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numero 6 - luglio/agosto 2012. Iscrizione Tribunale di Brindisi 11.11.2011 - N. Reg. Stampa 9/2011 NUOVA PIAZZA www.lanuovapiazza.com MENSILE DI INFORMAZIONE POLITICO-CULTURALE

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Edizione Luglio - Agosto 2012

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NUOVAPIAZZA

www.lanuovapiazza.comMensile di inforMazione politico-culturale

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Ci sono dei momenti in cui nella mente si affollano i flashback degli avvenimenti che hanno preceduto il nostro presente. E si rincorrono immagini, parole ed emozioni che non puoi dimen-ticare. Passano i giorni e tocchi con mano come un anno, sep-pur ricco di eventi memorabili, non è altro che una piccolissima istantanea della storia. Così dal primo numero della LNP (agosto 2011) sono trascorsi dodici mesi e il nostro free press, si è inserito nel panorama dell’informazione locale con una veste grafica accattivante e una logica nuova di comunicazione, non basata sulla semplice cronaca ma sulla lettura delle notizie e delle problematicità che esse sottendono. Cultura e bene comune sono stati i due punti di riferimento che hanno segnato sempre di più la nostra attività. Non vole-vamo raccontare il fatterello di paese e non abbiamo aperto la bocca per proferire critiche sterili verso quell’amministratore o quel dato sistema di potere. Non ci interessava. Perché la brutta o la buona politica ci coinvolge un po’ tutti con i nostri micro e macro interessi e il bene comune, se non cambiamo menta-lità tutti, diventa solo un paradigma distante dal nostro modo di vivere il quotidiano. Sentivamo l’urgenza di riflettere sul nostro territorio, ricco di bellezze e di criticità. Lo abbiamo fatto affermando la neces-sità di una visione di insieme per garantire un futuro basato su uno sviluppo sostenibile dell’economia locale nel rispetto dell’ambiente, delle tradizioni e del sacrosanto diritto delle gio-vani generazioni di poter vivere e lavorare nella terra in cui sono nati e dalla quale non devono essere più costretti ad emigrare.Tra i punti i forza di questo progetto editoriale, che necessita an-cora di miglioramenti, vi sono senza dubbio l’uso sapiente delle immagini, l’attivazione di numerosi forum (turismo, agricoltu-ra, commercio, start-up e giovani imprese, per citarne alcuni), la sperimentazione della comunicazione interattiva attraverso i QR (quick response) che permettono al lettore, attraverso gli smartphone, di visualizzare inchieste più ampie, che per ovvi motivi di spazio non possono essere riportate integralmente su un giornale.Tante proposte sono state fatte, ma oggi occorre progettare il futuro o almeno porsi le domande: cosa è necessario per Ostu-ni? E cosa sta succedendo?In questo numero troverete a tal proposito l’intervista a Jo-sep Ejarque, Destination Manager che ha curato i XX Giochi Invernali di Torino 2006, dalla quale emerge ancora una volta la necessità che il turismo diventi per Ostuni un’attività conti-nuativa di nove dieci mesi l’anno. Potrete leggere anche degli importanti spunti di riflessione di chi fa teatro, che giustamente sostiene l’urgenza di poter utilizzare degli idonei spazi per “cre-are” cultura. Inoltre, destano preoccupazione la scadenza della convenzione del Cinema Teatro Roma, il ridimensionamento dell’Ospedale e la possibile uscita di scena dal panorama cesti-stico dell’Assi Basket. C’èmolto da fare e la società civile deve riappropriarsi dei proprispazi, dopo un periodo di assenza, per dare il suo contributo al progresso della nostra città.Come LNP, continuando il percorso intrapreso da un anno, ospi-teremo ancora le vostre opinioni e incentiveremo un dialogo costruttivo in merito a queste tematiche per il bene di Ostuni.Buona lettura.

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CULTURAe BeNeCOMUNe

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editoriale

articolo a pag. 29

di Nicola Moro

la dedica di enrico deaglio allaredazione de la nuova piazza

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iL segReTO deLLAsCRiTTURA

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ALessANdRO FiOReLLAe iL TeATRO:TRAdiziONe CLAssiCAe iNNOvAziONe

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BAskeT OsTUNi:LA MUsiCA èFiNiTA

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sANiTà iN pUgLiA:di cosa parliamo?

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di Francesco Colizzi

di Domenico Zurlo

di Marcello Carrozzo

di Cosimo Laneve

LANUOVAPIAZZAluglio/agosto 2012

La cattiva politicaFarsi eleggere e credere di poter dar con-to al proprio elettorato solo la prossima volta.Amministrare dimenticando il program-ma elettorale e andare avanti giorno per giorno, cercando di accontentare gli ami-ci e gli amici degli amici.Non avere un programma e chiedere a qualche fesso di farne uno, pur di dimo-strare che si cerca voti sulla base di un programma.Utilizzare i soldi dello Stato o della Co-munità Europea per realizzare delle opere che non verranno mai utilizzate secondo i progetti iniziali.Pensare di poter usare il proprio potere per sistemare prima di tutto le proprie cose.Non avvertire il dolore degli scempi che vengono compiuti sul territorio e giusti-ficare tutto e tutti, pur di non prendere posizione e non crearsi nemici.Non indignarsi quando non vengono rispettate regole e direttive emanate dall’Amministrazione Pubblica, anche quando queste sembrano sbagliate.

La Buona PoliticaSapere che le Elezioni sono una cosa importante della Democrazia, ma che il confronto con gli elettori si deve alimen-tare ogni giorno con la discussione.Considerare il proprio Partito uno stru-mento di confronto e di verifica delle proprie idee e non una semplice sigla da usare alle prossime elezioni.Avere una idea di quello che si vuol fare e verificare che ogni decisione sia in linea con quella idea.Amare la propria città e non tollerare tut-to ciò che la può offendere e sfruttare.Costruire una importante Istituzione cul-turale, come un Museo, ed affidarla alle mani sapienti di chi ha competenze e programmi.Indignarsi quando qualche collega am-ministratore mette la città sotto i piedi e dimostri ignoranza e qualunquismo.Indignarsi al punto tale da dire: “o Tu o Io”.Ambire sempre al meglio e non accon-tentarsi delle cose facili ma inutili.

GIALLOBLU

pAROLeiNpiAzzA

Lunedì 16.07.2012Al via la XVI edizione di “Un’Emozione Chiamata Libro”. Kermesse letteraria che vedrà protagonista nel Chiostro San Francesco diversi autori italiani. Si comincia con Federico Rampini. Seguiranno Dandini, Pivetti e Carofiglio.

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direttore responsabile

Nicola [email protected]

fotografia

Marcello Carrozzo - PhotoeditorDaniela CardoneMarta Tomaselli

progetto grafico

Sandro Bagnulo - Factory18 Studio

stampa

LocopressVia A. Montagna - Zona Ind. 72023 MESAGNE (BR) - Italywww.locopress.it

hanno collaborato:Guglielmo Cozzolino, Enzo Farina, Franco Colizzi, Gianfranco Ciola, Valerio Carrozzo, Ennio Vergati, Bruno Marchi, Cosimo Laneve, Rosaria Gasparro, Ass. Graphein, Laboratorio: “scrivere a Ceglie”, Domenico Zurlo, Emilio Guagliani, Mangano Maria Franca, CTO Ostuni, Giusy Santomanco.

seguici su:

www.lanuovapiazza.com

Ringraziamo il Prof. Oronzo SadiKper la sua preziosa collaborazione.

La Nuova Piazza è un free press per scelta. Perché la Cultura deve essere di tutti. A 0 €.

“sono morti per noi e abbiamo un grosso debi-to verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamen-te, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal siste-ma mafioso anche i benefici che potremmo trarre (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavo-ro); collaborando con la giustizia, testimoniando i valori in cui crediamo, anche nelle aule di giustizia: accettando in pieno questa gravosa e bellissima eredità”. Paolo Borsellino in ricordo di Giovanni Falcone.

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iL viAggiO diviNCeNzO: “deLLAMUsiCA NON pOssOFARe A MeNO”

A Te peR TU CONMARTiNA CARpANi

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di Giuseppe Moro

di Bruno Marchi

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LANUOVAPIAZZAluglio/agosto 2012

QUOTA SOSTENITORE 25 €QUOTA BENEMERITO 50 €

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di Francesco Colizzifoto di Marcello Carrozzo

LANUOVAPIAZZA

sanità in puglia

sANiTà iN pUgLiA:di cosa parliamo?

La salute è una componente fondamentale del nostro sta-re al mondo. Se diventa più insicura, meno protetta, più a rischio, va ad alimentare quel senso di precarietà che è diventato una dimensione pregnante, non solo economica ma anche relazionale, per gran parte delle nostre popola-zioni. Per questo LNP ritiene indispensabile sviluppare una discussione pubblica non gridata sul significato di fondo delle attuali politiche sanitarie in Puglia, sottraendosi a ste-rili o, peggio, dannose polemiche non sorrette da analisi attente e da visioni più complessive. 1.Il cambiamento delle funzioni degli ospedali.Negli ultimi trenta anni, l’ospedale si è trovato ad affron-tare un grande cambiamento della domanda di salute (la transizione epidemiologica), l’impatto crescente dei pro-blemi di salute cronici delle persone in età avanzata e lo sviluppo continuo di cure complesse e tecnologie sofisti-cate a costi crescenti. Da luogo grande e indifferen-ziato di degenza ed assistenza, è passato ad essere una struttura di dimensioni mediamente più piccole e ad elevato contenuto tecnologico e scientifico. In Italia nel 1978, con la legge n. 833 di istituzione del Ser-vizio Sanitario Nazionale, vi erano 1158 ospedali pubbli-ci, con 485.578 posti letto, e 713 ospedali privati, con 78.925 posti letto. Nel 2007 il numero degli ospedali pubblici si è quasi dimezzato, essendo diventati 651, con 190.176 posti letto, mentre quelli privati sono rimasti

quasi costanti, cioè 614 con 72.006 posti letto. L’effetto più eclatante è stato il passaggio del rapporto ospe-daliero pubblico-privato da 2 a 1 a 1 a 1. Inoltre, la media di posti letto per ospedale è passata da 419 a 292 nel pubblico e da 111 a 117 nel privato, con un aumento relativo delle alte specialità rispetto alle specialità di base (chirurgia generale, medicina generale, ortopedia e trau-matologia, ostetricia, pediatria).Tutti questi cambiamenti quantitativi non hanno ridotto la qualità del sistema, visto che esso è rite-nuto a livello internazionale uno dei migliori e che il livello di soddisfazione dei cittadini per l’assistenza ricevu-ta in caso di ricovero, per i tempi di attesa e per l’equità di accesso risulta nettamente positivo, nonostante i casi clamorosi di malpractice riportati dai media e le rilevan-ti differenze territoriali, correlate a carenze organizzative croniche e a dislivelli di qualità delle prestazioni erogate. Anche in Italia, come in tutta Europa, si è ridimensionata la rete ospedaliera e si sono ridotti i tempi di degenza media, mentre sono aumentati i pazienti trattati, i ri-coveri diurni, le attività ambulatoriali e la comples-sità globale delle attività ospedaliere. Allora, di cosa parliamo quando parliamo di sanità ospedaliera nel nostro dibattito e nelle tristi polemiche di politici ed amministratori locali attorno a questo o quell’ospe-dale, a questo o quel reparto o servizio?Cosa avviene in altre regioni? In Toscana, per esempio,

