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TRATTO DA SIMONETTA VIETRI LESSICO-GRAMMATICA DELL’ITALIANO, UTET, TORINO2004 Introduzione (Annibale Elia) 1. Da Saussure a Gross Se è vero che la linguistica moderna nasce con le riflessioni di Ferdinand Saussure durante i suoi corsi all'Università di Ginevra tra il ... e il ...(nota sul CLG), riflessioni che hanno dato uno statuto epistemologico allo studio del linguaggio, è pur vero che dalle note manoscritte del linguistica ginevrino non è possibile dedurre un'attenzione "moderna" nei confronti della sintassi. Mentre risulta estremamente innovativa la partizione (dialettica) tra lingua come sistema (langue) e circuito comunicativo concreto (parole), e l'altra partizione tra asse paradigmatico (verticale, in absentia) e asse sintagmatico (orizzontale, lineare) delle espressioni linguistiche, le frasi, almeno per il Saussure a noi noto, restano confinate nel regno irripetibile della parole, sfuggendo alla possibilità di una trattazione a livello del sistema. Certo, la nozione di sintagma introduce una categoria all'apparenza semplice, ma densa di conseguenze teoriche e descrittive, solo che il sintagma si limita alle combinazioni di parole immediatamente precedenti il livello della frase. In Europa, dopo il successo del CLG di Saussure grazie alla sua rivalutazione negli anni '20 ad opera del Circolo di Praga, dalla nozione di sistema, di fonema e di sintagma si svilupperà una linguistica molto attenta allo studio dei suoni (la fonetica e la fonologia) e alla morfologia (in senso lato, con l'introduzione della categoria del monema) e addirittura alla sperimentazione teorica di una semantica basata sul metodo dei tratti distintivi della fonetica e della fonologia. La grammatica e la sintassi avranno solo un impulso indiretto da parte del pensiero saussuriano. Dobbiamo aspettare le ricerche di Leonard Bloomfield, negli anni '30, per avere una rilettura della nozione di sistema saussuriano applicata alle combinazioni di parole e approdare ad uno "strutturalismo americano". Con Bloomfield e con il metodo dei costituenti immediati, le combinazioni vengono ri-analizzate come morfemi, sintagmi e, finalmente, frasi. Il nuovo metodo, con l'occhio alla grammatica tradizionale, ma anche alle lingue amerindie, che difficilmente si lasciano inquadrare da categorie greco-latino- centriche, permette di analizzare differenti forme di frase, riconoscendo loro lo statuto di un valido oggetto di studio dotato di struttura. L'analisi in costituenti presentava però delle debolezze. Un'evidenza come la somiglianza intuitiva, ma inequivocabile, tra frase attiva e frase passiva, per esempio, non poteva essere trattata agevolmente limitandosi all'osservazione dei costituenti immediati: era necessario analizzare separatamente le due strutture, duplicando inutilmente l'apparato descrittivo. Una soluzione decisiva di questo tipo di problemi, foriera di una nuova rivoluzione epistemologica, verrà ad opera di Zellig Harris negli anni '40. Partendo dalla nozione di morfema bloomfieldiano, e dal metodo della commutazione o equivalenza tra diversi contenuti lessicali possibili dei morfemi, Harris arriva agevolmente, proprio attraverso la nozione di equivalenza, a quella di trasformazione. Sono le intere sequenze di morfemi, che 1

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TRATTO DA SIMONETTA VIETRI

LESSICO-GRAMMATICA DELL’ITALIANO, UTET, TORINO2004

Introduzione (Annibale Elia)

1. Da Saussure a Gross

Se è vero che la linguistica moderna nasce con le riflessioni di Ferdinand Saussure durante i suoi corsi all'Università di Ginevra tra il ... e il ...(nota sul CLG), riflessioni che hanno dato uno statuto epistemologico allo studio del linguaggio, è pur vero che dalle note manoscritte del linguistica ginevrino non è possibile dedurre un'attenzione "moderna" nei confronti della sintassi. Mentre risulta estremamente innovativa la partizione (dialettica) tra lingua come sistema (langue) e circuito comunicativo concreto (parole), e l'altra partizione tra asse paradigmatico (verticale, in absentia) e asse sintagmatico (orizzontale, lineare) delle espressioni linguistiche, le frasi, almeno per il Saussure a noi noto, restano confinate nel regno irripetibile della parole, sfuggendo alla possibilità di una trattazione a livello del sistema. Certo, la nozione di sintagma introduce una categoria all'apparenza semplice, ma densa di conseguenze teoriche e descrittive, solo che il sintagma si limita alle combinazioni di parole immediatamente precedenti il livello della frase.

