l'odometro di vitruvio

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Due odometri, disegnati da Leonardo da Vinci sulla base di una descri- zione datane circa 1500 anni prima dall'ingegnere romano Vitruvio, compaiono sulla prima pagina del Codice Atlantico (in cui eccezional- mente Leonardo usa la scrittura diritta anziché quella speculare). La versione a carriola presenta per chiarezza una ruota dentata verticale e una orizzontale che hanno solo 40 denti in luogo dei 400 richiesti secondo la descrizione di Vitruv io. L'ingranaggio «a un dente singolo» sull'asse, destinato a far avanzare di un dente la ruota verticale ogni volta che la ruota compie un giro, è localizzato in prossimità del mozzo nella versione a carriola, mentre ha la forma di un ingranaggio a vite col- locato al centro dell'asse nella versione a due ruote. I particolari di en- trambe le versioni sono evidenziati nella illustrazione alla pagina 76. C he cosa collega Archimede, il ma- go siracusano della meccanica del tempo delle prime due guerre puniche, con Marco Vitruvio Pollione, l'ingegnere militare e architetto dei Cesa- ri, e con Leonardo da Vinci? Potrebbe essere uno strumento a ruote per misura- re la lunghezza di percorsi su strada in- ventato dal primo, descritto dal secondo e ricostruito senza successo dal terzo. Per dimostrare questa possibilità comincerò facendo vedere come una descrizione di questo dispositivo, scritta da Vitruvio at- torno al 20 a.C., incuriosì Leonardo po- nendogli un rompicapo pressoché insolu- bile circa 1500 anni dopo. Poi, approfit- tando dell'analisi incompleta di Leonar- do, illustrerò come lo strumento possa essere in realtà ricostruito sulla base della descrizione di Vitruvio. Infine addurrò argomentazioni a sostegno della tesi che il dispositivo, che lo stesso Vitruvio elogiò piuttosto vagamente come uno strumento «eseguito in tempi di pace e di quiete per profitto e diletto», aveva almeno in parte un'origine e finalità militari e che può essere fatto risalire niente di meno che ad Archimede. Lo strumento di misurazione è noto come odometro (dal greco hodos, via, strada, e metron, misura). Un meccani- smo analogo si trova oggi in ogni automo- bile. Prima dell'avvento dei mezzi di tra- sporto motorizzati, però, l'odometro era usato solo eccezionalmente, a fini specia- li. Per esempio, durante la guerra penin- sulare del 1808-1814 in Spagna, il gene- rale britannico Arthur Wellesley (il futu- ro duca di Wellington) insistette sull'op- portunità che si misurassero in questo modo le marce di trasferimento delle sue truppe, e strumenti simili furono spesso applicati a carrozze date a nolo per de- terminare l'importo da far pagare. In ef- fetti, una volta inventati gli ingranaggi, l'essenziale semplicità di tali dispositivi semplificò molto le cose agli ingegneri dell'antichità. Nel I secolo d.C. Erone di Alessandria descrisse un odometro. La sua esposizione ci è pervenuta in una tra- duzione araba dall'originale greco, anda- to successivamente perduto: messa in moto dalla rotazione di una ruota di car- ro, una serie di ingranaggi faceva avanza- re un indicatore lungo una scala che indi- cava la distanza percorsa. L'odometro descritto da Vitruvio non era però così semplice. Consideriamo ora il suo testo (che troviamo, fra i suoi dieci libri De architectura, nel volume dedicato alle macchine) per vedere che cosa abbia creato così tante difficoltà a Leonardo, verso la fine del quindicesimo secolo, e alle successive generazioni di commenta- tori e traduttori. Una parte dell'oscurità di Vitruvio è secondaria. Per esempio, il suo latino non è fra i più facili e il suo stile non è uniforme. A volte egli è verboso, altre volte è così stringato che si deve indovi- nare che cosa voglia dire. Una difficoltà maggiore deriva dal fatto che ai suoi tempi non era ben sviluppata una termi- nologia tecnica. Per lui gli ingranaggi sono «tamburi» con denti, e le ruote dentate sono mantenute in luogo da un localumentum. Ora, localumentum era in latino una parola generica (per la quale non abbiamo un equivalente esat- to) per designare una struttura di tavole destinata a mantenere oggetti al loro posto. La parola potrebbe descrivere qualsiasi cosa, da uno scaffale per libri a una cassa per cereali. Io tradurrò qui la parola localumentum con «recipiente». L'invenzione dell'odometro dev'essere anteriore al tempo di Vitruvio. In effetti non è neppure certo che egli abbia mai visto lo strumento che descrive; egli co- mincia la sua esposizione dicendo che passerà a parlare di «argomento trasmes- soci dai nostri predecessori». Il defunto A. G. Drachmann, che era non solo un filologo classico ma anche uno studioso della tecnologia antica, attrasse la mia attenzione sul fatto che Vitruvio, nelle altre sue descrizioni di macchine, scrive- va di solito all'indicativo mentre usa il congiuntivo nell'intera descrizione del- l'odometro. Può darsi che l'uso del con- giuntivo indichi che egli stava citando da una fonte anteriore. N el libro X, capitolo 9, del De archi- tectura, Vitruvio descrive due ver- sioni dell'odometro. Una versione è de- stinata alla misurazione di distanze ter- restri ed è azionata da una delle due ruote posteriori di una carrozza a quat- tro ruote, una raeda. L'altra, una ver- sione marina, è azionata da una ruota a pale montata a bordo di una nave. Non ci occuperemo qui di questo anteceden- te del solcometro. Quanto all'odometro terrestre, Vitruvio, dopo aver detto che le ruote della raeda avevano un diame- tro di quattro piedi e avanzavano di 12,5 piedi a ogni rotazione, passa a de- scrivere come segue l'ingranaggio e il meccanismo di conteggio: «All'interno della ruota [della carroz- za] è montato solidalmente sul mozzo un tamburo con un unico piccolo dente che sporge oltre il bordo della sua circonfe- renza. Ma al di sopra c'è un recipiente, fissato alla cassa della carrozza, con un tamburo in grado di ruotare disposto ver- ticalmente e mantenuto in posizione su un piccolo asse. Sul bordo di questo tam- buro sono intagliati 400 denti spaziati uniformemente, che impegnano il picco- lo dente sul tamburo sottostante. Inoltre sul lato del tamburo superiore è fissato un altro piccolo dente, che sporge oltre i [400] denti. «Al di sopra di esso sta un altro [tambu- ro] orizzontale, munito di denti nello stes- so modo, fissato a un altro recipiente. Questi denti impegnano il piccolo dente sporgente applicato sul bordo del secon- do tamburo. Su questo tamburo [orizzon- tale] sono praticati dei fori, in numero pari a quello delle miglia che la carrozza può percorrere nel corso di un lungo viag- gio. Più o meno non importa. E in tutti quei fori sono collocati piccoli ciottoli rotondi. E nel coperchio, o piuttosto reci- piente, del tamburo, c'è un piccolo foro collegato a un tubo attraverso il quale, dopo essere arrivati a questa posizione, i ciottoli che erano stati situati nel tamburo possono cadere uno per uno nella cassa del carro e nel vaso di bronzo collocato inferiormente. «Quando la ruota [della carrozza] va avanti, fa ruotare il tamburo inferiore ad essa solidale, il cui piccolo dente fa avan- zare di un passo a ogni rotazione i denti del tamburo superiore. Ne deriva che, quando il tamburo inferiore ha compiuto 400 giri, quello superiore ha ruotato una volta, e il piccolo dente fissato al suo bordo avrà fatto avanzare il tamburo superiore dell'intervallo di un dente. In tal modo, quando, dopo 400 rotazioni del tamburo inferiore, quello superiore avrà compiuto una rotazione, la distanza coperta sarà stata di 5000 piedi, ossia di 1000 passi. Ne segue che la caduta di un ciottolo indicherà col suo rumore che è stato percorso un miglio [romano]. Il numero di ciottoli raccolti in basso dà il numero totale delle miglia percorse in un giorno». Vorrei ora aggiungere alcune parole di spiegazione. La «cassa della carroz- za» è una cassa che era fissata all'asse posteriore di alcune carrozze romane; il suo coperchio si estendeva a entrambi i lati al di sopra delle ruote posteriori. Dalla descrizione di Vitruvio si potrebbe sospettare che entrambe le ruote denta- te con 400 denti fossero montate sulla cassa della carrozza: quella verticale si- tuata su uno dei suoi lati e quella oriz- zontale sulla parte superiore del coper- chio. Per ripetere la sequenza del funzio- namento, la ruota con un solo dente spingeva avanti di un passo la ruota ver- ticale munita di 400 denti a ogni giro della ruota della carrozza. Allo stesso modo, il singolo dente montato sul lato della ruota dentata verticale spingeva avanti di un intervallo la ruota orizzon- tale con 400 denti ogni 400 rotazioni della ruota del carro (pari a una distanza di 5000 piedi), facendo quindi cadere una delle piccole pietre alloggiate nei fori della ruota dentata orizzontale che annunciava il compimento di un altro miglio facendo risuonare il recipiente di bronzo in cui cadeva, all'interno della cassa del carro. passiamo ora a considerare la ricostru- zione di Leonardo. I suoi famosi dise- gni dell'odometro si trovano nella prima pagina del Codice Atlantico. Leonardo sottolinea di avere adattato il meccani- smo per le misurazioni di distanze in uso al suo tempo. Infatti la circonferenza del- la ruota doveva essere di 10 yarde e il numero di denti nelle due grosse ruote dentate era di 300 perché in quel periodo il miglio era pari a 3000 yarde. Sotto tutti gli altri aspetti, però, pare che egli abbia seguito la descrizione di Vitruvio. Dei due disegni di odometri, Leonardo, che era mancino, disegnò presumibilmen- te per primo quello a carriola, che si trova sul lato destro della pagina. Qui un picco- lo dente situato sul mozzo della ruota fa avanzare a intermittenza la ruota dentata a destra (che Leonardo disegnò per sem- plicità con una quarantina di denti anzi- ché con 300, come gli imponeva l'adozio- ne delle unità di misura in uso al suo tem- po). A ogni rotazione completa della ruo- ta dentata verticale, quella orizzontale L'odometro di Vitruvio Una macchina per la misurazione delle distanze descritta da Vitruvio, che forse non la vide mai, incuriosì Leonardo 1500 anni dopo. Potrebbe essere stata inventata da Archimede durante la prima guerra punica di André Wegener Sleeswyk 74 75

