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TRA IDENTITÀ E INTEGRAZIONE: LA COMUNITÀ DI STUDENTI IRANIANI A MILANO Elena Colli, Laleh Mehr, Rosangela Rocca, Shaghayegh Sadeghi Tesina per il corso di Metodologia della ricerca qualitativa LM in Sociologia, 2014

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Case study from the course of Methodology of qualitative research. The aim of the study was to understand the dynamics of identity-rebuilding and integration of the iranian community of students in Milan.

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Page 1: Metodologia della Ricerca Qualitativa - Tra identità e integrazione: la comunità degli studenti iraniani a Milano

TRA IDENTITÀ E

INTEGRAZIONE: LA

COMUNITÀ DI STUDENTI

IRANIANI A MILANO

Elena Colli, Laleh Mehr, Rosangela Rocca, Shaghayegh Sadeghi

Tesina per il corso di Metodologia della ricerca qualitativa LM in Sociologia, 2014

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Tra identità e integrazione: la comunità di studenti iraniani a Milano

INDICE

1. INTRODUZIONE alla ricerca

1.1. Modelli teorici di riferimento

1.2. Breve introduzione all’Iran

2. PROGETTAZIONE DELLO STUDIO

2.1. Domanda cognitiva

2.2. Campionamento

2.3. Metodo ed elaborazione traccia

3. LAVORO SUL CAMPO: costruzione della documentazione empirica

3.1. Contatto e presentazione della ricerca

3.2. Conduzione intervista

3.3. Trascrizione

4. ANALISI DELLA DOCUMENTAZIONE EMPIRICA

4.1. Chiave di lettura utilizzata

4.2. Analisi documentazione (segmentazione e qualificazione dei segmenti: attribuzione di

proprietà caratterizzanti ai segmenti)

5. CONCLUSIONI

6. APPENDICE

6.1. Esempio analisi segmentata di un’intervista

7. BIBLIOGRAFIA

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1 INTRODUZIONE

L’integrazione e la relazione con modelli etici e culturali differenti è una sfida sociale; noi abbiamo

voluto cogliere questa sfida considerando come oggetto della nostra ricerca e del nostro lavoro

appunto quello dell’integrazione sociale.

Il concetto di integrazione è tuttavia un concetto sociologicamente complesso e soggetto a

varie interpretazioni. Gallino (2004) nella voce Integrazione del “Dizionario di Sociologia” evidenzia

differenti modi di intendere tale termine, l’integrazione potrebbe essere definita come uno stato:

- fondato primariamente sulla diffusione di modelli di valore interiorizzati;

- prodotto dalla disposizione innata a conformarsi alle credenze, all’ideologia, ai

comportamenti, alle azioni degli altri;

- fondato innanzitutto su un consenso razionale, liberamente maturato per effetto di una

sorta di calco di utilità (versione contrattualista dell’integrazione);

- fondato prioritariamente su processi di interdipendenza;

- fondato in modo prevalente sullo scambio (integrazione economica, intersoggettiva,

scambio collettivista).

(Gallino, 1978, p. 378-381)

Noi muoviamo le nostre considerazioni sulla base di questa definizione:

“Per integrazione si intende la coesione armonica ed unitaria di tutti gli attori che compongono un

dato sistema sociale”.1

Quindi guardiamo all'integrazione socio-culturale come ad uno stato di coinvolgimento di

tutti i gruppi e soggetti collettivi nel più generale sistema delle istituzioni, delle norme e dei valori

e per meglio precisare la definizione intendiamo specificare che con il termine coesione ci

rifacciamo alla definizione che ci viene data dalla fisica: “il termine coesione è definito come una

proprietà dei corpi di resistere alla rottura e alla separazione, grazie alla presenza di forze attrattive

che tengono insieme le molecole” (CENSIS, 2003, p.7). Con il presente lavoro vogliamo focalizzare

la nostra attenzione sulla dimensione socio-culturale dell’integrazione e quindi sulle questioni

connesse all’identità culturale di un soggetto o comunque di un gruppo sociale; in pratica vogliamo

indagare l’integrazione come multiculturalismo, come pluralismo di differenze.

L’idea di ricerca parte dalla considerazione che nonostante la difficoltà, cercare di costituire

una società basata sulla ricchezza multietnica potrebbe essere, secondo noi, un importante

vantaggio, e per questo abbiamo voluto guardare allo spazio degli iraniani a Milano per cercare di

capire anche nel nostro piccolo quanto e se esiste effettivamente uno spazio all’interno del

sistema che non cancella le diversità ma che piuttosto le valorizza. Con questo lavoro volevamo

quindi rintracciare le strategie, i metodi che gli stranieri-immigrati mettono in atto per integrarsi

e allo stesso tempo mantenere determinati orientamenti culturali e di valore che sono

caratteristici della loro tradizione culturale. Ci chiedevamo: come si possono integrare due modi

di organizzazione sociale diversi?

1 D'Amato, M. - Porro, N. “Sociologia : dizionario tematico” Editori Riuniti, 1985

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1.1 MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO Quando si parla di integrazione culturale, ad essere messe in questione sono sicuramente

categorie come la lingua, la differenza, l’identità, appartenenza; il nostro lavoro fa riferimento a

queste categorie prendendo le mosse dalla seguente domanda cognitiva:

Come si decostruisce e ricostruisce la cultura identitaria della comunità di studenti Iraniani a

Milano? Più precisamente, il conflitto culturale genera chiusura o integrazione?

Sembra necessario a questo punto, definire i concetti teorici preliminari. Il modello teorico che

meglio chiarisce e sostiene una lettura dei dati di ricerca è certamente il concetto di identità; nel

processo di modernizzazione delle società occidentali si è venuta ad avere una crescita sempre più

rilevante delle differenze e delle alternative di ruolo quindi le forme identitari sono sempre più in

contaminazione.

Il concetto di identità ha una vasta tradizione sociologica ed è stato perlopiù utilizzato in

riferimento al problema del rapporto tra individuo e società. Gli standard culturali generali che il

soggetto apprende nel corso della socializzazione non solo comportano lo sviluppo di abilità

cognitive, ma esercitano anche un’influenza regolatrice sulle motivazioni dell’azione. Pertanto, i

valori e le norme della società diventano parte costitutiva della personalità dei suoi membri2.

La corrente dell'interazionismo simbolico intende l'identità come un processo, si costruisce

nell'interazione con gli altri, infatti, attraverso di essa si produce un processo di comunicazione

simbolica che influenza la capacità di guardare a se stessi sia dal punto di vista dell'altro che dal

punto di vista del sé. Praticamente si può definire l’identità come una “storia di riconoscimenti”

ricevuti da un individuo nei diversi contesti dell’interazione sociale a cui partecipa. La nozione di

identità si può riferire a diversi attributi, per es. identità

- di ruolo (padre, capo-ufficio, malato…)

- di gruppo (il francese, il democristiano, il meridionale)

- biografica (la persona che si conosce da tempo, quella appena conosciuta)

la cui rilevanza cambia a seconda dei contesti perché noi costruiamo la nostra identità sulla base

di ciò che gli altri pensano di noi. Grazie alla costruzione simbolica di sistemi condivisi siamo in

continua interazione, siamo immersi in un processo di interiorizzazione delle norme e dei valori,

assumiamo un ruolo e questo ruolo all'interno della società viene continuamente negoziato o

contrattato attraverso l'interazione simbolica. Si delineano così due volti dell’identità: uno

personale e uno sociale, solo in apparenza opposti. Con il primo si sottolinea la differenza rispetto

agli altri, l’aspetto di distinzione e individuazione. Con il secondo si mette in luce l’uguaglianza con

gli altri, il riconoscersi in persone, categorie, gruppi sociali che trascendono l’individuo. Dopo

quanto detto possiamo dire che il riconoscimento e la formazione identitaria rientrano nei processi

di appartenenza e di differenziazione sia tra gli individui, sia tra attori collettivi.

2 Parsons, Talcott. "The position of identity in the general theory of action." The self in social interaction 1 (1968).

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Abbiamo usato i termini “decostruzione e ricostruzione” dell’identità proprio perché il

nostro è un approccio dinamico all’identità che ci porta a ritenere che l’identità dell’immigrato

possa essere in una fase di transizione che, come afferma Lewin, gli impone una ristrutturazione

del campo del sé. Gli immigrati non appartengono stabilmente a mondi sociali autonomi, ma si

spostano in rapida sequenza da uno all’altro, o vi partecipano contemporaneamente. Cresce

quindi la difficoltà del gestire una serie di ruoli privi di connessioni rilevanti o addirittura

reciprocamente conflittuali. I meccanismi tipici per fronteggiare situazioni di questo genere

possono essere attivare ruoli diversi a seconda delle occasioni, che può risultare inefficace, oppure

quello di armonizzare ruoli diversi contraddittori3. Si trovano a dover costruire un nuovo senso e

significato, ad entrare in un una nuova “rappresentazione sociale”.