In Europa, dopo il successo del CLG di Saussure grazie alla sua rivalutazione negli anni '20 ad opera del Circolo di Praga, dalla nozione di sistema, di fonema e di sintagma si svilupperà una linguistica molto attenta allo studio dei suoni (la fonetica e la fonologia) e alla morfologia (in senso lato, con l'introduzione della categoria del monema) e addirittura alla sperimentazione teorica di una semantica basata sul metodo dei tratti distintivi della fonetica e della fonologia.

La grammatica e la sintassi avranno solo un impulso indiretto da parte del pensiero saussuriano. Dobbiamo aspettare le ricerche di Leonard Bloomfield, negli anni '30, per avere una rilettura della nozione di sistema saussuriano applicata alle combinazioni di parole e approdare ad uno "strutturalismo americano". Con Bloomfield e con il metodo dei costituenti immediati, le combinazioni vengono ri-analizzate come morfemi, sintagmi e, finalmente, frasi. Il nuovo metodo, con l'occhio alla grammatica tradizionale, ma anche alle lingue amerindie, che difficilmente si lasciano inquadrare da categorie greco-latino-centriche, permette di analizzare differenti forme di frase, riconoscendo loro lo statuto di un valido oggetto di studio dotato di struttura. L'analisi in costituenti presentava però delle debolezze. Un'evidenza come la somiglianza intuitiva, ma inequivocabile, tra frase attiva e frase passiva, per esempio, non poteva essere trattata agevolmente limitandosi all'osservazione dei costituenti immediati: era necessario analizzare separatamente le due strutture, duplicando inutilmente l'apparato descrittivo.Una soluzione decisiva di questo tipo di problemi, foriera di una nuova rivoluzione epistemologica, verrà ad opera di Zellig Harris negli anni '40. Partendo dalla nozione di morfema bloomfieldiano, e dal metodo della commutazione o equivalenza tra diversi contenuti lessicali possibili dei morfemi, Harris arriva agevolmente, proprio attraverso la nozione di equivalenza, a quella di trasformazione. Sono le intere sequenze di morfemi, che formano le frasi, ad essere messe in corrispondenza. La frase attiva e quella passiva vengono analizzate come frasi in relazione reciproca di trasformazione. Da quest'assunto di base al riconoscimento che ci sono categorie di parole (per esempio i verbi) che determinano il funzionamento dell'intera frase, governando la saturazione dei complementi il passo è breve. Su questa base, Harris individua l'esistenza di strutture di frase elementare (o nucleare) composte da operatori e argomenti.In Europa, un po' defilato rispetto alle grandi correnti, Lucien Tesnière (1953; 1959, 19662) assegna alla reggenza dei verbi, all'interno delle frasi, un ruolo determinante. Tesnière ha introdotto anche una nuova terminologia, non sempre accettata, è vero, in cui al posto di "reggenza" (fr.rection, ingl.governement) appare "valenza" (fr.valence, ingl.valency), mentre per il concetto, tutt'altro che chiaro al suo tempo (e nemmeno del tutto chiarito), di complemento obbligatorio del verbo Tesnière ha proposto il termine di "attante"(fr. actant). Il successo, seppur non immediato, della teoria di Tesnière ha dato un forte impulso non solo a studi teorici, ma anche alla costituzione di lessici sistematici di valenze dei verbi. Questo è avvenuto soprattutto in Germania e con riferimento al tedesco. La Valenzbibliographie di Helmut Schumacher (1988) contava 2377 titoli relativi a 23 lingue diverse e a 41 coppie di lingue esaminate contrastivamente. Il loro numero è certamente cresciuto nel frattempo di molto.Quasi simultaneamente, in ambito americano, Noam Chomsky, agli inizi degli anni '50, quasi indipendentemente da Harris, che conosce bene, sviluppa una nozione di trasformazione più astratta, cercando di riprendere la tradizione grammaticale della partizione in Soggetto e Predicato. Nel 1957 scrive un piccolo libro (Syntactic Structures) in cui la sua interpretazione di trasformazione si coniuga bene con l'idea harrisiana di una batteria di frasi elementari. Ma è con Aspects of the Theory of Syntax (1964) che Chomsky delinea un programma di analisi del lessico dal punto di vista della sottocategorizzazione stretta dei verbi. Tale programma avrebbe potuto portare in ambito GGT alla descrizione lessico-sintattica dell' inglese e, successivamente, di tutte le lingue di cui si è occupato il paradigma generativista.

