manuali di politica tascabile - renato brunetta

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PD Manuali di politica tascabile a cura di Maurizio Belpietro e Renato Brunetta di Luca d’Alessandro con saggi di Arturo Diaconale, Renzo Foa, Davide Giacalone, Giorgio Stracquadanio PD Il Partito della Discordia 1

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PDManuali di politica tascabile

Manuali di politica tascabile

a cura di Maurizio Belpietro e Renato Brunetta

di Luca d’Alessandrocon saggi di

Arturo Diaconale, Renzo Foa,Davide Giacalone, Giorgio Stracquadanio

Da vendersi esclusivamente in abbinamento a Il GiornaleSupplemento al numero odierno.Euro 2,90 + il prezzo del quotidiano

Il libro racconta di una storiastrana, una storia di risse conti-nue, di litigi, di dispetti, di dif-fidenza, di offese, di accelera-zioni e di improvvise frenate, ditrappole, di re decapitati sottolo striscione dell’ultimo chilo-metro e di rampanti sindaci diRoma che, dopo aver tessutonell’ombra le loro trame, hannodemolito leadership annuncia-te, scalzando leader autopro-clamati. Stiamo parlando dellastoria del Partito Democratico,del suo concepimento, dellasua gestazione, del suo marto-riato parto, fissato per il 14ottobre. Certo, non è che il Pdnasca sotto i migliori auspici,visto quello che è stato il suopercorso di vita. E suona dav-vero strano come Ds e Marghe-rita, i protagonisti di questafusione a freddo, seppur fattacon animi davvero caldi, abbia-no deciso di dar vita ad un par-tito, ad un matrimonio, concosì poco amore e così tanteincomprensioni.

Vedremo, nel corso di unacronistoria affrontata solo edesclusivamente attraverso leparole dei protagonisti, quantodifficile sia diventato giornodopo giorno il progetto, partitoin pompa magna e terminatocon scissioni, fughe, mugugni,fastidi.

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Il Partito della Discordia

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ISSN 1124-8831

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Manuali di politica tascabile

a cura di Maurizio Belpietro e Renato Brunetta

Il Partito della Discordia

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© 2007Edizione speciale perFree Foundation for Research on European Economy

Segreteria di redazione ed editingStefania Profili

ADGerardo Spera

Illustrazione di copertinaGiorgio Forattini

Stampa e legaturaMondadori Printing S.p.A.Stabilimento NSM – Cles (TN)

Siti internetwww.renatobrunetta.itwww.freefoundation.comwww.ilgiornale.it

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Indice

1Prefazione di Maurizio Belpietro

Introduzione di Renato Brunetta

PD: il Partito della Discordia con le parole dei protagonisti

Il PD e il sangue di Moro

Nel momento peggiore

Contro la sinistra reazionariaper una sinistra di governo

Il Manifesto del PD: tutto e il contrario di tutto

AppendiceI candidati e le regole del PD

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Prefazione

di Maurizio Belpietro

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er dare un’idea ai lettori di ciò che doveva essere ilPartito Democratico nella mente dei suoi inventori eciò che, invece, è diventato nel corso dei suoi dueanni di gestazione è sufficiente rileggere ciò che hadetto Arturo Parisi, che di certo è considerato unodegli ispiratori del progetto. Siamo nei giorni che

precedono il grande appuntamento del 14 ottobre, quandouna kermesse pianificata fin nei minimi particolari conse-gnerà a Walter Veltroni lo scettro di leader del Pd. Di frontead un appuntamento di così grande portata, atteso più di unfiglio e intorno al quale si sono consumate risse, scissioni euna lotta per il potere neanche troppo sotterranea, sarebbelogico pensare ad un entusiasmo dilagante e contagioso: èstata dura ma ce l’abbiamo fatta. Invece non è così. La bat-taglia per guidare il nuovo partito ha lasciato sul campomorti e feriti. Chi, come Parisi, ha speso tutto se stesso percucire intorno a Prodi l’unico vestito di cui era privo perpoter acquisire il massimo potere possibile, cioè un partito,che per giunta sarebbe stato frutto della fusione dei due par-titi più grandi del centrosinistra (Ds e Margherita), oggi nonpuò accettare che ad indossare questo abito di sartoria nonsia il Professore, ma il giovane (mica poi tanto) Walter. Èper questo che Parisi, avvicinato dai giornalisti che gli chie-dono se sia amareggiato, risponde: “Se avessi la libertà dilinguaggio di Beppe Grillo, la parola giusta ce l’avrei. Fini-

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Prefazione

sce in ‘ato’ ma vi assicuro che non è ‘amareggiato’”.Lasciamo ai lettori il gusto di trovare la parola esatta cui

pensava Parisi (che forse non amerà più tanto Prodi, anchese di certo lo considera migliore di tutti gli altri), ma di certoil Partito Democratico, nonostante i proclami di tutti i pro-tagonisti e, seppure a denti stretti, dello stesso Prodi, nonnasce sotto una buona stella. D’altra parte, ogni singolopasso del percorso che ha portato verso questo nuovo sog-getto politico è stato caratterizzato dai continui segnali d’al-lerta lanciati ora da esponenti dei Ds, preoccupati dal rischiodi cancellare con un colpo di spugna la storia e la tradizio-ne post-comunista, ora dalla diffidenza di interi settori dellaMargherita, letteralmente terrorizzati dalla prospettiva difinire stritolati dalle spire della tradizione socialdemocrati-ca, che in Europa vuole dire entrare nel Gruppo del Pse eperdere repentinamente quel poco di tradizione cristiana cherimaneva nella sinistra Dc.

Il piano di Prodi era invece molto più terra terra, seppu-re diabolico: cancellare due partiti solidi e ben rappresenta-ti, fonderli come se nulla fosse in un unico soggetto politicoe prenderne possesso con una leadership che appariva indi-scussa fin dall’inizio. Il progetto cominciò a prendere corpoil giorno delle Primarie, quel 16 ottobre 2005 che incoronòil Professore leader del centrosinistra. Veri o gonfiati chefossero, quattro milioni di voti erano un numero sufficiente,una dote non indifferente, tale da concedere a Prodi unamarcia trionfale. Una marcia che però ha perso tutta la suaspinta propulsiva proprio nel giorno delle politiche, quandol’Unione ha vinto per poche migliaia di voti alla Camera,perdendo per 250 mila voti al Senato, ma riuscendo miraco-losamente a portare a palazzo Madama due senatori in più,appena sufficienti al governo per galleggiare, ma non pergovernare. Il quasi pareggio ha di fatto consegnato alla sini-stra un Prodi dimezzato, visto come il vero sconfitto, men-tre Berlusconi viene considerato vincitore morale delle ele-zioni, dal momento che anche i sassi, oltre che perfino gliexit poll, prevedevano perdesse con uno scarto di almenocinque punti. Se il Professore, con tutti i dubbi del caso, è

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riuscito a conquistare palazzo Chigi, proprio con l’esitodelle Politiche ha cominciato inesorabilmente a perdere laleadership del Partito Democratico. Alle sue spalle si allun-gava già l’ombra di Walter Veltroni, il suo vice nel governodel 1996, colui che negli ultimi sei anni si è rifugiato fra imonumenti di Roma per un lavacro che lo avrebbe presen-tato ai più, soprattutto a coloro che non conoscono la decen-nale storia politica del sindaco della capitale, come un poli-tico nuovo. E più l’ombra di Walter si faceva minacciosa,più Prodi invitava a fare presto, frustava i suoi, Parisi intesta, affinché corressero, bruciassero le tappe per la nascitadel Pd, evitassero la designazione ufficiale di Veltroni.

Tutti sanno com’è andata a finre: Prodi è rimasto scon-fitto nella sua personalissima corsa contro il tempo. Il capodel Partito Democratico sarà Walter Veltroni. E questa solu-zione la si conosce da quando, alla fine di giugno, al Lin-gotto di Torino il sindaco di Roma ha sciolto la sua riserva,consegnando alla sinistra non la sua idea di Pd, ma la suaidea di governo.

E qui sta il problema. Sorvoliamo sui contenuti del dis-corso di Walter, un frullato di buone intenzioni (tutto e il suocontrario) che non sembrano voler tenere conto che i suoialleati di domani saranno quelli che Prodi ha oggi e chetanto lo fanno disperare: Rifondazione comunista, Comuni-sti italiani e Verdi. Come Prodi egli dovrà cercare i voti diBertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio, Caruso, WladimirLuxuria, Giordano, Mussi, Salvi, Turigliatto e compagni.Ma in questo momento il problema non è come riuscirà Vel-troni a governare, ma quando deciderà di liquidare Prodi perprenderne il posto. Palazzo Chigi è assediato, i sondaggisono impietosi, il Paese è in rivolta, Prodi ha una maggio-ranza che si regge sul filo, ma di un rasoio, ed è comprensi-bile che Veltroni non voglia fare l’azionista di maggioranzadi un esecutivo da troppo tempo in perdita. Da capo del Pdrischierebbe piano piano di morire di luce riflessa proprioper causa di Prodi.

Ecco perché Walter ha fretta. Ecco perché il sindacocapitolino piace sempre più ai burocrati di sinistra che con-

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Prefazione

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Prefazione

fidano in lui per salvare le proprie carriere politiche da nau-fragio di Prodi. I compagni di Veltroni sono tentati subitodopo il 14 di ottobre, giorno della designazione di Veltroni,di decretare la fine dell’attuale governo, mandare il Profes-sore a casa e spedire di filato il sindaco di Roma dal Cam-pidoglio direttamente a palazzo Chigi. Sebbene lo stessoVeltroni assicuri che mai accetterà una presidenza del Con-siglio che non passi per una designazione popolare, di fattoProdi ne esce assolutamente e irrimediabilmente delegitti-mato. E con lui il suo governo, che già versa in uno statocomatoso. È questo il “miracolo” compiuto dal Pd: spazza-re via l’ultimo velo di legittimità di un governo che – elettosenza un consenso pieno – è stato costretto a governare travoti di fiducia e colpi di mano.

Liquidata l’apparenza di legittimità resterà solo un parti-to nato da una fusione fredda: una scatola vuota che ex pcied ex dc vorrebbero utilizzare come Arca di Noè per fuggi-re al diluvio dell’antipolitica. Del Pd non si conoscono i pro-grammi, ma del sul futuro leader si conoscono benissimo lestraordinarie capacità trasformistiche. Il Partito democraticonasce male, perché calato dall’alto, senza la possibilità chela base possa dire nulla. Mussi e Salvi, sono due nostalgicidel comunismo, ma è difficile dar loro torto quando parlanodi oligarchia, di perdita della vecchia e sana ideologia socia-lista e di partito delle segreterie. Qui, accusano, non ci sonoancora i contenuti e già tutti si accapigliano sulle cariche. Ineffetti, a leggere la cronistoria di due anni di tragitto verso ilPartito Democratico, ci si imbatte in una sterminata serie diliti, dispetti, scissioni, ripicche, offese. E tutto per poter dareun partito a quello stesso Romano Prodi che invece l’ha giàinvolontariamente consegnato nelle mani di Veltroni.

Ecco perché Parisi confessa di essere “...ato”, ecco per-ché, come Medea, preferisce vedere morto il suo Pd, consi-derato come un figlio, pur di non darlo in discendenza aGiasone-Veltroni. Parisi era partito con Prodi per suonare efinì suonato. Come sarà facile capire leggendo questo libro.

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Introduzione

di Renato Brunetta

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l sistema elettorale, nato con i referendum promossi daMario Segni, sarebbe dovuto servire per salvare quelche restava della Democrazia Cristiana. Per quest’ope-razione era indispensabile il sostegno di quel cheaveva prodotto il Partito Comunista Italiano. AchilleOcchetto, che in Italia è ricordato come un coraggioso,

ma che fu il segretario dell’ultimo partito comunista delmondo a cambiare nome, la chiamò, con qualche enfasiingenua e minacciosa: la gioiosa macchina da guerra. Per-sero la guerra, ed anche la gioia.

Quel sistema elettorale fu presentato come maggiorita-rio, in realtà era un uninominale, corretto da una quota diparlamentari eletti in modo proporzionale. Al Senato resta-va il vecchio sistema. Lo ripeto perché non stava scritto danessuna parte che quel sistema avrebbe portato al bipolari-smo, mentre era stata una durissima campagna giudiziariaa radere al suolo i partiti politici che portavano la “colpa”,ma forse anche il merito, di aver governato. Se il bipolari-smo prese piede lo si deve ad un fatto schiettamente politi-co: Silvio Berlusconi mise assieme un raggruppamento conil quale battere la gioiosa macchina cattocomunista.

Si può pensarla in mille modi diversi, ma se non si ha lalucidità e l’onestà di riconoscere questo, se non si parte dal-l’assunto che il bipolarismo esiste perché Berlusconi “scesein campo”, allora è semplicemente inutile ogni ragiona-

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Introduzione

mento. Saremmo nel campo della propaganda, che lasciovolentieri ai propagandisti da strapazzo.

Quel giorno Berlusconi tenne a battesimo anche il Parti-to Democratico. I signori della sinistra possono rigirarlacome vogliono, ma è chiaro a tutti che se la loro vasta,variopinta e disomogenea coalizione è stata assieme, perpoi sfasciarsi e ricongiungersi, ciò lo si deve alla necessitàd’opporsi alla coalizione, anch’essa multicolore, creatasiattorno a Berlusconi. In pratica ne creò due: una attorno asé e l’altra contro di sé.

Al primo giro (1994) vinse Berlusconi che, vissutocome un corpo estraneo dai santuari economici ed istitu-zionali del potere fu presto fatto fuori. Al secondo (1996)nacque l’Ulivo, raccolto attorno a Prodi, che vinse, si sfa-sciò , passò il potere a chi fu comunista e poi s’inabissò conil governo Amato e la candidatura Rutelli. Al terzo (2001)la sinistra era suonata, e questa volta il centro destra gover-nò per cinque anni. Ottenne, in termini di risultati, meno diquel che avrebbe potuto, ma individuò le storture costitu-zionali da correggere, come fece con una riforma che, però,fu poco difesa, molto aggredita, ed al referendum seppelli-ta. Il quarto giro vede tornare Prodi alla vittoria, ma questavolta c’è l’Unione e la promessa del Partito Democratico.Di questo qui ci si occupa.

Tutte le persone ragionevoli sapevano, anche a sinistra,fin dalla lettura del programma elettorale, che quella roba lìnon avrebbe mai potuto governare. Teneva insime non solopiù eterogeneità, ma direttamente opposti e contraddizioni.Prodi, come al solito, avrebbe tenuto il dialogo con la sini-stra ideologica e fondamentalista, rendendo vale le voci diquella riformista. Ma gli opposti estremismi interni all’U-nione l’avrebbero dilaniata, come è puntualmente accaduto.

Credo sia nell’interesse del Paese che il governo cada alpiù presto e si vada a votare. Ma se anche non cadesse maiquesto non significa che possa governare. Non lo ha fatto enon lo farà, perché è impossibile.

Consapevoli di questo, a sinistra, hanno cercato di acce-lerare la creazione di un partito, quello democratico, nato

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Introduzione

per volontà dei vertici. Ed è qui che casca l’asino (non solol’Asinello, di Parisi). Perché dopo la vittoria elettorale, chevittoria non fu, Prodi pensò di farlo nascere per poteremeglio dominare gli alleati, tanto è vero che annunciò lapropria candidatura alle primarie, ma presto gli fecero capi-re che, a quelle condizioni, poteva pure andare via subito,talché adesso nasce, il nuovo partito, per sostituirlo frapoco anziché immediatamente.

Ma, ed è questa la prima conclusione politica, se ilnuovo partito nasce nel mentre Prodi cade, chi governa l’I-talia? Non certo chi abbia avuto il consenso degli elettori,perché quel partito non s’è mai presentato alle elezioni.Ecco un motivo in più, se ve ne fosse bisogno, per apriresubito le urne.

Dopo il prodicidio, che negheranno fino alla funzionefinale, cosa sarà il nuovo partito? Se sarà solo la riproposi-zione del bipolarismo, se sarà solo la risposta al berlusco-nismo, allora sarà come l’Ulivo e come l’Unione, il conte-nitore in cui possono stare tutti, o con cui tutti si possonoalleare, a patto di non avere né una fisionomia né un pro-gramma chiari. Se, invece, sarà un passo in avanti, se pun-terà sull’identità riformista ed un programma realista, allo-ra dovrà rompere nettamente con il passato comunista econ il presente delle alleanze estremiste (che, del resto, sidefiniscono, orgogliosamente, comuniste).

Non credo riuscirà ad essere questa seconda cosa, inogni caso leggendo questo libro ciascuno potrà farsi unapropria, documentata opinione. Non è, infatti, un libro pre-venuto, e benché tutti gli autori abbiano solide convinzionipolitiche ed ideali nessuno di loro si abbandona alla propa-ganda. In questo sono troppo bravi gli altri.

Il libro racconta di una storia strana, una storia di rissecontinue, di litigi, di dispetti, di diffidenza, di offese, diaccelerazioni e di improvvise frenate, di trappole, di redecapitati sotto lo striscione dell’ultimo chilometro e dirampanti sindaci di Roma che, dopo aver tessuto nell’om-bra le loro trame, hanno demolito leadership annunciate,scalzando leader autoproclamati. Stiamo parlando della

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Introduzione

storia del Partito Democratico, del suo concepimento, dellasua gestazione, del suo martoriato parto, fissato per il 14ottobre. Certo, non è che il Pd nasca sotto i migliori auspi-ci, visto quello che è stato il suo percorso di vita. E suonadavvero strano come Ds e Margherita, i protagonisti di que-sta fusione a freddo, seppur fatta con animi davvero caldi,abbiano deciso di dar vita ad un partito, ad un matrimonio,con così poco amore e così tante incomprensioni.

Capiamo bene che Prodi, all’indomani del successo allePrimarie del 16 ottobre 2005, abbia deciso di cavalcare latigre e di procedere per forza di inerzia verso il PartitoDemocratico. Lo capiamo bene perché il Professore, chenon ha un partito alle spalle, se fosse riuscito nell’impresaavrebbe snaturato sia Ds sia la Margherita e, in un colposolo, avrebbe avuto alle sue dipendenze due partiti, seppu-re fusi in un unico contenitore. Né si può ignorare che l’en-tusiasmo ha contagiato, all’inizio, anche Francesco Rutelli,il quale dopo aver assistito alle Primarie ha impresso unaclamorosa accelerata al progetto, spiazzando un po’ tutti.Ed è per questo motivo che tutti indicano nelle Primarie ladata del concepimento del Pd.

Vedremo, nel corso di una cronistoria affrontata solo edesclusivamente attraverso le parole dei protagonisti, quan-to difficile sia diventato giorno dopo giorno il progetto,partito in pompa magna e terminato con scissioni, fughe,mugugni, fastidi.

Vedremo come Prodi, entrato Papa in Conclave, ne siauscito meno che cardinale. Mentre Veltroni, rimasto nel-l’ombra a lungo e fintamente estraneo al progetto, ha rica-mato il suo successo ed è diventato leader designato. Conenormi ripercussioni non solo sulla salute del PartitoDemocratico, ma anche del governo. Non c’è, infatti, unsolo commentatore o un solo esponente della sinistra chenon sia consapevole del fatto che la leadership del Pd nonsarà fine a se stessa, ma sarà – in una prospettiva a brevis-sima scadenza – propedeutica alla candidatura a premier.Chi sarà capo del Pd sarà anche il candidato premier. Il chenon è poco, visti i risultati del governo e considerato come

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Introduzione

Prodi sia considerato a termine, scaduto come i latticini. Inmolti pensano che Veltroni sostituirà quanto prima il Pro-fessore a palazzo Chigi. Ma il sindaco di Roma, bravissimoa nascondere il fatto che guiderà una coalizione compostadagli stessi riottosi alleati che tanti grattacapi stanno pro-curando a Prodi, è abile anche ad evitare le trappole: nonfarà la fine di D’Alema, diventato premier con un complot-to di palazzo e, per questo, successivamente punito daglielettori. Così, Veltroni da una parte vellica il premier e assi-cura che lo sosterrà fino al 2011, data naturale della finedella legislatura. Dall’altra, con le sue frequenti dichiara-zioni di dissenso dalla politica del centrosinistra (con frasitipo: “Mai più un programma senza chiarezza”, che rappre-sentano un atto d’accusa senza precedenti all’Unione e uncolpo mortale all’alleanza con le ali estreme che ha resoobbligatorio proprio un programma vago) smonta pezzodopo pezzo la credibilità del governo. Ne compromette illavoro, lo rappresenta indirettamente come un morto checammina. È per questo che intorno alla sua figura si è rac-colto un grande entusiasmo da parte della base, ma unaenorme freddezza – per non dire ostilità – da parte degliesponenti politici che tanto hanno lavorato per la nascitadel Pd (vedi Fassino) e che ora assistono impotenti alla lorodefenestrazione.

L’abilità di Veltroni è stata fenomenale, come fenome-nale è il suo modo di nascondere tutti i problemi (cosa checapita anche con la guida di Roma), con la compiacenza deimezzi di informazione che si guardano bene dal verificarese egli sia o meno in grado di ottenere risultati. Veltroni èconsiderato bravo perché si chiama Veltroni, non per altro.Perché è l’unica speranza di sopravvivenza del centrosini-stra, altrimenti destinato a passare molti anni all’opposizio-ne (dopo il desolante spettacolo offerto dal governo perprima cosa ai suoi elettori). Senza di lui ci sarebbe il vuoto,il nulla. Prima ha fatto lavorare e accapigliare i suoi com-pagni d’avventura, poi li ha fatti accartocciare sui risultatidel governo e sul magro bottino delle elezioni amministra-tive, quindi ha dimostrato la litigiosità di protagonisti e

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Introduzione

comprimari del nascituro Pd. Infine, come un coniglio dalcappello del prestigiatore, è uscito con lui, spazzando via leambizioni di tutti gli altri.

Per comprendere meglio la portata di ciò che ha fattoRocco-Veltroni ai suoi fratelli bisogna partire da lontano,dal giorno dopo le Primarie e dall’esaltazione – suicida allaprova dei fatti – di quanti in questi due anni si sono riem-piti la bocca di quello strano animale chiamato PartitoDemocratico. In realtà un pasticciaccio brutto. Leggere percredere.

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PD: il Partito della Discordiacon le parole dei protagonisti

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primi passiLa data di concepimento del Partito Democratico èuniversalmente considerata il 16 ottobre 2005, giornoin cui le Primarie indicarono in Romano Prodi il can-didato premier del centrosinistra da contrapporre a Sil-vio Berlusconi nella corsa per palazzo Chigi. Entusia-

smati da circa 4 milioni di elettori, gli uomini del centrosi-nistra hanno pensato che se davvero tanta gente si eramessa in fila per le Primarie, questo popolo doveva purmeritare un partito unico.

Questo ragionamento stride però con la realtà dei fatti.Primo: sono davvero in pochi quelli che credono al fattoche siano stati effettivamente 4 milioni i votanti. E la recen-tissima decisione di non rendere pubblici gli elenchi diquanti hanno votato alle Primarie (in occasione del voto perdesignare il leader del Pd, previsto per il 14 di ottobre) hacontribuito ad alimentare i sospetti. Secondo: i simpatiz-zanti di sinistra nel corso di questi anni sono stati costrettia subire numerosissimi cambiamenti d’identità. Basta scor-rere l’elenco per rendersi conto che l’entusiasmo degliesponenti politici può non essere lo stesso dei loro sosteni-tori, abituati a vedersi spiattellati sotto il naso nomi comePci, Pds, Ds, Cosa 1, Cosa 2, Ulivo, Ulivo transnazionale,Unione e via inventando. Non a caso, all’indomani dellePrimarie proprio il quotidiano “il Riformista” chiede a

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PD: il Partito della Discordia con le parole dei protagonisti

Prodi di non cedere alla tentazione di farsorbire agli elettori una minestra riscaldata.A “fatti nuovi”, scrive il giornale, non sirisponde “con fatti di dieci anni fa”, cioècon il ritorno dell’Ulivo, “bensì con unanuova grande formazione: il partito riformi-sta. Questo nuovo partito si può chiamarlo riformista, comenoi lo chiamavamo, o democratico, come vorrebbe chia-marlo Rutelli. L’importante è che sia il partito dei riformi-sti italiani e che sia nuovo”.

Ed è proprio Rutelli il principale sponsor del partitounico del centrosinistra.

Il lancio promozionale di Rutelli trova molti entusiasti-ci commenti, adesioni preventive senza neanche sapere ilprogetto politico che avrebbe dovuto avere il Pd: l’impor-tante è cambiare. Per la prima volta, nella politica italianaalcune forze politiche decidono di dar vita a un contenito-re, chi c’è c’è, per poi mettersi intorno ad un tavolo per sta-bilire il contenuto, cioè il manifesto politi-co, quello ideologico e i valori cui sidovrebbe ispirare il Pd. E fra i commentato-ri, in pochi si pongono il problema dell’as-soluta anomalia di un percorso che decidedi intraprendere la sinistra cosiddetta rifor-mista senza verificare almeno i punti di convergenza fra ivari partiti che si vanno a fondere, a parte l’unico collantenoto: l’antiberlusconismo.

Il Partito Democratico ha tutta l’aria di un’operazioned’immagine più che di sostanza. E infatti, quando si va allasostanza i nodi, non pochi, vengono al pettine fin da subito.

Come sempre, la Melandri è la prima a salire sul carrodel Pd, con la stessa fretta che quasi un anno dopo l’avreb-be fatta catapultare sul bus scoperto della nazionale di cal-cio campione del mondo in trionfo per le vie di Roma,quasi avesse tirato lei il rigore decisivo. Ma se alcuni espo-nenti della sinistra si fanno prendere da facili entusiasmi, ipiù saggi, le vecchie volpi già si cominciano a mettere inguardia dai rischi. “Attenzione – avverte Emanuele Maca-

Il PartitoDemocratico ha tutta l’ariadi un’operazioned’immagine piùche di sostanza

È Rutelli il principalesponsordel partitounico delcentrosinistra

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PD: il Partito della Discordia con le parole dei protagonisti

luso dalle pagine del Riformista – una lettura sbagliata delvoto dato da tanti elettori di centrosinistra alle primarie, esegnatamente di quello a Prodi, può trasformare un succes-so in un boomerang. (...) Prodi è stato votato come leaderche si è contrapposto e dovrà contrapporsi al Cavaliere.Trarre dalle Primarie indicazioni su progetti politici chedovrebbero sfociare in nuovi partiti, e più precisamente nelPartito Democratico, significa aprire una discussione cheporterà solo danni”. Il timore, più che fondato, è che il Pdprovocherà la perdita della tradizione socialista italiana e lacaduta anche della parola sinistra. Non a caso, anche Gavi-no Angius usa la prudenza: “È un tema di tale portata e di

tale rilevanza che anche la Margherita lodovrà discutere bene, mica soltanto noi. Èmateria di congressi straordinari. Lo dicoperché siamo in presenza di una propostache assomiglia più a una suggestione e a un

obiettivo di lontana portata”. E se per Castagnetti quella di Rutelli rappresenta una

“svoltona”, Mastella raffredda gli animi e spiega che “sonoanni che se ne parla”. Il fatto è che le resistenze non sonopoche e si manifestano fin da subito. Fra i più contrari c’èCesare Salvi, esponente della sinistra radicale dei Ds.“Credo che tutti i Ds dovrebbero dire di no (al Pd, ndA). Ecomunque certamente una parte dei Ds dirà di no. Quelloche colpisce è l’estrema vaghezza delle ragioni per le qualisi dovrebbe andare in questo senso. Non è serio questoPaese in cui nascono e muoiono partiti a seconda di comecambiano le leggi elettorali, a seconda che si facciano leelezioni primarie oppure no, a seconda che Prodi esprimauna certa preferenza oppure l’altra”. Sordi alle obiezioni dipersonaggi autorevoli della sinistra, Prodi e Parisi spingo-no sull’acceleratore. Cossiga avverte che mai i Ds si faran-no ingabbiare fuori dalla tradizione socialista e si dice con-vinto che saranno loro ad inghiottire la Margherita. Annu-sata l’aria che tira, il diessino Angius propone “una mora-toria” sul Pd, un rinvio a dopo le elezioni. Adesso “ci atten-de uno scontro durissimo con la Cdl”.

Le resistenzenon sono poche

e si manifestanofin da subito

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Quindi è meglio evitare lacerazioni interne, dannose inchiave elettorale, a dimostrazione che il percorso verso ilPd sarà duro e accidentato, e provocherà liti, scismi eroventi polemiche. Un no netto al Pd arriva infatti fin dasubito (siamo al 21 di ottobre, appena quattro giorni dopola vittoria di Prodi alle Primarie) dalla sinistra Ds, che parlasenza mezzi di termini di potenziale “dissolvimento dellasinistra in un soggetto moderato”. Fra i più accaniti avver-sari c’è Fabio Mussi.

Per questo Prodi, invita a fare “un passo alla volta”.Anche perché le voci contrarie aumentano a dismisura.Peppino Caldarola parla per esempio del pericolo di imboc-care una “scorciatoia” che rischia di condurre a un “ses-santottismo di signori attempati che porta il treno da nessu-na parte”. Un treno sul quale molti non vogliono salire, mache attrae anche tante anime del centrosinistra che magariDs e Margherita non vedono di buon occhio. Per esempioAntonio Di Pietro, che chiede di fare parte della grandefamiglia del Pd.

Ma la grande famiglia del Pd dove si collocherà? Al cen-tro? Oppure sotto le ampie e avvolgenti fronde del Partitosocialista europeo? Dario Franceschiniintravede il pericolo paventato da Cossiga emette subito in chiaro: “È evidente che laprospettiva di un grande partito democrati-co italiano non può essere dentro il partitosocialista, per la semplice ragione che noi nella Margheri-ta, Prodi e molti milioni di elettori sono riformisti ma nonappartengono al filone socialista. Che è importante, rispet-tabile, ma che non rappresenta tutti”. Come una mannaiaarriva anche il giudizio di Bertinotti, che in realtà fotogra-fa alla perfezione lo stato dell’arte e dà la sua interpreta-zione, autentica, alle liti che stanno lacerando la Quercia: “IDs galleggiano, li vedo in grande difficoltà, non possonoaccettare un’operazione di segno moderato. E se lo fanno,si spaccano”. Più evidente di così...

Ricapitolando, non sono passati che dieci giorni dallavittoria di Prodi alle Primarie ed è bastato che Rutelli lan-

Ma la grandefamiglia del Pd dove si collocherà?

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ciasse la proposta del Pd per spaccare letteralmente in duela sinistra e dimostrare in modo lampante tutta la sua liti-giosità. Ecco la carta d’identità di chi vorrebbe fare un par-tito unitario: in lite già quando la proposta è ancora inembrione. Litigano i Ds fra loro (moderati da una parte,massimalisti dall’altra), litigano fra diessini e margheritini,con i secondi spaventati e contrari alla prospettiva che il Pdvenga divorato dai Ds e finisca sotto le insegne del Pse,come auspicato da Fassino in un’intervista quanto mai sui-cida, in grado di far saltare tutti gli esponenti della Mar-gherita sulla sedia e di mettere a rischio fin dalla sua par-tenza il progetto del Partito Democratico.

E Fassino lanciò il sasso: il Pd deve stare nel PseIn una lettera a Repubblica il segretario diessino spiega

che l’Ulivo “non può essere solo un accordo elettorale.L’Ulivo deve essere un progetto politico”, ma un progettoche affinché “sia credibile” preveda anche i “passi succes-sivi”, non solo cercando di creare i gruppi unici di Camerae Senato ma anche con un occhio all’Europa. “La scelta deipartiti dell’Ulivo deve essere quella di non abbandonareciascuno i rispettivi campi, ma di operare nella propria

famiglia politica perché – così come in Ita-lia con l’Ulivo – anche in Europa i riformi-sti si incontrino e realizzino una crescenteconvergenza e un’azione comune”. E seFassino invita tutti i partiti a restare nel loro

alveo ideologico, nella stessa lettera a Repubblica egli facapire che i Ds hanno tutta l’intenzione di divorare la Mar-gherita.

È vero che il segretario della Quercia cerca di infioretta-re il suo discorso, di rendere meno indolore il colpo per icentristi di sinistra, di mascherarlo da percorso logico, male sue parole lasciano davvero poco spazio ai dubbi. Fassi-no sostiene che “si può anche affrontare con equilibrio ilrapporto tra Ulivo e appartenenze europee dei partiti tenen-do conto di almeno tre fatti: 1) dopo che il Ppe si è trasfor-mato da partito dei democristiani a partito dei conservatori,

Fassino invitatutti i partiti a

restare nel loroalveo ideologico

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forze riformiste di ispirazione cristiana sono in via di ripo-sizionamento; 2) il Pse e tutti i suoi partiti hanno avviatoriflessioni coraggiose su come rinnovare il modello socialeeuropeo e l’esperienza del welfare socialdemocratico; 3)sempre più spesso si realizzano – sia nel Parlamento euro-peo, sia in coalizioni di governo – convergenze tra sociali-sti, liberaldemocratici, popolari progressisti, verdi che ini-ziano a configurare anche in Europa un campo di centrosi-nistra”.

Un messaggio fin troppo chiaro: l’approdo naturale inEuropa del Pd è verso il Pse, la Margherita se ne convinca,perché piaccia o meno siamo tutti socialisti europei. Apriticielo. Tutte le diffidenze mal sopite esplo-dono con una violenza inaudita. La compat-tezza della sinistra contro Berlusconi sisgretola e mostra tutta la sua debolezza nonappena si affrontano le beghe interne all’U-nione (si fa per dire), e siamo ancora adottobre, a sei mesi dalle elezioni. “Prendia-mo atto che i Ds stanno bene nel Pse”,osserva Beppe Fioroni. Rutelli è infuriato, etutti i suoi non ci stanno assolutamente alla prospettiva difinire sottomessi.

Nella Margherita sono consapevoli, perché avvienesenza esclusione di colpi e sotto gli occhi di tutti, dellaguerra intestina ai Ds, fra coloro che vogliono conservarel’identità di sinistra quasi estrema, più vicina a Rifondazio-ne che al centro, e quanti invece si dichiarano e si sentonoriformisti, quindi ideologicamente più vicini alla sinistraDc che a Verdi, Pdci e Prc. Rutelli e compagni sanno beneche per evitare scissioni nella Quercia saranno costretti adun compromesso e l’approdo nel Pse lo può ben rappresen-tare. Ma il compromesso interno all’ex Pci di certo non vabene agli uomini della Margherita, a parte coloro il cuicuore batte molto più a sinistra della tessera. Per dare unsegno dello scontro interno ai Ds basta sentir parlare FabioMussi, secondo il quale il progetto del Pd “è un compro-messo storico fuori tempo, che renderà più difficile garan-

La compattezzadella sinistracontroBerlusconi si sgretola non appena si affrontano le beghe interneall’Unione

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tire la tenuta di una coalizione plurale qual è l’Unione. Suquesto c’è disaccordo (con la linea di Fassino, ndA) chenon voglio radicalizzare la che non può essere nascosto”.Anche Cesare Salvi è critico. Apre all’eventualità di unalista unitaria alla Camera per le elezioni del 2006 ma dicedi fermarsi qui: “Non forziamo oltre ciò che è giusto”.

Una simile resa dei conti interna ai Ds non può passareinosservata ai più. Ma se gli osservatori neutrali la registra-no come un fatto di cronaca, coloro che nel progetto sonocoinvolti e interessati non possono derubricare la lite a unabanale faida interna. Ciò che succede nella Quercia, infatti,non potrà che ripercuotersi sul costituendo Partito Demo-

cratico. Per questo motivo, il muro contromuro si trasforma da contrapposizione inte-stina ai Ds a contrapposizione fra Ds e Mar-gherita. E nel partito di Rutelli capisconoche l’esito della lite all’ombra della Querciaavrà ripercussioni sul Pd. Gianni Vernetti,coordinatore regionale della Margherita(oggi sottosegretario agli Esteri), è emble-

matico: “La Margherita ha indicato la prospettiva del Parti-to Democratico per trovare un percorso comune fra le tra-dizioni liberaldemocratiche, cattoliche e socialiste. Pur-troppo registriamo poco coraggio e troppa diffidenza daparte dei Ds ad incamminarsi sul serio verso strade nuove.Faremo solo un accordo elettorale”.

Dietro alle dichiarazioni di facciata, più improntate amarcare una posizione mantenendo però un buon rapportocon i Ds, il clima interno alla Margherita è pesante. Il par-tito è diviso fra rutelliani e parisiani. Questi ultimi minac-ciano sfracelli e annunciano la fuoriuscita dal partito poi-ché il primo avrebbe portato avanti una gestione diciamocosì padronale del partito. Ma ci sono le elezioni alle portee nessuno si può permettere di dare un’immagine anchesolo sfilacciata del centrosinistra e di ogni singolo partito.Così, il 22 novembre 2005, si svolge un’infuocata riunionedell’ufficio di presidenza della Margherita con un dupliceobiettivo: chiudere le polemiche con i Ds e mettere la paro-

Il muro contro muro

si trasforma dacontrapposizioneintestina ai Ds acontrapposizione

fra Ds eMargherita

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la fine anche ai dissidi interni di quanti sono margheritinifuori ma molto più rossi dentro, rinviando ogni resa deiconti al e dopo voto. Willer Bordon riconosce la mancatarisoluzione dei problemi e afferma che la decisione comu-ne è posticipare qualsiasi problema. Prima si vincono leelezioni, ingannando gli elettori con un’immagine di fintacompattezza del centrosinistra, poi si risolvono le beghe.

Il ciclone De BenedettiSe Rutelli viene considerato colui che ha indicato nelle

Primarie la data di inizio del percorso verso il PartitoDemocratico, Carlo De Benedetti è l’uomo che attraverso ilsuo quotidiano, La Repubblica, ha inventa-to, promosso e spinto il Pd verso la suanascita, al punto che per opinione comune èa lui che verrà data la tessera numero 1 delnuovo partito. Tutti, ma proprio tutti, consi-derano De Benedetti l’ispiratore. E tuttipendono dalle sue labbra, dal momento cheavendo egli nelle sue mani uno strumentofondamentale quale la stampa di sinistra, econsiderato il fatto che l’appoggio dei gior-nalisti può decretare il successo di un’iniziativa se essisono autorevoli e stimati, così come l’ostilità può sancirneil fallimento, nessuno ha dubbi sulla santità politica di DeBenedetti. Così, quando il 2 dicembre (appena una settima-na dopo la tregua), viene intervistato sul Corriere dellaSera, le sue parole sconvolgono il quadro politico di sini-stra, fanno prendere un colpo a Prodi, che si sente papadesignato prima ancora di entrare in conclave, e fanno sghi-gnazzare il centrodestra.

Intervenendo nel dibattito sulla leadership del Pd DeBenedetti è liquidatorio: “Spero che Prodi si occuperà piùdi governare che di organizzare la politica. Deve compor-tarsi da amministratore straordinario di un Paese in diffi-coltà”. Come dire: pensi a governare perché finita la legis-latura 2006-2011 lo mandiamo in pensione. E infatti, nellastessa intervista l’imprenditore incorona Veltroni come lea-

Carlo De Benedetti è l’uomo che attraversoLa Repubblicaha inventato,promosso e spinto il Pd verso lasua nascita

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der del futuro e Rutelli come altro giovanedi valore. Con ciò preannunciando la pen-sione a tutti gli altri che si stavano impe-gnando con Prodi: Fassino e D’Alemasopra a tutti. Proprio D’Alema replica inmodo acido all’ingegnere: “Di De Benedet-ti non ho parlato, non voluto polemizzare

con nessuno e ognuno può dire ciò che vuole. Ogni cittadi-no può esprimere il suo parere, siamo in uno stato libero”.

Ma De Benedetti non è un cittadino come tanti. D’Ale-ma lo sa bene. E infatti, tra le righe, non manca la sua rispo-sta sulla leadership: “Siamo in battaglia (campagna eletto-rale, ndA), ognuno deve stare al suo pezzo. Non è che siindicano leadership così. Di un Partito Democratico che sideve fare e che avrà un momento democratico per decide-re le leadership e allora ci sarà spazio per tutti”. Con ciò,D’Alema cerca di rimettere al centro la candidatura diProdi e Fassino, forse pensando più che altro a se stesso,ma la tregua è ormai un ricordo. Anche Mauro Fabris, por-tavoce dell’Udeur, giudica troppo “a lungo termine” iragionamenti di Carlo De Benedetti. Sono i primi segnali didiffidenza, che poi porteranno Mastella a chiamarsi fuori,riducendo i partiti fondatori del Pd a due soli: Ds e Mar-gherita. Ma all’interno degli stessi Ds le diverse anime ren-dono difficile il percorso e certa l’eventualità che la Quer-cia perderà non pochi pezzi per strada. Cesare Salvi, peresempio, alla prospettiva che il Pd sia quello descritto daDe Benedetti, un contenitore moderato e riformista, dicesubito no: “Ci si chiede di cambiare i nostri valori e se ilPartito Democratico è questo io dico no grazie”.

Qualcun altro, invece, spinge per essere presente, purincontrando non poca diffidenza: Antonio Di Pietro. “Noi –dice – non facciamo né ricatti né ultimatum ma vogliamosolo sapere le modalità con le quali dobbiamo partecipare,vogliamo fare parte del progetto e Prodi e i leader dei par-titi maggiori hanno detto che vogliono costruire un proget-to di Partito Democratico. Allora: ci vogliono o no?”

Il problema, a quanto pare, riguarda l’affidabilità di

L’imprenditoreincorona

Veltroni comeleader

del futuro eRutelli comealtro giovane

di valore

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quanti aspirano ad entrare nel Pd. E in moltisi interrogano se Di Pietro rischia, con isuoi comportamenti, di far implodere il pro-getto o se è davvero sincero e voglioso difare un percorso comune. Diffidenze non dapoco, anche perché i problemi non riguar-dano solo quanti aderiscono, il contenuto o il contenitore.Ci sono valori, soprattutto nelle fila dei Ds, che molti nonvogliono perdere e che vedono a rischio con il Pd.

Il 19 dicembre, per esempio, Cesare Salvi lancia undurissimo attacco all’indirizzo di Rutelli, che a più ripreseaveva parlato di questione morale e di estremismi dannosiper un progetto davvero moderato: “La sinistra nasce con isindacati e le cooperative. È un rapporto antico e non c’è davergognarsene. Rutelli lo vuole mettere in discussione?Rutelli vuole recidere le radici storiche della sinistra. Leaccuse della Margherita sono un’operazione strumentale;usano l’arma del Partito Democratico per sradicare la sini-stra. Rutelli vuole eliminare la sinistra per accreditarsicome leader del Partito Democratico. Io sono contro il Par-tito Democratico, per me è come il ponte sullo Stretto diMessina: se ne parla da 15 anni ma non si farà mai”. MaSalvi ne ha anche per il suo segretario: “Cosa deve fareFassino? Chiarire le zone d’ombra e reagire a questa offen-siva squadernata alla luce del sole. Come si può fare unpartito con chi ti prende a calci nel ventre?” Forse ladomanda andrebbe cambiata: come si può fare un partitocomposto di gente così diversa e che litiga così tanto?

Il caso Unipol“Allora, abbiamo una banca?” Queste

parole, pronunciate da Fassino al telefonocon Consorte, presidente di Unipol e prota-gonista della scalata Bnl, intercettate dai magistrati e pub-blicate dal Giornale, aprono uno scontro violentissimoall’interno della sinistra e travolgono inevitabilmente ancheil dibattito in corso per il Pd. È il 3 gennaio del 2006. L’ec-cessivo tifo del segretario diessino viene contestato dura-

Il problemariguardal’affidabilità di quantiaspirano adentrare nel Pd

“Allora,abbiamo una banca?”

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mente da esponenti della Margherita, che già sei mesiprima avevano sollevato la questione morale diessina.

Le accuse arrivano però anche dall’interno. MassimoCacciari è velenoso: “Il problema drammatico di oggi nonè tanto che ci siano politici che abbiano rapporti con ladimensione degli affari. Il problema è che non ci sono poli-tici. Il problema non è una crisi morale. Parlare di questio-ne morale è un modo sbagliatissimo di impostare il proble-ma. È la questione politica che conta: c’è un vuoto di pro-gettualità politica spaventoso, e da molti anni”. Un’offensi-va niente male contro i suoi compagni di partito.

L’atmosfera si va via via sempre più irrespirabile. Ilsocialista Borselli fiuta l’aria: “Se le riflessioni critiche suirapporti tra affari e politica sono benvenute, necessarie epositive, deve però essere chiaro che sulle macerie dei par-titi radicati nella storia del Paese, non se ne creano di nuovie migliori, e men che meno si arriva a fondare un nuovopartito Democratico, ma si apre la porta solo alla demago-gia e al plebiscitarismo”.

Dopo tre giorni di attacchi, i Ds perdono la pazienza.Anna Finocchiaro avverte: “Senza i Ds il Partito Democra-tico non esiste, senza i Ds non si governa l’Italia. Il Pd èuna cosa ancora lontana. I tempi sono lunghi e le vicendedi oggi dimostrano che abbiamo ancora da lavorare”. Fran-co Marini chiarisce: “Non c’è nessuna ragione per tornareindietro dalla lista dell’Ulivo e dalla strada che porta al Par-tito Democratico. Noi siamo leali”.

Interviene perfino Prodi: “Milioni di italiane e di italia-ni ci chiedono di decidere adesso, di procedere subito eovunque alla costruzione del Partito Democratico”. Non lapensa allo stesso modo Mussi: “Io sono contrario. Pensoanzi che il modo equivoco e confuso in cui sta procedendoquesta ipotesi del Partito Democratico sia una delle causedegli errori che commettono i Ds”. Mussi chiede un con-gresso per decidere una svolta così decisa. Ma Salvi vaoltre e considera “di pessimo gusto da parte di Prodi eRutelli rilanciare questo tema del Partito Democratico”. Magli stessi Ds sono spaccati, visto che D’Alema avverte:

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“Guai a fare passi indietro sul processo unitario che porte-rà alla nascita della lista dell’Ulivo e un processo costi-tuente perché il progetto di un partito unitario che ruotaintorno a Romano Prodi e che ha l’obiettivo di ridaregovernabilità al Paese non deve essere abbandonato”.

È lo stesso Professore, tuttavia, a capire che in soli duemesi molte cose sono cambiate. “Purtroppo lo spirito delleprimarie sembra essere stato rapidamentedimenticato. Insieme dobbiamo ritrovarequello slancio”. Intanto, però, Prodi sta cer-cando di presentarsi alle elezioni con unalista tutta sua. E dalla reazione si compren-de bene quanto egli sia visto solo come tra-ghettatore per sconfiggere Berlusconi econsiderato scomodo se prova a trovareforza in un partito intestato a lui. Lo voglio-no, insomma, con le spalle scoperte, inmodo da poterlo sacrificare al momento opportuno. Non acaso Vannino Chiti afferma: “Se nascesse una lista Prodi luinon sarebbe più il leader di riferimento del più grandeschieramento del centrosinistra.

Dunque se qualcuno pensasse ad un’iniziativa simile,credo che il primo ad infuriarsi sarebbe proprio Prodi”. Unadichiarazione abilissima, un messaggio al Professore, uninvito a non fare scherzi. Lo stesso invito arriva dalla Mar-gherita. Marini avvisa Prodi: “Chi accelera troppo rischiadi andare a sbattere”. L’interessato, a questo punto, deveingoiare il rospo. Ma fa sapere dal suo entourage, senza maiaprire bocca, che non gradisce la posizione di Dl e Ds,come non apprezza il fatto che i due partiti interpretino l’i-dea di Prodi di farsi una sua lista come un modo per rac-cattare qualche seggio in più. Ma il Professore, com’è suocostume, minaccia, forte dei sondaggi che dopo il casoUnipol danno in crescita la Cdl. Non si può continuare alitigare su partito Democratico sì-partito Democratico no,fa sapere, perché le elezioni non sono affatto vinte e biso-gna prima di ogni cosa pensare a quella data, poi ci si puòdedicare al resto. “Non si può andare avanti – lascia trape-

“Purtroppo lo spirito delle primariesembra essere statorapidamentedimenticato.Insiemedobbiamoritrovare quello slancio”

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lare un prodiano doc – in situazione di turbolenza con ilpilota automatico innestato tre mesi fa”.

Prodi imputa ai due maggiori partiti della coalizione dicontinuare a discutere di leadership e candidature del Pd,come se il voto sia solo una formalità e nonostante i son-daggi abbiano improvvisamente cambiato direzione. Al

professore viene attribuita una battuta perdescrivere la situazione: “Io pedalo e lorodecidono”. Pronta la replica di Fassino:

“Caso mai abbiamo pedalato insieme ed una buona provadel pedalare sono state le primarie”. E mentre lo scontro siinfuoca, le uniche parole ufficiali di Prodi sono: “Nulla puòturbare la mia serenità”.