“Le rappresentazioni sociali sono una forma di conoscenza elaborata socialmente e socialmente

condivisa. Esse hanno un fine pratico: servono all’interno del nostro mondo. Sono il risultato di un

processo di costruzione sociale che avviene inavvertitamente, cioè inconsapevolmente: all’opera

sono tutti gli individui che quotidianamente, applicando ed usando il sapere a loro disposizione, lo

riproducono e lo rimodellano in continuazione, così che tale sapere, rimanendo apparentemente

sempre uguale, cambia costantemente. Anche se sono il prodotto di un incessante e continuo

processo, le rappresentazioni appaiono agli uomini che le usano come un ‘sapere naturale,

scontato, familiare, intorno al quale non ci sono discussioni” (Santambrogio, 2006, introduzione p.

IX).

Abbiamo poi pensato che nel momento in cui l’individuo si trova a dover decostruire e ricostruire

le proprie rappresentazioni allora scatta un meccanismo di conflitto dovuto proprio ai diversi

interessi, orientamenti valoriali, insomma ai diversi modi di interpretare il mondo. L’idea quindi

era quella di capire, come funziona il processo di integrazione proprio in virtù di questo conflitto.

1.2 UNA BREVE INTRODUZIONE ALL’IRAN. Il termine Iran significa “la terra degli ariani” ed è diventato ufficialmente il nome dello stato nel

1935. L'Iran è l'unico paese del Medio Oriente che utilizza il calendario solare, ed è anche l'unica

nazione sulla terra che segna l'avvento del nuovo anno all'equinozio di primavera, con una famosa

festa che vedremo ricorrere spesso nelle nostre interviste denominata “nowruz”4.

Storicamente, nella cultura occidentale il paese è stato per millenni noto come Persia, è un

paese in cui vi è una grande mescolanza di diverse etnie e culture (persiani, azeri, curdi, arabi,

baluci ecc.), tuttavia la caratteristica culturale che più emerge fra tutte è la religiosità, essa pervade

tutti gli aspetti della vita quotidiana. L’Islam sciita è la religione ufficiale della Repubblica Islamica,

ma al suo interno sono presenti altre minoranze religiose: musulmani sunniti (circa il 4% della

popolazione), cristiani (in particolare armeni, che costituiscono fin dal 1604 la comunità cristiana

più numerosa, e assiri), ebrei (20.000 circa, ciò che resta di una comunità ben più consistente,

3 Sciolla, Loredana. "Riconoscimento e teoria dell’identità." D. DELLA PORTA, M. GRECO, A. SZAKOLCZAI, Identità, riconoscimento, scambio. Saggi in onore di Alessandro Pizzorno, Roma-Bari, Laterza (2000): 5-29. 4 http://www.everyculture.com/Ge-It/Iran.html#ixzz31lamxbkC

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stabilitasi in Israele), bahai e zoroastriani.5 Lo stato iraniano è subordinato al clero sciita e la carica

principale è affidata a un religioso, l’ayatollah, che controlla le leggi e l’operato del presidente della

repubblica. Esistono in Iran famiglie molto tradizionali e altre che hanno invece un’impronta

occidentalizzata; normalmente un'indicazione di quanto tradizionale o moderna (e anche della

classe di appartenenza) sia una famiglia è il modo in cui le persone si comportano, ciò che

mangiane o bevono, o ciò che indossano e ancora il modo con cui interagiscono con il sesso

opposto, persone più tradizionali normalmente vestono conservativamente. Per esempio le donne

indossano un abbigliamento con colori più scuri e poco trucco, esponendo meno possibile le loro

parti del corpo, devono indossare un velo per coprire il collo e i capelli, e non possono bere alcolici

o consumare carne di maiale; queste famiglie osservano quelli che sono per la religione i giorni

sacri e i rituali di lutto6.

È importante infine specificare un elemento culturale che si rivelerà cruciale per

comprendere le nostre interviste e l’inserimento dello stesso nella traccia d’intervista: parliamo

del Taarof. Il taarof è un complesso di norme non scritte che, nella cultura iraniana, regola i

rapporti fra persone. Si tratta di codici fatti di azioni ed espressioni formulari adatte a ogni

occasione, una vera e propria ritualità che copre molti aspetti del vivere quotidiano. Fare taarof

nei confronti di un ospite significa dedicargli ogni attenzione possibile e offrirgli tutto quanto si

possa offrire. Questo accade a tavola, così come in altre occasioni, talvolta offrendo anche beni

preziosi di cui non ci si vuole realmente privare. Il taarof ha un valore altamente simbolico. Dal

canto suo, l'ospite sa di essere tenuto a rifiutare ogni offerta, questo per almeno tre volte, finché

la sincera insistenza del proprio interlocutore non porti a cedere. Lo stesso accade nei negozi, nei

bazaar e per le strade, quando commercianti e taxisti, al momento di essere pagati, sembrano non

accettare il denaro. Questi non sono veri rifiuti, ma taarof, a cui è necessario rispondere insistendo

finché il compenso non sia accettato7.

Infine ci è utile inserire una comparazione estremamente sintetica, tra il paese d’origine e

di destinazione dei migranti, per poter capire in che contesto si sta svolgendo lo spostamento.

Abbiamo scelto di utilizzare come misura rappresentativa l’indice di sviluppo umano (HDI, Human

Development Index) fornito dall’OCSE, che ci permette di introdurre un quadro generale di

riferimento:

5 in Voci dall’Iran: Le minoranze etniche e religiose in Iran: un mosaico complesso 6 http://www.iranchamber.com/culture/articles/codes_behavior.php 7 Fonte: "The Concept of Persian Taarof: A Sociolinguistic Knowledge of the Speech Act Measured by The Persian Taarof Comprehension Test", Fall 2004. Developed by: Fatima Farideh Nejat

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Indice di sviluppo umano, comparazione Italia - Iran

Repubblica Islamica di Iran

Italia

Ranking 76 25

HDI 0.742 0,881

Life Expectancy 73.2 82

Mean years of schooling 7.8 10.1

Expected years of schooling

14.4 16.1

GNI per capita 10,695 26,158

Fonte: OECD 2012, Human Development Index

Come si potrà verificare in seguito nel corso dello sviluppo di ricerca, si potrà dedurre che il

campione da noi utilizzato, composto prevalentemente da giovani studenti benestanti, non

rappresenta la popolazione iraniana ma solo un settore privilegiato di essa, ed è bene ricordarlo

per tutto il corso dell’impostazione metodologica e conduzione dell’intervista.

2 PROGETTAZIONE DELLO STUDIO

2.1 DOMANDA COGNITIVA: SPECIFICAZIONE DELLA DOMANDA E QUALIFICAZIONE DELLA SUA

RILEVANZA

La specificazione della domanda cognitiva, come previsto, ha subito diverse modificazioni lungo lo

sviluppo del percorso di ricerca e della consultazione della letteratura. Nell’introduzione abbiamo

avuto modo di specificare i suoi sviluppi e i fondamenti teorici alla base della sua rilevanza empirica.

In questa sezione ci limiteremo dunque a ricordare la formulazione definitiva della domanda di

ricerca che sta alla base di tutta la metodologia qui di seguito: Come si decostruisce e ricostruisce

la cultura identitaria della comunità di studenti Iraniani a Milano? Più precisamente, il conflitto

culturale genera chiusura o integrazione?

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2.2 CAMPIONAMENTO: INDIVIDUAZIONE DEL CONTESTO EMPIRICO CHE CONSENTE DI ARTICOLARE

UNA RISPOSTA E DIFESA DELLA SUA APPROPRIATEZZA

La nostra domanda cognitiva intende esplorare un contesto piuttosto specifico, che prende in

considerazione la comunità di studenti iraniani a Milano. Per questo motivo possiamo dire che è

stato relativamente semplice trovare un campione, costituito da testimoni privilegiati, che

rispondesse in maniera adeguata ai criteri di rappresentatività per noi rilevanti.

La scelta dei testimoni non verteva tanto su casi tipici ma tentava anzi di scovare alcune

particolarità: l’ateo dichiarato, il fedele Bahai, lo studente over 40. Accomunati dalla stessa

condizione migratoria in quanto studenti, ma differenziati per sesso, stato civile, età,

appartenenza religiosa, eventuale appartenenza etnica, precedenti esperienze all’estero, tipo di

studi, tempo di permanenza in Italia, per citare le principali differenziazioni. Questo per

permetterci una lettura che sostenesse l’esistenza di meccanismi comuni nonostante le differenze

interne, estendibili a tutta la comunità presa in analisi, oppure la presenza di meccanismi differenti

sulla base di alcuni sottogruppi.