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Due odometri, disegnati da Leonardo da Vinci sulla base di una descri-zione datane circa 1500 anni prima dall'ingegnere romano Vitruvio,compaiono sulla prima pagina del Codice Atlantico (in cui eccezional-mente Leonardo usa la scrittura diritta anziché quella speculare). Laversione a carriola presenta per chiarezza una ruota dentata verticale euna orizzontale che hanno solo 40 denti in luogo dei 400 richiesti

secondo la descrizione di Vitruv io. L'ingranaggio «a un dente singolo»sull'asse, destinato a far avanzare di un dente la ruota verticale ognivolta che la ruota compie un giro, è localizzato in prossimità del mozzonella versione a carriola, mentre ha la forma di un ingranaggio a vite col-locato al centro dell'asse nella versione a due ruote. I particolari di en-trambe le versioni sono evidenziati nella illustrazione alla pagina 76.

C

he cosa collega Archimede, il ma-go siracusano della meccanicadel tempo delle prime due guerre

puniche, con Marco Vitruvio Pollione,l'ingegnere militare e architetto dei Cesa-ri, e con Leonardo da Vinci? Potrebbeessere uno strumento a ruote per misura-re la lunghezza di percorsi su strada in-ventato dal primo, descritto dal secondo ericostruito senza successo dal terzo. Perdimostrare questa possibilità cominceròfacendo vedere come una descrizione diquesto dispositivo, scritta da Vitruvio at-torno al 20 a.C., incuriosì Leonardo po-nendogli un rompicapo pressoché insolu-bile circa 1500 anni dopo. Poi, approfit-tando dell'analisi incompleta di Leonar-do, illustrerò come lo strumento possaessere in realtà ricostruito sulla base delladescrizione di Vitruvio. Infine addurròargomentazioni a sostegno della tesi che ildispositivo, che lo stesso Vitruvio elogiòpiuttosto vagamente come uno strumento«eseguito in tempi di pace e di quiete perprofitto e diletto», aveva almeno in parteun'origine e finalità militari e che puòessere fatto risalire niente di meno che adArchimede.

