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La morale pagana e la morale cristiana Ellenizzazione ed essenza del cristianesimo Dario Coviello

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la ricezione delle dottrine platoniche nell’orizzonte di pensiero cristiano, ha dato vita a quel processo di acculturazione del messaggio che Adolf Von Harnack definì ellenizzazione del cristianesimo. Un processo che se per Cantalamessa è "perfettamente in armonia con l’indole del cristianesimo, religione dell’ Incarnazione e religione universale [...]capace di incarnarsi in ogni cultura" per Von Harnack e altri la sua essenza si dissolse a contatto con le strutture argomentative ed i nuclei concettuali precipui dellametafisica greca.

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Page 1: Morale Pagana e Morale Cristiana. Ellenizzazione ed essenza del cristianesimo

La morale pagana e la morale cristiana

Ellenizzazione ed essenza del cristianesimo

Dario Coviello

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Premessa

Il termine “morale”, dal latino mos-moris, significa “costume” ed è utilizzato per indicare l’insieme di princìpi e comportamenti condivisi nell’ambito di una comunità. Il suo corrispettivo in greco è ethos, da cui l’italiano “etica”.1

In questa accezione l’etica opera in un campo più vasto di quello filosofico, come dimostra la presenza in ogni cultura di nozioni e precetti, in base ai quali definire cosa è giusto, lecito e virtuoso, oltre che doveroso. Per contro occorre riconoscere che solo a partire dal pensiero greco, e da quelo dei sofisti in particolare, si siviluppa una scienza dell’etica, ossia dell’agire morale, articolata attraverso un’analisi metodologica razionale.2

Il punto di partenza dei Sofisti è la constatazione delle Antilogie sviluppata da Protagora, di cui ci parla Diogene Laerzio, 3 in base alle quali in comunità e contesti sociali differenti, possono esistere opposti valori morali. Infatti se in base alla tradizione di una comunità alcuni princìpi possono sembrare ovvi, considerati alla luce della cultura di un altro popolo, gli stessi valori possono diventare del tutto discutibili.4

Sarà Socrate, opponendosi a questa relativizzazione dei valori, ad affermare per primo la centralità dei principi etici. Agire bene, perseguendo ciò che la ragione dimostra avere maggior valore, è ciò che davvero conta. Solo così infatti l’uomo potrà essere davvero felice.

Alla soggettività dei sofisti, che ammetteva ogni singolo punto di vista individuale come verità, si contrappone l’oggettività e l’universalità del pensiero prima di Socrate poi di Platone, infine di Aristotele.5

Ognuno di loro affronta, sebbene su basi diverse, le questioni etiche proposte dai sofisti, tracciando una linea di continuità che, attraversando il pensiero ellenistico, influenza la filosofia

1 cfr.ANTONIO DA RE, Introduzione, p. XI, in Filosofia morale: storia, teorie, argomenti, Bruno Mondadori, Milano 2008. Nell’ambito della filosofia morale tuttavia gli specialisiti attribuiscono un diverso senso (spesso non condiviso), ai due termini. Interessante la posizione di Ricoeur che, scegliendo di utilizzarli in modo interscambabile, gli attribuisce una duplice funzione. La prima designa le norme, ossia i parametri in base a cui stabilire cosa è permesso o vietato, la seconda è rivolta al rapporto dell’individuo con le norme. In altre parole il “come” il soggetto si sente obbligato. Prendono vita così due etiche: una “a monte” delle norme (etica antecedente), la seconda a valle (etica posteriore). Al centro restano le norme in base alle quali si dovrà o meno fare qualcosa, che categorizzano cioè l’esperienza comune, essendo applicate a diverse situazioni. In questo senso l’etica, basandosi sulla norma, è formale ossia applicabile a più contesti differenti. Attraverso la sua riflessione Ricoeur recupera il concetto classico, aristotelico e prima ancora socratico, di etica come “volontà di fare il bene”, grazie a una antropologia filosofica che fonde la morale degli “Antichi” e quella dei “Moderni” attraverso il concetto di capacità dell’uomo di fare il bene. cfr. PAUL RICOEUR, Il giusto, II, trad. It. Effatà, Cantalupa 2007, pp. 64-77. 2 Ibidem. 3cfr. DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi, IX 51= 80 A 1 Diels-Kranz, in MARIO UNTERSTEINER, ANTONIO MARIO BATTEGAZZORE (a cura di), Sofisti. Testimonianze e frammenti, Bompiani, Milano 2009. «Intorno ad ogni cosa ci sono due ragionamenti che si contrappongono fra loro». 4cfr. DIOGENE, Vite, op. cit., Diels, 90, 2. La conclusione della riflessione sofista è che non esiste alcuna morale oggettiva, naturale, valida per tutti allo stesso modo. La virtù, il bene, non è definibile in senso assoluto piuttosto, per dirla con le parole di Menone:«In base a ogni attività e a ogni età, per ogni occupazione per ciascuno di noi c’è la virtù, così come credo, o Socrate, ci sia anche il vizio». PLATONE, Menone, 72a in ENRICO VITTORIO MALTESE (a cura di), Platone tutte le Opere, Newton Compton editori, Roma 2013. Cfr. DANIELE VIGNALI, I sofisti: retori, filosofi ed educatori, Armando Editore, Roma 2006, pp. 195-196. 5cfr. ANTONIO GARGANO, I sofisti, Socrate e Platone, La Città del Sole, Napoli 1996; FRANCESCA CAPUTO, Etica e pedagogia. Linee di teorizzazione etica e pedagogica nel pensiero classico e medievale, I, Pellegrini Editore, Cosenza 2005, pp. 33-34.