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vi sono 14 ospedali principali e sono attualmente in fase di realizza-zione 4 moderni ospedali (Apuane con 360 posti letto, Lucca con 410 pl, Pistoia con 400 pl e Prato con 540 pl, in totale 1710 pl), che lavoreranno in rete tra loro per i casi ad alta complessità (per questo il loro insieme si chiama H4); non saranno più previsti i reparti tradizio-nali, ma solo aree funzionali a diversa intensità e complessità di cura. Vi sarà dunque l’area ad alta intensità assistenziale, per le degenze intensive e sub intensive (rianimazione, unità di terapia intensiva co-ronarica, stroke unit…), quella a media intensità, per gli interventi medici, chirurgici e materno-infantili, e quella a bassa intensità, per le necessità dei post-acuti. Vi sarà un tutoraggio specifico per ogni paziente e i suoi bisogni verranno valutati e soddisfatti attraverso un lavoro d’équipe. Per la costruzione di questi ospedali (che comporta anche la viabilità interna e esterna, le tecnologie di trasporto leggero interno, il verde pubblico) la spesa prevista è attorno ai 420 milioni di euro. Siamo insomma vicini alle somme disponibili presso la Regione Puglia ex articolo 20 della legge 67 del 1988, pari a 562 milioni di euro, integrabili da fondi FAS nazionali e da altri fondi europei per gli arredi e le dotazioni tecnologiche. Avere ospedali di tale concezione è l’attuale frontiera su cui attestarsi, non certo pensare che alcuni dei piccoli ospedali esistenti possano essere trasformati in tal senso. E’ dunque da accelerare la scelta, con le rela-tive procedure nazionali e regionali, di costruire i nuovi ospedali di cui si parla da tempo (Andria con 400 pl, Maglie con 400 pl, Taranto con 500 pl e Bari sud con 300 pl o loro equivalenti). 2.Il cambiamento profondo della domanda di salute.La legge 833 del 1978 mirava a realizzare un Servizio Sanitario Nazionale pubblico che garantisse un’assistenza sanitaria uni-versale, per tutti, il finanziamento solidale della spesa tramite la fiscalità generale e l’equità di accesso alle cure e alle presta-zioni, in particolare per le fasce più povere e vulnerabili della popolazione.Questi obiettivi sono stati nel tempo largamente raggiunti, pur con notevoli disparità territoriali. Nel frattempo, però, è mutata grande-mente, e muterà ancora, la domanda di salute degli italiani e dei pu-gliesi. In tutta l’Unione Europea nel 2050 le persone con oltre 65 anni aumenteranno del 70%, quelle oltre gli 80 anni aumenteranno del 170%. Le conseguenze, già visibili oggi, saranno un grande aumento della cronicità, delle condizioni di non autosufficienza, delle patologie croniche degenerative e invalidanti, delle disabilità progressive. Sarà necessario, come lo è già oggi, incrementare e reinventare i servizi territoriali vicino a dove vivono le persone, sul territorio, all’interno di reti di continuità clinico-assistenziale. Per questo i piccoli ospedali, pur risultando da tempo poco efficienti sul piano economico, in carenza di reti territoriali restano importanti per la funzione di presa in carico di persone con patologie croniche. Quando un ospedale è picco-lo? Nella letteratura tecnica e scientifica si ritiene che la dimensione efficiente ed efficace di un ospedale debba essere compresa tra un minimo di 200 e un massimo di 600 posti letto utilizzati. Al di sotto di 200 i costi fissi diventano troppo onerosi, al di sopra di 600 la macchina diventa troppo pesante e poco funzionale da gestire. In Italia si adotta in genere un criterio dimensionale più basso, rite-nendo piccolo un ospedale al di sotto dei 120 posti letto (salvo che per le monospecialità). Nel Sud Italia i ricoveri nei piccoli ospedali sono più frequenti della media nazionale, soprattutto per le persone più svantaggiate, sia per la loro maggiore morbosità, sia per un livello di istruzione più basso, sia per l’età avanzata. Per tali persone sono però ben ipotizzabili percorsi alternativi, extraospedalieri , più adatti ai pazienti e più efficaci nelle risposte. Si tratta di percorsi che richiedono adeguamenti strutturali e vasti programmi di formazione del persona-le che costituiscono, all’inizio, dei costi di investimento maggiori dei risparmi ottenibili a breve. I piccoli ospedali svolgono poi un ruolo utile

nella stabilizzazione dei pazienti nelle urgenze, come copertura della rete di emergenza (pensiamo all’importanza dei pronto soccorsi per le persone più fragili), e dunque la loro soppressione richiederebbe l’attivazione di servizi territoriali funzionanti 24 ore al giorno, capaci di fare un buon triage e di fornire prestazioni di buona qualità (un ruolo centrale dovrebbero averlo i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta associati in gruppi).In definitiva, si tratta di assecondare i processi imposti dal muta-mento demografico ed epidemiologico: ridurre il numero degli ospedali piccoli (vista anche la diminuzione progressiva del numero totale dei ricoveri), attrezzando tutti gli altri (a volte costruendone di nuovi) per rispondere in maniera appropriata a nuove domande di salute, attraverso un personale a più elevata formazione e una of-ferta tecnologica più avanzata (considerato l’aumento dei volumi di attività in rapporto alla crescente complessità delle patologie croni-che); attivare una rete di servizi territoriali che progressivamen-te sappia prendere in carico la crescente cronicità e disabilità all’interno delle nostre popolazioni; facilitare l’accesso alle pre-stazioni diagnostiche e terapeutiche nei distretti sociosanitari (ospedali di comunità, case per la salute, porte uniche di accesso ecc.). 3.I compiti della politica e degli amministratori.Le Regioni del Sud, Puglia compresa, ricevono una quota di ri-parto del Fondo Sanitario Nazionale cronicamente sottostimata. A parità di popolazione, la Puglia riceve qualcosa come 600-700 mi-lioni di euro in meno rispetto ad una Regione del Nord. Dunque occorre trovare altre risorse per finanziare la sanità, ad esempio i fondi strutturali, ma così facendo si rischia di non rispettare il Patto di stabi-lità finanziaria, come è accaduto alla Puglia e per questo ora è obbli-gata ad un Piano di rientro di 450 milioni di euro. Non si tratta di un risparmio una tantum, ma di un obiettivo (la riduzione della spesa) da stabilizzare a medio e lungo termine.Nel 2010 la pressione dei ministeri delle finanze e della sanità è stata molto forte, arrivando ad imporre una negoziazione minima. Così, si sono isolati quattro capitoli su cui intervenire per recuperare le som-me: a) la spesa farmaceutica, che è realmente superiore alla media italiana (troppe ricette); b) l’acquisto di beni e servizi, che richiede la definizione di regole più certe; c) l’area del personale, colpita drasti-camente dal blocco al 100% del turnover, cioè dal divieto di sostitu-ire chi va in pensione fino a tutto il 2013, salvo deroghe speciali per garantire i livelli essenziali di assistenza; d) gli ospedali, il cui numero dovrebbe quasi essere dimezzato, chiudendo o trasformando quelli troppo piccoli o con dati di attività molto bassi. L’impegno più volte ribadito, prima dal prof. Fiore e ora dal dott. Attolini, è quello di re-alizzare un Piano di rientro che, pur rispettando gli obblighi imposti dai ministeri e gli standard di ricovero e dei bacini di specialità, non contraddica le direttrici del Piano regionale della salute approvato nel primo quinquennio del governo Vendola. Lo sforzo messo sinora in atto ha prodotto indubbi successi sul piano finanziario (oggi il deficit è di 120 milioni di euro anziché i 180 previsti) e alcuni cambiamenti significativi sono in corso (riconversioni, telemedicina, progetto Nar-dino), ma il punto essenziale resta la difficoltà, considerate le forti carenze di personale ( a parità di popolazione, abbiamo ad esempio un 27% di personale, cioè circa 20.000 persone, in meno rispetto all’Emilia Romagna), di garantire i Livelli essenziali di assistenza e la sostenibilità futura del sistema sanitario regionale.Per tutto questo, ed altro, occorre che l’assessorato regionale, i diversi livelli del management sanitario e le forze politiche e sindacali discutano con le popolazioni e le aiutino ad acquisire consapevolezza sui processi di fondo, chiarendo loro le direttrici degli interventi e il disegno di prospettiva, difficile da vedere per i cittadini e a volte anche per gli stessi addetti ai lavori.

LANUOVAPIAZZA

sanità in puglia

luglio/agosto 2012

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basket ostuni

“La musica è finita”, cantava Ornella Vanoni negli anni ‘60. E anche per l’Assi basket Ostuni, dopo quasi 30 anni di storia e una infinita scalata di categoria in categoria, qualche giorno fa la musica è finita. E nel peggiore dei modi, mentre già si fantasticava sul nuovo allenatore, su conferme e partenze, su obiettivi e ambizioni. Come un fulmine, a cielo però tutt’altro che sereno.In una afosa mattinata di luglio, il sogno di vedere la Legadue, stavolta nel PalaGentile dopo un anno di ‘esilio’ a a Brindisi, si è schiantato contro l’impossibilità di sostenere per un altro anno i costi di un campionato professionistico probabilmente fuori portata per una città come Ostuni. Fuori portata perché, nonostante ricorsi e colpi di coda dell’ultimo secondo, il tessuto imprenditoriale e il pubblico, presente col contagocce, non hanno essenzialmente compreso fino in fondo l’importanza del traguardo raggiunto. Sfumano così anni e anni di storia piena zeppa di soddisfazioni, dalle partite nei campetti all’aperto fino alla prima promozione in serie C nei primi anni ‘90, dai derby con Martina Franca e Mesagne nel Tensostatico di via Nobile alla scalata, nel nuovo Palasport, dalla serie C1 alla A dilettanti con coach Giovanni Putignano in panchina. E prima di lui Bevilacqua, Cozzoli, Rubino. E tanti giocatori, pugliesi e non, succedutisi negli anni e nelle categorie, tutti innamorati della città e della piazza. Da Dario Montanaro, play trascinatore a metà degli anni ‘90, a Rocco Casalvieri, tiratore mortifero, ai più recenti Sarli e Parisi, Della Corte e Di Santo. E poi i due ‘pelati’, Donato Avenia e Mimmo Morena, protagonisti della promozione del 2008, fino alla scorsa stagione del condottiero Marcelletti, di capitan Rinal-di, del furetto Johnson, del cecchino Jurevicus.Nomi che resteranno nella storia e nei cuori degli ostunesi, che ora sperano solo che il basket nella Città bianca non muoia, a prescindere dall’esi-to di quella che si preannuncia come una lunga battaglia legale. Perché se è vero che quanto è successo può essere una positiva lezione per il futuro, è anche vero che la passione potrebbe fare molta fatica a riaccendersi. Da qualsiasi categoria si riesca a ripartire.

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di Domenico ZurloGiornalista - Leggofoto di Marcello Carrozzo

BAskeT OsTUNi: LA MUsiCA è FiNiTA?

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spending review

Nella spending review del Governo Monti è prevista la cancellazione di Brindisi e Taranto: un’occasione per i “separatisti” di riproporre il loro progetto di marketing. Non solo di tipo territoriale.Esiste a sud-est della Puglia un’altra regione. È sullo stesso asse del Principato di Salerno, separata dalla Calabria del nord dalla sola Ba-silicata. Una realtà pulsante, almeno quanto l’Etruria o la Ciociaria. È l’avveneristica Regione Salento, fantomatica unione tra le province di Lecce, Brindisi e Taranto. Un’idea rilanciata dalla prevista cancellazione delle ultime due nel 2014, almeno secondo la spending review del Governo Monti.