Lo strumento di misurazione è notocome odometro (dal greco hodos, via,strada, e metron, misura). Un meccani-smo analogo si trova oggi in ogni automo-bile. Prima dell'avvento dei mezzi di tra-sporto motorizzati, però, l'odometro erausato solo eccezionalmente, a fini specia-li. Per esempio, durante la guerra penin-sulare del 1808-1814 in Spagna, il gene-rale britannico Arthur Wellesley (il futu-ro duca di Wellington) insistette sull'op-portunità che si misurassero in questomodo le marce di trasferimento delle suetruppe, e strumenti simili furono spessoapplicati a carrozze date a nolo per de-terminare l'importo da far pagare. In ef-fetti, una volta inventati gli ingranaggi,l'essenziale semplicità di tali dispositivisemplificò molto le cose agli ingegneridell'antichità. Nel I secolo d.C. Erone diAlessandria descrisse un odometro. Lasua esposizione ci è pervenuta in una tra-duzione araba dall'originale greco, anda-

to successivamente perduto: messa inmoto dalla rotazione di una ruota di car-ro, una serie di ingranaggi faceva avanza-re un indicatore lungo una scala che indi-cava la distanza percorsa. L'odometrodescritto da Vitruvio non era però cosìsemplice. Consideriamo ora il suo testo(che troviamo, fra i suoi dieci libri Dearchitectura, nel volume dedicato allemacchine) per vedere che cosa abbiacreato così tante difficoltà a Leonardo,verso la fine del quindicesimo secolo, ealle successive generazioni di commenta-tori e traduttori.

Una parte dell'oscurità di Vitruvio èsecondaria. Per esempio, il suo latinonon è fra i più facili e il suo stile non èuniforme. A volte egli è verboso, altrevolte è così stringato che si deve indovi-nare che cosa voglia dire. Una difficoltàmaggiore deriva dal fatto che ai suoitempi non era ben sviluppata una termi-nologia tecnica. Per lui gli ingranaggisono «tamburi» con denti, e le ruotedentate sono mantenute in luogo da unlocalumentum. Ora, localumentum erain latino una parola generica (per laquale non abbiamo un equivalente esat-to) per designare una struttura di tavoledestinata a mantenere oggetti al loroposto. La parola potrebbe descriverequalsiasi cosa, da uno scaffale per libri auna cassa per cereali. Io tradurrò qui laparola localumentum con «recipiente».

L'invenzione dell'odometro dev'essereanteriore al tempo di Vitruvio. In effettinon è neppure certo che egli abbia maivisto lo strumento che descrive; egli co-mincia la sua esposizione dicendo chepasserà a parlare di «argomento trasmes-soci dai nostri predecessori». Il defuntoA. G. Drachmann, che era non solo unfilologo classico ma anche uno studiosodella tecnologia antica, attrasse la miaattenzione sul fatto che Vitruvio, nellealtre sue descrizioni di macchine, scrive-va di solito all'indicativo mentre usa ilcongiuntivo nell'intera descrizione del-l'odometro. Può darsi che l'uso del con-giuntivo indichi che egli stava citando dauna fonte anteriore.

Nel libro X, capitolo 9, del De archi-tectura, Vitruvio descrive due ver-

sioni dell'odometro. Una versione è de-stinata alla misurazione di distanze ter-restri ed è azionata da una delle dueruote posteriori di una carrozza a quat-tro ruote, una raeda. L'altra, una ver-sione marina, è azionata da una ruota apale montata a bordo di una nave. Nonci occuperemo qui di questo anteceden-te del solcometro. Quanto all'odometroterrestre, Vitruvio, dopo aver detto chele ruote della raeda avevano un diame-tro di quattro piedi e avanzavano di12,5 piedi a ogni rotazione, passa a de-scrivere come segue l'ingranaggio e ilmeccanismo di conteggio:

«All'interno della ruota [della carroz-za] è montato solidalmente sul mozzo untamburo con un unico piccolo dente chesporge oltre il bordo della sua circonfe-renza. Ma al di sopra c'è un recipiente,fissato alla cassa della carrozza, con untamburo in grado di ruotare disposto ver-ticalmente e mantenuto in posizione suun piccolo asse. Sul bordo di questo tam-buro sono intagliati 400 denti spaziatiuniformemente, che impegnano il picco-lo dente sul tamburo sottostante. Inoltresul lato del tamburo superiore è fissatoun altro piccolo dente, che sporge oltre i[400] denti.

«Al di sopra di esso sta un altro [tambu-ro] orizzontale, munito di denti nello stes-so modo, fissato a un altro recipiente.Questi denti impegnano il piccolo dentesporgente applicato sul bordo del secon-do tamburo. Su questo tamburo [orizzon-tale] sono praticati dei fori, in numeropari a quello delle miglia che la carrozzapuò percorrere nel corso di un lungo viag-gio. Più o meno non importa. E in tuttiquei fori sono collocati piccoli ciottolirotondi. E nel coperchio, o piuttosto reci-piente, del tamburo, c'è un piccolo forocollegato a un tubo attraverso il quale,dopo essere arrivati a questa posizione, iciottoli che erano stati situati nel tamburopossono cadere uno per uno nella cassadel carro e nel vaso di bronzo collocatoinferiormente.

«Quando la ruota [della carrozza] vaavanti, fa ruotare il tamburo inferiore adessa solidale, il cui piccolo dente fa avan-zare di un passo a ogni rotazione i dentidel tamburo superiore. Ne deriva che,quando il tamburo inferiore ha compiuto400 giri, quello superiore ha ruotato unavolta, e il piccolo dente fissato al suobordo avrà fatto avanzare il tamburosuperiore dell'intervallo di un dente. Intal modo, quando, dopo 400 rotazionidel tamburo inferiore, quello superioreavrà compiuto una rotazione, la distanzacoperta sarà stata di 5000 piedi, ossia di1000 passi. Ne segue che la caduta di unciottolo indicherà col suo rumore che èstato percorso un miglio [romano]. Ilnumero di ciottoli raccolti in basso dà ilnumero totale delle miglia percorse in ungiorno».