Per dimostrare che il nostro campione rappresenta un esempio tipico sarebbe stato ideale

avere qualche dato con le variabili socio-anagrafiche dei membri dell’associazione degli studenti

iraniani di Milano, ma non avendoli a disposizione abbiamo pensato comunque di fornire un breve

quadro della situazione iraniana in confronto con l’Italia nell’introduzione alla ricerca, in modo da

avere un quadro su che tipo di persone scelgono di immigrare a Milano, e quanto sono

rappresentative della popolazione Iraniana. Il campionamento è proceduto fino alla nona

intervista, quando ci sembrava di aver raggiunto un buon livello di saturazione teorica. Eravamo

anche vicine ad aggiungere al nostro campione una differenziazione per orientamento sessuale,

ma un po’ per un problema di accessibilità e un po’ per evitare di appesantire il lavoro, abbiamo

deciso che potevamo fermarci, anche se la testardaggine ci avrebbe portato a continuare, come

insegnano Glaser e Strauss: “Si farà di tutto per cercare soggetti che estendano quanto più possibile

la diversità dei dati, per essere certi che la saturazione sia basata sulla più vasta gamma possibile

di dati relativi alla categoria.”8

8 Glaser, Barney G., Anselm L. Strauss, and Elizabeth Strutzel. "The discovery of grounded theory; strategies for qualitative research." Nursing Research 17.4 (1968): 364.

Page 9: Metodologia della Ricerca Qualitativa - Tra identità e integrazione: la comunità degli studenti iraniani a Milano

Sogg.1 Sogg.2 Sogg.3 Sogg.4 Sogg.5

Età 29 26 31 47 26

Sesso M F F M M

Etnia Iraniana Iraniana Iraniana Iraniana Origini miste

(Turca, Iraniana,

Russa)

Appartenenza

religiosa

Islam

(praticante)

Islam (non

praticante)

Islam

(praticante)

Bahai Ateo

Situazione

economica

Buona Benestante Instabile (è

partita in un

momento di

fallimento

economico

famigliare)

Mantenuto

dal fratello

Benestante

Componenti

famigliari

5 4 --- 5 4

Università

(quale

università, quale

corso, in che

lingua)

Bicocca,

PhD in

Scienze dei

Materiali

(italiano)

Accademia

di Brera,

LM in

Grafica

(italiano)

Università

degli studi di

Milano, LM

in

Odontoiatria

(italiano)

Politecnico

di Milano, L

in

Ingegneria

Ambientale

(inglese)

Politecnico di

Milano, LM in

Ingegneria dei

Materiali e

Nanotecnologia

(inglese)

Permanenza a

Milano (da

quanto)

Tre anni 7 mesi 8 anni 7 mesi 7 mesi

Espatri

precedenti

La Mecca Cina,

Giappone,

Svizzera,

Senegal,

Germania,

Italia…

No Turchia,

India,

Svizzera,

Francia,

Spagna…

No

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2.3 METODO: DESCRIZIONE DELLA TECNICA IMPIEGATA PER L’ELABORAZIONE DELLA RISPOSTA,

DEFINIZIONE DELLA TRACCIA D’INTERVISTA

La tecnica scelta per lo svolgimento di questa ricerca è stata l’intervista narrativa, supportata da

un ragionevole numero di motivi che la rendevano il percorso di rilevazione empirica più

appropriato e che spiegherò qui di seguito.

In primo luogo, andando a coprire alcuni temi cosiddetti sensibili era opportuno scegliere una

tecnica individuale e non di gruppo (come può essere ad esempio un focus group) e, in secondo

luogo, l’esigenza di suscitare alcuni stimoli principali in un argomento vasto come l’immigrazione

ci ha portato ad escludere la tecnica delle Storie di vita di Bertaux, preferendo un’intervista

narrativa capace di lasciare all’intervistato il ruolo di protagonista narratore, ma lasciando spazio

all’intervistatore di circostanziare e guidare il suo racconto in contenuti predeterminati. Allo stesso

tempo, ci avrebbe permesso di acquisire non solo mere informazioni relative alle sollecitazioni

poste, ma piuttosto un insieme corposo di narrazioni e argomentazioni che gli intervistati

avrebbero elaborato per mettere in relazione gli eventi, le risposte precedentemente date, la

correzione di incongruenze, e che spesso abbiamo avuto modo di riscontrare. Possiamo in questo

senso presentare due esempi esplicativi: una divergenza tra linguaggio verbale ed extra-verbale ci

ha permesso di notare come un soggetto musulmano, che dichiarava di non aver mutato le proprie

usanze religiose, abbia in realtà stretto la mano all’intervistatrice, atteggiamento proibito dalla

religione islamica. Un’altra volta ancora, è capitato che l’intervistatore si stupisse di se stesso

scoprendo di dare una risposta che nemmeno lui sapeva di voler dare:

- Ok.. L’immigrazione per noi è un punto chiave. L’immigrazione ti ha cambiato?

- È tutto cambiato gradualmente… non è successo in un punto preciso della mia vita… Tante

cose sono successe nella mia vita che non saprei spiegare… L’immigrazione mi ha aiutato ad

accelerare i cambiamenti, ma la mia vita non è cambiata… La situazione qui è più vicina al mio

modo di essere. Volevo depurare me stesso da tutti i concetti e i pregiudizi e questo contesto

mi ha aiutato… ora posso sedermi e godermi la vita… è stata un’evoluzione di me e del mio

pensiero... Ahh, ecco, allora l’immigrazione in realtà e stata influente…!

Ed ecco che Come Cardano saggiamente suggerisce, “l’intervistato parlando di sé trae conclusioni

inaspettate”. La tecnica designata sarebbe inoltre stata caratterizzata da una maggiore

accessibilità alla documentazione empirica grazie all’abbattimento della barriera linguistica e in

parte culturale legata al fatto che l’intervista sarebbe stata condotta in lingua persiana da una

ragazza iraniana e non in italiano. Questo avrebbe permesso una maggiore disponibilità alla

cooperazione da parte dei soggetti intervistati, e sicuramente una maggiore scioltezza. È stato un

grande privilegio anche dal punto di vista dell’eticità dello studio, per via della delicatezza di alcuni

argomenti (ad esempio la religiosità o la sessualità) che sapientemente gestiti da un’intervistatrice

proveniente dallo stesso contesto culturale non rischiavano (o almeno, rischiavano in minor parte)

di risultare offensivi per l’interlocutore. Potevamo inoltre godere di un doppio vantaggio:

dell’estraneità tra intervistatore e intervistato, che notoriamente favorisce un maggiore grado di

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apertura (verso una persona che probabilmente non si incontrerà più), e allo stesso tempo il senso

di familiarità e comprensione dovuto alla condivisione della stessa lingua in uno stato straniero.

Per non rischiare che la nazionalità condivisa con l’intervistatrice portasse a percepire l’incontro

come colloquiale e ad una narrazione della realtà poco scientifica, è stato utilizzato un registro

formale, ma flessibile a seconda del soggetto che si aveva davanti. Esiste nel lessico persiano un

registro ibrido tra formale e informale, con cui ci si rivolge al proprio interlocutore con il “lei” (più

precisamente, “voi”) ma si coniugano i verbi con il “tu”. Ad esempio, davanti ad un intervistato più

anziano dell’intervistatrice, per una questione di rispetto è stato usato un registro formale. In altri

casi invece, quando il soggetto si mostrava a suo agio e prediligeva a sua volta un registro informale,

è stata utilizzata la formula ibrida, in modo da rompere la gerarchia che poteva mettere a disagio

il clima colloquiale. In un altro caso ancora, è stato difficile tenere sotto controllo i ruoli di

intervistato e intervistatrice poiché il soggetto tendeva a rispondere con ulteriori domande: in

questo caso il registro formale è servito per cercare di ridefinire i ruoli nel corso dell’intervista.

Le interviste sono state condotte in forma convenzionale dalla medesima persona, che è

sempre stata sola con il soggetto intervistato, eccetto due casi in cui erano presenti nel luogo

dell’intervista rispettivamente un’altra collega osservatrice e un compagno di stanza

dell’intervistato, presente in camera per un tratto parziale dell’intervista (ma senza mai interagire).

Il luogo dell’incontro è stato prevalentemente l’ambiente universitario più comodo al soggetto,

eccetto per alcuni casi in cui l’incontro è avvenuto nella stanza di uno studentato.

3 LAVORO SUL CAMPO: COSTRUZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE

EMPIRICA

3.1 CONTATTO E PRESENTAZIONE DELLA RICERCA

La rilevazione dei campioni è stata effettuata tramite un appello su social network, in particolare

sul gruppo di Facebook specifico dell’Associazione degli Studenti Iraniani, con la seguente

richiesta:

“Ciao amici, sono una studentessa di Sociologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Vorrei

fare una ricerca sugli studenti iraniani, per questo avrei bisogno di dieci campioni volontari per fare

un’intervista e mi rivolgo a voi. Grazie!”