Il fantomatico movimento separatista ha nell’editore Paolo Pagliaro (presidente del gruppo Mixer Media, editore tra gli altri di Telerama e Radio Salento) il suo leader politico. E il progetto, oggi, non è più classificabile come mero folklore. Ha il suo logo, il suo merchandising (allo sfottò calcistico barese “Sono contento senza Salento” si replica con maglie, felpe e tazze con “Salento is not Puglia” o “Bari non è il mio capoluogo”). E persino supporto in Senato, grazie alla sponda di Adriana Poli Bortone.

I presupposti legislativi - Un “Grande Salento” esiste già dal 2007, ma è ben altra cosa. Si tratta di un protocollo d’intesa tra le Provin-ce di Brindisi, Lecce e Taranto, un tavolo permanente tra i presidenti su turismo, agricoltura, infrastrutture e industria nell’area jonica. Un programma, si legge nell’accordo, che è istituzionalmente legato alla Regione Puglia.

All’indomani del varo della spending review, si è invece tornati a tratta-re il tema Regione Salento. Anche nelle più alte istituzioni. La senatrice di Grande Sud Adriana Poli Bortone è autrice di un emendamento al disegno di legge costituzionale che porti alla totale cancellazione delle Province e alla creazione di tre nuove Regioni, tra cui proprio quella

salentina. “Mi auguro di vedere la convergenza di quanti nel tempo hanno inteso sostenere il progetto”, il suo commento. Un passo verso l’Italia a trenta regioni del movimento?

Un’Italia a trenta regioni - Zero Province, trenta Regioni. Del calibro dell’Etruria, della Ciociaria, del Principato di Salerno, così come di Ca-labria, Sicilia e Sardegna divise in due. “Non c’è tempo migliore di questo per aggiustare i torti che il Salento subì nella lontana Assem-blea Costituente. La storia ci sta aiutando” è l’ultima dichiarazione di Paolo Pagliaro. La soluzione separatista per volontà popolare è stata già bocciata dalla Corte costituzionale. Ma questa versione pugliese, appare più un leghismo in salsa meridionale anziché un indipendenti-smo da Paesi Baschi. Gora Salento?

TAgLiO pROviNCe,TORNA di MOdAiL gRANde sALeNTOdi Gianvito RutiglianoGiornalista - go-bari.it

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Fino a qualche anno fa su di una parete del mio studio era affisso un poster che riproduceva gli schizzi preliminari di un progetto eseguito da un grande architetto italiano, Carlo Aymonino. Ciò che rendeva particolare quei disegni era la scritta “progettare è fatica“ che spuntava in un angolo del foglio di lavoro e che terminava con alcune gocce di inchiostro che scendevano verso il basso evocando sangue e sudore.Quella scritta - garantendomi il conforto di difficoltà perlomeno condivise - mi ha sempre sostenuto tutte le volte che, nel mio mestiere, ho faticato a dar corpo e sostanza ad un’idea. Tuttavia, osservando alcune forme che la tradizione costruttiva ha generato in passato, nasce il dubbio che il senso di fatica e smarrimento che oggi, a volte, assale il progettista non toccasse in alcun modo chi produceva archi-tettura in un’epoca segnata da un’economia e da una cultura contadina.La “forza“ comunicativa di un trullo, la sensazione di essenziale bellezza che ci trasmette una lamia, un muro a secco, una vecchia chianca rappresentano la traccia di una “sapienza“ costruttiva le cui radici affondano nella millena-ria storia dei popoli del Mediterraneo. Osservando un trullo e il suo spazio attorno, sembra quasi di leggere la storia di chi lo ha costruito: un terreno

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attualità

aspro, pazientemente ripulito dalle pietre che venivano accatastate in un angolo e successivamente riutilizzate, prevalentemente a secco, a segnare non solo il fabbri-cato con i suoi coni, ma anche i confini del fondo, i muri di contenimento, i terrazzamenti, i recinti per le bestie, il piazzale lastricato, i canali di convogliamento per l’ac-qua piovana, l’imboccatura del pozzo, il forno esterno, le pesantissime pile. L ‘essenzialità delle tecniche e dei materiali reperibili hanno generato un’architettura che sembra essere una concrezione naturale, frutto di spon-tanee sedimentazioni di materia, o, più semplicemente, un’architettura avente la stessa consistenza, gli stessi colori e odori della natura circostante. E da quello stesso mondo contadino sono giunti fino a noi le testimonianze di organismi più complessi che, pure, hanno mantenuto intatti gli stessi caratteri di for-me rigorose, radicate nella terra e nel lavoro della ter-ra. Una masseria o un antico centro urbano sono, agli occhi d i un visitatore attento, un esempio limpidissimo di come il disegno delle linee architettoniche abbia ob-bedito ai bisogni dell’uomo, a tracciare i luoghi dell’abi-tare e quelli del lavoro, gli spazi del riposo e quelli della preghiera. Prima, gli uomini sapevano sempre come fare una casa o un muro, non vi erano problemi di scelta: la tecnica ed i materiali erano gli stessi da generazioni e non vi era alcun motivo che potesse giustificare un cambiamento. I muri, le coperture, le finestre, le case si facevano così, funzionavano così. Questo insieme di idee e di compe-tenze definiva quella che i sociologi e gli antropologi chiamano identità culturale di un popolo. Noi siamo venuti dopo. E abbiamo vissuto e stiamo vivendo un’epoca in cui le identità dei popoli tendono a scomparire rapidamente, confuse e contaminate in questo mondo “liquido“ dove tutto scorre, lasciando tracce evanescenti di mode temporanee destinate ben presto a confondersi nello sconfinato universo di segni e linguaggi disarticolati e chiassosi. Altrove, le comunità hanno offerto resistenza alle tra-sformazioni indotte dalla cultura globalizzata. Da noi, purtroppo, non è andata così: ci siamo arresi subito al mito della seconda casa e alle lusinghe dello sfrutta-mento turistico. Il paesaggio delle nostre campagne mostra gli effetti di una mutazione genetica che ha in-vestito tutto e tutti vanificando una tradizione costrutti-va fatta di rigore, di conoscenze, di buon senso. Da qui il senso di frustrazione del progettista, privo di punti di riferimento, autorizzato a muoversi tra infinite possibi-lità nella scelta delle forme, dei materiali, delle finiture. E il risultato è che qualsiasi scelta appare arbitraria, sia essa stata adottata da un progettista sprovveduto o che sia opera di un professionista accorto. Ostuni ha davanti nei prossimi mesi scelte importanti in campo urbanistico e sarebbe auspicabile che, tra le linee direttrici dello sviluppo futuro, la città potesse av-viare una serie di interventi finalizzati alla conservazione rigorosa di ciò che rimane di un patrimonio fatto di antiche pietre e sapienza antica.La crisi d’identità culturale è faccenda seria e ipotizzare un piano per la sopravvivenza dei caratteri distintivi di un popolo è un progetto ambizioso, ma doveroso. Anche se – e lo sappiamo bene - progettare è fatica.

LO sMARRiMeNTOdeL pROgeTTisTAdi Guglielmo Cozzolino

foto di Marcello Carrozzo

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LANUOVAPIAZZA

attualità

di Enza Rodio - Italia Nostrafoto di Marcello Carrozzo

Sembra la panacea, la luce, la soluzione di tutti i mali. Una classe governativa che grazie all’ap-poggio di una editoria stanca e disattenta, riesce ad invertire il senso delle cose. Invece di parlare di un deprecabile insuccesso, che ha visto negli ultimi anni il fallimento di numerose iniziative imprenditoriali, ovvero l’evidente e ormai defi-nitivo rallentamento della crescita, ovvero an-cora evidenti segni di involuzione dello sviluppo economico. Invece di suonare il de-profundis, si inneggia alla vittoria: abbiamo sconfitto la BU-ROCRAZIA, come fosse un alieno estraneo al nostro mondo. Quello che si avverte, ancor più in periodo di crisi, è l’apoteosi dell’idiozia. Non basta esserne consapevoli del problema, per af-frontarlo e risolverlo, abbiamo bisogno, anche in punto di morte, di leggi, decreti attuativi, tavoli di concertazione. Come se il mondo di là fuori, quello che abbiamo tutti sotto gli occhi, capace di bruciare miliardi di euro di ricchezza prodot-ta in un solo giorno di contrattazioni borsistiche, possa aspettare i tempi di tutto questo. Il dramma sta nell’incapacità di chi governa processi com-plessi di questo tipo, assolutamente ignaro delle dinamiche che stanno alle fondamenta del nostro sistema economico, sistema in grado di autoali-mentarsi solo se capace di produrre NUOVA RIC-CHEZZA. Quello degli imprenditori non è più un allarme, è un grido di dolore che merita il dovuto ascolto da parte di chi è deputato ad interveni-re. Per l’avvio di uno stabilimento industriale, lì ove presenti i Consorzi per la gestione delle zone Industriali, grazie ad una inevitabile duplicazione di competenze, per l’ottenimento di un permesso di costruire e delle autorizzazioni annesse sono necessari 6/8 mesi (dati NIELSEN), la British Gas, solo per fare un esempio, dopo anni di incredibi-le avvitamento burocratico ha deciso di mollare e con lei le speranze di un intero territorio. È per questo che si inneggia. Piuttosto che intervenire

con forza e determinazione, in Puglia si discute ancora oggi su come procedere per il riconosci-mento delle Zone a Burocrazia Zero. La legge è del 2007, normativa grazie alla quale tre comuni pugliesi, Lecce – Andria – Trani, hanno ottenuto il riconoscimento di Zona Franca Urbana, istituto considerato l’antesignano delle Zone a Burocrazia Zero. È bene chiedersi: e perché no Ostuni, Brin-disi, Mesagne, ovvero perché non si è proceduto per l’intero territorio nazionale, o ancora perché mai dei 15 milioni di euro, non uno ne è arriva-to nelle casse delle amministrazioni pugliesi. E che non si risponda lo sapevamo. L’obbligo per un’amministrazione comunale rimane comunque quello di facilitatore dei processi di crescita della ricchezza interna, di crescita del valore territoria-le. Non contenti del primo fallimento, disattesa la programmazione delle Zone Franche Urbane, rieccoci con un nuovo acronimo ZBZ. Vantaggi sulla carta straordinari: i procedimenti ammini-strativi per la concessione di autorizzazioni ad aprire un’attività, saranno adottati in via esclusiva dall’ufficio locale del Governo, cioè la Prefettura; i provvedimenti, inoltre, recita la legge, devono essere adottati entro 30 giorni e, se il provvedi-mento non è adottato entro tale termine, si inten-de concluso positivamente; a questo di aggiun-gerà una fiscalità di vantaggio. All’appello della Regione solo pochissime amministrazioni hanno risposto, evidentemente più attente, nella scorsa primavera, ai mal di pancia elettorali, che alla so-pravvivenza dei territori amministrati. Inneggia-mo, inneggiamo pure alla definitiva sconfitta di tutto l’impianto amministrativo locale. Abbiamo ormai bisogno del Prefetto per rilasciare una sem-plicissima autorizzazione a PRODURRE RICCHEZ-ZA. La classe produttiva è stanca, il sistema capi-talistico piegato su se stesso, ed i risultati sono lì, sotto gli occhi di tutti. ADESSO BASTA

zBzzONe A BUROCRAziA zeROdi Michele Carrierofoto di Marcello Carrozzo

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Ostuni, la conosce anche da turista, ma secondo la sua pro-fessione – Destination Manager - che idea si è fatto? Questo territorio ha delle potenzialità ancora inespresse?È una domanda difficile. Questo è un territorio che ha tante poten-zialità. Ma manca una visione d’insieme. Fino adesso il turismo di questo territorio ha sfruttato la materia prima, affinché il turismo di-venti un’attività continuativa di nove dieci mesi l’anno è necessario un passaggio in più: passare dal territorio al prodotto-destinazione. Questo è un territorio che sicuramente con le diverse cose che ha, dai luoghi attrattivi ai servizi degli operatori, deve darsi una visione. È un territorio bello, da girare per tre quattro giorni, ma forse una volta fatto non torneresti più. Qualche esempio?Questo è un territorio dove si può sviluppare un ciclo turismo, ma anche quello del sentierismo, quello enogastronomico, sportivo. Ci sono molte possibilità, ma vanno ovviamente organizzate e promos-se come tali. Attraverso la tecnica della promozione.Quindi Ostuni manca di visione?L’elemento che ti differenzia rispetto ad un altro territorio è l’auten-ticità del territorio, serve un messaggio chiaro ed univoco da mette-re sul mercato. Ma vi deve essere una logica di sistema. Ci sono degli elementi positivi, che fanno ben sperare?C’è una volontà forte degli operatori di cambiare. Loro sono a con-tatto con i mercati. Ma vi è anche una preoccupazione in loro, il fe-nomeno Puglia e anche il Salento, se non lo alimenti e non dai inno-vazione prima o poi finisce. E poi ho notato uno scollegamento tra operatori e amministratori di enti locali. E, questo è preoccupante.