In realtà, ogni occasione è buona per arrivare a scontri,litigi, dispettucci. Di fronte alla diffidenza della Margheri-ta, Piero Fassino chiede che venga riconosciuta la “genero-sità” dei Ds e nega la voracità della Quercia o la voglia diannientare le velleità della Margherita. Ma la questione nonè solo di leadership o di posti, è ideologica. E Boselli, per

quanto chiamatosi fuori dal progetto, aiprimi di febbraio non ci mette molto a farlonotare: ”Non ci convince proprio un PartitoDemocratico che fa affiorare una sorta diasse tra il clericalismo dei seguaci del car-dinale Ruini, e il giustizialismo dei simpa-tizzanti del dottor D’Ambrosio (ex capo

della Procura di Milano, candidato e poi eletto in Senatonelle file dei Ds, ndA). Emerge così del tutto chiaro che ilprogetto del Partito Democratico, così come si sta definen-do, è ben lontano dal quel big bang tra diversi riformismiche ricorrentemente viene evocato da Arturo Parisi e daMichele Salvati e che, lo ribadiamo, ci trova d’accordo.Assomiglia molto di più ad un compromesso tra due parti-ti che insieme, invece di rinnovarsi, sono istintivamenteattratti a riconfermare le proprie identità e quindi ad essereincapaci di produrre una forza politica davvero nuova”.Punto sul vivo, Castagnetti (Dl) replica a stretto giro diposta: “Spiace che Boselli si attardi su polemiche inesi-

Il progetto del Partito

Democratico è ben lontanodal big bang

tra diversiriformismi

“Io pedalo eloro decidono”

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stenti e inconsistenti solo per giustificare un progetto poli-tico che rispettiamo anche se ci desta qualche preoccupa-zione. Il Pd sarà un partito pluralista con tre culture di rife-rimento: la socialdemocratica, la cattolico-democratica e laliberal-democratica. Non sarà un partito clericale, ma nep-pure laicista e anticlericale”. Al momento, tuttavia, il parti-to non esiste, è solo un abbozzo e dalle prime avvisaglie siha solo la certezza che sarà un partito litigioso.

Nasce la cabina di regiaUfficialmente sarà utilizzata per organizzare la campa-

gna elettorale, ma lo champagne che gira ha tutta un’altramotivazione: la cabina di regia di piazza Santi Apostolipotrebbe accompagnare Ds e Margherita fino all’appunta-mento con il Partito Democratico. “Auguri all’Ulivo”, esul-tano felici Prodi, Rutelli e Fassino, mettendo per un giornoda parte le diatribe e le contraddizioni di un progetto che almomento appare solo di facciata.

Ma cosa accade intorno a Ds e Dl? Polemiche, accuse,distinguo. Luciana Sbarbati, dei Repubblicani europei, pro-testa contro i comportamenti dei partitimaggiori, che avrebbero ridotto l’Ulivo adun “cartello elettorale a due Ds e Dl” e inuna lettera aperta agli elettori ulivisti chiede“se è possibile estrometterci senza motivoalcuno dall’Ulivo e dal futuro PartitoDemocratico”. Dal segretario confederaledella Cisl, Savino Pezzotta (poi sostituito daBonanni) arriva un avvertimento non dapoco: “Sento discutere di nuovo Partito democratico. Sonointeressato, ma sono preso da strani pensieri perché misembra che sia forte il rischio che questo progetto vengavoluto, gestito e agitato da poche persone e che poi possa-no trionfare gli ‘ottimati’ o i nuovi ‘illuminati’ di una ragio-ne riservata a pochi”.

Le parole del leader sindacale potrebbero essere relega-te come semplice giudizio di un osservatore quasi neutrale,se non intervenisse Castagnetti: “Condivido la preoccupa-

La cabina diregia di piazzaSanti ApostolipotrebbeaccompagnareDs e Margheritafino all’appun-tamento con il PartitoDemocratico

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zione del segretario confederale della Cisl. Il Pd deve esse-re radicato nel Paese e soprattutto populista. Il rischio delleoligarchie c’è sempre”. Insomma, un marasma.

Proprio per la confusione che regna sovrana, fanno unpo’ sorridere le parole di Veltroni, il 22 febbraio del 2006:“Oggi siamo insieme e oggi il sogno di molti di noi è ilsogno di vedere l’unità delle diverse culture e componentiriformiste italiane”. Un sogno appunto, visto il clima nelcentrosinistra. E infatti Mastella è assai dubbioso: “Del Pdnon si vede ancora né carrozzeria né motore. Non vorrei –aggiunge – che ci fosse una lotta per decidere chi guideràun eventuale Partito Democratico, perché si rischia di farloprima di disporre di una carrozzeria adeguata. A volte silitiga di più per stabilire chi guida che per costruire carroz-zeria e motore. Personalmente non vedo né carrozzeria némotore, né pistoni che girino al punto giusto”. Più che altro,a molti del centrosinistra girano le scatole anche solo allaprospettiva di vedersi inglobati in un unico scatolone privosia dell’identità dei Ds sia dell’identità della Margherita.

Ha un bel dire, D’Alema, che “bisogna vincere la paura”che un partito divori l’altro. C’è una diffidenza estesa, cheproprio non riesce a passare inosservata. A scadenze benprecise Prodi prova a farsi coraggio. Anche il 26 marzo, apochi giorni dalle elezioni, il Professore assicura: “Se vin-ciamo vedremo il Partito Democratico”.

Vince la sinistra, ma quanti dubbi e quanta pauraSi aspettavano un trionfo, una passeggiata. E annuncia-

vano l’imminente nascita del Pd certi di avere tutto il tempoper partorirlo mentre il governo navigava intutta tranquillità, forte di numeri schiaccian-ti alla Camera e al Senato. Non è stato così.Prima di tutto sulle elezioni aleggia concre-to il dubbio di brogli. Al Senato infatti (ilcui spoglio è avvenuto per primo) il centro-destra ha vinto di 250mila voti e solo i sena-tori eletti all’estero danno un esile vantag-gio numerico al centrosinistra.

Si aspettavanoun trionfo

mentre il governo

navigava fortedi numeri

schiaccianti alla Camera e al Senato.

Non è stato così

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Alla Camera vincerebbe l’Unione di soli 24mila voti.Ma ci sono numerosissimi dubbi, poiché la Cdl stava recu-perando e improvvisamente, quanto misteriosamente, uffi-cializzati i dati del Senato il recupero alla Camera si è bloc-cato. A ciò si aggiunge il crollo delle schede bianche pro-prio nelle regioni dove ancora era in corso lo spoglio, comese una manina misteriosa avesse messo un segno favorevo-le all’Unione nelle schede bianche ancora da scrutinare.Proprio quei 24mila voti, ottenuti chissà come, permettonoall’Unione, grazie al premio di maggioranza, di avere allaCamera un vantaggio poderoso di deputati. Diverso il dis-corso del Senato, che non prevedeva un premio di maggio-ranza su scala nazionale solo perché durante la predisposi-zione della legge elettorale il presidente della Repubblica,Carlo Azeglio Ciampi (che come senatore a vita poi sisarebbe caratterizzato per salvare sistematicamente e deci-sivamente il governo Prodi), si oppose attraverso i leguleidel Quirinale e costrinse il centrodestra a varare un premiodi maggioranza su scala regionale, arrivando al paradossoche vincendo in una regione grande come il Piemonte (tra-dizionalmente di destra) si aveva un premiodi maggioranza di poco superiore al premioche si otteneva in una regione piccola comel’Umbria (tradizionalmente di sinistra). Ilrisultato di questo capolavoro è che la sini-stra, nonostante soccombesse – e di molto – al Senato, siritrova con due senatori di vantaggio (senza contare i sena-tori a vita, quasi tutti eletti da Ciampi e quasi tutti salvato-ri del governo Prodi ad ogni voto di fiducia).

L’altro risultato, diluito nel tempo, è l’impossibilità digovernare con un vantaggio così esiguo. Prodi ci provauguale, ma non è la stessa cosa. Di certo il governo nonveleggia tranquillo e sicuro, schiavo com’è degli sbalzid’umore della sinistra estrema, di Di Pietro e di Mastella. Ilgoverno, giorno dopo giorno, crolla nei sondaggi per via diuna politica delle tasse, più tutta una serie di provvedimen-ti pretesi dalla sinistra estrema sotto la minaccia della sfi-ducia. È con questa prospettiva che Prodi l’11 aprile, fresco

L’impossibilitàdi governarecon unvantaggio così esiguo

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di vittoria (si fa per dire) elettorale, cerca di farsi forza difronte allo sfacelo di un trionfo annunciato e non avvenuto.Fa tenerezza quando con il volto sudato di chi l’ha scam-pata per un pelo (chissà cosa sarebbe successo se avesseperso, lui che era considerato il salvatore della Patria)prova a darsi un tono e a metterla in positivo: “Beh, certo,l’indicazione degli elettori è chiarissima (beato lui, ndA):l’Ulivo è piaciuto (beato lui un’altra volta, ndA) e gli elet-tori lo hanno premiato (chissà cosa sarebbe successo se l’a-vessero punito... ndA). Credo che la mia linea politica, l’u-nica sulla quale ho lavorato nella mia vita, sia stata pre-miata. Questo mi ha fatto molto piacere”.

Resta l’interrogativo di come faccia ilProfessore a sentirsi vincitore dopo che hapreso in mano un centrosinistra in vantaggiodi almeno 5 punti percentuali sul centrode-stra e che ha di fatto perso le elezioni,riuscendo ad ottenere la maggioranza solograzie a dubbi mai chiariti. In realtà lui èconsiderato lo sconfitto morale, mentre ilvincitore morale è Berlusconi. Ma Prodi fafinta di non saperlo, di certo si guarda benedal dirlo, anche se persino i muri lo sanno e

dà il via all’accelerazione verso il Partito Democratico.“Abbiamo bisogno di un grande motore – invita – che puònascere entro un anno, quando avremo un gruppo parla-mentare unico”.

Anche Rutelli, come Prodi, spinge per avere sia allaCamera che al Senato un gruppo unico. Tutti esultano.Tutti? Non proprio. Alla prospettiva c’è più di un mal dipancia. “Pur esprimendo una contrarietà – avverte FabioMussi – ho dichiarato di aderire al gruppo dell’Ulivo ecredo che possiamo partire con spirito unitario per impegnie nelle responsabilità che ci attendono. I partiti – spiegaMussi, chiarendo il suo pensiero – in genere producono igruppi parlamentari, qui invece si propone un gruppo par-lamentare che dovrebbe produrre un partito politico. Nonsono convinto di questa prospettiva di creare un partito che

Restal’interrogativodi come faccia

il Professore a sentirsi

vincitore dopoche ha preso in mano un

centrosinistrache ha di fatto

perso le elezioni

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nasce dallo scioglimento di Ds e Margherita e mi interessamolto di più discutere sui contenuti, sui sistemi valoriali, ifondamenti, la collocazione internazionale e il destino dellasinistra italiana”.

Il leader designato del Pd, cioè Prodi, traballaÈ il 21 maggio 2006 quando per la prima volta viene

ipotizzato che possa non essere Romano Prodi il leader delPartito Democratico. E non è detto che la risicatissima vit-toria alle elezioni non abbia provocato un’accelerazione diquesto processo di destituzione. Il primo passo avviene perbocca niente di meno che di Piero Fassino che intervistatoda Lucia Annunziata commenta la proposta di FilippoAndreatta di ricorrere alle primarie per selezionare la futu-ra classe dirigente dell’Ulivo. “Il capo dell’Ulivo – spiegail segretario Ds – non sarà scelto in unastanza da 10 segretari di partiti, questo nonaccadrà. Penso che sia bene trovare unaforma di partecipazione democratica perscegliere la guida”.

Secca la replica di Rutelli. “Il leader delPartito Democratico – avverte – c’è già: èProdi, che ha già vinto le primarie”. A quelpunto Fassino, evidentemente preoccupato dalla fuga inavanti, affida al suo portavoce una precisazione: “Chiunqueabbia assistito all’intervista ha capito benissimo che nessunomette in discussione che il leader dell’Ulivo è RomanoProdi. Più semplicemente, ad una domanda della Annunzia-ta su come saranno scelti i futuri dirigenti del Partito Demo-cratico, Piero Fassino ha risposto che si adotteranno forme dipartecipazione ed elezione democratica sulla base della posi-tiva esperienza delle primarie”. L’incidente rientra ma per laprima volta qualcuno ha detto, o qualcun altro ha volutointerpretare in tal senso, che non è detto sarà Prodi il leaderdel Pd, che anzi dovranno sceglierlo gli elettori del centrosi-nistra. Come un tappo di champagne, l’argomento, cheprima sembrava tabù, comincia ad essere affrontato, si dis-cute, se ne parla. E non è detto che sia un bene... per Prodi.

Per la primavolta vieneipotizzato che possa nonessere RomanoProdi il leaderdel PartitoDemocratico

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In effetti, rotto il ghiaccio si comincia ad ipotizzare cheal posto del Professore possa essere designato qualcunaltro. “In questa fase – spiega Massimo Cacciari – è deltutto logico che, se vuole, sia Prodi il leader del nuovo Par-tito Democratico. Poi, al secondo congresso si sceglierà ilsegretario, come avviene in tutte le forze politiche e sullabase di quello che sarà lo statuto del nuovo partito”. Comedire, il leader è Prodi, ma solo per ora. Fulvia Bandoli,esperta conoscitrice della politica, capisce bene che sedovesse cominciarsi la discussione dal leader si rischia larissa. “Ci vorrebbe saggezza – avverte – nell’affrontare untema come quello della costruzione di un nuovo partito

politico: soprattutto quando questo proces-so presuppone lo scioglimento di due parti-ti esistenti (Ds e Margherita) con tradizionie culture politiche assai diverse. Comincia-

re dalla definizione dei leaders di questo ‘ipotetico’ nuovopartito significa cominciare dal fondo e non dall’inizio”.

Il dibattito, tuttavia, è ormai avviato e Prodi a questopunto è spaventato. Chiti assurge a difensore d’ufficio. “Illeader del Partito Democratico è Romano Prodi che, inquanto tale, è anche presidente del Consiglio. Ma quandosceglierà di non esserlo più i suoi successori saranno sceltidalle primarie”. Chiti crede di aver tagliato la testa al toro,ma non è così. Mussi, da sempre diffidente, per usare uneufemismo, sul Pd sposta ancora di più l’asticella: “In tuttoil mondo se si fanno dei partiti i leader del partito si eleg-gono ai congressi mentre per le cariche pubbliche si fannole primarie. Temo ci sia in giro un po’ di confusione”.

Se Mussi la prende con ironia, Salvi è più secco. “Tra letante ragioni per essere contrari all’ipotizzato Partito Demo-cratico – spiega – se ne aggiunge una che emerge con sem-pre maggiore evidenza dal giorno successivo alle elezioni: iltema del contendere sembra sempre più essere solo quellodella leadership, cioè chi comanderà nel futuro ipotizzatopartito unico”. Anche Massimo D’Alema concorda: “Nellacostruzione del Pd l’organigramma viene alla fine perché separtiamo dall’organigramma rischiamo di non arrivare”.

Il leaderè Prodi, ma solo per ora

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Davanti a questo scenario così contrad-dittorio e con tanti dissidi, non pochi intra-vedono parecchi problemi e ostacoli nelcammino del Pd verso la sua realizzazione.“La costruzione del Pd entro la primaveradel 2007 come ipotizzato da D’Alema –osserva Peppino Caldarola – è un auspiciopiù che un’ipotesi realistica, perché non sose un anno basta per compiere un processo così complesso.Le questioni da risolvere ci sono e per questo avrei menofretta”.

Prodi cerca di scippare De BenedettiLa tessera numero 1 è sempre stata universalmente rico-

nosciuta come proprietà esclusiva di Carlo De Benedetti, ilpadrino del Pd, lo sponsor, colui che con i mezzi di infor-mazione ha spinto per la nascita di questo nuovo partito,creando il consenso e il sostegno di elettori e simpatizzan-ti. Ma quando a Prodi viene chiesto se prenderà per sé latessera numero 1 del Partito Democratico, risponde affer-mativamente: “Ma certo, la tessera numero 1 è già in pre-parazione”. Non sa, il meschino, che invece in preparazio-ne è il progetto di fregarlo proprio da parte di De Benedet-ti, che punta su Veltroni, non fa nulla per nasconderlo e unanno più tardi lo sostituirà senza troppi problemi propriocon il sindaco di Roma.

L’aria, in sostanza, è densa di diffidenza e sospetto. E adun diessino solitamente leale come Carlo Leoni non sfuggeil pericolo. “Confermo il mio stupore – afferma – oltre cheil mio disappunto per il modo con il quale sta procedendola discussione, nel gruppo dirigente dell’Ulivo, sulla pro-spettiva del cosiddetto Partito Democratico. Tanta improv-visazione nel parlare del Pd non può che produrre guai enuove divisioni nel campo della sinistra. I vertici devonoavere il coraggio di fermarsi e chiedere ai propri iscritticome la pensano”.

Roberto Manzione, senatore della Margherita, ha dubbianaloghi e attacca Ds e Dl per il modo in cui pensano di

Non pochiintravedonoparecchiproblemi e ostacoli nel camminodel Pd verso la suarealizzazione

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realizzare il Pd come un’operazione solo divertice. “Non è questa la strada giusta... sicoglie con tutta evidenza l’ansia di chi vaavanti non per scelta autenticamente consa-pevole, ma piuttosto perché avverte che,dietro, il terreno sta franando”. Non a caso,

i dissidenti diessini Angius e Mussi, continuano ad invoca-re un congresso, spiegando che solo così si può realizzarela cancellazione dal panorama politico dei Ds per fondersiinsieme con i Dl nel Pd.

Fassino insiste: il Pd in Europa deve stare nel PsePer il segretario dei Ds è un amaro destino quello di rila-

sciare dichiarazioni destinate a provocare un terremoto frai futuri componenti del Pd (non ultima la proposta di fare leprimarie per designare il leader). Il guaio è che è recidivo,visto che già una volta Fassino aveva invitato a fare inmodo che il Partito Democratico venisse accolto nellagrande famiglia del Pse, non calcolando l’idiosincrasiadella Margherita per una prospettiva del genere. “Non èindifferente, insiste Fassino il 30 giugno del 2006 – dove sicollocherà il Pd a livello internazionale. Se dico: guardatedove sono i riformisti in Europa e scoprirete che stanno inprimo luogo nella grande famiglia politica socialista esocialdemocratica. Quindi il nuovo partito, che nasce sullaconfluenza di diverse culture, non potrà fare a meno diindividuare le forme con cui avere un rapporto con quella

famiglia”. A Carlo Leoni non va bene quanto affer-

ma il segretario Ds, ma solo perché è trop-po morbido: “Fassino dice una cosa giusta,cioè che il riformismo europeo si riconosce

nel Pse ma non dice che il nuovo partito deve far parte diquella formazione. Bisogna essere più netti, se il riformi-smo si riconosce nel Pse, il nuovo partito deve stare lìanche perché il diktat della Margherita è puramente ideolo-gico perché l’internazionale socialista già oggi comprendepartiti che sono forze democratiche e progressiste”.

I dissidentidiessini Angius

e Mussi,continuano ad invocare

un congresso

“se il riformismosi riconosce

nel Pse, ilnuovo partitodeve stare lì”

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Leoni sa bene che se non si spinge verso un chiaro col-locamento a sinistra del nuovo partito, i Ds perderanno unafetta non indifferente di nostalgici. A cominciare da FabioMussi, che insiste: “Se in tempi certi nascerà il PartitoDemocratico, quello non potrà essere il mio, il nostro par-tito. Si prenda atto che il progetto di una fusione tra Ds eMargherita non ce la fa ad affermarsi, che non c’è lo spaziostorico di un partito unico. Si dichiari un’esplicita correzio-ne di una rotta politica”.

La diffidenza, tuttavia, non appartiene solo alla sinistraDs. Anche tra i Dl c’è chi non appare del tutto convinto.Gerardo Bianco considera il Pd “un progetto senza unavera prospettiva strategica, funzionale ad un bipolarismoanomalo e irrazionale, quindi destinato a naufragare comesoggetto politico originale e nuovo o ad aggrapparsi adun’opaca socialdemocrazia con la ciliegina di qualche cat-tolico-democratico e liberale”.

Nicola Mancino ha altri sospetti: “L’idea di un partitocapace di mettere insieme l’esperienza cattolico-democra-tica e il patrimonio culturale del riformismo di sinistra nonpuò essere ridotta a convenienza di potere”. Di fronte aquesta gragnuola di colpi alla credibilità del progetto, Prodiinvoca di fare presto: “Se non andiamo ad un passo velocerischiamo di cadere. Se ci si ferma, riprendere il camminosarà impossibile”.

Sono troppi i bocconi amari che via via i rappresentan-ti più autorevoli di Ds e Margherita sono costretti adinghiottire. Meglio procedere senza pensarci troppo, per-ché altrimenti tutti si renderanno conto dei pericoli insitinel progetto, considerato da molti come una mera opera-zione di potere, destinata a provocare più attriti che bene-fici.

Il fatto è che il nervosismo dilaga. Gad Lerner, giornali-sta e fondatore dell’associazione per il Partito Democrati-co, si rivolge al più che riluttante Mussi: “Vorrei ricordar-gli pacatamente che non solo senza l’Ulivo non sarebbeministro, ma anche che ora minaccia scissioni e non lo hafatto quando accettò la candidatura per l’Ulivo nella circo-

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scrizione della Liguria”. Parole che vanno oltre la semplicedialettica politica. Così, un altro titubante, Leoni, replicasecco: “Il vertice dei Ds batta un colpo. Siamo già alle listedi proscrizione; via dal governo”, dice Gad Lerner a Mussi,“chi non è d’accordo con il Partito Democratico. Cosa pen-sano di questa intimazione i dirigenti dei Ds? Mi auguroche battano un colpo a difesa del diritto di essere iscritti emilitanti di voler discutere prima di essere sciolti da GadLerner e dai suoi amici”. Giorgio Merlo, della Margherita,torna su argomento assai dibattuto. “Che il Pd – osserva –rappresenti l’orizzonte politico dell’Ulivo è un impegnosufficientemente noto per essere disatteso. Ma il nuovosoggetto politico non può procedere a colpi di imposizionielitarie o giacobine in virtù di una legittimazione astratta etutta politologia, perché il Pd può decollare gradualmentesolo nel pieno rispetto delle procedure democratiche”.

Prodi vede nero e rilanciaIl presidente del Consiglio, davanti a una bufera così

intensa e incessante di critiche dall’interno al Pd, di discus-sioni sulla leadership, sulla collocazione europea, su chiingoia chi, su quanti vogliono scindersi e fondare un altropartito ancora, decide di rompere gli indugi e, com’è suocostume, spara alto. “Il nuovo – avvisa il 4 luglio – non sicostruisce con il bilancino, pensando ad ogni affetto eforma, ma con la fede in se stessi e la mente rivolta ai pro-blemi dell’Italia. Le difficoltà sono enormi, ma non devonospaventarci ma spronarci”.

L’avanti tutta di Prodi, com’era prevedi-bile, lascia le cose come stanno. Chi non èconvinto del progetto resta con tutti i suoidubbi. Chi ci credere scalpita ancora di piùper fare presto. Angius e Violante dicono no

a “operazioni oligarchiche” di semplice fusione tra due par-titi. Caldarola è ancora più scettico: “Siamo di fronte aduna nuova accelerata, ancora una volta sulle date e non suicontenuti, ancora una volta senza tenere conto della discus-sione interna ai Ds né di una questione centrale per i Ds,

L’avanti tuttadi Prodi lascia

le cose come stanno

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che è l’affiliazione al Pse. Con tutte queste disattenzioni èmolto difficile che il Pd si farà”.

Caldarola invita addirittura Prodi a tenersi un po’ fuori“in questa fase istruttoria”. Ancora più pesante il giudiziodi “Velina Rossa”, la nota politica di Pasquale Laurito vici-na a D’Alema: “L’appello di Prodi sulla velocità ci sembrainnaturale, senza calcolare i gravi danni che crea nei parti-ti dell’Ulivo. È necessario che un’automobile per vincereuna gara sia completa, e che soprattutto abbia buonegomme. È una lezione, questa, che ci viene perfino da ungrande pilota come Schumacher. Ora noi ci domandiamo: inuovi schumacher della politica, Prodi, Parisi e Rutelli,hanno almeno l’intelligenza dei meccanici Ferrari? In pro-posito abbiamo molte riserve”.

Non è solo Velina Rossa ad avere riserve. LanfrancoTurci, della Rosa nel pugno, analizza la situazione: “Il pro-getto del Partito democratico si è ridotto a oggetto di chiac-chiera politica usata come arma contundente dentro e fraDs e Margherita. Il Pd è sempre più lontano dall’agendapolitica effettiva, è stata abbandonata la ricerca di un suopossibile profilo culturale”. E Mussi insiste, perché temeche “questo tentativo produrrà una instabilità politica per-ché aumenterà il conflitto tra Ds e Margherita, dentro i Dse la Margherita, e accentuerà la competizione tra il Pd e ilresto della sinistra”.

Come un elefante in un negozio di cristallerie, PieroFassino, insensibile agli scossoni interni che arrivano, tornaad insistere sulla collocazione del Pd nel Pse, che equivalea gettare benzina sul fuoco. “Il futuro Partito Democratico– dice il 22 luglio – non può prescindere dalPse, perché ad esso fanno capo tutte le prin-cipali forze riformiste di tutti i paesi euro-pei”. Solo 24 ore prima Prodi, parlando delPd, aveva rilasciato un’intervista al Corrie-re della Sera dal titolo: “In Europa un parti-to socialista e democratico”. Già irritata dalle fughe inavanti di Fassino, la Margherita insorge e chiede chiari-menti, costringendo il portavoce di Prodi, Silvio Sircana, a

Piero Fassinotorna adinsistere sullacollocazione del Pd nel Pse

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smentire il titolo, spiegando che nell’inter-vista “non vi è alcuna indicazione né sceltadi campo sulla collocazione europea delPd”. Ma questo la dice lunga sulla diffiden-za e sul nervosismo che regnano all’interno

dei singoli partiti interessati al progetto del nuovo partito.Ed è per questo motivo che Rutelli preferisce tornare sul-l’argomento, proprio perché non ci siano dubbi: “Il Pd nonsarà inglobato nel Pse ma sarà un suo alleato. Spero che iDs colgano l’opportunità, del resto si chiamano Democra-tici di sinistra, non socialisti democratici italiani”.

Passano pochi giorni e il 3 agosto Rutelli va ancora piùpesante, sostenendo in un’intervista all’Espresso che senzail Partito Democratico il governo Prodi rischierebbe di cade-re, che Prodi è il leader solo per il momento e che in futurosaranno in campo sette od otto dirigenti. “Ecco di nuovo ilgioco del cerino”, commenta un autorevole esponente deiDs che preferisce rimanere anonimo. E tra gli esponentidella Quercia sono in molti, proprio per non essere conside-rati colpevoli di inasprire gli animi, a parlare solo dietro lagaranzia dell’anonimato. Alcuni preferiscono non aprire“una polemica con Rutelli proprio il giorno in cui comin-ciano le vacanze”. Altri sono convinti che “l’obiettivo delpresidente della Margherita sia quello di mettere in difficol-tà Fassino con le minoranze interne”. Altri ancora sostengo-no che Rutelli “voglia tenersi aperta la strada neocentrista seil progetto del Partito Democratico dovesse fallire”.

Tutti in seminarioA Orvieto viene organizzato un seminario per discutere

del Partito Democratico e mai sciopero di giornalisti fu piùbenedetto, perché si arriva all’appuntamento in ordine spar-so. Le divisioni sono profonde. Da una parte ci sono i Ds,che rischiano addirittura di subire una doppia scissione. Dauna parte c’è la sinistra del partito legata a Mussi, Salvi eFulvia Bandoli, che addirittura non ci saranno, hanno deci-so di disertare il seminario e si preparano a marcare visitaanche nel costituendo Partito Democratico addirittura

Rutelli: “Il Pd non sarà

inglobato nelPse ma sarà

un suo alleato”

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costituendo alla Camera e al Senato gruppiparlamentari diversi. Dall’altra c’è il grup-po dei dalemiani: Angius, Caldarola e Gian-ni Cuperlo, che non si considera ancora fuo-riuscito ma scalpita parecchio. “Alle condi-zioni date – avverte Caldarola – ritengo didover dire fin da ora che il progetto attualedel Partito Democratico non mi riguarderà: dopo Orvietobisognerà trovare un momento di discussione per rilancia-re l’idea di una formazione socialista e liberale”. Più omeno stesso clima si respira nella Margherita. Un gruppo didirigenti, di cui fa parte Dario Franceschini, non nascondeuna certa distanza da Rutelli. Anche lui, come altri ex ppi,hanno preceduto l’appuntamento di Orvietocon un’altra riunione a Chianciano, riunio-ne che è parsa di netta ostilità a Rutelli e didissenso con la sua linea.

È con questa atmosfera che si arriva adOrvieto. I lavori si aprono con la relazione choc di Salva-tore Vassallo, professore prodiano e molto vicino a Parisi,secondo il quale i partiti dovrebbero prima sciogliersi e poii loro rappresentanti dovrebbero entrare singolarmente nelnuovo partito dove varrà il principio: “Una testa, un voto”.Un principio democratico che viene osteggiato da molti. Acominciare da Castagnetti, che spiega: “I voti almeno inquesta fase di transizione non si contano ma si pesano”,altrimenti verrebbe meno la garanzia di una pari dignità trale culture più piccole rispetto alla solida Quercia. Ancorapiù netto D’Alema: “Non c’è un’ora in cui tutto si scioglie,tutti vanno al gazebo e nasce il Partito democratico. C’è unprocesso e non c’è solo un appello alla società civile, maanche la necessità di guidare un processo”.

Ovviamente, a far rumore sono gli assenti da Orvieto.Leoni è convinto che “da Orvieto non vengono le risposteattese non solo dalla sinistra Ds, ma da larga parte degliiscritti della Quercia. I temi della laicità e della collocazio-ne europea e internazionale del nuovo soggetto politicorimangono nodi irrisolti. Il congresso dei Ds è sempre più

Le divisionisono profonde.Da una parte ci sono i Ds,dall’altra c’è il gruppodei dalemiani

Più o menostesso clima si respira nellaMargherita

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urgente e necessario”. Dunque, mentre Fas-sino si propone di portare nel Pd tutti i Ds,nessuno escluso, la sinistra del suo partito sichiama fuori. Salvi avverte: “Siamo semprepiù lontani, questo Partito Democraticorischia di essere un mero assemblaggio Ds-Margherita, che rischia di ricordare l’espe-

rienza del vecchio Psu, Partito socialista unificato”. AncheMussi appare perfettamente in linea. “Il seminario – spiega– ha confermato la mia contrarietà. Il Partito Democraticoè un grande comitato elettorale, ma le cose fondate così nonhanno durata”. La minoranza diessina lamenta che la stra-da imboccata cancelli aspetti essenziali “come l’identità, lacollocazione internazionale, i valori fondativi”. Infine Cal-darola: “L’incontro di Orvieto doveva essere un seminarioe invece è uscito dal seminato dando una sorta di road map.Se ci sarà una mozione Fassino-D’Alema io non la firmo.La formula plebiscitaria che si vorrebbe adottare rompecon l’idea del partito-comunità e distrugge l’organizzazio-ne dei partiti che hanno un forte radicamento di massa”.

Il compleanno amaro delle primarieRomano Prodi cerca di festeggiarlo senza polemiche e, se

possibile, cercando di venire incontro ai sempre più riottosirappresentanti della sinistra Ds. Il Professore ribadisce che ilPartito Democratico non nascerà “calato dall’alto”. Ma ognipartito ha non pochi grattacapi per mettere tutti d’accordo esedare i numerosissimi malumori. Massimo D’Alema siappella all’ala minoritaria del partito: “Se nascendo il partitoperderà una componente, sarà un impoverimento”. IntantoRifondazione comunista aspetta a braccia aperte gli annun-

ciati scissionisti. Si difende sostenendo che ilsuo partito non fomenta fughe, ma tant’è... sequalcuno arriva...

Il fatto è che all’interno della Margheritai problemi non sono da meno. La lottariguarda la scomparsa delle tessere deglielettori delle primarie e le tessere della Mar-

“da Orvietonon vengono lerisposte attesenon solo dalla

sinistra Ds, mada larga parte

degli iscrittidella Quercia”

Il Professoreribadisce

che il PartitoDemocraticonon nascerà

“calatodall’alto”

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gherita in soprannumero rispetto ai votanti. Rutelli ha chie-sto un chiarimento al responsabile del tesseramento Salva-tore Ladu. Del caso si è occupata addirittura “Striscia lanotizia” e ciò al presidente della Margherita non fa affattopiacere. “Con grande clamore – scrive Rutelli – “Striscia lanotizia” ha raccolto le segnalazioni di alcuni cittadini chehanno ricevuto una tessera della Margherita pur non aven-do aderito. Se si trattasse di casi di raccolta di adesioniall’insaputa delle persone coinvolte sarebbe una cosa assaigrave e che comporterebbe forse violazioni di legge e vio-lazioni della privacy vista la trasmissione di dati anagraficiriservati”. La vicenda provoca tensioni e si addensano nubiperfino su Franco Marini, che all’epocadelle primarie era a capo della commissionedi garanzia. In difesa di Marini intervieneBeppe Fioroni che parla di polemica “stru-mentale” e spiega che il presidente del Senato “vedeva rap-presentata tutta la pluralità della Margherita”. Ma le pole-miche non si placano. Ci mancava anche questa tegola sulgià pericolante tetto del Pd.

Per di più non manca chi infierisce. “Sono preoccupato,molto preoccupato”, avverte Willer Bordon. “Quello chesta accadendo nella Margherita – prosegue – con il rincor-rersi di iniziative di parte sollecitate e sostenute anche dasettori del gruppo dirigente con la forzatura di identitàseparate e contrapposte, rischia di far saltare la nostra espe-rienza. A questo, si assomma la vicenda preoccupante deltesseramento, sulla quale è necessario fare rapidamentepiena luce. Così si arriva presto al livello di guardia. Vogliosperare che nei prossimi giorni vi sia la capacità di ritrova-re quella saggezza politica e quella convinzione profondache ci ha portato a fondare la Margherita, a farla crescere ediventare indispensabile nella costruzione del PartitoDemocratico”.

Sembra quasi commovente la disperazione con cui Bor-don invoca un’inversione di rotta. E ancor più commoven-te è l’appello portato avanti dai Ds per convincere Mussi adesistere dalla scissione. “Non è una questione di mozione

Ma lepolemiche non si placano

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degli affetti – si giustifica l’interessato – anch’io vogliobene ai compagni, ma non condivido le scelte che vannocompiendo in merito all’istituzione del Partito Democrati-co”. Certo che uno che chiama “compagni” coloro chestanno confluendo nel Pd è davvero fuori posto, anche se sirealizzasse l’aspirazione di Fassino di finire poi nel Pse.Mussi il comunismo ce l’ha nel sangue e siamo certi chegià gli vada stretto il marchio dei Ds senza più riferimential Partito comunista, figuriamoci una nuova formazionepolitica che inevitabilmente è destinata a spostarsi ancorapiù al centro.

Se poi succede che intervengano a pie’ pari anche i teo-dem della Margherita Enzo Carra e Paola Binetti a dire che“il comunismo è stato sconfitto dalla storia” e che “qual-siasi ipotesi di approdo tardivo al Pse sarebbe per noi cat-tolici del tutto inimmaginabile”, allora si capisce bene qualidifficoltà abbia il Pd nel suo sviluppo. Anche perché l’i-stinto pavloviano dei diessini scatta anche questa volta,nelle vesti di Anna Finocchiaro: “Con chi sbandiera così lapropria identità come lo costruiamo un nuovo soggetto”. Ladomanda è: è nato prima l’uovo o la gallina? Sono statiprima i Ds o la Margherita a sbandierare la sua identità?

Il Pd? Manca il leader, secondo RepubblicaIn questo quadro non si può tacere il siluro che arriva dal

quotidiano “La Repubblica”, che pubblica un sondaggiosecondo il quale solo il 35% degli elettori vuole la nascitadel Pd, mentre per il 54% il vecchio Ulivo basta e avanza,forse perché stanchi di questa girandola di cambiamenti disigle degli ultimi anni. Ma quel che è più grave è la spie-gazione che il sondaggista Nicola Piepoli dà ai risultati del-

l’indagine demoscopia: “Il Partito Demo-cratico non fa sognare perché manca il lea-der. Dalle nostre ricerche emerge la richie-sta dalla base di una figura di grande cari-sma, più quarantenne che cinquantenne,capace di parlare di futuro”. Una botta nien-te male per le aspirazioni di Romano Prodi.

“La Repubblica”pubblica

un sondaggiosecondo il quale

solo il 35%degli elettori

vuole la nascitadel Pd

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Ma come in tutti gli incontri di pugilato i colpi non arri-vano mai da soli. Esiste l’uno-due. E il due arriva da Fran-co Debenedetti, fratello della tessera numero 1 del Pd edautorevole esponente della sinistra. “La posizione di Prodi– scrive sul Riformista – è viziata da un’ambiguità struttu-rale” per il fatto che invece di essere il capo di un partitoche si era candidato a guidare il governo, si trova ad essereun capo di governo che promuove la costituzione di un par-tito. “Di regola – osserva – la direzione è quella che va dalpartito al governo, qui invece va dal governo al partito.Questa inversione produce importanti conseguenze”. Inprimo luogo “gli orizzonti temporali di un governo o addi-rittura di una finanziaria prevalgono sullanecessità di un progetto che richiede tempoperché comporta un radicale cambiamentoin partiti protagonisti per 60 anni di politi-ca”. Come dire: il rallentamento sulla viadel Pd sarebbe colpa di Prodi, che ovvia-mente pensa alle avventure, anzi alle disav-venture (infinite) del suo governo. In secondo luogo – pro-segue Debenedetti – “si crea confusione sugli obiettivipolitici perché il partito deve elaborare e custodire il pro-getto, mentre il governo è fondamentalmente amministra-zione dello Stato, responsabile di un patto con i cittadini. Ilrisultato della contiguità – è la conclusione si Debenedetti– è di fare apparire sovrapposti i due ruoli, identiche le cul-ture politiche dei progetti e le carature politiche dei sogget-ti, del governo che avremo per una legislatura e del partitoche avremo per una generazione”.

Si riunisce la Quercia e si va ai materassiIn attesa di novembre, quando gli scissionisti dei Ds si

ritroveranno in conclave per contarsi e stabilire le strategiedel futuro, molti di essi guardano negli occhi Fassino nelcorso della Direzione diessina. “Un nuovo secolo ha biso-gno di un partito nuovo”. È il messaggio che Fassino vuoledare. Un messaggio che molti non vogliono cogliere.Com’è noto, Fabio Mussi invoca il congresso straordinario

Il rallentamentosulla via del Pdsarebbe colpadi Prodi, che pensa alledisavventuredel suo governo

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per decidere la nascita del Pd e chiedeanche “regole rigorose”. Ma molto più sec-camente si oppone alla chiusura del partito:“Sono loro che si sciolgono, non noi che cene andiamo”. “È necessario – avverte – unnuovo socialismo, dobbiamo andare oltrema non indietro e fuori dalla storia delsocialismo”. E nel Pd “mancano rispostechiare sui valori, sull’identità, sulla colloca-zione europea”. Neanche Salvi è tenero:

“Le conclusioni di Fassino sono deludenti e il dissensoresta molto serio. La cosa migliore da fare è andare al piùpresto possibile ad un congresso in modo che gli iscrittipossano scegliere tra proposte alternative. Sulla questionedel socialismo europeo, continuano gli artifici retorici cheeludono la questione vera: se questo partito aderirà o no alPse. Questa tesi, un po’ presuntuosa, che dovremmo anda-re a spiegare ai socialdemocratici europei che devono farecon noi non ha alcun riscontro in Europa”. A dimostrazio-ne del clima che regna in casa Ds, basta leggere la rispo-staccia di Fassino a Salvi: “Tutti in Europa mi hanno chie-sto come va il progetto, nessuno mi ha chiesto cosa nepensa Salvi”.

Ma la vera botta, inaspettata, arriva da Luciano Violan-te, che a sorpresa suggerisce: “Non si possono sciogliere ipartiti prima di sapere dove si va a finire. A mio avviso unpatto federativo nella parte iniziale può servire a risolveretutti i nodi. Ci dobbiamo rendere conto che non c’è ancoraun entusiasmo trascinante e quindi bisogna avviare un’ope-ra di persuasione che tenga conto di obiezioni e dubbi”.Alleluia, qualcuno si è accorto che il pargolo del Pd rischiadi nascere già morto.

Pse o non Pse?Per non sapere né leggere né scrivere, facendo finta che

una parte del dibattito tra Ds e Margherita è incentrato pro-prio sull’eventualità o meno di entrare nel Pse, il presiden-te del Partito socialista europeo, Poul Nyrup Rasmussen,

La cosamigliore da fareè andare al piùpresto possibile

ad un congressoin modo

che gli iscrittipossano

scegliere traproposte

alternative

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benedice il nascituro Pd: “L’Ulivo è di fon-damentale importanza per l’Italia e perl’Europa. Trasformarlo da coalizione a Par-tito Democratico è un segnale politico alta-mente rilevante”. A quanto pare, il via libe-ra del Pse non era affatto scontato. Scontatesono invece le divaricazioni di pensiero tra Ds e Margheri-ta. Gianni Vernetti della Margherita non si pone il proble-ma: “Non fa parte della nostra agenda politica un’ipotesi disemplice ristrutturazione o allargamento del Partito sociali-sta europeo. Non siamo interessati a confluire nel Pse, poi-ché il progetto della Margherita e del Pde è molto più ambi-zioso”. Secondo il diessino Leoni “su questo problema,assolutamente cruciale nell’era della globalizzazione e del-l’integrazione europea, regna nel gruppo dirigente dell’Uli-vo una confusione di non poco conto”.

Ma su una cosa è convinto Rutelli, pur preoccupato dallecrescenti obiezioni: “Se non nasce il Partito Democraticocade il governo. Cade per cedimento strutturale. Senza ilPartito Democratico viene a mancare nella politica italianail fondamentale riferimento modernizzatore e riformistico.Non possiamo passare la vita a distinguerci da Mastella edalla Bonino, da Di Pietro e da Diliberto. Manca un bari-centro che rappresenta 10 milioni di voti. Se riparte la com-petizione tra Ds e Margherita le tensioni saranno cento voltepiù forti di quelle tra Di Pietro e Mastella per l’indulto”.

Restando in tema di paragoni, il più originale appartienea Caldarola: “Com’è noto io credo che all’Italia serva unmoderno partito socialista italiano, parte della famigliaeuropea, mentre continuo a considerare il Partito Democra-tico un oggetto misterioso. Un Ufo si aggira per l’Europa”.

Il successivo giudizio è peggiore del precedente: “Duesconfitte storiche, l’ex Pci e l’ex Dc, non fanno una vittoriafutura, avverte Caldarola. E Mussi invita a non perdere illanternino: “Che tutti si augurino il successo del centrosi-nistra e dell’Ulivo in Italia è ragionevole, ma il problema èun altro: a quali famiglie europee e mondiali appartengonoi partiti, Ds e Partito Democratico, e quali siano le identità

Il presidente del Partitosocialistaeuropeobenedice ilnascituro Pd

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nelle nazioni di appartenenza dei partiti politici. Quando cisi mette per strada bisogna sapere dove si sta andando,altrimenti ci si perde”.

Di fronte a tante distinzioni, Pierluigi Bersani, solita-mente riservato e taciturno, ma solo per quello che riguar-da il Pd, ed esclusivamente per evitare di essere trascinatonel vortice delle polemiche, alla fine ritrova la parola conuna delle sue immancabili iperboli: “O si va a messa o sista a casa. È necessaria un’operazione politica generosa,per formare una nuova classe dirigente. Nel mondo non esi-ste un Paese che abbia un governo con 11 formazioni poli-tiche all’interno. Spesso i partiti, invece di risolvere i pro-blemi di casa li scaricano sull’azione di governo. Stiamofacendo miracoli, ma non possiamo sempre farli”. Chedetto in parole povere: non tirate troppo la corda, altrimen-ti questa si spezza e se avviene non solo naufraga il PartitoDemocratico ma l’intero centrosinistra, già devastato dalmagro risultato elettorale e dalla tragica gestione di unanno e mezzo di governo.

Ma Mussi riporta Bersani sulla terra: “Il futuro dellasinistra non è dentro il Partito Democratico.È impensabile che la sinistra possa guarda-re al suo futuro priva di un grande partito disinistra di ispirazione socialista. È una biz-zarria”. Almeno qualcuno, nei Ds, si rendeconto che essendo la situazione già com-plessa, non si deve assolutamente peggiora-re il tutto affrontando il tema del colloca-mento o meno nel Pse. Ne è convinta Anna

Finocchiaro: “Affermare oggi che il Partito Democratico infuturo entrerà o meno nel Pse equivale a rendere semprepiù complicata la nascita del Partito Democratico stesso.Queste continue dichiarazioni che si affastellano sulleagenzie di stampa servono solo a creare tensione e confu-sione”.

Come se non avesse parlato nessuno lo scontro conti-nua. Walter Veltroni, considerato uno dei massimi sponsordel Pd, richiamandosi allo spirito originario del nuovo par-

Qualcuno, neiDs, si rende

conto che non sideve peggiorare

il tuttoaffrontando il

tema delcollocamento o

meno nel Pse

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tito, avvisa i naviganti: “Se il gioco è solo la somma Ds-Dl,il Partito Democratico non c’entra niente. Questa è unafederazione, ma allora conviene chiamare le cose con illoro nome”.

Un’analisi lucida? Niente affatto, per Dario Franceschi-ni “nel centrosinistra abbiamo una malattia collettiva cheabbiamo ereditato dalla tradizione della sinistra italiana.Una malattia che io, per molti anni, ho guardato all’ester-no. Si chiama autolesionismo. Ad Orvieto ci siamo datiscadenze ben precise: stesura e approvazione della carta deivalori, quindi i percorsi congressuali di Ds e Margherita,infine la nascita del partito. Una rivoluzione. Se un anno faqualcuno avesse raccontato tutto questo a Veltroni, lui stes-so avrebbe detto: ‘non raccontatemi balle’”.Abbiamo trasmesso il conciliante dialogodel ticket, cioè tra il futuro leader del Pd,Veltroni, e il suo futuro vice, Franceschini.Se questa è l’unità che regna tra i capisqua-dra, figuriamoci cosa succederà nella squa-dra...

Non c’è peggior sordo...Anche se litigano e si guardano con diffidenza, i leader

che spingono per arrivare al Pd sono compatti nel tentativodi raggiungere l’obiettivo. Sanno bene quanti dubbi cisiano, quante scissioni potrebbero aversi nel caso si appro-di davvero al Partito Democratico. Davanti a loro avevanodue strade: confrontarsi o far finta di nulla. Quale via cre-dete abbiano imboccato, considerando che la prima sareb-be stata quella più logica, corretta e costruttiva? Ovvio, laseconda. “Rispetto al Partito Democratico – osserva Mussi– col passare dei giorni aumentano le domande ma si ridu-cono sempre più le risposte”.

Prodi: il Pd nel Pse, anzi no, beh, forse sìA dimostrazione delle parole di Mussi analizziamo una

giornata di ordinaria smentita. È il 7 novembre, siamo aBerlino. A metà mattina, presso l’hotel Estrell, Prodi ha

Se questa è l’unità cheregna tra icapisquadra,figuriamocicosa succederànella squadra...

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appena avuto un incontro con i dirigenti del Partito sociali-sta europeo. I giornalisti lo avvicinano e gli chiedono sel’approdo del Pd nel Pse possa ora considerarsi più vicino.Il Professore risponde secco: “No”. Poi aggiunge: “Quandoparlo di coordinamento ci sono molti modi per poterlo fare:le ipotesi sono molteplici e quindi non è assolutamente

detto quale sarà formalmente il punto d’ar-rivo”. Apriti cielo. La minoranza Ds parte atesta bassa, ma anche la maggioranza, silen-te pur se preoccupata da sempre, reagisce.“I Ds non possono accettare diktat da

Prodi”, sostengono esponenti come Leoni e Salvi. Maanche Caldarola, Angius e Brutti, firmatari di un documen-to che, oltre ad ipotizzare una federazione, non transigesulla presenza del Pd nella famiglia socialista, vanno sututte le furie. “Quella di Prodi – sottolinea Salvi – è unaposizione del tutto legittima con il pregio della chiarezza,ma a questo punto è urgente, indispensabile, inderogabileuna presa di posizione del segretario dei Ds, Piero Fassino,e del presidente dei Ds nonché vicepresidente del Consi-glio, Massimo D’Alema. Sono d’accordo oppure no con ilcapo riconosciuto del Partito Democratico? O, per caso,preferiscono la prassi del silenzio-assenso?”

