machiavelli espresso ix
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Numero IV - Anno II - Gennaio 2015 Giornalino scolastico ISI N.Machiavelli LuccaTRANSCRIPT
Anno II - Numero IV - Gennaio 2015
I
ndic
e
2 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Legalizzare la cannabis?
di GRETA ORSI
……………………………………
Studiare in Gran Bretagna:
una preziosa opportunità
di CAMILLA ANGELOTTI
Progetto Mafalda
di FILIPPO TREGGI
……………………………………
Affinché non si disperda la memoria
di SUNITA BARONTI
……………………………………
Perché Pyongyang è grigia
di MARCO RIDOLFI
Puffi Comunisti
di RACHELE PELLEGRINI
……………………………………
Un attacco alla libertà
di MATILDE DAL CANTO
#JesuisCharlie: molto più che
un hashtag
di ALESSANDRO MARCHETTI
……………………………………
Il Ragazzo Invisibile
di GIOVANNI GIANNINI
…………………………………… La magia del blues e del sentimento:
Pino Daniele
di MIA MARTINEZ
Welcome to BBC Radio 1's Live Lounge
di SILVIA GIORGETTI
Il dolce incubo degli Smashing Pumpkins
di STEFANO SESTANI
……………………………………
Ribelli si nasce: Macchiaioli a Lucca
di CHIARA BARTOLI
……………………………………
Finalmente la nuova stagione
di Masterchef!
di DAVIDE INNOCENTE
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Molteplici identità
della Befana
di SUNITA BARONTI &
MARAJA TEMPESTINI
Sofonisbe risponde...
di SOFONISBE
Giochi
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I recenti sviluppi della politica italiana
sono contraddistinti da un approccio
inedito ai due termini che fino ad oggi
la hanno contraddistinta: destra e sini-
stra. Sebbene questa distinzione continui ad
essere utilizzata almeno formalmente, assi-
stiamo ad un apparente assottigliamento del
confine fra i due schieramenti e la “politica
2.0” non fa un mistero di essere refrattaria a
queste definizioni. Non piace al leader Leghi-
sta Matteo Salvini essere etichettato come di
destra, e meno che mai come di sinistra, è lui
a dirlo. Matteo Renzi afferma, invece, che la
politica si divide fra chi fa presto e chi no.
Si predica la perdita di significato di una
distinzione politica e se ne proclama, conse-
guentemente, il superamento. Superamento
che tuttavia si conforma come semplice de-
molizione degli schieramenti, che rischia di
annichilire la discussione politica in un’atmo-
sfera confusa ed indistinta; con la poco augu-
rabile possibilità di cadere nel mare dell’ap-
prossimazione e della vaghezza, dove ogni
politica è uguale all’altra ed è assai complica-
to operare distinzioni. Un clima manovrabile
a piacimento da chi sia abbastanza scaltro da
riuscirci.
Definizioni come destra e sinistra possono
forse risultare strette e datate per le questioni
sorte in questo inizio di secolo, inesistenti al
tempo della formazione di tale classificazio-
ne; ma sono ad oggi distinzioni che ci per-
mettono di non generalizzare, di non sprofon-
dare nel populismo. È complicato pensare che
in materia di economia e di diritti non valga-
no più queste linee. Perché le scelte politiche
derivano da particolari valori di partenza, e se
questi sono differenti, differenti saranno an-
che le scelte operate. A metà anni novanta il
filosofo Norberto Bobbio affermava che il
carattere distintivo della sinistra è l’egualitari-
smo: rimuovere quegli ostacoli che rendono
meno uguali uomini e donne, partendo dal
presupposto che molte diseguaglianze sono
sociali e di conseguenza eliminabili. La destra
invece è più vicina alla convinzione opposta,
ossia che la maggior parte delle diseguaglian-
ze sono ineliminabili, e pone maggiormente
l’accento sulla libertà d’azione dei cittadini.
Da queste due visioni dovrebbero derivare
contrapposte politiche economiche: perciò, in
linea teorica, da chi guarda a sinistra ci aspet-
tiamo misure che limitino il libero mercato,
per evitare che gruppi sociali più deboli ne
vengano travolti; mentre da chi guarda a de-
stra l’esatto contrario.
Che arrivati ad oggi sia auspicabile ripensare
al modo di guardare alla politica, non lo
escludo: può essere condivisibile e oggetto di
discussione. Tuttavia, in ogni caso, non biso-
gna credere di trovare la soluzione nel sem-
plice annullamento di questa classificazione:
tali definizioni rimangono punti di partenza
validi ed imprescindibili. Ricordiamoci Bob-
bio.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Il superamento che non c’è
Marco Ridolfi III C LC
l’Editoriale
Attualità
C he legalizzare e
tassare la canna-
bis e i suoi deri-
vati porterebbe
guadagni allo Stato, sono i
numeri a dimostrarlo.
Sono più di 3,5 milioni gli
italiani che fanno uso di
marijuana e analisi più re-
centi affermano che il mer-
cato delle droghe leggere
porterebbe oltre 7 miliardi di
euro annui nelle tasche
dell’erario. Soldi che attual-
mente finiscono nelle casse
della criminalità organizzata.
Inoltre, con la legalizzazione
verrebbero aboliti i reati
connessi alla detenzione e
all’uso di cannabis e lo
Stato risparmierebbe.
Come scrive su “La Stampa”
Benedetto della Vedova,
Sottosegretario agli Esteri,
in Colorado nel giugno
2014, dopo 6 mesi dalla
legalizzazione della produ-
zione e vendita della canna-
bis anche per uso ricreativo
e dopo 18 mesi dalla decri-
minalizzazione, né reati né
incidenti d’auto sono au-
mentati. Inoltre, l’elimina-
zione delle pene detentive fa
risparmiare al Colorado tra i
12 e i 40 milioni di dollari
all’anno.
Nel nostro Paese, dove il
sovraffollamento delle car-
ceri è una piaga sociale,
sono circa 10.000 i detenuti
che scontano pene per deten-
zione di cannabis. La loro
condanna dovrà essere rivi-
sta, perché la legge Fini-
Giovanardi è stata dichiarata
illegittima dalla Corte Costi-
tuzionale nel febbraio 2014.
Questa legge prevedeva la
reclusione fino a 20 anni per
spaccio, senza fare distinzio-
ne fra droghe leggere
(cannabis) e pesanti
(cocaina, eroina). Facendo
un esempio concreto, la pena
minima per un piccolo spac-
ciatore di marijuana andava
dai due ai sei anni e preve-
deva quasi certamente il
carcere. Il risultato è stato
che i piccoli spacciatori
hanno cominciato a vendere
anche le droghe pesanti.
4 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Legalizzare la cannabis? Greta Orsi IV D LSU
Marijuana: i pro e i contro, il proibizionismo e l’uso terapeutico.
Dopo la bocciatura della Fini-
Giovanardi è rientrata in vi-
gore la legge Iervolino-
Vassalli, aggiornata dal go-
verno Renzi, che prevede, per
la detenzione ad uso persona-
le, sanzioni amministrative
come la sospensione della
patente o del passaporto,
mentre per il reato di spaccio
la decisione è rimessa nelle
mani del giudice che può
scegliere, invece della deten-
zione, la pena del lavoro di
pubblica utilità.
Tuttavia, i dati dimostrano
che il proibizionismo non ha
impedito alle persone di far
uso di stupefacenti, così come
non ci è riuscita la Fini-
Giovanardi né ci riuscirà la
nuova legge ed è per questo
motivo che occorre una legge
che regolamenti la coltivazio-
ne e l’uso personale della
cannabis, invece di punirli.
Ed è a questo punto che inter-
viene il fronte contrario alla
legalizzazione che sostiene,
con toni a volte moralistici,
che le droghe non fanno bene
e lo Stato ha il compito di
tutelare la salute dei cittadini,
proteggendoli anche da se
stessi. Ma è davvero così?
Secondo una classifica appar-
sa sulla rivista medica “The
Lancet” nel 2007, come dro-
ghe più pericolose si classifi-
cano ai primi posti eroina,
cocaina, barbiturici, metado-
ne. Quinto l’alcol e nono il
tabacco. Undicesima posizio-
ne per la cannabis.
Certo, nessuno dice che la
marijuana fa bene: è vero la
dose letale corrisponde a
circa 900 spinelli, ma non è
ancora chiara l’entità dei
danni che la cannabis provoca
all’organismo. La cannabis dà
dipendenza, ma i danni del
tabacco sono di gran lunga
più ingenti.
In Italia, secondo le statisti-
che, ogni 8 minuti muore una
persona per le conseguenze
del tabacco, ogni mezz'ora ne
muore una per l'alcol. Eppure,
come sappiamo, il consumo
di alcol e tabacco nel nostro
Paese è legale, regolamentato
e porta introiti nelle casse
dello Stato.
In pratica, in Italia ci sono
tossicodipendenti “legali”,
che pagano lo Stato, che for-
nisce loro sostanze nocive per
la salute, e tossicodipendenti
“illegali”.
Al di là delle controversie
sull'uso della canapa co-
me stupefacente, va conside-
rato che essa, come ammette
su “Repubblica” l’oncologo
Umberto Veronesi, è uno dei
farmaci più efficaci, insieme
alla morfina, come analgesico
ed è usata specialmente dai
malati oncologici, di Sla e
Hiv.
In Italia l’uso della cannabis a
scopo terapeutico è consenti-
to, ma ai farmaci ha accesso
solo una parte dei richiedenti
a causa di una procedura lenta
per ottenere una prescrizione
o per i costi notevoli del far-
maco a base di marijuana,
tanto che molti malati finisco-
no o per coltivarla in casa o
per comprarla dagli spaccia-
tori.
Ma facciamo un passo indie-
tro per capire quand’è iniziato
il proibizionismo della canna-
bis.
Negli anni Trenta, la canapa,
precedentemente usata come
farmaco, poi sostituita da
sostanze chimiche, fu rivalu-
tata come fonte di materie
prime per molti settori
dell’industria, dalla produzio-
ne di materie plastiche a quel-
la della carta e perfino di
vernici e carburante per auto.
In quegli anni Henry Ford
costruì un prototipo di auto-
mobile in cui sia la carrozze-
ria che gli interni (e persino i
vetri dei finestrini) erano fatti
di canapa e sempre da questa
pianta deriva il carburante
che la faceva muovere. Per la
sua versatilità come prodotto
industriale, la canapa intacca-
va gli interessi legati al petro-
lio, con cui si incominciavano
a produrre materiali plastici e
vernici e soprattutto quelli
della catena di quotidiani e
periodici Hearst e dell’indu-
stria chimica Du Pont, che
forniva i solventi chimici alla
prima per fabbricare la carta
di giornale.
