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Liceo Scientifico A. Nobel 4^H
a.s. 2014/2015
Borriello Gabriele Longobardi Maria Rosaria Orlandino Flavia Tolgetto Fabrizio Gaetano
NAPOLI NEOCLASSICA IL NUOVO E L’ANTICO Città del sole, del mare, ma soprattutto dell’arte, Napoli non finisce mai di stupire con
le sue meraviglie che nella storia ne hanno esaltato il valore e la bellezza.
Delle sue numerose sfaccettature che ogni epoca ha delineato, particolare rilevanza ha
quella neoclassica, il cui stile ha influenzato la realizzazione di numerosi monumenti.
Ma d’altro canto fu anche la stessa Napoli a ispirare questo movimento, infatti nella
seconda metà del Settecento, le scoperte dei siti archeologici vesuviani agirono co-
me un acceleratore del nuovo orientamento del gusto, delle arti e della cultura.
La vicenda romanzesca della scoperta degli scavi di Ercolano e Pompei, avvenuta tra il
1738 e 1748, i cui lavori furono avvolti dal mistero, stimolarono inoltre la sensibilità e
l’immaginazione settecenteschi nel loro incipiente risveglio.
Ne conseguì una prima, originale fioritura artistica in chiave neo-antica, ispirata dai
siti, dai personaggi e dai reperti di Ercolano e di Pompei che influenzò le ar-
ti figurative, l’ornato e i modelli architettonici.
GLI OMAGGI DI HACKERT
Uno degli esponenti di questa fioritura è stato Jakob Philipp Hackert pittore tede-
sco nato a Prenzlau il 15 settembre 1737 e morto a San Pietro di Careggi il 28 apri-
le 1807, che lavorò molto in Italia.
In particolare nel 1786 divenne pittore di corte del re Ferdinando IV di Napoli dove
produsse le celebri pitture ritraenti Caserta e la sua reggia e la serie dei porti del regno
borbonico, ma soprattutto le tele dedicate agli scavi di Pompei come “Rovine dell’anti-
co teatro di Pompei” del 1793 e “Le rovine di Pompei” del 1799.
Nello stesso anno però, a seguito della fuga del re da Napoli e dell'invasione delle trup-
pe repubblicane francesi, Hackert abbandonò a sua volta il Regno di Napoli per rifu-
giarsi in Toscana. Nell'ultima fase della sua vita lavorò esclusivamente per committen-
ti privati, alternando però la pittura alla cura di un vasto podere che aveva acquistato.
Morì nella sua casa vicino a Firenze e fu sepolto nel "giardino olandese" a Livorno. I
suoi resti furono poi traslati nell'ossario dell'attuale Cimitero della Congregazione
olandese alemanna.
Non si sposò mai, e visse buona parte della sua vita insieme a qualcuno dei suoi nume-
rosi fratelli minori, ma sono note alcune sue relazioni anche con donne sposate.
SOMMARIO
Piazza del Plebiscito ........... 2
Basilica di S. Francesco ...... 2
Palazzo San Giacomo ......... 3
Teatro San Carlo ................ 3
Villa Floridiana................... 4
Villa Rosebery .................... 4
Villa Pignatelli .................... 4
CON MAPPA SUL RETRO!
“Rovine dell’antico teatro di Pompei”, 1793. Guazzo su carta. Weimar, Goethe Nationalmuseum.
“Le rovine di Pomei”, 1799. Olio su tela, 117,5 x 166 cm. Attingham Park, The Berwick Collection.
Ferdinando I delle Due Sicilie, come voto nei confronti di san Francesco da Paola, che aveva
intercesso per lui affinché ritornasse sul trono del Regno, decise la costruzione di una chiesa al
centro del colonnato di stile neoclassico a Piazza del Plebiscito, cominciato dal napoleonico
Gioacchino Murat da lui sconfitto.