Il programma non viene realizzato. A parte un po' di dibattito sulla ridondanza lessicale e sul trattamento di ogni singola entrata (sdoppiare o non sdoppiare), nessuno, a parte Maurice Gross, si fa avanti per realizzarlo.

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Gross comincia a descrivere i verbi che reggono una completiva nel 1968, termina una prima versione nel 1975, utilizzando un data base elettronico. Mano a mano che va avanti nel lavoro si allontana dal paradigma chomskiano, fino ad entrare in aperta polemica con l' impostazione GGT.

Che cosa era successo? I 3.000 verbi analizzati reagivano male alle ipotesi di Rosenbaum: le eccezioni erano più numerose delle regole. Le classificazioni effettuate, appena si portava il numero delle proprietà analizzate per ogni verbo al di sopra di cinque o sei, mostravano che ogni verbo aveva un suo comportamento individuale quasi completamente indipendente da ogni altro.

Nonostante ciò era comunque possibile, individuando almeno una proprietà definizionale importante, costruire una classificazione basata su una cinquantina di classi.

Il problema è tutto nel carattere non definitivo della classificazione, o almeno di una sua parte importante. La scoperta di nuovi fenomeni, la revisione di alcune ipotesi porta ad un aggiornamento delle classi e ad una manutenzione periodica dell' intera classificazione.

Bibliografia

Angelini Maria Teresa e Fábián Zsuzsanna 1981, Olasz igei vonzatok (Le reggenze dei verbi italiani), Budapest, Tankönyvkiadó

Chomsky Noam 1964, Aspects of the theory of Syntax, Cambridge Mass., The M.I.T. Press; trad.it. in Saggi linguistici, Torino, Boringhieri, 1970.

Schumacher,Helmut , Valenzbibliografie, Institut fur Deutsche Sprache, Mannheim 1988

Tesnière Lucien 1953, Esquisse d'une syntaxe structurale, Paris, Klincksieck.

Tesnière Lucien 1959 ( 19662), Eléments de syntaxe structurale, Paris, Kincksieck.

1. LA GRAMMATICA GENERATIVO-TRASFORMAZIONALE E IL LESSICO-GRAMMATICA.................................................................................................................................2

1.1. CREATIVITÀ...............................................................................................................................21.2. LA NOZIONE DI SINTAGMA.........................................................................................................51.3. GRAMMATICALITÀ E ACCETTABILITÀ........................................................................................91.4. RACCOLTA DEI DATI, REGOLE ED ECCEZIONI..........................................................................101.5. STRUTTURA DELLA FRASE.......................................................................................................12

2. LA GRAMMATICA IN OPERATORI E ARGOMENTI DI HARRIS.................................13

3. IL LESSICO-GRAMMATICA...................................................................................................14

3.1. I COMPLEMENTI ESSENZIALI IN UNA FRASE SEMPLICE: CANCELLAZIONE E RIDUZIONE..........163.2. I TIPI DI COMPLEMENTI NELLA FRASE SEMPLICE.....................................................................183.3. NOMINALIZZAZIONI E AGGETTIVALIZZAZIONI.........................................................................213.4. LE FRASI SEMPLICI A VERBO ORDINARIO E A VERBO SUPPORTO.............................................22

3.4.1. La rappresentazione delle frasi a verbo supporto nella GGT..........................................243.6. L’ANALISI TRASFORMAZIONALE E L’ANALISI DISTRIBUZIONALE............................................253.7. LE FRASI FISSE: NON-COMPOSIZIONALITÀ, DISTRIBUZIONE FISSA, APPLICABILITÀ DELLE TRASFORMAZIONI............................................................................................................................27

3.7.1. Le frasi fisse nella GGT....................................................................................................303.8. LE PAROLE COMPOSTE.............................................................................................................31

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1. La grammatica generativo-trasformazionale e il lessico-grammatica