Chi è Josep Ejarque?Professionista in Destination Management e Marketing, in po-litiche turistiche, sviluppo territoriale e gestione d’impresa, si occupa di pianificazione strategica, organizzazione e gestione così come di strategie di marketing e promocommercializzazio-ne, di creazione di servizi e prodotti turistici e di gestione della destinazione turistica per l’impresa privata e per enti pubblici.Presidente e Amministratore Delegato di Four Tourism S.r.l., si occupa di consulenza strategica ed operativa nel management e marketing per le destinazioni turistiche, nazioni, città e terri-tori regionali.Laureato in Scienze della comunicazione e diplomato in Marke-ting, ha conseguito il dottorato (Ph.D) in Scienze Economiche e dell’Impresa. Fino al 1995 è stato responsabile Marketing e Comunicazione dell’Ente del Turismo della Catalogna e Bar-cellona e ha partecipato all’organizzazione e promozione delle Olimpiadi del 1992.Nel 1999, è stato chiamato a dirigere Turismo Torino, dove ha

contribuito alla conversione turistica della città in occasione dei XX Giochi Invernali di Torino 2006.Dagli inizi del 2006 e fino al 2008 è stato Direttore Generale dell’Agenzia Turismo Friuli Venezia Giulia.Nel settembre 2008 è stato nominato presidente di AIPMT (Associazione Italiana Professionisti e Manager del Turismo).Collabora da 15 anni con le università italiane, spagnole e co-lombiane come professore in corsi di formazione aziendale e specializzazione, Post Laurea e Master sui temi del tourism e destination management, della gestione delle imprese turisti-che, del turismo incoming, del marketing turistico e della pia-nificazione strategica.Dal 2009 è membro di The Tourism Society (www.tourismso-ciety.org).Autore di diversi libri sul destination marketing e la promocom-mercializzazione; l’ultimo, pubblicato da Hoepli nell’ottobre 2009, “Destination Marketing. La nuova frontiera della promo-commercializzazione”.

OsTUNi visTAdAgLi ALTRi:iNCONTRO CONJOsep eJARqUe

Una buona pratica che lei conosce?Matera ha avuto un grande successo, per il film di M. Gibson, ma dietro c’è già un progetto, c’è un’idea chiara, c’è una visione com-plessiva. Una primissima cosa che farebbe se le proponessero di fare il Destination Manager di questa città.Per il turista non è un problema il costo del volo o del transfert, ma il vero il problema è: cosa gli vendiamo. Qui si produce l’olio. Esiste ad esempio la possibilità per il turista di farsi il proprio olio? Quanto costa portare un gruppo di turisti ad un frantoio? Si parta dalle cose del territorio.

di Giuseppe Morofoto di Marcello Carrozzo

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Dal 3 al 5 giugno scorso a Carbonia in Sardegna si è tenuto il Forum del Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa organizzato dal Consiglio d’Europa e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali MIBAC nell’ambito dell’undicesimo Meeting del Consiglio d’Europa per mettere in atto la Conven-zione Europea del Paesaggio.La particolare rilevanza dell’evento ha visto la partecipazione di tante rappresentanze internazionali che hanno sottoscritto la Convenzione europea del paesaggio. Durante le due giornate di lavoro sono stati organizzati tavoli di lavoro per consentire il confronto tra gli enti che hanno partecipato alla selezione italiana del Premio del Paesaggio e che hanno potuto condividere obbiettivi e raffron-tare esperienze comuni.Il Parco delle Dune Costiere e il Comune di Ostuni hanno partecipato ai tavoli di confronto presen-tando con l’ausilio di immagini le attività svolte in questi anni per la tutela del paesaggio agrario e naturale compreso nel comprensorio dell’area naturale protetta realizzate attraverso un percorso di condivisione con le comunità locali. Proprio il processo di partecipazione intessuto in questi anni con le scuole, le associazioni, gli operatori agricoli e turistici del comprensorio del Parco, ha permes-so all’Ente Parco e al Comune di Ostuni di essere inseriti tra i primi 10 progetti selezionati in Italia nell’ambito della scorsa edizione del Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa. A rappresentare il Parco Regionale delle Dune Costiere il Presidente prof.ssa Giulia Anglani e il Diret-tore dell’area naturale protetta Dr. Agr. Gianfranco Ciola, l’architetto Francesco Maiorano dello staff del Piano del Parco che è attualmente in fase di redazione insieme al funzionario del Settore Ecologia del Comune di Ostuni ing. Federico Ciraci.Gli incontri di Carbonia sono stati utili per comprendere quali saranno i criteri di selezione delle can-didature in vista della nuova edizione del Premio 2012-2013.

iL pARCO deLLe dUNeA CARBONiA peR iL pReMiOpAesAggiO deL CONsigLiOd’eUROpAdi Gianfranco Ciola

turismo

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Hai concepito e realizzato un’idea di teatralità del tutto originale, in cosa, tuttavia, convenzionale?Strutturalmente sperimentali e poco canonici, in realtà i lavori della mia compagnia attingono temi, segni e valori dalla tradizio-ne classica del dramma antico e dalle radici storico-antropologi-che delle narrazioni sociali di ogni tempo.

Quanto questo influisce sulla costruzione scenica?L’aspetto scenografico riproduce l’essenzialità e la multifunziona-lità dell’oggetto scenico, propria del teatro antico; l’aspetto an-tropologico riprende tutta la semantica dell’azione scenica: l’uso rituale della maschera (è in cuoio, con un risultato molto forte,

alessandro Fiorella, fondatore dell’associazione culturale “la casa di pietra”, regista e attore, è da anni impegnato in iniziative di ricerca espressiva e comunicazione teatrale. orfeo e il labirinto. visioni riflesse di un Minotauro i titoli dei suoi ultimi lavori.

Marcello Carrozzo / ritratti

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la sua creazione è lunga e laboriosa, artigianale); il topos della casa, il topos della nave – viaggio, il rito dell’abluzione (nave, abluzione, casa: nel Labirinto, la nave è vasca di abluzione e di-venta casa – trono di Asterione); la catabasi, l’arrivo – fondazione – rinascita (“C’era e non c’era… nella terra del non dove, nel luogo che non ha luogo”: cita così l’esordio di Fra le nostre ali di Ariane Baghaï, l’etnodramma rappresentato lo scorso anno con l’Officina del Sole).Originaria è anche la semantica del canto e della musica: ritmi e moduli basici, canti della tradizione popolare, integrazione e cor-relazione scenica: ne costituiscono esempio le musiche scritte da Vincenzo Abbracciante per l’ultimo lavoro della Compagnia Il La-birinto. Visioni riflesse di un Minotauro, prodotto dal Museo del-le Civiltà Preclassiche della Murgia Meridionale. Vince crea una sorgente sonora che non consente alcuna permanenza duratura, serbando un attaccamento smisurato nei confronti dell’inaspet-tato. Fa strada ai personaggi imprigionati in un intricato labirinto, spaziando attraverso i linguaggi musicali più disparati, tra esclusi-ve rielaborazioni e slanci innovativi.

ALessANdRO FiOReLLA e iL TeATRO:TRAdiziONe CLAssiCAe iNNOvAziONe

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ritratti

Teatro – Narrazione – Immaginazione: in che rapporto sono per te e come li esprimi?La storia è la base: la teatralità riduce, amplifica, dilata, sposta, invoca atti immaginativi di chi si esprime sul palcoscenico e di chi guarda in platea, non solo come giudice critico, ma in modo partecipe e coinvolto. La parola non dice e non può dire tutto: c’è la magia dell’atmosfera, la semplicità del gesto, la purezza delsilenzio, la multiformità dell’oggetto; che non è rappresentabile, come avviene nel cinema, ma che si crea nell’istante del qui e ora ed è difficilmente riproducibile nella stessa forma. Per taluni artisti questo aspetto instabile dell’immagine teatrale è una nota dolente, per me è un punto di forza; un’occasione incredibile dirinnovamento della costruzione scenica e uno stimolo inesauribi-le per attori e regista.

Attività teatrale e società: quali spazi si aprono?Abbiamo lavorato nelle case – famiglia, a Parma con i “Beati costruttori di pace” di Sarajevo, nelle case di riposo, in progetti di riabilitazione dei soggetti a rischio, perché forte è la necessità di vascolarizzare teatralmente il tessuto sociale in termini globali e non settari.Non ultima, la scuola. Occasione di sperimentazione quotidia-na, osservatorio permanente dei codici percettivi e comunicativi, cuore pulsante delle dinamiche cognitive non sempre risolte nella pratica del compito e dell’esecuzione, terreno di esercizio della espressione autonoma e della creazione personale. Il lavoro con i ragazzi non è molto diverso dal lavoro in Compagnia: il margine di educabilità è corrisposto pienamente dal loro potenziale crea-tivo, in termini di espressione, ma anche di interiorizzazione e di crescita personale e collettiva. È un percorso di ricerca, scoperta, confronto dialogico e costruzione fisica che opera su atti, regole e libere espressioni.Il gruppo del laboratorio teatrale del “Liceo Calamo” è molto numeroso e sprigiona tanta energia: difficile lavorarvi, ma grazie alla sensibilità della Dirigente scolastica, la Prof.ssa Annunziata Ferrara e a un gruppo di progetto agguerrito e preparato, co-stituito dalle prof.sse Isabella Ayroldi, Mariella Cupertino e An-tonellaAyroldi, molte difficoltà si dissolvono.

Quali spazi vengono a mancare a Ostuni?Il nome della Compagnia, La Casa di Pietra, esplicita il mio lega-me con questa terra, che ho scelto per amore, un amore a prima vista. Bisognava poi trovare spazio e luoghi fisici per “creare”.Spazio significa il vuoto che un artista attraversa, lasciandolo pie-no di contenuti, la scena vuota è un meraviglioso dono per l’at-tore. Ma la mancanza di un teatro, di un’officina dove forgiare l’opera con strumenti idonei e congegni permanenti alla lunga logora l’atteggiamento disincantato più temerario.Se uno dei nostri sensi subisce una mutilazione, gli altri si tem-perano e si affinano, quindi continuiamo a fare i giocolieri qua e là, in equilibrio sulla corda, sognando una rete di protezione che solo un tendone da circo ti può dare.