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patristica e la scolastica, giungendo fino ai nostri giorni.6 La sintesi fra la morale pagana dei pensatori greci e l’etica cristiana operata dei Padri greci, in particolare da Agostino di Ippona, si dimostrò un formidabile strumento di veicolazione della dottrina cristiana.

Adottando le categorie di pensiero ellenistiche, in breve il cristianesimo si diffuse all’interno dI tutti confini dell’impero greco-romano. Tuttavia in questo processo l’etica giudaico-cristiana originale si trasformò, dando vita a quella nuova morale che Tommaso D’Aquino sintetizzerà nel suo pensiero e che dominerà la teologia fino all’ umanesimo rinascimentale.7

Dalla Riforma in poi, fino ai nostri giorni, non poche voci si sono levate a favore di una de-ellenizzazione del cristianesimo ed altrettante, all’opposto in suo favore. 8 Le prime sollecitando il ritorno al pensiero giudaico-cristiano delle origini, le altre rivendicando il valore e l’importanza della sintesi effettuata dalla patristica e dalla scolastica.

ELLENISMO E CENTRALITÀ DELL’ETICA

Con la morte di Aristotele nel 322 a.C. e soprattutto con quella del suo ex discepolo Alessandro Magno, avvenuta l’anno precedente, termina l’epoca classica e inizia un periodo nuovo nella storia della Grecia, chiamato ellenismo.

È un’epoca di profonda crisi e disorientamento, in cui scompaiono i tradizionali punti di riferimento, in seguito alla fine dell’indipendenza politica delle poleis, sottoposte alla dominazione macedone.9

Per l’uomo greco la propria polis rappresenta la società ideale in cui poter raggiungere la perfezione, in quanto è un “animale politico”, come afferma Aristotele, creato per vivere in società.10 Fuori dalla polis non c’è possibilità di vivere una vita buona, tanto meno di sopravvivere.11

Con la fine dell’ellenismo tutto ciò scompare, producendo una clima di incertezza che si riflette nella filosofia, il cui obiettivo diviene la terapia dell’anima, infondere l’arte di saper vivere sopportando i mali della vita.12 Per questa ragione, le filosofie ellenistiche privilegiarono la riflessione sulle questioni morali, già emerse in epoca classica, indirizzate a definire cosa sia eudaimonìa (felicità) e aretè (virtù),13 a scapito della politica posta in secondo piano.14

