matera e i suoi dintorni psicologici

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Matera e i suoi dintorni psicologici 50 Artisti Incisori Contemporanei

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L’iniziativa “Cinquanta artisti per Matera”, che ha dato vita alla mostra organizzata in collaborazione con la D’ars di Milano, è stata realizzata in maniera del tutto innovativa: nessun primo premio, bensì la presenza delle opere degli artisti prescelti su di un catalogo, questo, e la partecipazione delle suddette alle varie edizioni della mostra (Milano, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Matera).

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Materae i suoi dintorni psicologici

50 Artisti Incisori Contemporanei

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Matera come occasione

Se si pone mente alle tradizionali modalità con cui solitamente si svolgono i

concorsi d’arte, si vedrà che lo svolgimento prevede un rituale solo apparentemente diversificato da una manifestazione all’altra. Infatti, per solito, si ha un gruppo di opere presentate, una giuria che seleziona prima i lavori meritevoli e poi alla fine attribuisce a questo il primo premio, a quello il secondo e così di seguito, talvolta con l’aggiunta di “segnalati”, quasi a testimoniare che altri avrebbero meritato, ma che il primo premio era uno solo e non si poteva fare altrimenti. Si tratta di un cerimoniale collaudato, ma per forza di cose esposto ai limiti della soggettività di “quella” giuria. Un’altra giuria, infatti, avrebbe potuto benissimo assegnare il primo premio a un artista differente. E allora?

C’è qualcosa di inevitabilmente difettoso nella linda logica di un premio d’ar-te, che si amplifica poi quando i singoli artisti, fregiati della prestigiosa medaglia, o di lucentissima coppa, scrivono pomposamente nelle loro note biografiche di aver conseguito questo o quel premio.

L’iniziativa “Cinquanta artisti per Matera”, che qui viene presentata, contiene invece nella sua formula elementi nuovi e di grande modernità rispetto alle più tra-dizionali forme di concorso, avendo posto in atto un procedimento semplice, efficace e soprattutto in grado di evitare quelle inevitabili “ingiustizie” cui sono soggetti i normali premi di pittura o di grafica. Non è infatti previsto in questa manifestazione un primo premio, né vi sono targhe, coppe o medaglie. Il premio è costituito dalla partecipazione, dalla presenza dell’opera sul catalogo e alle varie edizioni della mostra in diverse città italiane (al momento in cui vengono scritte queste righe, si ipotizzano le sedi di Milano, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Matera). Ma c’è di più: la partecipazione, di cui si diceva, non è stata stabilita sulla scorta di un’opera o due che l’artista ha inviato per l’occasione, bensì è stata determinata osservando l’attività globale dell’artista. Se si vuole, dunque, una sorta di “premio alla carriera”, come si usa in campo cinematografico.

Un altro aspetto sorprendente di questa manifestazione è stata la risposta de-gli artisti. Quelli prescelti non sono stati semplicemente invitati con una loro opera qualunque, ma è stato chiesto loro di realizzare appositamente per l’occasione una calcografia, che in qualche modo, nel rispetto della loro arte, rispondesse al tema prescelto: “Matera e i suoi dintorni psicologici”. Si trattava dunque di predisporre un’opera nuova, di cui al momento della lavorazione, non sapevano (e forse non sanno ancora) che tiratura avrà, né quale destinazione, né quali canali commerciali, al di là dell’unico esemplare che l’iniziativa di Matera ha chiesto loro. La quasi totalità degli artisti invitati ha risposto affermativamente (le poche defezioni sono state causate per lo più da motivi esterni e contingenti), lasciando stupiti alcuni osservatori che mai avrebbero creduto in tanta disponibilità e che sotto sotto si sono anche un po’ risentiti (sul tipo “Ma come? io ti chiedo una lastra disposto a pagartela, e non me la fai, poi arrivano questi e tu...”).