Ti definiresti un visionario?La maggior parte di noi dorme un sonno profondo. Certamente mi considero un visionario nella consapevolezza del padroneg-giare un inviolabile diritto di “sognare il sogno”. Durante un sogno lucido, si può controllare meglio lo scenario del gioco e questo vale anche per il teatro.

Sei sganciato da condizionamenti esterni nelle scelte tema-tiche e stilistiche. In breve ti senti libero di creare?Non mi so vedere nella parte del bruco. Per dirla con Ovidio, vivo intensamente la successiva metamorfosi.

Il tuo percorso formativo verso chi è in debito?Sono nato in una famiglia dove si respirava costantemente il tea-tro e il coro. Mio padre mi ha insegnatol’equilibrio, elemento sostanziale, assolutamente necessario in un mondo dove continuamente vieni affascinato dal binomio “ge-nio e sregolatezza”. Da mia madre ho imparato l’arte del servizio disinteressato e il coraggio di vivere la vita con semplicità.Fondamentali la scuola di Carmelo Bene, dal punto di vista tea-trale; dal punto di vista coreutico Nikolais; musicalmente, Mirko Lodedo e i Solis String Quartet . Per Pierangelo Colucci e Antonio Asciano (detto “lu Marenare”) c’è da fare un discorso a parte. Troppe persone hanno usufruito gratuitamente degli insegna-mentidi questi due grandi guide che hanno contribuito a far nascere una intera generazione di giovani artisti per poi essere cortese-mente riposti nel dimenticatoio o addirittura sconfessati al primo canto del gallo. Anche se tali grandi maestri esecrano qualsiasi riconoscimento, io mi dissocio e grido a gran voce: grazie Pieran-gelo!!... Grazie Tonì…Cicchi rrichì!!!.

Vuoi fare qualche altro “j’ accuse”?Chi ci governa deve essere lungimirante e avere una altissima considerazione delle arti in genere che avvicinano le genti anche perché nel teatro “magicamente il mondo appare”.Ma le formiche non hanno mai visto le stelle e nel paradigma di una talpa cieca non esiste il concetto naturale del “mostrarsi”, esiste quello conclamato e becero del mettersi in mostra.

Con quali idee preconcette pensi di scontrarti con il tuo modo di fare teatro?La mia azione di denuncia va a svantaggio di una scuola di pen-siero tipo: Dio è un’entità di genere maschile che vive in un luogo chiamato cielo; tutti gli stranieri sono pericolosi; il buio è un luo-go che fa paura; certe malattie non si possono curare; chi vince prende tutto; e chi è forte e bello detta legge.

Chi sono i tuoi “compagni d’avventura”?Condivido la mia esperienza professionale con un gruppo di atto-ri di straordinaria competenza artistica: Carmela Cariulo, Antonio Aguila, Rosa Cariulo e Adriano Basile. Si tratta di artisti eclettici, a tutto tondo, con capacità espressive che declinano sul piano recitativo, coreutico e canoro.Antonio Aguila è stato primo ballerino al “Ballet Nacional de Cuba”. Carmela Cariulo ha vinto il premio della critica come mi-glior attrice e interprete femminile al festival di Babilonia. Rosa Cariulo ha danzato accanto a Luciana Savignano, che l’ha defini-ta “danzatrice dal gesto sinuoso e raffinato”. Adriano Basile halavorato nell’Amleto con Carlo Formigoni, una figura storica del teatro di ricerca.

Credi nell’ universalità del linguaggio teatrale come veicolo di comunicazione?La forza del dramma porta alla ribalta il cuore pulsante della com-pagnia, ma non di meno incontra la vitalità del pubblico. Dun-que, assolutamente preziosa la finale reductio ad unum, che è naturale che avvenga, perché l’Universo del Teatro è infinito, ma nel percorso teatrale si va verso l’Uno: è un microcosmo che si fa macrocosmo. Ed è lì che l’incantesimo si compie con tanto di fuochi d’artificio che abbattono la “quarta parete”, quel sottile diaframma che separa il pubblico dall’attore. E lo spazio incredi-bilmente si apre per esperire una nuova avventura metateatrale. Ci vediamo a teatro….Espavo!

ritratti

LANUOVAPIAZZAluglio/agosto 2012

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INDIA: negli slum di Mumbai vivono 9 milioni di persone in condizioni di assoluta precarietà

Marcello Carrozzo / foto dal mondo

foto dal mondo

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eventi e cultura

di Cosimo Lanevefoto di Marcello Carrozzo

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Scrivere è passione disinteressata, estranea ad ogni ambizione letteraria, quanto meno nella fase in cui si comincia a scrivere per sé. Ha molte cose da dirci più di quanto comunemente si crede. è accaduto che non ce ne abbiano spiegato i benefici, a tempo debito. A scuola. é la chiave giusta per sopportare tutte le altre vite usuali, che espelliamo per reggere alla fatica, all’incalzare delle infinite inutilità che il quotidiano e non solo ci chiede di vivere senza entusiasmo. è un modo eccezionale per tenere desta l’intelligenza. Sa sfuggire alle leggi dell’utilità immediata, dagli obblighi e dai rituali sociali più superficiali. Se è tale, è capace di aiutarci a scacciare le insicurezze che sui banchi ci coglievano, nel mentre ce la insegnavano mala-mente. Torturati da compiti tediosi che mortificavano ogni slancio sul nascere. Ma al di là di tante afflizioni scolastiche, chi coltiva il pensiero, chi vuole ricordare e non consegnare all’oblio, la cerca. I ricordi esigono dedizione, lentezza, silenzio, abbandono al fluire delle emozioni. Chi scrive ha il culto del passato. Certo, la scrittura chiede di essere coltivata con devozione, con disciplina, per offrirci quello ci è dato scoprire soltanto facendone uso. Scrittura per diletto, dunque, ma anche per significare. Il sé, l’altro, il mondo. Mai prima. Maria Zambrano avverte: «Il segreto si rivela allo scrittore mentre lo scrive, non quando lo pronuncia». La parola è in molte circostanze inadeguata; non facilita la scoperta di verità nascoste. La scrittura talora o quasi sempre sì.Il desiderio di scrivere una volta soddisfatto, ne accende altri.

PROGRAMMA

giovedì 19 luglio ore 17,30-19,30Castello DucaleCosimo LaneveLinda Cassibba

mercoledì 22 agosto ore 17,30-19,30lo JazzoPaolo Giordano

giovedì 30 agosto ore 17,00-19,00Antimo - Casina TerramoraDaniele GiancaneGabriella Aleandri

giovedì 6 settembre ore 17,00-19,00Casa CilonaAnna SantoliquidoMariano Francesco Bubbico

giovedì 13 settembre ore 17,00-19,00Castello DucaleRosy Strollo

venerdì 14 settembre ore 17,00-19,00Castello DucaleMaura Striano

18-21 settembre ore 17,00-19,00Casina VitaleDomenico Starnone

giovedì 27 settembre ore 17,00-19,00Casina VitaleDuccio Demetrio

venerdì 20 luglio ore 17,30-19,30Antimo - Casina TerramoraRaffaele Nigro

giovedì 26 e venerdì 27 luglioore 17,30-19,30lo JazzoEmanuela Mancino

giovedì 2 e venerdì 3 agostoore 17,30-19,30lo JazzoMarco Dallari

giovedì 09 agosto ore 17,30-19,30EntroterraCosimo Argentina

giovedì 23 e venerdì 24 agostoore 17,30-19,30EntroterraAngela Chiantera

venerdì 10 agosto ore 17,30-19,30lo JazzoEmanuela Delle Grottaglie

Il programma potrebbe subire dellevariazioni che saranno comunicate.

Scrivere di nottevenerdì 3 agosto dal tramonto all’albalo Jazzoa cura di Rosaria Gasparro(la partecipazione va comunicataentro venerdì 20 luglio)Letture d’autorea cura di Nicola ZucchiGiuseppe Ciciriello

Il 16 giugno è stata presentata la Scuola Estiva di Scrittura: “Scrivere a Ceglie”.L’avventura della parola e della conoscenza sostenuta dal Comune di Ceglie Messapica e patrocinata dalla Provincia di Brindisi, dall’assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia. È il quinto anno di un’esperienza vissuta nella ridente campagna di Ceglie Messapica, arredata dai sontuosi olivi e resa accogliente dai bianchi trulli. La scuola estiva, elaborata da Graphein, Società di Pedagogia eDidattica della Scrittura, avvia un più vasto progetto, quello della Scuola Diffusa di Scrittura in altre città italiane: da Napoli a Bari, da Bologna a Roma, da Verona a Milano, che si svolgerà nel 2012-2013.Gli obiettivi del laboratorio sono: 1) la scrittura come veicolo imprescindibile di ogni sapere, e perciò assume un valore educativo, etico, intellettuale nel corso della vita; pochissime sono, infatti, le cose di cui non si possa scrivere e che la scrittura non arricchisca. 2) Le sfide della scrittura a chi la sfida? Nella società contemporanea non si rac-coglie e incentiva a sufficienza il ruolo pedagogico che la scrittura assolve agli effetti della maturazione, non solo di abilità e competenze, bensì di attitudini civili, solidali, culturali più responsabili. Le tecnologie digitali, se per un verso mettono in discussione tutta una cultura dell’educazione, per un altro offrono un contributo importante alla democratizzazione e alla liberalizzazione del ricorso allo scrivere. 3) Controtendenze da incoraggiare: desiderio di scrivere e cultura della scrittura. Si assiste ad un ritorno alla scrittura per ragioni soprattutto private, che si tratta di stimolare ed orientare ben oltre ogni deriva intimistica o narcisistica. La scrittura di sé, infatti, tende comunque a svelare ad altri la sua solitaria ricerca. Una nuova sensibilità per la scrittura, non più soltanto funzionalistica, va diffondendosi anche grazie ai media, che mettono a contatto con il “lavoro e il prodotto dello scrivere” soggetti di ogni età, un tempo esclusi da tale risorsa. 4) Lettura e scrittura: complementarità e disequilibri. L’attività dello scrivere soffre da sempre di uno squilibrio quantitativo evidente, nell’insieme della società, rispetto alla più diffusa utilizzazione “passiva” del libro e di ogni altro testo. Al contempo, poi, alla fatica di scrivere si accompagna sempre più anche una disaffezione ad una lettura attiva, entrambe esito di una didattica che ha rinunciato ad interessarsi alle pratiche della scrittura del mondo giovanile, originali e divergenti; in nome del nozionismo e dell’efficienza, si contribuisce così ad impoverire idioletti già scarni.

Di seguito vi invitiamo a leggere il contributo che ha scritto per noi il Prof. Cosimo Laneve, ordinario di didattica e Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bari, vicepresidente di Graphein, la Società di Pedagogia e Didattica della Scrittura.

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iL segReTO deLLA sCRiTTURALNp AdeRisCe AL LABORATORiO “sCRiveRe A CegLie”

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di Emilio Guagliani

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Ronzino passeggiava nervosamente nella sala mentre dall’altra stanza arrivavano i gemiti di Filumena che con cummà Cuncetta e la “mammara” era in travaglio.