Venne indetto un concorso che fu vinto dall'architetto ticinese Pietro Bianchi, il quale aveva in
parte rispolverato il vecchio progetto di Laperuta, oltre a soddisfare tutte le richieste del re,
come quella dell'altezza della cupola che non doveva superare il Palazzo Reale, posto proprio di
fronte: la prima pietra venne posta il 17 giugno 1816; la facciata fu terminata nel 1824, le deco-
razioni interne nel 1836, mentre le statue furono poste nel 1839: in definitiva la chiesa fu con-
clusa nel 1846, rispecchiando pienamente quello che era il gusto neoclassico ed ispirandosi nelle
forme al Pantheon di Roma, oltretutto, grazie ad privilegio concesso da papa Gregorio XVI, fu la
prima chiesa di Napoli ad avere l'altare rovescio.
La facciata è preceduta da un pronao sormontato da timpano triangolare con tre statue ai verti-
ci. La chiesa ha copertura a cupola: una centrale con altezza di 53 m impostata su un alto tam-
buro che copre l’ampia rotonda e due cupole laterali di grandezze inferiori. L’interno presenta
una pavimentazione in marmo a disegni geometrici ed un colonnato circolare costituito da 34
colonne di ordine corinzio che sorreggono la
grande cupola a lacunari. Al di sopra del co-
lonnato si trova la tribuna destinata alla corte
reale. All’interno è possibile ammirare tele di
Luca Giordano, Pietro Benvenuti, Tommaso
De Vivo, statue raffiguranti Santi e, di parti-
colare rilievo, l’altare maggiore proveniente
dalla Chiesa dei SS. Apostoli, decorato con
pietre preziose.
PIAZZA DEL PLEBISCITO
BASILICA DI SAN FRANCESCO DA PAOLA
NEOCLASSICISMO
Complesso movimento cultura-
le europeo manifestatosi fra la
seconda metà del 18° sec. e il
primo trentennio del 19° sec.,
che, oltre a interessare tutti gli
aspetti dell’arte, coinvolse il
profondo rinnovamento della
cultura e della società.
Caratterizzato dal recupero di
forme classiche, come norma e
tendenza alla perfezione, alla
logica, alla simmetria e alla
chiarezza, fu sostenuto dalla
ricerca teorica di un fondamen-
to razionale del bello e da una
metodica indagine storica delle
fonti; considerato uno stile
‘storico’, ha inaugurato le ten-
denze di recupero del passato
che caratterizzarono l’Ottocen-
to. Ebbe a suo ideale la civiltà
greca, ampliando poi il suo
repertorio, esteso, a seguito
delle scoperte archeologiche e
di una vastissima acquisizione
di forme dell’antico, anche
all’arte romana, della Magna
Grecia, etrusca ed egizia in
rapporto a istanze estetiche e
morali del presente.
La sua rapida divulgazione
in Europa fu favorita dalle ac-
cademie e dai ‘viaggiatori’.
Il suo massimo teorico fu il
tedesco Johann Joachim Winc-
kelmann che, a seguito di nu-
merosi studi e viaggi, realizzò
nel 1755 i “Pensieri sull’imita-
zione dell’arte greca” in cui
veniva esposta appunto la teo-
ria neoclassica secondo cui il
buon gusto ideale era proprio
della Grecia antica, dunque
tale stile andava imitato per
ottenere la grandiosità.
Fonti:
www.treccani.it
Itinerario nell’Arte: dal Barocco al
Postimpressionismo - Francesco
P. Di Teodoro, Giorgio Cricco
2
L'arrivo di Gioacchino Murat a Napoli coincise
con l'inizio di un progetto di riassetto urbani-
stico della città: in particolare, questo interessò
quella zona periferica, che diventerà in seguito
piazza del Plebiscito, sede di numerosi conventi
e giardini, nonché luogo frequentato da malvi-
venti. Il generale francese ordinò quindi l'ab-
battimento di tutti gli edifici e la costruzione di
una piazza che avrebbe dovuto prendere il
nome di Gran Foro Gioacchino.
I lavori iniziarono nel 1809 ma non vennero
mai portati a compimento a seguito della cac-
ciata di Gioacchino Murat da Napoli con la
restaurazione della corona borbonica, che però
li riprese riallacciandosi quasi totalmente al
progetto iniziale.