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Piccoli veleni presto cancellati dal buon senso. Ma rimane il fatto che una tale risposta da parte degli artisti induce quanto meno a due considerazioni: la prima è che molti fra loro, e alcuni anche di primo livello, hanno valutato in modo corretto la serietà dell’iniziativa e hanno dato pratica dimostrazione di una disponibilità che va ben oltre i consueti schemi mentali cui sovente ci siamo abituati. La seconda riflessione è che la città di Matera può vantarsi di un’iniziativa cui l’adesione di tanti artisti ha conferito un prestigio probabilmente superiore alle previsioni iniziali.

A questo punto, mi sia consentito di aggiungere una terza considerazione. Alla luce di questo successo, non sarebbe il caso che almeno alcuni dei vari premi e concorsi - parlo di quelli più seri e affermati - mutassero la loro tradizionale formula in qualcosa di analogo a quello che questa iniziativa per Matera propone? In altri termini, invece di prevedere primi, secondi e terzi premi (che si adattano più a una classifica sportiva), non sarebbe il momento di avere il coraggio di inventare formule diverse, in fondo più rispettose della dignità degli artisti? Magari, come si fa qui per Matera, instaurare una formula in cui il premio sia la partecipazione alla mostra e al catalogo. Oppure, se c’è anche un premio in denaro, suddividendolo equamente fra gli ammessi a partecipare? È solo un’idea, naturalmente, che richiede solo un po’ di coraggio.

Tornando a questa iniziativa per Matera, già si è detto che la risposta degli arti-sti è stata pressoché plebiscitaria, lasciando intendere che probabilmente qualcosa è cambiato nella mentalità degli incisori, ora aperti a proposte nuove, meno interessati a un immediato ritorno economico e rivolti semmai invece a orizzonti di più largo respiro. La verità, a nostro sommesso parere, è che qualcosa si stia modificando nel panorama generale della stampa d’arte in Italia, grazie a un’azione insistente, operata da molti, tesa a creare una distinzione fra la stampa d’arte originale e che si esprime in linguaggio grafico da ogni altra forma di grafica, né grafica, né originale.

Del resto, la Dichiarazione sull’Incisione Originale (riportata in questo catalogo a p. 117), promulgata a Milano nel maggio del 1994 e sottoscritta da oltre trecento artisti e studiosi, non è passata invano e nel tempo ha lasciato e lascia un segno evidente. Come era nelle sue intenzioni, non ha cancellato dalla faccia della terra i fotolitisti o i fotoincisori, né i loro fogli multicolori di grandi dimensioni e di nessuna manualità, ma ha cominciato a far capire alla gente che questa è una produzione completamente diversa dalla grafica originale, una sorta di distinto sottobosco, ove è prodotta, con-fezionata e venduta con modalità, quotazioni e garanzie del tutto diverse da quelle della grafica originale. Mi sembra che dopo la Dichiarazione di Milano si vada sempre più configurando, fra queste due forme d’arte a stampa, un rapporto simile a quello che esiste fra la stampa d’arte strictu sensu e la stampa decorativa.

Sebbene apparentemente il problema non sia attinente, mi sia consentito soffer-marmi un momento ancora sulla Dichiarazione di Incisione Originale promulgata a Milano. Essa mirava non già a fondare una nuova categoria di originalità, quasi che essa - l’originalità - fosse una di quelle verità elastiche che si adattano ai tempi, ma intendeva ribadire l’analoga Dichiarazione che era stata formulata nel 1937 a Parigi,

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sottolineando l’inderogabile necessità di un intervento manuale dell’artista nell’ese-cuzione dell’opera. In altre parole, l’artista deve incidere direttamente la lastra, senza aiuto esterno di altri o di macchine. Ma nella Dichiarazione di Milano, in aggiunta, è previsto un secondo aspetto, il linguaggio, che deve attenersi alle caratteristiche che sono proprie del mezzo usato, e cioè la punta e quindi un linguaggio essenzialmente e prioritariamente basato sul segno. Dunque originalità e linguaggio di segni, due punti salienti su cui i visitatori di questa iniziativa per Matera potranno soffermarsi, verificando come e quanto siano presenti nelle opere prescelte.