Il parlottare e le grida si fecero più alti sino a quando la porta si aprì e cummà Cuncetta annunciò: “Ronzì si diventato padre”.

L’uomo ebbe un momento di mancamento e si sedette alla sedia che era intorno al tavolo e appoggiò il capo tra le mani in segno di preghiera ma mentre era così intento, ancora una volta la porta si aprì e cumma Cuncetta si avvicinò a Ronze e appoggiò la mano sulla spalla.

Lo scossone fece spaventare l’uomo che disse: “Cos’è successo?”.

“Niente……, niente……”

“Dimmi come sta Filumena….. Cos’è successo…..?“

“Uè Rò….., so gemelli!”.

“Come faremo?......”

“Con la volontà del Signore, ce la farete” concluse cummà Cun-cetta.

I due bambini crescevano sani e forti ma erano un po’ discoli e una ne pensavano e mille dispetti ne facevano come attaccare il ferro da stiro del sarto alla coda del gatto con l’animale che saltava e miagolava o quando, con un calcio, tolsero il piolo sotto il carretto e tutte le arance si sparsero lungo la strada.

Filumena andava a giornate in campagna e, ogni giorno, passando davanti alla scuola rurale che il sindaco aveva fatto costruire nelle zone agricole con maggiore popolazione, lasciava i gemelli alla maestra.

I due ragazzi crescevano bene e a 11 anni avevano iniziato la 5° elementare ma, in quel mese di novembre accadde l’impondera-bile.

Come sempre i due gemelli avevano salutato la mamma ed erano entrati in quell’unica classe. Una giornata di studio in una giorna-ta di pioggia sino al pomeriggio quando si ritornava a casa. Saluta-to la maestra i gemelli si avviarono per rientrare a casa.

Alle 9 di sera i due ragazzi non erano rientrati e Filumena e Ronze, in trepidazione, decisero di andare dai Carabinieri. Qui il Mare-sciallo gli fece tante domande e inviò i Carabinieri a fare le ricer-che. Quattro giorni e nessuna notizia dei gemelli ma, al settimo di, cummà Cuncetta arrivò piangendo e bussò alla vetrina.

Ronze aprì e subito chiese: “Cos’è successe”.

“Uè Rò…., uè Filumè….., l’one acchjiate……!. Abbracciate”.

I gemelli, per ripararsi dal forte temporale, avevano cercato riparo in un tronco cavo di un vecchio ulivo secolare ma, per una sorte avversa del destino, un fulmine aveva colpito proprio quell’albero spaccandolo in due e colpendo i gemelli che avevano perso la vita fulminati.

UNITI FINDALLA NASCITA

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vita Soleti, 35 anni, archeologa. dopo aver lavorato per dieci anni all’università degli Studi di Bari, collaboran-do con la cattedra di archeologia e Storia dell’arte greca e romana, oggi lavora, come archeologa della coop. penelope, presso il Museo di civiltà preclassiche della Murgia meridionale di ostuni.

Di cosa ti occupi?Dopo la laurea in Lettere classiche, mi è stata offerta la possibilità di collaborare con la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana dell’Università degli studi di Bari. Ho conseguito il Dottorato di ricerca in Archeologia della Magna Grecia all’Università Federico II di Napoli e il Diploma di Specializzazione in Archeologia classica.Nel 1998, inoltre, è cominciata la mia collaborazione con il Museo civico di Ostuni. Da studentessa ho partecipato alle cam-pagne di scavo presso il sito di Santa Maria di Agnano e successivamente mi sono occupata della catalogazione dei reperti, dello studio delle testimonianze provenienti dal santuario messapico e, più di recente, ho partecipato all’allestimento della mostra inaugurata presso il Museo nell’agosto 2011. Perché sei rimasta ad Ostuni?Sono un’archeologa e vivere ad Ostuni rappresenta per me una grande fortuna e, nello stesso tempo, una grande sfida. Ho imparato e gradualmente scoperto l’immenso patrimonio archeologico che la nostra città custodisce, un patrimonio che aspetta solo di essere ulteriormente messo in luce, valorizzato e soprattutto “diffuso”. L’inaugurazione e l’apertura al pubblico delle nuove sale espositive sono un importante punto di partenza, ma ora l’istituzione deve puntare l’obiettivo verso una visione di più ampio respiro, che comprenda pubblicazioni aggiornate, attività didattiche e di ricerca, traguardi che possono essere raggiunti con il costante interesse dell’Amministrazione Comunale e con maggiori investimenti nelle professionalità che possono rendere reali questi progetti.Ho deciso di rimanere perché per me Ostuni può offrire interessanti opportunità, divenendo un polo culturale ad archeolo-gico unico in Puglia, e vorrei, per quanto posso, contribuire affinché questo accada.

Quanto è difficile rimanere qui e provare a mantenere inalterati i propri sogni?Mantenere inalterati i propri sogni per chi fa il mio lavoro in Italia è praticamente impossibile. Non parlo solo della proverbia-le mancanza di fondi destinati ai Beni Culturali, ma soprattutto di una non ancora matura coscienza delle capacità e delle potenzialità a disposizione. Sia a livello universitario sia a livello locale ci si deve scontrare con una sorta di “conservatori-smo”, di controproducente miopia, per cui gli studi, le iniziative e i nuovi progetti stentano non solo a partire, ma anche ad essere presi in seria considerazione. Manca troppo spesso, a mio avviso, la volontà da parte di chi ha già avuto la fortuna di percorrere la propria carriera lavorativa di farsi guida saggia e nello stesso tempo generosa per le nuove leve, di promuovere ed incentivare le proposte che potrebbero migliorare e ampliare quanto di buono è già stato realizzato.Ho avuto la possibilità di scavare altrove, di collaborare con studiosi italiani e stranieri e ho assistito all’esodo di molti miei colleghi verso l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, dove paradossalmente continuano a studiare siti e materiali italiani. La loro partenza è dovuta essenzialmente al desiderio di lavorare, come infatti accade, in un ambiente in cui la ricerca dedicata all’Archeologia sia finalmente riconosciuta come attività professionale qualificata, in cui un ricercatore oltre i trenta non sia più considerato come una giovane promessa, ma come una realtà operante e responsabile.Certamente rimanere significa avere il coraggio di rischiare e investire le proprie capacità e la professionalità acquisita al servizio di una città come Ostuni, che finora ha dato prova di grande attenzione verso queste tematiche.A dieci anni dalla laurea i miei sogni non sono rimasti inalterati, ma resistono nonostante tutto. Un professore diceva che l’Archeologia è un hobby per ricchi in Italia. Io voglio ancora dimostrargli che non è sempre così, che di Cultura si può vivere e che, se opportunamente supportata, la Cultura può costituire uno dei punti fondamentali dell’economia di un intero paese.

la meglio gioventù:vita Soleti Si racconta

la megliogioventù

a cura della redazione

LANUOVAPIAZZAluglio/agosto 2012

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corsi di educazione ambientale corsi di formazione sulle nostre attivitàorganizzazione viaggi avventura nel mondoorganizzazione di eventi culturali organizzazione di eventi enogastronomici

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LANUOVAPIAZZAluglio/agosto 2012

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LANUOVAPIAZZA

di Mangano Maria Franca

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foto diDaniela Cardone

Qualche settimana fa, con l’ultimo evento in masseria, si è concluso il progetto dal nome “POCA ACQUA, TANTO GUSTO - MANGIA BUONO, PULITO E GIUSTO” che ha coinvolto alcune delle scuole di Ostuni.Obiettivo principale è stato quello di diffondere i principi base dell’agricoltura sostenibile, della biodiversità, della stagionalità delle produzioni agricole, insieme al corretto impiego delle risorse idriche in agricoltura e non da ultimo considerare il rapporto stretto che intercorre tra questi aspetti e una corretta alimentazione.Buona è stata la partecipazione degli studenti e anche di alcuni insegnanti, tale da consentire un vivace scambio di suggerimenti, idee e ipotesi di risoluzione dei vari problemi anche se a volte piene di fantasia soprattutto da parte dei bambini delle scuole elementari. Uno dei suggerimenti su come risolvere il problema idrico nel mondo e nella nostra regione è stato quello di prelevare acqua dal mare e desalinizzarla, cosi da essere utilizzata sia per uso alimentare che igienico e per l’irrigazione. Con l’aiuto di alcuni giochi si è però provato che si tratta di una soluzione non sempre possibile ed attuabile poiché potrebbe provocare degli squilibri nel ciclo della natura oltre all’enorme consumo energetico.Le attività ludiche in programma hanno preso spunto da un quiz sull’ impronta ecologica che ognuno di noi lascia: si sono simulati dei comportamenti più o meno sostenibili e ognuno dei ragazzi doveva individuare quale fosse il comportamento più idoneo e capire l’impatto che tali azioni avrebbero avuto sulla Terra.Un altro dei giochi a cui gli studenti hanno preso parte ha previsto l’impiego di quattro tra i cinque sensi di cui disponiamo: olfatto, vista, tatto, gusto …. l’uso dell’udito è

stato rimandato all’attività che si è svolta in mezzo alla natura con gli spettacoli, per ascoltare i suoni, i rumori e le musiche.Con questo semplice gioco, in apparenza, si sono messi a confronto due produzioni agricole, come gli ortaggi e la frutta di uguale specie ma di provenienza geografica diversa: locale, nazionale ed estera; diverso tipo di coltivazione (serra, pieno campo, aridocoltura). I ragazzi tramite l’uso dei quattro sensi hanno dovuto attribuire la provenienza e individuare le eventuali differenze.Come gadget finale è stata regalata ad ogni studente una piantina di pomodoro della varietà Regina di Torre Canne presidio Slow Food, con l’intenzione di far conoscere un prodotto locale, tipico esempio di pianta che cresce in condizioni di arido-coltura. Inoltre, è stato illustrato come si compone la ramasola (chioppa o pendula come dir si voglia), una delle attività che ha destato un’elevata curiosità nei ragazzi più piccoli presi dal voler toccare e provare con mano ad annodare uno ad uno i pomodorini. Uno spettacolo stupendo vedere questi bimbi con le loro manine lavorare, intrecciare, sorridere quando i pomodorini rimanevano legati per qualche minuto. Vecchie tradizioni accanto alle nuovissime generazioni che si spera siano i custodi della cultura del nostro territorio e che comunque sappiano apprezzare ed trarre insegnamento.Con questo progetto abbiamo provato a trasmettere le moderne buone pratiche quotidiane per far fronte ai consumi idrici sempre più urgenti e spronare al consumo di prodotti agricoli locali e soprattutto di stagione come si faceva un tempo, dando delle piccoli indicazioni sulle “buone abitudini” da adottare.

scuola e ambiente

NeLLACiTTà BiANCA CON ….”pOCA ACqUA,TANTO gUsTO”NeL MOdO giUsTO!!!

