tra linee quindi puo fornire una stima dellatemperatura elettronica della PN.

Secondo l’ipotesi dell’atomo a tre livelli, se la differenza di energia trail terzo e il secondo livello eccitato e abbastanza piccola, si puo calcolare la

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4.3. DETERMINAZIONE DELLA TEMPERATURA ELETTRONICA E DELLA DENSITA35

densita dal rapporto delle righe provenienti dalle transizioni 3-1 e 2-1. Ilrapporto tra le emissivita e:

j31j21

=ν31ν21

n3A31

n2A21

(4.22)

Il rapporto n3/n2 si ricava dalle equazioni dell’equilibrio statistico per ilivelli 2 e 3:

n1neq12 = n2neq21 + n2A21

n1neq13 = n3neq31 + n3A31

(4.23)

in cui sono uguagliati, per i livelli 2 e 3, il numero delle eccitazioni per collisio-ne con il numero delle diseccitazioni per collisione sommato al numero delletransizioni spontanee. In condizioni di equilibrio termodinamico valgono leseguenti relazioni:

q12q21

=n2

n1

=g2g1e−E21/kTe

q13q31

=n3

n1

=g3g1e−E31/kTe

(4.24)

e dunque si puo risolvere il sistema (4.24) trovando il rapporto:

n3

n2

=g3g2

1 + A21

neq21

1 + A31

neq31

e(−E31−E21

kTe) (4.25)

Se E31 ≈ E21, la parte esponenziale tende a 1 e si ottiene:

n3

n2

=g3g2

1 + A21

neq21

1 + A31

neq31

(4.26)

Definiamo la densita critica nc come

n(3)c =

A31

q31

n(2)c =

A21

q21

(4.27)

e riscrivendo l’equazione (4.26):

n3

n2

=g3g2

1 + n(2)c

ne

1 + n(3)c

ne

(4.28)

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36 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

otteniamo, cosı, la formula del rapporto di emissivita:

j31j21

=ν31A31g3ν21A21g2

1 + n(2)c

ne

1 + n(3)c

ne

(4.29)

Se ne nc, dominano le collisioni e il rapporto (4.29) si semplifica:

n3

n2

=g3g2

(4.30)

Il rapporto tra le emissivita diventa dunque:

j31j21

=ν3ν2

g3g2

A31

A21

(4.31)

che e costante. Se invece ne nc dominano le transizioni spontanee;rapporto di popolazioni e

n3

n2

=g3g2

n(2)c

n(3)c

=g3g2

A21

q12

q31A31

(4.32)

e il rapporto di emissivita diventa:

j31j21

=ν3ν2

g3g2

q31q21

(4.33)

Sostituendo qkl dalla formula (4.19), si ottiene il rapporto:

j31j21

=ν3ν2

Ω31

Ω21

(4.34)

che anche in questo caso e costante. Nella regione ottica, i rapporti piu uti-lizzati per calcolare la densita sono [O II] λ3729/λ3726 e [S II] λ6717/λ6731.Altri due rapporti utili per il calcolo della densita sono [Cl III] λ5517/λ5537 e[Ar IV] λ4711/λ4740, righe piu deboli provenienti da zone a maggior grado dieccitazione. A causa della loro diversa densita critica, le righe dei diversi ionisono caratterizzanti in diversi regimi di densita: [O II] e [S II] sono sensibili avariazioni di densita per Ne = 103cm−3, [Cl III] per Ne = 104cm−3 e [Ar IV]per Ne = 104 − 105cm−3. Le righe con una densita critica bassa spariscononelle regioni a piu alta densita a causa delle diseccitazioni per collisione.

In linea di principio, un’analisi accurata dello spettro delle nebulose pla-netarie puo fornire indicazioni circa la temperatura e la densita del gas, comeanche l’abbondanza chimica dei vari elementi. Esiste pero un problema diincoerenza tra i valori di abbondanza chimica, densita e temperatura rilevati

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4.4. DETERMINAZIONE DELLE ABBONDANZE CHIMICHE 37

studiando le righe di ricombinazione nell’ottico, indicate spesso con l’acro-nimo ORL (Optical Recombination Lines) e quelli riscontrati analizzando lerighe proibite (CEL). Le abbondanze chimiche di elementi come il carbonio,l’ossigeno, l’azoto e il neon derivate dallo studio delle righe ORL presentanovalori generalmente maggiori di quelle derivate dalle righe CEL (Peimbert,Storery e Torres-Peimbert 1993).