Vorrei ora aggiungere alcune paroledi spiegazione. La «cassa della carroz-za» è una cassa che era fissata all'asseposteriore di alcune carrozze romane; ilsuo coperchio si estendeva a entrambi i

lati al di sopra delle ruote posteriori.Dalla descrizione di Vitruvio si potrebbesospettare che entrambe le ruote denta-te con 400 denti fossero montate sullacassa della carrozza: quella verticale si-tuata su uno dei suoi lati e quella oriz-zontale sulla parte superiore del coper-chio.

Per ripetere la sequenza del funzio-namento, la ruota con un solo dentespingeva avanti di un passo la ruota ver-ticale munita di 400 denti a ogni girodella ruota della carrozza. Allo stessomodo, il singolo dente montato sul latodella ruota dentata verticale spingevaavanti di un intervallo la ruota orizzon-tale con 400 denti ogni 400 rotazionidella ruota del carro (pari a una distanzadi 5000 piedi), facendo quindi cadereuna delle piccole pietre alloggiate neifori della ruota dentata orizzontale cheannunciava il compimento di un altromiglio facendo risuonare il recipiente dibronzo in cui cadeva, all'interno dellacassa del carro.

passiamo ora a considerare la ricostru-zione di Leonardo. I suoi famosi dise-

gni dell'odometro si trovano nella primapagina del Codice Atlantico. Leonardosottolinea di avere adattato il meccani-smo per le misurazioni di distanze in usoal suo tempo. Infatti la circonferenza del-la ruota doveva essere di 10 yarde e ilnumero di denti nelle due grosse ruotedentate era di 300 perché in quel periodoil miglio era pari a 3000 yarde. Sotto tuttigli altri aspetti, però, pare che egli abbiaseguito la descrizione di Vitruvio.

Dei due disegni di odometri, Leonardo,che era mancino, disegnò presumibilmen-te per primo quello a carriola, che si trovasul lato destro della pagina. Qui un picco-lo dente situato sul mozzo della ruota faavanzare a intermittenza la ruota dentataa destra (che Leonardo disegnò per sem-plicità con una quarantina di denti anzi-ché con 300, come gli imponeva l'adozio-ne delle unità di misura in uso al suo tem-po). A ogni rotazione completa della ruo-ta dentata verticale, quella orizzontale

L'odometro di VitruvioUna macchina per la misurazione delle distanze descritta da Vitruvio,che forse non la vide mai, incuriosì Leonardo 1500 anni dopo. Potrebbeessere stata inventata da Archimede durante la prima guerra punica

di André Wegener Sleeswyk

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Un ingranaggio a un dente singolo (in colore, in alto) fissato al mozzo rotante della carriolaavrebbe potuto funzionare con una ruota dentata verticale a 40 denti, ma non, come fu sottolinea-to due secoli dopo Leonardo, con una ruota a 300 o 400 denti. Il «dente singolo» dell'ingranaggioa vite senza fine dell'odometro a due ruote (in colore, al centro) avrebbe potuto ingranare effi-cacemente con una ruota dentata con 400 denti, ma il resto del sistema di ingranaggi, in partico-lare il dente singolo sull'asse della ruota dentata verticale (in colore, in basso), non corrispon-de alla descrizione tramandataci da Vitruvio. Insoddisfatto, Leonardo si fermò a questo punto.

avanzava di un dente e lasciava cadere unsassolino nella cassetta rettangolare a si-nistra della ruota.

Con le sue eleganti ruote dentate a 40denti l'odometro di Leonardo avrebbepotuto ben funzionare, mentre un conge-gno con ingranaggi di 300 denti sarebbestato meccanicamente irrealizzabile. Pareche ciò sia stato rivelato per la prima voltain un'opera a stampa da Claude Perrault,medico francese del Seicento, architettodel Louvre e, incidentalmente, fratellodell'autore del Gatto con gli stivali. Uncongegno del genere non avrebbe funzio-nato perché, con un numero tanto grandedi denti (siano essi 300 o 400 non impor-ta) l'intervallo fra i denti stessi diventacosì ristretto che il piccolo dente che do-vrebbe far avanzare la grande ruota den-tata non può ingranare in modo efficace.Perrault, che pubblicò il suo commentonel 1673, stimò che una ruota dentata con400 denti avrebbe dovuto avere un dia-metro di almeno due piedi (e quindi unacirconferenza superiore ai sei piedi) peravere denti abbastanza robusti da soppor-tare lo sforzo dell'ingranamento. Ma an-che con una circonferenza così grande, laprofondità dell'indentamento sarebbestata di solo mezzo millimetro. Un ingra-naggio del genere non sarebbe stato chia-ramente in grado di funzionare.

Pare che questo problema sia sfuggitoall'attenzione di molti commentatori po-steriori, ma c'è ragione di credere cheLeonardo se ne sia reso conto dopo averdisegnato l'odometro a carriola. Nel se-condo disegno egli aggirò infatti il pro-blema con la sua caratteristica genialità.Egli decise di supporre che la descrizionedel primo «dente singolo» di Vitruviosignificasse una vite senza fine o un ingra-naggio a vite (che in effetti potrebbe esse-re considerato come un dente singolo al-lungato avvolto attorno a un cilindro).Leonardo sapeva che Vitruvio aveva fa-miliarità con la vite senza fine, un'inven-zione di Archimede. Nel secondo disegnoegli applicò perciò all'asse del veicolo adue ruote un ingranaggio a vite per faravanzare la ruota verticale. Leonardomontò inoltre il secondo dente singolosull'asse della ruota dentata verticale perfar ruotare la ruota dentata orizzontale.Questo dente, almeno, ruotava su un rag-gio molto piccolo, cosicché la profonditàdi ingranaggio conseguiva un valore reali-stico. Entrambe le innovazioni eranomodi geometricamente corretti di aggira-re la difficoltà dell'indentamento, e laseconda ricostruzione dell'odometro diVitruvio da parte di Leonardo avrebbepotuto essere un congegno funzionanteanche se avesse avuto ruote dentate con400 denti.