6 cfr. CAPUTO, Etica op. cit. p. 34. 7 cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q.1, a.8, ad 2. 8 cfr. BENEDETTO XVI, Discorso all’Università di Regensburg, 12 settembre 2006, «La Traccia», 2006,9, pp. 893- 901; sulla posizione di Von Harnack cfr. BATTISTA MONDIN, Storia della Teologia, IV, ESD, Bologna 1997, pp. 144-147. 9 cfr. BATTISTA MONDIN, Storia della metafisica,I,ESD Bologna 1998, p. 388 10 Aristotele, L’Etica Nicomachea, 1-2-5-3 a 7 in Tommaso D’Aquino, Commento alla Politica di Aristotele, II ESD, Bologna 1996, pp. 61-66; Cfr. MONDIN, Storia, op. cit. p. 389; per una lettura politica dello stesso passo di Aristotele, in cui si evince la nascita dello stato sociale da un contratto fra i singoli nel corso della loro evoluzione come specie cfr. LUIGI MARCO BASSANI, STEFANO BRUNO GALLI, FRANCO LIVORSI, Da Platone a Rawls. Lineamenti di storia del pensiero politico, Giappicchelli Editore, Torino 2012, pp. 25-26. 11 Aristotele, L’Etica op. cit. p. 61. 12 «La filosofia diviene la fonte da cui l’uomo ellenistico attinge quei valori che prima attingeva dalla polis: offre nuovi contenuti di vita spirituale, illumina le cosienze, aiuta l’uomo a vivere e gli insegna come essere felice anche nelal tragica età in cui vive, nella quale tutti gli antichi valori sembrano sovvertiti». GIOVANNI REALE, Storia della Filosofia Antica, III, Vita e Pensiero, Milano 1997, p. 12. 13«Quali che siano la forma assunta dall’eudaimonia, la sua sede ultima e privilegiata (i piaceri del corpo o dell’anima, l’autorealizzazione sociale oppure intellettuale), essa costituirà sempre per l’età antica il fine, la motivazione, la promessa dell’azione morale». MARIO VEGETTI, l’etica degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1989, pp.10-11.

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Come la medicina ha il compito di alleviare la sofferenza fisica, la ragion d’essere della filosofia è alleviare i mali dello spirito, attraverso una riflessione critica sul pensiero e lo studio del comportamento.15

Un rilevante elemento etico, comune a tutte le scuole ellenistiche è la mancanza di valore attribuita alle emozioni, considerate deleterie. Passioni e sentimenti devono essere sradicate, in quanto causa delle inquietudini dell’anima.

Nell’ellenismo non esistono emozioni positive o negative. Poichè le emozioni sono capaci di prevaricare la ragione, impedendone l’uso, tutte sono considerate potenzialmente dannose e di conseguenza da estirpare.

Non si deve odiare ma nemmeno amare, e l’angoscia, lira e l’invidia sono da fuggire allo stesso modo della pietà, compassione e misericordia. Qualsiasi sentimento è considerato un vizio dell’anima.16

Il comportamento considerato virtuoso, etico, è quello conforme al logòs universale, inteso come ordine razionale che governa il mondo a cui già faceva riferimento Socrate. Per Platone invece questo logòs si identificava con la giustizia, mentre per Aristotele si trattava della felicità. Per gli stoici diviene il senso del dovere.

PRINCIPALI FILOSOFIE ED ETICHE ELLENISTICHE

Per lo stoicismo esercitare il proprio dovere è l’unica via per vivere un’esistenza dignitosa, che valga la pena di essere vissuta. Essendo fondata sulla razionalità la virtù non consente “mezze misure”. 17 L’etica si paragona in un certo modo a una scienza, dove una teoria non può essere “quasi vera” o “quasi falsa”. Allo stesso modo in ambito morale non si ammettono comportamenti “quasi virtuosi” o “quasi viziosi”. Ne consegue che, quando non è più possibile adempiere i propri obblighi morali, il suicidio diviene non semplicemente lecito ma necessario.