Ma i commenti negativi non finiscono qui. L’intera sini-stra è in fibrillazione, al punto che – come sempre – deveintervenire il pontiere Silvio Sircana con la consueta preci-sazione. “Il presidente del Consiglio – afferma – non hadetto alcun no, se non all’ipotesi che oggi, negli incontri diBerlino, si sia trattato dell’adesione al nascituro PartitoDemocratico nel Pse”. Ma nella stessa precisazione, Sirca-na non dice che Prodi dice sì. Anzi: “La posizione più volteribadita dal presidente Prodi a proposito del dibattito sullacollocazione europea del Partito Democratico è nota datempo. Prodi ritiene prematuro aprire oggi questa discus-sione in quanto, anche in ragione dei riscontri con i tanticolloqui avuti con i leader europei, inclusi quelli di oggi inGermania, la sua opinione è che la nascita del PartitoDemocratico costituirà un evento di tale portata e di tale

“I Ds nonpossono

accettare diktatda Prodi”

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impatto da fungere da traino per nuove esperienze politichein Europa”. Come al solito, la lunghezza della precisazio-ne, e soprattutto la sua frase finale, insieme con il mancatosì all’ingresso del Pd nel Pse, invece di chiarire aumenta idubbi. La toppa è peggiore del buco. Einfatti, Valdo Spini è chiarissimo: “Nonbasta la pur lodevole precisazione di Sirca-na a dissipare la delusione e il disincantoper le dichiarazioni di Prodi”.

Valdo Spini, 24 ore dopo, spiega meglio il suo pensiero:“Sarebbe sorprendente se, per motivi italiani, ci si trovassein parallelo ai laburisti inglesi ad aprire una vertenza sulnome del Partito del socialismo europeo, per cercare disuperare le resistenze di Prodi e della Margherita a colloca-re nel Pse il futuro Partito Democratico. Credo che comeDs dovremmo prendere atto di quanto hanno affermato inquesti giorni (purtroppo in senso contrario) FrancescoRutelli e Romano Prodi e aprire una fase di serena rifles-sione interna sull’argomento. Invece, non vorrei che, persuperare queste resistenze, finissimo per mettere in diffi-coltà il movimento socialista europeo”.

Ma non solo soltanto le parole di Spini a confermare chedavvero in pochi credono alla precisazione di Sircana. Per dipiù i Dl reagiscono difendendo la linea di Prodi precedentealla precisazione. “L’importanza che i Ds danno alla collo-cazione internazionale nel Pse – rileva Castagnetti – è unretaggio ideologico, nel senso che nei partiti predecessori deiDs questo ancoraggio internazionalista era una dato dellaloro ideologia. La posizione espressa ieri da Prodi sul Pse èineccepibile. Se diamo vita ad un soggetto nuovo è evidenteche non si può entrare nella casa del socialismo. Prodi hafatto un ragionamento lapalissiano”. A stretto giro di posta,replica Chiti: “C’è un impegno da parte di Fassino, Rutelli eProdi per far apprezzare, a livello delle forze progressisteeuropee, l’importanza della costruzione del Partito Demo-cratico. Il Pd poi non può guardare solo all’Italia, l’Europa èfondamentale”. Chiti ricorda poi una lettera scritta da Giu-liano Amato e Massimo D’Alema in cui si chiedeva “un

La toppa è peggiore del buco

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allargamento” del Pse, cioè “una casa in cui ci sono progres-sisti, riformisti e anche liberaldemocratici”. “Quella – con-clude Chiti – è la nostra casa, mi auguro possa allargarsi”.

Di fronte a tante liti, furibonde, strattonate, che rischia-no di compromettere in partenza il progetto, Franco Mona-co chiede una fase di pacificazione: “Ci sono cento e unabuone ragioni nostrane per fare presto e bene il Pd. A cheserve dividersi ora sulla sua proiezione europea ricorrendoa opposte pregiudiziali, ad aut aut ideologici, a caricaturedell’altrui posizione? Una volta che avremo definito insie-me il suo profilo ideale e politico, misureremo affinità edifferenze nel panorama politico europeo e, perché no?,contribuiremo a una sua positiva evoluzione. Prima faccia-molo il Pd”. La cosa comica è che in questo marasma spun-ta l’anima candida di Luciana Sbarbati, segretaria delMovimento repubblicani europei, che in una lettera a Prodi

“riconosce il valore dei nomi proposti” perl’organizzazione del futuro partito ma “stig-matizza l’assenza di ogni riferimento anomi della cultura repubblicana e liberalde-mocratica. Il recinto oligarchico ‘Ds più Dl’ci fa chiedere ancora una volta con preoc-cupazione se il Pd vuole essere un progettoaperto allo sviluppo del consenso attorno aduna idea nuova, moderna, di cui anche noiRepubblicani europei siamo da sempre con-

vinti, oppure è chiuso nell’autosufficienza di un patto dipotere a due”. Certo che se anche la Sbarbati si mette a bat-tere i piedi, il Partito Democratico è fresco…

Ma la botta peggiore per Prodi e per la sua mancanza dichiarezza, arriva dal presidente dell’europarlamento, JosepBorrell, che lo incontra a Roma il 10 novembre a palazzoChigi. Borrell chiede al Professore: “Dove devo mettere iparlamentari (del Pd, ndA) nell’emiciclo?”. Ma la rispostadi Prodi non è certo illuminante. “Non è stata chiara, quin-di i falegnami dovranno aspettare ancora un po’. E se perProdi non è chiaro, figuratevi a me”.

Il Pd? Una tragedia per la sinistra italiana

La bottapeggiore

per Prodi e per la sua

mancanza di chiarezza,

arriva dalpresidentedell’euro-

parlamento

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È vero che l’affermazione arriva da Oliviero Diliberto,che certamente non può dirsi vicino al Partito Democratico,ma di certo riflette i sentimenti di una buona parte dellasinistra Ds. Il giudizio del segretario del Pdci è durissimo:“La nascita del Partito Democratico costi-tuisce la fine di quel travaglio che è stata lascomparsa del Pci e che è durato 15 anni.Per me è una tragedia. Egoisticamente,però, dico che nel momento stesso in cui Dse Margherita confluiranno in uno stesso partito, inevitabil-mente si libereranno energie. Credo che tutti coloro chenon entreranno nel Partito Democratico avranno bisogno diriconoscersi in un nuovo soggetto: mi riferisco ai Ds stan-chi, a Rifondazione, a noi stessi e a tante altre persone chesi sentono di sinistra. Perché con la nascita del PartitoDemocratico solo una cosa è vera: scompare la parola ‘sini-stra’ e la società italiana avrà bisogno di una forza di sini-stra nuova. Altrimenti saremo asfaltati”.

Sembra un intervento esterno, ma non è così. Dilibertosi veste da sirena e cerca di attrarre a sé tutti i delusi delprogetto di cancellazione diessina. Nella Quercia sonopreoccupati, il nervosismo dilaga. Al punto che il coordi-natore della segreteria nazionale del partito, MaurizioMigliavacca se la prende con Salvi invitandolo ad aver “piùrispetto del gruppo dirigente dei Ds”.“Come dimostra l’esperienza dell’Ulivo –dichiara – il progetto del Partito Democrati-co non significa una rinuncia alle idee dellasinistra, anzi, vuol dire dare un futuro piùefficace a tali idee, costruendo insieme allealtre culture riformiste una casa più grande”.

E in questa casa più grande il tentativo è di far entrareanche qualche altro partito per non dare la sgradevole sen-sazione, ormai diffusa, che il Pd sarà solo un’operazionedestinata alla fusione tra Ds e Dl. Il problema è che gli arte-fici del Partito Democratico trovano soltanto porte chiuse.Fassino prova disperatamente a rilanciare il progetto, soste-nuto anche da Massimo D’Alema, e lancia ami un po’ a

Il giudizio del segretariodel Pdci è durissimo

Nella Querciasonopreoccupati, il nervosismodilaga

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tutti, soprattutto ai socialisti. Ma anche daquelle parti l’accoglienza non è dellemigliori. Certo, ammette il segretario dies-sino, “fondare un nuovo partito non è comefriggere quattro uova”, ma le capacitàrichieste per la ricetta del Pd sono “determi-nazione, tenacia, capacità di costruzione epazienza”. Dalle risposte ottenute, tuttavia,più che friggere quattro uova Fassinorischia di fare una frittata. “Siamo interes-sati al confronto – spiega Enrico Boselli

(Sdi) ma al momento ci sono ostacoli evidenti che non sonostati rimossi. Il processo verso il Pd è una sorta di compro-messo storico bonsai”. Anche Bobo Craxi manda a dire che“è troppo tardi: “Apprezzo Fassino ma è complicato unirsiora, sulla base di un rapporto preferenziale tra Ds e Dl cheemargina proprio i socialisti; d’altronde qualsiasi dialogocon i Ds può avvenire solo nel campo socialista, e loro nonhanno risolto il nodo centrale della propria collocazioneeuropea”. Fassino, che parla anche di “interlocuzione” delPd con il Pse per evitare guai con la Margherita e tenersibuona l’ala sinistra dei Ds, incassa perfino l’ironia diMussi: “Si stanno incartando, il progetto sta morendoprima ancora di nascere”... “ma che vuol dire interlocuzio-ne? Che possiamo scrivergli?” Insomma, un gran pasticcio.E più i tifosi del Partito Democratico cercano di mettered’accordo tutti, più le posizioni si fanno confuse e gli scon-tenti aumentano.

Ma i Ds si sciolgono oppure no? Con lo stesso schema usato per convincere i riottosi,

cioè mischiare le carte, i vertici dei Ds lo usano per affron-tare il nodo dello scioglimento del partito. Secondo Peppi-no Caldarola, Achille Occhetto “ebbe uno straordinariocoraggio” quando propose lo scioglimento del Pci, mentre

invece gli attuali leader si stanno muovendo“in modo furbesco”. “L’inganno peggioreche si può proporre ai militanti dei Ds e

Il tentativo è di far entrareanche qualche

altro partitoper non dare la sgradevole

sensazione cheil Pd sarà soloun’operazione

destinata alla fusione tra Ds e Dl

Il nodo delloscioglimento

del partito

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della sinistra – spiega – è quello di dire che il prossimo con-gresso diessino non deciderà nulla né scioglierà alcunché.È vero il contrario. Il prossimo congresso deciderà se scio-gliere o no i Ds e, nel caso la risposta fosse affermativa,deciderà di dare una delega in bianco al gruppo dirigenteper eseguire la sentenza in una data successiva. Saremmoposti di fronte ad un congresso spero civile, che tuttaviaindebolirà la più grande forza di governo. Non capiscocome Prodi non si renda conto che l’indebolimento gravedei Ds provocherà una acuta incertezza sull’intero quadropolitico”.

Non è affatto un caso, a questo punto, che un puntofermo intenda metterlo Violante: “Fino al 2009 il temadello scioglimento non esiste. Se dobbiamo fare un partitoplurale è evidente che le forze manterranno la loro identitàfinché non ci sarà un amalgama. Non ci sarà un ukase cheimporrà di sciogliere le righe, ma un pro-cesso politico”. La diffidenza non manca.Prima di sciogliere i Ds, è il pensiero comu-ne, occorre capire se e come il PartitoDemocratico decollerà, perché poi, in casodi fughe in avanti, che fai? Rifondi la Quer-cia?

Prodi sempre meno leaderIl primo colpo l’aveva dato Fassino, salvo poi precisare

– creduto davvero da pochi – che voleva dire altro. Ilsecondo era arrivato da Repubblica, e proprio nessuno siera scomodato di precisare perché il quotidiano di DeBenedetti voleva dire proprio quello che aveva detto. Manon c’è due senza tre. E il terzo colpo arriva dal capogrup-po dell’Ulivo alla Camera, Dario Franceschini: “Con ildovuto tatto e con tutta la diplomazia del caso, bisogneràprima o poi spiegare a Fassino e a Rutelli che nessuno deidue potrà fare il leader dell’altro...”. Franceschini rispondealla domanda: chi sarà l’erede di Prodi. Ma ormai il dato ètratto, si parla senza tabù di eredità, successione, dando perscontato che non sarà Prodi il leader del Pd (cosa che pun-

Prima di scioglierei Ds occorre

capire se ecome il PartitoDemocraticodecollerà

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tualmente accadrà). “Nella fase costituente– chiarisce Franceschini – nessuno dei treleader in campo potrà essere leader di tutti,sarà una leadership plurale a guidare latransizione. Poi dal 2009 si metterà in motouna competizione virtuosa e democratica”.E allora, “caduto ogni vincolo”, la gara sarà

aperta anche a chi non offre la garanzia “prodiana” di tene-re assieme riformisti e moderati.

Un simile affronto non potrà rimanere impunito. E lareazione non si fa attendere, arriva puntuale come una cam-biale. “Ho l’impressione – dice stizzito Fassino – che tantoil leader non lo decida Franceschini”. Ma il capogruppo uli-vista insiste, per nulla intimorito: “Anch’io penso che nonsarò io a deciderlo e purtroppo siamo abituati a vedere bru-talizzate le nostre idee nei titoli dei quotidiani. Fassino eRutelli avranno un ruolo insostituibile nel processo dinascita del Partito Democratico. Ma se nella fase costituen-te non ci possono essere gerarchie, quindi il segretario di unpartito non può stare sopra il segretario di un altro partito,nella fase successiva metterei in moto un processo di sele-zione della classe dirigente”.

Ma se si scannano sulle idee, come si trova il leader?La miccia si accende in commissione Sanità del Senato.

Alcuni esponenti di Ds e Margherita votano insieme conl’opposizione un ordine del giorno che critica il ministroLivia Turco per il suo decreto che rivede le tabelle sull’usodella cannabis e che avrebbe innalzato la soglia di impuni-tà. Al di là del singolo caso, la vicenda è emblematica e nonsfugge al sarcasmo di Caldarola: “Un bel contributo allacostruzione del Partito Democratico. Anna Serafini, permantenere un rapporto con la cattolicissima Paola Binetti,ha preferito rompere i Ds”. Va già pesante anche GloriaBuffo, del correntone Ds: “Il Partito Democratico funzionacosì: prima di prendere posizione un Ds deve fare la media-zione con la Binetti. Se non la fa, si dirà che il Pd non si puòfare... e così le posizioni laiche e, spesso anche quelle di

Si parla senzatabù di eredità,

successione,dando per

scontato chenon sarà Prodiil leader del Pd

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buonsenso, vanno a farsi benedire”. Il trittico di osanna sullavicenda e, di riflesso, sulle future sorti del nuovo soggettopolitico, si chiude con Fulvia Bandoli, anch’essa della sini-stra Ds: “Un episodio di questo tipo al giorno... toglie il Par-tito Democratico di torno”. La storia del Pd è tutta racchiu-sa qui, senza bisogno di aggiungere un solo commento.

Dopo uno strappo, ne arriva un altroAccade ad Oporto, dove il 7 e l’8 dicembre si svolge il

settimo congresso del Pse. La colonna sonora intona “beau-tifull day”, ma di bello questo giorno ha davvero poco, aparte i sorrisi di circostanza e una soddisfazione di manie-ra. In realtà i delusi sono molti. Poiché i Ds speravano dicoinvolgere anche la Margherita nella scampagnata, maRutelli e i suoi amici se ne sono rimasti polemicamente aRoma per marcare una distanza abissale fra i due aspirantifondatori del Partito Democratico. Rutelli, in realtà, erastato invitato ma avendo saputo che non avrebbe potutoparlare, ha preferito non esserci. Ancora una volta, pomodella discordia è la collocazione europea del Pd.

Poul Rasmussen, presidente del Pse, veste i panni dellasirena: “Sosteniamo i vostri sforzi e vogliamo invitarviquando il Pd nascerà”, dice rivolto a Fassino. Il segretarioDs apprezza e va oltre: “Lavoriamo perché si stabilisca unrapporto sempre più intenso, stretto e orga-nico tra Pd e Pse e Rasmussen e Schulzsaranno i compagni di viaggio per allargarela famiglia riformista europea”. Proprio ilcapogruppo europeo del Pse, MartinSchulz, si rivolge in Italia a chi non vuolemorire socialista: “Da oggi il Pse si apreanche a Rutelli, se vogliono sono i benve-nuti”. Come segno di buona volontà, lo statuto viene modi-ficato per lasciare una porta aperta ai partiti laburisti,democratici e progressisti.

Ma proprio Rutelli non si fa attrarre. Anzi, è infastiditoperché pensava che l’ospitalità del Pse avrebbe previsto unsuo intervento, cosa, invece, che non rientrava nei piani dei

Il capogruppoeuropeo del Pse: “Da oggi il Psesi apre anche a Rutelli, se vogliono sonoi benvenuti”

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socialisti europei. Immancabile il sospetto che ciò che èavvenuto ad Oporto potrebbe avvenire nel Pd, con la Mar-gherita considerata solo uno scomodo ma necessario ospi-te, da trattare con condiscendenza senza però dargli alcunpotere. Anche l’osservatore Lapo Pistelli brilla per la suaassenza, dopo aver saputo che in realtà ad Oporto non c’e-rano altri rappresentanti di partiti che non fossero già inglo-bati nel Pse. Se la Margherita fosse stata presente avrebbequindi avuto un’omologazione che rifiutava.

Mancando i Dl, il ruolo del guastafeste tocca al solitoMussi, accompagnato da Valdo Spini: “Va bene la modifi-ca, ma manca un dettaglio: ‘Rutelli che dice?’ Oltre allaquestione Pse resta il problema del tavolo dei valori, dell’i-dentità. Per fare un partito ci vuole prima il ‘grundliche’, ilfondamentale”. Né aiuta certo a sciogliere le contraddizio-ni il socialista Boselli, che ricorda: “Se qualcuno bussa allaporta si apre, ma il fatto è che non tutti vogliono aderire alPse”. “Restano difficoltà enormi con la Margherita”, con-clude.

Sul fronte romano, intanto, la Margherita mostra irre-movibilità. Afferma Renzo Lusetti: “Rispettiamo il dibatti-to in corso tra i socialisti europei, ma francamente non èmodificando un paio di parole in uno statuto che si costrui-sce il Partito Democratico in Europa”. Conferma Antonel-

lo Soro, coordinatore della Margherita:“L’idea che abbiamo, naturalmente, non èquella di adesione al Pse, ma è quella delconcorso nella costruzione di una rete inter-nazionale di nuove relazioni, che disegninouna configurazione più moderna delle forze

di progresso e di modernizzazione che sono presenti inEuropa e nel mondo. Il punto sul quale esiste una discretadiscordanza è l’idea che l’attuale organizzazione della poli-tica debba avvenire attraverso le ‘vecchie internazionali’.Noi invece pensiamo che vada cambiata anche la formapolitica di queste strutture. Ne parleremo ancora, senza dik-tat ma anche senza accettazione di uno schema che a noinon piace”. Preoccupato che possa rompersi il giocattolo,

Sul fronteromano,intanto,

la Margheritamostra

irremovibilità

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Fassino cerca di mostrarsi più morbido con gli alleati Dl:“Non chiediamo alla Margherita una adesione ideologicaalla socialdemocrazia, ma di valutare il fatto che il PartitoDemocratico che insieme vogliamo costruire non può esse-re isolato e solo in Europa e nel mondo”.

Linea dura, dietro la facciataPer comprendere il livello di tensione che regna fra Ds e

Margherita e all’interno degli stessi partiti basta vederequali messaggi minatori partano ogni tanto dai suoi leader.Dario Franceschini, per esempio, ha un avvertimento ine-quivocabile verso coloro che aspirano a tornare alla federa-zione, pensando così di bloccare il processo verso il PartitoDemocratico, farebbero bene a mettere in conto “un con-fronto fermo e deciso, senza acquiescenza”. Un ritorno allaFed comporta dei rischi, spiega Franceschini, “perché nonsarebbe capito da nessuno: dobbiamo fare il Partito Demo-cratico con la ragione, con la testa. Chi si oppone ad essonon indica una strada alternativa, ma si limita semplice-mente a lasciare le cose come stanno”. Prodinon è da meno e parlando del nuovo sogget-to (ancora non identificato, a quando sem-bra dai giudizi di molti dei protagonisti)spiega che “non si può tornare indietro per-ché sarebbe un salto nel buio”. A chi parla didifferenti ideologie di partenza, il Professo-re sostiene che la contaminazione tra postcomunisti e catto-lici democratici è in corso da anni, per questo tutti dovreb-bero “metterci la faccia” e non dovrebbero alzare “specifi-che bandiere”, perché “il progetto è inarrestabile e i suoicontenuti più avanti dei nostri atteggiamenti personali”.

Lo scetticismo, proprio leggendo tra le righe delleparole dei leader, regna però sovrano e le infusioni dicoraggio, gli avvertimenti, le minacce velate o esplicitesembrano più che altro delle soluzioni raffazzonate perevitare che qualcuno riesca a dare uno stop troppo decisoe tale da bloccare veramente il progetto. Leoluca Orlando,dell’Italia dei Valori, critica le “chiusure a riccio” di Ds e

Il Professoresostiene che lacontaminazionetra postcomunistie cattolicidemocratici è in corso da anni

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Margherita, Villetti (socialista confluito nella Rosa nelpugno e adesso sulla via del divorzio per tornare solosocialista), è convinto che il progetto del Pd sia “andato incrisi sulla laicità”. Di fronte a questo scenario, ha giocofacile Carlo Leoni, vicepresidente della Camera e dissi-dente del partito, ad affermare che “la confusione regna

ormai sovrana ed è destinata ad aumentare.Si continuano ad eludere tutti i nodi politi-ci che sono ormai squadernati di fronte aiDs e alla Margherita”. Frenate e accelera-zioni, accuse e repliche, ripicche e dispet-ti. E a fronte di tutto ciò, non si parla diprogrammi. L’unico dibattito riguarda lacollocazione europea del Pd. Così, Ema-nuele Macaluso non fa sconti e risponde aquanti, come Giuliano Amato o lo stesso

Prodi, invitano ad accelerare il processo per la costituzio-ne del Pd: “Non si può progettare la nascita di una nuovaforza politica in astratto, ragionando su ciò che sarebbebello e giusto fare, senza tener conto dei rapporti che leforze politiche hanno con la società”. Macaluso, con unalungimiranza che ha dell’incredibile visto quello che stacapitando in questi giorni alla sinistra con Beppe Grillo èconvinto che “rischiamo un’ondata di antipolitica che puòtravolgere tutto”.

Dentro i Ds la lotta è dura, mentre il conflitto internoalla Margherita appare più che altro un attacco alla guidadel partito da parte di Rutelli, non in prospettiva di PartitoDemocratico. Fassino, ormai, non riesce ad arginare l’e-morragia e, come un pugile suonato, mena fendenti a vuotoe come si muove sbaglia. Per esempio convoca per metàdicembre un Consiglio nazionale, incassando l’ironia e lastizza del senatore Cesare Salvi (e si sa bene al Senato suquale equilibrio il governo continua a reggersi): “Conumana saggezza la segreteria del partito ha deciso di con-vocare il Consiglio nazionale nel pieno della legge finan-ziaria. Quindi metà del gruppo dirigente non può parteci-pare. Un ottimo esordio per il Partito Democratico. Non

Frenate eaccelerazioni,

accuse erepliche,

ripicche edispetti.

L’unico dibattitoriguarda la

collocazioneeuropea del Pd

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sono nemmeno in grado di sapere quando si vota in Parla-mento e quando no”. I termini posti da Gavino Angius, cheinvece partecipa al Cn, sono ancora più perentori. “Midomando – avverte – se azzerare Orvieto e rilanciare il pro-getto su basi nuove non è un gesto di forza politica. La que-stione è che le distinzioni e le divergenze con la Margheri-ta rimangono e un conto è fare un’alleanza di governo, unaltro è fare un partito nuovo”. A questo punto intervieneFassino, che chiede: “Azzerare e fare un processo costi-tuente più ampio non renderebbe la condivisione più com-plessa?” Replica Angius: “Infatti la nostra proposta è unpatto federativo”.

La contestazione di Caldarola, invece, non va solo alPd: “Se non sono d’accordo sulla linea, non sono d’accor-do neanche con i gruppi dirigenti come avviene in tutti ipartiti socialisti europei. Se c’è dissenso c’è dissensoanche verso il gruppo dirigente. In passato mi sono trova-to d’accordo con Fassino e la vulgata giornalistica mi hadato vicino a D’Alema. Ora sono contrario alla propostapolitica di Fassino e D’Alema e ritengo che la somma didue culture deboli fanno un partito debole. Il viagra inpolitica non esiste”.

E mentre Prodi finge esaltazione, l’ana-lisi più lucida (in fondo basta leggere gior-nali e dichiarazioni per capire bene cosastia accadendo) arriva da Massimo Caccia-ri, sindaco di Venezia: “Stanno frenandotutti, non solo Fassino. È un momento digrande difficoltà, perché se l’operazionepartito democratico viene svolta tutta all’interno delPalazzo, come una mediazione tra ceti politici, non andràda nessuna parte. Non c’è respiro, non c’è iniziativa, nonc’è dibattito culturale-politico attorno a questa idea equindi tutto si sta restringendo in giochi di corrente e,appunto, di Palazzo. È una fase molto, molto difficile. Osi cambia passo e si butta un po’ il cuore oltre l’ostacoloo altrimenti ci si spiaccica sul medesimo”. Praticamenteun funerale.

E mentre Prodi fingeesaltazione,l’analisi piùlucida arriva da MassimoCacciari

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Al capezzale del mai nato ma morente PdÈ spaventato Gianni Cuperlo, deputato diessino: “È

ormai sempre più difficile tenere separata la discussione sulPartito Democratico dalle sorti del governo perché comun-que la si pensi, queste due dimensioni sono intrecciate tradi loro”. Salvi ironizza: “Devo ringraziare, con sentimento,il segretario dei Ds Piero Fassino. Com’è noto, la sinistraDs è fermamente contraria al Partito Democratico. Quindi,se il futuro del nascituro Pd sarà analogo a quello dellaFlm, la Federazione lavoratori metalmeccanici, evocata daFassino, allora la sinistra Ds ha già vinto la sua battaglia.Quello fu infatti uno dei più clamorosi fallimenti della sto-ria della sinistra italiana... Quindi l’evocazione del segreta-rio dei Ds non è particolarmente felice. Così come non èparticolarmente felice l’uscita del presidente dei Ds, Mas-simo D’Alema, quando annuncia che chiamerà ‘compagni’militanti e dirigenti del Pd: chi spiegherà alla senatricePaola Binetti di essere diventata una compagna?” Proprio ilmodello dell’Flm evocato da Fassino e ridicolizzato daSalvi, viene attaccato da Willer Bordon: “Così non andia-mo da nessuna parte”.

Ma a smontare del tutto l’idea di Fassino ci pensa Artu-ro Parisi, che dalle pagine del Corriere della Sera giudica“datato” e “fallimentare” il modello Flm lanciato dal segre-tario Ds. Parisi lancia l’allarme su ciò che sta avvenendointorno al processo verso il Pd: “Di fronte ad un’esigenza

storica si sta affidando la risposta a inven-zioni verbali, espedienti, a mere soluzioniorganizzative”. L’attacco, da una parte, faesprimere “amarezza” a Fassino, che accu-sa il ministro della Difesa di non apprezza-re la “generosità” sua e del gruppo dirigen-te diessino. Per bocca di Maurizio Miglia-

vacca, capo della segreteria politica della Quercia, respingele critiche “che di sicuro non possono essere rivolte ai Ds”.Ma Fassino è arrabbiatissimo soprattutto perché l’intervistadi Parisi è destinata a scatenare gli ardori degli oppositoriinterni al partito. Mario Filippeschi, della segreteria Ds,

Parisi lancial’allarme

su ciò che staavvenendo

intorno al processoverso il Pd

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infatti, è convinto che quell’intervista abbia “fatto un assistvolontario agli oppositori del Pd”. Cosa che puntualmenteavviene. Gavino Angius e Peppino Caldarola, in coro,affermano che le difficoltà indicate dal ministro della Dife-sa dovrebbero indurre a mettere nel cassetto il Pd e ariprendere “il grande Ulivo con una sinistra forte che uni-sca tutti i socialisti”. Fabio Mussi, forse il più oppositore tragli oppositori, ribadisce il suo “no” al Partito Democratico:“C’è chi affronta le difficoltà e non le risolve. Parisi da annichiede di sciogliere i partiti, è il suo sport preferito, maalmeno ne apprezzo la chiarezza e lo preferisco a chi le dif-ficoltà le aggira”.

Un addio di pesoChe nella via verso il Partito Democratico ci fossero

molti mal di pancia, soprattutto all’interno dei Ds, è cosanota e le dichiarazioni di netto dissenso fin qui elencate lodimostrano plasticamente. Ma erano e sono posizioni del-l’ala di sinistra, che invocano più socialismo nel progetto,per difenderlo dalle spinte centriste dellaMargherita, giudicando inaccettabili tutte lemediazioni che snaturino l’ideologia diessi-na e cancellino la storia del Pci-Pds-Ds.Quando però a fare le valigie è uno dei mas-simo rappresentanti del riformismo all’in-terno della Quercia, la botta per Fassino ecompagni è devastante. È la certificazioneche sul fronte diessino sono ben pochi adaccettare un eccessivo spostamento siaverso il centro sia verso sinistra. Ecco per-ché quando il senatore Nicola Rossi, uno dei massimi espo-nenti dell’ala riformista, annuncia al segretario Ds l’inten-zione di non rinnovare la tessera del partito, il contraccol-po è di quelli devastanti. Rossi con il suo gesto viene con-siderato il sintomo di una situazione che non chiama incausa solo la Quercia ma tutto il centrosinistra e, a cascata,il Partito Democratico. Non è dunque casuale se PierluigiMantini, deputato ulivista in quota Margherita, dice di con-

Quando il senatoreNicola Rossiannuncia al segretario Dsl’intenzione dinon rinnovarela tessera del partito, il contraccolpoè di quellidevastanti

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dividere da tempo “con Nicola Rossi l’urgenza e la radica-lità delle riforme di matrice liberale”. Lo stesso MassimoCacciari giudica la fuoriuscita “un brutto segno per ilnascente Partito Democratico. Perché se il Pd non nascedalla cultura riformista di uomini come Rossi il futuro nonsi prospetta affatto roseo”. Anche il quotidiano Europasembra listato a lutto: “Le dimissioni di Nicola Rossi certi-ficano che Ds e Margherita, così come sono, sono diventa-ti, o meglio sono rimasti, non sono più uno strumento utileper chi voglia dare all’Italia la scossa che le serve”. AncheFassino è consapevole del devastante danno d’immagineprovocato dall’annuncio di dimissioni di Rossi. Così, dopoaver organizzato una serie di appelli, ha poi chiesto e otte-nuto dal suo partito la consegna del silenzio per evitare cheil gesto dell’esponente riformista fosse strumentalizzatodalla fronda interna e dalla Cdl. Sperando, intanto, cheRossi potesse cambiare idea.

Ma non succede. Il 10 gennaio 2007 Rossi confermal’addio, spiegando che con il suo gesto vuole lanciare “unallarme per il modo in cui avviene la costruzione del Pd”.Poi incontra Fassino, il quale cerca di evidenziare il pres-

sing per le riforme, che vede lui stesso ed ilpartito in prima fila. Ma il professore noncede, anche perché in otto mesi anche i Dshanno sempre alzato la voce salvo poi cede-re, insieme con Prodi, alle minacce dellasinistra estrema. “Il Riformismo e la moder-nizzazione di un paese – avverte Rossi –poggia sulla convinzione delle classi diri-genti sulla loro capacità di spiegare. Questoè il problema principale che vedo. Quale

cultura diamo al Pd? Non ne stiamo parlando per niente. Ilmio può apparire un atto negativo ma può essere salutare el’ho fatto perché pensavo che potesse aiutare la sinistra”.Ma i timori di strumentalizzazione che agitano Fassino simaterializzano in un amen. Gavino Angius vede nell’addiodi Rossi “una spia delle difficoltà che viviamo, che dimo-stra come nel partito non si sta discutendo”. Caldarola è

Rossi confermal’addio,

spiegando checon il suo gestovuole lanciare

“un allarme peril modo in cui

avviene la costruzione

del Pd”

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ancor più pessimista: “Inavvertitamente in queste settima-ne i Ds sono già stati sciolti”.

Il guaio peggiore è che Nicola Rossi sembra più l’avan-guardia che un caso isolato. Anche la presidente dellaRegione Piemonte, Mercedes Presso è scontenta. Non alpunto da non rinnovare la tessera dei Ds, ma di certo nonparteciperà al congresso per la costituzione del Pd. Chiari-sce di non essere in contrasto con Fassino, ma manifestanon poche perplessità nei confronti del progetto: “Nonvoglio creare problemi a chi, come Fassino, ritiene chequesto passaggio sia fondamentale. Io non ritengo sia così.Non voglio mettere ostacoli, ma non vedo perché dovreiesserci. Poi si vedrà: se il partito che nascerà sarà quello dicui si parla in questi giorni sarò un’indipendente di areaUlivo”.

Proprio Rossi tende la mano alla presidente della Regio-ne Piemonte, giudicando la sua decisione un altro segnale“non banale” della gravità della situazione. E con l’occa-sione avverte Fassino di non continuare a rivendicare orgo-gliosamente i risultati del passato, perché ciò “non aiuta”ad esorcizzare le difficoltà nel rapporto tra la politica,soprattutto di centrosinistra, e i cittadini. Piuttosto, il sena-tore spiega al segretario Ds di non condividere affatto l’i-dea che sia “caricaturale” la rappresentazione dei Ds comeun partito in crisi, cosa che sostiene di continuo Fassino.Rossi spiega che la crisi nel rapporto con i cittadini c’è edè “naturalmente più evidente” nei partiti maggiori, chehanno le più grandi responsabilità. “Proprio per le lorocaratteristiche – aggiunge – credo che questi partiti debba-no interrogarsi. Non serve molto rivendicare risultati posi-tivi del passato, proprio quei partiti devono fermarsi e chie-dersi perché il rapporto con i cittadini si è allentato, qualisiano le conseguenze e come lo si ricompone. Non credoche la difesa orgogliosa sia la cosa che aiuta di più”. Secon-do Rossi, infine, una delle responsabilità dei Ds sta nell’es-sersi ridotto a fare una politica “contro” e non una politica“per”, contestando il modo con cui il centrosinistra ha fattoopposizione a Berlusconi, “tutto concentrato sulla figura

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dell’avversario e non sulle proprie proposte.Così non si è costruita una cultura del Pd.Così abbiamo anche vinto le elezioni? Sì,ma, come Berlusconi insegna, non necessa-riamente vincere le elezioni significa gover-nare”. In sostanza, Rossi ha dato a Fassino

una lezione per il passato, per il presente e per il futuro.Lezione che rimarrà inascoltata, dal momento che davveroin pochi sono quelli disposti a fare autocritica e di gettarebuone basi quantomeno in vista del futuro.

Comincia il de profundis a Prodi e s’intona il primo osanna a VeltroniLa svolta arriva attraverso un’intervista rilasciata il 18

gennaio al Corriere della Sera dal senatore ds GoffredoBettini, eminenza grigia, e non solo, dei Ds romani, legatoa Walter Veltroni da un decisivo sodalizio culturale e poli-

tico. Guai a sottovalutarlo. E guai a sottova-lutare le sue parole, che sanno di destituzio-ne di Prodi e di incoronamento di WalterVeltroni. Solo gli ingenui possono pensareche una simile intervista lasci il tempo chetrova, solo chi non conosce Bettini e quelloche rappresenta. Per questo, la data del 18gennaio appare come un nuovo inizio:

messi da parte i vecchi leader, peraltro non poco litigiosi epretenziosi, si parte con una ventata di novità (si fa per dire,se solo si considera da quanti anni Veltroni è in politica),favorita anche dai sei anni in cui il sindaco di Roma si èdebitamente nascosto nelle comode e accoglienti stanze delCampidoglio.

“I Ds – esordisce il senatore, prendendola alla lontana –attraversano una fase di travaglio molto forte, che deriva daun eccesso di generosità. Siamo la forza che ha dato piùsangue al processo unitario e al governo Prodi ed è norma-le che in un momento di stallo del Pd e in una difficoltà dirapporti tra palazzo Chigi e la gente, chi paga il prezzo piùalto sono i Ds”. Ed è questo il motivo per cui Bettini indi-

Un’intervistarilasciata il 18

gennaio al Corrieredella Sera

dal senatore ds Goffredo

Bettini

Rossi ha dato a Fassino

una lezione per il passato,per il presente e per il futuro

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ca la strada per uscire dalla crisi: “Riconquistare una piùforte autonomia di profilo politico dei Ds nei confronti delgoverno, recuperare un nostro rapporto con il Paese e rida-re respiro al Pd come progetto strategico e di lunga duratae non un accocco da fare per necessità, con una marcia for-zata”.

In concreto, il senatore propone “per esempio di usciredall’idea che chi è stato candidato premier e lo è diventatocon grandi difficoltà, debba, come una matrioska russa,essere considerato capo del Pd. Questo intreccio è negativoper la prospettiva unitaria”. Né, Bettini, accetta la linea diProdi, che si sente l’architetto del Pd e colui che lo costrui-sce per gli eredi: “Devono essere gli eredi a costruirlo. Ilprocesso unitario deve mettere in campo da subito faccenuove e il congresso Ds è una delle occasioni più importan-ti per questo ricambio”. Dopo aver cominciato l’opera didemolizione di Prodi, alla domanda se pensa che Fassinodebba farsi da parte, Bettini risponde: “No, ma penso cheleader come Prodi, D’Alema, Amato, debbano essere consi-derati sempre più risorse della Repubblica. Mentre il nuovosoggetto politico, se vuole suscitare qualche entusiasmo,deve nascere da un sommovimento delle classi dirigenti.Che appeal può avere una nuova forza che ha per simboli irappresentanti di una classe dirigente che ha attraversato glianni ’80 e ’90 e ne conserva le glorie, ma anche le ferite?”E via, un’altra bordata. Su Fassino e Rutelli, il senatore pro-pone che siano loro a garantire “questo rinnovamento”. “IlPd – osserva – deve avere un respiro profondo, strategico,non può essere un politburo antidemocratico. Deve aprireun processo franco e sereno di battaglia ideale, in cui ognisoggetto porti i propri valori”.

Finita la distruzione di tutti coloro cheaspirano a guidare il Pd, tranne uno, Bettiniavvia la santificazione di quell’uno che èrimasto fuori dalle sue bordate: Walter Vel-troni. Insomma, chiede la giornalista, chi èin corsa per guidare il Pd? “Il monopoliodegli organigrammi – dice Bettini – non

Finita la distruzione di tutti coloroche aspirano a guidare il Pd,tranne uno,Bettini avvia lasantificazione diWalter Veltroni

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risolve i problemi. Se siamo in questa situazione è perchéabbiamo avuto una conflittualità eccessiva tra i leader, chespesso ha impedito di mettere la persona giusta al postogiusto. Noi Ds abbiamo pagato tantissimo questa conflit-tualità”. E la persona giusta sarebbe dunque Veltroni?“Walter è una risorsa straordinaria, ma oggi fa il sindaco elo fa benissimo. Al momento opportuno si verificheràdemocraticamente, anche attraverso le Primarie, se è comeio credo una carta fondamentale, oppure se ce ne sonoaltre”. Anche i muri, però, sanno che il sindaco di Roma stalavorando nell’ombra, e nell’ombra studia da tempo dafuturo leader del Pd, ovviamente affiancato da tutti coloroche credono in lui, compresi i mezzi d’informazione dellagrande stampa di sinistra. Ma Bettini non può permettersidi essere lui in persona a bruciare il suo candidato, l’uomoche sta accompagnando con grande abilità alla guida delPartito Democratico, facendo le scarpe a tutti gli altri.Quindi chiarisce: “Io che sono vicino a Veltroni e vedo lesue giornate, so che lavora 12 ore al giorno per Roma. E seda politico prepara una lezione che gli è stata chiesta e poifa un piccolo giro per presentarla, forse è perché la lezioneè riuscita bene e ci sono molti che gli chiedono di replicar-la, per non buttare via un lavoro di settimane. A volte lecose sono più banali di quanto si pensi”. E anche molto piùevidenti di quanto si cerchi di dissimulare.

In attesa di Walter, si discute del sesso degli angeli, si vara il Manifesto dei saggi, mentre qualcuno prova ad autocandidarsi...L’intervista di Bettini viene accolta senza il clamore che

merita. O perché tutti sanno che da sempre Veltroni è ildesignato, il “prescelto” per dirla come nel film “Matrix”,oppure perché quanti puntano alla stessa carica preferisco-no agire nell’ombra. Come Pierluigi Bersani, che di certopotrebbe essere un ottimo candidato. È questa legittimaaspirazione che gli fa dire: “Sono dell’idea che dobbiamofare un nuovo grande partito per il nuovo secolo, che deci-derà i gruppi dirigenti”.

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Intanto i saggi sono al lavoro per varareil Manifesto del Partito Democratico. E tro-vano un accordo il primo febbraio. “Sotto-scrivendo questo manifesto – spiegano –noi ci impegniamo a lavorare con pienaconvinzione, determinazione e lealtà perfare, a tutti gli effetti, entro la fine del 2008, dell’Ulivo ilPartito dei democratici, il nostro partito”. A leggere questerighe sembrano andare tutti d’amore e d’accordo. Ma non ècosì. Ci sono stati momenti di tensione, i “saggi” hannoperso per strada Giorgio Ruffolo, ma alla fine ce l’hannofatta: il testo sarà sottoposto al giudizio degli elettori.

Luoghi comuni, parole ad effetto, frasi che nascondonola lancinante guerra in corso tra Ds e Margherita e all’in-terno degli stessi partiti. “Noi, i democratici, amiamo l’Ita-lia” è l’incipit. Wow, verrebbe da dire. E giù impegni. Il Pdsarà “un partito di popolo, radicato e diffuso sul territorio”,un partito che formerà gli organi costituenti secondo il prin-cipio “una testa un voto”. E giù l’impegno a liberare lapolitica da “rendite corporative, gerontocrazie e nepoti-smo” (come se non l’avessero inventate proprio i partiti chestanno dando vita al Pd...) e il giornalismo da “un assettoproprietario che ne condiziona gli indirizzi ad interessi diimpresa estranei all’attività editoriale”.

Ma i due nodi che hanno impegnato più alungo i “cervelli” dell’Ulivo, e che soprattut-to hanno fatto litigare come cane e gatto Dse Dl, sono l’approdo internazionale e la lai-cità. “Vogliamo anche contribuire a rinnova-re la politica europea dando vita, con il Pse ele altre componenti riformiste, ad un nuovovasto campo di forze”. Questa è la formulasulla quale ha insistito Rutelli. Tuttavia resta-no non poche diffidenze. E Castagnetti avverte: “Possiamoanche accettare il testo, l’importante è che convergiamo sul-l’esegesi (sull’interpretazione, ndA). Noi non entreremo nelgruppo del Pse, neanche se allargato a progressisti e demo-cratici, ma daremo vita con i Ds a una realtà nuova”.

Intanto i saggisono al lavoroper varare il Manifesto del PartitoDemocratico

Ma i due nodiche hannoimpegnato più a lungo i “cervelli”dell’Ulivo sono l’approdointernazionale e la laicità

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Lo scontro, dunque, non è affatto sopito, ma soltantorinviato. In molti lo sanno e il ministro per le Riforme,Luigi Nicolais, non nasconde i suoi timori: “In questoperiodo ci sono stati tanti ostacoli. Continuiamo a saltarliuno dopo l’altro. Speriamo di arrivare alla fine”. Ma Cle-mente Mastella non ha dubbi e vaticina: “Quando il PartitoDemocratico arriverà creerà problemi all’interno dell’appa-rato dei partiti. Questo porterà alla deflagrazione dellanostra coalizione”. È per questo che Fabio Mussi, da sem-pre contrario, invita: “Credo che ci sia ancora lo spazio perfermare il treno, per tornare a riflettere”. Angius è pessimi-sta: “Siamo come l’Apollo 13, ricordate? ‘Houston ci sen-tite, abbiamo un problema?’. Il problema ora è tornare aterra seguendo una giusta linea per entrare nell’atmosfera,perché altrimenti rischiamo di dissolverci nello spazio”.

Il nervosismo prende il sopravvento. Rutelli vs FassinoTutto nasce da un’intervista rilasciata dal leader della

Margherita al Corriere della Sera, il 5 marzo. Rutelli ponedue macigni davvero ingombranti sulla strada che dovreb-be portare al Partito Democratico. Il primo è rappresentatodall’aperto sostegno dato al centrista Francois Bayrou enon alla socialista Segolene Royal nella battaglia per le

presidenziali francesi (“l’avanzata di Bay-rou è affascinante”). Il secondo è la pro-messa, o la minaccia a seconda dei punti divista, che la Margherita “non entrerà mainel Partito Socialista Europeo. Dovremmodiventare socialisti quando il Pse è mino-ranza in Europa”? Si chiede. A riprova delnervosismo va detto che la posizione diRutelli non è nuova, così come non è nuova

la simpatia per Bayrou anche da parte di Prodi. Cionono-stante, le parole del leader della Margherita provocano unterremoto. Fassino non ci sta: se il Partito Democraticovuole rappresentare il riformismo “allora deve stare comecollocazione dove stanno gli altri partiti riformisti, che

Rutelli ponedue macigni

davveroingombrantisulla strada

che dovrebbeportare

al PartitoDemocratico

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sono organizzati in due forum: l’Internazionale socialista eil Pse”. Tanto più che a queste organizzazioni aderisconopartiti che non sono certo da considerarsi socialisti in sensostretto e che, per accoglierne anche altri, il Pse si accinge acambiare lo statuto.

La pace, dunque, dura lo spazio di un mattino. L’imba-razzo è grande e vanno a nozze gli oppositori interni, comeMussi che parla di una “buferetta polemica” che gli ricordaun “pezzo di pop-art”. Mussi informa gli iscritti che “cartacanta: la mozione Fassino non prevede che il Pd sia parteintegrante del Pse, non c’è scritto. I discorsi della domeni-ca, se dicono il contrario, sono pubblicità ingannevole”.Valdo Spini ironizza e si chiede se Rutelli voglia “com-prarsi i Ds in svendita a saldo. Se fossero coerenti, i nostridirigenti ds non dovrebbero chiedere un’accelerazione mauna sospensione”. Gli fa eco Carlo Leoni, secondo il quale“sciogliere i Ds alle condizioni di Rutelli è un errore stori-co”. Ma anche Gloria Buffo reagisce atterrita all’ipotesi diun “partito Frankenstein, diviso su tutto”, mentre FulviaBandoli si mostra spaventata di fronte “al viaggio verso l’i-gnoto della maggioranza Ds”. Fra frenate e fughe in avan-ti, il percorso si fa sempre più accidentato, il popolo cheattraversa il deserto verso l’oasi del Pd è sempre menonumeroso e Prodi-Mosè perde pezzi via via più numerosilungo la strada. E altri colpi sono in arrivo...

Sul Pd si abbatte la mannaia dei sondaggiLo spettro si manifesta improvvisamente nelle parole di

Prodi. Come rivela il Corriere della sera in un retroscenadel 3 aprile, Prodi dice che “un Partito Democratico al 25per cento sarebbe un disastro, una catastrofe...”. Probabil-mente, prosegue l’articolo, “è stato solo l’incubo di unmomento, un attimo di buio, subito spazzato via dalla con-sapevolezza che il ‘cammino è ancora lungo e ci sono tuttele condizioni per correggere la rotta, fare gli innesti giu-sti’”. In pratica il Corriere della Sera prova a sminuire, mala realtà è un’altra. Il sondaggio che dà il nascituro Pdappena al 25 per cento esiste davvero, è stato fatto dall’Ipr

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e incontra subito la reazione del portavocedei dissidenti Ds Alberto Nigra: “I sondag-gi sono preoccupanti perché segnalano unadoppia difficoltà dell’Unione e il fatto che ilPartito Democratico non risolve i problemi,non c’è spinta in avanti. L’altro fatto preoc-

cupante è che Prodi ha dubbi su come si sta procedendoverso il Pd. I gruppi dirigenti Ds e Dl sono riusciti inun’impresa unica: mettere contro il Pd gli ispiratori del par-tito nuovo, cioè Veltroni e Parisi, e anche Prodi”.

La cosa drammatica è che il sondaggio, oltre a certifica-re la sconfitta in una sfida diretta con Forza Italia, data dasola al 27 per cento, segna il dato preoccupante di unacaduta di 6 punti rispetto alla somma algebrica tra Ds e Dl.“Se andiamo ancora così, facciamo in tempo a scendereancora più sotto”, ironizza il prodiano Mario Barbi.