T 'odometro di Leonardo nella forma di2--J un carro a due ruote si discosta peròin misura considerevole dalla descrizio-ne di Vitruvio. Le due grandi ruote den-tate non sono più munite «di denti nellostesso modo». La ruota orizzontale hadenti paralleli all'asse dell'ingranaggio, esolo la ruota verticale ha conservatodenti radiali. Inoltre, per quanto sfor-

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ziamo la nostra immaginazione, non riu-sciamo a vedere come il singolo denteapplicato all'asse della ruota dentataverticale possa sporgere «oltre i denti»di tale ruota. Non sorprende perciò chegli studiosi dell'antichità classica, colloro rispetto per i documenti scritti, nonabbiano accettato la proposta di Leo-nardo. Il loro rifiuto fu formulato nelmodo forse più chiaro da Drachmann, ilquale dichiarò nel 1963 di considerarel'odometro di Vitruvio un'invenzioneromana fatta «a tavolino» più che ladescrizione di una macchina davverofunzionante. Il giudizio di Drachmannsembrò a quel tempo l'unico che unostudioso serio potesse formulare; nessu-no è andato oltre Leonardo nella ricercadi un'interpretazione valida delle paroledi Vitruvio.

Il giudizio di Drachmann dev'essereconsiderato definitivo? Una volta cheebbi cominciato a considerare l'argo-mento mi sorsero dei dubbi. Quali che

siano i difetti che si possono attribuire aVitruvio come stilista, egli era senzadubbio un ingegnere pratico e profon-damente realistico, non dedito a inven-zioni a tavolino. Inoltre, le ricostruzionidi Leonardo, nonostante tutta la lorogenialità, non possono essere considera-te esplorazioni esaustive di tutte le pos-sibilità implicite nel testo di Vitruvio.Dopo tutto, Leonardo visse in un'epocain cui la tecnologia delle macchine eraappena ai suoi inizi; oggi noi abbiamo sudi lui il vantaggio di mezzo millennio diulteriori progressi. In questi cinque seco-li, inoltre, anche la nostra conoscenzadel passato è molto aumentata. Peresempio, né Leonardo né Perrault sape-vano che ingranaggi fatti di sottili lastredi bronzo non erano insoliti attorno agliinizi dell'era cristiana. Questo fatto èstato dimostrato solo grazie a scopertearcheologiche compiute all'inizio delXX secolo, come il ritrovamento, a Sali-sburgo, di un grande disco in bronzo del

H secolo d.C., e grazie al recupero, allargo dell'isola greca di Anticitera, peropera di alcuni pescatori di spugne, diun complesso ingranaggio risalente al Isecolo a.C.

Lo spettacolare meccanismo di Anti-citera, ricostruito con successo nel 1974da Derek J. de Solla Price, della YaleUniversity, era un calcolatore analogicoper calcoli calendariali che utilizzava piùdi 30 ruote dentate in bronzo. I dentidell'ingranaggio avevano la forma ditriangoli equilateri, una configurazioneche rimase in uso sino al Rinascimentoinoltrato per ingranaggi con denti radialidiritti, detti in inglese «spur» gears perla loro somiglianza con la rosetta o ro-tella dello sperone (si veda l'articolo AnAncient Greek Computer, di Derek J. deSolla Price, in «Scientific American»,giugno 1959).

Un confronto del testo di Vitruvio conle interpretazioni datene da Leonardodimostra che questi era ben consapevoledelle lacune presenti nella descrizione.Per esempio, Vitruvio non menziona se laruota dentata verticale con 400 denti fos-se montata parallelamente alla ruota del-la carrozza o perpendicolarmente a essa.Per coprire entrambe le possibilità, Leo-nardo presentò la ruota dentata parallelaalla ruota nel primo disegno e perpendico-lare a essa nel secondo.

Di fatto, quando Vitruvio dice che laruota orizzontale era «munita di dentinello stesso modo», fornisce un indizio,anche se non molto di più, sul modo in cuidoveva essere montata la ruota dentataverticale. Il dente singolo fissato al latodella ruota dentata verticale si muove inun piano perpendicolare a quello in cuigira la ruota dentata orizzontale. Sembre-rebbe lecito supporre che, se le ruote ave-vano i denti «nello stesso modo», la ruotadentata verticale dovesse essere a sua vol-ta perpendicolare al piano di rotazionedel dente singolo sul mozzo della ruotadella carrozza, ossia perpendicolare allaruota della carrozza.

Il testo di Vitruvio contiene, benché inmodo oscuro, anche qualche informazio-ne precisa sugli ingranaggi stessi, infor-mazione che emerge quando si confrontala descrizione dell'odometro marino conquella dell'odometro montato su una car-rozza. In quest'ultima si dice che il dentesingolo fissato all'ingranaggio verticalesporge «al di là» dei 400 denti della ruotadentata. Il testo che descrive il dente sin-golo nell'odometro marino è più specifi-co; esso afferma che il dente sporge «al dilà della circonferenza». Se ne potrebbedesumere che il dente singolo poteva es-sere orientato solo in una direzione radia-le; gli ingranaggi erano dunque a dentidiritti, come dovevano essere tutti gli an-tichi ingranaggi in bronzo.

Fin qui abbiamo potuto giungere sullascorta di Vitruvio e di Leonardo.

Quel che manca è l'informazione sullageometria dell'interazione fra le ruote adente singolo e le ruote dentate a 400denti. Tale informazione determinerebbea sua volta in che modo le ruote dentate

Il disegno illustra schematicamente quattro modi di ingranaggio, tre dei quali in piani perpendico-lari e uno nello stesso piano. L'ingranaggio a denti radiali diritti (1) è quello proposto da Leonardoper l'odometro a carriola, e quello a vite senza fine ad angolo retto (2) è quello proposto perl'odometro a due ruote; il suo angolo di disassamento è di 90 gradi. Un ingranaggio convenzionalea ruote perpendicolari (3) ha un angolo di disassamento nullo; il raggio perpendicolare all'interse-zione dei piani e il raggio al punto di interazione sono identici. L'ingranaggio ad angolo retto conun disassamento di 30 gradi (4) è la disposizione verificata con un modello in scala. Esso è statoproposto dall'autore e ha il pregio di concordare con la descrizione di Vitruvio e di consentire altempo stesso a un tamburo con dente singolo di far avanzare una ruota dentata con 400 denti.