Si tratta di un’azione doverosa che si contrappone a quelle istintuali.18

14 cfr. MONDIN, Storia op. cit. p. 389; CARMEN DAL MONTE, Ethos e Kairos. Un percorso etico dai sofisti all'economia globale, Silvano Pagani Editore, Bologna 20102, pp. 45-46. 15 cfr. EPICURO cit. in SENECA, lettere a Lucilio, 8,7 in CATENA BARONE, Seneca Lucio Anneo, Lettera a Lucilio, Garzanti, Milano 2008; EPICURO, lettera a Meneceo, 122- 127 in ETTORE BRIGNONE, Epicuro, opere, frammenti, testimonianze sulla vita, introd. di GABRIELE GIANNANTONI, LATERZA, BARI 2003; MONDIN, Storia op. cit. p. 389. Quella epicurea è una ricerca svolta nell’ambito di veri e propri sistemi etici, fondati su princìpi scientifici e sostenuti da un peculiare metodo analitico. Inizia in questo periodo la divisione della filosofia in tre parti: logica (che comprende anche la teoria della conoscenza), fisica ed etica. Per la Suddivisione delle filosofie ellenistiche in tre parti cfr. DAL MONTE, Ethos, op. cit. p. 46. 16 cfr. MONDIN, Storia, op. cit. pp. 390-391. Con Platone e Aristotele la via della salvezza consisteva nella conoscenza della verità. Con le filosofie ellenistiche la via della salvezza consiste nell’agire. In modo più preciso nel praticare la virtù. Queste via è identificata rispettivamente da Zenone con la soppressione di tutte le passioni, (apatia), Da Epicuro con l’eliminazione di ogni turbamento dell’animo, (atarassia), e da Pirrone, fondatore dello scetticismo, con la completa rinuncia a ogni passione e sentimento. In altre parole con la totale indifferenza e insensibilità. 17 cfr. GIOVANNI REALE, il pensiero antico,Vita e Pensiero, Milano 2001, pp. 319-322. La scuola stoica deriva il proprio nome dal portico dipinto (in greco stoà) sotto il quale insegnava il fondatore, Zenone. Diffusosi a partire dal 300 a.C., in campo etico lo stoicismo insegnava che per attuare il comportamento virtuoso, è doveroso agire obbedendo alla coscienza, voce della ragione che parla all’interno dell’anima. 18 cfr. DAL MONTE, Ethos, op.cit. pp. 50-51. Gli stoici, identificano tre tipi di azioni: istintuali doverose (curare i figli), istintuali ma opposte al senso del dovere (mettersi in salvo in battaglia) e istintuali ma eticamente irrilevanti (dormire quando si è stanchi).

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Cronologicamente antecedente alla scuola Stoica ma caratterizzata da minore vivacità e longevità è la scuola Epicurea, seconda grande corrente filosofica ellenistica, fondata da Epicuro.19

Il suo ideale etico è il saggio, colui che è veramente felice, ossia ha raggiunto una condizione di imperturbabilità (in greco atarassia), cioè di mancanza di turbamento. Si può vedere che il concetto di felicità epicureo è negativo, lo scopo della filosofia è raggiungere questa condizione.

L’etica di Epicuro proprone un modello meno rigido e intransigente di quella stoica. L’idea centrale è l’equilibrio fra piaceri e rinunce. Ogni uomo cerca di diminuire il dolore e massimizzare il piacere, ed è la ragione lo strumento per riuscirvi.20

In questa prospettiva dunque è ammissibile qualunque comportamento etico teso a conseguire il maggior piacere soggettivo, a patto che ogni scelta sia compiuta in base alla razionalità.

Diverso l’attegiamento ispirato dal pensiero scettico che, privo di inclinazioni e opinioni, proteso a vigilare di non averne, professa un’etica fondata sull’assenza di qualsiasi verità. Di fronte alla necessità di prendere una posizione lo scettico opta per la scelta più conservatrice, confortata dalla tradizione, dall’opinione comune, dalla legge positiva e dal buon senso. Propenderà in definitiva per le soluzioni più pratiche e antiche, che garantiscono le minori possibilità di errore.21

IL NEOPLATONISMO

L’ultima significativa filosofia antica è il neoplatonismo di Plotino.22 Il pensiero neoplatonico si sviluppa nel III secolo d.C., quando la parabola culturale dell’ellenismo era conclusa da tempo23 e l’impero romano si trova alle prese con alcune delle più gravi crisi della sua storia.

Plotino cerca di trovare una risposta al senso di precarietà esistenziale che affligge i suoi contemporanei, elaborando un ottimismo razionalistico. Tramite la ragione e la certezza che l’uomo possieda natura divina, offre la speranza di una salvezza dell’anima.