La Du Pont e la Hearst quindi
si coalizzarono. Con una
martellante propaganda, la
cannabis, chiamata da allora
con il nome messicano
"marijuana", venne accusata
di essere una droga pericolosa
e, nel 1937, in America venne
approvata una legge che proi-
biva la coltivazione di qual-
siasi tipo di canapa anche a
scopo medico e industriale.
È lecito chiedersi, dunque, su
quali fondamenti si basa il
proibizionismo della cannabis
e perché non si può rimettere
alla coscienza personale di
ciascuno la scelta se fare uso
o meno di droghe leggere.
Come dice Veronesi, però,
“basta con le demonizzazio-
ni”.
5 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Attualità
O ggi viviamo in
un mondo dalle
vedute sempre
più ampie, con-
dizionato e influenzato da
culture differenti. In un con-
testo simile, l’idea di studia-
re all’estero si diffonde sem-
pre di più fra i giovani, a
volte come via d’uscita da
un ambiente poco apprezza-
to, a volte come consapevole
scelta di fare semplicemente
un’esperienza di vita. Che
poi si rimanga a vivere all’e-
stero o che si ritorni in Italia,
è inevitabile che un periodo
passato in un paese stranie-
ro aiuti la crescita personale
del singolo individuo.
Negli ultimi anni molti stu-
denti italiani hanno preso
questa decisione e le mete
più ambite sono state la
Scozia e l’Inghilterra, due
delle scelte più ragionevoli
per assicurarsi una piacevole
esperienza formativa. La
Gran Bretagna, infatti, fiera
del suo ruolo primario nel
turismo e del suo patrimonio
culturale, è ricca di affasci-
nanti tesori delle epoche
passate; questa realtà affa-
scinante si affianca ad un
mondo moderno e giovane,
caratterizzata da una notevo-
le mescolanza di culture e di
etnie, che rende l’ambiente
aperto alle nuove idee e
all’iniziativa individuale.
La Gran Bretagna presenta
inoltre un efficiente sistema
scolastico, che riesce con
successo a stabilire il perfet-
to equilibrio fra tecnologia,
pratica e conoscenza teorica
delle nozioni. Rispetto agli
italiani, i giovani britannici
si trovano davanti ad una
scelta molto più vasta: esi-
stono scuole di tutti i tipi,
oltre alle classiche facoltà, e
moltissimi percorsi di studio
originali che hanno lo scopo
di educare la popolazione
6 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Studiare in Gran Bretagna:
una preziosa opportunità Camilla Angelotti I B LC
7
all’importanza della creatività
e dell’iniziativa personale.
Agli studenti che desiderino
frequentare un'università
britannica, il sistema scolasti-
co offre una vasta scelta tra
centinaia di corsi di studio
anche "misti", ovvero con due
o più materie principali, scuo-
le di giornalismo specifiche,
seguite da vere e proprie lau-
ree, corsi post-laurea di arte,
teatro, cinema e moda.
Sia che l’intenzione sia quella
di studiare come post-laureati
che come diplomati, l’Inghil-
terra offre un’ampia gamma
di vantaggi, fra cui, secondo
il blog di un universitario a
Londra, “capacità fondamen-
tali”, “cultura aperta e diffe-
renziata”, “innovatività e
creatività” e infine
“eccellenza accademica”.
Le ammissioni all'università
nel Regno Unito sono gestite
da UCAS (ucas.co.uk), un
sito accessibile a tutti, attra-
verso il quale, con una regi-
strazione, si possono fare un
massimo di 5 domande a 5
università diverse.
Le sezioni più importanti
della richiesta sono sostan-
zialmente due: la
“reference”, da far scrivere a
un professore, e il “personal
statement”; quest’ultimo è
sostanzialmente una lettera di
motivazione nella quale si
devono spiegare i motivi
della propria scelta e mettere
in luce i propri punti di forza.
Dopo aver mandato la do-
manda, i tempi di risposta
delle università variano mol-
to: da dicembre a marzo, più
o meno. Poi, alla luce delle
offerte proposte, il candidato
ha due opzioni: la "firm choi-
ce", e, nel caso in cui non si
conseguano i risultati neces-
sari per l'ammissione alla
medesima, l'"insurance choi-
ce", che di norma dovrebbe
avere dei requisiti più bassi.
Le offerte presentate dalle
università sono dette
“Conditional Offers”, e sono
quindi legate al raggiungi-
mento di alcuni obiettivi, che
variano da università a uni-
versità; solitamente si chiede
un minimo intorno all’80 alla
maturità e al 6/7 agli IELTS,
che sono indispensabili, come
il TOEFL, per entrare in
un’Università inglese. Dopo
gli esami, basta mandare tutta
la documentazione richiesta
all’Università scelta, e poi
non c’è bisogno di alcun esa-
me aggiuntivo. Esistono an-
che molti siti e blog pronti a
dare informazioni specifiche
e, negli ultimi anni,
“Italiansinfuga”, scritto da
Aldo Mencaraglia, è diventa-
to un punto di riferimento per
gli "espatriati di successo",
offrendo i consigli migliori
per chi si vuole iscrivere
all'università in Inghilterra.
Certo, non tutto è rose e fiori
per chi è abituato al sistema
italiano, poiché in Inghilterra
si troverà davanti alla minac-
cia degli alti costi universita-
ri. Le rette in Gran Bretagna
cambiano da regione a regio-
ne; in Scozia intorno alle
1500 sterline, in Galles intor-
no alle 2000 e in Inghilterra
9000 sterline. Ovviamente,
quello inglese è il tetto massi-
mo, e solo università che
daranno garanzie di sostegno
economico per studenti di
estrazione sociale più bassa
potranno far pagare delle rette
così alte.
Tuttavia, la maggioranza
degli studenti inglesi prende
un prestito con lo Stato, che
paga la retta durante l'anno
accademico, mentre lo stu-
dente si impegna a ripagare
questi soldi quando inizia a
lavorare e a guadagnare un
certo salario, che ora come
ora è di 15.000 sterline l'an-
no.
In conclusione, la scelta di
studiare in un paese straniero
potrebbe spesso sembrare
coraggiosa, ma le sfide sono
quello che più di qualsiasi
altra cosa ci aiutano a cresce-
re e a capire i nostri stessi
desideri, rendendoci final-
mente capaci di fare una vita
di cui essere soddisfatti e
orgogliosi.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
C
rona
ca S
cola
stic
a
I l primo drastico cambiamento che
avviene nella vita di ciascuno di noi è
il passaggio dalle medie alle superiori.
I cambiamenti sono molteplici. Non
cambia solamente l' ambiente scolastico a
cui ti sei abituato, ma cambia il tuo persona-
le modo di relazionarti con gli altri e di
interagire con il mondo esterno. Non muta
solo la tua visione del mondo, ma anche gli
altri hanno esigenze diverse sul tuo conto e
si aspettano molto di più rispetto a prima:
un comportamento più maturo e responsa-
bile.
Per aiutare i ragazzi di prima superiore e di
quarta ginnasio a diventare “perfetti studen-
ti” il nostro istituto ha deciso di aderire al
progetto Mafalda, nella speranza di non
lasciarli a loro stessi.
Il progetto comprende tutte le scuole di
secondo grado di Lucca; è un progetto a
lungo termine ed è diviso in tre differenti
fasi:
1° fase) relativa alla formazione degli stu-
denti delle classi seconde superiori e quinta
ginnasio, prevede tre incontri tra Gennaio e
Aprile nell'orario pomeridiano dalle 14,30-
16,30. Gli incontri saranno sotto forma di
laboratori, svolti presso l'Istituto Politecnico
“Fermi”. Al termine di questi laboratori gli
alunni partecipanti saranno formati ad acco-
gliere le prossime classi prime e le aiute-
ranno con le assemblee di classe o la comu-
nicazione interna; soprattutto, i “mafaldini”
potranno diventare figure di riferimento per
i nuovi arrivati.
Inoltre, al termine di questa prima fase,
formativa è previsto un campus al campo
coni di Tirrenia.
2°-3° fase) i tre corsi diventano cinque e
non saranno più laboratori ma vere e proprie
lezioni: le terze faranno un corso di forma-
zione per diventare “amici per la vita ju-
nior” mentre le quarte diventeranno “amici
per la vita senior”.
I temi delle lezioni, riguardanti l'educazione
della salute, saranno trattate da professori e
psicologi ASL.
I professori partecipanti che hanno aderito
al progetto:
Bacci, Fanucci, Chiocchetti,
Di Piramo, Romano, Giuffrida, Nunziata
(I.P. Civitali)
Pellegrini, Butori, Montauti,
Toschi, Giorgi, Antongiovanni, Marsili
(L.S.U. Paladini e
L.C. Machiavelli).
I professori hanno seguito un corso di for-
mazione da Novembre fino a Febbraio.
Inoltre c'è la possibilità di aderire come
singolo e non come classe.
Coloro che saranno coinvolti devono dimo-
strare una certa serietà, poiché il progetto è
importante per la realizzazione di una scuo-
la migliore.
Progetto Mafalda Filippo Treggi II E LSU
8 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
9 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
“ Memoria torna nel vuoto pauroso
spezza il silenzio colpevole nostro
riecheggia in pagine rosso inchiostro
rammenta ogni momento doloroso.
Il tempo trasporta freddo il dolore
pietà spenta dal gelo nel lamento
della cenere che grida nel vento
polvere d'anime perse in orrore.”
Cogliamo l'occasione per menzionare anche
l'evento spaventoso di Sant'Anna di Stazzema,
località che abbiamo così vicina e che ci rac-
conta di un crimine contro l'umanità commes-
so dai soldati tedeschi il 12 agosto del 1944.
Sant'Anna di Stazzema era stata qualificata
come "zona bianca”, ossia adatta ad accogliere
sfollati. In quei giorni, i partigiani avevano
abbandonato la zona senza aver svolto opera-
zioni militari di particolare entità contro i tede-
schi e nonostante ciò, all'alba del 12 agosto
1944, tre reparti di SS salirono a Sant'Anna
mentre un quarto chiudeva ogni via di fuga a
valle. Alle sette il paese era circondato. Gli
uomini del paese si rifugiarono nei boschi per
non essere deportati mentre donne, vecchi e
bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro,
in quanto civili inermi, restarono nelle loro
case.
In poco più di tre ore vennero massacrati 560
civili, in gran parte bambini, donne e anziani.
“ Al paesello bianco e spensierato
in quell'estate dal caldo sapore
lontano dalla guerra e dal dolore
lo scricchiolio d'un ramo spezzato
giunse quel giorno al popolo agghiacciato
e quei grigi portatori d'orrore
ogni speranza fecero cadere.
S'ode l'eco d'un grido disperato,
si sparge angoscia, paura, terrore;
resta il silenzio del mesto tacere.”
Affinché non si disperda la
memoria Sunita Baronti I A LC
In onore della ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio.
Nella speranza che la storia sia davvero "magistra vitae".