“I sondaggi vanno interpretati, in questo caso penso chesia una spia che mette in luce problemi di consenso per lamaggioranza e per noi del governo, prima ancora che sullepotenzialità del Partito Democratico”, afferma un preoccu-patissimo Paolo Gentiloni, ministro per le Comunicazioni.Il quale, però, annuncia che siamo ancora all’inizio: “Pur-troppo infatti risultati altrettanto infelici emergono dai son-daggi in cui Ds e Margherita sono misurati separatamente enon come Partito Democratico”. Ovviamente, tra i numeridei sondaggi ci sguazza Fabio Mussi, che fa finta di soffri-re mentre invece gode come un pazzo per aver azzeccato lesue previsioni: “Sono angosciatissimo. Questa è la confer-ma che si tratta di un progetto fallimentare”.

Passano pochi giorni, arriviamo all’11 di aprile e si sco-pre che la discesa del Pd verso l’infernoprosegue inesorabile. Renato Mannheimer,dalle pagine del Corriere della Sera, pubbli-ca un sondaggio impietoso: se si votassesubito il Pd otterrebbe il 23-24 per cento,

altro che 25. “Il tratto prevalente – scrive Mannheimer rife-rendosi agli elettori – è sempre più la sfiducia”. Se il son-daggio è impietoso, Mussi è implacabile: “Il 23 per cento

Il sondaggio chedà il nascituro

Pd appena al 25per cento esistedavvero, è stato

fatto dall’Ipr

La discesa del Pd verso

l’infernoprosegue

inesorabile

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dei voti, dice il sondaggio. E nel sondaggio ci sono ancoraio...”. Di fronte alle cifre e alle parole di Mussi, Prodi sem-bra tirare dritto quasi non gli importasse nulla di come stiafranando tutto: “Io non mi stupisco dei sondaggi: in questomomento se anche guardo dall’esterno quello che sta avve-nendo, è fisiologico e fatale per un periodo di contrattazio-ne”. La chiama “contrattazione”, Prodi. Quel miscuglio diliti, dispetti, ripicche, offese, minacce, scissioni, chiusure,per il presidente del Consiglio è fisiologico, una contratta-zione. Marina Sereni, Ds, cerca di ridimensionare il tutto,ma da qualche parte le responsabilità deve trovarle, altri-menti rischia di apparire davvero poco credibile. “Nonvoglio banalizzare – dice – ma avverto chec’è un momento di impopolarità del centro-sinistra, un momento di disillusione neiconfronti dell’azione di governo che qual-cuno si aspettava più miracolistica. Mi sem-bra che il sondaggio indichi una difficoltàdell’Unione e non del Pd, che ancora nonc’è”. Figuriamoci se ci fosse... Infatti, è opi-nione di tutti i commentatori che la fusionetra due partiti non dà mai come risultato la somma algebri-ca dei consensi che arridono ad entrambi. E, di certo, le litiche vanno quotidianamente in scena su giornali e tv nonaiuta.

Quasi estraneo alla rissa, come se nulla fosse e andasse-ro tutti d’amore e d’accordo, Veltroni confessa di “nonguardare ai sondaggi”, e ci crediamo facilmente visto comevanno, e di “puntare” al 40 per cento. Ormai studia da lea-der, Veltroni, e dopo l’intervista di Bettini si nasconde sem-pre meno.

Si apre la lotta per la leadership, ma anche i muri sanno che il Pd sarà di VeltroniChiamatela ribellione al corso degli eventi, chiamatela

gelosia, chiamatela come volete, ma lo psicodramma col-lettivo in atto nei Ds soprattutto al nome del futuro leaderdel Partito Democratico che corre sulla bocca di tutti e che

La fusione tra due partitinon dà maicome risultatola sommaalgebrica dei consensi che arridono ad entrambi

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nessuno, a parte Bettini, osa dire aperta-mente, sta provocando vere e proprie crisi.Sarà Walter Veltroni, il sindaco di Roma,colui che si è sapientemente nascosto persei anni tra i monumenti della città eterna,lasciando a tutti gli altri le pesantissimebeghe della politica nazionale e la gestionedel complicato e mai troppo amato Prodi, ilcapo, il “lider maximo”, il designato, il pre-scelto. Anche perché Veltroni non si è solonascosto, ha saputo far altro: ha costruitointorno a sé un’immagine del fare che stri-

de enormemente con i problemi che attanagliano Roma eche sono rimasti intatti. Ma molti quotidiani compiacentihanno chiuso spesso un occhio, ancor più spesso tutti e due,preferendo parlare del Walter scrittore, del Walter che strin-ge la mano ai potenti della terra, del Walter che insegna lapolitica e svolge seminari in tutta Italia. Mentre per le viedella capitale i ragazzi in motorino continuavano a morirenelle buche delle strade, il traffico uccideva qualsiasi entu-siasmo, la povertà dilagava, le periferie rischiavano diesplodere. Uno così bravo a nascondere tali e tanti proble-mi, mettendoci davanti la sua molle ma decisa corporaturanon può che essere il più adatto a guidare il Pd. Il motivo èpresto detto: se togli Prodi e metti Veltroni (o chi per lui)non è che scompaiono con un tocco di bacchetta magica ivari Diliberto, Pecoraro Scanio, Giordano, Caruso, Wladi-mir Luxuria, Bertinotti, Di Pietro. I problemi restano sem-pre gli stessi, la sinistra estrema è imprescindibile per poterguidare il Paese, sia che ci sia il Professore, sia che ci sia ilsindaco E allora? Allora il più adatto non è certo colui chei problemi li fa risaltare come una moneta colpita dal sole,cioè Prodi, il prescelto è colui che li nasconde, li mimetiz-za, li addormenta dietro una sequela di parole, di luoghicomuni e di grandi sogni, che sono i sogni di tutti, ma desti-nati ad infrangersi proprio perché stridono con i program-mi delle estreme. Se però il soggetto in questione è cocco-lato dalla grande stampa, che lo porta in palmo di mano

Walter Veltroni,colui che si è

sapientementenascosto

per sei anni trai monumenti

della cittàeterna,

lasciando a tutti gli altri

le pesantissimebeghe della

politicanazionale

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quasi fosse il messia, che non gli imputa nulla, che lo per-dona su tutto e che preferisce dimenticare le molte cose chenon vanno, esaltando le pochissime che funzionano, eccoche ai cittadini si può dare l’ennesima illusione che conVeltroni la sinistra sarà diversa. Non deve essere vero, que-sta è l’idea che balla nella testa della stessa sinistra, deveessere credibile. È puro illusionismo, ma è l’unico modoper evitare la disfatta incombente di una sconfitta elettora-le quanto mai certa dopo un anno e mezzo di siffatto mododi governare il Paese.

Ecco perché Walter è il prescelto, ecco perché moltipuntano su di lui. Non cambierà mai lo stato delle cose, nédella sinistra, ma darà l’illusione di poterlofarlo fare (puro illusionismo, appunto) etanto basta per sperare almeno in un recu-pero (e si vedrà poi come i primi sondaggidaranno un netto aumento dei consensi incaso di cambio di cavallo e di conseguentedesignazione di Veltroni).

Ma se così stanno le cose, di certo i maldi pancia sono parecchi e i malpancisti sonoproprio coloro che tanto hanno faticato perla costruzione del progetto, che tanto hanno litigato dal lorofronte per evitare di essere inghiottiti dal fronte opposto.Ma come? Noi fatichiamo e lui si prende il partito? Questopensiero vola di testa in testa e si prepara la contraerea,facendo finta che il dibattito sulla leadership debba ancoracominciare e lo stesso leader sia di là da venire. Ecco per-ché il dalemiano Nicola Latorre, il 13 aprile afferma: “In unpartito a vocazione maggioritaria il leader deve coinciderecon chi è candidato a guidare il governo: dunque noi loabbiamo già, è Prodi”. Non sa, Latorre, o fa finta di nonsaperlo, che Veltroni è già designato non solo come futuroleader del Pd, ma anche come futuro candidato premier.

Indirettamente, Rutelli dà una stoccata a Prodi, perchése dice che “il dibattito sulla leadership del nuovo PartitoDemocratico è abusivo”, non lo afferma sostenendo che èabusivo perché il leader naturale è Prodi, ma proprio il con-

Ai cittadini si può darel’ennesimaillusione checon Veltroni la sinistra saràdiversa. Non deve esserevero, deveessere credibile

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trario. “È abusivo – spiega infatti – nelsenso che si tratta di un dibattito prematuroe immaturo. A decidere la leadership saràun confronto vero e avverrà molto più sulleidee che sulle persone”.

Ogni tanto, seppellito Prodi, viene butta-to sul campo un nuovo nome, un po’ perbruciarlo un po’ per fare ammuina, come si

dice in napoletano intendendo una confusione fatta appostaper dare l’idea di essere impegnati mentre invece si sta bat-tendo la fiacca. Così spunta all’orizzonte la figura di DarioFranceschini, capogruppo ulivista alla Camera. Ma RosyBindi, un’altra che scalpita e fa finta di non sapere che saràsempre e solo Walter, dichiara: “Sono tanti i possibili lea-der del partito. Penso che se adesso ci soffermiamo su que-sto non ne veniamo fuori. Penso che siano più importanti ilprogetto, il programma, lo slancio, la passione, il rigore, lafase costituente”.

Di fronte a tanta confusione c’è bisogno di un interven-to di peso. Non tanto per cambiare il corso degli eventi,quanto invece per provocare una discussione seria e ancheper contarsi. È il 15 aprile. Mancano pochi giorni all’aper-tura dei congressi di scioglimento di Ds e Margherita, cheabbatteranno il diaframma destinato a portare i due partitinel Pd. Intervistato da Lucia Annunziata, Massimo D’ale-ma dice: “Il leader del nuovo Partito Democratico è Roma-no Prodi. Non c’è il minimo dubbio, è lui che l’ha propo-

sto. Ora bisogna costruire il Partito ed èovvio che la leadership coincide con laguida del governo”. Quest’ultima è forsel’unica cosa vera detta da D’Alema. Certo,non mancano indiscrezioni e veleni, comequello che insinua di un incontro fra D’Ale-

ma e Veltroni e quindi lascia pensare che le dichiarazionidel ministro degli Esteri non siano state del tutto sincere.Ma almeno, il sasso nello stagno è stato lanciato. Prodi siprotegge, perché forse considera quello di D’Alema ilbacio della morte, e afferma: “Non è il momento di parlare

Ogni tanto,seppellito Prodi,

viene buttatosul campo un

nuovo nome, unpo’ per

bruciarlo unpo’ per fare

ammuina

MassimoD’alema dice:“Il leader del

nuovo PartitoDemocratico èRomano Prodi

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della leadership del Partito Democratico madi lavorare perché questo partito nasca conl’entusiasmo che deve accompagnare unevento di questo tipo. Oddio, non è cheMussi, Salvi, Angius, Caldarola e chi perloro sia proprio entusiasta, non che unascissione quanto mai vicina faccia saltare icuori in petto, ma questo è un altro discorso. Prodi sa diessere entrato Papa in conclave e sa che ne sta per uscirecardinale, forse addirittura vescovo, di certo destinato allapanchina dei giardinetti. Feroce la battuta della Bindi checommentando D’Alema spiega: “Io credo che abbia ragio-ne nel dire che in questo momento il leader del PartitoDemocratico si chiama Romano Prodi”. Già, in questomomento, per ora... ma non per molto ancora.

Ogni tanto, a ondate, esce il nome di Veltroni. “Mi sem-bra audace – dice Linda Lanzillotta, ministro per gli AffariRegionali – non si può ritenere il ‘delfino’ di nessuno”. Infat-ti, Veltroni non è delfino di nessuno ma è facile immaginarequanti adesso scalpiteranno per diventare isuoi delfini. La Lanzillotta, tuttavia, haun’altra idea in testa: “Non faccio nomi, iovorrei solo puntare sulle donne”. La buttia-mo là: che abbia in testa la Finocchiaro?

Mentre alcuni sospettano che sia Prodi aspingere per Veltroni, quasi volesse disinne-scarlo e considerarlo suo erede per non pas-sare proprio per sconfitto e confinato,Luciano Violante rompe un tabù: “Se penso che la pre-miership e la leadership del Partito Democratico debbanocoincidere? Si”. Poi, quasi a decretare la morte della candi-datura di Prodi, afferma: “Leadership vuol dire chi coman-da la nave. Fino a quando non c’è la nave bisogna aspetta-re a parlare di un comandante”. Avrebbe potuto fare ilnome del Professore, indicandolo come comandante, manon l’ha fatto. E non è affatto un caso. Ma la sua propostava oltre e il 18 aprile annuncia di pensare per la guida delPd ad “una leadership plurale di cinque o sei persone in cui

Veltroni non è delfino di nessuno ma è facileimmaginarequanti adessoscalpiterannoper diventare i suoi delfini

Prodi si protegge,perché forseconsideraquello di D’Alema il bacio della morte

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ci siano giovani, donne e persone con esperienza”. Unaproposta che rompe gli schemi ma che indica in modo pla-teale quale rissa ci sia per ottenere la leadership. E il modoper evitare di fare a pugni è quello di mettere tutti gli aspi-ranti sulla plancia di comando. Idea che muore subito.

Si aprono i congressi-funeraliIl 20 aprile comincia l’avventura del Partito Democrati-

co, ma come inizio non è certo beneaugurante, perché perdar vita al Pd bisogna prima dar morte a Ds e Margherita.Quindi, il cammino comincia con la celebrazione di duefunerali in parallelo, uno a Roma (Margherita), l’altro a

Firenze (Quercia). Tutti provano a darsicoraggio ed entusiasmo con scenografiedegne più di uno spettacolo che di un parti-to, le musiche sono commoventi, i parteci-panti non politici vorrebbero dare lustro esignificato al momento. Da una parte e dal-

l’altra tutti parlano con gli occhi ridotti a fessure, quasi aguardare l’orizzonte lontano, cioè il Pd, e senza soffermar-si a guardare il presente, che non è solo la scomparsa di duepartiti, uno dei quali, i Ds, storico (e per questo dolorosa econ numerose perdite scissioniste), ma è anche la ferocesequela di risse che riguardano leadership, valori, colloca-zione europea e altre amene questioni che per i partecipan-ti sono invece vitali. Sono prove di forza quelle a cui si

assiste. Ma si cerca di lasciarle per un gior-no in un angolo, di tenerle sotto terra. L’o-biettivo, però, fallisce. A Roma, mentreProdi e Rutelli cercano di infondere speran-

za, Pierluigi Castagnetti è l’unico ad affrontare “i nodiancora aperti”, cosa peraltro necessaria proprio nel corso diun congresso che deve poi preparare la Margherita a seder-si al tavolo delle trattative con i Ds. “Questi nodi – spiegaCastagnetti – non vanno taciuti”, come la questione dellacollocazione europea, ma soprattutto quello della laicità.“Non illudiamoci – dice – che possano convivere un’impo-stazione laicista e una integralista”.

Per dar vita al Pd bisogna

prima dar morte a Ds

e Margherita

Sono prove di forza quelle a cui si assiste

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Parole che riportano tutti alla realtà. L’effetto non è peròsolo quello di affilare le armi in previsione delle trattativecon i Ds. Le spade si incrociano anche dentro la Margheri-ta. Le varie correnti si sfidano per l’elezione dei 98 com-ponenti del “Parlamentino”. Tra rutelliani e popolari è incorso un braccio di ferro sulle rispettive percentuali. Parisi,dal canto suo, si è rifiutato di inviare i suoi uomini, affer-mando che la propria corrente è sciolta e che lui è già nelPd. In realtà egli è furibondo per il nome avanzato comepresidente dell’Assemblea Federale, Enzo Bianco, ex pari-siano ma uscito dall’ala ulivista. Un altro Bianco, Gerardo,si chiama fuori: “Quello di Rutelli è stato un discorso pienodi convinzione e slancio ma non ha sciolto quei nodi costi-tuiti, a mio parere, dalla contraddizione tra la nostra cultu-ra e quella dei Ds. Rimangono da parte mia tutte le riservesul Pd, progetto a cui io sono estraneo”. Addio, insomma.

E Prodi? Cerca di tappare le falle ovunque escano. Cosìprova a tranquillizzare Castagnetti e dice: “Non ha sensodiscutere di collocazione internazionale, visto che quellodel Pd è un progetto originale”.

Se tra i Dl si litiga, ma non poi così fero-cemente, diverso è il discorso nei Ds, doveil congresso di Firenze sancirà la scissionedi Mussi e di altri ostili al progetto. Il fattoè che la battaglia riguarda anche la leaders-hip e le alleanze. Proprio sulla leadership, ilveltroniano Tonini è velenoso: “È chiaroche il Partito Democratico è il partito deldopo-Prodi, non quello di Prodi”. E sealmeno pubblicamente sia lo stesso Veltronisia D’Alema spiegano che il leader per oraresta il Professore, per il dopo, molto ma molto ravvicina-to, si discuterà. Prosegue Tonini: “Walter ha lanciato ilguanto, Massimo l’ha raccolto: è pronto anche lui a gioca-re sul terreno del consenso popolare”.

Come arginare il dissenso interno ai Ds, tuttavia, restaun mistero. Anche perché Angius concede gli otto giorni,pur restando ostile: “Le mie riserve restano e il mio dissen-

Se tra i Dl si litiga, diversoè il discorso nei Ds, dove il congresso di Firenzesancirà la scissione di Mussi e di altri ostili al progetto

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so è confermato. Penso che si stia sbagliando percorso,anche se convengo con Fassino che separarsi non è la solu-zione”. Per ora rimane in mezzo al guado: “Aspetteremo lafine dei congressi e decideremo ognuno autonomamente”.A sorpresa, anche Giovanni Berlinguer comincia a fare ciaociao con la manina. “Fassino in tutto il suo intervento –dichiara – non ha mai citato neanche una sola volta la paro-la ‘operaio’ e io non posso rimanere in un partito che nonesprime più l’esigenza della gran parte del Paese”. Chi siaspetta l’ennesima presa di posizione di Mussi non rimanedeluso. “Non so – rileva, riferendosi al manifesto approva-to dai saggi sulla base anche di una traccia rutelliana – se lafusione in corso sia calda o fredda: se il risultato è quelmanifesto, la fusione al momento è fallita. L’unica cosachiara è il riferimento al cristianesimo, certo, fondamenta-le componente della cultura universale, ma un principioreligioso non può costituite il fondamento costituzionale nédi uno Stato in Europa, né di un partito politico moderno”.Insomma, Mussi sbatte la porta e se ne va.

Il 22 si chiudono i congressi e quello della Margherita halo stesso esito del 2002, con Arturo Parisi che non vota elascia la sala. Rutelli viene confermato presidente con unsolo voto contrario. Dopo estenuanti trattative, i 98 saggivengono così suddivisi: 26 rutelliani, 8 diniani e i restantiai popolari, di cui 16 a Letta. “Questa guerra – commentaLa Forgia – è perché si illudono di poter costruire il Pd conun accordo blindato Ds-Dl: e allora le quote di entratasarebbero decisive. Ma noi faremo di tutto per costruire unaCostituente aperta”. Insomma la partita è anche tutt’altroche chiusa.

Anche i Ds chiudono i battenti. Ma Fassino è fuori dallagrazia di Dio perché sa dove finirà il percorso sulla leaderrs-hip: “Una sola cosa non posso accettare, che passi l’idea chequi ci sia uno che lavora, si fa in quattro, poi qualcun altrosubentri. Non lo posso accettare, non tanto per me ma per ilpartito. Significherebbe delegittimare il lavoro di tutto ungruppo dirigente che si è impegnato davanti al partito”.

Finiti i congressi, le certezze sono praticamente due, una

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ufficiale l’altra meno, ma neanche tanto: ilPd nascerà (e alla fine sarà deciso il 14 diottobre), il suo leader si chiamerà WalterVeltroni. E intanto la sinistra estrema sifrega le mani. Basta ascoltare le parole diAlessandro Bianchi (Pdci): “La nascita diun Pd blandamente riformista apre sconfi-nate praterie per la sinistra italiana”.

...e cominciò a prendere forma la “terza area”I sondaggi sono impietosi, ancora una volta “Ipr Marke-

ting” assegna una percentuale che non raggiunge la quotadi Ds e Dl messi insieme: un 27 per cento, che è meglio delprecedente 23 ma di certo non riesce a consolare. I Ds sonospaccati, con Mussi già transfuga e Angius che il 24 aprileannuncia l’addio e non aderisce al Pd (“il mio dissenso nonè compatibile con la partecipazione alla fase costituente”).Anche la Margherita perde i primi pezzi, che prima sidistinguono, poi lasceranno. L’iniziativa si chiama “il cuoreoltre l’ostacolo”, è promossa dall’Italia dei Valori, ma trovasostenitori nei Dl e precisamente in Willer Bordon e Rober-to Manzione. Non gradiscono l’autoreferen-zialità del gruppo dirigente del PartitoDemocratico, non accettano che le decisio-ni cadano dall’alto. E Bordon avverte: “Setroveremo un muro di gomma da lunedìdovremo riaprire sul serio la terza area peril Pd”. Manzione, che si complimenterà perla scelta coraggiosa di Angius, insiste nel-l’accusare Ds e Margherita di avere “un atteggiamentoautoreferenziale, da circolo del golf, dove per accedereserve il gradimento preventivo”. A chi gli chiede se ci siaodore di distacco, Manzione risponde: “Diciamo che quan-do arriva la primavera gli odori nell’aria sono tantissimi”.Ma a giudicare dalla reazione all’interno dei Dl, la presa diposizione fa male. Così come ai Ds fa male l’improvvisadecisione di Olga D’Antona, vedova del giuslavorista ucci-so dalle Brigate Rosse e deputata Ds, di dire no al Partito

I sondaggi sono impietosi:un 27 per cento,che è meglio del precedente23 ma di certonon riesce a consolare

Finiti i congressi, le certezze sonopraticamentedue: il Pdnascerà, il suo leadersi chiameràWalter Veltroni

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Democratico e scegliere l’alleanza conMussi. “Ho preso – dice in un’intervista alCorriere della Sera – la prima tessera delPci a 25 anni. Allora era anche una questio-ne di comportamenti, di facce. Le facceerano importanti. È chiaro che sto pensandoa Berlinguer e a quelli che se ne vanno afondare il Partito Democratico dicendo chenel nuovo Pantheon per uno come Berlin-

guer non c’è posto. Fassino, tra l’altro ci ha persino spie-gato di avere un Pantheon in cui c’è addirittura Craxi”. Mala D’Antona non manda giù neanche la corte che i Ds fannoad Adriano Sofri, che è andato ad assistere al congresso deiDs di Firenze. “Sì, lo so che è venuto ad assistere”. Ma nonè salito sul palco, perché tempo prima la D’Antona fumolto critica sulla presenza di Sofri sul palco del teatroCapranica di Roma, dove Fassino doveva presentare la suamozione. “Se non avessi protestato, guardi, ce lo saremmoritrovato pure sul palco di Firenze. Il che, diciamo, sarebbestato un po’ troppo”.

Adesso si discute anche sulla dataMentre i sondaggi, sempre loro, questa volta si occupa-

no delle eventuali primarie e certificano la vittoria netta diVeltroni, con solo D’Alema e Rutelli in grado di avvicinar-lo, e mentre decide di candidarsi anche Pierluigi Bersani, sicomincia a dibattere sulla data del parto, su quando nasce-rà il Pd. La proposta arriva da Fassino, che il 6 maggiodalle pagine del Corriere della Sera dice: “Per la maggio-ranza degli italiani il Pd c’è già. Quindi c’è bisogno di rapi-dità: ma che sia sensata. Ormai è assurdo pensare a marzo2008 come alla data per il congresso di fondazione. Troppo

lontano. Il 16 ottobre, anniversario dellePrimarie del 2005 (la farsa dall’esito giàscritto della andidatura di Prodi nella corsaa palazzo Chigi) teniamo l’assemblea costi-tuente che sia anche il congresso di fonda-zione del Pd. Così possiamo avere l’ambi-

Accusare Ds e Margherita di avere “un

atteggiamentoautoreferenziale,

da circolo delgolf, dove per

accedere serveil gradimento

preventivo”

Si comincia a dibattere sulla data del parto,

su quandonascerà il Pd

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zione di puntare ad un milione di elettori”. Esulta Prodi,senza pensarci un solo istante: “Il 16 ottobre mi sembra unadata splendida per avere una grande giornata democraticanel nostro Paese”.

Ma anche sulla data ci sono divisioni. La Margheritanon gradisce e insiste: sarebbe meglio eleggere l’assembleal’ultima settimana di giugno, è un errore aspettare fino aottobre. Ma soprattutto i Dl temono che Fassino si propon-ga come possibile coordinatore della fase transitoria. “Cosadirebbero i Ds – spiega uno dei tanti dirigenti della Mar-gherita in fibrillazione – se noi proponessimo Rutelli comecoordinatore”. Prodi però pensa che non si possano antici-pare i tempi, anche per via delle elezioni amministrativeche ostacolerebbero il cammino.

A freddare tutti gli entusiasmi ci pensa Francesco Rutel-li: “L’assemblea costituente il 16 ottobre? È un martedì, misembra difficile quel giorno”. Si farà il 14 ottobre.

Su queste fughe in avanti e improvvise frenate, intervie-ne duramente la dalemiana “Velina rossa” che scrive impie-tosa: “Lo spettacolo al quale in questi gior-ni assistono militanti ed elettori di Ds e Dl èdavvero deprimente. Una delusione che ser-peggia anche tra i parlamentari della vecchia Quercia, per iquali la discussione deve riprendere la forma di un con-fronto sereno. Deve intervenire D’Alema perché non si puòassolutamente continuare con il tira e molla degli esponen-ti dei due ex partiti Ds e Dl”. La Velina rossa non intervie-ne a caso, conosce bene gli umori della gente e al “botte-ghino”, sede dei Ds, sono in possesso di un sondaggiosegreto che descrive il Partito Democratico come un pozzosenza fondo, un buco nero. L’ultimo rileva-mento “fa impressione” confida chi l’havisto, chiedendo però la garanzia dell’ano-nimato. Tra il 23 e il 21 per cento, un recordda brivido. Quasi dieci punti in meno dellasomma algebrica dei due partiti alle Politi-che del 2006, sei punti in meno dell’ultimosondaggio, che pure era considerato negati-

Si farà il 14 ottobre

Al “botteghino”,sede dei Ds,sono in possessodi un sondaggiosegreto. Tra il 23 e il 21per cento, un record da brivido

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vo. E tutto questo appena un mese dopo i congressi di chiu-sura dei due partiti, con l’inevitabile impatto mediatico chene è scaturito. Il fatto è che dal giorno dopo, per dirla comeCuperlo, è iniziata “la babele delle voci”: risse sulla lea-dership, scontri su ogni tema in discussione sul tavolo (daiDico all’Ici le differenze tra Ds e Dl sono enormi e spessolaceranti), per arrivare alla questione di tutte le questioni: ilferoce dibattito sulla leadership. “Basta veline e veleni”,sbotta Fassino scrivendo a Prodi, sparsi attraverso “crona-che giornalistiche” e dai quali “non può venire nulla dibuono al progetto del Partito Democratico”. La verità è cheil dibattito non è intossicato dai veleni, ma dalla diffidenzareciproca che anima i Ds e la Margherita. Lo scontro riguar-da anche chi dovrà traghettare la sinistra verso il congresso.Alla fine la troika che porterà la sinistra al congresso saràrappresentata dai coordinatori Maurizio Migliavacca, Anto-nello Soro e Mauro Barbi. Essi saranno affiancati da uncomitato di 44 persone, fra cui spiccano i nomi del redivivo

Angelo Rovati, costretto alle dimissioni daconsulente di palazzo Chigi dopo avermesso bocca sul piano Telecom, di Gad Ler-ner e di Lilli Gruber, mentre spiccano leesclusioni Livia Turco, Giovanna Melandrie Santagata.

Certo, fa sorridere se si guarda l’elencodei componenti del comitato e il Pantheonideale delle figure storiche evocate da Fas-sino come padri ispiratori del Partito Demo-cratico. E non fa sorridere solo questo ma

anche la straordinaria eterogeneità delle personalità di rife-rimento, che dimostra quanto il Pd sia un contenitore dianime assai diverse. I nomi a cui pensa Fassino non sonopochi: Berlinguer, Eduard Bernstein (padre della socialde-mocrazia), i sindacalisti Giuseppe Di Vittorio e LucianoLama, Antonio Gramsci, Carlo Petrini, inventore del slowfood, De Martino, Lombardi, Nenni, Pertini, Saragat,Buozzi, Rosselli, Matteotti, Papa Giovanni XXIII, JohnFitgerald Kennedy e, per finire, anche Bettino Craxi. Di

Fa sorridere sesi guarda

l’elenco deicomponenti del

comitato e ilPantheon ideale

delle figurestoriche evocate

come padriispiratori del

PartitoDemocratico

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fronte a tanta abbondanza, non manca l’ironia della figliadel segretario socialista scomparso in esilio: “Già che Fas-sino c’è – suggerisce Stefania Craxi – perché Fassino nelPantheon non ci infila anche Totò e Macario?”

È in arrivo il terremotoLo provoca Dario Franceschini che dalle pagine di

Panorama propone: ad ottobre invece di fare solo il con-gresso del Pd eleggiamo pure il leader, insieme con laCostituente, distinguendo la leadership del nuovo soggettodalla premiership, in modo da lasciare al sicuro RomanoProdi. Franceschini spiega che le polemiche richiedono“un’accelerazione straordinaria” per lanascita del Pd, per evitare di tirare troppoalle lunghe la fase transitoria. Con lui sonoanche Veltroni e Anna Finocchiaro. In real-tà il Professore sa bene che è una trappola,perché nel momento in cui dovesse esseredesignato il leader del Partito Democratico,automaticamente egli sarà anche il candida-to premier. Uno dei coordinatori, Barbi, nonè d’accordo: “Si tratta di un’accelerazione eccessiva”. Tuttii prodiani sono convinti, a ragione, che la scelta della lea-dership di ottobre sia destinata a delegittimare Prodi. “Maè possibile – si lamenta Marina Magistrelli – che solo perProdi gli esami non finiscono mai? Lui che è l’unico adessere passato per un’investitura popolare, cioè le primariedel 2005”. Fa finta di non sapere, la Magistrelli, cosa pen-sano gli italiani di Prodi e del suo governo. Fa finta di noncapire che se la sinistra vuole fare le scarpe al Professore èproprio perché alla prova dei fatti, proprio agli esami hafallito, il premier. Il fatto è che Prodi invece di dire si o nolascia parlare i suoi, che ovviamente avvertono: così non simette in pericolo solo la persona di Prodi, ma l’esistenzadel governo stesso.

Per il momento la Quercia è cauta (non sarà così dopo)e inizialmente si esclude la contemporanea elezione delleader e dell’assemblea costituente. Dice Fassino: “L’asset-

Tutti i prodianisono convinti, a ragione, che la sceltadella leadershipdi ottobre sia destinata a delegittimareProdi

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to del partito sarà stabilito dalla Costituente che dovràapprovare il manifesto fondativo del Pd insieme ad uno sta-tuto che definirà gli assetti e le funzioni dirigenti. A quelpunto si deciderà”.

Le pressioni non cessano e Prodi scatena Giulio Santa-gata, ministro per l’Attuazione del programma che si rivol-ge direttamente a Walter Veltroni e smorza gli entusiasmi diquanti puntano all’elezione del leader. “Sono certo – dice –che Walter Veltroni concorda sul fatto che spetta all’As-semblea costituente decidere le modalità migliori per assi-curare al partito gli organi capaci di garantire ad esso il piùefficace coordinamento operativo sino al prossimo con-

gresso. L’esigenza che il Partito Democrati-co abbia una piena operatività fin dallanascita è condivisa da tutti noi”. Come dire:prima si fa il partito poi, solo poi, si nomi-na il leader. Insomma, il messaggio è chia-ro: Romano Prodi non vuole che il leaderdel Pd sia scelto il 14 ottobre dai cittadini,con le primarie. Nei piani del premier, conl’Election day nascerà l’Assemblea costi-

tuente, che poi nominerà i suoi organi dirigenti. Quindi itempi sono molto più dilatati di quanto vorrebbero France-schini, Veltroni e la Finocchiaro. È per questo che per stop-pare gli acceleratori, dalemiani e non, Prodi ha mandato inavanscoperta Santagata.

Potrebbe sembrare finalmente tutto chiaro. Ma le strat-tonate continuano, si chiede ancora l’elezione del leaderper ottobre, e Fassino, il 30 maggio apre per la prima voltaall’ipotesi: “Può essere prevista un’altra figura: il coordi-natore, segretario generale, speaker, qualcuno che si assu-ma la responsabilità quotidiana del partito”.

La scossa delle elezioniArrivano le amministrative e sono per la sinistra una

debacle, ma è soprattutto il nuovo Pd a leccarsi le ferite.Non si parla neanche di flessione, ma di crollo, anche per-ché la sconfitta arriva su un terreno tradizionalmente assai

Il messaggio è chiaro:

Romano Prodinon vuole che il

leader del Pdsia scelto

il 14 ottobre dai cittadini,

con le primarie

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favorevole al centrosinistra. E dove nonvince la destra, il paradosso è che stravincel’estrema sinistra. Una botta terrificante alleaspirazioni di Prodi e compagni. Dati allamano, il Partito Democratico è affondatosenza neanche aver salpato, perdendo unvoto su tre.

Prodi si mantiene alla linea decisa fin daquando aveva capito, sondaggi alla mano, che le ammini-strative sarebbero state una Caporetto: “Era un risultatoassolutamente atteso. Ho fatto un programma per 5 anni eil raccolto si farà alla fine”. Tuttavia, il Professore raccoglieil benservito di Francesco Rutelli. Nel corso della direzio-ne convocata per analizzare la sconfitta alle amministrati-ve, critica senza troppi giri di parole il premier e le suemancate scelte in materia soprattutto di politica economica,detta una nuova agenda, cioè una linea riformista che ilgoverno dovrebbe realizzare. Infine, il colpo finale. Rutellispiega di guardare “con favore alla sollecitazione di DarioFranceschini per accelerare i tempi della scelta del leaderdel Pd. Serve una leadership piena, che non sia tanto il frut-to di un’intesa tra i gruppi dirigenti dei partiti, ma che siain grado di mettere in pista idee, proposte ed energie percorrispondere tempestivamente e meglio a quanto ci chie-dono i cittadini”. Il de profundis a Prodi non poteva esserepiù chiaro.

Di fronte a questa linea, il Professore ha due possibilità:attaccare frontalmente Rutelli, oppure far finta di essered’accordo, almeno in parte. Così dice di non aver “nulla incontrario” ad accelerare, anche se avverteche ridurre i tempi significherebbe metterein pericolo il futuro stesso del Pd. Ma poilancia l’aut aut: “Adesso basta. D’ora in poicambia la musica. O si fa come dico io, oprendere o lasciare”. Stavolta però, con inmano gli sconfortanti risultati delle ammi-nistrative, il giochetto non funziona e nean-che le minacce. Prodi è isolato e il massimo

Il Professorelancia l’aut aut:“Adesso basta.D’ora in poicambia la musica. O si fa come dico io, o prendere o lasciare”

Dati alla mano,il PartitoDemocratico è affondatosenza neancheaver salpato,perdendo un voto su tre

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che può fare e promettere battaglia: “A ottobre mi candidoanche io”. Sa di non poterlo fare e sa che non la spuntereb-be mai.

Tutto pronto per VeltroniLe resistenze di Romano Prodi cadono una ad una ma

lui, da lottatore qual è (basta vedere come resta aggrappatoalla poltrona di palazzo Chigi contro tutto e contro tutti,anche contro i suoi, che tiene a bada solo a colpi di minac-ce), resiste tenacemente e procede con finta serenità. Aigiornalisti che lo circondano e gli chiedono se sarà Veltro-ni il leader del Pd, risponde serafico e rimanda tutto alle

Primarie, chi le vince diventerà segretario:“Ci sarà una gara vera, senza nessun postoprenotato. Non è che io voglio qualcuno,chi vince vince”. Poi assicura che “non cisarà diarchia” tra lui, che sarà presidente delPd, e il nuovo segretario. E su questo haragione, perché anche i muri sanno che acomandare sarà il segretario, mentre al Pro-

fessore toccherà il ruolo, di fatto onorario, di padre nobiledel neonato partito. Prodi mostra sicurezza anche laddovetutti si dicono scettici. Non c’è politico o autorevole com-mentatore che dubiti del fatto che l’elezione del nuovo lea-der del Partito Democratico rappresenterà il colpo di graziadel governo, delegittimato da uno – come Veltroni, peresempio – che per avere maggiore credibilità e per dare ilsegno di cambiamento dovrà obbligatoriamente prendereposizione contro la linea eccessivamente filo-sinistra estre-ma assunta dal governo fin dall’inizio. Forse per esorcizza-re questo stato di cose, il premier assicura: “State tranquil-li, sono sicuro che governerò per cinque anni, senza pauradei traguardi intermedi”.

Il vero nodo, tuttavia, è rappresentato dalle Primarie.Prodi sa bene, come sanno tutti i leader del centrosinistra,di essere il trionfatore delle Primarie 2005 solo perché esseerano finte e cucite apposta a sua misura. Non c’è mai statoalcun dubbio della sua vittoria. Come oggi non esiste alcun

Romano Prodiassicura che“non ci sarà

diarchia” tra lui, che sarà

presidente delPd, e il nuovo

segretario

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dubbio che sarà Veltroni il leader. Insomma,chi di spada ferisce, di spada perisce. Il fattoè che a parere di Prodi, ormai le Primariesono rimaste paradossalmente l’unico mezzo per far fuoriVeltroni. Infatti quando, all’indomani della sconfitta alleamministrative, il Professore impose la sua linea (dicendominaccioso: da oggi si fa come dico io), il percorso stabili-to era diverso: il leader del Pd sarebbe stato né più né menodi uno speaker e sarebbe stato eletto dall’Assemblea costi-tuente. Da allora, tuttavia, molta acqua è passata sotto iponti, il quadro politico del centrosinistra è profondamentemutato. Prodi, insieme con il suo governo, è in disgrazia,Veltroni è considerato il nuovo, colui che può apparirecome l’uomo del cambiamento e della scossa, non perchésia davvero capace di farlo ma perché in questi anni è rima-sto fuori dai giochi e i cittadini potrebbero percepirlo comediverso dall’armata Brancaleone dell’attuale esecutivo(comunque la stessa che avrebbe il buonWalter, ma questa è un’altra questione). Ilproblema è che a considerare con così tantastima Veltroni sono i leader dei partiti chesostengono Prodi. E Prodi stesso ormai hacapito che più passa il tempo e più in casodi elezione del segretario del Pd da partedell’Assemblea Costituente a spuntarlasarebbe il sindaco di Roma. Con lui l’hannocapito anche coloro che sono ostili a Veltro-ni. Così con un’accelerazione improvvisaed un cambio di direzione, che ha l’obietti-vo di mettere in difficoltà Walter, il cosiddetto “Comitatodei quarantacinque” decide che il Pd avrà un segretario, chenon sarà scelto a tavolino tra i partiti ma dovrà passare peruna legittimazione popolare: chiunque si voglia candidaredovrà collegare il proprio nome a una delle liste che con-correranno per la formazione dell’Assemblea costituente diottobre. Il candidato che avrà più voti sarà il nuovo capodel partito.

La prima vittima di questa decisione non è Prodi ma Vel-

Il cosiddetto“Comitato deiquarantacinque” decide che il Pd avràun segretario,che non saràscelto a tavolinotra i partiti ma dovràpassare per unalegittimazionepopolare

Chi di spadaferisce, di spadaperisce

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troni, che dalla Costituente avrebbe avuto maggiori speran-ze. Anche se solo sulla carta, perché le Primarie, sia quelledel 2005 sia quelle del 14 ottobre sono solo la certificazionedi ciò che è già stato deciso e ampiamente fatto sapere allabase. Dice un membro del comitato, ovviamente dietro ano-nimato: Prodi “ormai nel Partito Democratico non ha piùvoce in capitolo e deve occuparsi solo del governo, se ciriesce”. Proprio Veltroni, annusando la trappola, è l’unico adopporsi apertamente alla decisione: “Attenti, perché cosìrischiamo di andare verso una competizione tra un candida-to della Quercia e uno della Margherita che ricaccerebbe ilPd nella trappola dell’eterno dualismo tra i due partiti fonda-tori”. Insomma, per il sindaco di Roma questa accelerazioneè dannosa. Non vuole scontrarsi con il suo partito d’originee in particolare con D’Alema. E in più, visto che il suo man-dato di sindaco scade nel 2011, avrebbe preferito decideredel suo futuro in un momento diverso, magari capendo se lasalute del centrosinistra volga al bello, senza logorarsi in unlungo cammino senza certezze. Partire ora, per Veltroni, rap-presenta infatti una scommessa al buio, fatta nel momentopeggiore e con il rischio di essere il candidato premier di unacoalizione perdente. A dare conferma a questo stato di cosee a certificare la sconfitta di questo round per Veltroni è Gof-fredo Bettini, consapevole della riuscita dell’operazione“anti-Walter”, ma allo stesso tempo che “o lui prende questotreno ora o l’ha perso definitivamente”.

E lui, Walter Veltroni, ascolta il fedele amico e dice “si”,ma lo fa in privato e si ripropone di tenere ancora tutti conil fiato sospeso. “Non aspetterete a lungo…”, dice il 21 giu-gno sentendosi molto Messia. “Mercoledì a Torino scio-glierò la prognosi sulla mia decisione”. Con sapiente abili-tà mediatica, Veltroni si muove dando ancora più enfasi alpasso, con l’obiettivo – riuscito – di disinnescare la trappo-la delle Primarie e farle apparire anche per lui una sempli-ce ed ipocrita formalità.

Mercoledì 27 giugno, con un discorso al Lingotto diTorino, Walter Veltroni si autoincoronerà leader del PartitoDemocratico e farà in modo che tutti gli altri credano di

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essere stati loro a designarlo. Prodi è furen-te, Fassino (al quale hanno scippato ciò cheper cui ha lavorato tanto) è distrutto, alpunto che si parla di un ruolo nel governo(ipotesi assai complicata perché se si apre ilcalderone salta tutto e rischia di non essercipiù un governo).

Dopo l’annuncio di quando farà l’annun-cio, sul quale davvero nessuno dubita, il sin-daco di Roma si mette subito al lavoro. Incontra il delusoFassino, parla al telefono, legge i sondaggi. Ecco, proprio isondaggi sono perfetti per la sua entrata in lizza. Il colpo adeffetto sortisce infatti i suoi risultati e secondo una primaindagine demoscopica, con lui alla guida il Pd passerebbedal 25 al 34 per cento (secondo Renato Mannheimer “l’ef-fetto Walter vale il 10 per cento). Vero, determinato dall’en-tusiasmo iniziale o falso che sia, il sondaggio colpisce. Èperfino troppo ovvio che poi il consenso calerà non appenai simpatizzanti di sinistra si accorgeranno che Prodi e Vel-troni pari son, perché gli alleati sono sempre gli stessi equindi anche le magagne e i problemi checreano. In effetti, proprio Mannheimer spie-ga che “si tratta di trasformare le intenzionidi voto in consensi ‘veri’”. E Veltroni, perspuntarla dovrà convincere i delusi di oggifacendo conoscere per esempio “sin d’ora –prosegue il sondaggista – cosa intende faresulla Tav, sulle pensioni, sulle tasse”, chesono proprio gli scogli dov’è caduto Prodigrazie ai diktat dell’estrema sinistra, cioè diquelle forze politiche con cui dovrà allearsianche Walter. Dopo l’attività di pubbliche relazioni, per tes-sere la tela della sua candidatura, Veltroni si prepara adandare a Barbina, presso la tomba di don Lorenzo Milani. Echi sarà con lui? Dario Franceschini. Colui che tutti dannoper vice-Veltroni. Quindi, prima ancora di sciogliere lariserva, il ticket per la guida del Partito Democratico è giàpronto: Veltroni e Franceschini. E Prodi? Chi era costui?

Il colpo ad effettosortisce i suoi risultati e secondo unaprima indaginedemoscopica,con lui allaguida il Pdpasserebbe dal 25 al 34 per cento

Mercoledì 27giugno, con un discorso al Lingotto diTorino, WalterVeltroni siautoincoroneràleaderdel PartitoDemocratico

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Veri o fittizi, spuntano gli avversari di VeltroniA lanciare il grido d’allarme è Arturo Parisi, padre nobi-

le del Partito Democratico. “Se Veltroni dovesse restarel’unico candidato alle primarie – dice il 25 giugno, ovveroa due giorni dal discorso di Veltroni al Lingotto – mi can-dido io”. Il ministro della Difesa si ribella al meccanismounanimistico che si sta creando in vista del 14 ottobre. Nonsi deve trattare, è il pensiero, di un’incoronazione incondi-zionata di Veltroni, ma di un processo democratico. Quindi

Parisi invoca una vera competizione. E conlui Romano Prodi, che non accetta l’ideache il suo governo possa essere logoratodall’effetto novità rappresentato dal sindacodi Roma. Il Professore, assicurano nel suoentourage, si prepara “a vendere cara lapelle”. Ma la realtà è che il premier è assaiirritato. Lo stesso interessato non nascondeil suo fastidio: “Non sono assolutamente

d’accordo che l’avvio della sua candidatura (di Veltroni,ndA) coincida con il tramonto del mio governo”. SempreProdi assicura, appena un giorno prima del discorso dellacorona che Veltroni terrà al Lingotto, che “le Primariesaranno una bella gara e penso che ci saranno più candida-ti”. Anche il Professore è d’accordo con il fedelissimo Pari-si che le Primarie non potranno e non dovranno trasfor-marsi in un plebiscito già scritto, come però avvenne ancheper le Primarie che incoronarono proprio Prodi comeavversario ufficiale di Berlusconi nella corsa a palazzoChigi.

Se Veltroni crea parecchi mal di pancia in Prodi e nelsuo entourage, non è che tra i Ds scorra champagne a fiumi.Anzi... Mentre il “prescelto” fa professione di umiltà,sostiene di non essere “nervoso” e si augura di “dormirestanotte”, alla vigilia del discorso, e anticipa che “non ètempo di sogni ma di risposte” preparandosi a “dire conmolta umiltà quello che penso”, nel quartier generale dellaQuercia si mostra non poco fastidio per il tripudio mediati-co dimostrato intorno a Walter, neanche lontanamente para-

Non si devetrattare di unaincoronazione

incondizionatadi Veltroni, madi un processo

democratico.Quindi Parisi

invoca una veracompetizione

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gonabile alla freddezza con cui vengonosistematicamente accolti gli altri leader delpartito. “La libertà di stampa è momenta-neamente sospesa”, dicono al Botteghino,sottolineando una certa accoglienza acriticariservata a Veltroni, ma dimenticando quan-te volte la stampa ha chiuso un occhio, e avolte anche tutti e due, per esaltare D’Ale-ma e Fassino o per evitare di amplificarevolta per volta magagne e rogne che esplodevano. Ma anessuno di questi due è mai capitato il miracolo mediaticodi cui gode il sindaco di Roma, in parte conseguenza di unasituazione talmente disperata da far apparire Walter comel’unico in grado di invertire la tendenza. “Walter santosubito”, ironizza un grande vecchio della sinistra comeEmanuele Macaluso. Ma la richiesta di avversari da oppor-re a Veltroni si fa via via più pressante.

E l’insistenza aumenta proprio dopo il discorso del Lin-gotto, un’ora e mezzo in cui Veltroni propone tutto e il con-trario di tutto. Un’ora e mezzo in cui Walter sembra igno-rare che a parole si può proporre qualsiasiprogramma di governo, ma che non si puònon tener conto della sinistra estrema, cheesiste, vive e lotta insieme con Prodi. Sevuoi governare – è il pensiero di quantivedono Veltroni come un marziano incon-sapevole che la sinistra vince le elezionisolo grazie all’apporto determinante dell’e-strema sinistra – non puoi fare a meno diDiliberto, Pecoraro Scanio e Bertinotti. Quindi puoi annun-ciare quanto vuoi una politica riformista, ma devi ancheessere in grado di realizzarla, cosa tutt’altro che facile.

È questo il motivo per cui molti, a cominciare da Parisi,considerano Walter un bluff, o comunque tutto meno che larisoluzione dei problemi. Parisi, sostenendo che con l’inse-diamento di Veltroni si rinnega il percorso fin qui fatto, èlapidario: “La scommessa che si è aperta è la costruzione diun partito che sceglie il leader e non di leader che sceglie il

Puoi annunciarequanto vuoiuna politicariformista, madevi ancheessere in gradodi realizzarla,cosa tutt’altroche facile

Nel quartiergenerale della Quercia si mostra nonpoco fastidioper il tripudiomediaticodimostratointorno a Walter

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partito”. Prova a fare il grillo parlante, il ministro dellaDifesa, ma l’entusiasmo non gli permette di fare troppi pro-seliti. Con lui, il prodiano Mario Barbi: “Non si può cheessere d’accordo su praticamente tutto quello che ha detto.Mi piacerebbe però avere anche altre idee e altre proposteper poter fare un confronto”. Che tradotto: molti luoghicomuni ma senza realismo. Tutti avrebbero potuto dire lestesse cose, ma una cosa è parlare un’altra è trovarsi alcospetto della realtà.