19 cfr. REALE, il pensiero, op. cit. p. 295; DAL MONTE, Ethos op. cit. pp. 46-50. 20 Ivi, pp. 295-298. 21 ivi pp. 349-350. Antesignano delle scuole Stoica ed Epicurea il movimento scettico non si propone come una scuola. Infatti, fondato da Pirrone intorno al 323 a.C., non raccolse discepoli e non fissò i propri precetti in alcun testo. Riprendendo l’esempio di Socrate lo scetticismo era convinto che la saggezza filosofica si potesse comunicare in modo autentico solo con l’esempio di vita. Ed è in questa idea che risiede la differenza sostanziale fra il pensiero di Pirrone e le altre filsofie della sua epoca. Lo scettico è convinto «che sia possibile vivere “con arte” una vita felice, anche senza la verità e senza i valori, almeno così come erano stati concepiti e venerati in passato». 22 Le informazioni sulla la vita di Plotino ci arrivando da la Vita di Plotino, scritta dal suo discepolo Porfirio. Risulta che Plotino nacque in Egitto (a Licopoli), nel 205 d.C. e ventottenne iniziò a frequntare la scuola di Ammonio ad Alessandria. Raggiunti i quarant’anni si trasferì a Roma, fondando una scuola frequentata sia dalla classe politica romana che da alcuni cristiani, probabilmente di matrice gnostica. cfr. GIUSEPPE FAGGIN (a cura di), Plotino. Enneadi, Rusconi, Milano 1992. 23 La fine dell’ellenismo è datata convenzionalmente con la battaglia di Azio del 31 d.C., con cui i Romani sconfissero l’ultima monarchia d’Egitto, trasformando le poleis da città stato, in semplici unità amministrative. cfr. FRANCO GIUSTINELLI, Letteratura e pregiudizio: diversità e identità nella cultura greca, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2005, pp. 417-418.

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Il neoplatonismo recupera in pieno la dimensione metafisica, arrivando a sostenere che tutta la realtà sensibile è frutto dell’emanazione di un principio assolutamente primo chiamato Uno, a cui l’uomo deve ricongiungersi.24

Per il neoplatonismo la radice del male risiede nella materialità, intesa come assenza di bene, essendo la parte della realtà più lontana dalla sorgente di bene e di essere che è l’Uno.25

Il modo con cui Plotino descrive questo principio è religioso, difatti il neoplatonismo si propone come un’alternativa alla religione, soprattutto al cristianesimo.26

Molti temi della filosofia di Plotino influenzeranno la nascente filosofia cristiana dei padri della Chiesa, primo fra tutti Agostino.

LA MORALE CRISTIANA

Con la chiusura delle scuole filosofiche imperiali di Atene, decretata nel 529 d.C. dall’imperatore d’oriente Giustiniano, termina la filosofia antica. Il cristianesimo da tempo si era diffuso nell’impero, divenendo dal 381 con Teodosio religione ufficiale. Con la sua concezione religiosa e la nuova visione del mondo, influenzò il pensiero filosofico.

Parallelamente è possibile rintracciare nell’etica cristiana, già a partire dalle prime tre scuole teologiche di Alessandria, Cesarea ed Antiochia,27 e successivamente in tutto il pensiero medievale,28 elementi eudemonistici di continuità con l’etica pagana.

In primo luogo si continua a identificare lo scopo dell’esistenza con la felicità (beatitudo), raggiungibile grazie a una vita buona, in cui manifestando le virtù si realizza la vita umana. Quindi solo chi è virtuoso è felice. Tuttavia per l’etica cristiana la felicità non si può mai separare dalla pratica delle virtù ed a quelle morali si aggiungono le virtù teologali.29

Ulteriore elemento di continuità fra etica pagana e cristiana, è il suo fondarsi in un’antropologia a sua volta basata su di una ontologia. In altri termini, per comprendere cosa è bene per l’uomo prima devo sapere chi è l’essere umano e ciò richiede una visione d’insieme della realtà.

Altrettanto rilevanti appaiono le novità frutto della diffferente visione ontologica, derivante dal radicamento nella rivelazione contenuta nella Bibbia del pensiero cristiano.30 In primo luogo