Il modello di Peimbert (1971) prevedeva fluttuazioni della densita cheportano a variazioni della temperatura all’interno della nebulosa. Indicandocon T0 la temperatura media della nebulosa, definita come:

T0 =

∫Teneni dV∫neni dV

(4.35)

dove ni e la densita di popolazione del livello i e V il volume, t2 e lafluttuazione media di temperatura data da:

t2 =

∫((Te − T0)2neni) dVT 20

∫neni dV

(4.36)

si ottengono due espressioni per Te[O III] e Te(H I):

Te[OIII] = T0

(1 +

1

2

(9.13× 104

T0− 3

)t2)

Te(HI) = T0(1− 1.67t2)

(4.37)

La maggior parte delle nebulose ha t2 ≤ 0.06, mentre sono rare quellecon t2 ≥ 0.1. Il valore medio e < t2 >= 0.031, che non si accorda con alcunmodello di fotoionizzazione di una nube di gas (Liu e Danziger, 1993). Inogni caso anche il modello delle fluttuazione della temperatura non e in gradodi spiegare la grande disparita tra temperatura e abbondanze misurate dallerighe di ricombinazione e dalle righe proibite.

4.4 Determinazione delle abbondanze chimi-

che

I progenitori delle PN giocano un importante ruolo nell’arricchimento chimi-co della Galassia perche l’elio e le significative quantita di carbonio e azotosono prodotte dalla nucleosintesi durante le diverse fasi della loro evoluzione(sequenza principale, gigante rossa, fase AGB). Questi elementi sono portativerso la superficie della stella mediante fenomeni convettivi chiamati dredge

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38 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

ups (Iben, 1991). I venti stellari durante la fase AGB espellono questi ele-menti dalla superficie stellare e quindi arricchiscono il mezzo interstellare. LePN, che sono formate dal materiale espulso durante la fase AGB, avrannocomposizioni chimiche che riflettono la storia della nucleosintesi nelle stel-le di massa piccola e intermedia. Poiche le quantita di He, C e N si sonoincrementate durante l’evoluzione stellare mentre gli elementi pesanti comel’ossigeno non sono sintetizzati in stelle di massa intermedia, lo studio delleabbondanze di He, C e N nelle PN puo testare i modelli evolutivi stellari,mentre le abbondanze di O, Ne, Ar, S etc. forniscono indicazioni sulla metal-licita della regione dove la stella si e formata. Una determinazione accuratadelle abbondanze chimiche nelle PN quindi rappresenta un potente strumen-to per studiare non solo evoluzione stellare ma anche l’evoluzione chimicadelle galassie.

Le abbondanze determinate dalle ORL sono sistematicamente maggioridei valori corrispondenti dedotti dai rapporti delle CEL. La contrapposizionetra i valore delle temperature e delle abbondanze degli elementi chimici piupesanti calcolati tramite i due tipi di righe di emissione non sono spiegabi-li a sufficienza con i modelli che prevedono fluttuazioni della temperaturae disomogeneita della densita. Il modello che piu si avvicina a risolverequeste discrepanze prevede che le nebulose contengano una componente digas ionizzato ricco di elementi pesanti e povero di idrogeno. Questa com-ponente avrebbe una temperatura ≤ 103K ed emetterebbe in forti righe diricombinazione ma non causa righe proibite (Liu et al. 2000).

Le abbondanze chimiche sono determinate nel seguente modo. Prima leintensita delle linee di eccitazione collisionale e di quelle di ricombinazionemisurate sono usate per derivare le densita e la temperatura elettronica.Come abbiamo visto nella Sezione (4.3), quest’ultima puo essere derivata dairapporti di [O III] 4959 A/4363 A e di [N II] (6584 A + 6548A)/5755A;mentre le densita si possono ricavare dai rapporti di [S II] 6717 A/731A e di[Ar IV] 4711A/4740A.