Queste scaramucce dimostrano che lo scontro sulla lea-dership è ancora all’inizio. Franceschini, ilnumero due designato, replica a Parisi:“Fossi in lui, anziché lamentarmi andrei in

osteria a ubriacarmi, per festeggiare il progetto della vitache si realizza. Le primarie non sono inutili anche se il can-didato è uno solo. Servono a registrare il grado di consen-so, a dare forza alla leadership”. Sarà, ma alla fine altri can-didati spuntano all’orizzonte.

Uno di loro si chiama Enrico Letta, incoraggiato daisondaggi che gli attribuiscono il 45 per cento delle prefe-renze come “candidato alternativo” a Veltroni. Più di RosyBindi (36 per cento), di Pierluigi Bersani (35 per cento) edi Francesco Rutelli (30 per cento). Ma per ora, forse cer-cando di ottenere lo stesso effetto mediatico che ha arriso aVeltroni, preferisce tenere tutti con il fiato sospeso. Dal

sondaggio emerge però un altro dato, che dicerto fa sorridere Parisi: il 62 per centodegli elettori del Pd è convinto che “dovreb-bero esserci più candidati”. Ma Fassinosbotta proprio contro il ministro della Dife-

sa: “Visto che Parisi sollecita tutti a candidarsi, si candidilui, raccolga un ampio consenso e la finiamo lì, con un tor-mentone ogni mattina”. Come dire: la smetta di rompere lescatole.

Come la goccia che giorno dopo giorno scava anche laroccia, però, Parisi riesce nell’impresa e gli avversari spun-tano uno dopo l’altro, forse troppi. Il solo che si chiamafuori dalla lotta è proprio uno di quelli che potrebbe dav-

Altri candidatiall’orizzonte

Gli avversarispuntano uno

dopo l’altro,forse troppi

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vero insidiare la leadership di Veltroni: Pierluigi Bersani. Ilministro delle Attività Produttive annuncia la sua rinunciaalla corsa con una lettera. “Per come si sono svolte le cose– scrive – quello che avrebbe potuto essere un arricchi-mento del nostro percorso rischierebbe oggi di diventare unelemento di disorientamento di una parte importante delmondo a cui ci rivolgiamo”, tanto più “in ragione di unasituazione politica che viene percepita come delicata eimpegnativa”. Ma è la conclusione a provocare traumi eirritazione fra i prodiani: “Capisco bene che si possa esse-re in disaccordo con tutto questo, e tu certamente lo sei. Iostesso ho pensato a come il nostro primo passo avrebbepotuto essere diverso e diversamente innovativo anche perla tradizione politica a cui appartengo. La mia non è unarinuncia”, perché “farò valere le mie idee” appoggiando“con le mie convinzioni la candidatura di Walter Veltroniche ho sempre ritenuto un possibile e autorevole punto disintesi delle forze che dovremo raccogliere il 14 ottobre eche è già in grado di suscitare un importante risveglio difiducia”. Mentre nel campo diessino la lettera di Bersaniviene accolta con favore e gratitudine, tra i prodiani, Parisiin testa, giudica “incredibile” la scelta del ministro.“Abbiamo ancora qualche settimana di tempo – dichiara il9 luglio il ministro della Difesa – prima di arrenderci all’i-dea che ci sarà un solo candidato segretario e che quindiinvece di fare le primarie faremo un plebiscito”.

Detto fatto, cominciano a farsi avanti in molti: EnricoLetta e Rosy Bindi, forti dei sondaggi, sono i primi. Que-st’ultima spiega che “sta valutando con grande serietà” lapossibilità di correre. “Sarebbe – spiega – molto importan-te un segnale di cambiamento: la presenza di una donna trai candidati alla segreteria del nuovo parti-to”. Letta continua a non sciogliere la riser-va. Ma all’orizzonte si profilano altri volti,a cominciare da Furio Colombo, senatoreDs ed ex direttore dell’Unità. “E ora Moret-ti si faccia vivo”, invoca facendo già capirequale potrà essere il suo stile nell’improba-

Detto fatto,cominciano a farsi avanti in molti: Enrico Letta e Rosy Bindisono i primi

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bile corsa alla leadership. Se Parisi accoglie con indifferen-za la candidatura di Colombo, diverso il suo umore è per lascelta della Bindi. “Sono molto contenta – si scherniscel’interessata – delle dichiarazioni di sostegno e di incorag-giamento che mi sono venute da molti e in maniera parti-colare da Parisi, che stimo e con il quale lavoro insieme damolto tempo... Credo sia arrivato il momento in cui ledonne possano competere in prima persona per ricoprireincarichi principali e questa competizione tutta al maschilecredo che non aiuti, non motivi chi in questi anni si è tenu-to troppo fuori dalla vita politica, i giovani da una parte ele donne dall’altra”. Sa di correre per perdere, la Bindi, ma

come una zanzara vuole dare fastidio eacquisire anche un po’ di visibilità e unposto di rilievo nella futura classe dirigentedel Pd, visto che è quello che otterrannotutti i candidati nella corsa alla guida della

segreteria. Veltroni commenta a denti stretti: “È la demo-crazia”. Il fatto è che questa democrazia prevede altri can-didati ancora. Il termine per la presentazione della candida-tura è fissato al 30 luglio e in due settimane può succederedavvero di tutto. Poi, entro il 22 settembre dovranno esse-re presentate le liste per l’elezione all’Assemblea naziona-le del Pd. Il 14 ottobre si svolgeranno le Primarie, sia per illeader che per l’Assemblea, e il 27 ottobre farà il suo debut-to l’Assemblea nazionale.

Il 21 luglio, finalmente, tocca ad Enrico Letta scioglierela riserva. Prima firma per il referendum sulla riforma dellalegge elettorale, poi annuncia la sua decisione a candidarsicome avversario di Veltroni, che sarà ufficializzata tre gior-ni dopo. Ed è un nome di quelli che fanno paura, perché neisondaggi Letta vola, non come il sindaco di Roma ma nonè neanche troppo distante. Molta meno paura, ma tanta irri-tazione, arriva dalla candidatura di Marco Pannella, giudi-cata come un’azione di disturbo. “Mi candido – annuncia –per salvare il centrosinistra innanzitutto da se stesso, da unaevidente liquefazione che può portare alla nascita di un Pdgià battuto o condannato ad un’impresa impossibile”. Vel-

Veltronicommenta a

denti stretti: “Èla democrazia”

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troni sorride, comunque infastidito da chi vuol far apparireil Partito Democratico niente di più che il palcoscenico diun teatrino poco serio: “Marco (Pannella, ndA) ogni tantosi diverte, è simpatico e coglie occasioni in cui i riflettorisono accesi per esserci”.

Secondo il coordinatore del Pd, Maurizio Migliavacca,“le regole sono chiare. Partecipano alle Primarie coloro cheabbiano aderito al progetto del Pd”. Quindi,non Pannella. Il quale, com’è suo costume,tuona: “Il regime mi vuol sabotare”. Non sipiegherà, giura, a un atto “antidemocratico,antipolitico, stoltamente burocratico e diregime”. E mentre il leader radicale annun-cia ricorso innanzi al giudice civile di Roma, irrompe all’o-rizzonte la gagliarda figura di Antonio Di Pietro, che pro-prio all’ultimo momento decide di correre per guidare il Pd.

Alla scadenza del termine per le candidature, i candida-ti veri o d’immagine sono nove: Veltroni, Rosy Bindi, Enri-co Letta, Marco Pannella, Antonio Di Pietro, il bloggerMario Adinolfi, Furio Colombo, Pier Gior-gio Gawronsky (economista cinquantenne evolontario per varie organizzazioni umani-tarie), e Jacopo Gavazzoli Schettini, diretto-re dell’Agenzia europea di investimenti. Tredi essi, non i più sconosciuti, non vengonoaccettati dall’ufficio tecnico-amministrati-vo per le Primarie del Pd: Pannella, Di Pie-tro e Colombo. Solo quest’ultimo decide di rinunciaresenza creare problemi. E se Pannella si rivolge direttamen-te al tribunale, Di Pietro, che parla di “competizione con iltrucco”, non nasconde la sua irritazione: “La mia esclusio-ne è frutto di beghe e di piccoli calcoli di bottega. Il nostromodo di fare politica dà fastidio al manovratore e ai mano-vratori. Ho parlato con Prodi e a lui avrebbe fatto piacere ilcoinvolgimento mio e dell’Idv al processo costituente delPartito Democratico”. Ma lo stesso Prodi avverte gli esclu-si: prima bisogna sciogliere il proprio partito, poi si puòcorrere per la leadership. Oramai, però, è tardi.

Tre di essi non vengonoaccettatidall’ufficiotecnico-amministrativoper le Primariedel Pd

Alla scadenzadel termine perle candidature, i candidati verio d’immaginesono nove

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Rissa continuaPrima si litigava sulla collocazione europea, poi sulle

radici cristiane, quindi, all’interno dei partiti, sulla colloca-zione italiana, cioè se troppo al centro (per i Ds) o se trop-po a sinistra (per la Margherita). Discussioni che non sonostate indolori, visto che il Partito Democratico ha perso perla strada parecchi pezzi: Mussi, Angius e la Sinistra Demo-cratica, Bordon, Manzione e, all’ultimo momento, Lamber-

to Dini. Successivamente, le liti sonocominciate sulla leadership, su Prodi chenon trainava più, sulla separazione tra lea-dership e premiership (quanto meno perassicurare al Professore una dignitosadiscesa verso l’anonimato). Chiuso l’argo-mento, con la candidatura di Veltroni, larissa è proseguita sul tentativo di affiancareal sindaco di Roma altri candidati, tanto danon far apparire le Primarie come un plebi-

scito per “un uomo solo al comando”. Di agnelli sacrifica-li ne sono stati trovati otto, ne sono stati accettati cinque eanche le esclusioni hanno fatto discutere e non hanno evi-tato insulti e litigi. Non è mancata la diatriba sul denaro eUgo Sposetti, l’uomo che, per dirla con le sue parole, hasanato con un “colpo di culo” il bilancio dei Ds, ha annun-ciato che di tutto il denaro di proprietà della Quercia non unsolo euro confluirà nelle casse del Pd, e andrà invece allefondazioni. Sempre in materia di vil denaro, si è avuta, e siha ancora, la rissa su quanto dovrebbero pagare i cittadiniper votare alle Primarie. 10 euro, no 5, ma dai, facciamo1... E la lite continua per stabilire l’obolo.

Si pensava che con le sei candidature, le discussionisarebbero finite i gli aspiranti leader sisarebbero confrontati sui programmi. Nien-te di più sbagliato. Sono volati e volanoinsulti, neanche i sei appartenessero a dueschieramenti opposti, destra e sinistra, perintenderci.

Enrico Letta è fra quelli più morbidi,

Affiancare al sindaco

di Roma altri candidati,

tanto da nonfar apparire le Primarie

come unplebiscito per

“un uomo soloal comando”

Sono volati e volano insulti,

neanche i seiappartenessero

a dueschieramenti

opposti

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anche se i concetti fanno male: “Sto facendo una campagnasui temi, ma è bene dire qualcosa anche sulle regole chepotevano essere migliori. Sono state costruite intorno all’i-dea del candidato unico”, cioè di Veltroni. L’accusa chearriva più frequentemente contro il sindaco di Roma è quel-la di “verticismo”. L’ulivista Franco Monaco se la prendecon il programma di Veltroni: “Non servono slogan, maveri atti di rottura”. La Bindi lo invita a liberarsi dal “pre-dominio delle oligarchie”, Letta battezza come “antivertici-stico” il suo tour elettorale e chiede di poter vedere gli elen-chi dei votanti alle Primarie per Prodi del 2005: “Ho timo-re che esistano e non siano disponibili per tutti, cosa cheriterrei scorretta”. Gli elenchi non esconofuori e si dice siano chiusi in un armadio adisposizione di nessuno. “Gli elenchi –replica Sposetti – sono dell’associazionedell’Unione e a disposizione del centrosini-stra, non di questo o quel candidato. Èescluso che qualcuno li possa utilizzare espiace che Letta sia caduto in questa pole-mica”. Ma proprio nessuno ci crede. E così si alimenta ilsospetto che alle Primarie del 2005 i votanti fossero moltomeno di 4 milioni.

Ma gli animi si surriscaldano. Beppe Fioroni, in un’in-tervista al Mattino se la prende con quanti accusano di ver-ticismo Veltroni e imputa loro di creare “instabilità”. Suglianti-veltroniani, Fioroni è durissimo: “Mettono già adessole mani avanti per dire che le primarie sono viziate e chel’enorme consenso per Veltroni sarebbe inquinato da mano-vre degli apparati dei partiti”. Quanto alla Bindi e a Letta,“se si candidano con la trasparenza che rivendicano, devo-no presentare proposte alternative a quella di Veltroni emarcare la loro differenza anche a livello locale... Ma secosì non fosse, sarebbe bene ricordare che in politica incerte condizioni sarebbe più utile fare un passo indietro”.Secca e altrettanto violenta la risposta della Bindi: “Ancheil ministro dell’Istruzione farebbe bene ad andare in vacan-za. Visto che è Ferragosto, se si riposa con gli studenti e gli

Si alimenta il sospetto che allePrimarie del2005 i votantifossero moltomeno di 4 milioni

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insegnanti forse non è male. Una calmatina penso che glifarebbe bene”.

A proposito di vacanze, la Bindi dice di non vedere l’orache Veltroni torni dalle Maldive: “Sarà il primo interessatoa fare tacere i suoi sostenitori che tutti i giorni provocano,offendono, prendono delle posizioni assolutamente inaccet-tabili”. Sembra quasi che partendo per le vacanze il sinda-co di Roma abbia dato incarico ai suoi di far la guardia albidone e che molti di essi abbiano preso fin troppo seria-mente l’incarico, fino al punto da essere fin troppo duri congli altri candidati. La cosa più strana, o forse no, è che adifendere Veltroni non è mai intervenuto un D’Alema, un

Fassino, un Marini. Un segno inequivocabi-le di come tutti abbiano dovuto ingoiare ilboccone amaro della sua candidatura, senzaperò essere disposti a muovere per il sinda-co di Roma un dito più del necessario.

Pur essendo molto lontano dall’Italia,Veltroni sembra sentire fin troppo benel’eco delle polemiche. Così prende carta e

penna e scrive una lettera che non risparmia nessuno, acominciare da Prodi, che sadico fino alla fine se ne sta indisparte e si gode lo sfascio. “Per quanto mi riguarda – diceWalter – sono favorevole a procedere diversamente rispet-to alle Primarie che designarono Prodi come candidato pre-mier, a dar vita ad un confronto pubblico” con gli altri can-didati. Cosa che il Professore si guardò bene dal fare.

Veltroni se la prende anche con la Bindi, che non hamancato di ironizzare sulla bella vacanza del sindaco,annunciando che la prima domanda che farà al candidatoleader del Pd sarà: “Come sono andate le vacanze alle Mal-dive?” Così Walter invita tutti ad evitare un confronto“demolitorio”, che sarebbe “deprimente” e “inaccettabile”per i cittadini. E a non “richiuderci subito nello stereotipodella rissa da talk show”, creando “un clima grottesco”.Insomma, dice alla vecchia democristiana Bindi, e forseanche a Letta, che bisogna abbandonare “i vecchi e logorischemi del più deteriore professionismo politico, per i quali

La cosa piùstrana è che a difendere

Veltroni non èmai intervenuto

un D’Alema, un Fassino, un Marini

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ciò che conta è come posizionarsi in vista difuturi organigrammi”. Veltroni concludeinvitando i “Tafazzi” dell’Ulivo: “Non fac-ciamoci del male come al solito”. Per tuttarisposta, all’invito al dialogo e a smetterlacon gli insulti la Bindi replica dando dell’ipocrita a Veltro-ni: “Ti servi di insinuazioni nel tentativo di coprire i tuoisilenzi sui nodi programmatici e problemi veri. L’unicarisposta che mi dai è quella sul confronto pubblico con tuttii candidati. Era ora! Ma è spiacevole chiamare in causa ilpovero Prodi e marcare una differenza di comportamentoche non ha ragion d’essere”.

Di fronte a questo quadro, più di ogni commento valgo-no le parole di Anna Finocchiaro, candidata mancata, chia-matasi intelligentemente fuori dalla contesa: “In quella chedoveva essere una fase attraente assistiamo a discussioniche non rendono allettante il dibattito sul Pd. E questo nonpuò che essere un problema, se vogliamo fare un grandepartito dei riformisti, aperto e plurale”. In sostanza, troppepolemiche.

Ma tant’è, il percorso del Partito Democratico è nato conle polemiche, le liti e le risse, ha proseguito il suo percorsoaccompagnato da esse ed è destinato ad arrivare alle Pri-marie senza che alcuno si plachi. Il marchio di fabbrica delPd non è altro che questo. E chiunque abbia cercato diabbassare il livello dello scontro ha dovuto prudentementefarsi indietro per non essere investito dai piatti che volava-no. E dire che il Partito Democratico doveva rappresentarel’ala dialogante e riformista della sinistra, in contrapposi-zione all’ala radicale rappresentata da Prc, Pdci e Verdi. Sequesto è il buongiorno, figuriamoci il resto della giornata.E chissà quanto sarà contento il Paese dell’ennesimo parti-to italiano, forse un po’ più grosso degli altri, nato da unafusione a freddo, ma dove gli animi sono davvero troppocaldi. C’era davvero bisogno di un simile percorso per darvita ad uno spettacolo come questo? Ai cittadini la risposta.Anche se, a dire il vero, il giudizio migliore arriva proprioda uno degli artefici del Pd, nonché amante deluso del pro-

Veltroniconclude “Nonfacciamoci del male comeal solito”

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getto: Arturo Parisi. Ai giornalisti che gli chiedono se siaamareggiato, il ministro della Difesa risponde: “Se avessila libertà di linguaggio di Beppe Grillo, la parola giusta cel’avrei. Finisce in ‘ato’ ma vi assicuro non è amareggiato”.Descrizione più chiara del Pd non poteva essere fatta.

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Il PD e il sangue di Moro

di Arturo Diaconale2

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a vera data di nascita del Partito Democratico non èquella del 14 ottobre 2007 ma quella del 16 marzo1978. Volendo, naturalmente, si potrebbe andareancora indietro nel tempo. E, magari, senza dovernecessariamente citare la frase di Alcide De Gaspe-ri secondo cui “La Dc è un partito di centro che

guarda a sinistra“, partire dal primo centro sinistra del 1962di Amintore Fanfani. Tutto per sostenere che la fusione trapost-democristiani di sinistra e post-comunisti – talmenteconvertiti alla democrazia da non essere più neppure socia-listi – non è il frutto di una particolare circostanza ma èscritto nel destino della storia politica del paese.

Qualcuno, anzi, potrebbe spostare completamente il tiro.E, a colpi di citazioni di Don Milani e donDossetti, arrivare a sostenere che se c’è unaradice da cui proviene la pianticella del Par-tito Democratico questa è rappresentata dalConcilio Vaticano II.

Quello indetto nel ‘59 da GiovanniXXIII e concluso nel ‘65 da Paolo VI all’in-segna della sostanziale apertura della Chie-sa non al vento della modernità, come sisosteneva al tempo, ma alla brezza dell’i-deologia egemone e dominante di quelperiodo. Cioè quella marxista. Ed in nome

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L

La fusione tra post-

democristiani di sinistra e

post-comunistinon è il frutto

di unaparticolare

circostanza maè scritto nel

destino dellastoria politica

del paese

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Il PD e il sangue di Moro

non del progresso, della necessità di andare al passo dellastoria e non rimanere fermi al tradizionalismo del passatoed alle chiusure pacelliane. Ma in nome della rassegnataconvinzione della ineluttabilità del prossimo trionfo delblocco e del sistema sovietici sui paesi e sulle società aper-te del mondo occidentale. E della necessità di cercare lasopravvivenza della Chiesa riesumando l’esperienza deitempi di Costantino, mescolando sincreticamente cattolice-simo e marxismo e puntando ad un accordo salvifico conl’Impero dell’Est.

Insomma, a voler giocare con date ed antefatti, ci sipotrebbe sbizzarrire a trovare antecedenti significativi allafusione tra gli eredi dei cattolici democratici della “balenabianca” democristiana ed i discendenti del Pci “avanguar-dia della classe operaia”.

Ma se si vuole rimanere sul terreno rigidamente e stret-tamente politico non si può non fissare nel giorno del rapi-mento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse ilmomento in cui avviene l’innesto tra dueculture, due tradizioni, due movimentidiversi e per lungo tempo antagonisti edalternativi che oggi produce il frutto delPartito Democratico. La data del 16 marzo,ovviamente, è simbolica. Perché segna ilmomento materiale in cui la Dc di allora –guidata dai cattolici democratici – ed il Pcidi allora – pilotato dal teorizzatore del com-promesso storico – sono costretti dalladrammaticità degli avvenimenti a passare dalla teoria allapratica, delle ipotesi astratte alla realtà concreta. E decide-re di fare fronte comune contro il terrorismo non con unaalleanza contingente che può essere modificata o abbando-nata sulla base delle mutate condizioni politiche generalima con una vera e propria fusione dei due Dna destinata aprodurre quel “cattocomunismo” che è l’unico e solo trattodistintivo del Partito Democratico.

Il mastice che salda la fusione di allora da cui discendequella di oggi è il sangue di Aldo Moro. Detta in questi ter-

Non si può non fissare nel giorno del rapimentodi Aldo Moroda parte delleBrigate Rosse il momento in cui avvienel’innesto tradue culture

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Il PD e il sangue di Moro

mini l’affermazione può apparire brutale.Ma nessuna prudenza e accortezza lessicalepuò cambiare la spietatezza di quel partico-lare momento. Mai, nel corso di tutta la sto-ria dello stato unitario, le fredde ragionidegli interessi politici hanno prevalso suisentimenti umanitari più istintivi ed irrazio-

nali come nei giorni del rapimento di Aldo Moro. La Dcscelse drammaticamente di sacrificare il proprio leader sto-rico per non compromettere quell’alleanza con la più gran-de forza popolare dell’epoca che garantiva di assicurare alsistema la forza necessaria per reggere all’offensiva del ter-rorismo. A sua volta il Pci decise di abbandonare nelle manidelle Br l’uomo che aveva lungamente preparato l’incontropolitico tra cattolici e comunisti. E lo fece per dimostrare alpaese ed al mondo che la sua transizione al sistema demo-cratico si era conclusa e che il proprio impegno nella lottaal terrorismo dell’”album di famiglia” lo legittimava defi-

nitivamente come forza di governo in unpaese occidentale. Insomma, il sangue diMoro servì sul momento ad intrecciare dueinteressi diversi ma concomitanti. Quellodella Dc di salvare il sistema e se stessa,quello del Pci di entrare definitivamente nelsistema e diventarne un perno insostituibile.L’incontro di queste due esigenze produsse

una fusione a caldo da cui nacque l’ideologia del cattoco-munismo che oggi provoca la fusione a freddo da cui nasceil Partito Democratico.

È da quel drammatico giorno del ‘78, quindi, che si devepartire per capire il Dna del Pd e le sue caratteristiche piùevidenti e nascoste.

La fusioneLa principale critica mossa al processo di formazione

del Partito Democratico è che la nascita del nuovo partitoriguarda esclusivamente i gruppi dirigenti, le nomenklaturedei Ds e della Margherita senza coinvolgere le rispettive

Il mastice che salda

la fusione diallora da cui

discende quelladi oggi

è il sangue diAldo Moro

L’incontro di queste

due esigenzeprodusse una

fusione a caldoda cui nacquel’ideologia del

cattocomunismo

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basi popolari e tutte le altre e diverse forzedella sinistra democratica e riformista.

Secondo questa critica, il Pdi nasce dallafusione a freddo, senza il calore della parte-cipazione emotiva dei militanti e degli elet-tori, tra i massimi vertici dei due partiti. Ilché è assolutamente vero. Visto che le pri-marie effettuate sulla base di liste accuratamente predispo-ste nelle stanze chiuse dei leader e destinate ad avere unrisultato ampiamente scontato in partenza, sono solo unsimulacro di partecipazione popolare ed una sempliceriedizione in versione democratica dei riti plebiscitari deiregime autoritari.

Normalmente gli intrecci di questo gene-re tra due diversi partiti non hanno mai suc-cesso. O il più grande ed organizzato fago-cita quello più piccolo e meno strutturato,oppure la fusione avviene solo a parole,ognuno conserva la propria struttura ed allaprima occasione recupera la propria autono-mia e la propria identità. Il precedente del-l’unificazione socialista tra Psi e Psdi del ‘66 è fin troppoilluminante. L’incontro e la collaborazione tra i due diversigruppi dirigenti si rivelò un fallimento. Anche perché nonvenne apprezzato dall’elettorato. E ben presto ognunoriprese la propria strada.

Nel caso del Partito Democratico, invece, la fusione afreddo ha una possibilità in più di riuscire proprio perché èstata preceduta dalla fusione, sempre verticistica ma alcalor bianco, verificatasi durante i lunghi mesi del rapi-mento Moro.

I gruppi dirigenti che fino ad allora erano stati chiusi edattestati su trincee opposte e si erano combattuti con tutti imezzi leciti ed illeciti della democrazia della Prima Repub-blica scoprirono improvvisamente di ritrovarsi sulla stessabarca a fronteggiare il comune nemico del terrorismo delleBrigate Rosse ed a perseguire l’interesse comune dellarispettiva sopravvivenza politica.

La fusione a freddo ha una possibilitàin più diriuscire proprioperché è statapreceduta dalla fusione al calor bianco

Il Pdi nascedalla fusione a freddo, senzail calore dellapartecipazioneemotiva dei militanti e degli elettori

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L’incontro, ovviamente, aveva avuto una lunghissimaincubazione: la decisione di Palmiro Togliatti di votare infavore dell’inserimento nella Costituzione del Concordatoe dei Patti Lateranensi, il movimento dei cattolici comuni-sti di Franco Rodano e la sua influenza, anche grazie adAntonio Tatò, su Enrico Berlinguer, la svolta conciliarevaticana ed il papato di Paolo VI, l’elaborazione da partedello stesso Berlinguer della strategia del compromessostorico e la contemporanea elaborazione morotea dell’in-contro tra i due grandi partiti di massa cattolico e comuni-sta nella prospettiva di una lontana terza fase di tipo bipo-lare. Ma, soprattutto aveva avuto, sul piano della politica

pratica, il sistema della cogestione del pote-re tra Dc eternamente al governo e Pci eter-namente all’opposizione unite nel votareleggi di spesa crescente con cui alimentare irispettivi blocchi sociali di riferimento.

Rapendo Moro il giorno in cui questoprocesso lungo e tortuoso avrebbe visto laluce in Parlamento attraverso il governo disolidarietà nazionale guidato da GiulioAndreotti, le Brigate Rosse erano convinte

di bloccare l’operazione che ai loro occhi avrebbe compor-tato l’imborghesimento del Pci, così come era avvenuto alPsi con il centro sinistra degli anni ‘60. Invece, anche se sulpiano strettamente politico-parlamentare la solidarietànazionale non sfociò mai nel compromesso storico e nellaterza fase, la loro azione impose ai gruppi dirigenti dei duepartiti di uscire dalla rispettive trincee, di fraternizzare, dicollaborare, di superare i rispettivi pregiudizi e, soprattutto,di elaborare una comune ostilità contro tutte le forze estra-nee e contrarie all’incontro tra cattolici e comunisti. In que-sto modo il Pci uscì fuori dal guado e conquistò quellalegittimazione a guidare il paese che i suoi eredi hannosfruttato dopo la rivoluzione giudiziaria degli anni ‘90. Asua volta la Dc puntellò la propria struttura di potere esopravvisse fino al tracollo della prima metà degli anni ‘80.

A distanza di tanti anni da quei tragici mesi della prima-

Il sistema dellacogestione del

potere tra Dc ePci unite nel

votare leggi dispesa crescente

con cuialimentare i

rispettiviblocchi socialidi riferimento

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vera del ‘78 può apparire strumentale, senon addirittura assurdo, far risalire a tantotempo addietro le radici del Partito Demo-cratico.

Ma è sul banco di prova dell’emergenzacontro il terrorismo che i cattolici democra-tici, cioè quella sinistra Dc che quindicianni dopo diede vita al Ppi e successivamente al nucleoportante della Margherita, stabilirono un rapporto di colla-borazione privilegiato con lo stato maggiore del Pci a suavolta trasformatosi negli anni in Pds e Ds. Ed è sempre sulterreno della lotta contro le Br, intesa come rinuncia defini-tiva dell’opzione rivoluzionaria ed indi-spensabile prezzo da pagare per la pienalegittimazione ad entrare nell’area di gover-no del paese, che dirigenti comunisti scel-sero come unici interlocutori politici gliuomini della sinistra democristiana.

Quanti si chiedono oggi perché mai ilPartito Democratico nasca non come l’in-contro e la fusione di tutte le forze del centro e della sini-stra riformista italiana ma come l’intreccio solo dei post-democristiani e post-comunisti, hanno un solo modo pertrovare la risposta. Ritornare al rapimento Moro. Per veri-ficare che se nel Pd non c’è posto per i socialisti, per i laici,per i liberali di sinistra, per liberaldemocratici moderati,per i radicali e per tutte quelle altre forze (ambientalisti,dipietristi) che pure avrebbero avuto titolo per entrare a farparte del partito unico dei democratici progressisti, laragione va ricercata nella fusione a caldo tra i gruppi diri-genti di allora della Dc e del Pci.

Il Pd, in altri termini, non è altro che la moderna realiz-zazione della formula del compromesso storico. Ed è perquesto che nasce con due caratteristiche profondamentenegative: vecchio e conservatore. Vecchio perché è il frut-to di una ideologia ferma agli anni’70 del secolo scorso edincapace di adeguarsi alla realtà del terzo millennio. Con-servatore perché difende l’alleanza tra capitalismo privato

Il Pd, in altritermini, non è altro che la modernarealizzazionedella formuladel compromessostorico

È sul banco di provadell’emergenzacontro ilterrorismo che i cattolicidemocratici

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foraggiato dalle casse statali e grandi confederazioni sinda-cali chiuse attorno ai propri privilegi che si rifiuta di tene-re conto della mutata realtà sociale non solo del paese madell’intero pianeta.

La spesaQual’è il mastice che da quel lontano marzo del ‘78 tiene

strettamente intrecciati cattolici democratici e post-comuni-sti a vocazione governativa fino al punto dallo spingerli adunirsi ufficialmente in un partito unico denominato Demo-cratico sull’esempio dei democratici americani?

La risposta è la spesa pubblica. O meglio, nella identicaconcezione del ruolo della spesa pubblicaall’interno di uno stato che può essere indif-ferentemente centralista o federalista mache utilizza il pubblico denaro per la con-servazione ed il potenziamento delle tregrandi “caste” che lo tengono strettamentesotto controllo. Quella politico-sindacale,

quella burocratica e quella dei grandi gruppi industriali efinanziari che riescono a sopravvivere alla concorrenza ali-mentata dalla globalizzazione solo grazie al sostegno dellostato.

Ufficialmente questo mastice ha il nome di Keynes. L’e-conomista inglese degli anni ‘30 viene considerato il padree l’ispiratore del ruolo decisivo che cattolici di sinistra epost-comunisti continuano ad attribuire allo stato ed al suoruolo determinante di correttore del mercato e di ridistribu-

tore del reddito.Nel fatti, però, Keynes è solo un prete-

sto. Alla base del mastice che unisce gli exdemocristiani di sinistra e gli ex comunistinel Partito Democratico c’è l’esperienzadelle leggi di spesa nell’era della partitocra-zia consociativa che inizia a metà degli anni‘70, va avanti senza soluzione di continuitàfino alla crisi della prima Repubblica dimetà degli anni ‘90 e provoca quel gigante-

Uno stato che utilizza il pubblico

denaro per laconservazione edil potenziamento

delle “caste”

L’unicostrumento

per alimentarela spesa non è

lo sviluppo ma una politica

fiscale che diventa

necessariamentesempre piùpesante edoppressiva

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sco indebitamento pubblico che grava sem-pre di più sulle spalle delle nuove genera-zioni. C’è la convinzione che l’unico stru-mento per alimentare la spesa non è lo svi-luppo, che si può conseguire solo con laprogressiva liberalizzazione dell’economianazionale, ma una politica fiscale chediventa necessariamente sempre più pesan-te ed oppressiva. E c’è infine la consapevo-lezza che insistere sulla strada della partito-crazia consociativa del trentennio passato èl’unico modo per perpetuare il potere delle oligarchie alpotere: la classe politica e sindacale, i “poteri forti” dellafinanza e dell’economia, la poche fasce dei lavoratori pri-vilegiati e garantiti.

La spesa pubblica nel segno della continuità con la lineache ha portato all’accumularsi del debito ed alla fase attua-le del declino del paese è dunque il tratto distintivo delmoderno cattocomunismo del Partito Democratico.

Ma nascere all’insegna di una politica fiscale sempre piùoppressiva e con il marchio della responsabilità per il san-gue di Moro non sembra un buon auspicio. C’è troppo pas-sato nel Pd per potere pensare che questa forza politicaabbia anche un futuro.

Nascereall’insegna di una politicafiscale semprepiù oppressiva e con il marchiodellaresponsabilitàper il sangue diMoro nonsembra unbuon auspicio

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Nel momento peggiore

di Renzo Foa3

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alter Veltroni il giorno in cui salì alla tribuna delLingotto per accettare la candidatura alla guidadel Partito democratico aveva tre missioni quasiimpossibili: far dimenticare un passato di con-torsioni, lentezze e ritardi, cancellare il presenteraffigurato da Romano Prodi e dal suo governo

alle prese con una crisi di fiducia senza precedenti e inven-tare un futuro diverso. Troppo? Certamente sì, anche per ilpiù brillante, il più popolare e il meno usurato leader dellasinistra italiana. Riuscì a raccogliere subito un grande suc-cesso di critica e di pubblico, ma questo era scontato.Riuscì anche a delineare un profilo dell’impresa politica dicui era stato chiamato a farsi carico. Seguì qualche bene-volo sondaggio. Ma il primo effetto della sua discesa incampo fu quello di far apparire un grande divario. Un diva-rio fra quel che aveva enunciato e quel che il governo rap-presentava. Un divario di linguaggio, di programmi e di

priorità. E anche un divario di tempi. Perchél’attesa era durata fino al 2007? Perché siera aspettato tanto? E poi perché quellaimprovvisa accelerazione, che avevacostretto Veltroni ad esporsi in prima perso-na? L’aveva spinto direttamente MassimoD’Alema, che dopo aver fatto quattro contiaveva visto nell’amico-rivale di sempre l’u-

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W

Perché quellaimprovvisa

accelerazione,che avevacostretto

Veltroni adesporsi

in primapersona?

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Nel momento peggiore

nica figura capace di evitare un’implosione o addirittura ilbaratro. I conti erano semplici: in meno di un anno digoverno era svanita l’illusione di costruire un’egemoniasull’Italia, i riformisti dell’Unione erano in un angolo, laFinanziaria aveva provocato una rivolta politica e morale,Prodi non poteva apparire in pubblico senza essere fischia-to, la costruzione del Pd era vissuta come una «fusionefredda», i due partiti impegnati nell’operazione perdevanopezzi, dall’uscita individuale di Nicola Rossi alla scissionedi Fabio Mussi all’ultimo «gran rifiuto» di Lamberto Dini.Inoltre, la tenuta parlamentare della maggioranza celava amalapena la paura di un «nuovo 1992», destinato questavolta a colpire l’unico partito sopravvissutoa «mani pulite», cioè la Quercia. Ecco allo-ra il perché di uno scatto, caricato di unsignificato salvifico: inventare un’animadel centrosinistra e cercare di far dimentica-re i problemi. Un’emergenza, in nome dellaquale si consumarono anche ambizioni per-sonali: deve essere costato molto a D’Alema cedere la pri-mazia e deve essere costato ancor di più a Piero Fassino,che già era rimasto a terra nel momento della formazionedel governo e che perdeva definitivamente la possibilità disalire al vertice del nuovo soggetto politico. Un’emergenzae una gran fretta dopo anni e anni di discussioni, di tor-menti, di contorsioni, mentre Clementina Forleo preparavala sua requisitoria e Beppe Grillo la sua deflagrante irru-zione. Un’emergenza e una gran fretta dopo che il Pd erastato vissuto come un investimento personale e collettivoda ciascuno dei suoi leader. Romano Prodi si illudeva, findal momento del suo ritorno in Italia da Bruxelles e soprat-tutto equivocando il significato delle primarie che lo ave-vano investito come candidato a Palazzo Chigi, di farne ilproprio partito personale. L’infaticabile Fassino scommet-teva su una unificazione che avrebbe consentito alla conso-lidata struttura della Quercia di estendersi ulteriormente.D’Alema, forse il più tiepido, aveva probabilmente in testaun soggetto politico capace di essere molto pesante sulla

Inventareun’anima delcentrosinistra e cercare di fardimenticare i problemi

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bilancia dei poteri, rappresentativi e no, chedecidono le sorti del Paese. Più modesta-mente, per Francesco Rutelli era una via diuscita dalle strette in cui era finito, dopoaver sfidato Berlusconi nel 2001 (e perso) edopo non essere riuscito ad incassare nullada quel sacrificio, finendo anzi per esserecontestato all’interno della Margherita. Per

Veltroni era il traguardo di una carriera tutta spesa in quel-la prospettiva, anche se era difficile dire se e come l’avreb-be usato, incerto tra il mito del «ritiro in Africa» e l’altromito, quello di essere il «padre nobile» di una nuova sta-gione italiana, dopo il berlusconismo e dopo il post-comu-nismo. Per non parlare di Carlo De Benedetti, che si eraattribuito la tessera numero 1, in virtù del ruolo che avevasvolto nel mondo della finanza e dell’editoria. Ciascunovedeva un’operazione destinata ad andare avanti progressi-vamente e senza scosse, destinata a raccogliere una buonapercentuale di elettorato, magari oltre il 40%, dopo gliincoraggianti risultati ottenuti dalle liste dell’Ulivo e dopola costituzione di gruppi parlamentari unificati alla Camerae al Senato. Invece è diventata una convulsa lotta per lasopravvivenza.

Diciassette anni dopoPerché ci hanno messo tanto tempo? A pensarci bene,

c’erano già quasi arrivati nel 1990. Se, dopo aver adottatola quercia come simbolo, a Botteghe Oscure avessero deci-so di non aggiungere quella qualifica «di sinistra» alla scel-

ta di superare il Pci chiamandosi più secca-mente Partito democratico, si sarebbe evita-to un tormentone infinito e, soprattutto, ilsistema politico sarebbe stato più lineare e

la crisi italiana non resterebbe tanto acuta. Non lo fecero,anche se non mancarono gli incoraggiamenti, a cominciareda quelli dello sponsor quotidiano di nome La Repubblica.Non per mancanza di coraggio o di fantasia. Quanto alprimo, Achille Occhetto ne aveva parecchio, anche se sof-

Per Veltroniquello di essere

il «padrenobile» di una

nuova stagioneitaliana, dopo ilberlusconismo e dopo il post-

comunismo

Perché ci hanno messo

tanto tempo?

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friva dell’ossessione di uscire dalla stagione dell’Utopiasalvando il consenso di un elettorato che sapeva di nonpotersi più chiamare comunista ma che non era disposto atutto. E, quanto alla seconda, la fantasia, Walter Veltroniaveva già coltivato gran parte del suo pantheon dall’alto delquale una figura dominante, Robert Kennedy, irradiava lagenericità e la disinvoltura della politicaliberal americana immediatamente traduci-bile in «democratica». In quel caso corag-gio e fantasia non c’entrarono nulla. Ilprimo grande ostacolo era innanzitutto dinatura culturale. Mancava la cultura percompiere una svolta più profonda e piùautentica. Il secondo grande ostacolo erapiù politico. Quando si diradò la polvere provocata dallacaduta del Muro di Berlino i comunisti italiani si diviserogrosso modo in due categorie: quelli che ostinatamentepensavano che il Pci fosse una versione ancora presentabi-le di una storia in realtà completamente compromessa equelli che, digerendo rapidamente la fine dell’impresa, siposero il problema di salvare il salvabile di un potere costi-tuito da un consistente seguito e da una vasta classe diri-gente (del partito, del sindacato, delle organizzazioni colla-terali). Questa seconda categoria si scompose a sua volta indue tendenze. La prima scommetteva su una ricomposizio-ne della sinistra e guardava, come via di uscita, alla parola«socialismo». Era indebolita dalla difficoltà di ricucire ilconflitto decennale con Bettino Craxi, che aveva divarica-to in modo irreversibile non solo visioni di governo, maanche alleanze di potere. Non c’era ancora il bipolarismopolitico, ma era già fortissimo quel bipolarismo dei «gran-di interessi» che contrapponeva gli «amici» della sinistradc e di Botteghe Oscure (passando per l’area laica), agli«amici» del Garofano e di gran parte del mondo democri-stiano. La seconda tendenza interna ai postcomunisti pun-tava invece su una sorta di sincretismo: diventare il meetingpoint della diaspora provocata dal ’68 e dal ’77 e rappre-sentare un po’ tutte le spinte, spesso contraddittorie, tese ad

Il primo grandeostacolo erainnanzitutto di naturaculturale. Il secondogrande ostacoloera più politico

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una generica idea di rinnovamento e di modernizzazione,ma con dei confini precisi. I confini di quello che allora erail pentapartito, assumendo in questo il «teorema morale» diBerlinguer e puntando su una sorta di fronte che andava dalgiornale-partito di Eugenio Scalfari fino a figure checominciavano ad incrinare un decennale status-quo, daLeoluca Orlando a Mario Segni. Erano due tendenze in teo-ria inconciliabili, ma vennero conciliate da quell’aggiuntagenerica e nello stesso tempo impegnativa – appunto «disinistra» - che ha risolto qualche problema ma che ha con-tinuato a complicare tutto.

Poi, ancora una volta sfiorarono il traguardo del Pd nel1996, quando fu inventato l’Ulivo, per celare la natura di

un’alleanza dominata dai post-comunistiche oscuravano gli alleati, considerati edefiniti semplici «cespugli» all’ombra dellagrande Quercia. L’Ulivo era già l’immaginedi un ancora informe partito di centrosini-stra. Cosa non funzionò? Semplicemente fu

irrisolvibile il problema di presentare all’elettorato un lea-der moderato e cattolico, appunto Romano Prodi, mentre ivoti – come si lamentava spesso D’Alema in quegli anni –ce li metteva soprattutto il Pds. Così, quando proprio D’A-lema salì a Palazzo Chigi dopo il ribaltone del 1998, adessere cancellata fu in primo luogo l’esperienza dell’Ulivoe la sua ambizione di prefigurare una stabile novità nellatransizione italiana. Del resto Botteghe Oscure – c’eraancora – aveva lavorato alla «Cosa 2», che era l’esplicitodisegno di ricomporre insieme i filoni del post-comunismoe del post-socialismo. Il Pds cambiò nome, ma nel modosbagliato. Venne tolta la «P», il partito, e venne tenuto conostinazione l’attributo di sinistra.

Un attributo che continuerà ancora a complicare tutto,perché resta implicito anche ora che è stato compiuto ilpasso finale, in una lenta e graduale trasmigrazione in cuicontinua a pesare il fardello dei vizi, dei riflessi condizio-nati, degli atteggiamenti mentali di sempre, in un percorsoa zig-zag che riserva sorprese dietro ogni angolo. Per

Sfiorarono il traguardo

del Pd nel 1996,quando

fu inventatol’Ulivo

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descrivere questo lungo tempo trascorso dal1989 ad oggi, Piero Fassino ha parlato di«una traversata nel deserto». La domanda èse davvero chi si accinge a quell’impresa sisia lasciato alle spalle un deserto di idee ose non ci sia ancora dentro. Già, perché aben guardare, gli argomenti di cui si discu-te sono sempre gli stessi. Le uniche novitàsono segnate da Veltroni, quando solleva il problema dellariduzione della pressione fiscale o da Giuliano Amatoquando elegge a modello di un’efficace politica della sicu-rezza Rudolph Giuliani, cioè issues che non c’entrano nullacon la tradizione della sinistra. E infatticompaiono e scompaiono rapidamente. Ilresto è un réfrain, a cominciare dai conticon la storia e il presente delle socialdemo-crazie per finire all’eterna discussione sullariforma del Welfare, passando per le ban-diere un po’ lacere della «politica pulita». IlPartito democratico nasce vecchio e stanco,nonostante il dinamismo del suo futuro leader. Ed è espo-sto alle tempeste e alle contestazioni guidate da chi ha rac-colto – come ha fatto Beppe Grillo – le mitologie seminatein quasi un ventennio proprio dai postcomunisti: hannocostruito e alimentato il nemico in casa.

Di che si parla quando si parla di Pd?Cos’è questo vuoto? Fu Lucio Colletti il primo a segna-

lare un fenomeno politico e culturale di cui si discute sem-pre più: la sinistra che per un secolo ha significato cambia-mento oggi è essenzialmente conservazione. Naturalmentec’è, in tutto questo, un problema di linguag-gio, ad essere espliciti di ridefinizione dellecategorie politiche così come si sono confi-gurate tra l’Ottocento e il Novecento. È unproblema irrisolvibile. Ma la sua sostanzaporta direttamente a una domanda che èstata ripetuta tante volte: la fine del Nove-

Il Partitodemocraticonasce vecchio e stanco,nonostante il dinamismodel suo futuroleader

Per descriverequesto lungotempo trascorsodal 1989 ad oggi, Piero Fassinoha parlato di«una traversatanel deserto»

La sinistra cheper un secoloha significatocambiamentooggi èessenzialmenteconservazione

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cento non ha aiutato anche a prendere coscienza del fattoche, in Italia nell’Occidente in generale, si è esaurita la fun-zione di un movimento che ha contribuito in modo deter-minante a imporre le sue idee – quella di uguaglianza socia-le, ad esempio – plasmando un’area di benessere e di statodi diritto che non ha precedenti nella storia del mondo? Sele sinistre che si sono richiamate al comunismo hannoperso, invece le sinistre che hanno accettato le regole delconfronto e del conflitto democratico possono essere con-siderate a pieno titolo tra i protagonisti di un’imponentetrasformazione dei rapporti sociali. Hanno contribuito allacrescita delle società, hanno vinto anch’esse. La ricostru-zione dell’America è attribuita al New Deal, le ferie retri-buite sono una conquista del Fronte popolare francese, lasocialdemocrazia scandinava è stata un simbolo, quellatedesca è stata l’interfaccia del «modello renano», in Italiaè difficile non riconoscere un ruolo positivo al craxismo eprobabilmente anche al «consociativismo» prima maniera.Ma si parla di una stagione finita. Inutile ripetere le lezionidi Anthony Giddens o ricordare quanto ha appena scritto

Lionel Jospin su Ségolène Royal. Se siescludono l’eccezione rappresentata daTony Blair e la parentesi del tedesco Ger-hard Schroeder, è visibile quasi ovunque ladifficoltà che hanno i socialisti e i progres-sisti di disegnare un’idea di governo dellesocietà complesse. Al loro interno coltivanosolo atteggiamenti contro: c’è l’antiameri-canismo, c’è l’antiberlusconismo in Italia eci sono stati i germi di un’ideologia antisar-

kozysta in Francia, c’è il conservatorismo sociale e l’antili-beralismo; c’è la pretesa contraddittoria di rivendicare lalibertà individuale per quello che riguarda i valori etici, madi negarla nel momento in cui si affronta il grande capitolodella libertà economica e del rapporto tra il cittadino e loStato, dove per Stato occorre intendere tutto, anche laragnatela di regole costruita dall’Unione europea. Questesinistre hanno un futuro? E quale? O si è arrivati all’ esau-

È visibile quasiovunque

la difficoltà che hanno i socialisti

e i progressistidi disegnare

un’idea di governo

delle societàcomplesse

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rimento dello stesso concetto di sinistra,così come si è configurato sul piano politi-co e culturale? E poi di che si parla – perstare all’Italia – quando si assiste ai sussulti che segnanol’avventura del Partito democratico, cioè una sigla chealmeno formalmente non contiene riferimenti espliciti aconcetti, idee e visioni di sinistra? La risposta per ora nonc’è. Il nuovo partito nasce nel vuoto teorico e strategico.