C he la Corea del
Nord viva sotto
una feroce dittatu-
ra comunista da
quasi settant’anni è noto,
anche l’attualità lo ha ribadi-
to recentemente. Cosa suc-
ceda sotto il regime dei Kim
e come viva la popolazione è
più difficile dirlo. Ogni tanto
spunta qualche notizia su un
nuovo traguardo raggiunto
nel nucleare, su un’ennesima
carestia o su uno scontro con
la Corea del Sud. Di recente
c’è voluto il caso del film
“The Interview” per risolle-
vare interrogativi sull’argo-
mento. Ma in mezzo a quel
putiferio c’è finito anche un
altro film, la cui produzione
è stata anch’essa sospesa,
tratto da un fumetto di Guy
Delisle: Pyongyang. L’opera
in questione risponde forse
agli interrogativi esposti
sopra: è il racconto del sog-
giorno in Corea del Nord
dello stesso Delisle che nel
2001 seguiva i lavori per una
serie animata francese. L’au-
tore canadese è appunto un
professionista nel campo
dell’animazione e del fumet-
to e grazie ad opere come
Cronache Birmane, Shenz-
hen, lo stesso Pyongyang e
Cronache di Gerusalemme –
per cui ha vinto il premio
Miglior Opera al Festival di
Angoulême 2012 -, è un
nome di spicco del così detto
graphic journalism. L’idea
di Pyongyang nasce infatti
dagli appunti di viaggio di
Delisle, che dopo il suo
ritorno in Francia li ha rac-
colti nella forma di una
graphic novel. Si tratta tutta-
via di un susseguirsi di vi-
cende, senza una vera cli-
max, che si ricollegano l’un
l’altra per piccoli rimandi,
riavvicinandosi alla struttura
10 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Perché Pyongyang è grigia
Marco Ridolfi III C LC
Fum
etto
di un diario.
E’ certamente il punto di vista
di un occidentale sul paese
asiatico, ma non è fazioso o
bigotto, grazie alla spontanei-
tà, all’ingenuità e al senso del
gioco con cui Delisle vi si
rapporta. Emerge fin da subi-
to la caratteristica dell’autore
di ricercare un equilibrio fra il
suo umorismo liberatorio e le
problematicità che racconta.
E l’atmosfera descritta da
Delisle è quanto mai terribile
ed inquietante: lo si vede
dalle piccole cose quotidiane,
dai ristoranti pessimi, semibui
e sporchi; dalla presenza
incessante della dinastia di
dittatori, in gigantografie,
spille o scritte. Dalla compa-
gnia opprimente della guida e
dell’interprete il cui vero
compito è controllare gli
stranieri e dall’assenza nelle
strade dei nordcoreani. Dal
tempo libero impiegato in
visite praticamente obbligate
ai grandi monumenti o ai
musei della nazione e dalle
telefonate intercettate, sempre
sotto controllo. Ed uno degli
aspetti più inquietanti è la
partecipazione attiva della
popolazione ad una vera e
propria mitologia del regime:
tutti prendono parte ai grandi
riti collettivi, alle giornate di
lavoro volontario, e non si
riesce a capire se perché per-
dutamente assuefatti alla farsa
o perché impossibilitati a
ribellarsi. Ciò che più traspare
dal racconto è questa aliena-
zione della nazione dal tempo
e dallo spazio ed il ripiega-
mento in una realtà tutta in-
terna, appositamente costruita
e nemmeno troppo preoccu-
pata di essere coerente, che la
avvolge interamente. Una
realtà contraddittoria e ango-
sciante perché riduce la vita
ad una monotonia che impri-
giona, annullando le moltepli-
ci e varie esperienze ad un
diffuso grigiore – il colore
prevalente nel fumetto. Il
quartiere degli occidentali,
sede delle ambasciate, diven-
ta così l’unico luogo dove
poter incontrare altre persone
e ritornare nel tempo e nel
mondo.
Ma se la società nordcoreana
non pare il migliore dei mon-
di possibili, anche all’occi-
dente non si risparmiano
critiche. La questione la si
ritrova nelle stesse motivazio-
ni che portano l’autore a
Pyongyang: Delisle racconta
della schizofrenia delle nazio-
ni occidentali, che da un lato
condannano il regime di Kim
Jong-un ma dall’altro sono le
prime a foraggiarlo, trasferen-
do produzioni in Nord Corea
per il costo notevolmente più
basso della manodopera.
Questo complesso affresco è
realizzato attraverso ironia,
gag e tormentoni in contrasto
con l’atmosfera tutt’altro che
allegra di Pyongyang. Citan-
do lo stesso autore “Sono un
narratore di racconti diver-
tenti a cui capita di trovarsi
in posti molto seri e mi tocca
spiegare situazioni altrettanto
serie.” Da vero incosciente,
ad esempio, egli porta in
Corea del Nord 1984 di Geor-
ge Orwell, decisione che
desterà sospetti all’arrivo in
aeroporto. L’umorismo di
Delisle si trasforma quindi in
strumento imprescindibile per
descrivere e raccontare: il
grottesco è il modo migliore
per rappresentare la Corea del
Nord, da un lato smaschera
tutte le contraddizioni, le
assurdità, le menzogne del
regime; dall’altro attenua la
paura di parlarne, riduce la
sua inquietante presenza al
ridicolo, divenendo un incubo
che si può scacciare e lascian-
do la speranza che possa ave-
re fine. Tutto funziona ancor
meglio se il protagonista
guarda con gli occhi e l’inno-
cenza di un bambino, diven-
tando il perfetto mediatore
con cui il lettore si riconosce
per la spontaneità degli atteg-
giamenti. Ed il fumetto si
chiude proprio con un gesto
di ribellione innocente e pue-
rile: il lancio di un aeroplani-
no di carta dalla finestra, un
messaggio fittizio che squar-
cia il silenzio e la ripetitiva
quotidianità. Quasi a dire che
il senso del gioco e dell’ironia
sono i migliori strumenti di
protesta e ribellione, un po’
come ci ha insegnato Charlie
Hebdo.
11 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Fum
etto
D itemi, chi di voi
nella sezione
“ricordi dell’in-
fanzia” non ha
archiviato qualche tranquillo
pomeriggio passato sul diva-
no in compagnia dei puffi?
Per quanto uno non sia mai
stato grande appassionato
della serie, è infatti comun-
que impossibile non aver
presente il motivetto allegro
della sigla iniziale o qualche
sketch della loro pacifica
vita quotidiana. Per molti
anni infatti, il cartone ani-
mato "Il villaggio dei Puffi"
è stato trasmesso dalle tele-
visioni di tutto il mondo con
un enorme successo. Creata
nel 1958, la serie ha per
molto tempo monopolizzato
i palinsesti, diventando negli
anni ottanta, un vero feno-
meno cult per i giovani tele-
spettatori. Eppure, la colora-
ta vita dei nostri puffi, a cui
ogni giorno venivamo invi-
tati a prendere parte per una
manciata di minuti, forse
non aveva poi niente di così
ingenuo e tranquillo, essen-
do invece non altro che un
probabile tentativo di indot-
trinamento mediatico a favo-
re del modello di vita comu-
nista e sovietico in particola-
re. Ebbene sì. D’altronde
non è una novità che fumetti
e cartoni animati nasconda-
no messaggi che, per quanto
subliminali, risultano poi
psicologicamente efficaci su
altri livelli, forti proprio
della malleabilità delle menti
a cui si rivolgono. Sembra
questo essere dunque anche
il caso dei puffi e per poterci
convincere della non assur-
dità di quest’idea, gli studio-
si Cristian Fineschi e Chri-
12 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Puffi Comunisti Rachele Pellegrini III B LC
Socialist Men Under a Red Father
13
stian Guiggiani, ci propongo-
no un viaggio alla scoperta di
alcuni elementi che sembrano
avvalorare la suddetta tesi.
Prima di tutto, come sappia-
mo, il pacifico villaggio dei
puffi è guidato da un capo
indiscusso che ha il potere
decisionale in ogni ambito
della vita sociale della comu-
nità, fa rispettare le leggi,
determina la vita sociale ed
economica, regolando di
conseguenza tutte le attività
che i puffi svolgono. Egli non
è eletto ma la sua anzianità
sembra fungere da garante
della sua condizione di
“saggio”. Le sue fattezze così
particolari non possono non
far si che venga paragonato a
Carl Marx, capostipite dell'i-
dea socialista in cui il popolo
comunista (in questo caso
rappresentato dai puffi) si
riconosce e crede ciecamente.
Anche se non possiamo esse-
re sicuri che l'intento dell’au-
tore nella raffigurazione di
Grande puffo, fosse quello di
avvicinare i giovani spettatori
al padre del Socialismo, un
altro elemento a favore di
questa identificazione sarebbe
l’abbigliamento completa-
mente rosso(stemma della
sinistra radicale)che resta
durante tutta la serie un attri-
buto iconografico del Grande
Puffo, e che lo distingue dagli
altri, vestiti invece di bianco.
Un altro aspetto su cui non è
meno importante focalizzare
l’attenzione è il modo in cui i
puffi si identificano l'uno con
l'altro, ovvero solamente
grazie al ruolo che ognuno
ricopre nel processo di produ-
zione; il loro nome è dato
dalle abilità specifiche e dai
compiti che assumono nel
ciclo produttivo della comu-
nità. La parola "puffo", che
precede la qualifica che con-
traddistingue i puffi assume
perciò una funzione unifica-
trice ed identificatrice
(sociale) dei membri del vil-
laggio: è naturale il paragone
con la parola "compagno"
utilizzata dal partito comuni-
sta per identificare i membri
dell'apparato e tutti cittadini.
Proseguendo su questa linea
interpretativa potremmo sot-
tolineare la somiglianza delle
canzoni che i puffi cantano
durante le attività lavorative
con l'inno dell'URSS , notare
che le case del villaggio
“puffesco” sono predisposte
in modo che non ci siano
"posizioni migliori" tra le
abitazioni -anche la casa di
Grande puffo è mimetizzata
in mezzo alle altre- e ancora
dedurre che Gargamella,
nemico giurato dei puffi, non
sia altro che la raffigurazione
umana del capitalismo! Il
fatto che voglia trasformare i
Puffi in oro (e quindi in mer-
cato) non sarebbe quindi
affatto casuale, altrettanto
significativo allora, è il fatto
che il mercato, così come la
moneta all'interno del villag-
gio siano completamente
inesistenti: tutto avviene per
principi redistributivi stabiliti
e pianificati dall'alto, lo
scambio o il baratto non ven-
gono praticati perchè i biso-
gni dei Puffi sono tutti identi-
ci- non dimentichiamoci che i
Puffi sono perfettamente
uguali tra loro anche nelle
necessità-. Evidente infine è il
fatto che nella società dei
Puffi non ci siano classi so-
ciali né alcuna “borghesia”.