I rapporti tra le abbondanze ioniche, X+i/H+ si possono calcolare usandole righe proibite e risolvendo le equazioni dell’equilibrio statistico, che forni-scono la popolazione dei vari livelli di energia di uno ione per specifici valoridi temperatura e densita. I valori Te e ne vengono inseriti nelle equazioni inbase alla zone della nebulosa in cui e prevista l’esistenza dello ione del parti-colare elemento. Conoscendo la popolazione dei livelli, l’abbondanza ionicapuo essere determinata usando l’equazione:

N(Xm+)

N(H+)=nehν42αeff (Hβ)

AklnkEkl

I(λ)

I(Hβ)(4.38)

dove I(λ) e il flusso di una riga di emissione a lunghezza d’onda λ emessa

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4.4. DETERMINAZIONE DELLE ABBONDANZE CHIMICHE 39

dalla transizione dello ione Xm+ dal livello piu alto k al livello l in seguitoa un’eccitazione collisionale dovuta all’impatto con elettroni; Akl e la proba-bilita di transizione spontanea, fk e la frazione di popolazione del livello k,Ekl e l’energia del fotone della riga di emissione, αeff (Hβ) e il coefficiente diricombinazione di Hβ e hv42 e l’energia di un fotone della riga Hβ.

Conoscendo la temperatura e i valori di densita, si possono misurare leabbondanze ioniche per elio, carbonio, azoto, ossigeno e neon analizzando leloro righe di ricombinazione. Tali abbondanze dipendono debolmente dallatemperatura elettronica e sono essenzialmente indipendenti dalla densita,dunque i valori che ne derivano non hanno incertezze sistematiche causatedal calcolo di Te e ne. Il problema principale in questo caso e che le transizionida ricombinazione in elementi piu pesanti dell’elio sono molto deboli e difficilida rilevare.

L’abbondanza di elio ionizzata una volta (He+/H+) deriva dalle righeHe I λ4471, λ5876 e λ4686. L’abbondanza totale di elio He/H e ottenutasemplicemente dalla somma delle abbondanze delle specie ionizzate una opiu volte: He/H = He+/H+ + He2+/H+

Le abbondanze di carbonio, azoto, ossigeno e neon (C2+/H+, N2+/H+,O2+/H+ e Ne2+/H+) derivano dalle diverse righe che si formano in varieconfigurazioni, sia singoletti che multipletti. Le abbondanze totali di ognielemento vengono ricavate dalle abbondanze ioniche delle righe CEL o ORLattraverso il fattore di correzione di ionizzazione (ICF), fattore che prende inconsiderazione anche gli ioni non osservabili e la cui formula fu ricavata daKingsburgh e Barlow (1994).

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40 CAPITOLO 4. SPETTROSCOPIA NEBULARE

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Capitolo 5

Nebulose planetarieextragalattiche

Paradossalmente, le osservazioni delle PN nelle galassie esterne offrono diver-si vantaggi sullo studio delle PN galattiche. A causa dell’elevato oscuramentodel centro della nostra galassia, il nostro catalogo delle PN galattiche e al-tamente incompleto. Tuttavia, PN nelle galassie vicine, per esempio M31,possono essere otticamente identificate all’interno di pochi parsecs dal nucleo.PN furono prima rilevate in M31 da Baade (1955). Studi successivi hannocatalogato PN in M32, NGC 205, NGC 185, e NGC 147.

Uno studio delle PN in una galassia esterna possono infatti fornire unquadro migliore della distribuzione spaziale delle PN. Le distanze delle PNgalattiche sono altamente incerte, mentre nelle galassie esterne le PN possonoessere prese alla stessa distanza.

L’identificazione di un gran numero di PN in una galassia di distanza notapuo portare ad un’accurata funzione di luminosita. Le stelle centrali dellePN sono nuclei di stelle AGB e quindi rappresentano oggetti molto luminosi.L’osservazione di una galassia puo facilmente distinguere le PN dalle stelle.

Poiche il 95 % delle stelle attraversa la fase post-AGB, le osservazionidella popolazione di PN nelle galassie di differenti redshifts sono utili pertestare i modelli evolutivi delle galassie. Quindi una adeguata comprensionedell’evoluzione delle PN e necessaria per gli studi sull’evoluzione galattica.

Dalla scoperta dell’espansione dell’universo di Hubble, c’e stato uno sforzocontinuo per trovare il tasso di espansione dell’universo (e quindi la sua eta)determinando un valore accurato della costante di Hubble. Poiche le velocitadelle galassie possono essere misurate con relativa precisione dal redshiftsdelle linee spettrali, il problema sorge nella determinazione della distanza.Per le galassie piu lontane, gli oggetti piu luminosi come supergiganti, no-vae, o supernovae sono stati usati come indicatori di distanza secondari. Le

41

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42 CAPITOLO 5. NEBULOSE PLANETARIE EXTRAGALATTICHE

Figura 5.1: PNLF osservata per M31, M81 e tre galassie nel gruppo Leo I, esei galassie nell’ammasso Virgo (Jacoby et al., 1992)

stelle centrali delle PN sono oggetti molto luminosi sebbene la loro emissionegiaccia principalmente nell’ultravioletto. Durante la fase di ionizzazione del-l’evoluzione nebulare, la maggior parte dei fotoni UV sono riemessi nel visibilee possono essere rilevati a grandi distanze. Le PN quindi possono giocare unruolo importante nella determinazione della scala di distanza extragalattica.