Il vuoto riformistaAl momento si può capire cosa non ha funzionato fino-

ra. Si può pensare che è mancata un’aggregazione riformi-sta non perché c’è un bipolarismo blindato che obbliga adalleanze anomale, ma soprattutto perché c’è un problemairrisolto che riguarda più direttamente quell’area che coin-volge Prodi e Rutelli, D’Alema e Rosy Bindi, Veltroni eMarini. Se guardiamo al passato, all’ambizione del primoUlivo, quello del 1996, non possiamodimenticare che la geografia dello schiera-mento progressista era allora segnata da unadistinzione netta tra la sinistra neo-comuni-sta e un’area moderata, impegnata program-maticamente sulla riforma di Maastricht,quindi sulla priorità data all’innovazione economico-finan-ziaria. Questa distinzione diventò rottura nel 1998 con lasfiducia a Romano Prodi e con il governo D’Alema, chenon si caratterizzò solo per l’intervento in Kosovo maanche per un irrealizzato afflato riformistico. Il passar deglianni ci ha detto come si è ricomposta la rottura fra le duesinistre. Conosciamo tutte le tappe della costruzione di unibrido che non esiste da nessun’altra parte in Occidente. Ma– e questo è il vero vuoto – il fatto è che non ne sono stateaffrontate fino in fondo le conseguenze. Per arrivare subitoal presente, l’Unione, in questa sua stagione di governo,non solo non ha mai attuato scelte fuori di un ordinario«senso comune» progressista, ma non le ha mai neancheprese in considerazione. Da un anno a questa parte, si è dis-cusso infinite volte di un fenomeno che è stato chiamato «il

Al momento si può capirecosa non ha funzionatofinora

Queste sinistrehanno un futuro?

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silenzio dei riformisti». E se non è statosilenzio, sono stati sussurri di Fassino e diRutelli o invocazioni affidate a dotti libriscritti da intellettuali come Michele Salvati.Il tutto fino alla rumorosa deflagrazionedegli ultimi mesi, quando Veltroni ha sco-perto l’esistenza della questione fiscale,chiedendo l’abbassamento della pressione oquando Amato ha invocato il «modello Giu-liani». Cioè un vero e proprio salto dalvuoto riformista ad alcuni argomenti-chiave

del pensiero liberale e delle politiche dei conservatori. Cen’è a sufficienza per avere consistenti dubbi sul fatto che unPartito democratico, che nasce in questo modo, possa recu-perare e rilanciare una strategia dell’innovazione. Guardia-mo ancora al recente passato, a dieci anni fa, quando siparlò di «Ulivo mondiale», la cui immagine è la più vicinaa quella che si tende a dare del Partito democratico. BillClinton aveva costruito i New democrats superando unatradizione e governando una società già trasformata dalreaganismo. Tony Blair non aveva nulla a che fare con

l’impianto del vecchio Labour. La socialde-mocrazia tedesca, a sua volta, era quella cheavrebbe portato Schroeder a rifiutare la col-laborazione con l’estrema sinistra. Eranotutte imprese che nascevano da svolte con-cettuali. Nella sinistra italiana non c’è statonulla di analogo. È stata invocata la scusan-

te – l’ha fatto anche Veltroni – di un bipolarismo in cui glischieramenti sono stati costruiti per battere l’avversario piùche per governare. Eppure, all’interno di questo limite chepure esiste, la Quercia, la Margherita e tutte le forze che sirichiamano al riformismo da un decennio in qua hannocostantemente sfumato le loro visioni, non hanno apertouna competizione con l’estremismo, con il massimalismo,con le suggestioni delle tante new left presenti sulla scena.Sono arretrate rispetto a tutte le idee innovatrici delle loro«sorelle» occidentali. Hanno al contrario familiarizzato con

Le loro visionisono arretraterispetto a tutte

le ideeinnovatrici delle

loro «sorelle»occidentali

Ce n’è a sufficienza

per avereconsistenti

dubbi sul fattoche un Partito

democraticopossa

recuperare e rilanciare

una strategiadell’innovazione

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tutti gli estremismi possibili: dai no global ai no tav. Que-sta è la zavorra che appesantisce il Partito democraticoprima ancora del suo inizio.

Con i capelli bianchi Altra zavorra sta in un dilemma – socialisti o democra-

tici – che non è stato proposto dalle polemiche dilagate inquesto 2007, ma è piuttosto il dilemma irrisolto della gene-razione privata dei suoi punti di riferimento dal 1989 edalla crisi del vecchio sistema dei partiti. I protagonistisono gli stessi da quindici-vent’anni e stanno arrivandoormai invecchiati, con i capelli bianchi, all’appuntamentoche si sono dati per definire i loro assetti,pensando che sia la volta definitiva. Sonotutti carichi di storie contorte e di occasionimancate. Portano i segni delle anticheappartenenze, i pregi e i vizi d’origine.Manca però uno di loro. Non possiamoinfatti non chiederci cosa sarebbe stato delprogetto di «unità socialista» – il supera-mento della frattura del 1921 – se Bettino Craxi non fossestato travolto da «mani pulite», e quale sarebbe stato ildestino della cultura riformista di cui è stato l’ultimo e dis-cusso testimone. E come sarebbe finita la transizione delPci, se nel tortuoso inizio del bipolarismo, non si fosseperso Achille Occhetto, che aveva avuto il merito nonsecondario di capire qualche innovazione su cui scommet-tere, anche se non ebbe la forza di imporle? Sono questidue nomi della preistoria? Fantasmi di un tempo che fu?Può darsi, ma le lentezze, gli equivoci e le divisioni di oggivengono tutte dal passato. E quando penso al passato nonmi riferisco a Prodi o a Marini o ad Amato o, addirittura, auno sponsor come Oscar Luigi Scalfaro. Penso al percorsoche ha portato i protagonisti della generazione successivaal traguardo del Partito democratico.

Massimo D’Alema visse con sofferenzala crisi in cui il Pci scoprì di essere immer-

I protagonistisono gli stessida quindici-vent’anni e stannoarrivando ormaiinvecchiati al-l’appuntamento

MassimoD’Alema

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so dopo la fine della «solidarietà nazionale» e dopo lamorte di Enrico Berlinguer, affrontò il 1989 come unaprova di sopravvivenza e la stagione di «mani pulite» comeun incubo. Riuscì a impadronirsi del Pds perché rappresen-tava la continuità di un metodo politico improntato al rea-lismo. Diventò presidente del Consiglio perché la Querciaaveva assunto un ruolo centrale nel sistema politico, duran-te «la traversata nel deserto» del centro-destra. Cercò dicancellare la parola Ulivo e riabilitò quella di centrosini-stra. Capì di dover premere l’acceleratore del riformismo,ma si fermò subito intimidito dal suo mondo, fermo aglischemi ideologici del Novecento. Venne caricato dell’im-magine del «ribaltonista» e dell’«inciucista». Alla vittoriadel 2006 è giunto «dimezzato». Tutto il suo itinerariocomunque è stato indirizzato verso l’orizzonte del sociali-smo europeo.

Francesco Rutelli diventò uno dei primi nomi pesantidel bipolarismo, sperimentò subito i rischi dell’investiturapopolare diretta quando nel 1993 si candidò a sindaco diRoma. Ebbe il merito, durante il suo primo mandato, dimodernizzare il volto della capitale e la fortuna, durante ilsecondo, di gestire al meglio il tesoro del Giubileo. Fortedella capacità di movimento, imparata nel suo giovanilepassato radicale, scommise nel 2001 sulla candidatura apremier, sapendo bene che sarebbe stato sconfitto da Ber-lusconi ma illudendosi che fosse solo il passaggio verso lavittoria del 2006. Nel quinquennio di opposizione fu bru-ciato dalla ventata massimalista, fu già bollato come un«clericale» per la posizione assunta contro il referendumsulla fecondazione assistita, fu criticato per aver legittima-to alcune riforme berlusconiane e diventò così l’espressio-ne di un piccolo segmento dell’Unione. La sua famiglieeuropea è quella liberaldemocratica e sul piano interno lesue carte più importanti sembrano spendibili sullo scenariocentrista.

Piero Fassino è sempre stato, come D’Alema, il prota-gonista di un’innovazione mancata. È vero che assorbì,dopo il 1989, alcune grandi novità, approdando all’inter-

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ventismo democratico e immergendosi nella partita dellariforma del Welfare. Si impegnò, dopo il 2001, nell’impre-sa di salvare la Quercia e con lei il centrosinistra. Lui èstato il vero protagonista del ritorno di Romano Prodi, dicui ha svolto il ruolo di tutor. Con il passar del tempo èrimasto sempre più impigliato nel gioco delle piccolemosse per unire l’arcipelago della coalizione, quello politi-co e quello dei poteri non rappresentativi. Il suo stesso lin-guaggio – a lungo improntato anche a porre scomode veri-tà – è diventato sempre più propagandistico. Infine, unanno fa, ha avuto la sfortuna di restare fuori dal governo. Èstato oscurato dal predominio degli estremisti, si è impan-tanato in un conflitto intestino e ha visto nelPartito democratico – costi quel che costi vla ragione prima se non unica della sua mis-sion.

Rosy Bindi è sul piano politico l’espres-sione più compiuta del «cattolicesimodemocratico» di cui ha conservato, con gliscostamenti richiesti dal passar del tempo,tutti i caratteri, a cominciare dalla propen-sione a riconoscersi nelle tradizionali issuesdella sinistra storica per quello che riguardale politiche sociali e la visione stessa dellasocietà. È l’erede di un mondo, importante nella storia ita-liana, ma arenatosi ben prima della crisi del vecchio siste-ma politico, consumatasi tra il 1992 e i 1994. Non a caso èscesa in competizione con Veltroni esplicitamente «da sini-stra».

Insomma, nessuno di questi leader ha nulla di innovati-vo. L’unica eccezione è, al momento, quella di Enrico Lettache si formò le ossa sostenendo in modo trasparente e concoerenza l’inseguimento dei parametri di Maastricht, in unastagione in cui la prospettiva dell’Euro era vista a sinistrasì come una strada obbligata, ma prevalentemente come«l’Europa della finanza» e come un «pensiero unico» nega-tivo. Svolgeva ancora un ruolo marginale, ma si impegnò inuna battaglia culturale con tenacia e coerenza. Mostrò di

FrancescoRutelli, Piero Fassino,Rosy Bindi.Nessuno di questi leaderha nulla di innovativo.L’unicaeccezione è, al momento,quella di Enrico Letta

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avere una visione e con la sua recente pro-vocazione sul decennio considerato «delriflusso», cioè gli Anni Ottanta, ha rivelato

di avere anche un carattere forte. Ma è appunto un’ecce-zione in un gruppo dirigente stanco e consumato. Di Wal-ter Veltroni è stato già detto tutto. Si può solo ricordare cheil suo è diventato un nome pesante perché ha giocato le suecarte come innovatore del linguaggio, svolgendo un ruolodecisivo nell’era della comunicazione mediatica. È statocapace di lasciare in ombra la sua storia politica – in parti-colare la sfortunata fase di guida della Quercia – puntandosul Campidoglio e ottenendo l’unico vero successo dellasinistra nella disfatta generalizzata del 2001. Ma soprattut-to esprime da sempre il percorso del Partito democraticograzie a due doti: quella del tessitore che l’ha messo al ripa-ro dal rischio di accumulare troppe avversioni e quella del-l’autore di una visione del potere che non è anti-politica,ma post-politica. È un mietitore di consensi grazie a uncarisma costruito su una carriera che l’ha reso il leadernaturale del Partito democratico, anche se per lui inizia unastagione inedita: quella del numero 1 e, quindi, della con-taminazione con la politica che c’è, dalla quale si era sem-pre tenuto al riparo. Questi sono i percorsi dell’élite che hasulle spalle il compito di gestire il nuovo progetto. Sono inomi di primo piano di una politica spesso confusa, perquanto riguarda i contenuti. È realistico chiedere un’impre-sa fuori dell’ordinario a una generazione politica che, nellesua prove, non è riuscita a lasciare segni di modernizzazio-ne e dietro la quale c’è il vuoto? O solo qualche individua-lità? Gli uomini sono importanti nelle imprese.

La fine prima dell’inizioSe a formare il futuro Pd contribuirà quel che resta del

corpaccione della Quercia, non si può sfuggire ad unacostatazione: prima della nascita del Partito democratico, èla storia del post-comunismo italiano che sta finendo nelmodo peggiore. Con una lenta e graduale implosione, inuna sequenza dove sono sottolineati in rosso tanti episodi

Di WalterVeltroni è statogià detto tutto

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tra loro collegati: le scissioni e le diffiden-ze, la debolezza politica di D’Alema e Fas-sino all’interno dell’Unione, le conseguen-ze disastrose di tante esperienze di governo,prima fra tutte quelle della Campania e – daultimo, ma non certo per importanza – leattenzioni che la magistratura sta riservandoa figure di primo piano dei Ds e alla loro«pratica del potere». Il caso Unipol – aldilàdegli aspetti giudiziari – è parte di un insieme di segni checompongo una crisi profonda. E certo pesa non poco anchesulla scelta di sciogliere e ricomporre nel Pd l’eredità diquello che per sessant’anni, dalla falce e martello allaQuercia, è stato il ceppo più importante della sinistra, conle sue culture, i suoi bacini sociali, i suoi interessi. Unasinistra che riuscì a sopravvivere all’esame del 1989 solograzie al terremoto di «mani pulite», ma che dopo non hamai saputo trovare un’identità stabile. Che pur essendomaggioranza in uno dei due schieramenti del bipolarismonon ha mai potuto indicare un presidente del Consiglio, conl’eccezione del ribaltone del ’98. Che non ha mai avutocapacità di coesione, e che non è mai riuscita a dare unasola battaglia riformista.

Il braccio di ferro giudiziario sul caso Unipol ha segna-to l’ultima e più plateale smentita di un progetto presenta-to fin dall’inizio come alternativa globale sia alla «vecchiapolitica» che al centro-destra, e che si è tra-sformato in una pratica in cui la priorità èstato il «potere», da privilegiare sempre ecomunque, cominciando dalle scalate ban-carie fino alle regole sulle candidature perle primarie del Pd, passando attraverso lepraterie sconfinate di quello che per moltianni è stato quasi un monopolio nelle amministrazionilocali. A lungo, a nascondere il problema c’è stata lamaschera rappresentata dall’antiberlusconismo. Quandoquesta maschera non è bastata più a coprire il vero voltodiessino, ha cominciato a prendere corpo e a dominare su

A nascondere il problema c’è stata lamascherarappresentatadall’antiberlus-conismo

Prima della nascita del Partitodemocratico, è la storia del post-comunismoitaliano che stafinendo nelmodo peggiore

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tutto il progetto del salto nel Partito democratico, con ildisegno di trasferire in un’altra dimensione la storia delpost-comunismo, ma con lo stesso metodo con cui era statacompiuta la fuga dal Pci, cioè senza misurarsi davvero conil rapporto tra il peso del passato e le sfide della modernità.Questo progetto forse sarebbe riuscito se il governo Prodinon fosse precipitato fin da subito in una crisi verticale dicredibilità, se non avesse mostrato una somma di debolez-ze e se i più deboli, nell’Unione, non si fossero rivelati pro-prio i Ds, che sono stati incapaci di leggere la progressivacrisi delle loro alleanze con i poteri non rappresentativi –dalla stampa alla giustizia – che avevano costruito nel bipo-larismo.

C’era una volta la MargheritaAnche la Margherita si era esaurita prima di giungere al

«nuovo inizio». La transitorietà è stata del resto la caratte-ristica della sua breve storia, cominciata come un matrimo-nio d’interessi tra i resti del vecchio Ppi, tenuto in vita daMarini, gli uomini di Prodi che correvano il rischio delladiaspora quando il loro leader era a Bruxelles e, soprattut-to, Francesco Rutelli, che ancora sindaco di Roma si eraposto il problema di una «casa politica» per il dopo-Cam-

pidoglio. Fu dunque un incontro dettato daltentativo di creare una forza accanto allaQuercia capace di superare la dimensionedel «cespuglio». Operazione che riuscì gra-zie alla candidatura di Rutelli come antago-nista di Berlusconi nel 2001. Riuscì perchél’elettorato premiò, aldilà di ogni attesa,una formazione che teneva insieme culture

diverse, senza però dare l’idea dell’improvvisazione. Vicolse una possibile alternativa ai Ds. Ma fu un abbaglio,perché la Margherita non è mai riuscita a sottolineare unapropria identità. Non si è collocata in modo esplicito su unfronte moderato, è stata sempre un contenitore anche diposizioni opposte. Un Pd in miniatura, segnato quindi daun logoramento elettorale costante e da conflitti di potere

Il tentativo di creare unaforza accanto

alla Querciacapace di

superare ladimensione del

«cespuglio»

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fra le sue tre anime. L’occasione del Partito democratico èstata colta nel momento in cui da una parte stava venendoalla luce una conflittualità che, senza il salto in avanti,avrebbe aperto una crisi interna facendo saltare gli equili-bri del triangolo Rutelli-Marini-Parisi; e dall’altra i son-daggi scendevano a precipizio.

Il governo si fa partitoCosì Quercia e Margherita, la scorsa primavera, giunse-

ro ai rispettivi congressi di scioglimento fra polemicheinterne ed esterne, discussioni sui pantheon di riferimento,consueti conflitti sulla leadership e nell’ansia provocata dasondaggi che impietosamente attribuivanoal Pd meno del 25% delle intenzioni divoto. La retorica delle «magnifiche sorti eprogressive» dell’impresa che avrebbedovuto rimodellare il bipolarismo svanìrapidamente facendo la conta dei pezzi chesi sarebbero persi per strada. Ancora unavolta a chi voleva unirsi si contrapponevachi voleva invece separarsi. Fu in quei giorni che Veltroniparlò di «una fusione a freddo», sottolineando il divario frale attese e la povertà dell’epilogo. Perché «fusione a fred-do»? Intanto perché appariva come l’incontro tra apparati,tra nomenklature, un affare della «casta». Poi perché il pro-blema principale sembrava quello di fondare un partito, masenza dotarlo di un segretario: la figura del leader demo-cratico avrebbe creato un dualismo con Prodi, del qualesarebbe apparso il successore. La paura, alimentata dalleresistenze del presidente del Consiglio, era quella di inne-scare uno smottamento destinato a riprodurre, in altreforme, il ribaltone del 1998. La «fusione fredda» inoltre eracaratterizzata dal fatto che, per la prima volta nella storiadella sinistra italiana, all’appello fondativo mancava uningrediente importante, quello degli «intellettuali»: nontanto perché non ci fossero alcuni grandi nomi che si eranospesi nelle battaglie anti-berlusconiane degli ultimi anni,quanto perché nessuno riuscì a metter in campo idee o

Veltroni parlòdi «una fusionea freddo»,sottolineando il divario fra le attese e la povertàdell’epilogo

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Nel momento peggiore

almeno suggestioni nuove. Naturalmente nei congressi di Quercia e

Margherita non furono assenti le emozioni.Quando però Piero Fassino si mise a pian-gere dalla tribuna tutti si chiesero a cosafosse dovuta tanta incontrollabile commo-zione e nessuno seppe dare una risposta.Quel che stava accadendo sembrava ai più

un qualcosa di molto diverso dal grande progetto di parten-za. Il disegno era quello di chiudere finalmente con la lungastoria dell’italo-comunismo e del post e, nello stessotempo, con tutti gli altri post. Era quello di costruire un par-tito dalla cultura riformista e innovativa, capace di dare sta-bilità al sistema politico con un soggetto di sinistra all’al-tezza delle sfide della modernità e non più condizionatodalle contorsioni del Novecento. Di prospettare l’evoluzio-ne del bipolarismo, dalla competizione fra schieramenti alconfronto fra due grandi partiti. Di arrivare prima del cen-tro-destra, dove il progetto del Partito delle libertà si eraarenato. Al contrario, stava avvenendo appunto «una fusio-ne a freddo», una via di uscita di Quercia e Margherita dallerispettive crisi, mentre il governo che non riusciva a gover-nare, esorcizzava il suo problema trasformandosi in un par-tito. Una nuova sigla per accogliere il potere e per recupe-rare il fascino smarrito nel giro di pochi mesi.

Nel momento peggioreIl Pd è segnato dall’annus horribilis della sinistra italia-

na. Tutto era cominciato nel pomeriggio del 17 aprile del2006, quando Romano Prodi e le leadership dell’Unione siaspettavano un successo elettorale netto, al termine di unpercorso che avevano interpretato come una «marcia trion-fale». Il funerale politico della Casa delle libertà era giàstato celebrato più volte. Le primarie, convocate su richie-sta esplicita del candidato a Palazzo Chigi, avevano dimo-strato l’esistenza di un diffuso spirito militante ed eranostate esaltate come un plebiscito e come una «sberla» alcentro-destra. Le elezioni regionali del 2005 avevano già

Chiuderefinalmente conla lunga storia

dell’italo-comunismo e del post e,nello stesso

tempo, con tuttigli altri post

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disegnato un’Italia quasi monocolore ed erano state consi-derate una sorta di preannuncio dell’esaurimento del ruolodi Silvio Berlusconi e della sua coalizione. I ben 281 puntidel programma di governo, per quanto generici, erano statiesibiti come la dimostrazione del fatto che era credibileun’alleanza composta da riformisti e da antagonisti, daassociati ai sindacati e da banchieri, da pacifisti e da con-vinti atlantisti, da cattolici moderati e da radicali, da stata-listi e da liberisti, da giustizialisti e da garantisti. Era moltodiffusa la convinzione che, attraverso le urne, si sarebbeimposto non un semplice cartello elettorale quanto piutto-sto una sorta di nuovo «arco costituzionale», caricato dellamissione di ridisegnare il sistema politico,mettendo definitivamente ai margini «lapeggiore destra d’Europa» e scrivendo laparola fine sull’«anomalia italiana» rappre-sentata dal berlusconismo. C’era quindil’attesa non di una semplice alternanzaquanto di una vera e propria liberazione.Almeno così suonava lo slogan dei Ds, cheannunciava: «Domani è un altro giorno». Eil Partito democratico avrebbe dovuto esse-re il motore di questa operazione. Come sisa, nella notte tra il 17 e il 18 aprile, il risul-tato delle elezioni smentì ogni previsione erivelò quanto l’Italia fosse ancora bipolariz-zata. La vera sorpresa – anche all’internodella Casa delle libertà – fu la scoperta chenon si era rotto il rapporto tra Berlusconi el’opinione pubblica e che aveva retto il «blocco sociale»che si riconosceva nel presidente del Consiglio uscente eche troppo frettolosamente era stato considerato frantuma-to. La campagna elettorale era stata certamente determi-nante. Ma non ci sarebbe stato il sostanziale pareggio, se ilmessaggio di un leader che ha rifiutato di darsi per vintonon avesse incontrato aree sociali ancora disponibili adascoltarlo. Se ne è scritto e discusso molto. Non si è tratta-to, da parte di Berlusconi, soltanto dell’abile uso di «tecni-

Era moltodiffusa la convinzioneche, attraversole urne, si sarebbeimposto una sorta dinuovo «arcocostituzionale»,caricato della missionedi ridisegnare ilsistema politico,mettendodefinitivamenteai margini «lapeggiore destrad’Europa»

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che del consenso» o della forza del suopotere d’attrazione mediatico. Non sarebbebastato. C’è stata invece la dimostrazionedella stabilità di un orientamento di un«blocco d’opinione». Fin dall’inizio, i verti-ci del centrosinistra – parlo sempre dellanotte tra il 17 e il 18 aprile – hanno mostra-

to di non aver compreso quel che era accaduto. QuandoRomano Prodi, brindando in piazza, annunciò che avrebbegovernato per cinque anni era certamente convinto di quel-lo che diceva. Nonostante il piccolo scarto di venticinque-mila voti, continuava a pensare a una «vittoria totale».Esprimeva compiutamente «l’ideologia della liberazione».Era ancora all’interno del teorema, già smentito dalle urne,secondo il quale gli italiani avrebbero ripudiato il centro-destra. Non era uscito dal clima della «marcia trionfale».Forse calcolava anche che, in ogni modo, la Casa dellelibertà non avrebbe retto alla sconfitta. Non avvertì il pro-blema del divario tra l’attesa di una vittoria netta e un risul-tato di parità. C’era, in tutta l’area del centrosinistra, la con-vinzione incrollabile che una metà dell’Italia – la loro –

valesse il doppio dell’altra e che quelle ele-zioni avrebbero segnato la chiusura dellapur lunga «parentesi berlusconiana».

In quei giorni nessuno si aspettava unesaurimento così rapido della «fase propul-siva» dell’Unione. Non se lo aspettavaneanche chi, conoscendo bene la storia

delle sinistre italiane, era consapevole della difficoltà delsecondo tentativo prodiano di trovare un efficace punto diequilibrio tra gli interessi e le culture della coalizione. Leprevisioni erano diverse, se non opposte, anche al di fuoridei confini dell’area militante, impegnata ad affermare ilsuo spirito di rivincita. C’era di più: era aperta una robustalinea di credito sulla durata e il risultato dell’impresa. Dauna parte la nuova maggioranza si presentava con tutte lecaratteristiche di un «blocco di potere», come una vera epropria alternativa politica alla stagione berlusconiana.

C’era di più:era aperta

una robustalinea di credito

sulla durata e il risultatodell’impresa

Romano Prodinonostante

il piccolo scarto di

venticinquemilavoti, continuavaa pensare a una«vittoria totale»

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Dall’altra parte era diffusa, anche in zone dinamiche dellasocietà, soprattutto nel ricco e produttivo Nord, un’attesa:si confidava nella possibilità che il governo, proprio perchédepositario del consenso di un vastissimo arco d’interessi,fosse in condizione di rilanciare innovazione e moderniz-zazione, almeno su alcuni dei tanti punti in cui la Casa dellelibertà non era riuscita a incidere nel quinquennio prece-dente. In altri termini, alla scommessa sulla controriforma«di sinistra» e sulla «restaurazione» del vecchio ordine, sene aggiungeva un’altra, molto diversa: quella sulla possibi-lità di graduali innovazioni. Fu lanciata subito la parolamagica delle liberalizzazioni, con l’enfasi posta sulle primemisure di Bersani prese già in luglio. Palazzo Chigi cercòin qualche modo di rappresentare anche una domanda pro-veniente dallo schieramento avverso. Fu una partenzaabile, perché al rifiuto di aprire un dialogo con l’opposizio-ne – per marginalizzarla, per dimostrare la sua inutilità – siaggiunse l’invio di un segnale fortemente simbolico comequello delle liberalizzazioni (al di là dell’efficacia del prov-vedimento).

Perché, nonostante un avvio favorevole,questo feeling con l’Italia si è poi subitospezzato? La risposta presuppone un’altradomanda: è stata giusta o sbagliata la lettu-ra della realtà italiana da parte delle lea-dership dell’Unione? L’errore vero sta qui.Sul piano economico e sociale si è ritenutoche ci fosse un diffuso bisogno di «sicurez-ze» sociali e, quindi, di un ritorno al vecchio scambio fraprelievo fiscale e tutele. Della priorità all’intervento pub-blico. Di una redistribuzione delle risorse. Al di là dellespiegazioni pubbliche e di un certo populismo, nascostodietro i tecnicismi di Padoa-Schioppa, che hanno scanditol’elaborazione e il varo della Finanziaria – e quindi ancheal di là del battage sui conti pubblici – la visione del nuovogoverno era quella di chiudere, come se fosse stato un fune-sto incidente, una stagione in cui lo Stato aveva cercato diessere meno pervasivo. Si è dato per scontato che fosse l’u-

È stata giusta o sbagliata la lettura dellarealtà italianada parte delleleadershipdell’Unione?L’errore verosta qui

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nico percorso possibile. La stessa priorità alla lotta control’evasione fiscale è suonata come una minaccia rivolta nona chi non paga le tasse, ma a chi già fa il suo dovere. C’èstato un appiattimento generale attorno alla «religione delrisanamento», nessuno ha contestato le ragioni del ricorsoai vecchi e tradizionali strumenti di drenaggio delle risorsené ha avvertito che si stavano per incassare i benefici di unaripresa già in corso. Nessuno, tra i «moderati» della sini-

stra, ha avuto la capacità – o la voglia – dicapire la mutazione avvenuta in gran partedella società: nonostante la recessioneseguita all’11 settembre il quinquennio ber-lusconiano aveva lasciato un segno consi-stente grazie a una politica fiscale menoinvasiva e grazie all’alleggerimento dellapressione pubblica. Nessuno nell’Unioneha capito di essere arrivati al governo in

un’Italia molto diversa da quella immaginata. Nessuno haritenuto di dover fare i conti con le novità. Forse ha pesatola paura di superare i confini del bipolarismo culturale eideologico-mediatico: rappresentare la società in un mododiverso, abbandonare slogan propagandistici come «non siarriva alla fine del mese», «siamo fuori dall’Europa», «cisono solo macerie», «il futuro è pregiudicato dalla preca-rietà», «va ricostruita la legalità» e così via poteva equiva-lere – questo il timore – a legittimare il centro-destra.

Il vizio di origine del Pd sta in questo errore. Gli altrierrori – sulle questioni etiche, sul cedimento alla cultura

dell’antagonismo, sulla politica estera –vengono dopo. Su tutti svetta la presunzio-ne di aver ricevuto una delega in bianco,che andava oltre i numeri del consenso elet-torale, e che l’alternanza di governo avreb-be contribuito di per sé a risolvere ogni pro-blema. Era la presunzione di una «diversi-tà» e di una «superiorità morale e politica».Non è stato per caso che nel pantheon delPartito democratico sia stato inserito di

Nessunonell’Unione ha capito di

essere arrivatial governo

in un’Italiamolto diversa

da quellaimmaginata

La presunzioneche il solo

avventodell’Unione al governo

sarebbe stata la medicina

e che il Pd ne sarebbe stato

lo strumentopolitico

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forza Enrico Berlinguer. Naturalmente non il Berlinguerrealista del consociativismo, della «solidarietà nazionale»,dell’accettazione dell’«ombrello protettivo della Nato» odell’«austerità». Quanto il Berlinguer della «questionemorale», che poi è quello che ha lasciato l’impronta nell’a-nima più profonda del post-comunismo. C’era, in sintesi, lapresunzione che il solo avvento dell’Unione al governosarebbe stata la medicina e che il Pd ne sarebbe stato lostrumento politico. È stata un’illusione ottica, perché ilpaese era diverso da quello immaginato e perché i vincito-ri non erano né «diversi» né «superiori». Ed è così che, sinda subito, si è aperto il baratro tra il governo Prodi e l’opi-nione pubblica.

Cose di destraLa discesa in campo di Veltroni, accolto

come un salvatore, fu alla fine di giugnouna boccata d’ossigeno. Il sindaco scelsebene toni e argomenti del suo discorso alLingotto. Provocò se non altro la rottura diun clima. Rivelò che c’era un’alternativa aRomano Prodi, anche se avvolta da continue rassicurazio-ni: mai e poi mai lo avrebbe sostituito in corsa a PalazzoChigi. Da allora, giorno dopo giorno e senza aspettare ilvoto del 14 ottobre, ha assunto sempre più le funzioni delcomando. Non si è fermato mai. Ha parlato, ha scritto, harilasciato interviste, ha riempito pagine di giornali, anchedalle vacanze. La prima fase della sua azio-ne è consistita nel rovesciare lo stile, gliargomenti e le proposte del centrosinistrafinora conosciuto e della sua pratica digoverno. Ha giocato la sua scommessa pre-sentandosi sia come il capo dell’«areademocratica», coincidente con almeno i dueterzi dell’attuale maggioranza, sia come ilcapo di un’opposizione. Ha buttato nellapattumiera l’Unione, ridicolizzandone ilprogramma scritto su 280 pagine e soste-

La discesa in campo diVeltroni fu allafine di giugnouna boccatad’ossigeno

Ha buttato nella pattumieral’Unione,ridicolizzandoneil programmascritto su 280pagine esostenendo chebasterebbero«dieci punti,chiari, netti,identificabili»

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nendo che basterebbero «dieci punti, chiari, netti, identifi-cabili», imitando lo stile del «contratto con gli italiani» pre-sentato nel 2001 da Silvio Berlusconi. Ha poi detto che«non possiamo nasconderci la reazione che il fisco cosìcom’è oggi genera negli italiani», chiedendo la riduzione didue punti della pressione fiscale, dopo un anno e passa discelte che l’hanno aumentata. Ha elencato priorità come lasemplificazione della vita pubblica, quindi uno Stato piùleggero ed efficiente e come il rilancio delle infrastrutture,progetto avversato e deriso quando lo brandiva Berlusconi.Ha messo in primo piano il tema della sicurezza dei citta-dini, il presidio del territorio, il contrasto a chi viola la lega-lità, che sia italiano o straniero e quindi immigrato. Ha cioèdetto «cose di destra», imitando Sarkozy, ma aprendo unafalla colossale nella blindatura ideologica del centrosini-stra. In quella falla è subito passata una rincorsa fatta conla caccia ai lavavetri, con la santificazione del «modelloGiuliani», con il blocco della costruzione delle moschee ecosì via. All’improvviso sono caduti tutti i tabù. La lungastoria del «buon senso» della sinistra è stata interrotta,pescando a piene mani nel calderone delle ricette e delle

visioni riempito negli ultimi venticinqueanni da Reagan, dalla Thatcher, da Berlu-sconi, da Sarkozy e dall’unico socialismoche dal socialismo è fuorisciuto, cioè quel-lo di Tony Blair. Ha confermato che il Pdnon ha un entroterra culturale, che è una

semplice operazione di sincretismo. Contemporaneamenteperò, invece di riempire un vuoto, ne ha aperti altri. Haintanto accentuato il divario con Prodi e la sua navigazio-ne. Ma, soprattutto, deve aver lasciato a bocca aperta unelettorato educato quanto meno ad indignarsi di fronte atutto ciò che suona come «destra». Non ha mostrato dipreoccuparsene troppo, sicuro del plebiscito del 14 ottobre,preparato con regole blindate, con un protocollo più daincoronazione che da elezione. Del resto Rosy Bindi edEnrico Letta si sono presentati, in questi mesi, soprattuttocome concorrenti espressioni di nicchie del futuro partito.

Contem-poraneamente

però, invece di riempire un

vuoto, ne haaperti altri

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Nicchie trasversali, capaci di pescare sia nella Quercia chenella Margherita e magari destinate ad essere alimentateper limitare il trionfo del futuro segretario, ma pur semprenicchie. Però quel che Veltroni non aveva messo in contofino in fondo erano i nemici in casa.

I nemici in casaIl primo nemico – che ha appannato non

poco l’immagine del nascente partito – èstata la macchinosità delle regole per l’ele-zione diretta dei gruppi dirigenti. Le regolesono state decise per tutelare in primo luogole nomenklature di Quercia e Margherita,per dividere gli incarichi, tentando un equi-librio fra la chiamata alla partecipazione della società e lasopravvivenza delle strutture esistenti. Il risultato è statoche non sono mancati i mugugni della «società civile», chesi sono aperti i casi di Di Pietro e Pannellache ovunque, in Italia, non sono mancatefibrillazioni. È stato mancato l’obbiettivo ditrasformare in una «marcia trionfale» l’av-vio del Pd. Il secondo nemico sono state lemanovre, spesso sotterranee, i tentativi diusare le falle esistenti nel metodo dell’ele-zione diretta – quello che erroneamente èstato definito «primarie» – per alterare il più possibile gliaccordi stretti a tavolino sui dirigenti da eleggere. Se lacondizione è stata quella del pagamento di un euro, e quin-di di una partecipazione libera, pochi hanno resistito allatentazione di muoversi, di mobilitarsi «con-tro» questo o quel candidato, a cominciareproprio da Veltroni. Non sono mancati vele-ni, i cui effetti si faranno sentire in futuro. Ilterzo nemico è stata la contrapposizione,manifestatasi subito, con la «sinistra sinistra», non tantocon la «cosa rossa» o con la «cosa socialista», quanto conl’irruzione sulla scena di un forte soggetto sociale, come laFiom, il sindacato dei metalmeccanici della Cgil, di cui si

Il primo nemicoè stata lamacchinositàdelle regole per l’elezionediretta deigruppi dirigenti

Il terzo nemicoè stata lacontrapposizionecon la «sinistrasinistra»

Il secondonemico sono state le manovre di usare le falleesistenti nel metododell’elezionediretta

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può dire tutto tranne che non rappresenti unpezzo di società. Lo si sapeva. Poteva esse-re stato messo nel conto. Ma la reazione diun’organizzazione-simbolo del mondo dellavoro contro l’accordo di luglio è suonatasoprattutto come la difficoltà del Pd diimprimere il proprio segno, di proporsi

come una forza egemonica capace di parlare ad una plateavastissima, dai canzonettisti ai turnisti in fabbrica.

Ma il vero nemico in casa è stata l’esplosione della con-testazione di Beppe Grillo, che proprio dal mondo del Par-tito democratico è stata vissuta come un attacco diretto e,forse, non casuale. Come un nuovo antagonismo daaggiungersi agli altri. E questo potevano aspettarselo. Tuttoil corso del governo Prodi era stato contrassegnato dallariemersione del tema della crisi tra cittadini da una parte epolitica e istituzioni dall’altra. Lo stesso il presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano si era sentito in obbligo diintervenire più volte sull’argomento. Viene da chiedersiperché coloro che si sono impegnati nella costruzione di unnuovo partito pensando anche a rinnovare la politica non si

siano accorti che il problema riguardavaanche loro, anzi in primo luogo loro. Sierano probabilmente illusi di rappresentarequel che in realtà non rappresentano, cioèinnovazione e partecipazione. Avevanopensato di poter godere di un’immunità.Non avevano capito che dopo aver passatotutta la stagione del bipolarismo a sostenere

che la «questione morale» era il centrodestra, avevano cari-cato una parte del proprio elettorato di un’attesa a cui nonpotevano corrispondere. Non sono stati i protagonisti diuna «bella politica», secondo lo slogan veltroniano, nédella «politica per passione», secondo lo slogan di Fassino.Non avevano percepito il crescere di un’insoddisfazione edi un ripudio e non si erano accorti che il Pd era in primoluogo una soluzione per loro, per «la casta» di Ds e Mar-gherita e non per l’opinione pubblica. Che avevano sovrac-

Ma il veronemico

in casa è statal’esplosione

dellacontestazione di

Beppe Grillo

Non si eranoaccorti che il Pd

era in primoluogo

una soluzioneper loro e nonper l’opinione

pubblica

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caricato questo traguardo di significati che non ha. E cheera stretto il recinto della discussione che avevano avuto,incentrata soprattutto sui gruppi dirigenti, sulla legge elet-torale con cui tentare di beneficiare l’impresa. Infine, che ilprogetto non ha potuto cancellare i tanti fallimenti di unastagione. E che l’ultimo colpo è stato lo strappo improvvi-so compiuto, dicendo «cose di destra» per esorcizzare unvuoto di cultura e la leggerezza dei valori di riferimento.Così la «marcia trionfale» si è trasformata in un faticosopercorso in salita.

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Contro la sinistrareazionaria per una sinistra di governo

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e potessi dare una mano per favorire la nascita delpartito democratico, lo farei volentieri. Anzi, è quelche faccio quasi ogni giorno, non risparmiando cri-tiche ad una sinistra conservatrice e talora reaziona-ria, incapace di segnare la rottura totale con il passa-to comunista, e, proprio per questo, essa stessa osta-

colo alla nascita della sinistra democratica, moderna e digoverno. E proprio perché mi piacerebbe dare una mano,inizio segnalando che non è possibile far nascere quel par-tito nel mentre la sinistra riformista è ogni giorno umiliataed offesa nel e dal governo Prodi.

Sta tutta lì, la maledizione storica della sinistra italiana,condannata ad inseguire il massimalismo, in ossequio adun’identità che data oramai due secoli addietro, e che oggisi traduce nella convinzione che allargare la spesa pubblica(quindi anche il prelievo fiscale) sia il rimedio, anziché ilmale. E incapace di affermare il valore assoluto non solodella democrazia (fin qui, a parole, ci siamo), ma anche delriformismo, ovvero del gradualismo pragmatico, quindidella convinzione profonda che non siano le visioni ideolo-giche a dovere modellare la realtà del mercato e la vita diciascuno. Magari qualcuno pensa, all’alba del nuovo seco-lo, di ricomporre la frattura fra socialisti e comunisti, dichiudere, finalmente, il congresso livornese del 1921. E lopensano al punto che diversi che militarono nel partito

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Contro la sinistra reazionaria per una sinistra di governo

comunista ora sentono il bisogno di dirsi socialisti. Ma que-sta è necrofilia. Se è per questo che nasce, viene alla lucemorto, il nuovo partito. Quell’antica frattura l’ha risolta lastoria, gettando sul comunismo l’infamia della misera edell’oppressione, e riducendo il socialismo a cosa chedebba essere superata.

Dato che ho già fatto riferimento al “comunismo”, mitolgo subito dai piedi la cantilena consueta, intonata con lafaccina intelligente di quanti non sanno far altro che abboc-care alla propaganda grossolana: ah, ah, ah, credi ancora esi-sta il pericolo comunista? No, il pericolo no. I comunisti sì.Uno fa il presidente della Camera, un paio sono ministri, cisono due partiti che si definiscono tali e c’è tutta una geniadi politici e uomini di governo che furono orgogliosamentecomunisti, alzarono il pugno e si commossero cantando, sisentirono superiori e professionisti della politica (se nonproprio della rivoluzione), ed ora usano tanta consumatafurbizia e tanta decantata grandezza per far credere di nonessere mai esisti. E forse è pure vero. No, non c’è un peri-colo comunista, anche perché non c’è più la potenza politi-ca e militare, nemica della libertà e della pace che, fino al1991, pagò loro la stozza. Ma c’è una cosa, che riguarda ilsupposto nuovo partito democratico: la sinistra democraticaè e deve essere anticomunista. Spiacente per chi ha passatouna vita dalla parte sbagliata, ma è così che stanno le cose.

Avendo delle difficoltà a far nascere ilnuovo partito con il piede giusto di nuoveidee e nuovi programmi, magari anche conun richiamo alla continuità, ma quella rifor-mista del centro sinistra, hanno scelto diavviarne il cammino con il passo falso, nel senso di truffal-dino, delle primarie.

Le primarie sono una geniale trovata propagandistica.Per decenni si è dato dello scemo a chi, nei partiti politici,suggeriva di “ascoltare la base”, giacché si riteneva che ilcompito di una classe dirigente sia quello di farsi seguire enon trascinare. Con le primarie potrebbe sembrare che gli

Le urne delleprimarie sonoun imbroglio ed un bruttomodo di partire

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scemi abbiano preso il sopravvento. Invece no, è il trionfodei furbi: si convoca la base, denominata popolo, e, deltutto democraticamente, si fa in modo che vengano plebi-scitate le scelte già fatte dall’oligarchia. La forza di questasuggestione è tale che anche fuori dalla sinistra si sonointerrogati: forse dovremmo farle anche noi, le primarie.

Invece le primarie sono quanto meno fuorvianti, perchéinducono a credere che deporre una scheda nell’urna equi-valga ad esercitarsi nella democrazia. Al contrario: ci siesercita in una sua grottesca parodia. Nella democrazia,infatti, le regole vengono prima. Nel 2005 organizzarono leprimarie per stabilire quale uomo della sinistra dovesseessere candidato alla guida del governo. Perché, in Italia cisi candida alla guida del governo? Hanno riformato laCostituzione in tal senso? Ovviamente no, ma le primariefacevano fico, mettevano in fila militonti d’annata e ban-chieri in scalata. E che cosa stabilirono? Che il leadermigliore era uno che già dieci anni prima era stato scelto,senza primarie, per fare quel duplice mestiere: capo di unacoalizione disomogenea e presidente del primo governodella legislatura. Prodi, appunto, che già definirlo leaderdella sinistra fa un certo effetto.

Dopo la truffa pre elettorale, corroborata dalla non cor-rispondenza fra i voti contati e gli oboli versati, si è passa-ti a quella post: facciamo le primarie per eleggere il capodel nuovo partito democratico. Perché, esiste un tale parti-to? Ha uno statuto, una democrazia interna, un rispettodelle minoranze, s’è mai presentato alle elezioni, è natodall’aggregazione spontanea attorno ad idee forza? Larisposta è sempre no. Solo che l’Ulivo del 1996 dovevaessere mondiale e, caso raro tra gli ulivi, è morto in pochimesi. L’Unione del 2006 è una sfida al significato delleparole ed equivale a chiamare “l’asciutta” una nuova acquaminerale. Sanno tutti, a sinistra, che se si ripresentano inquel modo agli elettori, se non possono più affidarsi soloalla storica crociata per togliere il governo a quel Berlu-sconi cui debbono la reale natura di tutte le loro alleanze,rischiano non tanto una sconfitta, quanto una rispostaccia.

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Quindi, vai con il nuovo contenitore. Per contenere cosa?Lo sanno così poco che s’affidano alla prosa di Veltroni, aconfronto della quale quella d’Arnaldo Forlani era unesempio di spietata concretezza.

Dunque si elegge il capo di un partito che non c’è, senzaregole ed anche senza iscritti. Si convocano quanti voglio-no per andare a votare, e prima ancora di cominciare il ritogià si sa chi sarà l’officiante: Veltroni, appunto.

Su di lui ho già scritto altrove, qui aggiungo solo che gliva, comunque, riconosciuto un merito: s’è del tutto convintoche essere comunisti era un modo per essere seppelliti.Almeno lo ha capito. Che, poi, per riuscire a risorgere abbiaavuto l’ardire di negare se stesso, che, per non discutere quelche fu si sia acconciato a negare d’essere stato, bé, questo faparte della caratura, della stoffa di cui si è fatti. A me piacepensare, di me stesso, l’esatto opposto: sono quel che fui.

Nel nuovo partito dovrebbero ritrovarsinon solo quanti furono comunisti, ma ancheuna bella fetta di quanti furono democristia-ni. Alle primarie gareggiano, per esseresconfitti, sia Rosy Bindi che Enrico Letta.La prima un’estremista che la sorte volle farcrescere nella dc, il secondo una personaragionevole, che potrebbe trovarsi in qualsiasi partito pre-valga il buon senso ed il riformismo, ma, al momento, par-cheggiato nella posizione di sconfitto: sconfitto comegovernante riformista (per giunta costretto, con la facciatriste, a sostenere il contrario) e sconfitto come candidatoalla leadership.

Nulla di strano, è il preposizionamento per la rinascitadelle correnti. Il che comporta anche la gestione di una retediffusa di amministratori, militanti, influenti ed amici. Laqual cosa è oggi appannaggio di Franco Marini, tempora-neamente presidente del Senato. Cresciuto nel sindacatoma sempre con un piede dentro la corrente democristianache faceva capo a Donatt Cattin (l’uomo di Forze Nuove,del sindacalismo Cisl impegnato a scavalcare la Cgil quan-

Non c’è solo la componenteche fucomunista, c’è anche quella che fudemocristiana

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do a dirigerla era il Luciano Lama della svolta, impegnatoa sostenere che il salario non è una variabile indipendente),quindi con una coerente vocazione sia a profittare dell’es-sere minoranza che ad inforchettare la sinistra con un di piùdi demagogia ed irresponsabilità.

Nel mondo della margherita si ritrovano componentidiverse: si va dal dossettismo democristiano al laicismotestimoniato da signori che rappresentano se stessi (che, inqualche caso, è più di quanto altri possano permettersi), dalfrustrato desiderio egemonico del fu Asinello al riuscitoguizzo trasformista di Rutelli. Cos’abbiano in comune tutticostoro, a parte il desiderio di galleggiare ed andare là doveli porta la corrente, è un mistero. Tentare di illuminarlo uti-lizzando le torce della politica è inutile. Una cosa, però, ècerta: o nel nuovo partito costoro avranno un peso di rilie-vo oppure imboccheranno la via d’uscita ancor prima del-l’entrata, ed il nuovo partito non nascerà mai.

Nessuno, neanche fra i diretti protagoni-sti, ha idea di cosa sarà veramente il partitodemocratico, perché le primarie si tengonoun paio di mesi prima del momento in cui sisaprà l’unica cosa che conta: quando sitorna a votare.

È noto, difatti, che quando i democraticidi sinistra forzarono per accelerare la data

delle primarie Prodi rispose loro: bene, mi candido anch’io.Aveva ragione. Perché, delle due l’una: o il nuovo elettoserve per fargli le scarpe subito e guidare, nella prossimaprimavera, la campagna elettorale; oppure serve a costruireuna coalizione diversa da quella che lui presiede, e ciòsignifica che lo sostituiranno con un altro. Se Prodi haaccettato di non candidarsi non credo lo si debba alle falserassicurazioni che gli sono state date. Semmai deve essersiaccorto che i suoi antagonisti interni non sono affatto messibene, non hanno una strategia chiara ed il tempo lavoracontro di loro. È pur vero che lui presiede un governo cheè già uno sforzo di fantasia chiamarlo tale, ma è vero anche

Per conoscerecosa sarà il partito

democratico cimanca l’unico

dato realmentedeterminante:

la data delle elezioni

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che a durare è il più bravo, e che se gli danno la possibilitàdi spendere i tesoretti ….

Quella data, però, resta determinate e, del resto, ha unpeso anche nel centro destra. Se fosse ravvicinata, se si fer-masse sulla prossima primavera, allora è evidente che i nuovipartiti o contenitori, unitari o federativi, resteranno solo deigusci nei quali far precipitare il più alto numero possibile divoti. Inutile chiedere identità, idee e programmi, tanto incampagna elettorale conteranno solo le trovate ed i toni.