Perché dunque, alla luce di
questa breve analisi, non
pensare che i Puffi siano un
proletariato emancipatosi
dalla schiavitù borghese e che
vive applicando le idee del
socialismo reale, offrendone
allo spettatore-bambino un
modello? Perché non credere
che il loro nome anglofo-
no“SMURF” non possa esse-
re l’acronimo dello slogan
“Socialist Men Under a Red
Father”?
Capire con quale scopo siano
stati creati i Puffi resta ovvia-
mente un mistero, e molto
azzardato è sostenere che il
cartone animato sia in realtà il
risultato di un “operazione
puffo” volta a plagiare e a
penetrare nelle menti delle
future classi dirigenti occi-
dentali. Ciò nonostante, lascio
a voi la possibilità di leggere
o meno “i puffi” come un
tentato e lento attacco alle
basi della società capitalista
occidentale. Chissà che i
ragazzi che oggi si riconosco-
no in partiti dell'estrema sini-
stra non siano stati influenzati
nella loro infanzia, proprio
dai Puffi.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
M ercoledì 7
gennaio, alle
ore 11 circa,
nel cuore di
Parigi, la sede del giornale
satirico ‘Charlie Hebdo’ è
stata attaccata da due terrori-
sti musulmani, i fratelli Ché-
rif e Said Kouachi, che
hanno ucciso dodici persone
e ne hanno ferite altrettante.
L’attacco alla rivista Charlie
Hebdo, presa di mira per
alcune vignette sull’Islam, è
stato un attacco alla libertà
di opinione che appunto il
giornale rappresenta. Gli
attentatori, che sapevano che
ogni mercoledì mattina si
svolgeva la riunione della
redazione del giornale,
hanno agito con sicurezza e
precisione ( nonostante ini-
zialmente siano entrati al
numero civico 6, dove hanno
ucciso il portiere, e non al
10 ). Giunti alla sede del
giornale hanno minacciato
una dipendente (e la figlia)
col kalashnikov, costringen-
dola ad inserire il codice di
sicurezza della porta blinda-
ta. Una volta entrati sono
andati nella stanza dove era
in corso la riunione della
redazione e lì, chiamandoli
per nome uno ad uno, hanno
ucciso le grandi ‘matite’: il
direttore Charbonnier, i
vignettisti Cabut, Wolinski,
Verlhac, Honoré. A queste
vittime vanno aggiunti il
curatore editoriale Ourrad, la
giornalista e psichiatra
Cayat, due ospiti presenti
alla riunione, un addetto alla
manutenzione e due agenti
di polizia, oltre a circa dieci
feriti. Il massacro è avvenuto
mentre i due fratelli urlava-
no “Allah Akbar” (Dio è
grande) e “Abbiamo vendi-
cato il profeta”. Una volta
in strada, è iniziata la spara-
toria con la polizia ( ripresa
da giornalisti riusciti a scap-
pare sul tetto), durante la
quale veniva dato il colpo di
grazia ad un agente, di origi-
ne tunisina, che ferito, a
terra, alzava le braccia. I due
affiliati di Al Quaeda ( come
si sono successivamente
14 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Un attacco alla libertà Matilde Dal Canto V B LC
L’illustrazione di Lucille Clerc
Attualità
15
autodefiniti), si sono poi dati
alla fuga e la mattina seguen-
te, dopo aver rubato un’auto
ferendone il proprietario,
sono stati intercettati dalla
polizia ed è cominciato l’in-
seguimento, che si è concluso
il giorno successivo con la
morte dei due uomini. Infatti,
i due venerdì si sono rifugiati
a 40 km da Parigi in una tipo-
grafia, all’interno della quale
un dipendente, nascosto in
uno scatolone, ha fornito
alla polizia, via sms, informa-
zioni preziose per il blitz
finale. Alle ore 17 circa, le
forze dell’ordine hanno deci-
so di intervenire, mentre a
Parigi, i superstiti di ‘Charlie
Hebdo’ si stavano riunendo
per la prima volta dopo l’at-
tentato, senza ‘i grandi’ del
giornale.
I terroristi hanno cercato il
martirio uscendo allo scoper-
to e tentando di uccidere an-
cora, ma sono stati abbattuti
quasi subito. Mentre i due
fratelli erano asserragliati
nella tipografia, a Parigi in-
torno alle 13, un uomo arma-
to, Amedy Coulibaly, nato in
Francia come i fratelli Koua-
chi, ma di origini africane e
già conosciuto dalle forze
dell’ordine per precedenti
penali, ha fatto irruzione in
un supermercato ebraico ucci-
dendo subito quattro persone.
Il giorno precedente il terrori-
sta aveva ucciso a sangue
freddo una giovane donna
della polizia municipale.
L’uomo ha dichiarato in una
telefonata al canale televisivo
Bfm tv di essere un membro
del Califfato e di essere stato
in contatto con i fratelli
Kouachi, con i quali ha sin-
cronizzato le operazioni:
loro si sono occupati di Heb-
do , lui invece dei poliziotti.
Inizialmente si è pensato che
con lui nel supermercato si
trovasse la compagna e com-
plice ventiseienne, mentre si
è poi scoperto che era uscita
dal territorio francese proba-
bilmente dal 2 gennaio.
Intanto, erano state chiuse 80
scuole vicino al supermerca-
to, il traffico era stato blocca-
to, i mezzi pubblici non circo-
lavano, la situazione era
drammatica. Poco dopo le 17,
quasi contemporaneamente
all’azione contro i fratelli
Kouachi, le forze speciali
sono entrate in azione: hanno
alzato la saracinesca della
porta principale e hanno
cominciato a fare fuoco ucci-
dendo il terrorista musulma-
no. Dopo sono usciti tutti gli
ostaggi , alcuni dei quali si
sono salvati grazie a un gio-
vane dipendente originario
del Mali, che li aveva fatti
entrare nel congelatore, spe-
gnendo l’impianto di refrige-
razione.
La Francia è stata messa sotto
assedio per tre giorni, con un
bilancio di 20 morti e con
scene di guerra che hanno
sconvolto l’intera Europa;
qualcuno ha parlato di un 11
settembre francese. Sin da
subito numerosi esponenti dei
vari stati hanno mostrato
solidarietà ; sul web e sui
cartelli delle migliaia di per-
sone scese nelle strade di
tutto il mondo, poche ore
dopo l’attentato alla redazio-
ne del giornale, si è diffusa la
frase ‘Je suis Charlie’, a so-
stegno del settimanale satirico
e contro il terrorismo.
Domenica 11 gennaio è stata
organizzata una grande mani-
festazione per esprimere soli-
darietà ai francesi, per com-
memorare i morti, ma soprat-
tutto contro la violenza e per
la libertà d’opinione. Alla
manifestazione hanno parteci-
pato oltre cinquanta tra capi
di governo e di stato , i fami-
liari delle vittime e tantissime
persone, sembra circa due
milioni, con un dispiegamen-
to impressionante di forze
dell’ordine : una piazza im-
mensa con cittadini di etnie e
religioni diverse per comme-
morare le matite spezzate di
Charlie Hebdo e difendere la
libertà d’espressione.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
#JesuisCharlie: molto più che un hashtag Alessandro Marchetti III C LC
# JesuisCharlie è ufficial-
mente diventato l'hashtag
più twittato della storia.
Alla marcia della Pace,
tenutasi domenica 11 gennaio a
Parigi hanno partecipato oltre due
milioni di persone. Questi due
dati sono sufficienti per eviden-
ziare come l'attentato al giornale
satirico Charlie Hebdo abbia
scosso un'opinione pubblica spes-
so troppo sopita e lontana dalle
tematiche di attualità. Se poi si
aggiungono le numerose manife-
stazioni che si sono tenute in tutta
Europa e non solo, l'impatto me-
diatico e sociale appare devastan-
te. L'attentato a Charlie Hebdo ha
spaventato la popolazione mon-
diale, molte delle libertà conqui-
state faticosamente, come la liber-
tà di espressione, di stampa e il
diritto alla libera circolazione
sono state messe profondamente
in discussione. Eppure, almeno in
Italia, sono anni che si discute se
vi sia una reale ed effettiva libertà
di stampa: infatti, la 57° posizio-
ne nella classifica mondiale per la
libertà di stampa redatta da
Freedom House, dietro al Niger e
al Burkina Faso, faceva sorgere
qualche sospetto. A colpirci, in
realtà, è stata l'inaudita violenza
dell'attacco: l’assassinio indiscri-
minato di chiunque si fosse trova-
to a tiro dei terroristi, la brutale
uccisione di un poliziotto indife-
so, già ferito e a terra, e infine
l’assedio nel supermarket kosher
in cui sono stati uccisi altri quat-
tro innocenti. Si tratta sì di episo-
di diversi, ma l’odio che ha mos-
so questi attentatori è stato il
medesimo. E questa assoluta
mancanza di ogni forma di uma-
nità ci ha fatto sentire vulnerabili
e sotto attacco. L’hashtag
#JesuisCharlie nato, da una parte
per esorcizzare la paura, dall’altra
per esprimere il proprio dissenso
e la vicinanza alle vittime ha
invaso le bacheche di Twitter e
Facebook. In tutto questo postare,
twittare e condividere, però, in
pochi si sono posti seriamente la
domanda: chi è Charlie? Charlie è
colui che vuole esprimere, anche
in un semplice post su un social
network, il proprio pensiero poli-
tico e religioso, senza incorrere in
nessuna censura. Charlie reclama
il diritto di riunirsi, manifestare,
fare flashmob senza correre il
rischio di essere arrestato. Charlie
crede nel proprio Dio, vuole po-
terlo pregare liberamente, ma non
se la prende troppo se qualcuno,
che magari la pensa diversamente
da lui, disegna delle vignette
satiriche... Charlie è colui che la
pensa diversamente da te, ma
lotterà fino alla morte perché tu
possa esprimere la tua opinione.
Anche Ahmed Merabet, il poli-
ziotto musulmano rimasto ucciso
16 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
In alto a sinistra:
Stephan "Charb"
Charbonnier,
Georges Wolinski,
Bernard "Tignous"
Verlhac. In basso
a sinistra: Philippe
Honoré, Jean
Cabut, Michel
Renaud, Bernard
Maris
Attualità
17
nel tentativo di fermare gli
attentatori, è Charlie. Non è
facile essere veramente Char-
lie. Molti di coloro che posta-
no #JesuisCharlie non hanno
idea di cosa voglia dire. Colo-
ro che sperano di vedere af-
fermate le proprie idee xeno-
fobe e antieuropeiste, appro-
fittando dell'onda di panico
creata dall'attentato del 7
gennaio, non sono Charlie.