5.1 Nebulose planetarie come indicatori di di-

stanza

L’idea che le PN potessero essere utili per determinare la scala di distanzaextragalattica fu suggerita da Hodge (1966). Notando che le PN piu luminose

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5.1. NEBULOSE PLANETARIE COME INDICATORI DI DISTANZA 43

nelle galassie del gruppo locale hanno flussi assoluti di [O III] simili, Forde Jenner (1978) usarono la nebulosa planetaria piu luminosa nella galassiaM81 e in M31 per derivare un rapporto di distanza di ∼ 4 tra queste duegalassie. Un uso serio delle PN come indicatori di distanza arrivo dopo lascoperta che la funzione di luminosita di una nebulosa planetaria (PNLF)aveva un taglio netto in corrispondenza dell’estremo luminoso (Figura 5.1)

La PNLF e uno degli strumenti piu accurati per misurare le distanzeextragalattiche. Prendendo un’immagine di una galassia con un filtro nellabanda sottile centrata sulla linea di emissione dell’ossigeno ionizzato due voltea 5007 A, e sottraendo un’immagine simile presa appena fuori dalla linea, ungran numero di PN possono essere identificate nelle altre galassie.

Ciardullo et al. (1989) proposero la forma empirica seguente per la PNFL:

N(M5007) ∝ e0.307M5007 [1− e3(M∗−M5007)] (5.1)

dove la magnitudine M e legata al flusso 5007-A da

M5007 = −2.5 logF5007 − 13.74 (5.2)

e M∗ e la magnitudine assoluta della PN piu luminosa. Adottando la distanzadelle Cefeidi di 710 kpc, Ciardullo et al. (1989) trovarono un valore per M∗ di−4.48. Con le piu recenti distanze di M31 di 770 kpc, il valore di M∗ e rivistoa −4.54. Dal 1997, sono state determinate le distanze di piu di 34 galassiecon il metodo della PNLF. Sebbene il metodo PNLF fosse stato sviluppatoper le galassie di tipo early (popolate da stelle vecchie), la tecnica e stataestesa a galassie a spirale (Feldmeier et al. 1996, vedi Figura 5.2)

Il metodo PNLF presenta, pero, alcune sorgenti di errore. Poiche la PNLFrappresenta in numero di PN in ciascun intervallo di luminosita, e importanteavere un insieme omogeneo. Le regioni H II, nebulose a emissione costituiteda nubi di gas ionizzato dalla radiazione ultravioletta dalle stelle giovani ecalde di tipo OB, rappresentano la maggior sorgente di confusione. Per legalassie di tipo early, questo non costituisce un problema. Tuttavia, nellegalassie a spirale e irregolari vi sono regioni H II che sono forti emettitoridi [O III] λ5007 e che sono in maggior numero rispetto a PN. Queste regio-ni, essendo in media dieci volte piu grandi in dimensioni delle tipiche PN,possono essere distinte se esse sono risolte spazialmente. Poiche le regioniH II sono alimentate da stelle di tipo OB, che generalmente hanno tempe-rature piu basse rispetto alle stelle centrali delle PN, lo spettro nebulare diuna regione H II e a bassa eccitazione. Di conseguenza, le PN possono esseredistinte dalle regioni H II richiedendo che tutte le candidate PN siano stellarinella forma e abbiano un rapporto [OIII]/Hα molto piu grande rispetto alleregioni H II.

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44 CAPITOLO 5. NEBULOSE PLANETARIE EXTRAGALATTICHE

Figura 5.2: Immagine della galassia M101 (NGC 5457) con le posizioni dellePN segnate da croci (Feldmeier et al., 1996)

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5.2. NEBULOSE PLANETARIE E MATERIA OSCURA 45

La PNLF osservata e soggetta anche ad errori di campionamento. Nelleregioni piu interne di una galassia, le PN piu deboli sono perse nello sfondoluminoso della galassia, rendendo la magnitudine una funzione della posizionenella galassia. E’ quindi necessario stimare una soglia al di sopra della qualesi puo essere ragionevolmente certi che tutte le PN siano rilevate. A causa diqueste considerazioni, Ciardullo et al. (1989) usarono un insieme completoe omogeneo di 104 PN rispetto al totale di 429 PN in M31 per stimare laPNLF.