L’Associazione degli Studenti Iraniani di Milano è un’associazione fondata nel 2009 e regolarmente

registrata nel Censimento indetto dal Settore Servizi per gli Adulti, l’Inclusione Sociale e

l’Immigrazione e dall’ufficio Politiche per l’immigrazione del Comune di Milano (2012). La

pubblicazione citata è l’esito di un censimento costante, voluto e curato dall’Amministrazione

Comunale, delle associazioni di migranti presenti e attive a Milano, pubblicata periodicamente on-

line presso il sito web comunale. Il documento fornisce le informazioni di base sull’associazione

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ovvero i suoi scopi, dichiarati come culturali e socio educativi, e le principali attività, che consistono

in promozione culturale dell’identità del paese di origine, aggregazione e solidarietà agli studenti

iraniani in Lombardia. Sul gruppo chiuso di Facebook inoltre, i membri iscritti sono attualmente

235. Prima di ogni intervista si è sempre preso il tempo necessario per creare un clima aperto e di

fiducia, presentandosi brevemente e raccogliendo le informazioni anagrafiche di base, ricordando

sempre all’intervistato l’importanza della sua testimonianza, il rispetto dell’anonimato, e la finalità

puramente accademica della ricerca.

3.2 CONDUZIONE INTERVISTA

La traccia di intervista utilizzata per la nostra ricerca si strutturava principalmente in tre parti, una

prima parte di presentazione e richiesta delle principali informazioni socio-anagrafiche, poi la

domanda narrativa, e in seguito, in ordine e formulazione diversa per ogni soggetto, gli stimoli per

approfondire gli ambiti tematici utili per rispondere alla nostra domanda cognitiva di riferimento.

Inoltre, nella fase di chiusura dell’intervista, si richiedeva se c’erano altre cose che si riteneva

interessante condividere prima di concludere l’incontro.

Presentazione/Informazioni socio-anagrafiche Età

Stato civile

Appartenenza religiosa

Università (quale università, quale corso, in

che lingua)

Permanenza a Milano (da quanto)

Domanda narrativa Vorrei che mi parlassi di te e del tuo arrivo a

Milano…

Ambiti tematici Credenze religiose

Appartenenza etnica

Costumi e tradizioni (celebrazione delle feste,

abitudini alimentari)

Espatri precedenti

Razzismo

- Attivo (verso gli altri)

- Passivo (nei loro confronti)

Stile di vita (gestione delle spese,

indipendenza, ritmi di vita)

Rapporto con i media e internet

Relazioni

- Amicali

- Sentimentali

Sessualità (opinione sulla verginità)

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Progetti futuri (tornare in Iran, aspirazioni)

Taarof

Ambiente universitario

Relazioni famigliari

Domanda conclusiva Ci sono altre cose che vuoi aggiungere a quello

detto finora, che credi sia interessante dirmi?

Alcuni ambiti tematici sono stati aggiunti nel corso delle interviste, per un processo di progressivo

adattamento della traccia al contesto empirico, come suggerisce Cardano nella sintonizzazione

della procedura con l’oggetto. Come ad esempio l’aggiunta nella traccia del taarof che ci siamo

accorte essere un argomento piuttosto ricorrente nelle prime interviste, e genericamente di

grande rilevanza.

L’intervistatrice ha naturalmente sempre avuto cura di non mostrare approvazione o

disapprovazione per quello che le veniva raccontato, non senza difficoltà per taluni casi. Nel caso

di soggetti poco eloquenti si cercava di rilanciare il discorso approfondendo temi appena trattati

e improvvisando domande che aiutassero a sostenere la narrazione o a evidenziare l’interesse e

l’ascolto, come con un soggetto molto introverso appassionato di musica con cui si è riuscito a

rendere la conversazione più sciolta dopo alcune digressioni riguardanti la musica, ed utilizzando

essa come filo conduttore per l’intervista.

3.3 TRASCRIZIONE

La trascrizione delle interviste è stato per noi il lavoro più intenso e più “rischioso” dal punto di

vista metodologico: si è trattato di aggiungere a un’attenta trasposizione del linguaggio verbale,

anche il difficilissimo compito della traduzione. Inizialmente avevamo programmato di assolvere a

questo compito in due fasi: una di trascrizione in persiano, e una di traduzione del testo. Ma ancora

una volta la flessibilità ci è stata d’aiuto, perché successivamente ci siamo accorte che la

traduzione risultava meno distorta e più attenta agli aspetti para-linguistici se si univano le due

fasi in un unico momento in cui direttamente dal registratore si ascoltava l’intervista in persiano e

si traduceva pezzo per pezzo sul momento, con l’aiuto di una collaborazione di gruppo e un

continuo supporto dei software di traduzione come Google Translate e Word Reference. Ogni

trascrizione era inoltre corredata di diversi approfondimenti culturali su alcuni aspetti che

rimanevano impliciti nella conversazione, ma che necessitavano di spiegazioni per le due

componenti del gruppo non iraniane: taarof, konkur, molti dogmi della religione islamica, per

citarne solo alcuni. Altre volte si è potuto notare come il soggetto parlasse in modo confuso, senza

finire frasi, o passando dalla prima alla terza persona singolare... Ognuno di questi aspetti, segnati

anche dall’intervistatrice nel corso dell’intervista, venivano poi inseriti tra parentesi durante la

trasposizione scritta, diventando materiale prezioso in fase di analisi.

Page 14: Metodologia della Ricerca Qualitativa - Tra identità e integrazione: la comunità degli studenti iraniani a Milano

4 ANALISI DOCUMENTAZIONE EMPIRICA

4.1 CHIAVE DI LETTURA UTILIZZATA

Abbiamo strutturato l’analisi di ogni intervista seguendo questa chiave di lettura:

1) Definizione variabili socio-anagrafiche e il background di ciascun soggetto

- Età

- Sesso

- Etnia

- Appartenenza religiosa

- Situazione economica

- Componenti famigliari

- Università (quale università, quale corso, in che lingua)

- Permanenza a Milano (da quanto)

- Espatri precedenti

2) Individuare nell’intervista come l’immigrazione a Milano ha influito su questi diversi

ambiti segmentando l’intervista per ambiti tematici:

- Credenze religiose

- Costumi e tradizioni (celebrazione delle feste, abitudini alimentari)

- Razzismo

- Attivo (verso gli altri)

- Passivo (nei loro confronti)

- Stile di vita (gestione delle spese, indipendenza)

- Rapporto con i media e internet

- Relazioni

- Amicali

- Sentimentali

- Sessualità (qui può rientrarci la questione della verginità)

- Progetti futuri (tornare in Iran, aspirazioni)

- Taarof

- Vita accademica (come è cambiato l’approccio agli studi ad esempio, o come i modi di

insegnamento hanno influito su di sè)

- Relazioni famigliari

- Competenza linguistica

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3) Confronto di incipit e coda di ciascuna intervista, per vedere quali erano i toni

dell’intervista, il rapporto tra intervistato e intervistatore, eccetera.

INCIPIT: trascrizione delle prime righe di risposta alla domanda narrativa “Vorrei che mi parlassi

di te e del tuo arrivo a Milano”

CODA: trascrizione delle ultime righe in risposta alla domanda conclusiva “Ci sono altre cose che

credi sia interessante dirmi, che non abbiamo affrontato finora?”

4) Dopo la segmentazione per ambito tematico, una qualificazione della segmentazione

tramite sottolineature in diversi colori che evidenziassero tratti e meccanismi comuni.

Si trova un esempio di analisi tramite questo modello dell’intervista del primo soggetto in

Appendice.

5 CONCLUSIONI

Una delle cose emerse dalle interviste è stata la difficoltà linguistica, uno scoglio molto alto che si

configura come un passaggio necessario e quindi come il punto da cui partire per poter prendere

parte e vivere l’esperienza in un Paese che non è quello di origine. Le interviste hanno mostrato

che non conoscere la lingua rappresenta per gli stranieri un pesante carico di tensione e

responsabilità, tanto è vero che in tutti i casi il “problema linguaggio” è emerso in modo chiaro, se

non si conosce la lingua è impensabile poter conoscere la cultura:

Tenendo sempre in considerazione quanto emerso dalle interviste ci sembrava utile sottolineare

il ruolo che il senso comune riveste nei processi di comunicazione interculturale per questo faremo

riferimento a Schutz e in particolare a “Lo straniero”: “Esistono fra gli elementi del suo mondo e

dei principi generali che regolano tali relazioni”.

“Da quando sono arrivata, in università un po’ difficile perché non riesco a capire tutto a lezione visto che

è in italiano. e sono dipendente dai miei colleghi infatti non capisco bene niente, cosa fare per gli esami,

dove devo cercare le informazioni…Io sono stressata per questo”

(Intervista a ragazza di 26 anni, sogg.2)

“Appena sono arrivata in Italia siccome non parlo bene l’italiano non potevo frequentare gli italiani”

(Intervista sogg.3)

Page 16: Metodologia della Ricerca Qualitativa - Tra identità e integrazione: la comunità degli studenti iraniani a Milano

Si utilizza un “codice” che si dà per scontato perché è lo stesso per quelli che appartengono

ad uno stesso paese; lo straniero invece, consapevolmente o meno, percepisce subito delle

differenze perciò tenta di riuscire in qualche modo a gestirle per non sentirsi come un pesce fuor

d’acqua. Per noi questa considerazione potrebbe essere interessante per spiegare il fatto che per

alcuni degli intervistati è difficile instaurare rapporti con gli italiani:

Lo straniero come afferma Schutz, diviene essenzialmente l’uomo che deve mettere in discussione

praticamente tutto ciò che pare essere indiscutibile ai membri del gruppo a cui si è avvicinato.