Ripetiamo, dunque, che la Dichiarazione di Milano non è passata invano e oggi da parte del pubblico e degli stessi artisti sembra di scorgere una consapevolezza più matura della distinzione fra la grafica originale e grafica di ogni altro tipo. E per questa ragione ci sembra quanto meno controproducente, per non dire sciocco, l’atteggiamento di coloro che pensano di giovare alla grafica d’arte autentica con-tinuando a piangere sulla confusione (vera o presunta) che essi - profeti dall’acuto sguardo - mestamente continuano a intravedere nella produzione contemporanea. Luttuosi profeti, dei quali preferiamo fare volentieri a meno.

Diremo allora che la situazione è del tutto florida, i nemici sconfitti e il giorno della vittoria radiosamente vicino? Per carità, no. I solerti facitori di fotolito e di se-rigrafie “simil-quadro” non sono affatto sconfitti, ma si è cominciato a debellarli. E qualche successo indubbiamente è stato ottenuto: basta pensare che certi annuari di grafica, infarciti di inserzioni pubblicitarie che reclamizzavano appunto questi grafici lenzuoli colorati, hanno oggi una circolazione assai più ridotta che in passato.

Qualcuno non mancherà tuttavia di far osservare che molti negozi di corniciai espongono ancora nelle loro vetrine opere di questo genere. È vero, ma per l’appunto sono solo corniciai. Di più si può aggiungere che forse il nuovo clima che si sta in-staurando ha ridimensionato anche alcuni fenomeni marginali, che peraltro avevano trovato discrete casse di risonanza presso quei circoli ove la novità e la facilità costi-tuiscono gli indispensabili ingredienti per rinnovare gli interessi. Parlo per esempio della cosiddetta grafica sperimentale.

Nulla da dire sul fatto che gli artisti siano interessati a sperimentare tecniche nuove e combinazioni diverse, infischiandosene delle consuetudini, ma che il risultato stesso di tali sperimentazioni venisse ammannito come elemento in sé buono per una valutazione estetica, come certa critica aveva sostenuto fino a qualche tempo fa, è stata una forzatura che in questi anni sembrerebbe essersi un po’ attenuata.

I tempi peraltro in cui si sta operando presentano oggi caratteristiche particolari di natura socio-economica che hanno influenze non di poco conto nella stessa gestione dell’arte, del collezionismo e del mercato. In questo senso, forse, uno dei fenomeni più vistosi è quello di una certa crisi delle gallerie (soprattutto per la grafica), non già questa o quella, ma l’istituzione della galleria come tale, assalita in modo massiccio da problemi di natura fiscale. Non sono state poche in questi anni le gallerie, anche prestigiose, che hanno riorganizzato i loro spazi in interni, non più sulla strada, al fine di sfuggire non già il rumore caotico del traffico cittadino, ma la lunga e inesausta mano del fisco.

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Sicché si può dire che cambiano i modi e le forme, ma la sostanza nel suo in-sieme rimane quella di sempre. Artisti seri, impegnati e appassionati, che lavorano e producono, cercando poi le vie più adatte per far conoscere la loro opera. Lavorano con sincera convinzione, talvolta in mezzo a colleghi, di loro meno seri, più interessati al guadagno che all’arte.

Questa rassegna per Matera può essere assunta come una passerella per esibire l’opera di alcuni di loro. Allo stesso tempo è una prova della vitalità incisoria di oggi e fra i nomi che vi sono inclusi si potrà osservare che figurano alcuni dei maggiori incisori oggi attivi in Italia. Intendiamoci bene, tuttavia: quando qui si dice “maggio-ri”, non si intende quelli che sono tali per notorietà acquisita in campo pittorico, o per fama conseguita per altri motivi. Con “alcuni dei maggiori incisori” intendiamo quelli che nel campo dell’incisione e con il linguaggio dell’incisione si esprimono a livelli di una qualità riconosciuta alta dai più.