Neanche coloro che sperano
di trarre da questa tragedia un
successo politico, sono Char-
lie. In questo buonismo dila-
gante, si è distinta la voce di
Jean-Marie Le Pen, fondatore
del Front National, che ha
fieramente affermato: “Je ne
suis pas Charlie". Sia che si
tratti di opportunismo politico
o coerenza con le proprie
posizioni, le sue parole hanno
colpito nel segno ed hanno
rivelato una ferita aperta
nell’attuale sistema politico e
sociale europeo. Un sistema
basato sulla libera circolazio-
ne delle merci e delle perso-
ne, un sistema che è contro
ogni forma di guerra e discri-
minazione. Un sistema che,
però, a causa delle grandi
differenze economiche e so-
ciali degli stati che ne fanno
parte, è molto fragile e che
viene messo continuamente in
discussione. Il trattato di
Schengen e i successivi ac-
cordi che permettono il libero
transito di merci e persone
sono, al momento, nell’oc-
chio del ciclone. Secondo
molti esponenti politici, una
decisa revisione del trattato
sarebbe un’efficace soluzio-
ne al problema del terrori-
#JesuisCharlie: molto più che un hashtag
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Attualità
smo. Si tratterebbe di un
enorme passo indietro e di
un’autentica rivoluzione per
le generazioni come la no-
stra, che non hanno mai
visto una frontiera in Euro-
pa. Il problema, però, non è
tanto di matrice politica,
quanto culturale. In questi
casi, ed è proprio quello che
sta avvenendo, il rischio di
“generalizzare”, di scadere
nello stereotipo è altissimo.
L’equazione “musulmano
uguale a terrorista” rischia di
trasformarlo, ed è questo
l’obiettivo di alcuni circo-
scritti movimenti politici, in
un soggetto indesiderato, da
espellere dalla propria socie-
tà. Non ci rendiamo conto
che però, seguendo lo stesso
meccanismo, noi italiani
dovremmo essere espulsi da
qualsiasi paese civile, perché
tutti mafiosi. Il
“musulmano” non è l’atten-
tatore di Charlie Hebdo, il
“musulmano” è colui che, il
venerdì si reca nella mosche
a pregare, così come il
“cristiano” va in chiesa la
domenica. E in molti musul-
mani hanno preso le distanze
dall’Isis e da qualsiasi azio-
ne terroristica. Certamente
l’Isis (Stato islamico dell’I-
raq e della Grande Siria),
che ha rivendicato quest’a-
zione e che è divenuto ormai
famoso per le sue esecuzioni
“in diretta”, è al momento il
primo nemico pubblico. Ma
quest’organizzazione, unita-
mente ai suoi membri, non
dev’essere condannata per la
religione che professa, quan-
to per le violenze di cui si
rende responsabile. Questo,
almeno, è quello che vorreb-
be Charlie. Le vignette di
Charlie, e in generale tutte le
vignette sull’Islam, non sono
una dichiarazione di guerra,
come avranno sicuramente
pensato i fratelli Kouachi,
gli autori dell’attentato, ma
una semplice maniera per
divertire e far riflettere allo
stesso tempo, una forma
d’arte legata all’attualità.
Così come lo erano le vi-
gnette sui cristiani, quelle
sui politici e personaggi
pubblici francesi. Chiuden-
doci ancor di più in noi stes-
si, rifiutando con maggior
vigore il “diverso” per il
timore che sia pericoloso,
non solo andiamo contro la
libertà per cui lotta Charlie,
ma finiamo per avere la
stessa visione della società
degli appartenenti allo stato
islamico o qualunque altra
organizzazione terroristica:
una società perennemente in
guerra, che non accetta tutto
ciò che va contro il proprio
pensiero. Per fare un esem-
pio non troppo lontano nel
tempo, si può ricordare la
risposta statunitense all’un-
dici settembre: il belligeran-
te presidente Bush invase
l’Afghanistan, con lo scopo
dichiarato di “sconfiggere il
terrorismo”. Il risultato è una
guerra ancora in corso, persa
da tutti e vinta da nessuno,
che ha provocato 2.200 mor-
ti tra i militari americani e
non intervenuti nel conflitto
e 350.000 tra i civili. Gli
Stati Uniti la considerano
alla stregua di una vittoria.
In realtà, non c’è vittoria che
tenga se i cittadini di uno
stato, anzi di una confedera-
zione di stati, quale è l’U-
nione Europea, sono ancora
costretti a trovare il compro-
messo tra libertà e sicurezza.
Il problema è, semmai, che
della libertà e della sicurezza
ci si sia preoccupati sola-
mente dopo il “sacrificio” di
numerosi innocenti che ave-
vano usato una matita per
esprimere le loro idee, che
stavano semplicemente svol-
gendo il loro lavoro o che si
sono semplicemente trovati
nel posto sbagliato al mo-
mento sbagliato. Con la
speranza che non si debba
più cercare questo compro-
messo, noi studenti membri
della redazione di Machia-
velli Espresso esprimiamo la
nostra stima ai redattori e ai
vignettisti di Charlie Hebdo,
da molti definito “uno degli
ultimi baluardi della libertà
di stampa in Francia” e au-
guriamo che possano conti-
nuare, così come tutti i
“pensatori liberi” che incar-
nano gli ideali di Charlie, ad
esprimere le proprie idee in
libertà, senza dover temere
per la propria sicurezza.
18 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
19 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
I l periodico satirico
Charlie Hebdo, nato nel
1960 con il nome di
Hara-Kiri, assunse il
nome attuale nel 1970, per
aggirare un divieto di pubbli-
cazione impostogli dal Mini-
stero dell’Interno in seguito
alla pubblicazione di una
vignetta sul defunto presiden-
te De Gaulle. Charlie, nome
di un mensile fondato da due
redattori di Hara-Kiri, potreb-
be anche derivare da Charlie
Brown, il protagonista dei
Peanuts, introdotti in Francia
da Delfeil de Ton, uno dei
vignettisti della rivista. Non
uscito dal 1981 al 1992, alla
sua “rinascita” contribuirono
alcune “matite” che diverran-
no storiche come Cabu e
Wolinski, entrambe vittime
dell’attentato dello scorso 7
gennaio. Il nuovo periodico è
stato ed è attualmente uno dei
pochi baluardi della libertà di
stampa in Francia: infatti è
gestito ed amministrato diret-
tamente da alcuni redattori, a
differenza delle grandi testate
francesi come Le Monde
(Groupe Le Monde) e Le
Figaro (Socpresse) che sono
in mano a grandi gruppi edi-
toriali. Dal 1992 ad oggi
Charlie Hebdo ha sempre
strenuamente difeso la pro-
pria libertà di espressione,
andando incontro a feroci
critiche e minacce: nel 1996
alcuni disegnatori presentaro-
no numerose firme per l’abo-
lizione del Front National, a
loro giudizio irrispettoso
della “Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadi-
no”; nel 2002 vi apparse una
tribuna dibattito che difende-
va l’opera “La rabbia e l’or-
goglio” della scrittrice Oriana
Fallaci, scritto che fu accusa-
to di contenere propositi
razzisti; risalgono invece al
2006 i primi attriti con la
religione islamica, in seguito
alla pubblicazione delle cari-
cature di Maometto del gior-
nale scandinavo Jyllands-
Posten. Nel 2011, la sede del
giornale era stata distrutta da
bombe molotov, dopo che era
stata annunciata la pubblica-
zione di alcune vignette sati-
riche su Maometto.
Dossier: Charlie Hebdo
La copertina del
numero di Char-
lie Hebdo dopo
l’attentato, dise-
gnata da Luz.
Sopra Maomet-
to la scritta
“Tout est per-
donné”
C
inem
a
E rano ormai mesi
che i cinefili (ma
non solo loro) di
tutta Italia attende-
vano l'uscita de Il ragazzo
invisibile, il nuovo film del
celebre regista Gabriele
Salvatores (Mediterraneo, Io
non ho paura), napoletano di
nascita ma divenuto in se-
guito nostro concittadino,
che ha deciso di cimentarsi
in un genere decisamente
estraneo alla nostra cultura
letteraria e cinematografica:
la storia di supereroi. La
trama è quanto mai sempli-
ce. Michele è un ragazzino
timido e introverso, figlio
di due poliziotti ma orfano
di padre, che un giorno ottie-
ne l'incredibile e misterioso
potere di diventare invisibi-
le, potere che inizialmente
sfrutta per vendicarsi dei
“soliti” bulletti e far colpo
sulla biondina di turno, ma
che in seguito si rivelerà
fonte di dubbi e responsabi-
lità. Gli appassionati di fu-
metti avranno potuto scorge-
re, già in questo piccolo
riassunto, non poche delle
tipiche tematiche di una
storia di supereroi: la perdita
dei genitori (Batman), le
“grandi responsabilità” che
derivano dai “grandi pote-
ri” (l'Uomo Ragno), e i cam-
biamenti del proprio corpo
legati allo sviluppo adole-
scenziale, rappresentati me-
taforicamente dai superpote-
ri (gli X-Men). Questi temi
tipici, ormai talmente sfrut-
tati da essere diventati dei
cliché, sono le linee guida
della trama, a cui comunque
Salvatores non si è certo
approcciato in maniera bana-
le, come si evince da alcuni
suoi commenti rilasciati nel
corso di varie interviste (tra
cui la presentazione al film
che egli stesso ha tenuto a
Lucca durante i Comics
dell'anno scorso): “Tutti i
superpoteri ti permettono di
accedere ad una dimensione
parallela. Diventare supere-
20 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Il Ragazzo Invisibile Giovanni Giannini III C LC
21
roi significa entrare in un
altro mondo, in cui tutto cam-
bia”. Per chi ha visto il film,
non è difficile immaginare
che un discorso simile si pos-
sa fare anche per l'adolescen-
za, periodo di passaggio tra
l'infanzia rappresentato spes-
so come travagliata
“metamorfosi”. Interessante è
anche la scelta del potere:
“L'invisibilità è un potere
dell'anima. Il nostro protago-
nista non può volare, non può
sollevare le automobili, può
solo scomparire. Una cosa
che ognuno di noi ha voluto
fare almeno una volta nella
vita”. Questo tentativo di
umanizzare il protagonista, di
renderlo empaticamente vici-
no agli spettatori (soprattutto
ai più giovani) appare decisa-
mente riuscito. A questo con-
tribuiscono soprattutto le
scene iniziali, in cui Michele,
avendo da poco scoperto i
suoi poteri, decide di sfruttarli
per sé in vari modi, per esem-
pio intrufolandosi nel bagno
delle ragazze, scena in cui
tutti i maschietti in sala si
sono immedesimati nel giova-
ne eroe (e che non a caso il
regista, nelle interviste, ha
spesso citato come una delle
sue preferite...). Altro ele-
mento apprezzabile della
pellicola è la voglia di speri-
mentare, di cimentarsi in
generi e tecniche inusuali per
la nostra produzione cinema-
tografica nazionale. Questo è
certamente un merito del
regista e di tutti quelli che
hanno contribuito alla realiz-
zazione dell'opera, tra cui si
ricordano i tecnici degli effet-
ti speciali (usati diffusamente
in questo film), e i musicisti
che hanno realizzato la colon-
na sonora, molti dei quali
sono giovani artisti italiani
indipendenti selezionati attra-
verso un concorso apposito.