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Lo schema a sinistra illustra la difficoltà pratica del funzionamento diun dente singolo con una ruota dentata di 400 denti, sottolineata daClaude Perrault nel 1673. Per ingranare col dente b senza toccare ildente a, il dente singolo dev'essere così corto che in realtà non puòprodurre il movimento desiderato. La soluzione di Leonardo, quale è

Una ruota a un dente singolo abbastanza grande può far ruotare unaruota a 400 denti in accordo con la descrizione di Vitruvio. In alto asinistra, il bordo della ruota a un dente singolo passa fra i denti c e bmentre il dente singolo si avvicina al dente b; in alto a destra le facce deidue denti sono approssimativamente parallele quando essi si toccanograzie al disassamento di 30 gradi della ruota a un dente singolo. In

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GRUPPO EDITORIALE FABBRIIN TUTTE LE LIBRERIE

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illustrata nel suo disegno dell'odometro a due ruote, è riportata adestra. All'estremità dell'asse di rotazione della ruota dentata verticale(1) è fissato un dente singolo piuttosto grande. Poiché il raggio totale èmolto piccolo, il dente supera il dente a della ruota orizzontale senzatoccarlo, impegna il dente b e lo fa avanzare dell'intervallo voluto.

basso a sinistra il dente singolo sposta il dente b verso la posizioneoccupata in precendenza dal dente c; l'intaccatura sul bordo dellaruota a un solo dente, dietro il dente stesso, impedisce il contatto coldente a. In basso a destra l'avanzamento del dente b è completato; orail bordo della ruota a un dente singolo passa fra i denti b e a finchéuna rotazione completa non riporterà il dente in corrispondenza con a.

erano applicate alla cassa della carrozza.Le dimensioni di tale cassa, e quindi lospazio disponibile per le ruote dentate,potrebbero essere stimati sulla base, pri-ma, del diametro di quattro piedi delleruote della carrozza e, poi, della distanzafra le due ruote di ogni coppia (carreggia-ta). Tale distanza può essere stimata sullabase dei solchi lasciati sulle pavimenta-zioni stradali romane dal passaggio deiveicoli, quali si possono osservare adesempio a Pompei, dove i due solchi di-stano fra loro da 1,3 a 1,4 metri.

L'anello mancante in tutto questo civiene fornito da un'esplorazione elemen-tare ma sistematica della geometria del-l'interazione fra ingranaggi. Per mante-nere il numero delle diverse possibilitàentro limiti che abbiano un senso pratico,occorre introdurre alcune ipotesi ragio-nevoli che consentano di semplificare lasituazione. Innanzitutto limiteremo lanostra indagine all'esame di ruote dentateperpendicolari fra loro. D'altro lato, sup-porremo che gli ingranaggi siano dischi acontatto fra loro nel punto della loro inte-razione. Supporremo inoltre che la formadei denti degli ingranaggi che interagi-scono fra loro sia uguale; perciò le ruotedentate interagenti avranno lo stessoangolo di disassamento. Infine, sulla basedelle informazioni rese disponibili dal-l'archeologia, supporremo che i dentiabbiano la forma di un triangolo equilate-ro. Fissati tutti questi parametri, il nume-ro delle variabili indipendenti è stato ri-dotto a due sole: l'angolo di disassamentoe il rapporto fra i diametri delle ruotedentate. Sulla base di quest'insieme diipotesi si ottiene la geometria elementaredi una gamma di ingranaggi comprenden-te gli ingranaggi conici, ipoidi e a vitesenza fine in uso oggi.

Ovviamente questi ingranaggi moder-ni, con i loro denti dalla figura molto evo-luta, non possono essere considerati qui.Dobbiamo pensare invece all'interazionedi ingranaggi dai denti radiali diritti nellaloro forma più elementare, intagliati olimati in modo molto semplice attornoalla circonferenza di dischi in bronzo. Unbuon artigiano si sforzava di ottenere so-luzioni che consentissero un logorio mi-nimo: a tal fine si richiedeva un'area mas-sima di contatto nel punto di interazione.Tale risultato poteva essere conseguitofacendo sì che le facce dei denti delle dueruote dentate venissero a essere appros-simativamente parallele fra loro nell'areadi contatto. Nel caso di denti in figura ditriangoli equilateri questa richiesta sa-rebbe stata soddisfatta nel caso di un an-golo di disassamento di 30 gradi. La di-sposizione risultante doveva lasciare laruota con un solo dente sul mozzo in pros-simità della ruota della carrozza. Questaposizione è in marcato contrasto con laseconda soluzione di Leonardo, dovel'ingranaggio a vite senza fine è situatoinopportunamente alla metà dell'asse,con un angolo di disassamento che risultapari a 90 gradi.

Arrivato a questo punto del mio ragio-namento, decisi di verificare le mie dedu-zioni sul sistema di ingranaggi costruendo

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Ricostruzione delrodometro descritto da Vitruvio; per chiarezza, sulledue ruote dentate grandi sono praticati molto meno di 400 denti. Lapiccola ruota a un dente singolo (a, in colore), fissata al mozzo dellaruota della carrozza, sposta la ruota dentata verticale, applicata alla

parte posteriore della cassa della carrozza, di un dente a ogni giro dellaruota. Un altro dente singolo (b, in colore), fissato alla ruota dentataverticale, fa avanzare di un dente la ruota dentata orizzontale ogni 400giri della ruota della carrozza, ossia ogni 5000 piedi (un miglio romano).

un modello semplice con ingranaggi rita-gliati in carta pesante. La ruota a un dentesingolo era disposta in modo da far ruota-re una ruota dentata a 120 denti quandoentrambe erano fissate con spilli a un pez-zo di Styrofoam. Purché la ruota dentatacon molti denti fosse guidata in una fendi-tura in prossimità del punto di interazio-ne, quella a un dente singolo era perfet-tamente in grado di far avanzare la ruotapluridentata di un passo a ogni rotazione.