Se, invece, nella prossima primavera si votasse solo perquel che dei referendum farà restare la Corte Costituzionale,allora i tempi si allungano, forse assai più di quel che certunicredono. In questo caso è evidente che le nuove formazionipolitiche saranno chiamate a fare un vero e proprio lavorocostituente e facendolo scasseranno le coalizioni che ci sono.Nel caso dell’opposizione si potrà chiamare rinnovamento ocambiamento, nel caso del governo si chiamerà crisi. E l’idea,forse, è proprio questa: creare il nuovo partito all’ombra di ungoverno istituzionale che vari una conveniente nuova leggeelettorale. In quel caso il potere di ricatto della sinistra comu-nista non sarà disinnescato da un’evoluzione politica, ma dauno strumento tecnico. Il fatto è che un disegno di questo tipo,che ha avversari Prodi e la sinistra, per passare ha bisognodella collaborazione dell’odierna opposizione.

Siamo, appunto, a due mesi di distanza da quando saràchiaro quale corso imboccheranno le cose. Nel frattempo ilpopolo di sinistra vota, non sa per cosa, non sa perché, sasolo per chi. Contenti loro.

L’arretratezza culturale e politica dellasinistra, la sua incapacità di precipitarsinella contemporaneità ed il suo non trancia-to ormeggio alla mitologia ottocentesca è, altempo stesso, effetto e causa di una storturastorica e politica, che ci riguarda tutti. Per-ché, ci rimproverano alcuni, è forse miglio-re la destra? In un sistema democratico gli antagonisti sicondizionano a vicenda, e, naturalmente, sono entrambe

Il camminosempreinterrotto verso unsistema politico(ed istituzionale)normale

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figli della storia nazionale e delle influenze internazionali.Nessuno è marziano. La destra, però, ha fatto più strada.

In Italia il partito di maggioranza assoluta, quello cheraccoglie l’attiva partecipazione di gran parte delle forzepolitiche, si compatta attorno alle continue pressioni perallargare la spesa pubblica. Ciò riguarda gli uni e gli altri.Ma, almeno, la destra ideologica ha saputo riconoscere nelproprio passato e nelle proprie passioni di un tempo la radi-ce di un male politico e morale. Gianfranco Fini, davantialla memoria dell’antisemitismo, lo ha chiamato “maleassoluto”. La sua severità è comprensibile, anzi apprezza-bile. Noi, che non abbiamo mai neanche sfiorato quelmondo, possiamo permetterci di osservare che in quanto ad“assoluto” la gara è aperta. Che sia stato e sia un male,invece, non c’è dubbio. La sinistra democratica non puòche essere anticomunista. La destra non può che essereantifascista. Il resto è pattume della storia.

La destra è oggi più moderna perché più smitizzata, maquesto non risolve il problema dei contenuti nel governare.Bill Clinton, negli Stati Uniti, ha potuto governare la ripre-sa economica ed il cambio di programma dei democraticiperché alle sue spalle c’era stato un gigante come RonaldReagan, capace di demolire l’idea stessa che lo statalismoavesse qualche cosa di positivo, capace di affermare chenon la convivenza senza guerra era il supremo ideale, mal’abbattimento dell’“impero del male”. Tony Blair ha potu-to governare a lungo, ribaltando, con il new labour, tutti imiti del laburismo, perché alle sue spalle c’era la lady diferro, capace di minare le basi dello strapotere sindacale, direndere visibile che quelle difese corporative erano control’interesse dei lavoratori, di affermare il valore sociale delmerito e della disuguaglianza. Da noi nessuno ha fattolavori imponenti, a quelli paragonabili. Qualche volta ciraccontiamo che furono governi determinanti e di “svolta”quelli (Amato-Ciampi) che svalutarono la lira e taglieggia-rono i contribuenti per tamponare il debito pubblico, ma ècome sostenere che la medicina raggiunge il suo apicequando pratica le amputazioni.

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Questa mancanza italiana è certo dovuta ad un deficitculturale dei protagonisti politici, ma anche ad una manca-ta reciproca legittimazione, che rende pericolante l’interosistema. Insomma, in una democrazia funzionante destra esinistra sono componenti del medesimo sistema. Non solosi riconoscono a vicenda, ma l’una ha bisogno dell’altra.Poi, a seconda degli umori, delle convenienze, delle possi-bilità e delle influenze esterne si sceglierà la via di più rigo-re e più regole, o più spesa e più sostegno, si premierà oraun interesse ora l’altro, ma sempre all’interno dello stessouniverso ideale.

Non è così, da noi. La lunga e nefanda egemonia comu-nista sulla sinistra (quella, per intenderci, che i socialistifrancesi di Mitterrand dovettero battere per potere aspirareal governo ed alla presidenza) l’ha messa fuori gioco. La“conventio ad escludendum”, ovvero l’accordo in virtù delquale i comunisti non dovevano andare al governo, non erauna cattiveria finanziata dalla Cia, ma una saggia scelta, daicomunisti condivisa. Fu quella a rendere necessario e legit-timo il consociativismo, ovvero il governo subordinato alParlamento, quindi all’opposizione, per ogni singolo prov-vedimento. La forza comunista ha reso governativamenteinutilizzabile la sinistra, per cinquanta anni, la gran partedella nostra storia unitaria.

E quando nel centro destra s’è presentata una figura, Ber-lusconi, non disposta a cedere alla sconfitta annunciata eprogrammata, preparata dai colpi di mano giudiziari, desti-nata a salvare il consociativismo trasferendolo tutto dentrola sinistra, quando s’impedì che si riproponesse la figura delpartito unico, capace di sostituire il Parlamento, la sinistrareagì negando la legittimità dell’avversario (oltre tutto vin-cente). Così egli fu ladro, delinquente, criminale, riciclato-re, amico dei mafiosi. E chi gli era accanto, o solo si limita-va a valutarne le gesta senza paraocchi di fazione, era servo,venduto, cameriere. Non so quando la sinistra se ne renderàconto, ma nel corso degli ultimi dieci anni, con l’uso di taleargomentare, essa ha fatto di tutto per conservare la propriadeficienza ed impedire ogni propria positiva crescita.

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Solo rompendo questo schema masochista si potrannoabbandonare le istituzioni del consociativismo e far nasce-re quelle di una moderna democrazia, solo quando si dis-metteranno le visioni ideologiche ed il moralismo senzaetica si potrà accettare l’idea che la politica è anche capa-cità di scelta e mediazione fra interessi diversi. Quel gior-no nascerà la terza Repubblica, essendo stata la prima ilveicolo che ci ha portati alla libertà, allo sviluppo ed all’a-pertura al mondo, e restando la seconda un aborto annun-ciato, una stagione di volgarità e chiusura. Ecco, perchéquesto accada è necessario avere una buona sinistra (come,naturalmente, una buona destra). Di volta in volta chi saràsconfitto s’impegnerà a presentarsi migliore, mentre oggi siripetono gare elettorali fra eterni eguali.

Sono queste le ragioni per cui darei volentieri una manoa far nascere il partito democratico, ove questo sia quelladiversa sinistra che manca. Quel che vedo non mi piace, eper rendermi utile lo scrivo e dico.

Contrariamente a quel che molti credono la politica nonè l’arte di restare sempre dove ci si trova, disposti a cam-biare se stessi pur di non cambiare posto. Naturalmentetutti possono commettere degli errori ed è meritevole chi liriconosce e si corregge. Ma c’è un’intera generazione di excomunisti che ha commesso i peggiori errori possibili, èstata dalla parte del male, ha parteggiato per i nemici del-l’Italia e della libertà, ha taciuto innanzi allo stravolgimen-to del diritto, ha tifato per un giustizialismo fascistoide, edancora siede tronfia ed arrogante ai posti di comando, feli-ce d’avere bloccato l’Italia in attesa del proprio trapasso.Ecco, senza offesa, quelli dovrebbero togliersi di torno.

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Il Manifesto del PD:tutto e il contrario di tutto

di Giorgio Stracquadanio5

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all’aprile del 2007 – momento in cui i congressidei Ds e della Margherita hanno deliberato lafusione dei due partiti nel Partito Democratico –al 14 ottobre 2007, data di svolgimento delle pri-marie in cui verrà eletto il segretario, abbiamoletto tanto e ogni giorno. Tv, radio, quotidiani e

settimanali ci hanno raccontato tutto dei candidati a segre-tario, delle liste a loro sostegno, degli scontri più o menovivaci tra Walter Veltroni, Rosy Bindi, Enrico Letta.

Pochi, però, sono stati gli approfondimenti, i tentativi discavare sotto la superficie, le analisi sulla natura e sullacultura di un costituendo partito, che si ripromette di esse-re la più significativa novità della politica italiana delnuovo secolo, ma che corre il concreto rischio di esserel’ultimo rifugio di un coacervo ideologico e politico d’al-tri tempi, l’alleanza tra i cattolici di sinistra e i comunisti.

Non abbiamo pregiudizi nei confronti del partitodemocratico e dei suoi protagonisti. Qualche giudizio sì.

Ma siccome vogliamo concedere loro ilbeneficio della buona fede, prenderemo lemosse dal loro documento fondante, ilmanifesto per il partito democratico pro-mosso da Prodi e scritto da quindici intel-lettuali e che pochi, probabilmente, hannoletto e analizzato.

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D

Prenderemo le mosse dal

loro documentofondante,

il manifesto per il partitodemocratico

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Il Manifesto del PD: tutto e il contrario di tutto

L’amor patrioL’inizio è enfatico e suscita qualche ricordo e un po’ di

ilarità: “Noi, i democratici, amiamo l’Italia. Amiamo laricca umanità della sua gente; il suo patrimonio inegua-gliabile di storia, arte e cultura; l’intreccio di splendidecittà, di magnifici ambienti naturali e paesaggi che dasecoli attrae viaggiatori stranieri. Amiamo il senso profon-do di ospitalità e di solidarietà degli italiani, la loro atten-zione alla qualità della vita, la loro straordinaria capacitàdi produrre cose che piacciono al mondo”. Non torna forsealla mente quel “L’Italia è il Paese che amo” pronunciatoin apertura del messaggio televisivo con cui Silvio Berlu-sconi annunciò ufficialmente, nel 1994, la sua discesa incampo? Ebbene, tredici anni dopo, tredici anni in cui leparole, i concetti e lo stile di comunicazione di Berlusconisono stati derisi, sbeffeggiati talvolta svillaneggiati, a sini-stra riscoprono l’amor patrio e il desiderio di comunicarlo.

E come sempre accade quando si vuolestrafare, ecco che si rinnega quello che si èdetto per decenni. Leggete questo passo:“Noi democratici abbiamo fiducia nell’Ita-lia. Perché è un paese vitale, creativo, ope-roso, pervaso da un diffuso spirito d’intra-prendenza. Un paese che ha contribuito alla prosperità dimolte altre nazioni, attraverso l’intelligenza e la tenacia ditanti nostri concittadini. E crediamo che l’Italia possa far-cela a stare al ritmo di un mondo che cambia sempre più infretta. Siamo convinti che saprà mantenere e migliorare isuoi livelli di vita, se non coltiverà la pretesa illusoria diserrare la porta o di chiudere gli occhi di fronte alle sfideglobali, se accetterà di affrontarle insieme all’Europa, seriuscirà a ritrovare slancio, coesione e fiducia”.

Ma come? Fino a pochi anni fa la teoria di fondo di tuttala sinistra era quella de “Le due Italie”, come si intitolavaun breve saggio di uno degli ideologi più amati a sinistra,Alberto Asor Rosa. Due Italie, di cui una era buona, proba,lavoratrice, democratica, antifascista, dotata di senso civi-co, di senso della legalità e di ogni altra virtù civile e repub-

A sinistrariscopronol’amor patrio e il desiderio di comunicarlo

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blicana vi possa venire in mente; mentre l’altra era cinica,avida, priva di dignità, reazionaria, codina, fatta di evasorifiscali, di luridi adoratori del profitto a tutti i costi, di gentededita al solo interesse personale e per questo disposti atutto, ma proprio tutto quello che di più spregevole possia-te pensare.

Ci sarebbe da rallegrarsi, dunque, dell’abbandono dell’ar-rogante pretesa di rappresentare “i buoni”, se non fosse che,già dal passo successivo, si torna all’attacco dei “cattivi”.

Il manifesto, infatti, recita: “Ma l’Italia di oggi non èall’altezza delle sue ambizioni e delle sue possibilità. È unpaese bloccato, smarrito, che rischia il declino. Il senso

civico appare inaridito e il rispetto dellalegalità è troppe volte umiliato. La classedirigente è terribilmente invecchiata equasi esclusivamente maschile. Le donnesono ancora in larga parte escluse dai luo-ghi della rappresentanza politica. I giovanisi scontrano con rendite e privilegi nelleimprese e nelle professioni, nella scuola,nell’università e nella ricerca, nella politi-ca e nella pubblica amministrazione. Guar-

dano con preoccupazione al futuro e faticano a costruirsiuna vita autonoma. Anche per questo, siamo un paese chefa pochi figli. Avvertiamo i segni di un pessimismo diffusoche riguarda la stessa identità dell’Italia come nazione.L’Italia rischia di tornare ad essere una «espressione geo-grafica», divisa al suo interno tra aree forti, integrate inEuropa, ed aree marginali e dipendenti; tra ceti capaci dicompetere con successo nel mondo globale e vasti stratisociali in sofferenza, di nuovo in lotta con la povertà. A suavolta, la politica è frammentata e rissosa. Si rivela troppospesso debole nei confronti degli interessi forti ed incapa-ce di svolgere una funzione nazionale. Piuttosto che aiuta-re l’Italia a rimettersi in moto tutta insieme, finisce perrappresentare o amplificare i particolarismi, attraversopartiti al tempo stesso troppo fragili e troppo invadenti.Diventa concreto così il rischio che si affermino leader

Ci sarebbe da rallegrarsi

dell’abbandonodell’arrogante

pretesa dirappresentare

“i buoni”, se non fosse che si torna

all’attacco dei “cattivi”

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populisti, e che nella società prevalganopulsioni contrarie alla democrazia”.

I problemi veri dell’Italia, secondo idemocratici, non sono il debito pubblico, latassazione eccessiva, l’invadenza delloStato nell’economia e nella vita dei cittadi-ni, l’inefficienza dei servizi, l’inadeguatez-za delle infrastrutture, la criminalità e l’immigrazione ille-gale, insieme a tutti gli altri problemi annosi che gravano sucittadini, famiglie e imprese. No, il vero problema delnostro Paese sarebbe “il rischio che si affermino leaderpopulisti”, e chissà a chi pensavano i quindici estensori diquesto manifesto...

L’orizzonte mondialeIl manifesto dei democratici, però, non si limita a guar-

dare al nostro Paese. Il pianeta è l’orizzonte su cui si dis-piega la “democratica saggezza”: “I problemi italiani sicollocano d’altro canto in uno scenario più ampio. Lademocrazia ha vinto i totalitarismi del secolo scorso, madeve oggi far fronte a sfide di prima grandezza. È spessoprigioniera degli interessi consolidati, più che interpretedelle speranze dei deboli. I partiti faticano un po’ ovunquea promuovere la partecipazione e a selezionare una classedirigente credibile, capace di guardare lontano. Lo svilup-po tecnologico, l’intensificarsi degli scambi e delle comu-nicazioni rendono la nostra vita più dinamica e più ricca,ci rendono più aperti, ci fanno vivere meglio e più a lungo,accrescono la varietà delle conoscenze a cui possiamoaccedere, consentono a un numero crescente di persone,soprattutto tra i giovani, di sentirsi e di essere cittadini delmondo. E cittadini più informati, educati al dialogo conpersone di altre culture, costituiscono una preziosa risorsacontro i rischi ricorrenti di chiusure e intolleranze.

La democrazia rimane però per lo più relegata nei con-fini nazionali ed è quindi debole di fronte a fenomeni didimensione globale come il drammatico deterioramentodell’ambiente e del clima, il terrorismo e i conflitti inter-

Il veroproblema del nostro Paese sarebbe“il rischio che si afferminoleaderpopulisti”

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nazionali, dinamiche demografiche squilibrate, flussimigratori difficilmente controllabili, grandi disuguaglianzetra diverse aree del mondo, abusive ingerenze di interessieconomici che minano la sovranità di paesi deboli e neostacolano lo sviluppo economico e civile. Il XX secolo,insieme a tante straordinarie conquiste, ci ha consegnatoun modello di sviluppo che condanna milioni di persone eintere aree del pianeta alla povertà e che, se non subiràmodifiche radicali, renderà la terra invivibile. Un modellodi sviluppo che compromette la libertà delle nuove genera-zioni e su cui dunque la politica deve intervenire”.

E qui si raggiunge il diapason della confusione politicaed ideale. Il ventennio nazista e il sessan-tennio comunista, soprattutto, sono liquida-ti in mezza riga (“la democrazia ha vinto itotalitarismi del secolo scorso”), il proble-ma principale del nostro tempo non è l’ag-gressione che viene condotta dal fondamen-

talismo e dal terrorismo islamico, ma piuttosto il “modellodi sviluppo” del pianeta, cioè – fuori da giri di parole – ilcapitalismo contemporaneo. Nulla di nuovo e diverso dacerto internazionalismo e terzomondismo post-sessantottoche ha legittimato a suo tempo la politica espansionisticasovietica in molte aree del mondo, Africa e Asia in partico-lare. E questo sarebbe il nuovo partito dei riformisti, occi-dentale ed europeo?

Il “nuovo partito”Il manifesto dei democratici ammette, in parte l’inade-

guatezza degli eredi del Pci e degli eredi della sinistra Dcanche solo di comprendere il nostro tempo, ma non essen-do in grado di riconoscere i propri errori storici, i postco-munisti del Partito Democratico devono trascinare nell’er-rore anche i partiti socialdemocratici europei: “Di fronte asfide così impegnative, tutte le tradizionali famiglie politi-che del centrosinistra europeo faticano a trovare, da sole,risposte adeguate. Solo da una comune ricerca può nasce-re quel pensiero nuovo di cui abbiamo bisogno per capire

Qui siraggiunge il

diapason dellaconfusione

politica ed ideale

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e governare i grandi cambiamenti nei qualisiamo immersi. È per questo che vogliamocostruire un partito nuovo, di donne e diuomini, che superi definitivamente le bar-riere ideologiche che nel secolo scorsohanno diviso le forze riformatrici e aiuti l’I-talia a guardare con fiducia al secolo che èappena iniziato. Con il Partito democraticointendiamo portare a compimento un per-corso iniziato da più di dieci anni, con la feconda intuizio-ne dell’Ulivo. Vogliamo anche contribuire a rinnovare lapolitica europea, dando vita, con il Pse e le altre compo-nenti riformiste, ad un nuovo vasto campo di forze, checolmi la carenza di indirizzo politico sulla scena continen-tale. E intendiamo concorrere a costruire nel mondo unanuova alleanza tra tutti quelli che vogliono fare della glo-balizzazione una opportunità per molti piuttosto che l’oc-casione per rafforzare il potere e la ricchezza di pochi”.

Evidentemente non c’è limite all’impudenza; dopo nonessere riusciti ad abbandonare il comuni-smo prima che crollasse, come invece hafatto la socialdemocrazia tedesca che ruppecon quell’ideologia e con l’Unione Sovieti-ca nel 1959, i post comunisti italiani hannola presunzione di voler insegnare alla sini-stra europea come “colmare la carenza diindirizzo politico”. Speriamo per loro chequesto manifesto non venga tradotto ininglese, francese o tedesco.

Tutti per unoAlla lezione di politica segue poi il tentativo di traccia-

re una carta dei valori: “Ci riconosciamo nei valori dilibertà, uguaglianza, solidarietà, pace, dignità della perso-na che ispirano la Costituzione repubblicana e nell’impe-gno a farli vivere in Europa e nel mondo. Questi valoridiscendono dai molti affluenti della cultura democraticaeuropea. Hanno le loro radici più profonde nel cristianesi-

I post comunistiitaliani hannola presunzionedi volerinsegnare allasinistra europeacome “colmarela carenza di indirizzopolitico”

Il manifesto dei democraticiammettel’inadeguatezzadegli eredi delPci e degli eredidella sinistra Dcanche solo di comprendereil nostro tempo

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mo, nell’illuminismo e nel loro complesso e sofferto rap-porto. Traggono alimento sia dal pensiero politico libera-le, sia da quello socialista, sia da quello cattolico demo-cratico. Sono maturati nella dialettica tra queste diversetradizioni e dal confronto con le sfide proposte dalle cultu-re ambientalista, dei diritti civili e della libertà femminile,oltre che nella condanna delle ideologie e dei regimi tota-

litari del novecento. Sono anche frutto diuna lunga sequenza di conflitti, basati suappartenenze religiose o di classe, e di tra-gici errori. Oggi possiamo considerare allenostre spalle quei conflitti e quegli errori.Oggi sono i valori che ci uniscono e gliobiettivi comuni che intendiamo realizzarea definire la nostra identità politica. Perquesto, oggi, noi, i democratici, possiamoproporre, assieme, un progetto forte e cre-

dibile per rinnovare l’Italia e costruire l’unità dell’Euro-pa”. E, così, con un solo periodo in cui si mette insiemetutto – dall’illuminismo al cattolicesimo, dal pensiero libe-rale all’ambientalismo antisviluppo, dal socialismo al liber-tarismo dei diritti civili – si cerca di far dimenticare la mag-gior parte della propria storia, quella vissuta al sole del-l’avvenire “delle ideologie e dei regimi totalitari del nove-cento”, di uno in particolare che non si ha nemmeno ilcoraggio di chiamare per nome: il comunismo.

Il nuovo mito: l’Europa.Dopo aver perso il mito originario del comunismo

sovietico con il crollo del muro di Berlino, la sinistra hadovuto darsi un nuovo mito da contrapporre agli StatiUniti. Un mito che si chiama Europa e che, come ognimito, è portatrice di ogni virtù, sinonimo assoluto di pro-gresso e di probità, come la retorica europeista politicallycorrect impone: “Noi democratici pensiamo l’Italia comeuna grande nazione d’Europa. Una comunità culturale epolitica fondata sui valori democratici della Costituzione esulla capacità di arricchire le proprie radici nell’incontro

Si cerca di fardimenticare la maggiorparte della

propria storiache non si ha

nemmeno il coraggio

di chiamare per nome:

il comunismo

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e nel dialogo con altre culture e altri popoli. Noi democra-tici vogliamo l’unità dell’Europa. Un’Europa politica,dotata di una sua Costituzione, e non un semplice mercatocomune. Un’Europa capace di promuovere il proprio svi-luppo e di valorizzare il proprio modello sociale. Un’Euro-pa che favorisca l’autogoverno responsabile delle suecomunità e l’unificazione della sua società civile intorno aiprincipi della democrazia, del dialogo culturale, della par-tecipazione e dell’inclusione. Un’Europa capace di parla-re con una voce sola sulla scena internazionale e di darealla imprescindibile solidarietà transatlantica con gli StatiUniti d’America un carattere paritario. Un’Europa impe-gnata, in primo luogo insieme alle altre grandi democrazie,nella costruzione di un ordine mondiale fondato su istitu-zioni multilaterali. Un’Europa consapevole che ciò è con-dizione per combattere efficacemente le povertà, salva-guardare gli equilibri ambientali sulla linea già espressacon gli accordi di Kyoto, promuovere la democrazia, idiritti umani e il dialogo tra le culture, rifiutando la logicadello «scontro di civiltà». Un’Europa potenza civile, chesappia, anche con una comune politica di difesa, dare ilproprio contributo per garantire e preservare la pace nelmondo e combattere il terrorismo fondamentalista con laforza e gli strumenti della legalità internazionale. È inte-resse nazionale dell’Italia valorizzare, in Europa, la suavocazione mediterranea, tanto più a seguito dell’impetuo-so sviluppo dell’Asia. Come principale proiezione dell’Eu-ropa nel Mediterraneo, l’Italia può svolgere una funzionepolitica, economica e culturale di primaria importanza, edaffrontare in forme nuove e più efficaci lo storico squilibriotra il Nord del Paese e il nostro Mezzogiorno. Noi voglia-mo che l’Europa, in particolare grazie all’Italia, operi pertrasformare il Mediterraneo da epicentro dei conflitti mon-diali a luogo privilegiato del dialogo e della collaborazio-ne tra popoli, culture, religioni, impegnandosi in primoluogo per garantire la sicurezza di Israele e il diritto deipalestinesi ad uno stato pacifico e democratico, per favori-re l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, per la sta-

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bilizzazione dei Balcani e la loro pienainclusione nella casa comune europea”.

Tra tanta melassa retorica, alcune cosesono molto chiare: l’Europa è il contrappe-so mondiale degli Usa, non il suo storico

alleato; il terrorismo fondamentalista è il frutto della pover-tà e non di un disegno politico; ed esso va combattuto senzale armi, ma con i non meglio precisati “strumenti dellalegalità internazionale”. Dopo l’attentato alle Twin Towersa chi avremmo dovuto fare una multa? E la sicurezza diIsraele coincide con la pace e la democrazia proclamate inPalestina da Hamas?

Dopo aver volato per il mondo, il manifesto di costitu-zione del PD ritorna a terra e ci racconta l’Italia che i costi-tuenti del nuovo partito vogliono realizzare: “Noi vogliamoun’Italia più libera, più giusta e più prospera. Per questointendiamo partecipare allo sviluppo del modello socialeeuropeo, rilanciandone i due principi ispiratori di fondo:la valorizzazione dell’iniziativa, dei talenti e dei meriti; lapromozione di un tessuto sociale solidale, attento al benes-sere di tutti, in cui nessuno si perda o resti indietro. Voglia-mo investire nella produzione e nella diffusione delle cono-scenze. Vogliamo un’Italia più capace di fare sistema, didarsi obiettivi condivisi e perseguire un disegno comune. Epensiamo che sia necessario un profondo cambiamento delnostro sistema produttivo, sia incentivando l’innovazione ela crescita delle imprese, sia valorizzando i talenti custodi-ti nelle pieghe del nostro variegato territorio, nel fitto tes-suto delle comunità locali che da sempre alimentano lanascita di nuove imprese e la nostra grande tradizione arti-gianale. Dobbiamo coltivare il capitale umano, il sensocivico e la coesione sociale, senza i quali i nostri distrettiindustriali non sarebbero mai decollati e la vocazione turi-stica di tanta parte del nostro paese verrebbe sprecata”.

C’è qualcosa al di là della retorica che possa essere con-siderato un programma politico? Cosa vuol dire “fare siste-ma” o “perseguire un disegno comune”? Qual è il profon-

L’Europa è il contrappesomondiale degliUsa, non il suostorico alleato

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do cambiamento produttivo che si invoca? Non un problema del nostro Paese trova

una risposta in questa sequela di inutilità,non un riferimento all’impresa e al rapportotra lo Stato e le imprese, alla burocrazia chestrangola e alla tassazione che depreda, o alle infrastruttureche mancano e riducono la nostra competitività.

Ma il nuovo partito vuole indicare anche un orizzonte dipolitica sociale: “Noi vogliamo un’Italia più unita, piùomogenea sul piano economico e sociale. Per questo met-tiamo al centro della nostra azione il Mez-zogiorno. Dobbiamo assolutamente coglie-re, come nazione, l’opportunità di farne ilprincipale raccordo che, attraverso ilMediterraneo, unisca l’Europa e l’Asia. Inquesto quadro, la predisposizione di ade-guate piattaforme logistiche, infrastrutturedi comunicazione e reti telematiche, è fon-damentale per attrarre stabilmente capitalie iniziative imprenditoriali. A questo finevogliamo chiamare a raccolta tutte lemigliori energie della nazione, per un progetto che richie-de ingenti risorse economiche, ma soprattutto un impegnostraordinario per riformare profondamente il settore pub-blico, per combattere inefficienze, favoritismi, corruzione emettere in moto le grandi riserve di ingegno di cui il Mez-zogiorno è ricco”.

Qui non c’è solo retorica e meridionalismo di maniera.Qui c’è un’idea pericolosa che Prodi ha già accennato nelsuo programma elettorale: fare del mezzogiorno italiano latesta di ponte delle produzioni orientali, in particolare cine-si, verso l’Europa e l’Africa. Un’idea pericolosa perchéconsidera pressoché ineluttabile il fatto che la produzioneindustriale del pianeta si concentri sempre più in Cina gra-zie a un capitalismo a guida comunista in grado di produr-re beni a basso costo, senza alcun diritto riconosciuto a chi

Qui c’è un’ideapericolosa: fare delmezzogiornoitaliano la testadi ponte delle produzioniorientali, in particolarecinesi, versol’Europa e l’Africa

Cosa vuol dire“fare sistema” o “perseguireun disegnocomune”?

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lavora, senza alcun rispetto per l’ambiente, senza alcunaregola di leale concorrenza industriale. Fare del sud d’Ita-lia l’ipermercato delle merci cinesi è il peggior destino chesi può pensare per milioni d’italiani.

Il manifesto dei democratici va poi a saccheggio di temiliberali: merito, impresa, capacità, competizione: “Noidemocratici vogliamo che l’Italia dia ad ogni personauguali opportunità di affermarsi grazie alle proprie capa-cità, alla creatività, al merito. Vogliamo un paese chepremi le persone in base al loro lavoro e alla loro capaci-tà di creare opportunità di lavoro per altri, più che in basealle eredità e alle rendite. La competenza, l’operosità, l’in-gegno, la fatica, la capacità di creare imprese competitivedevono essere concretamente riconosciute e apprezzate, intutti i campi e ad ogni livello. Per questo combattiamo lerendite corporative, la gerontocrazia, il nepotismo, chebloccano l’innovazione, ritardano l’assunzione di respon-sabilità da parte dei giovani, mortificano e sprecano imigliori talenti del nostro paese. Per questo ci battiamoperché si affermi il principio di responsabilità, in base alquale il primario ospedaliero incapace, il dirigente pubbli-co inefficiente, l?imprenditore che non è in grado di starecorrettamente sul mercato, il lavoratore dipendente inope-roso, devono essere adeguatamente sanzionati e fare unpasso indietro, a vantaggio di persone più meritevoli ecapaci. Per questo non smetteremo mai di indignarci difronte alla pervicace mancanza di fiducia nella capacità dipensiero e di progetto delle donne, avvertibile in tutti i set-tori della società, dal lavoro alla vita privata. Su questotema colpisce la distanza culturale che ci separa dagli altripaesi europei. Una società che si dica civile deve mutare afondo l’atteggiamento culturale verso la donna, attuandouna rappresentazione mediatica meno arretrata, stereoti-pata e discriminatoria, attraverso iniziative di formazione,codici deontologici e leggi. Per questo ci impegniamo adare valore alle differenze, a realizzare compiutamente lepari opportunità, rendendo effettivo quanto finora è rima-

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sto troppo spesso scritto sulla carta. Noi democratici siamoconvinti che l’Italia abbia bisogno di una cura straordina-ria di concorrenza nei mercati e di efficienza nel settorepubblico. Una cura necessaria sia per liberare le energieche servono a rilanciare lo sviluppo, sia per promuovere unmaggior riconoscimento del merito, una più forte mobilitàsociale, una più avanzata uguaglianza delle opportunità.Più concorrenza, anzitutto. Le imprese non devono essereassistite, protette o guidate, ciò che le deresponsabilizza ele espone a rapporti opachi con la politica. Hanno bisognodi buoni servizi, di energia a costi ragionevoli, di un cari-co fiscale non superiore a quello degli altri paesi europei,di reti infrastrutturali moderne, siano esse pubbliche o pri-vate. E di sanzioni efficaci in caso di abuso di posizionedominante o di altri comportamenti illeciti. L’Italia haanche bisogno di una pubblica amministrazione più effi-ciente, che produca da un lato migliori servizi per le impre-se e renda effettivi i diritti dei cittadini, specie di quelli conminori risorse e capacità di relazione; dall’altro consentadi recuperare le grandi capacità di lavoro esistenti nel set-tore pubblico, oggi mortificate dalle intrusioni della politi-ca, dal mancato riconoscimento dei meriti, dall’assenza disanzioni per chi non si impegna.”.

Tutto vero, tutto bello e condivisibile. Ma come la met-tiamo con una controriforma delle pensioni che penalizza imeno garantiti e i giovani a vantaggio degli anziani e di chiha più tutele? Come la mettiamo con la feroce campagnacontro una legislazione, la legge Biagi, che ha introdottomaggiore competitività nel mercato del lavoro? Come lamettiamo con l’impossibilità di licenziare i fannulloni nellapubblica amministrazione? Come la mettiamo con l’ideo-logia del diritto a tutto, lavoro, casa, pensione, salute senzache a questo corrisponda alcun dovere. Su tutto questo glieredi del PCI e della sinistra DC non sentono il dovere diqualche critica a sé stessi?

La risposta a questi interrogativi viene subito dopo, per-ché come qualche comico ha ben sottolineato in tv, quellidel partito democratico sono per una cosa ma anche per il

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suo contrario; per il bianco, ma anche per ilnero; per il mare ma pure per la montagna;per il caffè e, perché no, per il thé; Eccocome: “Ma vogliamo anche che il nostrodiventi un Paese più giusto, in cui il benes-sere sia diffuso. Siamo convinti che senzacoesione non c’è sviluppo. Per questo non

smetteremo mai di lottare per l’uguaglianza, contro lapovertà e l’emarginazione. Per noi ogni persona ha dirittoad una buona formazione, alle cure migliori, ad un redditoadeguato. Per noi il lavoro è il cardine di una vita attiva eautonoma, strumento di realizzazione e di liberazione dalbisogno. Pensiamo ai lavori al plurale, a quello nella pro-duzione e nei servizi, al lavoro di cura e a quello volonta-rio; al lavoro che assorbe, che manca, che si perde e diven-ta troppo spesso dramma umano e familiare. L’impegnoper una piena e buona occupazione è un cardine dellanostra azione. Riteniamo importante promuovere tutti ilavori, anche nelle forme nuove, flessibili e autonome; mavogliamo che la flessibilità non sia pagata con la precarie-tà e con le intollerabili insicurezze di oggi. Vogliamotagliare le convenienze al lavoro nero e sommerso, che pro-duce sfruttamento e favorisce la piaga intollerabile delle«morti bianche». Vogliamo che le tutele non riguardino piùsolo il posto di lavoro, ma anche la capacità dei lavorato-ri di stare sul mercato. Non accettiamo che maternità, curadella malattia, studio e riqualificazione siano visti comeincidenti deprecabili e non come benefici per la societàintera. Per questo assegniamo un ruolo centrale alla for-mazione di qualità lungo l’intero arco della vita e inten-diamo legare i redditi di disoccupazione allo svolgimentodi attività formative e alla disponibilità al lavoro. Alla que-stione salariale che è aperta nel nostro paese, vogliamoricercare risposte che premino il merito e la fatica. Voglia-mo democrazia nei luoghi di lavoro, corrette relazioni sin-dacali, partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavora-tori. Noi democratici vogliamo rifondare il nostro statosociale, che tende a offrire tutele solamente a chi ha o ha

Quelli del partito

democraticosono per una

cosa ma ancheper il suocontrario

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avuto un lavoro stabile lasciando gli altri indifesi, in primoluogo i giovani e le donne. Vogliamo ridisegnarlo in fun-zione del lavoro, delle giovani generazioni e della mobilitàsociale. Vogliamo uno stato sociale universalistico, quantoalla platea dei destinatari; selettivo, in base ai bisogni,nelle prestazioni; equo, in base ai redditi familiari, nellacontribuzione. Proponiamo un modello attivo di statosociale che non si limiti a proteggere dai rischi ma stimolila crescita delle opportunità personali e sociali attraversoservizi di qualità e integrati sul territorio. In particolare,dobbiamo colmare storiche carenze nei servizi per l’infan-zia, i disabili e gli anziani non autosufficienti”.

Non una parola sul costo crescente della sanità in tuttaEuropa e sui mezzi per farvi fronte; non un’idea su comespostare spesa pubblica dalla previdenza ai servizi. Soloparole che avvolgono di nulla lo status quo che questidemocratici – che oggi sono al governo – mantengono.

In questo manifesto nulla è trascurato.C’è anche un bel capitolo dedicato allascuola. Leggetelo e, alla fine, credo vi fare-te la stessa domanda: “Sappiamo che laprosperità dell’Europa, e dell’Italia in par-ticolare, dipenderanno dalla nostra capaci-tà di sviluppare conoscenze evolute ed ideecreative, di puntare sull’innovazione e la qualità dei nostriprodotti, valorizzando al meglio la straordinaria sedimen-tazione di competenze, gusto, cultura che proviene dal-l’ambiente in cui viviamo e dalla nostra storia. Secondonoi si deve quindi investire di più nell’istruzione, nellaricerca e nell’arte, sapendo che la cultura è elemento costi-tutivo della civiltà europea e non uno mero strumento perla produzione. Vogliamo assicurare un futuro alla culturaitaliana favorendo la piena internazionalizzazione dellanostra comunità scientifica, spesso segnata da eccessivoprovincialismo. Vogliamo rafforzare e sviluppare un fortesistema pubblico di Università e centri di ricerca di eccel-lenza, affermando il principio dell’autonomia, della com-

In questomanifesto nullaè trascurato.C’è anche un bel capitolodedicato alla scuola

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petizione tra le strutture sulla base di una valutazione rigo-rosa dei risultati, del rinnovamento generazionale su basimeritocratiche del corpo docente. Crediamo in una scuolainclusiva, sempre più integrata in un sistema europeo dellaformazione, che garantisca effettivamente le pari opportu-nità, che valorizzi le differenze e che contribuisca a costrui-re un’etica pubblica condivisa intorno ai principi dellaCostituzione. È nella scuola che si innestano le radici dellacultura democratica e civile indispensabile ad una convi-venza sempre più multiculturale. Anche con la scuola sipreviene il teppismo, la violenza e il razzismo. Per questovogliamo restituire prestigio agli insegnanti. Vogliamosostenere un sistema scolastico pubblico integrato (statalee non statale) che garantisca una elevata soglia di qualitàai percorsi formativi ed escluda i diplomifici. Nel campodell’istruzione superiore vogliamo dare un sostegno effetti-vo ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi», di cuiparla la Costituzione, perché possano studiare in centri dieccellenza di livello internazionale ed acquisire quella cul-tura cosmopolita che serve alla classe dirigente di un gran-de paese come l’Italia”. E studiare? Ne vogliamo almenoparlare? O la scuola a quello non serve?

Passare dalla scuola e l’università all’in-dustria culturale, il passo è breve. Ed eccoche i democratici riscoprono le loro autenti-che radici (intendo quelle comuniste e dellasinistra dc), perché il tormentone è semprequello, c’è l’oligopolio di Berlusconi:

“Vogliamo rilanciare l’industria culturale e della comuni-cazione italiana, essendo consapevoli che i media oggicostituiscono un settore strategico sia come veicolo diinformazione e cultura sia come opportunità di lavoro alta-mente qualificato. Questo settore nel nostro Paese è oggipiù di altri ingessato a causa di una limitata concorrenza,ed in particolare a causa del carattere oligopolistico delmercato pubblicitario e televisivo che va a nostro avvisosuperato. Non possiamo limitarci ad acquistare contenuti

I democraticiriscoprono le

loro autenticheradici, perché il tormentone

è sempre quello

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se non vogliamo condannarci da un lato alla subalternitàculturale e dall’altro a stare fuori da una delle più impor-tanti industrie globali. Il cinema italiano è stato tra i pro-tagonisti della cultura del Novecento. È noto che il «rac-conto» è il cuore dell’identità culturale di un Paese e noivogliamo che sopravviva e si diffonda. È importante, oltreche economicamente strategico, restituirgli il suo ruolonella cultura internazionale. A questo fine, non pensiamo apratiche protezionistiche quanto ad incentivi per le copro-duzioni europee che siano in grado di stare sul mercatomondiale. Vogliamo che la musica, il teatro e le altre formedi espressione artistica siano parte integrante della forma-zione culturale e abbiano quindi l’attenzione e il sostegnonecessari. Vogliamo reagire allo scadimento della propostatelevisiva puntando sulla qualità dei contenuti e l’obiettivi-tà dell’informazione, a cominciare dal servizio radiotelevi-sivo pubblico. Vogliamo un giornalismo della carta stam-pata libero da condizionamenti e interessi di impresa estra-nei all’attività editoriale. Vogliamo promuovere la liberacircolazione dei prodotti dell’ingegno, anche attraverso lenuove forme di scambio rese possibili dalle tecnologieinformatiche, se prive di fini di lucro, che consideriamo unfondamentale fattore di libertà, di eguaglianza e di diffu-sione della conoscenza”. È per realizzare tutto questo che,con un atto di forza di dubbia legalità, i democratici digoverno hanno sostituito Angelo Petroni con FabianoFabiani nel Consiglio di amministrazione della Rai?.

Dopo la cultura, la natura. Nel senso del-l’immigrazione. Che per gli ottimisti demo-cratici non è un problema da governare, maun lieto evento da godere: Ecco il peana:“Nel progettare l’Italia di domani, non pos-siamo peraltro dimenticare che essa viene ogni giorno resamigliore dallo spirito di sacrificio di milioni di immigrati.Noi crediamo che siano necessari un sistema di program-mazione degli ingressi realistico, ed una politica repressi-va efficace per contrastare l’immigrazione illegale, per

Dopo la cultura, la natura. Nel senso dellaimmigrazione

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reprimere i trafficanti e gli sfruttatori, per punire chi siarricchisce con il lavoro nero. Ma vogliamo anche unapolitica dell’accoglienza che garantisca i diritti dei lavo-ratori stranieri e che, facendo questo, tuteli nei fatti anchei lavoratori italiani. Vogliamo norme e procedure chiareche consentano agli immigrati onesti di dormire tranquilli,di essere rispettati e fare progetti per la loro vita. Diciamochiaramente che lo straniero che condivide i valori dellanostra Costituzione, che è inserito nel nostro paese e con-tribuisce alla nostra vita sociale deve avere la possibilità,se lo desidera, di diventare italiano. Diciamo chiaramenteche le centinaia di migliaia di bambini stranieri nati in Ita-lia, che frequentano le stesse scuole, parlano la stessa lin-gua e nutrono gli stessi sogni dei nostri figli sono italiani atutti gli effetti e come tali devono essere riconosciuti didiritto. Diciamo chiaramente che i talenti di questi bambi-ni non devono andare sprecati, a loro spettano le stesseopportunità di qualsiasi altro bambino italiano”.

Anche in questo caso tutto è affrontato in modo ideolo-gico, al di fuori della realtà e dei problemi che essa pone.

Non ci si pone nemmeno la domanda se c’èun rapporto tra criminalità e immigrazione.Si rifiuta a priori l’ipotesi che, stante ilsistema di regolazione dell’immigrazionefondato sulla regolarizzazione di chi èentrato in Italia violando la legge, si siano

rovesciate nel nostro Paese legioni di criminali liberatidalle galere nelle loro nazioni d’origine. Non ci si interro-ga nemmeno un momento sull’immigrazione dal mondoislamico, sulla volontà di certe comunità di non integrarsinel modo di vita della nostra nazione e sul pericolo rappre-sentato dalla proliferazione delle moschee che spesso rap-presentano luoghi di culto del terrorismo e non della reli-gione. L’ideologia del politically correct prevale su tutto ela parola repressione è bandita.

Quella repressione che invece viene invocata nei con-fronti di altri a proposito di giustizia: “L’Italia deve irro-

Non ci si ponenemmeno la

domanda se c’èun rapporto tra

criminalità e immigrazione

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bustire la cultura e la pratica della legalità. Per questovogliamo una magistratura responsabile e indipendente,secondo i principi della Costituzione, e una giustizia effi-ciente, capace di assicurare l’attuazione del diritto intempi ragionevoli. L’Italia deve liberarsi dalla mafia edalle forme deviate di esercizio del potere politico e buro-cratico, che hanno costituito in alcune aree del Paese veree proprie «strutture di dipendenza», e tengono soggiogatala società civile, distorcendo i rapporti tra cittadini e isti-tuzioni. Vogliamo uno Stato impegnato a difendere i citta-dini da tutte le forme di criminalità, anche quelle che sem-brano meno gravi, ma colpiscono duramente la libertà e lasicurezza di tante persone, soprattutto le più deboli. Perquesto siamo profondamente grati a chi opera nelle forzedell’ordine con professionalità, senso delle istituzioni e spi-rito di sacrificio”.

La legalità, come si può leggere, è solo mafia e tangen-topoli. Il resto è da giustificare, così comeha – ad esempio – deciso con un mostrogiuridico la Corte di Cassazione, che halegittimato l’occupazione abusiva di unacasa se si è in condizioni di difficoltà eco-nomica.

Il Manifesto poi si intrattiene sui poteri pubblici e ilruolo dello Stato, che, al di là delle parole, resta prevalentesu quello della società, cui è affidato un ruolo ancillare:“Contro la prepotenza degli interessi particolari, più fortequando le istituzioni sono deboli, vogliamo preservarel’autorevolezza dei poteri pubblici e la loro effettiva capa-cità di esprimere una efficace funzione redistributiva eregolatrice. D’altro canto non riteniamo che l’interventopubblico debba essere necessariamente affidato ad istitu-zioni statali e siamo convinti dell’importanza della sussi-diarietà. Pensiamo che in molti settori, dalla formazioneprofessionale all’istruzione, dalle politiche sociali alla pro-mozione dello sviluppo economico, alla tutela del nostropatrimonio storico, culturale e ambientale, l’intervento

La legalità è solo mafia e tangentopoli.Il resto è dagiustificare

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pubblico, debba valorizzare la voce e il ruolo delle comu-nità locali, delle imprese, delle associazioni economiche,del volontariato e delle famiglie. Per rafforzare la demo-crazia abbiamo bisogno di istituzioni adeguate, ma anchedi classi dirigenti responsabili, così come di una concezio-ne matura della cittadinanza, alimentata dalla consapevo-lezza da parte di ciascuno dei propri diritti e dei propridoveri, da un rinnovato senso dello stato, da una chiara,diffusa responsabilità per il bene comune, da una più soli-da etica pubblica, da un sincero patriottismo costituziona-le”. Saremmo poi grati se qualcuno ci spiegasse cosa sia il“patriottismo costituzionale”.

Infine la Costituzione e la forma delloStato. E qui si raggiunge la summa degliossimori. Perché i democratici rivendicanoil mantenimento della Costituzione del 1948ottenuta nel referendum del 2006 e chiedo-no, al tempo stesso, riforme che erano con-tenute in quella proposta di riforma costitu-

zionale approvata tra il 2001 e il 2006 e bocciata dal refe-rendum. Ma per i democratici non c’è contraddizione nel-l’essere per una cosa e il suo contrario: “Noi democraticiriconosciamo il fondamentale valore della Costituzionecome patrimonio comune di tutto il Paese, che il referendumdel giugno 2006 ha contribuito a radicare nella coscienzadegli italiani. Per rendere le nostre istituzioni democratichepiù solide secondo noi è necessario completare la riformafederale dello Stato, attuandone gli aspetti più innovativi,tra cui il federalismo fiscale, e correggendo le disposizioniche si sono rivelate portatrici di conflitti e di incertezze.Abbiamo bisogno di governi stabili e autorevoli, così comeabbiamo bisogno di un Parlamento formato da un numerodi componenti più ridotto e più efficiente nelle modalità dilavoro, più rappresentativo non solo dei territori ma anchedei generi. Noi pensiamo ad una Camera titolare dell’indi-rizzo politico e della funzione legislativa. E ad un Senatoche costituisca la sede di rapporti collaborativi tra lo Stato

Infine la Costituzione

e la forma dello Stato.

E qui siraggiunge lasumma degli

ossimori

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e gli altri soggetti istituzionali che compongono la Repub-blica, che concorra paritariamente all’approvazione dellemodifiche alla Costituzione e che abbia il potere di richia-mo delle leggi approvate dalla Camera, con la funzione disuggerire correzioni e miglioramenti. Vogliamo una leggeelettorale per il Parlamento nazionale che stabilisca unchiaro rapporto fra l’eletto, il territorio e gli elettori, con-trasti la frammentazione partitica e favorisca l’evoluzionedel sistema politico italiano verso una compiuta democra-zia dell’alternanza. E pensiamo che alle stesse finalità sidebbano ispirare tutte le norme che incidono sulla rappre-sentanza, come i regolamenti parlamentari o la legislazionesul finanziamento della politica”.