Il migrante diviene il luogo controverso di una “doppia assenza” diventa in un tempo solo assente

sia dalla società d’origine che da quella presso cui risiede.

“Avevo poca fiducia visto che so di non parlare bene l’italiano e quindi è difficile relazionarmi con gli altri.

Piano piano vorrei provare a parlare italiano con gli altri, e per migliorare la lingua vado a scuola di italiano

qui in Italia”……“Io non ho conosciuto tantissime persone nè italiane nè iraniane...Le persone che ho

conosciuto sono i miei colleghi in università ma non esco insieme a loro. Esco invece con mio fratello e i

suoi amici. Ho due o tre amici che sono iraniani e stiamo sempre insieme”.

(Intervista a ragazza di 26 anni, sogg.2)

“La mia conoscenza dell’italiano non è perfetta, per questo motivo non posso avere relazioni profonde con

gli italiani. Ne ho di relazioni, ma non sono profonde. Per esempio, non mi unisco ai gruppi di studenti che

escono insieme… Non andiamo insieme alle feste. Non usciamo insieme”

(Intervista a ragazzo ateo, sogg.5)

“…con gli italiani era molto difficile avere relazioni perché non parlavo italiano e loro non riuscivano a

parlare bene in inglese.”

(Intervista a ragazzo musulmano, sogg.1)

“… in Iran e’ normale sposarsi tra cugini, in Italia invece non lo e’ per niente. In Italia non e’ come sposare

una sorella perche’ fin da piccoli i cugini giocano insieme. Per esempio io sono fidanzata con mio cugino ma

per gli italiani e’ una cosa strana, non e’ normale.”

(Intervista sogg.3)

“Io credo che un po di tarof è bello, ci debba essere. Ma qui è cambiato di più, il concetto c’è di più. Anche

per gli italiani due volte ho provato, ma non ho trovato risposta. Alcune volte pensano male quando fai così.”

(Intervista a ragazzo ateo, sogg.5)

“Appena sono arrivata in Italia ho sempre pensato che non avrei mai piu voluto tornare in Iran ma ora

desidero tanto tornare.”

(Intervista sogg.3)

“Prima di venire qui non avevo mai visto nessuna donna senza velo e quando ero in Iran pensavo che

sarebbe stato difficile vedere le donne senza velo (che sarebbe stato troppo sensuale) . Ma poi ho capito che

era qualcosa di perfettamente normale e naturale . Ho avuto un problema , soprattutto per il cibo . Volevo

mangiare carne halal e non sapevo cosa fare. Infatti la mia famiglia aveva paura che io fossi in un posto

pericoloso, (perche il sesso fuori dal matrimonio e peccato), ma dopo hanno capito che non e cosi.”… “E

'stato interessante per me la prima volta che sono tornato in Iran fare il confronto.”

(Intervista sogg.1)

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Nonostante quanto detto fin qui dalle interviste si percepisce che l’immigrato è indotto al

confronto, si misura con nuovi gruppi, nuove culture ed è perciò indotto al cambiamento; lui

sicuramente inizia un processo di ricostruzione del sé, un processo in cui si interroga anche sul suo

passato. La relazione interculturale diviene un’occasione auto-riflessiva in cui la comprensione

degli altri induce a confrontarsi innanzitutto con la propria identità culturale.

È necessario sottolineare a riguardo alcune considerazioni:

“L’Italia mi piace tantissimo. Quando sono arrivato qui ho cercato di allontanarmi dagli iraniani. Non solo

perché ho sentito che qui in Italia gli iraniani che stanno insieme non sono bravissimi, io non sono proprio

diverso da altri iraniani quando vado fuori dall’Iran ma credo che il 90% degli iraniani immigrati sono

persone con cui non devo stare.” ……. “..in quella società(l’Iran) non potevo essere me stesso. Non

avevo la possibilità di godere del tempo libero, non avevo la libertà che volevo. Non potevo rompere la

linea che invece volevo oltrepassare, per ogni persona è un diritto scegliere ma io non potevo scegliere,

forse per qualcuno quella situazione è perfetta ma per me no”

(Intervista a ragazzo ateo, sogg.5)

“Quando cambia il contesto della mia vita… Le cose che la società vuole da me cambiano… Allora

naturalmente il mio comportamento cambia. Io non lavoro qui… se lavorassi cambierebbe ancora di più.

Questo è chiaro, che la società iraniana è diversa da quella italiana. Non sono mai stato in questa

situazione quindi non so come può cambiare il mio comportamento. Ma mi piace come il comportamento

qui sia più umano.”

(Intervista a uomo 47 anni, sogg.4)

“Da quando si è bambini tutti in Iran ti educano all’islamismo, io però non credo. Quando gli italiani mi

chiedono qual è la mia religione io dico che sono musulmana ma è diverso perché io bevo il vino per

esempio e non metto il velo”

(Intervista sogg.2)

“Da quando sono in Italia non sono più timida, prima ero molto timida quindi sono contenta di questo

perché le persone italiane sono tranquille, con la gente ora sono più a mio agio… è come un senso di

pace con me stessa e gli altri.”

(Intervista sogg.3)

“C’era un conflitto culturale tra l’Iran e qui, che gli uomini si baciano e che si stringono la mano sia tra

uomini che con le donne [è vietato in iran toccarsi tra uomini e donne che non sono famigliari]. Beh, qui

mi sono reso conto che la maggior parte di quelle cose religiose che credevo importanti in Iran qui non lo

sono, e sono altri i principi religiosi importanti. Sono altri i peccati gravi. Come ad esempio mentire o

calunniare”….“Quando sono venuto qui ho capito che era più importante essere uomini piuttosto che

musulmani ….Prima pensavo che solo per il fatto di essere musulmano ero una brava persona”

(Intervista, sogg.1)

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Possiamo concludere dicendo che in una condizione di interculturalità il conflitto è dovuto a tutta

una serie di fraintendimenti, di “non capito” o di “non detto”. Come abbiamo detto in

introduzione, vi è una fase di transizione, in cui si sperimenta la difficoltà di rendersi disponibili al

“nuovo”:

Riteniamo di poter affermare la presenza di un’integrazione culturale anche in considerazione del

fatto che, nell’incontro che gli intervistati hanno raccontato, non hanno percepito atteggiamenti

razzisti anzi al contrario più intervistati affermano di ritenere l’Italia un paese aperto:

“Le persone iraniane qui in italia sono diverse, non mi piacciono, sono tutte truccate, usano vestiti

particolari, i capelli pieni di boccoli, non mi piace!”….. “C’è però qualcosa che non mi piace della cultura

italiana, per esempio uno beve la coca cola alla bottiglia e tutti gli altri amici magari bevono alla stessa

bottiglia”

(Intervista sogg.3)

“Un'altra cosa interessante, qualcosa che in Iran pensiamo che sia brutto e la pulizia del naso. Qui Puoi

farlo . Ma io non posso accettarlo, non mi piace. Per esempio anche al ristorante lo fanno, il mio

professore mi stava parlando e improvvisamente si soffiava il naso dieci o fazzoletti.”

(intervista, sogg.1)

“Ma non bevo il vino… E non dico che se una persona fa così è una brutta persona. Ma io non lo faccio.

Non sono mai andato in discoteca… perché penso che i comportamenti che si possono vedere in

discoteca non sono dignitosi… Ma non dico che le persone che ci vanno non hanno dignità. Ho diversi

amici che ci vanno, e non sono brutte persone, mi piacciono molto. Ma io insomma non ci vado…

eccetera. È qualcosa che non facevo in Iran e che non faccio nemmeno ora… non è cambiato niente,

penso.”

(Intervista, sogg.4)

“Il comportamento della società Bahai italiana è diverso da quello dei Bahai iraniani. È diverso

perché gli argomenti sono diversi. Per prima cosa non ci sono le ingiustizie qui… e c’è giustizia per

tutti, non solo per i Bahai. È una cosa normale che puoi trovare nella società. Qui non c’è

discriminazione, nessuno ti chiede che religione sei... Non hai limitazioni per via del tuo credo. Non

c’è esclusione per la tua religione. Naturalmente c’è una società più tranquilla…”

(Intervista, sogg.4)

“Io non ho visto tanto razzismo in Italia, forse una o due persone che conoscono un po’ l’Iran, gli

italiani a me sempre mi chiedono sempre come mai le ragazze iraniane sono tanto belle, per esempio

un giorno ero in giro per strada ,dovevo trovare un posto e ho visto un anziano così ho chiesto delle

informazioni, lui mi ha chiesto : di dove sei? Io gli ho risposto sono Iraniana, e lui mi ha detto: che

brava vieni dall’Iran!”