24 «L’anima deve spogliarsi di ogni realtà esterna per rivolgersi totalmente in se stessa, senza nulla concedere al mondo esteriore; bisogna pure che rinunci a conoscere ogni realtà a partire da quelle sensibili fino alle forme intelligibili, e addirittura a se stessa, per ritrovarsi nella contemplazione dell’Uno.» PLOTINO, Enneadi VI 9,7. 25 La materia, pertanto, è la causa della fragilità dell’anima e del vizio; quindi la materia è malvagia già da prima, anzi è «il primo male, il male in sé» PLOTINO, Enneadi I 8, 3, 40. 26 cfr. REALE, il pensiero, op cit., p. 450. Plotino non accettò il messaggio cristiano, prendendo piuttosto posizione contraria al dogma fondamentale della resurrezione della carne. Rifiutò anche il principio fondamentale del cristianesimo del Dio ch,e pur incarnato, resta vero Dio, divenendo allo stesso tempo vero uomo. Inoltre di questo principio Plotino rifiutò anche il significato di evento storico, oltre a quello metafisico e teologico. Infine anche la dotrina della Grazia soprannaturale non trovò il suo consenso. 27 cfr. CARMINE BENINCASA, L'altra scena. Saggi sul pensiero antico, medievale, controrinascimentale, Dedalo Libri, Bari 1979, pp. 110-129. 28 cfr. ibidem; e ivi pp. 365-374, per influenza dell’aristotelismo sul pensiero medievale. 29 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 62 a. 1, in La Somma Teologica, II, ESD, Bologna 1996, p. 466. 30 cfr. GIOVANNI BORTOLASO, Il senso della filosofia cristiana oggi,«Civilità cattolica», 1979, II, pp. 34 (nota 3). Si tratta di quel «filosofare nella fede» descritto da Etiénne Gilson, in cui la fede cristiana è l’orizzonte che attribuisce senso ad ogni cosa.

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l’approccio etico viene fondato sulla trascendenza divina. Si tratta del Dio rivelato dalla Bibbia, fonte di una legge morale (nomoteta), coincidente con la sua volontà.31 Questa manifesta un Dio personale, che vuole prendersi cura degli uomini, onnipotente e buono.32

Allo stesso tempo la volontà divina può non coincidere con i criteri di giustizia umani (es. sacricificio di Isacco), e Dio può chiedere azioni in apparenza contrarie alla legge. Perciò qualità principale per il credente diviene l’obbedienza.

Anche i valori etici tradizionali vengono sovvertiti. Non è più la sapienza il cuore dell’etica, il Regno dei cieli, afferma Gesù, appartiene agli umili,33 concetto ulteriormente sviluppato dall’Apostolo Paolo.34

L’intellettualismo etico di Socrate attribuiva a un errore della ragione la trasgressione etica, in quanto nessuno può desiderare il male. Al contrario, la morale ebraico-cristiana, parte dalla consapevolezza di questa assurdità razionale. L’errore morale è il risultato di una disubbidienza al volere di Dio, indipendente da scelte razionali. È un atto di cattiva volontà determinato dal peccato.35

Si tratta di un concetto estraneo all’etica greca, che Agostino approfondirà affermando che si nasce peccatori e non lo si diviene.36 Perciò senza la grazia divina nessuno sarebbe con le sue forze buono e virtuoso, la ragione da sola non riesce a porre solide fondamenta per la coscienza etica. In questo modo è negata l’esistenza di una legge morale naturale , di principi etici universali insiti nel cuore dell’uomo, generando un dibattito molto controverso, all’interno della chiesa.

Tommaso elabora una concezione opposta affermando che, l’uomo dotato di ragione è capace di elaborare con le sue forze una lex naturalis che stabilisce una serie di principi etici minimi universalmente validi. Questa legge naturale, preesistente a quella di Dio, è comunque parte del programma divino.37

CONCLUSIONE

Partendo dalla sintesi operata dei padri greci e Agostino, fino al pensiero morale tardo medievale di Tommaso è possibile individuare significative affinità con l’etica ellenistica, di Plotino e ancora prima con la filosofia di Platone e Aristotele.

Allo stesso tempo, altrettanto evidenti appaiono i nuovi significati attribuiti ai concetti di bene, male felicità e virtù da teologi quali Agostino e Tommaso, sulla base dello sforzo da loro compiuto di elaborare un’etica basta sull’accettazione della rivelazione cristiana.38

In primo luogo il concetto di male morale che nell’etica cristiana diventa peccato, frutto della libera volontà umana, che rompe il patto con Dio. Si tratta di una prospettiva del tutto