Il Lessico-grammatica nasce negli anni ’70 con le analisi linguistiche effettuate, prevalentemente sul francese, da Maurice Gross e dai suoi collaboratori per verificare l’applicabilità del modello teorico della grammatica generativo-trasformazionale. E’ a partire dai risultati ottenuti da queste analisi descrittive che Gross comincia ad allontanarsi dal modello chomskyano e a criticare i suoi fondamenti come, ad esempio, la nozione di sintagma, il concetto stesso di grammaticalità/accettabilità, la struttura della frase. D’altra parte, Gross asserisce la necessità di analizzare una gran mole di dati per verificare l’applicabilità delle trasformazioni e, dunque, la portata delle “regole” e delle “eccezioni”. L’impostazione metodologica di Gross è stata fortemente influenzata dalla linguistica descrittiva di Z. Harris, linguista americano che, a partire dai primi anni ’50, introdusse in modo sistematico la nozione di “trasformazione” e ne fece uno dei punti cardine del sistema sintattico1

1.1. Creatività

La creatività è una delle proprietà del linguaggio naturale che si riferisce alla capacità tipica degli esseri umani di produrre e comprendere un numero molto alto o infinito di frasi o enunciati che, in molti casi, non sono mai stati prodotti o ascoltati prima. Chomsky è interessato alla creatività non tanto come combinatoria di elementi quanto piuttosto come quella capacità degli esseri umani di generare frasi complesse a partire da frasi semplici grazie alla ricorsività. I meccanismi sintattici ricorsivi sono, ad esempio, la coordinazione, la relativizzazione, la subordinazione completiva, la subordinazione circostanziale2 e l’espansione dei sintagmi. Chomsky è quindi interessato alla creatività generata dalla ricorsività. Vediamo come si applicano ali meccanismi:

Coordinazione

A partire da un gruppo di frasi semplici come:

1. Maria legge il giornale2. Maria guarda la Tv

se c’è equivalenza tra il soggetto di (1) e il soggetto di (2) la trasformazione della coordinazione produce una frase complessa come:

a) Maria legge il giornale e guarda la Tv

in cui la seconda occorrenza di Maria è stata cancellata. Se alle due frasi semplici ne aggiungiamo una terza come:

3. Maria cucina il pollo

la coordinazione produrrà una frase complessa ancora più lunga :

b) Maria legge il giornale, guarda la Tv e cucina il pollo

in cui la virgola è equivalente alla congiunzione e. La coordinazione può quindi riapplicarsi ogni qualvolta vogliamo coordinare una frase semplice a una frase complessa contenente già più frasi semplici coordinate tra loro. Così, a partire da b) e data una quarta frase come:

4. Gianna assembla un computer

L’applicazione del meccanismo sintattico della coordinazione produrrà un’ulteriore frase complessa:

1 Graffi (2001, pp. 219) dice che il concetto di ‘trasformazione’ nasce ancora prima della linguistica strutturalista, in particolare con Wundt (1912) che già parla delle frasi passive come trasformazioni delle corrispondenti frasi attive e Frei (1929), anche se si trattava di accenni e osservazioni sporadiche. Harris invece fu il primo a trattare la nozione di trasformazione che Chomsky (allievo di Harris) sviluppò poi nel suo modello.2 Le trasformazioni come la coordinazione, la relativizzazione, la subordinazione circostanziale e completiva sono dette trasformazioni binarie perché concatenano almeno due frasi a differenza di quelle trasformazioni, come, ad esempio, il passivo, la pronominalizzazione (vedi sez. 11) che, applicandosi ad una sola frase, sono dette invece trasformazioni unarie (vedi Gross (1990)).

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b) Maria legge il giornale, guarda la Tv, cucina il pollo e Gianna assembla un computer

Questa volta però il soggetto di (4) non è stato cancellato perché non è equivalente a Maria. La coordinazione è uno di quei meccanismi sintattici ricorsivi, cioè riapplicabili all’infinito, che permette di produrre una frase complessa di lunghezza infinita.