Non sempre le PNLF osservate mostrano un taglio netto in corrispon-denza dell’estremo luminoso come richiesto dall’equazione (5.1). In alcunisistemi galattici, gli oggetti molto luminosi sono stati esclusi dall’insieme inquanto Jacoby et al. (1996) hanno suggerito diverse possibili origini per laloro esistenza.

5.2 Nebulose planetarie e materia oscura

Uno dei primi fattori a sostegno dell’esistenza di materia oscura fu trovatoprima nelle galassie a spirale dove le curve di rotazione H I sono di solitopiatte per grandi raggi, lontane oltre il disco galattico. Mentre le curve dirotazione H I sono difficili da ottenere nelle galassie di tipo early che hannouna componente di gas molto bassa.

Le PN, che rappresentano l’ultima fase evolutiva delle stelle di piccolae intermedia massa, sono abbondanti in una popolazione vecchia, come adesempio nell’alone delle galassie di tipo early. Come abbiamo visto, le stel-le centrali delle PN sono oggetti molto luminosi. Sebbene esse emettanoprincipalmente nell’ultravioletto, le nebulose effettivamente ridistribuisconomolta dell’energia proveniente dalla stella centrale nel visibile in forma dilinee proibite. A causa dell’elevata concentrazione di energia in poche lineedi emissione, le PN sono facilmente rilevabili con filtri di interferenza nellabanda sottile. Le velocita radiali delle PN possono essere misurate con unospettrografo e quindi possono servire come candidati ideali per tracciare ladistribuzione di massa delle galassie di tipo early.

Il primo utilizzo delle PN come traccianti delle cinematiche delle galassiefu effettuato da Meatheringham et al. (1988) che usarono le velocita misuratedi 94 PN nella Grande nube di Magellano per ottenere la curva di rotazionedi quella galassia.

Questa tecnica delle cinematiche delle PN fu applicata alla galassia ellit-tica NGC 5128 (Cen A) da Hui et al. (1995) e furono misurate le velocitaradiali di 433 PN. Scelto un adeguato insieme di PN, l’asse di rotazione puoessere ottenuto esaminando la variazione di velocita come funzione dell’ango-

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46 CAPITOLO 5. NEBULOSE PLANETARIE EXTRAGALATTICHE

Figura 5.3: Distribuzione spaziale delle PN in Cen A. I cerchi e le crocirappresentano le PN che si avvicinano e si allontanano rispettivamente (Huiet al., 1995)

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5.2. NEBULOSE PLANETARIE E MATERIA OSCURA 47

lo azimutale. Figura (5.3) mostra la velocita delle PN in Cen A. E’ ovvio daquesto diagramma che l’asse di rotazione giace da qualche parte tra gli assimaggiore e minore fotometrici. La curva di rotazione si costruisce dall’asseperpendicolare all’asse di rotazione. La velocita media e la sua deviazio-ne standard forniscono la velocita di rotazione [Vrot(r)] e la dispersione divelocita [σ(r)].

Assumendo che la dispersione di velocita sia isotropica, allora la disper-sione di velocita e la velocita rotazionale lungo asse maggiore obbedisconoall’equazione di Jeans sferica:

d[ρ(r)σ2(r)]

dr= −GM(r)ρ(r)

r2+ρ(r)V 2

rot(r)

r(5.3)

dove ρ(r) e la densita di massa delle particelle test e M(r) e la massa totaleall’interno del raggio r. La curva di rotazione puo essere assunta avere laforma

Vrot(r) =v0r√r2 + r20

(5.4)

che e asintoticamente piatta per r > r0. Eseguendo un fit dell’equazione(5.4) per la curva di rotazione delle PN, si puo determinare il valore di r0 ev0. La distribuzione di massa della galassia puo essere assunta avere la forma

M(r) =Mlr

2

(r + a)2+

Mdr2

(r + d)2(5.5)

dove Ml, Md, a e d rappresentano la massa e le lunghezze scala della materiavisibile e oscura, rispettivamente. Poiche il valore a puo essere ottenuto dalladistribuzione di luce della galassia, Ml puo essere derivato dal fit del modelloper la dispersione di velocita Hα della regione interna, assumendo che lamateria visibile domini il centro delle galassie ellittiche.