Tutto questo non permette
però al film di liberarsi di
quella patina di puro e sem-
plice prodotto commerciale
che, se non riesce a rendere
spiacevoli quelle due ore, di
certo non le rendono entusia-
smanti per un pubblico di
un'età superiore ai dieci anni.
Il film infatti nasce soprattut-
to (anche se forse non solo)
come investimento economi-
co da parte di numerosi grup-
pi (Indigo Film, Rai Cinema,
ma anche Panini) per sfruttare
il recente successo delle pelli-
cole americane di supereroi,
reinterpretando il genere in
chiave nostrana. Si è trattato,
quindi, di una scommessa, in
cui i giocatori hanno preferito
rischiare poco, offrendo al
pubblico un prodotto precon-
fezionato e “rassicurante”,
comunque consapevoli che la
vincita avrebbe potuto essere
alta. Il film di sicuro non ha
attirato solo i fan di supereroi,
ma anche gli ammiratori di
Salvatores. Il merchandising
è stato notevole per la produ-
zione italiana, e il progetto ha
coinvolto anche varie case
editrici (la Panini, appunto)
che hanno realizzato libri e
fumetti ispirati ai personaggi
del film. Infine, è già stato
annunciato e messo in cantie-
re un seguito, il cui preludio è
inserito come ultima scena
della pellicola, e di cui, since-
ramente, solo i produttori
sembrano aver sentito il biso-
gno. Ne esce quindi un film
banale, il cui unico obiettivo
sembra essere stato quello di
fare cassa. La regia di Salva-
tores è sempre buona, ma il
suo talento e la sua voglia di
creare qualcosa di nuovo non
sono bastate. In conclusione,
Il ragazzo invisibile, se non è
un film spiacevole, di certo
non è un'opera particolarmen-
te interessante, e rimane
un'occasione di creatività che
forse non è stata colta appie-
no.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
R
itra
tti
C ome molti di voi
avranno appreso
negli ultimi gior-
ni, la notte del 4
gennaio è venuto a mancare
un artista unico, che col suo
stile, nato dalla fusione di
tradizione e blues, ha ispira-
to giovani e adulti; un artista
transgenerazionale ed inter-
nazionale, che con la sua
semplicità e umiltà è stato
capace di far sognare mi-
gliaia di persone: il cantan-
te napoletano Pino Daniele.
La notte di una tranquilla
domenica toscana, immerso
in quella pace e in quella
natura in cui molte volte si
era rifugiato in cerca di ispi-
razione, il musicista che ha
cantato le bellezze della sua
città natale è morto in segui-
to ad un infarto: paradossal-
mente, per una di quelle
coincidenze incredibili ed
assurde della vita, lui, che
aveva cantato "O ssaje com-
me fa o' core", è stato stron-
cato da un'insufficienza
cardiaca. Quel suo cuore,
grande e appassionato, dal
quale era nata la struggente
melodia di questa canzone, il
cui testo, scritto dal grande
amico Massimo Troisi, rac-
conta la storia malinconica
di un amore iniziato e irri-
mediabilmente finito, ha
smesso di battere, e pensarlo
a scriverla mentre la si
ascolta non può che suscita-
re un po' di tristezza. Negli
ultimi tempi aveva spesso
scherzato sull'argomento,
consapevole della condizio-
ne del suo cuore e convinto
che, come in amore, esso sia
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015 22
La magia del blues e del
sentimento: Pino Daniele Mia Martinez III B LC
Il ritratto di un uomo che ha fatto amare Napoli, città di cui tutti "non
sanno 'a verità" .
in realtà il solo la cui decisio-
ne conti davvero.
Nato a Napoli il 19 marzo
1955, Pino Daniele è la musi-
ca dei vicoli di quella città, a
cui era legato indissolubil-
mente da un amore che lo
portò, nei primi anni della sua
carriera, a decidere di scrivere
e cantare le proprie canzoni
esclusivamente in dialetto
napoletano. Con la sua musi-
ca è stato capace di emanci-
parsi dalla tradizione più
popolare, senza mai però
perderla di vista, cantando
serenamente "o' blues" e non
staccandosi mai allo stesso
tempo dal folklore partenopeo
che aveva caratterizzato la
sua infanzia. A dimostrazione
che la musica può unire realtà
completamente diverse, l'aver
trasportato il dialetto napole-
tano in un contesto musicale
lontano, oltreoceano, permise
a molti di conoscere i suoni
unici di una lingua sincera,
verace, allegra ed essenziale,
che non lascia nulla all'intimi-
smo, ma che, al contrario,
amplifica le sensazioni, che
sa trasmettere gioie, paure,
speranze, e che, fusa con la
magia del blues, ha emozio-
nato fans da ogni parte del
mondo. Il cantante stesso ha
ammesso, in molte interviste,
di aver provato una gioia
immensa nel constatare di
aver insegnato il proprio dia-
letto con le sue canzoni, can-
tate a squarciagola dal pubbli-
co al quale ha dedicato la
vita, consapevole dell'impor-
tanza della musica, di quel
codice di cui amava avvalersi
per comunicare con gli altri.
La canzone forse più rappre-
sentativa di Pino Daniele,
appartenente al suo primo
album intitolato "Terra
mia" (1977), è "Napule è", un
affresco dolce e allo stesso
tempo senza veli di una città
caotica e bella, viva, ricca,
con un'anima propria e inimi-
tabile, una città non amata da
tutti, ingiustamente sfruttata e
brutalmente stuprata ogni
giorno; il suo è il sospiro
malinconico di un uomo che
sa cosa significa essere nato
sulle pendici di quel vulcano
che molti hanno cantato, da-
vanti a quel mare i cui colori
intensi ti tolgono matematica-
mente il fiato, un uomo che
non parla della pizza o del
mandolino per descrivere la
propria città, ma che va oltre,
cantando quasi con rabbia e
guardandola con la triste
speranza di un riscatto, con la
tenerezza delle piccole cose e
con la gioia di vivere, nono-
stante tutto, tra quei quartieri
e quelle strade dove "chi tene
'o mare 'o ssaje nun tene nien-
te". Chi ha avuto il piacere di
suonare con lui lo descrive
come un uomo umile, il cui
stile, semplice e vero, traspa-
re dalle sue canzoni, che al-
ternano il blues di "Nero a
metà" alla dolce malinconia
di "Quanno chiove", dal tono
rassicurante, perchè anche se
ti bagni, "l'aria s'adda cagnà",
un invito a non abbandonare
la speranza, perchè ogni gior-
no ha la sua notte. Questo è il
messaggio che Pino Daniele
vuole trasmettere con la sua
musica: il cambiamento posi-
tivo, al quale dobbiamo aspi-
rare tutti, perchè ogni giorno
si può e si deve cambiare.
Il connubio tra tradizione e
influenze oltreoceano rag-
giunge l'apice nella canzone
"Je so' pazzo", simbolo di
quella rottura e di quel cam-
bio di stile unico nel suo ge-
nere, che grazie alla forza
espressiva del dialetto napole-
tano e la potenza del blues
invita a criticare, a non aspet-
tarsi che il mondo cambi
guardando fuori dalla fine-
stra, ma a parlare e a cantare
la libertà, una libertà da folli
perchè, molto spesso, per
cambiare veramente dobbia-
mo andare controcorrente,
rischiare di sembrare pazzi e
urlare al resto:"Nun ce scas-
sate 'o cazzo!".
Col suo timbro alto e la chi-
tarra sempre in mano, Pino
Daniele è stato capace di far
emozionare un pubblico va-
stissimo, eliminando le bar-
riere tra passato e presente e
regalandoci emozioni sempre
vere, vive e assolute, dal
pianto all'allegria, dalla ma-
linconia alla gioia di vivere,
con una musica capace di far
vibrare l'anima e una voce
che ricorderemo sempre come
"una voce de' criature che
saglie chianu chianu e tu sai
che nun si sulo".
23 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
M
usic
a
L a BBC, come tutti
saprete, è un'azien-
da che possiede il
predominio radio-
fonico e televisivo nel Regno
Unito (un po' come la nostra
Rai). Spesso i programmi
televisivi della BBC vengono
importati anche da noi e di-
ventano delle serie televisive
di successo, come ad esempio
“The Musketeers” o
“Sherlock”.
Ma non siamo qui per parlare
di tv. Siamo qui per parlare di
musica, quindi la realtà che
ci interessa è quella radiofo-
nica. La BBC possiede sva-
riate stazioni radiofoniche,
ma la più interessante, a mio
personalissimo parere, rima-
ne la BBC Radio 1.
Potrebbe essere definita come
la radio più commerciale,
quella che trasmette musica
pop, e si occupa di musica
attuale. Ma la BBC Radio 1
non è solo questo. Oltre ad
essere la radio più specializ-
zata in classifiche al mondo,
ospita inoltre vari programmi
divertenti ed innovativi, sem-
pre rivolti ad un pubblico
giovanile e con protagonista
la musica. Quello su cui vo-
glio soffermarmi è il pro-
gramma chiamato “Live
Lounge”.
Nel gergo tecnico una “live
lounge” è una sessione musi-
cale composta soltanto da
voce, chitarra acustica, e
pochissimi altri strumenti.
Il programma è cominciato
nel 2006 e continua tutt'ora,
rilasciando una cover circa
due volte a settimana. Le
canzoni sono facilmente re-
peribili, basta controllare il
canale Youtube della BBC
Radio 1 che le rende disponi-
bili a tutto il mondo. Ovvia-
mente il tutto a costo zero.
Per darvi un'idea di quello
24 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Welcome to BBC Radio 1's
Live Lounge Silvia Giorgetti III C LC
Ovvero quando la cover (a volte) può essere meglio dell'originale
25
che potete trovare all'interno
del programma, vi offro una
lista, in ordine totalmente
sparso, delle sette cover (solo
sette per motivi di spazio), a
mio parere più interessanti,
non solo a livello tecnico, ma
soprattutto a livello di origi-
nalità. Alcuni accostamenti
potrebbero farvi accapponare
la pelle. Beh, questo era pro-
prio il mio intento.
Senza ulteriori indugi, comin-
ciamo.
1) 30 Seconds to Mars –
Stay (Rihanna). La canzone prende una piega
inaspettata cantata da una
voce maschile, e Jared Leto
riesce a compiere degli acuti
a cui Rihanna non potrebbe
arrivare neanche dopo cento
lezioni di canto. L'atmosfera
è intima e da concerto priva-
to. L'unica cosa che non si
spiga è perché Jared Leto
indossi occhiali da sole con
montatura specchiata in una
stanza completamente buia,
ma questa è un'altra questio-
ne.