(ntervista sogg.2)

“Onestamente no. Ma forse non ho vissuto troppo queste cose, ma non sentivo niente. Forse non la

gente normale ma la polizia si. La polizia si approccia a te come uno straniero!”

(intervista, sogg.1)

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Il nostro lavoro ha mostrato che per gli studenti iraniani a Milano la volontà-facilità di adattarsi ai

nuovi schemi sociali con cui vengono in contatto, dipende dal grado di conservatorismo della

famiglia di origine e molti risultano ancorati alla propria appartenenza. Per alcuni soggetti la

decostruzione identitaria era già in parte iniziata nel paese d’origine (soggetti cresciuti in famiglie

non tradizionali e non praticanti), per cui la ricostruzione è avvenuta più facilmente in una logica

di integrazione con il nuovo contesto.

6 APPENDICE

SOGGETTO 01: Esempio di analisi

Dati socio-anagrafici

Età 29

Sesso M

Etnia Iraniano

Appartenenza religiosa Islam

Situazione economica Buona

Componenti famigliari 5

Università (quale università, quale corso, in che lingua)

Bicocca, PhD in Scienze dei Materiali (italiano)

Permanenza a Milano (da quanto) Tre anni

Espatri precedenti La Mecca

Come l’immigrazione a Milano ha influito su questi diversi ambiti?

- Credenze religiose

Quando all’inizio dell’intervista gli si chiede qual è la sua religione, risponde “Islam” senza

esitazione, rinforzandolo successivamente con un’espressione traducibile in italiano con “ci credo

con tutto il mio cuore”. Questo soggetto è originario di Yazd, una città iraniana famosa per la forte

religiosità dei suoi abitanti). Dichiara che le sue credenze non sono cambiate, ha sempre

continuato a pregare qui e a seguire il digiuno del Ramadan, per esempio. Nel corso dell’intervista

si vedranno comunque diversi ridimensionamenti della sua fede dovuti all’esperienza milanese:

sessualità, priorità etiche, identità. Il primo giorno che è arrivato in Italia era un po’ spaventato,

perché i famigliari, una famiglia molto religiosa di Yazd, erano preoccupati della “peccaminosità”

di un territorio non islamico: <Io sono stato cresciuto in una piccola città molto religiosa…e

la mia famiglia di Yazd mi diceva di non venire qui proprio per quel motivo [lì non ti troverai

bene, sono un popolo senza religione]>. Però la preoccupazione sua e della famiglia

diminuisce grazie al sostegno di un amico del padre che li rassicura dicendo <anche l’Italia

è un paese religioso, abbiamo culture simili>, sottolineando il fatto che non importa quale

sia la religione, l’importante è che ci sia un ordine morale, e una cultura simile. Il

Page 20: Metodologia della Ricerca Qualitativa - Tra identità e integrazione: la comunità degli studenti iraniani a Milano

cambiamento più evidente è sicuramente rispetto ai dogmi religiosi riguardanti la donna: l’obbligo

di portare il velo, il divieto di toccare uomini che non facciano parte della cerchia familiare, i divieti

legati alla sessualità (approfonditi nella sezione dedicata). Prima di partire, anche per via degli

avvertimenti della famiglia, pensava che sarebbe stato difficilissimo per lui vivere in un paese dove

poteva vedere continuamente donne senza velo e poter stringere loro le mani; nel suo

immaginario appariva quasi insopportabile: <Prima di venire qui non avevo mai visto nessuna

donna senza velo…e quando ero in Iran pensavo che sarebbe stato difficilissimo per me

vedere le donne senza velo… che sarebbe stato troppo eccitante…> invece comprende che

non è così, “capisce che era qualcosa di perfettamente normale e naturale”, e che anzi

<qui le donne si vestivano in modo più semplice e meno appariscente che in Iran, senza

cercare di esaltare la loro bellezza e attirare gli sguardi degli uomini>. Comprende che è

proprio la pressione del governo Iraniano a fargli pensare che una donna senza velo sia

eccitante <Beh questo era ovviamente dovuto alla pressione che abbiamo in Iran>, e nel

corso dell’intervista arriva alla conclusione che <Questa credenza che la donna senza velo

va all’inferno per me è stata rimossa> e che <Qui mi sono reso conto che la maggior parte

di quei dogmi religiosi che credevo importanti in Iran qui non lo sono, e sono altri i principi

religiosi importanti… Sono altri i peccati gravi> sottolinea un passo molto importante per

la sua religiosità e per il suo ridimensionamento etico. Comparando questi dogmi con la

società che lo circonda, fa alcune considerazioni critiche che non avrebbe potuto cogliere

altrimenti: <L’Islam non dice che non mettere il velo è peccato mortale. Ma ciò che hanno

insegnato a noi è che puoi mentire se vuoi, puoi calunniare se vuoi…ma il velo lo devi

mettere! Osservando la vostra religione ho notato che si mettono in luce cose più

importanti… come aiutare le persone, o essere più tolleranti>. Cerca poi di tornare sui suoi

passi giustificando tutto questo con il fatto che lui è cresciuto nella città religiosa di Yazd,

era una persona molto molto religiosa, e quello che ha fatto qui è stato solo cercare di

correggere il suo fanatismo, ed eliminare i pregiudizi. Anche per il fatto di stringere la

mano a una donna, dice che lo fa per una questione di educazione: <Ecco tu sei iraniana,

e puoi capire se non ti stringo la mano, ma una non iraniana non può capirlo. E se non le

stringo la mano può pensare “Chi è questo per non stringermi la mano??”>. Infine per

quanto riguarda l’identità scopre di aver cambiato anche un altro aspetto delle sue

credenze religiose (rispetto a quanto aveva dichiarato all’inizio), ovvero che non è

importante a quale Dio si creda, l’importante è essere accomunati dalla stessa condizione

di uomini, cosa che invece prima non credeva, in quanto in Iran, specialmente nella città

di Yazd, viene spesso sottolineata la superiorità della religione islamica. <Prima pensavo

che per il solo fatto di essere musulmano ero una brava persona>. In particolare dice: <Qui

ho visto un comportamento da musulmani, ma senza vedere musulmani. Insomma vivono

come musulmani [pur senza esserlo]. Mi piacerebbe comportarmi cosi in futuro in Iran>.

- Costumi e tradizioni (celebrazione delle feste, abitudini alimentari)

Per quanto riguarda le abitudini alimentari ci parla subito del suo problema con la carne, all’inizio

era in difficoltà: <Ho avuto un problema, soprattutto per il cibo. <Volevo mangiare carne

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halal [la cui preparazione rispetta le regole islamiche] e non sapevo cosa fare. Mi ricordo

la prima notte che sono uscito dal dormitorio… vidi un Turkish Kebab ed ero molto felice>.

Un aspetto che lo turba particolarmente è la mancanza di rispetto che ha notato in alcuni

ambiti della cultura italiana, in confronto al suo paese. Parla di tre situazioni in particolare:

1) Soffiarsi il naso in pubblico (in Iran non è un’usanza socialmente accettata): <Qui puoi

farlo. Ma io non posso accettarlo, non mi piace proprio... Per esempio anche al ristorante

lo fanno, oppure il mio professore che mi stava parlando e improvvisamente si è soffiato

il naso! [schifato]>; 2) Alzarsi in piedi in segno di rispetto quando entra un insegnante <Ma

loro qui non lo fanno… quando il mio professore è entrato, io mi sono alzato in piedi ma

lui mi ha chiesto: “Dove vuoi andare??”. In generale il rispetto in Iran è più sentito…> 3)

Comportamento galante con le signore: <I ragazzi qui mi continuano a dire che queste

cose si fanno solo nei film, o al massimo in passato con le figure regali… ma non sono più

attuali, non si vedono più>. Per quanto riguarda invece la celebrazione delle feste, non è

mai stato di grande importanza nemmeno in Iran per la sua famiglia, per cui qui non si

sono riscontrati cambiamenti rilevanti.

- Razzismo

Attivo (verso gli altri)

In Iran è presente una forte discriminazione verso gli afghani, anche se lui dice di non condividerla.

E ci si comporta in modo differente: la diversità viene affrontata con un approccio “curioso” se si

tratta di turisti europei (o occidentali in generale) e con diffidenza e quasi “schifo” verso le

popolazioni del terzo mondo. Infatti, nonostante dichiarasse di non aver cambiato atteggiamento

verso gli stranieri qui, racconta poi di aver avuto come compagno di stanza un ragazzo nero, e

l’evoluzione del loro rapporto che era iniziato in realtà tra paura e diffidenza: <In Iran,

naturalmente non avevo mai visto un nero… […] all’inizio ero un po’ ritentivo, ma poi si è

creato un rapporto molto stretto tra noi… e ho visto che era gentilissimo ed era una bella

cosa. Ma prima avevo paura di loro... ora non la sento più>. Se in Iran incontrare degli

stranieri era una rarità, qui era diventato normale e molto presto si è abituato ad avere

amici da ogni parte del mondo: <Qui ho incontrato persone che provengono da tutto il

mondo come cinesi, africani, americani, indiani e... e ora è una cosa normale>.