Relativizzazione

A partire da due frasi come:

1. Maria ha visto un film2. Il film è di Scorsese

se l’oggetto diretto del verbo vedere in (1), cioè un film, è coreferente o equivalente al soggetto, il film, di (2), possiamo applicare la relativizzazione sostituendo il film di (2) con il pronome relativo che:

c) Maria ha visto un film che è di Scorsese

La relativizzazione è anch’essa un meccanismo ricorsivo perché la frase seguente:

3. Scorsese è un regista italo-americano

può essere aggiunta a c) grazie alla stessa operazione di sostituzione del nome con il pronome relativo che:

d) Maria ha visto un film che è di Scorsese che è un regista italo-americano

Subordinazione circostanziale

A partire da due o più frasi semplici come:

Lucia lavoraLucia studia

La subordinazione circostanziale permette di costruire frasi complesse come le seguenti:

Lucia lavora per studiareLucia lavora quando studiaLucia lavora dove studia

in cui dalla frase principale Lucia lavora dipende una frase subordinata che, ad esempio, può essere di tipo finale (per studiare), temporale (quando studia), locativa (dove studia) e così via.

Subordinazione completiva

La subordinazione completiva combina due frasi semplici come:

1. Gianni sa qualcosa2. Maria desidera qualcosa

in una frase come la seguente:

e) Gianni sa che Maria desidera qualcosa

in cui la congiunzione che permette al verbo sapere di introdurre una frase come (2). Anche la subordinazione completiva è un meccanismo sintattico ricorsivo perché la frase seguente:

3. Lucia parte per Milano

può essere aggiunta a e) grazie alla congiunzione che:

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f) Gianni sa che Maria desidera che Lucia parta per Milano

Tuttavia, la subordinazione completiva deve essere considerata una trasformazione che, a partire da un SN, genera la più semplice delle frasi complesse, o meglio un tipo di frase che è alla soglia tra frasi semplici e frasi complesse (vedi Parte II, sez.2.3).

Espansione dei sintagmi mediante aggiunzione

All’interno di una frase, ogni elemento nominale può essere espanso aggiungendo complementi a destra o a sinistra, come in:

1. Quel ragazzo ha letto un romanzo2. Il fratello di quel ragazzo ha letto un romanzo di una studentessa3. Il fratello di quel ragazzo con gli occhi azzurri ha letto un romanzo di una studentessa di Giulio

in cui è una preposizione a mettere in relazione due nomi, ad esempio fratello e ragazzo in (2) oppure studentessa e Giulio in (3). E’ possibile anche aggiungere frasi relative agli elementi nominali, come in:

Maria ha comprato un libro che ha le pagine ingiallite

D’altra parte, è proprio da una frase relativa che è possibile derivare un complemento preposizionale:

Maria ha comprato un libro (con le + dalle) pagine ingiallite

Il simbolo “+” indica una disgiunzione tra elementi in parentesi, così, in questo caso, pagine ingiallite può essere introdotto da con le o dalle.

Può darsi il caso che all’interno di una frase complessa sia stata applicata più volte sia la coordinazione, sia la relativizzazione sia la subordinazione completiva, come ad esempio in:

Ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di un film degli anni ’30, un film francese e un film indiano che ha vinto un premio speciale al Sundance Festival che è una manifestazione voluta da Robert Redford che sostiene che il cinema indipendente non venga ben rappresentato dalla grande distribuzione che, a sua volta, gli rinfaccia che ciò non è vero.

Proviamo a segmentare il discorso. La sequenza che segue:

Ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di un film degli anni ’30, di un film francese e di un film indiano

è il risultato della coordinazione applicata alle tre frasi:

[Ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di] un film degli anni ’30[Ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di] un film francese[Ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di] un film indiano

Le sequenze di parole tra parentesi quadre sono tra loro equivalenti e quindi una volta enunciata tale sequenza in apertura di frase possiamo poi cancellarla quando applichiamo la coordinazione:

Ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di un film degli anni ’30, ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di un film francese e ieri sera abbiamo assistito alla proiezione di un film indiano

La sequenza successiva:

che ha vinto un premio speciale al Sundance Festival che è una manifestazione voluta da Robert Redford

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contiene due frasi relative introdotte dal pronome relativo che. La prima frase relativa è un modificatore di un film indiano, e contiene una seconda frase relativa che modifica il gruppo nominale Sundance festival. Nell’ultima sequenza di parole:

che sostiene che il cinema indipendente non venga ben rappresentato dalla grande distribuzione che, a sua volta, gli rinfaccia che ciò non è vero.

la frase relativa che sostiene …. è un modificatore di Robert Redford e contiene a sua volta una subordinata completiva che il cinema indipendente…. In questa completiva è incassata un’altra frase relativa e cioè, che, a sua volta, gli rinfaccia, modificatrice di grande distribuzione. Infine, la relativa contiene un’altra subordinata completiva, che ciò non è vero. In altre parole, una frase può essere incassata in un’altra3.