di Mangano Maria Franca

luglio/agosto 2012

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pOsTURALweLLNess

a cura di Ennio Vergati

spazio promozionale

Il centro “Postural Wellness” è un ottimo esempio di quanto forte sia oramai diventato il rapporto fra fitness e benessere psicofisico.Nel 1996 il Surgeon General’s Report – L’importante rapporto scientifico americano sui danni legati alla sedentarietà- sancì de-finitivamente che l’inattività fisica è considerata un alto fattore di rischio per tutte le cause di malattie, alla pari o in misura maggiore rispetto a fumo, obesità, ipertensione, colesterolo.In Italia anche i piani sanitari nazionali e regionali consigliano e promuovono la pratica dell’esercizio fisico come fonte primaria di prevenzione, identificando nella soglia dei 40 anni l’età in cui di-venta addirittura necessario, per garantire una buona condizione di salute.Migliorare le condizioni di vita dei cittadini, promuovendo scelte salutari immediate e stili di vita sani , è l’obiettivo principale dello stesso Programma Nazionale di Prevenzione, approvato dal gover-no in accordo con le Regioni. Postural Wellness risponde a questa esigenza collettiva con ade-guate sinergie fra il settore medico e quello del fitness. “Il mio lavoro – afferma l’ideatore Dott. Ennio Vergati - di tutti i giorni è quello di fornire soluzioni per migliorare la qualità della vita a persone affette da innumerevoli problemi di salute ,di origine pre-valentemente ortopedica o neurologica, causa di piccole o grandi disabilità , interfacciandomi costantemente con specialisti del mon-do medico (ortopedici, fisiatri, neurochirurghi, fisioterapisti). Una dura constatazione è riscontrare che molte disabilità motorie sono figlie di disfunzioni del metabolismo, il male della civiltà mo-derna: la cosiddetta “sindrome metabolica”.Perché Postural – Wellness?“Tutto è nato dal desiderio personale di salvaguardare la mia salute praticando esercizio fisico con più regolarità e in modo corretto (metodo scientifico) , anteponendo il benessere psico-fisico all’atti-vità lavorativa, consapevole di aver dato tanto al lavoro e che fosse giunto il momento di fermarmi per riflettere sulle aspettative di vita futura. Oggi dedico almeno 4 ore settimanali alla mia salute ( 3 sessioni di fitness metabolico e 1 ora massaggio relax ). Non è paradossale , ma prevedibile, che il mio attuale stato di for-ma mi permetta un approccio più efficace con l’ attività lavorativa. Un metodo “diverso” rispetto a convinzioni indotte e sedimentate, perché si fonda sulla capacità dell’uomo di correggere il proprio stile di vita attraverso una forma di autogoverno esistenziale, senza ricorrere alla medicina se non quando ciò sia strettamente neces-sario.Qual è la novità rispetto all’attività già svolta?“Innanzitutto nella struttura in se: con aree separate dove il cliente(mai considerato paziente), accolto in un ambiente conforte-vole e rilassante, potrà scegliere per il suo benessere a 360°. E poi,

nella cura delle patologie ortopediche o di eventi traumatici la sola fisioterapia non garantiva risultati soddisfacenti, per cui ho ritenuto necessario aggiungere apparecchiature e tecniche di nuova genera-zione come l’ipertermia, tecar , Kinesio-Taping e una linea completa di attrezzature biomedicali certificata della Technogym, una vera e propria palestra, un’area gestita da un Personal Trainer qualificato, ma che nella cura delle patologie ortopediche o di eventi traumati-ci è affiancato dal fisioterapista (connubio ideale). Quindi, la chiave per chiudere il cerchio, per completare il corretto iter riabilitativo”.

Cosa vuol dire wellness?Benessere psico-fisico a 360 gradi, e una serie di massag-

gi rigeneranti eseguiti da mani esperte contribuiscono a togliere la fatica fisica mentale emotiva, migliorare la vista, rinforzare il corpo, favorire il sistema digerente, circolatorio, linfatico, escretorio, nervoso, energetico e favorire il sonno e i sogni. Inoltre per migliorare la concentrazione, rinforzare la pelle, armonizzare i tre Dosha ovvero i caratteri energe-tici individuali. Un ciclo organizzato di massaggi aumenta la resistenza alle malattie e migliora lo stato generale della salute, combattendo lo stress, acuendo la percezione e la confidenza con il corpo. Indicati e consigliati a tutti gli utenti di Postural Wellness.

Quali sono i suoi destinatari?• Per chi sta già bene ma vuole stare meglio. • Per chi vuole conoscere ulteriori strumenti per raggiungere un benessere duraturo. • Per chi fa un lavoro con grande dispendio di energie men-tali e vuole ottimizzare le sue prestazioni nel rapporto costi/benefici. • Per chi fa sport e vuole migliorare. • Per chi vuole che gli anni passino nel migliore dei modi. • Per chi ha una patologia e vuole acquisire ulteriori stru-menti per combatterla nel migliore dei modi; ma non per curarla specificamente con il metodo. • Per chi vuole migliorare la propria estetica, dentro e fuori. • Per chi vuole migliorare il proprio sistema immunitario. • Per chi vuole conoscere meglio come funziona il proprio organismo. • Per chi non pensa che “ormai è troppo tardi per prendersi cura di sé”.

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“laltrove”il nuovo

album deiDiorama

musica

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Vorrei chiederti subito: chi sono i Diora-ma?Siamo una band ostunese attiva dal 2004: io, Antonella Colucci – voce, Riccardo Rodio e Giuseppe Tanzarella- chitarre, Nicola Farina-basso, Guido Vincenti-batteria, Francesco Sozzi-tastiere e Giovanni Francioso-violino.

Da qualche giorno è stato pubblicato il vostro terzo CD, Laltrove, come mai que-sto titolo?Laltrove rappresenta l’idea di spingersi oltre i confini del sé, attraverso una interiorità a vol-te più lieve e sfumata, altre volte più decisa e definita. È soprattutto uno spazio o meglio uno spazio musicale da condividere, un po-sto in cui ritrovarsi. Il diciotto maggio è uscito questo nuovo lavoro pubblicato dall’ottima etichetta E-Edizioni di Aosta.

Gli altri lavori?Il primo disco, “e il vento cade“ è del 2005, mentre “L’idea del se” nasce nel 2009, en-trambi pubblicati dalla Matricula di Milano e distribuiti dalla Venus.

Chi scrive le canzoni?I testi sono miei, mentre le musiche e gli ar-rangiamenti sono di Riccardo. In questo pro-getto, per la prima volta, proponiamo una cover del grande Ivan Graziani, un autore mitico per noi. Avevamo già proposto questa canzone nei concerti, e nel disco l’abbiamo rivisitata alla maniera Diorama .

Da dove trai ispirazione per i tuoi testi?Dalla vita essenzialmente. Poi da una dimen-sione un po’ irreale ed onirica che mi appartie-ne. Provo a raccontare storie di gente che mi piace e che anche solo per un attimo, hanno lasciato un segno dentro di me . Il paesaggio tra luce e malinconia mi affascina molto, così come la sottile ironia che è presente in alcune situazioni declinate al femminile .

Vogliamo accennare alle vostre coperti-ne sempre un po’ “speciali?“Il merito è tutto del nostro amico Marcel-lo Carrozzo che per ogni lavoro ha curato il progetto fotografico, regalandoci scatti vera-mente unici e soprattutto in sintonia con la nostra musica. Anche le foto del nostro sito, sono di Marcello. Il curatore della parte gra-fica invece è Lele Pinto, il nostro web master Enzo Cirillo.

Qual è il vostro rapporto con internet?Oggi è importante comunicare in modo rapi-do. Sul nostro sito, HYPERLINK “http://www.dioramamusica.it” www.dioramamusica.it , si possono avere notizie sul gruppo, la storia, la discografia, ecc. creare contatti, insomma in-contrarsi. La nostra casa discografica, inoltre, si occupa della distribuzione digitale del CD; sul motore di ricerca Diorama Laltrove, si pos-sono vedere tutti i siti italiani ed esteri in cui il lavoro è presente e quindi scaricabile. Per noi una grande soddisfazione .

Concerti?Suonare dal vivo rimane la cosa più interes-sante ed affascinante, soprattutto per il con-tatto diretto con il pubblico. Abbiamo avuto la possibilità, con i precedenti lavori, di suona-re in location molto belle ed importanti, una tra queste è stata l’Alterfesta di Cisternino. In quella occasione abbiamo aperto il concerto di Pee Wee Ellis, già sassofonista di James Brown e Van Morrison. Inoltre altri scenari magici sono stati: Santa Maria d’Agnano ed il Castello di Carovigno. Spero che Laltrove, a cui teniamo particolarmente, trovi il suo spa-zio live e ci auguriamo che i lettori della Nuova Piazza, vengano ai nostri concerti.

Per finire, vorrei chiederti: il titolo “Lal-trove“ senza l’apostrofo è un “errore”?E’ una provocazione. Comunque, all’interno del disco, da qualche parte, l’apostrofo c’è.

intervista e fotodi Valerio Carrozzo

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A TU PERTU CON

MARTINACARPANI

Martina Carpani chi è?Una ragazza che va a scuola – sorride- a cui piace studiare, in particolar modo storia e filosofia. In più faccio teatro e politica all’in-terno del movimento studentesco l’UDS da quattro anni.

Cosa significa, per te, fare politica? Noi, dell’unione degli studenti, facciamo politica di movimento. Cerchiamo, con le nostre attività, di orientare il dibattito pub-blico sulle tematiche più importanti. È un modo di fare politica che non è limitato dalle segreterie di partito. Facciamo politica per passione. Investiamo il nostro tempo. Il nostro movimento nasce per sopperire alla distanza che vi è tra i partiti e le forze sociali.

Sei diventata “famosa” dopo la triste vicenda del 19 maggio, quel giorno sei salita sul palco di Piazza Vittoria e hai strappato consensi e applausi, metten-do in secondo piano gli uomini delle istituzioni. Che idea ti sei fatta di quella giornata e dei giorni successivi?È passato un mese. È stato un mese duro. L’attentato, lo sgomento delle ore succes-sive, i perché di quell’orrendo delitto, la ri-flessione, la rabbia, la voglia di reagire e di non avere paura. È stato tutto così difficile, poi a Brindisi. Una città, quasi, anonima. Mai troppo movimentata. Siamo rimasti spiazzati, perché la verità è che nessuno mai si è interessato o ha parlato di Brindi-si. Le questioni nazionali sono sempre state abbastanza distanti da qui. E allora qual è

il nostro territorio, veramente? In questo mese, più volte, ci siamo trovati a fare una campagna di riqualificazione della nostra terra, perché sui giornali se ne è detto di tutti i colori.

Dopo un mese sappiamo però che la mafia non è colpevole, non si è trattato di violenza contro le donne, ed ora cosa senti di dire ai tuoi coetanei?Non credo che si possano dare ancora oggi delle risposte certe. Ma vi è un dato posi-tivo, Brindisi si è improvvisamente sveglia-ta, soprattutto le giovani generazioni. Da quattro anni faccio parte del movimento studentesco e non avevo mai visto una così forte domanda di partecipazione come quella che è avvenuta in questa occasione. Le numerose assemblee, le manifestazioni, finalmente un po’ di democrazia. Final-mente i ragazzi hanno colmato quel vuoto, quel silenzio, che per anni non ci ha visti per niente protagonisti. Perché tutto questo? Perché da noi mancano luoghi di aggre-gazione e di espressione per gli studenti. Certo, dal 19 maggio sappiamo che anche entrando a scuola qualcosa di brutto ti può capitare. Ma in questo caso cosa dovrem-mo fare? Chiuderci in casa? No, noi non abbiamo paura. Bisogna ripartire.

Da dove si riparte?Dalla scuola. Nella lettera al Ministro Profu-mo, abbiamo scritto ciò si è fatto in questi mesi e quello che riteniamo necessario che le istituzioni facciano per iniziare a contri-

buire, concretamente, anche loro, ad un processo vero di rinnovamento. Ripartire dalla scuola, come presidio alla legalità e alla cittadinanza. Basta con la retorica o con il riempirsi la bocca di queste parole. Biso-gna agire. Non basta il magistrato di turno durante un’assemblea di studenti. Il vero problema per gli studenti è quello di creare momenti di incontro, di partecipazione e di coesione all’interno della scuola dove noi possiamo essere davvero partecipi.