Nei confronti di alcuni di costoro si sente spesso rivolgere, e per lo più da una certa parte, una critica ricorrente. E cioè che sono troppo tradizionali e che dovreb-bero rinnovarsi, seguendo i tempi. E così codesti sagaci commentatori, in nome di una pretesa modernitè, gettano su questi incisori un inutile discredito. Novelli profeti del nuovo per il nuovo, questi critici additano per esempio certe correnti pittoriche e certi pittori, la cui capacità di rinnovamento sembra direttamente proporzionale al bisogno di credersi all’avanguardia. Ma sono davvero convinti che questa presunta modernitè sia proprio tale?

Questi solerti innovatori non vengono mai sfiorati dal sospetto che quell’arte informale che essi vagheggiano come massima espressione della modernitè è vecchia quasi di cinquant’anni. Cinquant’anni di ripetizione - sia pure con tutte le varianti e le sfumature possibili (arte povera, concettuale, happenings, e quant’altro). Cinquant’an-ni di ripetizione non inducono a parlare di modernitè, semmai di manierismo.

Il nuovo per il nuovo non interessa. Semmai interessa il nuovo per il meglio. Ma se poi il nuovo non è neppure tale, allora è anche una presa in giro. Che poi la loro opera sia supportata da critici illuminati, da gente che parla difficile e scrive oscuro, è al più un fatto folcloristico, ma nulla toglie o aggiunge alla realtà dei fatti.

Concludendo, credo di poter affermare che questa iniziativa per Matera offra uno spaccato senz’altro interessante degli incisori italiani d’oggi. Ed è un fatto senz’altro degno di considerazione osservare come molti fra gli incisori chiamati per questa manifestazione siano riusciti a rimanere fedeli al tema proposto dall’iniziativa della mostra - Matera e i suoi dintorni psicologici - senza tradire in alcun modo la propria sensibilità artistica, né il proprio comune modo di esprimersi. Rispettando il tema, sono andati incontro a soluzioni formali e iconografiche spesso straordinarie, peraltro molto diverse fra loro.

Nella maggior parte dei casi la veduta in lontananza della città si accampa come un brano di paesaggio che l’artista rivisita in una propria chiave personale, non di rado collocata nell’ambito della memoria. Lungi da dichiarare la loro estraneità al tema, molti hanno preferito incamminarsi per questa strada, dando luogo a opere di raffinato lirismo. Altri invece hanno privilegiato la visione di particolari più ristretti,

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presi a emblemi della realtà generale, fino a ridursi a semplici emblemi, che vanno poi sconfinando nelle raffigurazioni non figurative, ove difficilmente, per l’assunto stesso delle regole, può parlarsi di adesione al tema, ancorché le opere presentate siano in alcuni casi di eccezionale ricchezza di segno.

Tutto ciò del resto non costituisce una sorpresa. Gli artisti presenti a questa manifestazione sono stati tutti invitati, per cui non erano da prevedersi sorprese in negativo. Chi vedrà questa mostra o il relativo catalogo dovrà riconoscere l’alta qualità tecnica e artistica di molte opere. Conforta vedere che vi siano artisti in grado di esprimere a buon livello la propria presenza, anche a contatto con un’occasione in fondo pretestuosa come questa. Ora non dispiacerebbe che anche stampatori e galleristi si adeguassero a questi livelli.

Paolo Bellini

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Tino Aime è nato a Cuneo nel 1931 e risiede a Gravere, in Val di Susa. Ha fre-quentato la Libera Accademia di Torino diretta da Idro Colombi. Ha iniziato l’attività espositiva nel 1963. Ha tenuto mostre personali e collettive in Italia, Francia, Germania, Romania. Tino Aime, nella sua arte calcografica, privilegia l’impianto disegnativo, spesso arricchito da soffuse zone di colore. Attento indagatore della realtà quotidiana, ne coglie spesso sfumati accenti psicologici.

Tra le sue mostre si segnalano: 1983, Biblioteca di Boblingen, Boblingen; Antologica di Grafica Avigliana, Palazzo delle Feste, Bardonecchia; 1986, Chiostro di San Francesco, Susa; “Salle du Colombier”, Briançon; 1989, 1° Premio Santhià, Santhià; Palazzo Robellini, Acqui Terme; 1992, Museo Casa Cavassa, Saluzzo; Palazzo della Regione Piemonte, Torino.