Passivo (nei loro confronti)

Non ha percepito nessun tipo di razzismo dalla gente comune. È stato invece riscontrato dagli

agenti di polizia, di cui dichiara <La polizia si approccia a te come ad uno straniero>. Specifica

però che nonostante gli avesse dato fastidio, notando come venisse guardato,

confrontandolo con il razzismo presente in Iran era abbastanza trascurabile: <Quando ho

confrontato il comportamento che c’è con gli afghani in Iran ho capito che non è nemmeno

comparabile. La società iraniana pensa che gli afghani non siano nemmeno civili… >.

- Stile di vita (gestione delle spese, indipendenza, ritmi)

Ha avuto un percorso che gli ha permesso di vivere in modo meno traumatico il passaggio verso

l’indipendenza, poiché la laurea quadriennale l’ha frequentata a Esfahan (città più grande di Yazd),

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poi la magistrale a Teheran, dandogli modo di passare gradualmente dalla piccola realtà di Yazd

ad ambienti sempre più grandi, per poi arrivare al contesto extranazionale di Milano. Le

esperienze precedenti l’hanno dunque aiutato e arricchito. Per quanto riguarda i ritmi di vita, si è

accorto uscendo di come qui si vivesse il tempo in modo differente. <Quando sono uscito, mi

sono accorto che qui è più tranquillo. Si sente che la vita qui non è stressante…>, e guidato

dai consigli di un suo professore, di cui parla con grande ammirazione, inizia anch’egli ad

adattarsi e a imparare a vivere la vita a ritmi meno serrati: <Per esempio una volta con il

mio professore… Nel fine settimana avevo fatto tutti gli esercizi che aveva chiesto. Dopo

sono andato da lui per farglieli vedere… Mi aspettavo che mi incoraggiasse, e mi dicesse

“che bravo!”, sai... Ma il professore mi detto che non dovevo lavorare troppo durante il

fine settimana, che avrei dovuto uscire e vedere cosa c’era fuori, divertirmi e scoprire cose

nuove. Perchè facendo questo avrei avuto risultati migliori perchè sarei stato più riposato!

Mi ha detto “io ho conosciuto solo tre colleghi che lavoravano così duramente. Uno era un

indiano e uno un cinese, il terzo sei tu. Spesso sono gli orientali a essere cosi, forse è una

mentalità che avete in oriente! Gli altri studenti lavorano bene anche mentre si godono la

vita”>. E questo tema torna ancora quando parla del fatto che in Iran non c’è tempo per

lo svago e il divertimento durante le superiori, perché incombe la pressione dell’esame di

ingresso all’Università, un esame molto complesso (konkur) che richiede una

preparazione già diversi anni prima: <Noi invece dobbiamo studiare tanto sin dalle scuole

superiori [parla di scuola media, ma si intende il primo anno di superiori]. C’è su di noi una

forte pressione per l'esame, ma loro qui non sanno cosa sia... C’è meno stress qui, è

davvero bello... Più sereno>. Successivamente però ammette che questo modo di vivere

entrava in conflitto con i suoi principi, o almeno con quello che gli avevano insegnato

<Godermi la vita è una cosa che non ho mai fatto. Anche quando che ero qui […] non

sapevo come divertirmi, nessuno me lo ha insegnato…> Ma è stato comunque importante

poterne cogliere i lati positivi e negativi, che spera di poter trasmettere alle generazioni

future. Racconta dunque come con un grande sforzo di volontà sia riuscito a lasciarsi

andare e fare un viaggio a Roma: <Mi sono recato a Roma per liberare la mia mente… In

qualche modo avevo bisogno di motivare questa cosa, perchè fosse stato per me avrei

studiato. Ma poi mi dissi semplicemente che rilassarsi per un momento sarebbe stato

piacevole…e sarei stato meglio>. E così si è gradualmente creato una propria definizione

di “godersi la vita”, stando serenamente entro i limiti dei suoi principi, e scoprendo le cose

che gli davano piacere, come ad esempio viaggiare, cucinare, camminare al parco, fare

fotografie. E in questo punto affronta una nuova importante svolta di pensiero: <Mi

hanno sempre insegnato che il piacere è peccato. Anche se io penso che non dovrebbe

essere così. Spero di insegnare ai miei figli a perseguire la felicità…> che sembrerebbe

sottintendere una nota critica sugli insegnamenti che sono stati invece trasmessi a lui.

- Rapporto con i media e internet

Nel racconto parla di come quando era a militare non poteva avere accesso ad internet, per cui

racconta in modo concitato come chiamasse suo fratello ogni giorno per avere informazioni

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sull’andamento della sua casella di posta, nel caso di risposte alle sue diverse richieste di iscrizione

a dottorati internazionali <Potevo controllare [le email] solo alle 18, perché ero in caserma

dove non si poteva avere internet per controllare la posta elettronica così chiedevo a mio

fratello per telefono>. Ma in generale l’accesso ai media non sembra avere avuto un

grande impatto. Vista la maggiore velocità ed accessibilità della rete tende ad avere un

po’ di interesse maggiore verso le notizie del mondo, ma è un’abitudine che non ha mai

avuto e qui non è cambiata in modo evidente.

- Relazioni

Amicali: Il fatto che in Bicocca non ci fossero molti iraniani lo ha portato a non uscire spesso con

suoi connazionali, e d’altra parte non ne aveva nemmeno il desiderio. La barriera che gli impediva

di uscire spesso con gli italiani era di tipo religioso oltre che linguistico, poiché <Loro sono abituati

ad andare in un bar e bere fino a essere ubriachi e vedi…non gli piace che qualcuno sia

sobrio! Questo e il motivo per cui non potevo stare tanto con loro>. Sussiste anche un

problema di blocco psicologico: <In Iran tutti si rivolgono a me, mentre qui sono io a dover

andare da loro… per questo motivo sono molto timido>, problema che scopre di risolvere

in Erasmus grazie a uno studentato con cucine comuni. La condivisione di stessi cibi e

bevande gli ha permesso di incontrare alcuni amici musulmani provenienti da diverse

parti del mondo. Il cibo in questo caso è stato un elemento importantissimo di unione:

<Sono stati stabiliti ottimi rapporti. Stavamo insieme quasi ogni notte… Cibi, tè bevuto

insieme. Là non avevo alcun problema per la carne halal. O per l’alcool, perchè nessuno lo

beveva. E siamo diventati buoni amici… Ma qui [a Milano] non c'era la cucina in comune

e non avevo modo di comunicare con gli altri, per questo motivo non ho potuto conoscere

bene la lingua e la cultura>.

Sentimentali: la relazione con una ragazza divorziata gli ha permesso di capire che non importa

cosa è successo nel passato di una donna, se il rapporto è fondato su un amore sincero

(approfondito nel campo “sessualità”).

- Sessualità

Grazie all’esperienza a Milano ha potuto fare diverse considerazioni riguardo alla sessualità. In

primo luogo, il punto di vista iraniano sull’Occidente è di terra libertina, per cui l’intervistato

lamenta il fatto che i suoi amici dall’Iran continuano a chiedergli <”Quante fidanzate hai

trovato? Sono belle ragazze?” In Iran pensano che noi andiamo fuori e facciamo l’amore

con tutte. Ma questo non è vero> e questo confronto con i suoi amici lo porta a capire che

un’eccessiva restrizione sessuale impedisce agli uomini di maturare: <Qui le persone come me,

della mia età, sui 24 anni… si divertono, hanno già avuto attività sessuali. Per esempio,

hanno avuto queste esperienze già al liceo e ora sono cresciuti… mentre in Iran un ragazzo

sui trent'anni che mi ha scritto un messaggio vedo che ha ancora la mentalità del liceale

occidentale. Qui i ragazzi hanno iniziato già dalle superiori, si sono divertiti fino a 21 o 22

e ora hanno una ragazza fissa e sono fedeli>. Come precedentemente accennato per le

credenze religiose, l’intervistato mette in discussione i divieti di ordine religioso riguardanti i