Concretamente cosa volete fare?Noi ci battiamo affinchè si potenzino i fon-di per i comitati studenteschi. Gli studenti protagonisti nella proposta dei progetti sco-lastici pomeridiani, nell’ottica di tenere le scuole aperte. Immaginate quanto sia im-portante avere le scuole di periferia aperte anche il pomeriggio, tutti i pomeriggi. Inol-tre una nostra battaglia è quella di istituzio-nalizzare le commissioni paritetiche. Luoghi di partecipazione, composti in egual nume-ro tra docenti e studenti, in cui si decidono i programmi scolastici, i POF e tutte le attività pomeridiane. Perché tutto questo? Dare la possibilità agli studenti di scegliere i progetti da proporre. Ad esempio, sulla didattica, la scuola non può continuare ad essere solo acquisizione pura di nozioni, altrimenti siamo sicuri che non avremo cittadini. C’è bisogno di maggiori collegamenti con l’at-tualità, di sviluppare maggiori competenze civiche e sociali. Tutto questo serve per in-terpretare al meglio l’attualità, ma soprat-tutto a creare una propria opinione.

intervista di Giuseppe Morofoto di Marcello Carrozzo

Incontriamo Martina Carpani in un pomeriggio di inizio estate ad Ostuni. Una buona birra bolognese, fa ricordare alla nostra le sue origini emiliane. Sin dalle prime battute ci accorgiamo di non es-sere d’avanti a quella che è stata definita per settimane la leader, la Pasionaria del Sud. Martina ha solo 17 anni e due occhi intelli-genti. Il suo desiderio è di continuare a vivere il proprio tempo: la scuola, il teatro e la politica.

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intervista

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margini al centro

di Bruno Marchifoto di Chicco Saponaro

iL viAggiO di viNCeNzO:“deLLA MUsiCA NONpOssO FARe A MeNO”

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Incontro Vincenzo un pomeriggio d’estate. L’aria è fresca e dalla veranda, a Selva di Fasano, si guarda un panorama mozzafiato: lontano il mare e, a salire, gli uliveti e la collina. Nelle giornate più ventilate e chiare, da quella postazione, Ostuni è più vicina. Lo sguardo è sereno, sorridente, mentre Pippo, un volpino irrequieto, cerca in tutti i modi di attirare l’attenzione. Beviamo un succo di frutta. Vincenzo è imboccato da Chiara, la madre, perché lui non può farlo da solo essendo tetraplegico a causa di un incidente automobilistico. Vive attraverso gli arti che i genitori gli prestano amorevolmente, ma che sarebbero disposti a donargli. Muove il braccio sinistro, dopo lunga riabilitazione, e poi basta. Per fortuna, se così si può dire, il punto in cui la colonna vertebrale si è fratturata non ha compromesso il movimento della testa. Ed è proprio grazie a questi movimenti residui, il resto è completamente paralizzato, che il Maestro Vincenzo Deluci ha ripreso a suonare. Lo ha fatto anche grazie ad una speciale tromba, lo strumento in cui si è diplomato al conservatorio, “inventata” e costruita esclusivamente per lui dal suo amico Giuliano e da suo padre Gino. “Se non avessi avuto questa possibilità” mi dice “avrei fatto comunque musica. Avrei cantato, fischiato … non posso farne a meno. Da me qualcosa deve per forza uscire”. La storia artistica di Vincenzo iniziò in terza elementare quando si innamorò della tromba. Cominciò a studiare, ogni giorno, dallo zio, musicista per passione e tappezziere per mestiere. Vincenzo raggiungeva lo zio ogni pomeriggio e nel laboratorio artigiano, tra poltrone e tende, appoggiato a un tavolino faceva i compiti di scuola, molto velocemente perché la febbre della tromba bruciava, e poi finalmente posava le labbra sul bocchino cominciando ad articolare note sotto il vigile occhio e orecchio del maestro d’arte.Il passo per entrare nella banda del paese fu breve perché Vincenzo era davvero bravo. “Ho suonato molti anni nella banda e ho fatto anche i cosiddetti ‘giri di banda’, quelle che potremmo chiamare tournee. Cioè, andavo in giro per i paesi della Puglia, soprattutto alle feste patronali”. Questa della banda per Vincenzo fu un’esperienza artistica e formativa fondamentale. “Certo” mi conferma “io credo che suonare in banda sin da bambini formi al suonare in ensemble. Non a tutti gli strumentisti è dato fare questa esperienza. Per esempio, un pianista non potrà mai suonare in banda, al massimo in un’orchestra ma, non è affatto la stessa cosa. Questo mi ha dato un vantaggio nel fare jazz.”Del jazz Vincenzo ne ha fatto una ragione di vita “Perché” mi sussurra “il jazz è la vita”. La musica lo ha portato lontano, fino a New York dov’era di casa. “Sì” non c’è nostalgia nella voce “New York è il massimo della scena, ma non credere che in Puglia sia diverso. I musicisti sono tanti, tutti bravi. Solo che non ci sono molte occasioni e locali dove suonare”.Oggi Vincenzo è presidente di una associazione, da lui fondata insieme a un manipolo di sognatori, la “AccordiAbili”, che intende avviare la ricerca, scientifica e tecnologica, che consenta ad un disabile, seppure completamente immobile, di suonare. “È quello che è successo a me. Sono riuscito a continuare a suonare e mi piacerebbe che altri, nelle mie stesse condizioni potessero farlo”. Ma, oltre all’impegno sociale Vincenzo continua a tenere concerti e serate: da “Viandante”, nelle Grotte di Castellana a “Viaggio”, non mancano produzioni di spettacoli e cd. Prima di salutarlo gli chiedo, non senza una forma di pudore, cosa gli manchi rispetto alla sua “prima vita”, quella di persona abile. Mi guarda e, per l’ennesima volta, sorride infondendo serenità: “C’è un pezzo di scogliera a Monopoli che non posso più raggiungere, ci riuscirei, forse, solo con un elicottero. Lì andavo a sentire il mare, all’alba, e mi portavo dietro lo strumento. Lì suonavo per me, per la mia anima e per il giorno che stava nascendo. Ecco, è solo questo ciò che mi manca … il resto è qui, a portata di mano, perché sono vivo”.

margini al centro

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In questi giorni volge al termine la Scuola Tennis di Ostuni, un suo bilancio personale?Il bilancio non può che essere positivo per molteplici aspetti. Innanzitutto, il fatto di confermare ormai da più di dieci anni consecutivi un numero non inferiore ai cento iscritti, il 20% dei quali sono adulti principianti; poi perchè in un momento non proprio florido dal punto di vista economico, le famiglie rispondono comunque all’importanza che il tennis e lo sport in genere, riveste per la formazione dei propri figli; ed infine la scuola tennis ha al suo interno giovani atleti ed atlete di cui sentiremo parlare sicuramente in futuro.

Cos’è il tennis oggi? Che attenzione ha la Federazione Italiana Tennis e le Politiche dello Sport nei confronti delle scuole tennis?Il tennis oggi sembra rivivere una seconda vita, sia dal punto di vista economico in quanto la federazione italiana è una delle poche federazioni in attivo, sia dal punto di vista sportivo un esempio sono i recenti risultati al Rolang Garros dei nostri italiani, a partire da Sara Errani. Per quanto riguarda invece l’attenzione che la FIT rivolge nei confronti delle scuole tennis oltre che del tennis in generale, bisogna riconoscere gli sforzi e i miglioramenti che i circoli hanno ottenuto proprio grazie a questo sostegno. In particolare la FIT ha organizzato alcuni centri di aggregazione di allenamento periferico gratuiti per tutti gli atleti in erba, di interesse Provinciale e/o Regionale. Inoltre, ha creato delle classificazioni delle scuole tennis, le quali a secondo dei loro parametri hanno usufruito di alcuni contributi volti a finanziare l’attività dei ragazzi del circolo stesso.

Cosa vuol dire per lei allenare al gioco del tennis un bambino/a in età evolutiva? E quanto serve questo sport alla sua crescita personale?Il ruolo dell’educatore sportivo è assai differente dal ruolo del maestro o coach di un ragazzo o ragazza senza distinzione di età per i seguenti motivi: per prima cosa perchè nella fase evolutiva e di avviamento alla disciplina di ogni sport si cerca di incidere sull’aspetto emozionale indistintamente dai risultati ottenuti o che si otterranno, mentre quando si allena un atleta i canali comunicativi vengono stravolti notevolmente in quanto si lavora duramente proprio sul piano mentale, tecnico, ma soprattutto fisico.Tutto questo senza avere alcun tipo di distinzione di età o sesso nel momento in cui si ha di fronte un futuro potenziale giocatore. In entrambi i casi comunque si incide positivamente sull’aspetto della personalità, dell’autostima e dell’autonomia, visto che questo sport è abbastanza duro, ma allo stesso tempo affascinante....credo!

Ostuni e il suo Circolo, cosa si aspetta per il futuro?Dal mio Circolo mi aspetto tanto, semplicemente, perchè ho sempre avuto tanto! Allo stesso tempo è evidente che l’importanza rivestita oggi dal Circolo Tennis Ostuni sia a livello regionale che in ambito nazionale, è conseguenza di serietà ed affidabilità dimostrata da parte di tutti gli operatori del circolo. Prepariamoci a rivestire anche nei prossimi anni, un ruolo centrale e determinante per quanto concerne l’attività nazionale che la federazione sceglie di dirottare sul nostro sodalizio oltre che verso questa splendida città.

a cura della redazionefoto di Sandro Bagnulo

sCUOLATeNNis OsTUNi

intervista a ivan de Nitto

sport

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Si è svolta ad Ostuni presso il Casbah Art Cafè la presentazione del libro “Il vile agguato. Chi ha ucciso Borsellino. Una storia di orrore e menzogna” di Enrico Deaglio edito da Feltrinelli.Davanti ad un pubblico numeroso e interessato, il giornalista ha spiegato le ragioni per cui ha sentito l’esigenza di scrivere questo libro, che esce nel ventennale dalla strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita il Giudice più importante nella lotta alla mafia, Paolo Borsellino e la sua scorta.A vent’anni da quel 19 luglio, purtroppo, non è stata fatta piena luce sugli assassini, sui mandanti, sulle ragioni della morte dell’Uomo, forse l’ultimo rimasto, a credere che la mafia si poteva debellare! E sconcerta il fatto che il popolo italiano non pretenda Verità, o si accontenti della verità (la ‘v’ minuscola è intenzionale nds) emersa dal primo processo Borsellino, ossia che “il più importante magistrato investigativo antimafia era stato facilmente ucciso da un’accozzaglia di balordi di quartiere, per pochi soldi, o qualche grammo di roba da smerciare. Tutto qua” (pag. 24)Nel 2009 un nuovo pentito si dichiara autore del furto della Fiat 126 e della sua “imbottitura” avvenuta addirittura alla presenza di tale “signor Carlo”, un uomo dei servizi segreti. E così Paolo Borsellino è il nostro eroe, ma non siamo in grado di dire chi l’abbia ucciso e, ciò che è peggio, non possiamo allontanare i sospetti che nella sua morte c’entri lo Stato.

di Giusy Santomancofoto di Marcello Carrozzo

siAMOCONdANNATi A NON sApeRe? O siAMO NOi A NON AveRevOgLiA diveRiTà?

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luglio/agosto 201230

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