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“I Sassi e la luna”, 1996, acquaforte, acquatinta, a due colori

Tino Aime

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Giuseppe Aliprandi è nato nel 1939 a Milano, dove vive e lavora. Si è dedicato alla pittura fin dalla giovinezza. Ha frequentato, tra l’altro, i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Brera e ha cominciato a esporre nel 1975, accolto con favore dalla critica e dal pubblico. Da allora ha tenuto oltre venti mostre personali, gratificato dagli apprezzamenti dei critici (fra cui G. Marchiori, D. Villani). Aliprandi ha studiato le tecniche della grafica con Gigi Pedroli e con Giuliana Consilvio. Nei suoi soggetti ha privilegiato con frequenza la trattazione del paesaggio.

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Giuseppe Aliprandi

“L'uomo, la casa, la terra”, 1996, acquaforte

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Ermes Bajoni è nato nel 1941 a Bagnacavallo (Ravenna), dove vive e lavora. Il suo lavoro artistico è iniziato con la grafica e la scultura per poi passare alle tecniche pittoriche. Il mondo espressivo di questo artista si è distinto per lo sviluppo in cicli che, attraverso titoli comuni per le opere dello stesso periodo, hanno caratterizzato i vari momenti e le tematiche prese in considerazione. Dagli anni Sessanta la sua attività espositiva si è svolta in modo continuativo, con l’allestimento di oltre cinquanta per-sonali e numerose collettive nelle principali città italiane e in Danimarca, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Russia. Dal 1988 si è dedicato prevalentemente all’incisione e in questo campo è stato invitato a esporre in importanti rassegne nazionali. È, inoltre, attivo e intelligente promotore del rilancio dell’incisione originale in Italia, attraverso le attività del Centro Artistico di Bagnacavallo e del suo importante Repertorio degli Incisori Italiani.

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Ermes Baioni

“L'Orizzonte di Icaro”, 1996, acquaforte su zinco

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Enzo Bellini è nato a Santa Sofia (Forlì) nel 1932. Dopo diverse esperienze in campo provinciale e regionale, agli inizi degli anni Sessanta ha deciso di trasferirsi a Milano, dove tuttora risiede. Nel 1972 ha allestito la sua prima personale alla Galleria “La Nuova Sfera”, ottenendo subito un lusinghiero successo di critica e di pubblico. In seguito, l’illustre storico dell’arte Raffaele De Grada lo ha segnalato sul Catalogo Bolaffi per la Grafica.

Enzo Bellini è un incisore che ormai da diverso tempo ha privilegiato, nella scelta iconografica, il mondo degli animali osservati con la lente attenta e amorevole dell’os-servatore appassionato. Dal punto di vista tecnico, usa con preferenza l’acquaforte.

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Enzo Bellini

“Il Canto dell'Allodola”, 1989, acquaforte

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Nunzio Bibbò è nato a Castelvetere (AV) nel 1946. Incisore e scultore, tra le diverse opere monumentali create da Bibbò la più complessa e impegnativa è stata la porta sui temi della vita di San Paolo per la Cattedrale di Reggio Calabria (terminata nel 1988). Nella calcografia di Nunzio Bibbò l’uso di una tecnica matericamente densa, contrassegnata da robuste ombreggiature, descrive con frequenza scorci di vita ur-bana, brani in cui l’assenza di figure sembra configurarsi anche come un’ indagine sull’odierna solitudine esistenziale.

Nel 1975 è presente alla X Quadriennale e nel 1976 l’Università di Cincinnati gli dedica una personale, mentre estende la sua attività all’arte incisoria. Nel 1980 il Museo d’Arte Na-zionale di Sofia organizza una sua importante personale e gli dedica una sala permanente.

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Nunzio Bibbò

“Sasso Caveoso: veduta da San Donato a Casal Nuovo”, 1996, punta secca su lastra di zinco