2) Birdy – Let Her Go
(Passenger). Birdy nasce come un'interpre-
te, quindi la sua presenza
nella live lounge non sorpren-
de. Ad ogni modo questa
cover di Let Her Go ha qual-
cosa in più rispetto alle sue
altre performance. Sarà che
vado pazza per il cambio di
tonalità da uomo a donna e
viceversa, ma questa canzone
acquista qualcosa cantata da
lei. La melodia non viene
cantata, ma il pathos è mag-
giore. Dieci e lode.
3) The 1975 – What Makes
you Beautiful (One Direc-
tion). Il primo pensiero potrebbe
essere di stupore, seguito
dall'inevitabile commento:
“Ma che c'entrano questi due
artisti l'uno con l'altra?” Nien-
te è la risposta. Ed è proprio
questo che affascina. Con il
talento e le sonorità indie dei
the 1975 una canzone pop
cantata da voci adolescenti e
ancora immature, assume
un'aria da struggente canzone
d'amore degli Smiths. I “na,
na, na” sono sostituiti da
un'intensa melodia. Scelta
azzeccata.
4) Ed Sheeran (ft. Devlin e
Labirinth) – No Church in
The Wild (Frank Ocean ft.
Jay-Z e Kanye West). Ed Sheeran potrebbe cantare
anche “Viva la pappa al po-
modoro” e il mondo sarebbe
contento. Dopo esserci messi
d'accordo su questo, credo
che questa cover renda dav-
vero giustizia all'originale,
probabilmente anche superan-
dola a volte. Se adorate l'ori-
ginale allora dovete ascoltare
questa performance. Scusa
Madh, ti hanno superato.
5) Ellie Goulding – Sweet
Disposition (Temper Trap). Né Ellie Goulding, né i Tem-
per Trap sono troppo famosi
da noi, e quindi questa po-
trebbe essere un'ottima occa-
sione per conoscerli entrambi.
La voce di Ellie Goulding
non ha mezze misure; o la
ami o la odi. Io sono nella
prima categoria. E mischiata
alle parole di questa canzone,
che assomigliano a una strug-
gente poesia d'amore, si crea
la magia.
6) Hozier – Do I Wanna
Know? (Arctic Monkeys). Hozier è diventato popolare
da noi grazie alla travolgente
canzone “Take Me To
Church” che sta passando in
radio molto spesso in questo
periodo, ma è in questa cover
che si supera. Sarà che l'acu-
stico rende tutto speciale ed
emozionante, sarà che la pro-
fondità della sua voce mi-
schiata alle voci celestiali del
coro è da pelle d'oca, ma nel
complesso questa cover con-
vince.
7) Miley Cyrus – Summer-
time Sadness (Lana Del
Rey). La cosa che adoro delle ses-
sioni acustiche è che la voce
non si nasconde. O ce l'hai o
non ce l'hai. E in questa per-
formance Miley Cyrus rivela
di averla e di non essere solo
un bluff. Certo non raggiunge
i livelli della canzone origina-
le, ma a una caznone di Lana
Del Rey devi dare dignità o al
contrario diventa ridicola. E
questa cover è tutto tranne
che ridicola.
Queste sono le sette perfor-
mance che per mio persona-
lissimo parere sono le più
degne di nota, quindi non
devono essere legge, anzi.
Sono curiosa di sapere le
vostre, quindi che aspettate?
Andate ad ascoltarle! Vi
aspetta un elenco lungo più di
duecento canzoni e tanto
divertimento.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
M
usic
a
26 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
S e nell'autunno del 1993 ci fossimo
trovati a fare zapping tra i canali e
fossimo capitati su MTV avremmo
potuto sentire un orecchiabile attac-
co di chitarra venire subito dopo raggiunto
da tutta la potenza sonora di una full-band.
Se avessimo voluto leggere le informazioni
del brano avremmo scoperto che era
“Today” degli Smashing Pumpkins.
Ascesi e decaduti nel corso di un decennio,
queste “zucche che spaccano”, unitesi 5 anni
prima a Chicago, tornavano nella Billboard,
dopo il debut-album “Gish”, con il disco
“Siamese Dream”, senza dubbio un capola-
voro degli anni '90.
Il fattore determinante del successo dell'al-
bum è l'incredibile sound che i musicisti
sono riusciti a creare: “Siamese Dream” è un
miscuglio perfettamente amalgamato di
generi che vanno dal noise all'alternative,
dall'indie al grunge, tenuti tutti insieme dalle
distorsioni melodiche di chitarra tipiche
dello shoegaze, sottogenere dell'alternative
rock che pone le sue radici nel Wall Of
Sound di Phill Spector.
E “il muro del suono” gli SP ce lo fanno
sentire fin dalla prima traccia con Cherub
Rock, che apre le danze: dopo due timidi
rulli di tamburi, il cantante Billy Coargan e
il chitarrista James Iha danno vita a un riff
esplosivo che da solo varrebbe l'acquisto di
“Siamese Dream”. E' poi il turno della noise
“Quite”, trascinata dall'instancabile batteria
di Jimmy Chamberlain e dal basso di D'arcy
Wretzky. Alla sua atmosfera cupa si oppone
“Today” che, già citata prima, segue la falsa
riga di una tipica canzone grunge mantenen-
do un incantevole tocco melodico, e nella
tracklist spiana la strada per la traccia mi-
gliore di tutto l'album: Hummer. Dopo uno
psichedelico intro registrato al computer, la
chitarra di Coargan dà il meglio di sé, but-
tandosi in un assolo fantastico, sognante,
spaziale, sul quale la sua voce acida si inne-
sta alla perfezione, per poi accompagnarci
ad un improvviso diminuendo. Condivide un
simile finale anche “Mayonaise”, altro pezzo
mastodontico che mantiene una dolce ed
infinita melodia nonostante le metalliche
vibrazioni che lo sovrastano e con un testo
meraviglioso: “Ruba dalle tue tasche piene
di sofferenza/e scappa con me domani/ Cer-
cheremo di alleviare il dolore/ ma comunque
ci sentiremo allo stesso modo”. Condividono
lyrics uniche anche la ballata “Disarm”,
anch'essa celebre per i fans del gruppo, e
“Rocket”, pezzo contraddistinto come
“Cherub Rock” da un riff geniale che sem-
bra essere composto con strumenti giocatto-
lo. “Geek U.S.A.” si rifà all'hard rock ed è
dilaniata da chitarre struggenti e dai virtuosi-
smi dei tamburi di Chamberlain mentre
“Silverfuck” è un delirio musicale di 8 mi-
nuti che chiude l'album insieme alle ballate
“Sweet Sweet” e “Luna”, che riportano le
favoleggianti sonorità dei brani precedenti.
“Siamese Dream” è quindi un disco irripeti-
bile, toccante; un urlo dei giovani contro un
mondo che non li rappresenta, con testi tor-
mentati, che, sfiorando la poesia, ci lasciano
in bocca una dolce amarezza. “Una carezza
in un pugno” lo definirà Billy Coargan. Dif-
ficile dargli torto.
Stefano Sestani I B LC
Il dolce incubo degli
Smashing Pumpkins
27 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
L a città di Lucca è lieta di acco-
gliere, fino al 6 aprile 2015 al
museo di arte contemporanea,
allestito all’interno di Palazzo
Baccella, le opere di Telemaco Signorini,
Giovanni Fattori, Silvestro Lega e molti
altri artisti, che nella seconda metà del
XVIII sec rivoluzionarono il modo di fare
pittura in Italia.
Mossi da un forte sentimento di ribellione
contro la retorica dei quadri religiosi e mito-
logici dell’epoca, si riunirono a Firenze per
dare inizio a un rinnovamento pittorico
capace di raffigurare la realtà così come
appare.
I macchiaioli presero a modello gli artisti
della corrente realista francese e, come que-
sti, indagarono gli aspetti più usuali della
vita e la quotidianità di gesti spontanei,
rubati alla gente comune.
Molti dei dipinti presenti alla mostra raffi-
gurano lo zelo e la costanza delle contadine
nell’atto della semina e del raccolto; altri
invece rappresentano attimi di svago e di
naturalezza che lasciano intravedere un’ap-
parente malinconia.
Questi artisti rifiutarono di immortalare gli
ambienti solenni del potere per dedicarsi
alla ricerca di qualcosa di vero e quindi
credibile, fatto di cose semplici e indispen-
sabili.
In questo modo l’arte dei macchiaioli non
volle rappresentare sentimenti o impressioni
bensì l’immediatezza di un’immagine ed il
suo contenuto sociale; e per farlo, si serviro-
no di piccole pennellate dando vita a confu-
se macchie di colore, che avrebbero abolito
per sempre i contorni nitidi e le forme defi-
nite dell’arte tradizionale.
Ribelli si nasce:
Macchiaioli a Lucca Chiara Bartoli I B LC
Confidenze, Angiolo Tommasi
Arte
A
l via la quarta stagione di Ma-
sterchef Italia! Il talent show
culinario più seguito nel nostro
paese ritorna con oltre un mi-
lione di spettatori. Gente da tutta Italia in
cerca di riscatto tenta di partecipare alla
competizione ma solo 100 hanno la possibi-
lità di presentare il proprio piatto ai tre giu-
dici e cercare di entrare nella Masterclass. I
tre giudici sono Joe Bastianich, Carlo Crac-
co e Bruno Barbieri. Il primo non è un cuoco
ma un imprenditore del settore culinario,
famoso in tutto il mondo per la sua eccentri-
cità e le sue sfuriate: nella quarta stagione è
attesissimo il lancio del piatto. Il suo ruolo
sta nel giudicare non tanto il piatto quanto la
persona, infatti, egli cerca di comprendere le
motivazioni che portano un cuoco amatoria-
le a partecipare a Masterchef. Cracco e Bar-
bieri sono due chef pluristellati e sta a loro
giudicare la pietanza. Il primo è di poche
parole e sempre insoddisfatto, anche quando
giudica positivamente una prova; il secondo
è più allegro e amichevole ma anche molto
suscettibile. Entrambi cercano di formare il
carattere del nuovo Masterchef, spegnendo
in ogni cuoco qualsiasi focolaio di superbia.