Il nome di piazza del Plebiscito fu scelto dopo
che, il 21 ottobre 1860, un plebiscito aveva
decretato l'annessione del Regno delle due
Sicilie al Regno di Sardegna.
Isolate sulla piazza, di fronte alla Basilica, s'in-
nalzano le statue equestri di Carlo III di Borbo-
ne (iniziatore della dinastia borbonica) e di suo
figlio Ferdinando I. Le sculture furono com-
missionate per celebrare il ritorn0o della dina-
stia borbonica dopo la parentesi napoleonica.
La prima è opera di Antonio Canova che eseguì
il lavoro in un arco cronologico compreso fra il
1816 ed il 1822, anno della morte dell'artista.
La seconda, non potendo essere eseguita per
intero dallo scultore veneto a causa della sua
morte, vede per quel che riguarda il cavallo
l'effettiva attribuzione al Canova, mentre il re
che lo cavalca fu scolpito dall'allievo Antonio
Calì.
“Carlo III di Borbone” “Ferdinando I di Borbone”
TEATRO SAN CARLO
È il più antico teatro d'opera in Europa e del mondo ancora attivo, nonché uno dei più capienti teatri all'italiana della penisola.
Può ospitare più di duemila spettatori e conta un'ampia platea (22×28×23 m), cinque ordini di palchi disposti a ferro di cavallo più un ampio
palco reale, un loggione ed un palcoscenico (34×33 m).
Fondato per volontà di Carlo di Borbone, fu inaugurato il 4 novembre 1737, proprio in occasione
del giorno dell'onomastico del re, dal quale prese il nome il teatro. L'opera che per prima in asso-
luto andò in scena fu l'Achille in Sciro di Domenico Sarro e libretto di Pietro Metastasio.
Fu sotto la gestione di Domenico Barbaja, a cavallo tra la parentesi murattiana e il ritorno dei
Borbone che il San Carlo, con gli importanti lavori di Antonio Niccolini durati due anni, assunse
l'aspetto che tutt'oggi ha. Furono essen-
zialmente rivisti gli interni creando
ambienti di ristoro e ricreazione e, so-
prattutto, fu rifatta la facciata in pieno
stile neoclassico. Lavori rieseguiti dallo
stesso Niccolini, sotto il comando di
Ferdinando I, a seguito del disastroso
incendio del 13 Febbraio 1606: la celerità
fu sorprendente e fece guadagnare gran-
de prestigio alla dinastia borbonica che
aveva appena ripristinato il governo.
Il progetto introdusse la pianta a ferro
di cavallo, la più antica del mondo, mo-
dello per il teatro all'italiana.
Gli ultimi lavori di restauro risalgono
al 23 gennaio 2009: coordinati dall'ar-
chitetto Elisabetta Fabbri, sono durati
cinque mesi: da luglio 2008 a dicem-
bre dello stesso anno. È stato costruito
un nuovo foyer al di sotto della sala
teatrale; la sala stessa è stata restaura-
ta, con la completa pulizia di tutti i rilievi decorativi. Sono stati inoltre aggiunti gli
accorgimenti necessari per l’accesso ai diversamente abili e un impianto di climatizza-
zione per il quale il flusso dell'aria è immesso nella platea attraverso una bocca posi-
zionata al di sotto di ognuna delle 580 poltrone ed in ogni singolo palco della sala.
APOLLO CHE PRESENTA A
MINERVA I PIÙ GRANDI POE-
TI DEL MONDO
Nel 1816 fu inoltre eseguita la grande tela sul soffitto di 500 metri quadrati, opera di Anto-nio, Giovanni e Giuseppe Cam-marano, la cui consistenza uni-ta alla lunga estensione la tra-sformò in un’enorme “tamburo” che conferiva al teatro un’acu-stica perfetta in ogni luogo.