Infine un passaggio sui valori, con quel-la che in apparenza sembrerebbe una rivo-luzione, dalle masse alle persone: “Al cen-tro del nostro impegno politico non c’è unaastratta ideologia ma ci sono le persone, leloro necessità materiali, intellettuali e spi-rituali, la loro naturale aspirazione albenessere e alla libertà, i loro diritti”. Masubito arriva il correttivo antiindividualista,qualora qualcuno si illudesse che un po’ dicultura anglosassone fosse arrivata anche alPD: “Non ci piacciono invece la cultura, lamentalità e le politiche che puntano solo al vantaggio egoi-stico e all’arricchimento individuale. I progetti dei singoli,nella società che vogliamo, sono progetti di persone aper-te agli altri, che affermano diritti ma anche riconosconodoveri. La società che vogliamo riconosce il valore e colti-va l’etica del lavoro, attraverso cui le persone mettono allaprova la loro responsabilità e i loro talenti. È una societàintessuta da un denso reticolo di associazioni no profit e divolontariato. La società che vogliamo riconosce il valore efavorisce la formazione della famiglia, dentro cui le perso-ne mettono alla prova la solidarietà e il reciproco rispettotra i generi e le generazioni”.

Un passaggiosui valori, masubito arriva il correttivoantiindividualis-ta, qualoraqualcuno si illudesse che un po’di culturaanglosassonefosse arrivataanche al PD

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Infine ci si avventura sui temi della bioe-tica e, impossibilitati a fare affermazioni, siassommano negazioni: “Abbiamo d’altrocanto ben chiari i limiti della politica, noncrediamo nella onnipotenza dello Stato,difendiamo la sua laicità, abbiamo a cuorela difesa dei diritti civili e lottiamo contro

tutte le discriminazioni. Secondo noi la politica e la leggedevono intervenire con cautela sui temi che hanno a chefare con la scienza e la tecnica in riferimento alla vitaumana, al suo inizio, alla sua fine e alla sua riproduzione.Si tratta di questioni che vanno acquisendo una rilevanzacentrale nel dibattito pubblico, perché sollevano inediti eradicali interrogativi di natura etica, che sfidano l’intelli-genza e la coscienza. Noi riteniamo che solo il dialogo tradiverse visioni religiose, etiche e culturali può portare asoluzioni normative ragionevoli e condivise, rispettose delcriterio irrinunciabile della dignità della persona umana ecapaci di far incontrare il valore della libertà di ricerca edi scelta col principio per cui non tutto ciò che è tecnica-mente possibile è moralmente lecito.

Noi concepiamo la laicità non come un?ideologia anti-religiosa e neppure come il luogo di una presunta e illuso-ria neutralità, ma come rispetto e valorizzazione del plura-lismo degli orientamenti culturali e dei convincimentimorali, come riconoscimento della piena cittadinanza –dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo pri-vata – delle religioni. Le energie morali che scaturisconodall’esperienza religiosa, quando riconoscono il valore delpluralismo, secondo noi rappresentano infatti un elementovitale della democrazia. E la laicità dello Stato, così comesancita dalla Costituzione, è garanzia che ogni persona siarispettata nelle sue convinzioni più profonde e al tempostesso si possa pienamente integrare nella comunità nazio-nale. In questo quadro, riteniamo che i rapporti fra lo Statoe la Chiesa cattolica siano stati validamente definiti dallaCostituzione e che ogni sviluppo di quei rapporti debbamuoversi nel solco fissato dalla stessa Carta costituziona-

Ci si avventurasui temi della

bioetica e,impossibilitati

a fareaffermazioni,

si assommanonegazioni

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le”. Anche qui qualche colpo al cerchio e qualche colpoalla botte.

Da ultimo un capitolo sul partito, un capitolo che invecedi delineare lo strumento con cui realizzare il “progetto” pre-sentato nel manifesto, non è altro che un melassoso dossierdi buone intenzioni, che nulla hanno a che fare con la vitaquotidiana dei partiti che concorreranno a formare il nuovopartito democratico: “Per dare corpo a questo progettoserve un partito nuovo, un grande Partito democratico, cherinnovi la politica italiana, il suo costume, i suoi comporta-menti. Un partito che aiuti la società italiana a trovare unasintesi, ad andare oltre i localismi e le chiu-sure corporative che impoveriscono il nostropresente e mettono a repentaglio il nostrofuturo. Serve un grande partito democraticoche dia all’Italia governi stabili e un forteimpulso riformatore. Per oltre un decennioquesto progetto è stato coltivato all’ombra diun sentimento che ci accomuna e di un sim-bolo che ci rappresenta: l’Ulivo, il simbolodel nostro radicamento nella società italianae della solidità dei nostri valori, dell’orgo-glio di un’Italia operosa, del suo buon vive-re, di un’Italia nazione d’Europa nel cuoredel Mediterraneo, della nostra aspirazionealla fratellanza e alla pace. Sottoscrivendo questo manifestoci impegniamo a lavorare con piena convinzione, determi-nazione e lealtà per fare, a tutti gli effetti, entro la fine del2008, dell’Ulivo il Partito dei democratici, il nostro partito.Sottoscrivendo questo manifesto, ce ne sentiamo e ne siamogià parte. Sottoscrivere questo manifesto e versare unaquota minima, saranno condizioni per partecipare, sullabase del principio «una testa un voto», alla formazione degliorgani costituenti, secondo le regole definite in modo con-sensuale dal coordinamento dell’Ulivo. Ci impegniamo alavorare con passione per costruire un partito di popolo,radicato e diffuso sul territorio, capace di rendere parteci-

Un capitolo sul partito, un melassosodossierdi buoneintenzioni, che nulla hannoa che fare con la vitaquotidiana dei partiti checoncorrerannoa formare ilnuovo partitodemocratico

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pati e condivisi i processi di riforma. Un partito che ricono-sca e rispetti il pluralismo delle organizzazioni sociali, chericonosca e rispetti la distinzione tra la sfera dell’intrapresaeconomica privata e la sfera dell’azione politica. Un partitoche riconosca e rispetti il pluralismo delle posizioni chematurano al suo interno ma che rimanga sempre capace diidentificare una linea programmatica comune e di portarlaavanti in maniera coesa e coerente nelle istituzioni. Ci impe-gniamo a costruire un partito che, sin dalla sua fase fonda-tiva, sia aperto alla partecipazione di una larga platea di cit-tadini, ed affidi al loro voto, diretto e segreto, la scelta dellaleadership. Un partito capace di parlare al paese con unavoce autorevole, che proponga il suo leader alla guida delGoverno della nazione, un partito che affidi al metodo delleprimarie la scelta delle candidature alle massime cariche digoverno nelle Regioni e negli Enti locali. Ci impegniamo acostruire un partito a rete, che preveda molteplici opportu-nità di adesione e di impegno, che assuma le differenze digenere, di ispirazione culturale, di interesse sociale e pro-fessionale. Un partito organizzato su base federale, che pre-veda una ampia autonomia regionale e territoriale. Per noi,i democratici, la politica è prima di tutto servizio, è unanobile forma di amore per il prossimo e per il nostro paese.Per questo vogliamo riscattarne il valore, difendendolo dalledegenerazioni affaristiche, dalle manipolazioni delle proce-dure democratiche, dalle oligarchie inamovibili, restituendofiducia alle tante persone che sono disposte a impegnarsiper passione civile, in forma volontaria e a proprie spese.Sappiamo che la politica, soprattutto quando implica l’as-sunzione di responsabilità istituzionali, richiede straordina-rie doti di dedizione, talento e competenza. Attitudini che inlarga misura maturano nella società e che, dentro un gran-de partito democratico, devono essere coltivate attraversol’esperienza, la formazione e la ricerca. Al tempo stesso sap-piamo che la politica può essere o apparire, per chi la pra-tica, fonte di privilegi personali inaccettabili, e può conferi-re posizioni di potere che si auto?perpetuano. Noi crediamoquindi che, quando l’attività politica si svolge nelle istituzio-

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ni, deve poter godere del massimo rispetto ma deve ancheessere sottoposta a stringenti forme di rendiconto, oltre chead un periodico ricambio. Per questo nel nostro partito lapartecipazione alla vita interna, l’assunzione delle candida-ture e degli incarichi, così come le nomine di competenzapolitica in enti ed istituzioni pubbliche, saranno regolate daun rigoroso codice deontologico e da norme statutarie che,ad ogni livello organizzativo e in ogni ambito istituzionale,stabiliscano un limite al rinnovo dei mandati. Il Partitodemocratico fa propria la norma antidiscriminatoria sullarappresentanza minima del 40% per ciascuno dei due gene-ri. Siamo ben consapevoli che dando vita al Partito demo-cratico realizziamo un cambiamento di portata storica. Conla trasformazione dell’Ulivo in un partito superiamo defini-tivamente la prima lunga stagione della vita repubblicana ecreiamo un soggetto destinato a segnare il profilo della poli-tica italiana ed europea nel secolo che è appena iniziato.Abbattiamo definitivamente i muri ideologici del novecentoe cominciamo a costruire ponti, tra culture politiche e setto-ri della società italiana, tra i generi e le generazioni. Apria-mo strade nuove per il futuro del nostro Paese”.

È bastato esaminare ciò che il PartitoDemocratico dice di essere e di voler essereper comprendere che, invece della grandenovità della politica italiana ed europea, citroviamo di fronte alla raccolta più trita econsunta del politically correct che si è stra-tificato nel nostro Paese negli ultimi ven-t’anni. Una subcultura politica che non fa iconti innanzitutto con la storia dei suoi pro-tagonisti e che nasconde la realtà non gradi-ta dietro il manto della retorica e dellamistificazione.

In fondo, se guardiamo all’Italia qual è, il partito demo-cratico è vincente da almeno un ventennio, perché tutti quel-lo che in Italia non funziona è descritto, e in qualche modorivendicato, proprio in questo manifesto di fondazione.

Una subculturapolitica che non fa i contiinnanzituttocon la storia dei suoiprotagonisti e che nascondela realtà nongradita dietro il manto dellaretorica e dellamistificazione

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Appendice

I candidati e le regole del PDFonte: www.partitodemocratico.it

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l primo atto formale verso la costituzione del nuovoPartito viene effettuato il 23 maggio 2007 con la nomi-na di un Comitato promotore, il “Comitato 14 ottobre”(nome proposto da Paolo Gentiloni), così chiamatocon riferimento alla data in cui sarà eletta l’assembleacostituente del Partito Democratico.

Tale comitato, nato con 45 membri, potrebbe vedere cre-scere il numero dei suoi componenti: oltre ad esponenti diDs e Margherita, annovera anche politici provenienti daesperienze diverse (come l’ex Udc Marco Follini e il socia-lista Ottaviano Del Turco) e personalità della società civi-le, come il giornalista Gad Lerner, il presidente di “SlowFood” Carlo Petrini e l’esponente dell’Unione delle Comu-nità Ebraiche Tullia Zevi.

Questo l’elenco completo dei 45 membri: GiulianoAmato, Mario Barbi, Antonio Bassolino, Pier Luigi Bersa-ni, Rosy Bindi, Paola Caporossi, Sergio Cofferati, MassimoD’Alema, Marcello De Cecco, Letizia De Torre, OttavianoDel Turco, Lamberto Dini, Leonardo Domenici, VascoErrani, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Giuseppe Fioroni,Marco Follini, Dario Franceschini, Vittoria Franco, PaoloGentiloni, Donata Gottardi, Rosa Iervolino Russo, LindaLanzillotta, Gad Lerner, Enrico Letta, Agazio Loiero, Mari-na Magistrelli, Lella Massari, Wilma Mazzocco, MaurizioMigliavacca, Enrico Morando, Arturo Parisi, Carlo Petrini,

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Appendice

Barbara Pollastrini, Romano Prodi, Angelo Rovati, France-sco Rutelli, Luciana Sbarbati, Marina Sereni, AntonelloSoro, Renato Soru, Patrizia Toia, Walter Veltroni e TulliaZevi.

La prima riunione del Comitato si è avuta il 30 maggio2007. Una seconda riunione, nella quale si è parlato deicompiti, modalità e obiettivi dell’Assemblea costituentedel Pd che sarà eletta il 14 ottobre con le primarie, si è tenu-ta l’11 luglio. Sono state decise le regole per le primarie del14 ottobre: formazione di liste per l’elezione all’AssembleaCostituente collegate al candidato segretario, il quale potràessere appoggiato anche da più liste, numero minimo di100 firme per la presentazione delle candidature.

I candidati

Mario Adinolfi Rosy Bindi Pier Giorgio Gawronski Enrico Letta Jacopo Gavazzoli Schettini Walter Veltroni

Candidati alla segreteria non ammessiHanno manifestato il loro interesse ma il comitato del PD non ha accettato le loro candidatre:

Enrico Andreoni Lucio Cangini Furio Colombo Antonio Di Pietro Marco Pannella Amerigo Rutigliano

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Appendice

Chi può votarePotranno votare tutti i cittadini residenti in Italia o con

permesso di soggiorno che abbiano compiuto 16 anni,pagando una quota minima di 1 euro. Le elezioni si svolge-ranno dalle 7.00 alle 22.00.

Come si votaSi vota dalle 7.00 alle 20.00. I seggi saranno più di die-

cimila, ce ne sarà uno anche vicino casa tua.

Puoi votare se hai almeno 16 anni e sei: cittadino italiano,cittadino europeo con residenza in Italia, o cittadino di unaltro paese con permesso di soggiorno in Italia. Per votarebasta un documento d’identità e la tessera elettorale.

Per i minorenni e i cittadini stranieri serve solo il documen-to. Gli studenti universitari e i lavoratori fuorisede possonovotare nella città dove studiano o dove lavorano, iscriven-dosi presso l’Ufficio Tecnico Amministrativo Provinciale.

Le schede sono due: una per l’Assemblea CostituenteNazionale, l’altra per quella Regionale. Si vota mettendouna croce su una sola delle liste. Sceglierai il tuo leadervotando una tra le liste che lo sostengono.

Il contributo minimo per il voto è di solo 1 euro.

Le pari opportunità sono interpretate alla lettera dal PD: leliste sono tassativamente composte alternando donne euomini. E donne sono anche metà dei capolista.

Dove si votaStiamo lavorando con gli Uffici tecnici amministrativi

provinciali per definire l’esatta ubicazione dei seggi su tuttoil territorio nazionale.

La lista, non ancora completa, viene infatti quotidianamen-te aggiornata.

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Appendice

Articolo 1(Indizione dell’elezione e titolari dell’elettorato

attivo e passivo)

1. È indetta per il 14 ottobre 2007 l’elezione dei com-ponenti della Assemblea Costituente Nazionale e, in colle-gamento con essi, del Segretario politico nazionale delPartito Democratico. È inoltre indetta, per quella stessadata, l’elezione dei componenti delle Assemblee regionalie, in collegamento con essi, dei Segretari regionali del par-tito. Nella Regione Trentino Alto Adige si eleggono i com-ponenti delle Assemblee provinciali di Trento e Bolzano ei relativi Segretari provinciali; le due Assemblee provin-ciali costituiscono insieme l’Assemblea regionale cheelegge il proprio Segretario, eventualmente anche preve-dendo la turnazione in tale incarico fra i due Segretari pro-vinciali.

2. Possono partecipare in qualità di elettori e di candi-dati tutte le cittadine ed i cittadini italiani che al 14 otto-bre abbiano compiuto sedici anni nonché, con i medesimirequisiti di età, le cittadine e i cittadini dell’Unione Euro-pea residenti, le cittadine e i cittadini di altri Paesi in pos-sesso di permesso di soggiorno, i quali al momento delvoto dichiarino di voler partecipare al processo costituen-te del Partito Democratico e devolvano un contributominimo di € 1.

3. Con successivo regolamento vengono stabilite lemodalità di elezione delle Assemblee provinciali e deiSegretari provinciali, da tenersi entro il 31 dicembre2007.

REGOLAMENTO QUADRO PER L’ELEZIONEDELLE ASSEMBLEE COSTITUENTI

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Appendice

Articolo 2(Funzioni degli organi da eleggere)

1. L’Assemblea Nazionale, convocata da RomanoProdi che ne assume la Presidenza, si riunisce per laprima seduta il 27 ottobre 2007. Essa approva il Manife-sto e lo Statuto nazionale del Partito ed assolve ad ognialtra funzione attribuitale dalle norme transitorie e finalidello Statuto.

2. La prima seduta delle Assemblee costituenti regiona-li è convocata da Romano Prodi entro 30 giorni dallo svol-gimento delle elezioni ed è presieduta dal Presidente delcollegio circoscrizionale dei garanti; nelle Regioni con piùcircoscrizioni la Presidenza della prima seduta è affidata alPresidente del collegio dei garanti della circoscrizione delcapoluogo di regione. L’Assemblea come primo adempi-mento procede all’elezione del proprio Presidente tra ipropri componenti a scrutinio segreto; nel caso in cui nes-sun candidato abbia conseguito nella prima votazione lamaggioranza dei componenti, si procede immediatamentea una seconda votazione, sempre a scrutinio segreto, diballottaggio tra i due candidati più votati in cui risulta elet-to il candidato col maggior numero di voti. Nel rispetto deiprincipi stabiliti dallo Statuto nazionale, tali Assembleeapprovano il rispettivo Statuto regionale ed assolvono adogni altra funzione attribuita loro dalle norme transitorie efinali degli Statuti nazionale e regionale.

3. L’Assemblea Costituente approva le ulteriori dispo-sizioni dirette a disciplinare, anche nella fase transitoria,le modalità di funzionamento degli organi, ivi compresi ipoteri sostitutivi e sussidiari, nonché i casi di revoca e disurroga.

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Appendice

Articolo 3(Comitati promotori e Ufficio di Presidenza)

1. Il Comitato Promotore 14 Ottobre nomina l’Ufficiodi Presidenza dell’elezione.

2. L’Ufficio di Presidenza: a) nomina i componenti delCollegio nazionale e dei Collegi circoscrizionali deiGaranti, scelti fra personalità autorevoli e imparziali e,tra questi, i Presidenti dei Collegi stessi; b) nomina icomponenti dell’Ufficio tecnico-amministrativo e, traquesti, il Direttore; c) nomina i membri dell’Ufficio diTesoreria e, tra questi, il Tesoriere; d) riconosce i Comi-tati regionali e provinciali costituiti localmente; e) appro-va gli ulteriori regolamenti necessari allo svolgimentodell’elezione, ad eccezione di quelli di cui agli articolisuccessivi.

3. Il Comitato promotore nazionale e i Comitati pro-motori regionali e provinciali, così come i Collegi deigaranti e gli uffici di cui al successivo articolo 4, hannoil fine di promuovere e garantire lo svolgimento dellaconsultazione elettorale del livello istituzionale corri-spondente e si considerano sciolti al momento dell’inse-diamento delle relative Assemblee.

Articolo 4(Garanti)

1. I Collegi dei Garanti decidono sulle controversiesorte in fase di applicazione delle norme contenute nelpresente regolamento-quadro e nei Regolamenti di cuiall’articolo precedente e vigilano, ciascuno per l’ambitoterritoriale di propria competenza, sul corretto e impar-ziale svolgimento dell’elezione.

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Appendice

2. Gli eventuali reclami o ricorsi possono essere pre-sentati da ciascuno dei partecipanti alla votazione al Col-legio dei garanti della circoscrizione di residenza.

3. I reclami e i ricorsi relativi alla presentazione dellecandidature devono essere presentati entro due giornidalla decisione sulla loro ammissibilità.

4. I reclami e i ricorsi relativi alle operazioni di voto ealla proclamazione dei risultati devono essere presentan-ti entro le 48 ore successive.

5. I Garanti si pronunciano sulle questioni di cui alcomma 4 entro le 48 ore successive.

Articolo 5(Uffici tecnici)

1. L’Ufficio tecnico-amministrativo cura l’attuazionedel presente regolamento e lo svolgimento dell’elezione,a partire dalla predisposizione dei moduli e dalla defini-zione delle modalità di presentazione delle candidature.Entro quindici giorni dalla nomina dei suoi componenti,predispone i regolamenti necessari a specificare le pro-cedure operative per la gestione delle operazioni di voto.

2. Il Direttore è responsabile del coordinamento orga-nizzativo delle attività di voto.

3. Il Responsabile della comunicazione dell’Ulivopromuove e coordina le attività finalizzate a informare icittadini e sollecitare la partecipazione al voto.

4. L’Ufficio di Tesoreria è responsabile per la gestio-ne finanziaria delle attività connesse con lo svolgimentodell’elezione.

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Appendice

5. L’Ufficio tecnico-amministrativo decide le propriemodalità di articolazione a livello territoriale.

Articolo 6(Ripartizione dei seggi per l’Assemblea Costituente

Nazionale tra le circoscrizioni ed i collegi)

1. Per la ripartizione dei seggi della Assemblea Nazio-nale, si fa riferimento ai collegi e alle circoscrizioni dicui alla legge 4 agosto 1993, n. 277. Milleduecento seggivengono distribuiti tra le circoscrizioni in proporzione alnumero di residenti e milleduecento seggi in proporzioneal numero dei voti conseguiti dall’Ulivo nelle elezionidel 2006 per la Camera dei deputati, in entrambi i casisulla base del metodo dei quozienti interi e dei più altiresti.

2. I seggi così assegnati a ciascuna circoscrizione ven-gono ripartiti tra i collegi in proporzione ai voti conse-guiti dall’Ulivo nelle elezioni del 2006 per la Camera deideputati sulla base del metodo dei quozienti interi e deipiù alti resti. Qualora uno o più collegi abbiano ottenutocon tale metodo meno di tre seggi, ne ottengono tre. Siprocede quindi nuovamente alla ripartizione di tutti iseggi tra gli altri collegi, sempre in proporzione ai voticonseguiti dall’Ulivo nelle elezioni del 2006 per laCamera dei deputati sulla base del metodo dei quozientiinteri e più alti resti, reiterando eventualmente il compu-to fino a che tutti i collegi ottengano un minimo di treseggi. Nelle circoscrizioni delle Regioni Valle d’Aosta eTrentino-Alto Adige la ripartizione dei seggi nei collegiè stabilita con successivo e regolamento. Un ulterioreseggio è assegnato ai collegi in cui abbia partecipato alvoto un numero di persone pari a più del 20 per cento deivoti ottenuti dall’Ulivo nelle elezioni per la camera deideputati del 2006.

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Appendice

3. Gli italiani residenti all’estero eleggono 60 rappre-sentanti. La ripartizione dei candidati nelle diverse circo-scrizioni e le modalità di svolgimento della campagnaelettorale e di voto sono regolate con apposito regola-mento da approvare dall’Ufficio di Presidenza su propo-sta di un gruppo di coordinamento da questo apposita-mente nominato.

Articolo 7(Candidature)

1. Le liste per l’elezione dell’Assemblea Nazionaledevono comprendere un numero di candidati non supe-riore al numero dei componenti da eleggere nei relativicollegi e non inferiore ai due terzi, con arrotondamentoall’unità superiore qualora il numero dei candidati dacomprendere nella lista contenga una cifra decimalesuperiore a 50. A pena di inammissibilità, le liste devonoessere composte alternando candidati di sesso diverso. Apena di inammissibilità, se il numero di liste tra loro col-legate in ambito circoscrizionale è pari, non più dellametà di tali liste possono avere come capolista personedello stesso sesso; se il numero di liste tra loro collegatein ambito circoscrizionale è dispari, la differenza dinumero tra capilista di sesso diverso non può esseresuperiore a una unità.

2. Le candidature nei collegi sono presentate all’Uffi-cio tecnico amministrativo territorialmente competente.Le candidature all’Assemblea Nazionale devono esserecorredate dalle sottoscrizioni di almeno cento e non piùdi centocinquanta aventi diritto nei rispettivi collegi,autenticate da almeno un consigliere comunale, provin-ciale o circoscrizionale. Nessuno può sottoscrivere più diuna lista.

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3. Nessuno può candidarsi in più di un collegio perl’elezione dell’Assemblea Nazionale.

4. Non è ammessa la candidatura di persone notoria-mente appartenenti a forze politiche o ad ispirazioniideali non riconducibili al progetto dell’Ulivo-PartitoDemocratico.

5. Non è ammessa la candidatura di persone che, alladata di presentazione delle candidature, si trovino in unadelle situazioni previste dall’art. 1 del codice di autore-golamentazione approvato dalla Commissione parlamen-tare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organiz-zata mafiosa o similare il 3 aprile 2007.

6. Le candidature per l’Assemblea Costituente Nazio-nale sono valide solo se accompagnate dai seguentidocumenti sottoscritti: a) dichiarazione di accettazionedella candidatura con un ordine delle candidature; b)dichiarazione di adesione al processo costituente del Par-tito Democratico; c) nome o slogan identificativo dellalista; d) dichiarazione politica avente riguardo agli inten-ti che la lista si propone in relazione ai compiti dell’As-semblea Costituente; e) indicazione di un referente cir-coscrizionale della lista, corredata dalla corrispondentedichiarazione di accettazione del ruolo di referente daparte di quest’ultimo; f) eventuale dichiarazione di colle-gamento con liste di candidati presentate in altri collegidella medesima circoscrizione identificate dalla medesi-ma denominazione, dalla medesima dichiarazione diintenti e dal medesimo referente circoscrizionale; g) indi-cazione della persona che la lista sostiene come candida-to alla carica di Segretario Nazionale, corredata dallacorrispondente dichiarazione di accettazione da parte diquest’ultimo; h) autocertificazione che non ricorrano pernessuno dei candidati inclusi nella lista le condizioni diinammissibilità di cui al precedente comma

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7. Le liste per l’Assemblea Costituente devono esserepresentate, a pena di nullità, tra il 21 e il 22 settembre2007.

8. Le dichiarazioni di candidatura alla carica di Segre-tario Nazionale sono presentate all’Ufficio tecnicoamministrativo nazionale entro il 30 luglio 2007 unita-mente ad una dichiarazione di intenti e a un numero difirme compreso tra duemila e tremila, di cui almenocento in ognuna di cinque regioni. Le dichiarazioni dicandidatura sono accettate se corredate, entro i terminiprevisti per la presentazione delle liste, da dichiarazionidi cui al comma 6, lettera g), relative a liste presentate inalmeno 25 diversi collegi presenti in non meno di 5 dif-ferenti regioni.

9. Nel caso in cui una candidatura alla carica di Segre-tario Nazionale sia stata dichiarata invalida, il referentecircoscrizionale della lista che lo aveva indicato ai sensidella lettera g) del comma 6 può, entro i 5 giorni succes-sivi al termine di cui al comma 9, indicare il nome di unulteriore candidato alla carica di Segretario Nazionale,scelto fra i soggetti che abbiano regolarmente presentatola propria candidatura ai sensi del precedente comma 8 ecorredata dall’accettazione dell’interessato. In caso dimancata accettazione la lista decade.

10. L’eventuale mendace autocertificazione di cui alprecedente comma 6, lettera h), costituisce causa di ine-leggibilità. In caso di elezione, l’accertamento della men-dace dichiarazione comporta l’immediata decadenza daqualsiasi carica del partito e la trasmissione degli attiall’autorità giudiziaria per il reato di falsità ideologica inatti privati (art. 485 c.p.) nonché la revoca di tutti i com-ponenti della stessa lista di collegio alla quale appartieneil candidato.

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Articolo 8(Confronto tra i candidati)

1. L’Ufficio di Presidenza promuove assemblee ediniziative pubbliche nel corso delle quali ha luogo unconfronto tra i candidati o i loro delegati a parità di con-dizioni. Tali assemblee si svolgono nei 20 giorni antece-denti la data di svolgimento dell’elezione. Iniziative ana-loghe possono essere promosse anche tramite l’utilizzodelle reti di comunicazione telematica.

Articolo 9(Disciplina della campagna elettorale)

1. Al fine di contenere i costi della campagna elettora-le in vista delle elezioni di cui al presente regolamento,non è in ogni caso ammessa la pubblicazione a paga-mento di messaggi pubblicitari o di propaganda elettora-le su mezzi radiotelevisivi, testate giornalistiche o altriorgani di stampa e informazione.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, ilCollegio Nazionale dei Garanti, entro quindici giornidalla nomina dei suoi componenti, predispone un regola-mento di autodisciplina della campagna elettorale, ido-neo ad assicurare condizioni di parità fra i candidati, conriferimento anche all’entità massima, alle modalità e alladocumentazione delle spese.

3. Nel regolamento di cui al comma 2 sono altresìdisciplinate le modalità con le quali è possibile renderepubblici e diffondere gli annunci di dibattiti, tavolerotonde, conferenze, nonché discorsi svolti dai candidati.

4. Agli eventuali reclami relativi all’applicazione delpresente articolo si applicano le procedure di cui ai ricor-

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si previsti dall’art. 4 del presente regolamento. Per lequestioni riguardanti la campagna elettorale dei candida-ti alla carica di Segretario Nazionale è competente il Col-legio Nazionale dei Garanti.

5. Le limitazioni di cui al comma 1 non si applicanoalle attività di comunicazione eventualmente promosseunitariamente dal Comitato promotore 14 ottobre al finedi far conoscere ai cittadini le iniziative legate alla costi-tuzione del Partito Democratico.

Articolo 10(Voto)

1. Per essere ammessi al voto, che si svolge in unicagiornata dalle ore 7 alle ore 20, occorre esibire al seggioun documento di identificazione e, ad eccezione dei nonancora maggiorenni e dei non cittadini, la propria tesseraelettorale.

2. L’Ufficio tecnico-amministrativo determina lemodalità di voto per i non ancora maggiorenni e i non cit-tadini italiani.

3. L’Ufficio tecnico-amministrativo determina lemodalità con le quali gli studenti universitari fuorisede ei lavoratori fuorisede sono ammessi a votare rispettiva-mente nella loro sede universitaria o di lavoro.

4. È necessario inoltre dare espresso consenso a che ilproprio nominativo ed i propri recapiti siano inseriti nel-l’elenco dei partecipanti alla votazione ed a che l’elencostesso sia reso consultabile per ogni eventuale verificarelativa all’effettiva partecipazione al voto, nel rispettodella normativa sulla tutela dei dati personali.

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Articolo 11(Procedimento elettorale)

1. Entro quindici giorni dall’approvazione del presenteregolamento l’Ufficio di Presidenza, sentito il parere del-l’Ufficio tecnico-amministrativo, nomina i responsabilidel procedimento elettorale per ogni circoscrizione. Il Col-legio circoscrizionale dei Garanti, qualora riscontri irrego-larità o elementi di turbativa nello svolgimento del proce-dimento, può, di sua iniziativa, revocare il mandato confe-rito, surrogando contestualmente il responsabile revocato.

2. In ciascun comune è costituito almeno un seggio perlo svolgimento delle elezioni ed almeno un seggioaggiuntivo per ogni diecimila voti validi ricevuti nel 2006dall’Ulivo. Di ogni seggio, viene definito e pubblicato suapposita sezione del sito web www.ulivo.it l’ambito terri-toriale, facendo riferimento alle circoscrizioni ammini-strative, ove esistenti, o alle vie e piazze in esso ricom-prese, in modo da garantirne l’omogeneità complessiva.

3. I responsabili del procedimento nominano gli scru-tatori per ciascun seggio e coordinano le attività necessa-rie a garantire il corretto svolgimento della consultazione.Un seggio è validamente costituito se formato da almeno3 componenti, di cui uno con funzioni di Presidente.

4. Le schede di voto, in formato cartaceo o informati-co, sono predisposte a cura dell’Ufficio tecnico-ammini-strativo. Le schede contengono una colonna per ciascunalista, all’interno della quale sono presenti, nell’ordine,dall’alto in basso, i nominativi dei candidati di collegio,preceduti dal candidato alla carica di Segretario Nazio-nale sostenuto dalla lista.

5. Gli elettori possono esprimere un unico voto inun’unica colonna di ciascuna scheda. Il voto si considera

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valido in qualsiasi punto della colonna sia stato appostoun segno. Sono considerate non valide le schede che pre-sentino segni di votazione che ricadono all’interno di dueo più colonne.

6. Lo scrutinio inizia subito dopo il voto dell’ultimoelettore presente nel seggio al momento della chiusura.Si procede prima allo scrutinio delle schede per l’elezio-ne dell’Assemblea Costituente Nazionale e, subito dopo,allo scrutinio delle schede per l’elezione dell’AssembleaRegionale.

Articolo 12(Assegnazione alle liste dei seggi per l’Assemblea

Costituente Nazionale)

1. Dopo aver ricevuto le schede e i fogli riepilogatividello spoglio dei voti relativi all’elezione dell’AssembleaCostituente Nazionale avvenuto in ciascun collegio,l’Ufficio elettorale circoscrizionale procede al riparto deiseggi assegnati a ciascun collegio in base alla cifra elet-torale di ciascuna lista. A tal fine, divide il totale dellecifre elettorali di tutte le liste per il numero dei seggiassegnati al collegio più due, ottenendo così il quozienteelettorale di collegio; nell’effettuare la divisione trascurala eventuale parte frazionaria del quoziente. Attribuiscequindi ad ogni lista tanti seggi quante volte il quozienteelettorale risulti contenuto nella cifra elettorale di ciascu-na lista. Se, con il quoziente calcolato come sopra, ilnumero dei seggi da attribuire in complesso alle listesuperi quello dei seggi assegnati al collegio, le operazio-ni si ripetono con un nuovo quoziente ottenuto dimi-nuendo di una unità il divisore.

2. I seggi che rimangono non assegnati vengono attri-buiti al collegio unico circoscrizionale.

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3. L’Ufficio elettorale circoscrizionale identifica quin-di i gruppi di liste tra loro collegate ai sensi dell’art. 7,comma 6, lettera f) che abbiano ottenuto nel complessopiù del 5% dei voti validamente espressi in ambito circo-scrizionale. Con riferimento soltanto a tali gruppi di liste,computa la cifra elettorale circoscrizionale, pari allasomma dei voti residuati alle rispettive liste di collegio, aseguito della assegnazione dei seggi in base al preceden-te comma 1.

4. L’Ufficio elettorale circoscrizionale procede quindialla assegnazione tra i gruppi di liste di cui al comma pre-cedente dei seggi non ancora assegnati. A tal fine proce-de al riparto sulla base del metodo di cui al comma 1.

5. I seggi spettanti a ciascun gruppo di liste vengonoassegnati alle liste appartenenti al gruppo che abbiano lafrazione residuata del quoziente più alta. Qualora tutti isuoi candidati siano stati eletti, i seggi spettanti vengonoassegnati alle altre liste del gruppo secondo l’ordine deirispettivi quozienti.

6. Il presidente dell’Ufficio centrale circoscrizionale,in conformità dei risultati accertati dall’Ufficio stesso,proclama eletti, nei limiti dei posti ai quali ciascuna listaha diritto, i candidati in essa presenti seguendo l’ordinedella lista stessa.

Articolo 13(Elezione dell’Assemblea Regionale)

1. Per l’elezione dell’Assemblea Regionale e per l’in-dicazione dei Segretari regionali, ovvero nel TrentinoAlto Adige per l’elezione delle Assemblee provinciali edei Segretari provinciali, si applicano, in quanto compa-tibili, le norme previste per l’Assemblea Nazionale.

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2. L’elezione dei componenti delle Assemblee Costi-tuenti e dei Segretari Regionali avviene su una schedacomposta in maniera simile a come indicato all’articolo11, comma 4, ma distinta dalla scheda per l’elezione del-l’Assemblea e del Segretario Nazionali. Le dichiarazio-ni di candidatura alla carica di Segretario Regionalesono presentate all’Ufficio tecnico amministrativoregionale entro il 12 settembre 2007 unitamente ad unadichiarazione d’intenti e ad un numero di firme compre-so tra 500 e 750 per le Regioni fino a un milione di abi-tanti e tra 1000 e 1500 per le Regioni con popolazionesuperiore a un milione di abitanti. Per quanto non previ-sto dal presente articolo, ai fini della presentazione dellecandidature, si applicano, in quanto compatibili, lenorme previste all’articolo 7; ai fini dell’assegnazionedei seggi alle liste si applica il metodo indicato all’arti-colo 12.

3. Il numero dei componenti della Assemblea Regio-nale è pari al doppio di quelli da eleggere per l’Assem-blea Nazionale nella regione. La ripartizione dei seggi trai collegi avviene in base al metodo indicato all’articolo 6,comma 2, avendo cura di attribuire a ciascun collegio unminimo di 6 seggi.

4. Sono componenti con diritto di parola dell’Assem-blea Costituente Regionale gli eletti all’AssembleaCostituente Nazionale nella regione.

Articolo 14(Elezione del Segretario politico Nazionale)

1. Qualora sia stata eletta una maggioranza assolutadi componenti l’Assemblea a sostegno di un candidatoSegretario, il Presidente dell’Assemblea CostituenteNazionale lo proclama eletto all’apertura della prima

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seduta dell’Assemblea stessa; in caso contrario il Presi-dente indice in quella stessa seduta un ballottaggio ascrutinio segreto tra i due candidati collegati al maggiornumero di componenti l’Assemblea e proclama elettoSegretario il candidato che ha ricevuto il maggior nume-ro di voti validamente espressi.

Articolo 15(Elezione dei Segretari Regionali)

1. Qualora vi sia, tra i componenti eletti all’Assem-blea Costituente Regionale ai sensi del precedente arti-colo 13, una maggioranza assoluta di componenti elettia sostegno di un candidato Segretario Regionale, il Pre-sidente dell’Assemblea lo proclama eletto all’aperturadella prima seduta dell’Assemblea stessa; in caso con-trario il Presidente indice in quella stessa seduta un bal-lottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati collegatial maggior numero di componenti l’Assemblea eletti aisensi del precedente articolo 13 e proclama SegretarioRegionale il candidato che ha ricevuto il maggior nume-ro di voti validamente espressi.

Articolo 16(Regole sulla trasparenza)

1. Il presente regolamento, unitamente a tutti i regola-menti integrativi previsti dagli articoli precedenti, è pub-blicato in apposita sezione del sito web www.ulivo.it

2. Nella sezione del sito web di cui al comma 1, sonoaltresì pubblicati, via via che si procede alla loro deter-minazione, costituzione o individuazione, i nomi deicomponenti gli organi di cui al presente regolamentononché il recapito presso cui è possibile indirizzare

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comunicazioni dirette agli organi medesimi, l’elenco deicandidati, l’elenco dei componenti i seggi elettorali edogni altro dato o documento identificato dal Collegionazionale dei garanti di cui all’art. 3 e all’art. 4.

3. Il Collegio dei Garanti di cui all’art. 3 e all’art. 4definisce le ulteriori disposizioni dirette a garantire latrasparenza e la pubblicità delle procedure dirette all’ele-zione delle assemblee costituenti nazionale e locali.

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(ai sensi dell’art. 5, comma 5 del Regolamento quadro per l’elezione delle Assemblee Costituenti)

Articolo 1(Uffici Tecnici Amministrativi - UTA)

1. L’Ufficio tecnico amministrativo nazionale(UTAN), ai sensi dell’art. 5, comma 5 del Regolamentoquadro per l’elezione delle Assemblee Costituenti, si arti-cola nel territorio secondo livelli regionale (UTAR) eprovinciale (UTAP).

Articolo 2(Candidature a Segretario Nazionale)

1. La presentazione delle candidature alla carica diSegretario Nazionale viene effettuata ai sensi dell’art. 7,comma 8 del Regolamento quadro per l’elezione delleAssemblee Costituenti.

2. La documentazione deve essere presentata presso lasede dell’Ufficio tecnico amministrativo nazionale, Piaz-za SS. Apostoli 73 – Roma – entro e non oltre le ore 21del 30 luglio 2007.

3. L’Ufficio tecnico amministrativo nazionale procedealla verifica della documentazione di presentazione dellecandidature, della validità delle sottoscrizioni e della lorocongruità rispetto ai criteri numerici indicati all’art. 7,comma 8del Regolamento quadro per l’elezione delleAssemblee Costituenti.

Entro 48 ore dalla scadenza del termine della presen-

REGOLAMENTO DELL’UFFICIO TECNICO AMMINISTRATIVO NAZIONALE

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tazione delle candidature l’Ufficio tecnico amministrati-vo nazionale comunica il risultato della verifica al pre-sentatore della candidatura.

4. L’Ufficio tecnico amministrativo nazionale puòeventualmente accordare 48 ore di tempo ai Presentatoridelle candidature per integrare la documentazione, di cuiall’art. 7, comma 8 del Regolamento quadro per l’elezio-ne delle Assemblee Costituenti.

5. Eventuali ricorsi vanno presentati al Collegionazionale dei Garanti entro 48 ore dall’avvenuta comu-nicazione, ai sensi del precedente comma 3 del presentearticolo.

6. Il Collegio dei Garanti decide in unica e definitivaistanza entro le successive 48 ore.

7. Trascorse 48 ore dalla scadenza del termine per lapresentazione delle candidature, in mancanza di ricorsi ocontestazioni, l’Ufficio tecnico amministrativo nazionalecomunica all’Ufficio di Presidenza i nominativi dei can-didati alla carica di Segretario Nazionale, ai sensi del-l’art. 7 comma 8 del Regolamento quadro per l’elezionedelle Assemblee Costituenti.

8. L’autenticazione delle firme è effettuata da consi-glieri comunali, provinciali o circoscrizionali, secondo larispettiva competenza territoriale.

9. I moduli per la raccolta firme composti da più fogliintercalari debbono essere siglati e numerati in ciascunfoglio da chi ha autenticato le firme.

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Articolo 3(Candidature a Segretario Regionale)

1. La presentazione delle candidature alla carica diSegretario Regionale viene effettuata ai sensi dell’art. 13,comma 2 del Regolamento quadro per l’elezione delleAssemblee Costituenti.

2. La documentazione deve essere presentata presso lasede dell’Ufficio tecnico amministrativo regionale com-petente, entro e non oltre il 12 settembre 2007.

3. L’Ufficio tecnico amministrativo regionale procedealla verifica della documentazione di presentazione dellecandidature, della validità delle sottoscrizioni e della lorocongruità rispetto ai criteri numerici indicati all’art. 13,comma 2 del Regolamento quadro per l’elezione delleAssemblee Costituenti. Entro 48 ore dalla scadenza dellapresentazione della candidatura l’Ufficio tecnico ammi-nistrativo regionale comunica il risultato della verifica alpresentatore della candidatura.

4. L’Ufficio tecnico amministrativo regionale puòeventualmente accordare 48 ore di tempo ai candidati perintegrare la documentazione, ai sensi dell’art. 13, comma2 del Regolamento quadro per l’elezione delle Assem-blee Costituenti.

5. Eventuali ricorsi vanno presentati Collegio deiGaranti circoscrizionale/regionaleentro 48 ore dall’avve-nuta comunicazione, ai sensi del comma 3 del presentearticolo.

6. Il Collegio dei Garanti decide in unica e definitivaistanza entro le successive 48 ore.

7. Trascorse 48 ore dalla scadenza del termine per la pre-

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sentazione delle candidature, in mancanza di ricorsi o conte-stazioni, l’Ufficio tecnico amministrativo regionale notifica inominativi dei candidati alla carica di Segretario Regionale.

8. L’autenticazione delle firme è effettuata da consi-glieri comunali, provinciali o circoscrizionali, secondo larispettiva competenza territoriale.

9. I moduli per la raccolta firme composti da più fogliintercalari debbono essere siglati e numerati in ciascunfoglio da chi ha autenticato le firme.

Articolo 4(Presentazione delle liste)

1. Le liste per l’Assemblea Costituente nazionale eregionale devono essere presentate, pena nullità, dalleore 9 del 21 alle ore 21 del 22 settembre 2007, all’Uffi-cio tecnico amministrativo regionale di competenza, aisensi dell’art. 7, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9e dell’art. 13comma 2 del Regolamento quadro per l’elezione delleAssemblee Costituenti. Qualora la Regione sia suddivisain più circoscrizioni, l’Ufficio tecnico amministrativoregionale è competente su tutte le circoscrizioni.

2. L’Ufficio tecnico amministrativo regionale procedealla verifica della documentazione di presentazione delleliste, della validità delle sottoscrizioni e della loro con-gruità rispetto ai criteri numerici indicati all’art. 7 commi1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 9 e all’ art. 13, comma 2 del Regola-mento quadro per l’elezione delle Assemblee Costituenti.

3. L’Ufficio tecnico amministrativo regionale puòeventualmente accordare 48 ore ditempo ai Presentatoridelle liste per integrare la documentazione, ai sensi del-l’art. 13, comma 2 del Regolamento quadro per l’elezio-

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ne delle Assemblee Costituenti. Entro 48 ore dalla sca-denza della presentazione delle liste l’Ufficio tecnicoamministrativo regionale di competenza comunica ilrisultato della verifica al presentatore della lista.

4. Eventuali ricorsi vanno presentati al Collegio circo-scrizionale/regionale dei Garantientro 48 ore dall’avvenutacomunicazione, ai sensi del comma 3 del presente articolo.

5. Il Collegio dei Garanti decide in unica e definitivaistanza entro le successive 48 ore.

6. Trascorse 48 ore dalla scadenza del termine per lapresentazione delle liste, in mancanza di ricorsi o conte-stazioni, l’Ufficio tecnico amministrativo regionale uffi-cializza le candidature regolarmente presentate.

7. L’autenticazione delle firme è effettuata da consi-glieri comunali, provinciali o circoscrizionali, secondo larispettiva competenza territoriale.

8. I moduli per la raccolta firme composti da più fogliintercalari debbono essere siglati e numerati in ciascunfoglio da chi ha autenticato le firme.

Articolo 5(Numero d’ordine sulle schede elettorali)

1. Terminate le operazioni di presentazione delle liste, aisensi dell’art. 7, comma 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, e 9 del Regola-mento quadro per l’elezione delle Assemblee Costituenti,l’Ufficio tecnico amministrativo nazionale, mediante sor-teggio, da effettuarsi alla presenza dei presentatori dei can-didati a Segretario Nazionale, stabilisce il numero d’ordineda assegnare ai candidati in regola con i requisiti previstiall’art. 7 comma 8 del Regolamento quadro per l’elezione

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delle Assemblee Costituenti, in tutte le circoscrizioni.

2. Terminate le operazioni di presentazione delle liste, aisensi dell’art. 13, comma 2 del Regolamento quadro per l’e-lezione delle Assemblee Costituenti, l’Ufficio tecnico ammi-nistrativo regionale, mediante sorteggio, da effettuarsi allapresenza dei presentatori dei candidati a Segretario Regiona-le, stabilisce il numero d’ordine da assegnare a ciascun can-didato.

3. Qualora più liste siano collegate allo stesso candida-to Segretario, Nazionale o Regionale, queste, per ciascungruppo, saranno riportate sulle schede e su qualsiasi altromateriale prodotto per la campagna d’informazione,secondo l’ordine di sorteggio effettuato a livello regiona-le dall’Ufficio Tecnico Amministrativo Regionale.

Articolo 6(Manuale delle operazioni di volto)

1. In merito alle operazioni di voto e allo svolgimentodella giornata del 14 ottobre si rimanda ad un appositomanuale che verrà predisposto dall’Ufficio tecnicoamministrativo nazionale entro il 17 settembre 2007.

Articolo 7(Norme di rinvio)

1. Per quanto non esplicitamente previsto dal presen-te regolamento, valgono le norme del Regolamento qua-dro per l’elezione delle Assemblee Costituenti e le diret-tive emanate dagli organi nazionali l’Ufficio TecnicoAmministrativo Nazionale, in caso di necessità e urgen-za, è abilitato a emanare norme integrative e correttivedel presente Regolamento.

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1. È compito del Presidente di seggio procedere allarendicontazione dei contributi e a iscriverlo nell’apposi-to verbale di seggio;

2. Tali contributi, redatti su apposito modello accom-pagnati da specifica documentazione, dovranno essereconsegnati al responsabile del procedimento elettoraleprovinciale (Direttore UTAP) entro la giornata di lunedì15 ottobre;

3. Il Direttore UTAP provvede a coprire le spese vivesostenute per l’organizzazione della giornata del 14 otto-bre nella sua provincia;

4. Il Direttore UTAP rendiconta i contributi ricevutidagli elettori e le uscite di cui al comma 3 su appositomodello, allegando le ricevute delle spese sostenute, etrasferisce, tale documentazione insieme alla sommarimanente al Direttore dell’UTAR;

5. Il Direttore UTAR provvede a coprire le spese vivesostenute per l’organizzazione della giornata del 14 otto-bre a livello regionale;

6. Il Direttore UTAR rendiconta i contributi ricevuti dicui al comma 4 e le uscite di cui al comma 5 su appositomodello, dopodiché provvede alla ripartizione dellesomme residue nel seguente modo:

- 40% nazionale- 30% regionale- 30% provinciale

7) Le comunicazioni e le somme di cui al comma 6saranno inviate ai destinatari con le modalità da essi sta-bilite.

REGOLAMENTO QUADRO PER LA RENDICONTAZIONE DELL’UTILIZZO DEI CONTRIBUTI VERSATI DAI PARTECIPANTI ALL’ELEZIONE DEL 14 OTTOBRE

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Supplemento al numero odierno de Il Giornale

Direttore Responsabile: Mario GiordanoSocietà Europea di Edizioni S.p.A.

Reg. Trib. Milano n.215 del 29/05/1982

Il presente libro deve essere distribuito esclusivamente in abbinamento al quotidiano Il Giornale.

Tutti i diritti di copyright sono riservati

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