La grammatica generativo-trasformazionale è fortemente orientata a considerare la creatività in quanto ricorsività e sono le forme di frase complesse ad essere analizzate a discapito delle forme di frase semplici.

Gli studi realizzati nell’ambito del lessico-grammatica sono invece fortemente orientati verso l’analisi delle frasi semplici almeno per due motivi. Il primo è che le frasi complesse sono combinazioni di frasi semplici ed è quindi necessario descrivere queste ultime prima di passare all’analisi di quei meccanismi sintattici ricorsivi che permettono di combinarle o concatenarle tra loro. Il secondo motivo è che all’origine della creatività non c’è solo la ricorsività ma ci sono anche le innumerevoli possibilità combinatorie esistenti già al livello di frase semplice. Così, dato un numero finito di parole riusciamo a costruire, a creare una gran quantità di combinazioni di parole, cioè un numero elevato di frasi. Ad esempio, a partire da un totale di 18 elementi lessicali dell’italiano contenuti nei seguenti insiemi:

interessantelibro avvincente

il documento notevolequel testo eccellentetale saggio è ottimoquesto trattato ben scritto

volume esemplareunico

possiamo produrre 192 frasi o enunciati tutti semanticamente vicini. L’aggiunta di nuovi elementi all’interno delle parentesi fa sì che si verifichi una crescita esponenziale del numero di frasi possibili, così, se nella lista a destra aggiungiamo la parola piacevole, le combinazioni possibili diventano 216.

A partire da un dizionario di 20.000 parole (numero molto inferiore alla realtà), il numero di frasi possibili, costituite da 20 parole, si aggira intorno a 1086. Gross (1975) dice che “tali numeri sono considerati infiniti nel trattamento automatico di numerosi problemi della fisica. Una “creatività” limitata a 1086 casi può dunque essere considerata come intuitivamente infinita, senza che ci sia bisogno di fare appello a dei meccanismi infiniti per rendere conto di tale ricchezza”.

1.2. La nozione di sintagma

Le regole di riscrittura a struttura sintagmatica e l’equivalente rappresentazione ad albero costituiscono gli elementi cardine all’interno della grammatica generativo-trasformazionale4. La frase nella GGT è rappresentata come una struttura bipartita:

F SN SVQuesta regola di riscrittura a struttura sintagmatica equivale alla seguente rappresentazione ad albero:

F

SN SV

Inoltre, il sintagma verbale (SV) può essere formato da un verbo seguito o meno da uno o più sintagmi, siano essi sintagmi nominali (SN) o sintagmi preposizionali (SP) e dunque la regola di riscrittura a struttura sintagmatica sarà:

3 Per i vari tipi di incassatura vedi Pinker (1994), in particolare capp. V e VII.4 Anche per ciò si rimanda a Pinker (1994) e ad Akmajan (1984)

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SV V (SN) (SP)

La nozione di frase come struttura bipartita non è lontana dalla divisione fatta nelle grammatiche tradizionali in Soggetto e Predicato (verbo e complementi). Pinker (1994) dice che nella GGT “un enunciato non è una catena: è un albero. In una grammatica umana, le parole sono raggruppate in sintagmi, come i ramoscelli uniti su di un ramo”. Così, data una frase come:

Quel quadro di Picasso angoscia l’amica di Maria

la nostra intuizione linguistica fa sì che le parole vengano raggruppate in un modo piuttosto che in un altro, cioè costruiamo sintagmi. Ad esempio, Picasso angoscia, quadro di, angoscia l’ non sono raggruppamenti naturali di parole, cioè sintagmi, mentre quel quadro di Picasso, l’amica di Maria e angoscia l’amica di Maria sono sintagmi, più esattamente i primi due sono sintagmi nominali mentre l’ultimo è un sintagma verbale, e quindi una frase del genere è rappresentata da un albero come il seguente:

F

SN SV

V SN

Quel quadro di Picasso angoscia l’amica di Maria

Come dice Akmajan (1984-1996), “a questo punto sorge spontanea una domanda, e cioè quali prove abbiamo per arrivare a specifici diagrammi […] ? Come sappiamo che la frase rappresentata da quell’albero è strutturata così come abbiamo mostrato? La risposta è che i diagrammi ad albero rappresentano ipotesi nella nostra teoria della sintassi, e sono validati da prove empiriche”. Dobbiamo cioè utilizzare determinati test formali o manipolazioni di frase per verificare se la nostra intuizione è convalidata dai dati. Tra i test formali utilizzati per effettuare tale verifica ricordiamo l’estrazione, la pronominalizzazione, la passivizzazione, la coordinazione e alcune operazioni come l’ininseribilità.