I parametri rimanenti Md e d possono essere derivati dal fit del modelloper il profilo della velocita di dispersione delle PN (Figura 5.4). La Figura(5.5) mostra la distribuzione di massa derivata per Cen A. Essa suggeriscechiaramente la presenza di materia oscura nell’alone.

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48 CAPITOLO 5. NEBULOSE PLANETARIE EXTRAGALATTICHE

Figura 5.4: Velocita di dispersione lungo l’asse maggiore delle PN in Cen A(Hui et al., 1995)

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5.2. NEBULOSE PLANETARIE E MATERIA OSCURA 49

Figura 5.5: a) Distribuzione di massa come funzione del raggio in Cen A(curva continua). Ci sono due componenti: la componente luminosa (curvatratteggiata) e la componente oscura (curva punteggiata) b) Rapporto massa-luminosita in funzione del raggio. I due punti legati da una linea punteggiatasono il rapporto M/LB derivato utilizzando i dati dell’ammasso globulare(Hui et al., 1995)

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50 CAPITOLO 5. NEBULOSE PLANETARIE EXTRAGALATTICHE

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Capitolo 6

Conclusioni

In questo lavoro, sono stati presentati diversi aspetti della ricerca delle PN: imeccanismi di radiazione, evoluzione, e le applicazioni. Si sono discussi i varimeccanismi fisici che sono responsabili dell’emissione di radiazione provenien-te dalle PN, e come le tecniche spettroscopiche sono utilizzate per stimarele condizioni fisiche nelle differenti parti della nebulosa. I dati ottenuti at-traverso le osservazioni a diverse lunghezze d’onda servono come laboratoriper testare le teorie di radiazione e la fisica atomica e molecolare. Infatti lascoperta di nuovi fenomeni come le linee proibite hanno stimolato i laboratoridi spettroscopia delle specie atomiche e molecolari.

Le stelle centrali delle PN sono oggetti caldi e luminosi. Sebbene la mag-gior parte della luce stellare e in forma di fotoni UV ad alta energia, lenebulose sono in grado di intercettare questi fotoni, assorbirli e riemetterli alunghezze d’onda nel visibile. Attraverso la fotoionizzazione, l’energia dellastella viene trasferita alla nebulosa gassosa, che poi emette linee a bassa ener-gia attraverso il processo di ricombinazione e eccitazione collisionale. Comerisultato, le PN diventano oggetti visibili e possono essere rilevati a grandidistanze (cosmologiche). Per le PN, e possibile ottenere spettri di altissimaqualita che permettono un’accurata determinazione delle abbondanze chimi-che e la struttura cinematica della nebulosa. E’ stato presentato un quadroevolutivo dei progenitori delle PN, le stelle AGB, dalla sequenza principalefino alla fase di nana bianca.

Nonostante la breve vita delle PN, esse giocano un ruolo importante nelladeterminazione dell’arricchimento chimico della galassia e della sua massa.Infatti, i processi di eccitazione e ionizzazione degli atomi nelle PN rendonomolti elementi piu facili da rilevare e le loro abbondanze possibili da misurare.

La ricerca sulle PN ha subito una rinascita negli ultimi decenni. Nuoveosservazioni dallo spazio (IUE, IRAS, ROSAT, HST, ISO, etc.) hanno rile-vato un sistema piu complicato e interessante rispetto a quello precedente.

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52 CAPITOLO 6. CONCLUSIONI

Le PN sono attive in tutte le regioni spettrali dai raggi X alle onde radio.Esse rappresentano l’esempio piu studiato di interazioni tra le stelle e il mez-zo interstellare. Le informazioni apprese nello studio delle PN possono essereestese anche allo studio di altri oggetti astrofisici. I modelli di fotoionizza-zione sviluppati per le PN sono stati applicati allo studio dei nuclei galatticiattivi.

Lo studio delle PN poi e stato esteso dalla Via lattea ad altre galassie delGruppo locale (M31 e le Nubi di Magellano) e piu recentemente a galassieesterne al Gruppo locale.

Le PN sono state utilizzate con successo per misurare la dimensione del-l’universo, e forniscono forse le migliori traccianti che abbiamo della materiaoscura negli aloni galattici.

Gli studi spettroscopici rivelano le abbondanze degli elementi piu leggericome N, O, Ne e S nelle popolazioni stellari vecchie e intermedie.

Con questi recenti avanzamenti, ci aspettiamo che la ricerca delle PNcontinuera a ricoprire un ruolo importante nell’astrofisica moderna.

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