3
« Non c'è nulla, in tutta Euro-pa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Questa sala, ricostruita in trecento giorni, è un colpo di Stato. Essa garantisce al re, meglio della legge più perfetta, il favore popo-lare... Chi volesse farsi lapidare, non avrebbe che da trovarvi un di-fetto. Appena parlate di Ferdinando, vi dicono: ha ricostruito il San Carlo! »
PALAZZO SAN GIACOMO Palazzo San Giacomo, attualmente noto per essere il Municipio di
Napoli, è un altro dei numerosi edifici costruiti per volere di Fer-
dinando I di Robone nel 1816 affinché ospitasse tutti i ministeri
dello Stato Borbonico, i quali prima erano dislocati in varie sedi.
Per il progetto fu scelto il complesso di edifici comprendente la
chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, il monastero della Conce-
zione e alcune case appartenenti al Banco di Napoli e all’Ospedale
di San Giacomo, istituito nel 1534 per volere di Don Pedro di
Toledo. L’edificazione della struttura fu affidata agli architetti
Vincenzo Buonocore, Antonio De Simone e Stefano Gasse che
conclusero il lavoro nel solo 1825, a causa delle difficoltà finanzia-
rie e delle diatribe tra governo e religiosi.
La facciata, disegnata dal Gasse, presenta tre ingressi, con quello
di destra che divenne l’accesso alla chiesa di San Giacomo.
I tre piani della struttura poggiano su un basamento bugnato che,
oltre ai tre portali, presenta dodici finestroni. Ogni livello supe-
riore, invece, presenta diciassette balconi dei quali solo quelli dei
primi due piani hanno un timpano triangolare. All’interno, nell’a-
trio, troviamo due nicchie che ospitano le statue di Ruggiero il
Normanno e Federico di Svevia, accompagnate da incisioni sui
piedistalli che ne decantano la gloria. Da questo ambiente è possi-
bile accedere al cortile da quale parte la scala a doppia rampa,
nella quale si
aprono altri
due spazi in
cui erano
poste le sta-
tue di Ferdi-
nando I e
Francesco I,
poi sostituite
con figure
allegoriche.
Inoltre, tra le due rampe troviamo un piedistallo che sorregge la
testa di epoca greca, da sempre considerata raffigurante Parteno-
pe, l’emblema della città, alla quale, durante la rivolta di Masa-
niello, il popolo ruppe il naso che, poi, venne ricostruito. Infine, si
arriva all’ingresso della galleria lunga 156 metri che, attraversan-
do varie rampe di scale e cinque giardini, arrivava fino a via Tole-
do. Questo passaggio, che per un tratto prevedeva anche una
copertura in vetro e metallo, venne conservato intatto fino al
1940, quando fu chiuso a causa della costruzione del palazzo del
Banco di Napoli.
GUIDA ALLA SCOPERTA DI
NAPOLI NEOCLASSICA 4
VILLA FLORIDIANA Nel giugno 1815 Ferdinando IV di Borbone ac-quistò per la moglie Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia un ampio appezzamento sulla collina del Vomero, dove si ergeva una imponente villa che, in onore della moglie, chiamò Floridiana. L’acquisto da parte del re, nel 1817, di proprietà confinanti fece guadagnare alla villa un nuovo ingresso in direzione di Chiaia. L’architetto Antonio Niccolini ebbe l’incarico di ristrutturare la vecchia costruzione e tra il 1817 e il 1819 rea-lizzò la villa in stile neoclassico e l’ampio parco di stile romantico. Viali e sentieri furono siste-mati a verde dal direttore dell’Orto botanico di Napoli Friedrich Dehnhardt che ornò il parco con 150 specie di piante tra cui lecci, pini, plata-ni, palme, bossi e una ricca collezione di came-lie. La Fioridiana e il resto del parcò furono acqui-stati nel 1919 dallo Stato, che vi espose la colle-zione di ceramiche ricevuta in donazione da Maria Spinelli di Scalea, che l’aveva ereditata dallo zio Placido di Sangro, duca di Martina, da cui il museo prende il nome. La villa presenta una semplice pianta rettango-lare arricchita da due brevi ali destinate a locali di servizio. La facciata settentrionale, rivolta a monte, si sviluppa linearmente su due piani e, benché sia quella principale, si presenta in mo-do estremamente sobrio. La facciata rivolta a mezzogiorno, invece, in virtù del forte scoscen-dimento del terreno, si articola su tre piani e prospetta direttamente sul mare. Ad accrescere l’atmosfera romantica e pittore-sca del parco, Niccolini inserì una serie di finte rovine, statue ed elementi architettonici, in par-te ancora esistenti. Ricordiamo fra l’altro il Tempio ionico, bianco padiglione a pianta cen-trale che, posto al margine estremo del giardino a terrazza, inquadra con le sue colonne splendi-de vedute cittadine.