T n assenza di una tale fenditura, però, identi della ruota pluridentata, quando

venivano in contatto col dente singolo,tendevano a essere deflessi lateralmente.

Questa deflessione mi chiarì d'improvvi-so quale poteva essere la funzione dellocalumentum. Ciascun recipiente dovevafornire la fenditura-guida essenziale per ilfunzionamento appropriato del sistema diingranaggi di Vitruvio.

Rimanevano da scegliere altre variabi-li, come il rapporto fra i diametri delleruote dentate. Per poter avere uno spaziolibero sufficiente nella parte inferiore delcarro, l'ingranaggio applicato al mozzodella ruota del carro doveva essere ap-prossimativamente di un quarto del dia-metro della ruota. E se la ruota dentataorizzontale doveva essere applicata sulcoperchio della cassa della carrozza al

di sopra delle ruote, il diametro dellaruota dentata verticale doveva essere dialmeno 2,7 piedi. Vi erano poi due altrirequisiti da soddisfare: che le due ruotedentate potessero ruotare senza ingra-narsi reciprocamente e che il dente singo-lo fissato alla ruota pluridentata verticalenon ingranasse, né con la ruota della car-rozza, né col dente singolo fissato almozzo della ruota. Sulla carta, la geome-tria di tutta questa costruzione si dimo-strò perfettamente realizzabile.

Per accertare la validità della mia rico-struzione in carta dell'odometro di Vitru-vio, ne costruii un modello in scala, a unquarto della grandezza naturale. Nella

grande ruota dentata orizzontale praticaidue serie concentriche di 200 fori ciascu-na, destinati a contenere sfere per cusci-netti anziché pietre. Le sfere di acciaiocadono una per volta, ogni quarto di mi-glio, attraverso un foro oblungo praticatonel coperchio della cassa del carro, in unrecipiente in plastica situato inferiomen-te, producendo un suono sordo. Poiché ilmio modello si accorda abbastanza benecon i particolari del testo di Vitruvio epoiché nel corso della ricostruzione nonmi si sono presentate alternative ugual-mente probabili, penso che il mio odome-tro non possa essere molto diverso daquello che Vitruvio potrebbe non averemai visto, ma che descrisse comunquecon diligenza.

Anche se questa ricostruzione risolve ilproblema se Vitruvio stesse descrivendoun meccanismo reale o uno immaginario,rimangono senza risposta molte altredomande. Come ha osservato in prece-denza Drachmann, perché crearsi tantedifficoltà con una ruota dentata di 400denti, quando un ingranaggio con duesuccessive riduzioni di 1:20 avrebbe con-seguito lo stesso effetto? (Leonardoavrebbe sicuramente progettato così unodometro se avesse reimpostato il pro-blema dal principio, anziché cercare diseguire Vitruvio.) Inoltre, qual era la fun-zione di questo curioso dispositivo, consi-derando che al tempo di Vitruvio le di-stanze lungo tutte le vie più importanti inItalia erano ben segnate da pietre miliari?L'uso di collocare lungo le strade le pietremiliari risale ad almeno il 252 a.C. e fureso obbligatorio dal tribuno Gaio Sem-pronio Gracco nel 123 a.C. Tutto questoci fa venire alla mente un'altra domanda:in quale epoca devono collocarsi i «pre-decessori» citati da Vitruvio come gli in-ventori dell'odometro?

Torneremo su queste domande piùavanti. Quanto alle ruote dentate con 400denti, penso che le grandi dimensioni de-gli ingranaggi montati sul coperchio dellacassa del carro potevano essere vantag-giose per l'operatore dell'odometro. Se laparte centrale del grande disco era rivesti-ta con cera nera, come lo erano le tavolet-te che i romani usavano come supportoper scrivere, una tale superficie potevafornire un utile «taccuino» per annotarvi iparticolari osservati lungo la via. Le in-formazioni così raccolte potevano essereusate per compilare quel tipo di guideitinerarie classiche alcune delle quali an-cora sopravvivono, come per esempio laTabula Peutingeriana.

Quanto all'epoca e alle finalità dell'o-dometro di Vitruvio, non si possono, ov-viamente, determinare con sicurezza. Iomi arrischierò, nondimeno, a proporre lamia soluzione. Vorrei suggerire infattiuna possibilità che si accorda con quantosappiamo sull'antica storia romana, an-che se un tale accordo non esclude rispo-ste alternative ugualmente valide. La miaipotesi si fonda in gran parte sul fatto cheil metodo insolito di conteggio delle mi-glia - per mezzo delle pietruzze fatte ca-dere da un disco di immagazzinamento inun recipiente risonante - è identico a quel-

Modello in scala 1:4 delrodometro di Vitruvio, costruito dall'autore con 400 denti per ruota den-tata; ogni quarto di miglio una sferetta di acciaio cade in un recipiente in plastica nella cassa del carro.

Questo disegno di Donald R. Hill, basato su una ricostruzione di E. Wiedemann e F. Hauser(1918), illustra parte di un orologio attribuito ad Archimede. Il tamburo, con denti triangola-ri paralleli all'asse di rotazione, viene fatto ruotare da un galleggiante (qui non visibile) chesegue il livello di una colonna d'acqua discendente. I denti muovono una ruota dentata oriz-zontale sopra il tamburo stesso. Al di sopra di questa ruota, sullo stesso asse, si trova undisco con 12 fori, ciascuno dei quali contiene un ciottolo. Ogni ora un foro viene a trovarsiall'imboccatura di un tubo: il ciottolo scende e cade dal becco di un uccello in un vaso.

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IVIA FLAMINIA (220 a.C.)

VIA AURELIA,_,- ROMA(241 aC.)•\y1A LATINA (334 C.)

\\ CAPUAVENOSA

TARANTO'

CARTAGINE

VIA APPIA(264 a C.)

BRINDISI

Il sistema delle grandi vie romane, illustrato qui com'era alla morte di Archimede, aveva conosciu-to una grande espansione dopo lo scoppio della prima guerra punica. La Via Appia, che andavaallora solo da Roma a Venosa, fu estesa sino a Taranto e a Brindisi nel 264 a.C. La Via Aurelia fuestesa nel 241 a.C. e la Via Flaminia nel 220 a.C. Archimede potrebbe avere inventato l'odome-tro per consentire ai costruttori romani di collocare le pietre miliari lungo queste nuove strade.

lo usato in un orologio ad acqua attribuitoad Archimede (287-212 a.C.).