Tutti i giudici sono attenti al buon uso delle
materie prime, di prima qualità a Master-
chef, e non risparmiano dall’eliminazione
chi si permette di adoperarle con poca co-
scienza. Il loro giudizio talvolta non sembra
essere coerente, e ciò rende il programma un
po’ scontato. Alcuni concorrenti sono scelti
solo per fare audience, altri vengono elimi-
nati senza motivazioni evidenti. Inoltre i
tagli della regia non evidenziano tutto quello
che succede nella cucina e rendono ambigue
alcune scene. Queste tre personalità contri-
buiscono al programma portando anche un
alto indice di ascolto. Il talent show è diviso
in due fasi: la selezione e la fase finale. La
prima consiste nello scegliere attentamente i
20 cuochi degni della Masterclass; la secon-
da nell’eleggere il nuovo Masterchef. La
selezione non ha schemi ben precisi e ad
ogni stagione varia. Ha comunque lo scopo
di eliminare i concorrenti incapaci di supera-
re prove semplici come fare una macedonia
o un piatto di spaghetti. La fase finale è più
complessa, lunga ma anche molto schema-
tizzata. Per ogni ciclo di eliminazione ci
sono quattro prove, Mistery Box, Invention
Test, Prova esterna e Pressure Test, alla fine
delle quali vengono eliminati in media due
concorrenti. Le quattro prove differiscono
fondamentalmente per tempo a disposizione
e localizzazione, e la modalità in cui vengo-
no svolte varia ad ogni puntata. Sono gli
imprevisti a rendere queste prove appassio-
nanti e divertenti e talvolta sembra quasi che
gli stessi giudici vogliano crearli. E’ un pro-
gramma divertente e coinvolgente fin dalla
prima edizione, inoltre offre al pubblico
anche nuove strategie da usare in cucina.
Questa nuova stagione ha tanto da offrire,
con concorrenti pieni di personalità e nel
complesso simpatici e piacevoli.
28 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Davide Innocente I A LC
Finalmente la nuova stagione
di Masterchef!
V ien di notte, ha le scarpe tutte
rotte, porta un sacco pien di
doni, ha le toppe alla sottana...
Chi è? La Befana!
Dopo aver compiuto delle ricerche per capi-
re la sua vera identità, abbiamo scoperto che
si tratta di un personaggio che ben più com-
plesso della semplice vecchiettina vestita di
stracci. Tanti miti si legano alla sua figura.
Una leggenda assimila la Befana a Madre
Natura che, stanca per aver esaurito tutte le
sue energie nell'anno passato, si mostrava
nei panni di una vecchia che distribuiva
doni a tutti, dove i doni simboleggiano i
semi da piantare per il raccolto dell'anno a
venire. Dopo aver consegnato i suoi doni, la
donna era pronta a sacrificarsi e morire
perché l'anno successivo fosse ricco e pro-
spero. Era dunque vecchia e brutta perché
rappresentava la Natura secca o le pene
passate.
Per noi toscani, invece, il sospetto è che il
nome "Befana" possa avere la stessa radice
della parola "beffa", e che questo nome si
ricolleghi al folletto Beffardello (così chia-
mato in Lunigiana e nel territorio apuano, a
Lucca conosciuto come Linchetto) che si
divertiva a far perdere le persone nel bosco.
In effetti alcune credenze popolari traman-
dano che, in queste prime notti di gennaio,
le streghe andassero letteralmente a perdersi
nel bosco, per ricavare una conoscenza
sempre maggiore di piante e erbe medicina-
li.
Con l'avvento del cristianesimo la figura
della Befana è stata accostata all'episodio
dell'arrivo dei Re Magi che portano i doni a
Gesù appena nato in una grotta di Betlem-
me.
Una storiella cristiana coinvolge il perso-
naggio della Befana nella vicenda che vede
i Re Magi diretti a Betlemme. I Re Magi,
ancora in cammino per portare i doni a Ge-
sù Bambino, non riuscendo a trovare la
strada, chiesero informazioni ad una vec-
chia. Malgrado le loro insistenze affinchè li
seguisse per far visita al piccolo, la donna
non uscì di casa per accompagnarli. In se-
guito, pentitasi di non essere andata con
loro, dopo aver preparato un cesto di dolci,
uscì di casa e cercò di raggiungerli, senza
riuscirci. Così si fermò ad ogni casa che
trovava lungo il cammino, donando dolciu-
mi ai bambini che incontrava, nella speran-
za che uno di essi fosse il piccolo Gesù.
ancora gira per il mondo, facendo regali a
tutti i bambini, per farsi perdonare.
Ecco svelate alcune tradizioni che vedono la
befana come protagonista di numerose e
antiche credenze spesso ignorate.
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015 29
Molteplici identità
della Befana Sunita Baronti & Maraja Tempestini I A LC
Pos
ta
A morevole Sofonisbe,
ti scrivo perché ho un proble-
ma, ma che dico sono proprio
nella …Hai capito no?!?
Hai presente la serie televisiva CATFISH?
Ecco io potrei benissimo essere il protago-
nista del prossimo episodio.
Quasi un anno fa ho conosciuto un ragazzo
in chat, ci scriviamo ogni giorno ma lui ora
vuole incontrarmi…
Il problema? Lui non sa chi sono realmen-
te, non sa che sono un uomo! Per lui sono
Miranda, ho 17 anni e suono l’arpa!
Non potendo più rimandare ho accettato il
suo invito! Dunque, devo rivelarmi prima
dell’appuntamento o punto sull’effetto
sorpresa?
La maschera di Miranda
Cara falsa-identità,
devo dire che questo è veramente un caso
a n t r o p o l o g i c a m e n t e complesso
per non dire g n o s o l o g i c a m e n t e
e s i s t e n z i a l e. (?)
Sofi ti consiglia di optare per un appunta-
mento al buio, e per buio intendo luogo
privo di luce, e di puntare sull’effetto sor-
presa!! Vedetevi al cinema, ma, mi racco-
mando, cerca di arrivare a film iniziato
altrimenti addio sorpresa…Armati di pal-
loncino ad elio per camuffare la voce, gon-
na con spacco vertiginoso e capelli lunghi
e…e se lui sospetta qualcosa digli che sei
una tipa mascolina. E finalmente o sfortu-
natamente siamo arrivati al momento più
importante della serata:sullo schermo scor-
rono i titoli di coda e la luce sta per accen-
dersi: è il momento di rivelarsi…
RISPOSTA INCOMPLETA CAUSA RA-
PIMENTO ALIENO. CI SCUSIAMO
PER IL DISAGIO (n.d.r)
O nnisciente Sofonisbe ,
abbiamo un problema che solo
tu puoi risolvere :l’esame della
patente si sta avvicinando e noi
non siamo ancora entrate nell’ingranag-
gio ,i fanali non ci mostrano la retta via e
ad illuminarci ci sono, però, i consigli dei
nostri bellissimi istruttori!!
Riusciremo a passare l’esame o saremo
troppo distratte da loro ?E se soprattutto
riuscissimo miracolosamente a passare
come possiamo festeggiare?
Schumacherine inrosa
Houston we have a problem!
Care Schumacherine in rosa , mi dispiace
dovervi dire che se non lasciate perdere i
vostri adorati istruttori l’unica patente che
otterrete sarà quella per la stupidità!
(Sofonisbe è sempre molto gentile.)
Per il resto non posso aiutarvi perché l’uni-
ca patente che ho è quella per la mia navi-
cella spaziale ! Infatti tra pochi giorni la
vostra Sofi-Amstrong partirà per la sua
prima missione su Io! Vi mando un grosso
in bocca a lupo e spero davvero che voi
riusciate a passare questo benedetto esame!
Che dio ce la mandi buona!
P.S. Mi è stato riferito che con questa
storia della patente non fate vivere i vostri
compagni di classe, lasciateli respirare
altrimenti la festa la faranno loro a voi!!
XoXo Sofonisbe
30 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
Sofonisbe risponde... Se gli antichi Greci riuscivano a trovare consigli grazie all’oracolo di
Delfi, voi dovete ritenervi ancora più fortunati: Sofonisbe è qui per risol-
vere i vostri dilemmi adolesce(esiste)nziali.
Scrivetemi a [email protected]
31 Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015
1. La varietà negli sport. Ogni anno, du-
rante la " Wonder Week", in Repubblica
Ceca si organizza lo "sputo dell'oliva". In
Georgia ogni anno si tiene il festival Red-
week Games, dove potete tuffarvi libera-
mente di pancia nel fango. In varie città
europee, care ragazze, potrete partecipare
al'"High Hell Race", ovvero una corsa sui
tacchi lunga 80 metri. E dulcis in fundo, in
Inghilterra, da oltre 40 anni, si organizza-
no campionati di calci negli stinchi. Sensa-
zionale.
2. Only made in China. In Cina 100 milio-
ni di persone vive con l'equivalente di un
euro al giorno. Le persone vengono con-
dannate a morte 4 volte rispetto a tutto il
mondo. Lo smog generato dalla Cina è
così alto da superare il Pacifico e inquina-
re San Francisco per un terzo del suo tota-
le. Respirare l'aria di Beijing equivale a
fumare 21 sigarette al giorno. A Chong-
ging la gente è così dipendente dagli
smartphone che hanno disegnato una cor-
sia riservata a chi cammina utilizzandoli.
E sopratutto, in Cina, la playstation è ille-
gale. Terrificante.
3. Semplicemente dei geni. Dalle prove
del concorso Brain 2014, svoltesi a no-
vembre scorso all'istituto di Biorobotica
Sant'Anna, sono rientrati nel 2% della
popolazione mondiale con il più alto quo-
ziente intellettivo, tre studenti che fre-
quentano il quarto anno del liceo classico
di Pontedera. Complimenti.
4. Non ha molto a che fare con la rubrica
ma è troppo divertente.
Solo per voi un elenco dei vari tipi di sti-
pendio in Italia:
Stipendio cipolla= lo vedi, lo afferri, ti fa
piangere. Dietetico= ti fa mangiare sempre
meno. Ateo= hai dubbi sulla sua reale
esistenza. Harry Potter= fai due movimen-
ti e sparisce. Tormenta= non sai quando
arriverà e per quanto durerà. Mestruale=
viene una volta al mese e dura tre giorni.
Il titolo della rubrica non me lo ricordo… no, aspetta:
Ma te ci credi che…!! (la rubrica più figa del giornalino)
G
ioch
i
Machiavelli Espresso IX | Gennaio 2015 32
la Redazione
Marco Ridolfi
Alessandro Marchetti
Giovanni Giannini
Silvia Giorgetti
Iacopo Cotalini
Mia Martinez
Rachele Pellegrini
Matilde Dal Canto
Greta Orsi
Filippo Treggi
Camilla Angelotti
Davide Innocente
Chiara Bartoli
Stefano Sestani
Maraja Tempestini
Sunita Baronti
Francesca Dalle Piagge
Beatrice Del Carlo
Rebecca Catani
Marianna Savonetti
Gabriele Lunardi
Ringraziamenti
Prof.essa Elisabetta Visconti ,
Prof.essa Donatella Batistoni per la correzione
delle bozze
Prof. Giorgio Machiarini per la stampa
Prof. Stefano Giampaoli per il supporto tecnico
Contatti
Sito: stiudentimachiavelli.wordpress.com
Email: [email protected]
Profilo Facebook: Machiavelli Espresso
Copertina: Marco Ridolfi
Vignette: Iacopo Cotalini
& Marco Ridolfi