VILLA ROSEBERY Il complesso di edifici rurali originali fu vendu-to nel 1820 da Giuseppe Thurn alla principessa di Gerace e al figlio don Agostino Serra di Ter-ranova che l’acquistarono, assieme al parco, perché in quegli anni si stava realizzando l’at-tuale via Posillipo la strada che lungo la collina di Posillipo permetteva di collegare Mergellina a Bagnoli. Infatti la bellissima collina di Posil-lipo era fino ad allora impervia e raggiungibile soprattutto via mare. Il complesso fu così tra-sformato in una villa residenziale grazie agli architetti gemelli Stefano e Luigi Gasse che lavorarono sul casino del Belvedere, oggi Pa-lazzina Borbonica, trasformandolo in una elegante residenza per i nuovi proprietari. Alla morte dei proprietari, nel 1857, la villa, che allora era conosciuta come “Villa Serra mari-na”, fu venduta a Luigi di Borbone, comandan-te della Marina napoletana che la recintò com-pletamente e creò il grande parco alberato di 66.000 mq e l’approdo dal mare. Con l’andata via dei Borbone la villa passò ad un uomo d’af-fari, Gustavo Delahante e poi nel 1897 all’ex primo ministro inglese Lord Rosebery. Ceduta nel 1909 al Governo inglese fu poi donata nel 1932 allo Stato italiano e fu messa a disposizio-ne della famiglia reale per i soggiorni estivi: ospitò dal giugno del 1944 il Re Vittorio Ema-nuele III fino all’abdicazione e alla partenza per l’esilio in Egitto, il 9 maggio 1946. Oggi è inclusa fra i beni in dotazione alla Presidenza della Repubblica e ospita i vari Presidenti della Repubblica Italiana in particolare per le festi-vità o per occasioni speciali. Si accede da via Ferdinando Russo ed è eccezionalmente visita-bile solo in alcuni periodi dell’anno ed in parti-colare durante le Giornate di primavera del FAI.
VILLA PIGNATELLI La villa fu costruita a partire dal 1825 quando Ferdinando Acton, affidò il progetto della villa all’architetto Pietro Valente: Acton poi vi abitò fino alla sua morte nel 1837 a soli 35 anni. Nel 1867 il duca di Monteleone e principe Diego Aragona Pignatelli Cortés comprò il complesso che da allora è conosciuto con il suo nome. Passata a Diego Pignatelli ed alla moglie Rosa Fici duchessa di Amalfi fu, nella prima metà del novecento, luogo d’incontro mondano dove venivano organizzati concerti e avvenimenti culturali. Alla morte della duchessa nel 1952 il vasto patrimonio di famiglia fu donato allo Stato compresi numerosi testi antichi e opere d’arte. La villa fu ceduta a condizione che ve-nisse utilizzata per allestire un museo a nome del marito Diego Pignatelli nel quale esporre il vasto patrimonio di famiglia. Si trova alla Riviera di Chiaia al numero 200 ed è visitabile previo pagamento del biglietto d’ingresso. La residenza, pensata come una domus pom-peiana, è caratterizzata da una pianta quadra-ta generata dalla somma di due rettangoli uguali. Uno di questi, sviluppato su due piani, costituisce il vero e proprio corpo di fabbrica, mentre l'altro, articolato al livello del solo pian terreno, è preceduto sul fronte meridionale da un portico d'ingresso dotato di un colonnato di ordine neodorico ed era destinato alla residen-za padronale. L'ingresso si trova sul lato poste-riore presso l'atrio a cui si poteva accedere, secondo le intenzioni del Valente, tramite due rampe laterali direttamente in carrozza.