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rapporti sessuali pre-matrimoniali, cita la psicologia per cui ci suggerisce che fosse un’idea già

maturata in precedenza, ma che trova conferma osservando i giovani qui: <Viene detto che per

l'Islam è peccato, ma la psicologia dice che è una cosa giusta ed e quello che vedo qui, e

capisco che è una cosa logica…> e peraltro non lo pensa perché ne trarrebbe vantaggio,

o perché è un pensiero che desidera applicare su di sè, anzi: <Personalmente, ancora non

mi sento di poterlo fare [il sesso pre-matrimoniale]. Ma in generale, penso sia possibile

avere relazioni sessuali…>. Un’idea che prende forma anche grazie all’ausilio di

documentari sulla sessualità probabilmente non trasmettibili in Iran è l’importanza del

sesso: <Secondo alcuni documentari che ho potuto vedere qui, ho visto che il sesso è un

arte, ed è un arte che non è insegnata in Iran. A questo proposito, credo che un’esperienza

sessuale prima del matrimonio sia utile... Molti dicono che il sesso è un bisogno del tuo

corpo, e quindi rispondervi è giusto… anche se io ora come ora non potrei.>. Ad ogni modo

una cosa che ha profondamente interiorizzato è il pensiero del dispiacere di andare a letto

con una donna che è già stata con qualcun altro. Perché da sempre ti avvertono “ricorda

che quello che ha fatto a te, lo ha già fatto a qualcun altro”. Ma è qualcosa di cui si

ricrederà quando parla di una sua storia con una donna divorziata avvenuta l’anno prima

(che viene fuori nel cuore della sua narrazione, ma che prima d’ora non era mai stata

menzionata). In quel momento rielabora tutti i dogmi precedentemente detti, perché

<Era la ragazza che amavo e non mi importava di quello che era successo prima… ma è

stata la mia famiglia ad opporsi>. Dice di aver amato con tutto se stesso, e anche se dopo

si sono lasciati, grazie a quell’esperienza ha potuto capire che la risposta giusta era che

non importava cosa fosse successo prima dal punto di vista sessuale.

- Progetti futuri (tornare in Iran, aspirazioni)

Ha sempre voluto tornare in Iran, da prima di partire: <Vorrei rendere omaggio alla comunità

che mi ha sollevato>. Però durante la permanenza qui gli capita di avere dei ripensamenti, in

particolare pensando alla vita a Milano in confronto con la situazione presidenziale iraniana di cui

dice <Ormai avevo perso le speranze [che cambiasse]>, appoggiato anche dal sostegno famigliare

a rimanere. Ma alla fine è grazie ad un consiglio del suo professore più fidato che decide di tornare.

È interessantissimo vedere come grazie a questo dottorato, e alla relazione instaurata con il suo

professore, si sviluppa in lui il desiderio di insegnare: <Prima pensavo che sarei stato un ottimo

ricercatore, ma ora vedendo come possono essere buoni i rapporti tra le persone [tra

studenti e insegnanti] mi piacerebbe insegnare>. In particolare insegnare alle scuole

medie, perchè i ragazzi sono giovani e si può ancora cambiare qualcosa in loro. È forte in

lui il desiderio di trasmettere al suo paese quello che sta imparando qui, quasi come per

non volerlo tradire e per dimostrargli la sua fedeltà (che sembrerebbe forte e

sinceramente sentita). Insomma l’esperienza a Milano lo ha arricchito e spererebbe di

poter arricchire a sua volta, in futuro, le giovani generazioni: <Quando tornerò in Iran,

voglio trasmettere a loro le cose belle e brutte che ho imparato qui. Ho buone e cattive

cose che ho imparato per me stesso e per gli altri> e ancora: <Mi vorrei impegnare per

promuovere la ricerca, formare persone che in futuro possano muovere le frontiere della

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conoscenza. Molte persone mi dicono che in Iran non cambia niente e non succederà mai

niente. Ma io vorrei nel mio piccolo cambiare qualcosa.>

- Vita accademica (come è cambiato l’approccio agli studi ad esempio, o come i modi di

insegnamento hanno influito su di sè)

Dal suo racconto viene spesso in superficie il senso di frustrazione che lo opprimeva in Iran,

sentendosi sempre sottovalutato rispetto alle sue capacità: <Ero un militare, poi con un permesso

ho potuto frequentare l’università e prendere la laurea magistrale… […] Poi per un periodo di un

anno ho lavorato in fabbrica, però come un operaio semplice… il lavoro di un operaio [sottinteso:

non di uno laureato alla magistrale!]… Nel frattempo inviavo richieste di iscrizione per diversi

PhD internazionali anche di università italiane>. Infatti è questo il motivo che l’ha portato ad

espatriare. Il modello universitario iraniano non gli permetteva di ottenere buoni punteggi agli

esami nonostante a lezione fosse molto bravo, e la sua media rimaneva sempre troppo bassa per

poter accedere a un PhD. Cercava più opportunità e valorizzazione, cosa che ha trovato qui in

Bicocca una volta ottenuto il dottorato, sin dal primo giorno: <Il mio professore mi chiese di

presentarmi, e il giorno dopo abbiamo iniziato subito il progetto. Il motivo principale

[dell’espatrio] era che avevo sentito un sacco di possibilità qui, fuori dall’Iran>. Gli impatti

principali sono dunque stati 1) sul suo modo di lavorare e studiare <In primo luogo, il

modo di lavorare e di studiare. Poi il modo di pensare… e l’atmosfera. Che si appuntano

sempre le cose nuove che imparano... Ecco e penso sia una cosa molto bella.> il modo in

cui si viene incontro allo studente con modalità d’esame diverse (in Iran è solo scritto) e

la possibilità di ridare l’appello. È un metodo di lavoro che permette di avere meno ansia

e di lavorare più serenamente, per questo dice che vorrà applicarlo ai suoi studenti se un

giorno dovesse diventare professore. 2) sulla mentalità che mette in primo piano lo

studente e valorizza la scienza: <Qui la scienza e più valorizzata. L'Iran non è così…

volevano solo che scrivessi il paper e basta...> e anche dai professori nota la capacità di

mettersi in gioco e di “servire la scienza” per pura passione mentre dichiara che in Iran gli

sembra che <In generale vedono la scienza solo come una fonte di reddito>. Per questo

l’approccio universitario e un buon rapporto con o professori sono stati di grande

ispirazione dal punto di vista accademico e personale.

- Relazioni famigliari

Parla con molto dolore del momento di addio alla famiglia, il giorno della partenza: <Ero in auto

per andare in aeroporto con la mia famiglia…e la strada era buia, e stavo male, non volevo

più andare! Tutti erano tristi… e quando arrivai in aeroporto il volo era stato ritardato di

due ore… entrai e mi sedetti ad aspettare…ero da solo e pieno di stress…è stato un giorno

difficile>. Inizialmente si può vedere una resistenza della famiglia verso la partenza del

figlio, come è stato detto precedentemente. Poi la situazione cambia, la famiglia si mostra

comprensiva, <Mio padre cha insisteva che tornassi mi ha poi detto che potevo stare se

volevo rimanere…Tutti mi dicevano di non tornare >. Il suo legame con la famiglia però

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sembra essere unilaterale, in particolare quando lo confronta con le poche relazioni

famigliari che ha potuto osservare a Milano. Quando parla delle sue relazioni famigliari

sembra essere molto sofferente: il padre era abbastanza autoritario, “più un padre che un

amico”, sua sorella non gli lasciava fare confidenze, e ha sperato di poter essere per il

fratellino minore un confidente almeno a sua volta… Infine parla di un episodio in cui

aveva provato a confidare alla famiglia che gli piaceva una ragazza, e sua madre è andata

su tutte le furie <Vai all’Università, vedi quattro ragazze con i capelli fuori e vieni a dirci

questo! Guarda che ti bruciamo i libri!> insomma era difficile confidarsi. Qui dice che i

rapporti di famiglia gli sembrano più dolci e più simili a rapporti di amicizia, anche se il suo

parere può essere distorto dal suo particolare caso.

- Competenza Linguistica

Si è reso conto dell’importanza della conoscenza della lingua inglese una volta arrivato in

aeroporto. <È stato anche il primo giorno in cui ho dovuto parlare inglese. Io lo conosco

l’inglese, ma non l’avevo mai ancora dovuto parlare>. E successivamente, dei problemi

dovuti alla non conoscenza altrui dell’inglese, come ad esempio nella reception del suo

studentato. Comprende come l’inglese fosse cruciale come lingua tramite, dato il fatto

che appena arrivato non riusciva a parlare italiano e gli italiani a loro volta non riuscivano

a comunicare in inglese. È stato invece un tramite importantissimo per instaurare ottime

relazioni con amici internazionali.

Incipit alla domanda narrativa: “Vorrei che mi parlassi di te e del tuo arrivo a Milano”

<Ero un militare, poi con un permesso ho potuto frequentare l’università e prendere la laurea

magistrale… Poi per un periodo iniziale ho lavorato per il Dipartimento della Difesa… ho lavorato

in fabbrica, però come un operaio semplice… il lavoro di un operaio… Nel frattempo inviavo

richieste di iscrizione per diversi PhD internazionali anche di università italiane>

Coda dell’intervista: “Ci sono altre cose che vuoi aggiungere a quello detto finora, che

credi sia interessante dirmi?”

<No, volevo solo dire che qui ho visto un comportamento da musulmani, ma senza vedere

musulmani. Insomma vivono come musulmani. Mi piacerebbe comportarmi cosi in futuro

in Iran>

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