31 cfr. GIOVANNI REALE, DARIO ANTISERI, Storia della filosofia. Dalle Origini a Oggi, III, Bompiani Milano, 2004. 32 Ibidem. 33 cfr. Mt. 5:1-7:29. 34 cfr. Gt. 3:1-14. Paolo, afferma l’incapacità della Legge che non crea giustizia ma legalità (opere), indicando cosa fare o non fare ma non come raggiungere il bene. La legge appare per certi versi simile, in qesta prospettiva, al daimòn socratico. 35 GASPARE MURA (a cura di), MARSILIO FICINO, La religione Cristiana, Città Nuova Editrice, Roma 2005, pp. 195-198. 36 cfr. LUIGI MANCA, Il primato della volontà in Agostino e Massimo il Confessore, Armando Editore, Roma 2002, p. 225. Per una definzione di peccato nel cristianesimo cfr. BATTISTA MONDIN, Etica e politica, ESD, Bologna 2000, pp. 138- 144; 37 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 94 aa. 1, 2 in La Somma Teologica, XII, ESD, Bologna 1985, pp. 90-95. 38 DA RE, Filosofia, op. cit., p. 46.

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assente nell’etica pagana. Come pure la concezione di un Dio personale, nomoteta e interessato alle sorti dell’uomo.

Tuttavia, la ricezione delle dottrine platoniche nell’orizzonte di pensiero cristiano, ha dato vita a quel processo di acculturazione del messaggio che Adolf Von Harnack definì ellenizzazione del cristianesimo.39 Un processo culminante con la grande sintesi operata in chiave aristostelica da Tommaso, che integrando e non sostituendo il platonismo agostiniano,40 allo stesso tempo ci interroga in merito al significato di questa sintesi fra teologia cristiana e filosofia pagana.

Secondo Cantalamessa l’ellenizzazione «è perfettamente in armonia con l’indole del cristianesimo, religione dell’ Incarnazione e religione universale: religione cioè che per sua natura è capace di incarnarsi in ogni cultura [...] Coerentemente bisognerebbe fare il processo alla romanizzazione del cristianesimo [...] ma anche alla germanizzazione, all’africanizzazione [...] non resterebbe che tornare alla fase del giudeo-cristianesimo, alle tesi, cioè, di coloro che condannavano ogni tentativo di trapianto del messaggio evangelico fuori dell’universo spirituale della Bibbia».41

In alternativa occorrerebbe chiedersi se questa prospettiva è così negativa o piuttosto prendere atto, con Hans von Campenhausen che «La Chiesa, proprio durante la sua speciosa ascesa culturale e materiale, rischia di perdere la sua essenza profonda e la coscienza della propria missione, e mentre sembra dominare la situazione, lentamente aggrava sempre più la sua responsabilità di fronte al futuro».42

In questo caso avrebbe ragione Von Harnack a ritenere che la peculiarità del cristianesimo si dissolse una volta a contatto con le strutture argomentative ed i nuclei concettuali precipui della metafisica greca dando luogo, a suo modo di vedere, ad una “mondanizzazione”, una sorta di compromesso che generò una consunzione razionalistica del cristianesimo.

39 Per approfondimento critico sull’ellenizazione cfr. ADOLF VON HARNACK, Storia del Dogma. Un compendio, Claudiana, Torino 2006; CHRISTOPH SCHÖNBORN, MICHAEL KONRAD et alii, Dio inviò suo figlio: cristologia, trad. it., Editoriale Jaca Book, Milano 2002 , pp. 78-80; DAVID THEUNIS RUNIA, Filone di Alessandria nella prima letteratura cristiana: uno studio d'insieme, trad. It., Vita e Pensiero, Milano 1999, p. 55. 40 DA RE, Filosofia, op.cit., p. 43. 41 cfr.RANIERO CANTALAMESSA, Cristianesimo primitivo e filosofia greca, in ID (a cura di), il cristianesimo e le filosofie, Vita e Pensiero, Milano 1971, pp. 26-57. 42 HANS VON CAMPENHAUSEN, I padri greci, Paideia, Brescia 1967, pp. 107-108.

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BIBLIOGRAFIA

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BENEDETTO XVI, Discorso all’Università di Regensburg, 12 settembre 2006, «La Traccia», 2006,9, pp. 893-901. BENINCASA CARMINE, L'altra scena. Saggi sul pensiero antico, medievale, controrinascimentale, Dedalo Libri, Bari

1979. BORTOLASO GIOVANNI, Il senso della filosofia cristiana oggi,«Civilità cattolica», 1979, II, pp. 31-35. BRIGNONE ETTORE, Epicuro, opere, frammenti, testimonianze sulla vita, introd. di GABRIELE GIANNANTONI,

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