L'orologio ci è noto per essere descrit-to in un manoscritto arabo che fu compo-sto probabilmente nella sua forma finaleattorno al 1150 d.C. Varie copie di que-sto trattato, il Kitelb Arshimidas fl 'amaial-binkamút (Libro di Archimede sullacostruzione di orologi ad acqua), si sonoconservate. Benché il titolo- attribuisca iltrattato ad Archimede, questa paternitànon può valere sicuramente per l'interaopera, in quanto molti particolari in essacontenuti risalgono senza dubbio a epo-che posteriori. Perciò l'autore di que-st'opera è noto agli studiosi come pseu-do-Archimede.

Donald R. Hill, uno studioso dell'anti-ca meccanica araba che tradusse e com-mentò questo trattato alcuni anni orsono, pervenne alla conclusione che essosegna un momento importante nello svi-luppo della tecnologia delle macchine.Egli vede in esso la sintesi probabilmentepiù antica di idee greche, bizantine, per-siane e arabe sui dispositivi meccanici. Iltrattato costituì inoltre una fonte di ispi-razione per posteriori autori arabi diopere di carattere tecnico.

Hill sottolinea che i commentatori ara-bi attribuiscono unanimemente le

macchine ad acqua e il conteggio median-te la caduta di piccoli ciottoli ad Archi-mede, e anch'egli ritiene che quest'attri-

buzione sia la più probabile. I meccani-smi di liberazione di piccoli ciottoli persegnare il tempo erano almeno modera-tamente comuni nel mondo islamico. AFez, in Marocco, esistono ancor oggi iresti di un orologio ad acqua del XIVsecolo che usava questo sistema. Price,che ha studiato tale dispositivo nel 1961,ha trovato che alcuni dei ciottoli usati persegnare il tempo erano ancora presenti.Erano sfere irregolari di pirite, ciascunadelle quali aveva un diametro di circacinque millimetri. Nel mondo romanopare invece che questo sistema di memo-rizzazione meccanica sia rimasto limitatoai due odometri descritti da Vitruvio.Archimede fu forse l'inventore dell'o-dometro di Vitruvio? Disponiamo di altriindizi a favore o contro questa conclu-sione?

L'attribuzione dell'odometro ad Ar-chimede mi pare si adatti notevolmentebene alle prove interne. Archimede ènoto come l'inventore della vite senzafine, e come abbiamo visto il metodo diingranamento usato nell'odometro è ametà strada fra la vite senza fine e l'ingra-naggio di ruote dentate a denti radialidiritti, perpendicolari fra loro. Questo si-stema di ingranamento non avrebbe sto-nato fra le altre invenzioni note di Archi-mede. Il fatto che Vitruvio non attribuiscal'invenzione dell'odometro ad Archime-de non è una prova sicura contro l'attri-buzione allo scienziato siracusano; nella

sezione del De architectura in cui si trattadi macchine per sollevare acqua, Vitruvionon menziona Archimede in una descri-zione particolareggiata di quella che è al-trimenti universalmente nota come «lavite di Archimede».

Questa conclusione, inoltre, si accordabene con una congettura ragionevole sul-l'epoca e il luogo in cui l'odometro fuusato. Quella che in origine era una retelocale di strade attorno a Roma conobbela sua prima espansione importantequando Archimede era ancora giovane.La prima guerra punica cominciò nel 264a.C. A quell'epoca la grande arteria diret-ta verso sud-est, la Via Appia, aveva giàraggiunto Venosa, a circa 320 chilometrida Roma. Quello stesso anno la Via Ap-pia fu estesa di altri 140 chilometri sino aTaranto, sullo Ionio, e poi di altri 70 chi-lometri sino a Brindisi, sull'Adriatico. Intal modo la grande strada romana rag-giunse, da Roma a Brindisi, la lunghezzatotale di 530 chilometri (358 miglia ro-mane). Estensioni simili della rete strada-le furono ben presto intraprese altrove.

Achimede era un cittadino di Siracusa,potente città-stato greca in Sicilia, e

secondo alcune fonti sarebbe stato impa-rentato col tiranno della città, Gerone II(306-215 a.C.). Allo scoppio della guerrafra Cartagine e Roma, Gerone scelsedapprima di allearsi ai cartaginesi. Dueanni dopo, però, Siracusa si schierò dallaparte dei romani, e per il periodo restantedel suo lungo regno Gerone fu uno fra ipiù leali alleati di Roma.

Così, per 36 anni della sua vita adulta,Archimede lavorò in una città-stato unitada stretti vincoli di alleanza con la repub-blica romana. Durante questo stesso pe-riodo i romani costruirono ben 750 chi-lometri di grandi arterie stradali. Se l'o-dometro era uno strumento per la misu-razione delle distanze lungo queste stra-de, penso che il suo scopo originario siastato quello di assicurare la corretta ubi-cazione delle pietre miliari lungo la ViaAppia. Per esempio, questa circostanzaspiegherebbe la correlazione esistente frala lunghezza della Via Appia e il «raggiod'azione» di 400 miglia dell'odometro.

Tutto questo implica inoltre che Ar-chimede, uno fra gli inventori più genialidell'antichità, abbia progettato l'odome-tro per questo scopo specifico, al fine diaiutare i suoi alleati romani. Storicamen-te, ciò sembra del tutto plausibile. L'attri-buzione ad Archimede sembra tanto piùprobabile se si considera che il progettodell'odometro, quale è stato ricostruitosecondo la descrizione di Vitruvio, nonsolo occupa un posto logico fra le inven-zioni note di Archimede, ma registrava ledistanze secondo un sistema di caduta diciottoli che è attribuito insistentementead Archimede nell'antica letteratura ara-ba. Mi pare, però, che l'odometro sia piùinteressante per la sua ingegnosità che perla sua utilità pratica, e che il suo interesserisieda soprattutto nella sua associazionecon grandi ingegneri del passato: Leo-nardo. Vitruvio e, come sembra ora, conArchimede.

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