Estrazione o frase scissa

L’estrazione o frase scissa è una trasformazione che permette di spostare, isolare e focalizzare determinate raggruppamenti di parole grazie alla seguente forma:

Essere… che

Ora, se sequenze come quel quadro di Picasso e l’amica di Maria sono sintagmi nominali, cioè raggruppamenti unici, allora non possiamo spostare o isolare solo qualche elemento di quel raggruppamento ma l’intero sintagma e infatti, se applichiamo l’estrazione a quel quadro di Picasso avremo una frase accettabile:

E’ quel quadro di Picasso che angoscia l’amica di Maria

Se applichiamo l’estrazione a quel quadro, quadro di, di Picasso, il risultato sarà agrammaticale. L’agrammaticalità o inaccettabilità viene segnalata da un asterisco preposto alla frase:

* E’ quel quadro che di Picasso angoscia l’amica di Maria* E’ quadro di che quel Picasso angoscia l’amica di Maria* E’ di Picasso che quel quadro angoscia l’amica di Maria

Allo stesso modo, se applichiamo l’estrazione al sintagma l’amica di Maria, otteniamo una frase accettabile, ma se l’applichiamo solo a una parte di tale sintagma il risultato sarà inaccettabile:

E’ l’amica di Maria che quel quadro di Picasso angoscia

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* E’ l’amica che di Maria angoscia quel quadro di Picasso* E’ di Maria che l’amica angoscia quel quadro di Picasso

Pronominalizzazione

Oltre all’estrazione, un altro test formale utilizzato per individuare i sintagmi è la pronominalizzazione. Data una frase come:

Molte ragazze leggono il giornale

la pronominalizzazione applicata ai sintagmi molte ragazze e il giornale produce frasi grammaticali:

Loro leggono il giornaleMolte ragazze lo leggonoLoro lo leggono

Se è applicata solo a ragazze oppure solo a giornale produce frasi inaccettabili:

* Molte loro leggono il giornale* Molte ragazze lo leggono il

Passivizzazione

Anche la trasformazione di passivizzazione, che mette in gioco la permutazione del soggetto e dell’oggetto diretto, permette di verificare l’esistenza dei sintagmi nominali. Così data la frase:

Quell’architetto ha progettato alcuni musei

possiamo permutare le intere sequenze alcuni musei e quell’architetto ma non solamente parte di esse:

Alcuni musei sono stati progettati da quell’architetto*Alcuni sono stati progettati musei da quell’architetto*Quell’ alcuni musei sono stati progettati da architetto

Coordinazione

La trasformazione binaria della coordinazione non è applicabile a partire da sintagmi di diverso tipo. Così date le frasi:

1. Maria mangia la pizza2. Maria mangia un gelato3. Maria mangia al ristorante

è possibile applicare la coordinazione a la pizza e un gelato in (1) e (2) perché sono entrambi sintagmi nominali:

Maria mangia la pizza e un gelato

ma non a (1) e (3), o (2) e (3) perché al ristorante è un sintagma preposizionale:

*Maria mangia la pizza e al ristorante*Maria mangia un gelato e al ristorante

Date le due frasi:

Maria mangia la pizzaMaria beve la birra

È possibile coordinare le due sequenze mangia la pizza e beve la birra perché si tratta di due sintagmi verbali:

Maria mangia la pizza e beve la birra

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Ininseribilità

Il principio dell’ininseribilità non ci permette di interrompere un sintagma inserendo materiale lessicale appartenente ad altri sintagmi. Così, data una frase come:

Quell’architetto ha progettato alcuni musei

non possiamo inserire l’aggettivo alcuni all’interno della sequenza ha progettato:

* Quell’architetto ha alcuni progettato musei

così come non possiamo inserire ha all’interno della sequenza quell’architetto:

*Quell’ ha architetto progettato alcuni musei

Tuttavia, Gross critica l’ipotesi sintagmatica (così come fa Harris) perché priva di fondamento, scartandola dalla metodologia lessico-grammaticale. L’esistenza dei sintagmi verbali è messa in dubbio da Gross (1975) il quale dice che “non esiste nessuna trasformazione che mette in gioco uno spostamento di SV”. In effetti, lo stesso criterio di ininseribilità di elementi lessicali all’interno di un SV non dà risultati completamente inaccettabili:

1. Molte ragazze hanno letto il giornale l’anno scorso2. ?? Hanno letto, molte ragazze, il giornale l’anno scorso3. Molte ragazze hanno letto, l’anno scorso, il giornale 5

Così come la frase scissa o l’estrazione non è applicabile ai sintagmi verbali:

Maria bacia Marco* E’ bacia Marco che Maria

La stessa pronominalizzazione prevede solo l’utilizzazione di una espressione come FARE + LO:

Molte ragazze hanno letto il giornaleMolte ragazze lo hanno fatto

D’altra parte – dice Gross (1975) “la nozione di sintagma nominale pone essa stessa un certo numero di problemi”, così l’estrazione non è applicabile a tutti i gruppi nominali:

Maria non ha visto nessun difetto*E’ nessun difetto che Maria non ha visto

Numerosi invitati sono arrivati* Sono numerosi invitati che sono arrivati

Gross conclude che “la situazione è tale che abbiamo preferito non utilizzare del tutto questa notazione nelle nostre descrizioni, e facciamo uso solo del simbolo N per precisare in modo informale le strutture che studiamo”.

Nella grammatica generativo-trasformazionale viene introdotta la nozione di "X-barra" (vedi Jackendoff 1977), per cui la sequenza sottolineata all’interno della frase seguente:

Luca ha incontrato l’amica di Maria che viene dal Giappone

non è un SN ma un N complesso che può contenere più sottolivelli, come mostra la rappresentazione ad albero:

5 Graffi (1994) esplicita i criteri per l’individuazione dei sintagmi (cap. 3), ma dice “i nostri criteri, nel caso del gruppo verbale, non danno dei risultati così netti come avveniva per altri costituenti […] la spiegazione di queste differenze va ricondotta al fatto che il gruppo verbale è un costituente «alto»: esso è cioè costituito, il più delle volte, di altri costituenti; ad esempio un gruppo verbale come hanno chiamato quel numero è formato da un verbo ausiliare, dal participio di un verbo lessicale e da un gruppo nominale (quel numero). Naturalmente, anche altri costituenti possono essere formati da costituenti di livello inferiore: ad es. un gruppo nominale come una ragazza molto intelligente , uno dei costituenti del quale è un gruppo aggettivale, molto intelligente. Una generalizzazione che si può trarre è dunque la seguente: più un costituente è complesso, nel senso che contiene altri costituenti non ultimi, più vi si può inserire altro materiale” (pag.84).

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SN

Modif DET N che viene dal Giappone N SP l’ amica di Maria

In realtà – dice Gross - la notazione “X-barra” è stata introdotta per la prima volta da Harris agli inizi degli anni ‘70 con l’utilizzazione degli indici numerici. Per Harris, a partire da un nome come ragazzo, annotato N1, è possibile costruire la forma al plurale:

N1 – i = N2 ragazzi

Se poi il nome è preceduto da un determinante (Det) avremo:

Det N2 = N3 i ragazzi

mentre l’inserimento di un aggettivo (A) preposto e/o postposto al nome produrrà nuovi livelli del tipo:

A N3 = N4 i bei ragazziN4 A = N5 i bei ragazzi stranieri

Quindi Harris attribuisce all’N testa un ruolo centrale per la formazione di un gruppo nominale, perché è il nucleo intorno al quale si articolano determinanti e modificatori che vengono aggiunti secondo una gerarchia molto precisa. L’indice numerico che Harris associa all’N corrisponde al numero di barre che possono essere soprascritte all’N nella GGT6.

1.3. Grammaticalità e accettabilità

Abbiamo usato intercambiabilmente i termini grammaticale/agrammaticale, accettabile/inaccettabile per riferirci alle combinazioni di parole ammissibili o non ammissbili all’interno di una lingua naturale. Abbiamo anche detto che l’asterisco, “*”, preposto a una frase indica che siamo di fronte a una combinazione di parole che non appartiene alla lingua presa in esame. Invece, il punto interrogativo, preposto alla frase, indica un dubbio su quella particolare combinazione di parole. In realtà, per Chomsky la grammaticalità - e il suo contrario, l’agrammaticalità – appartiene al livello sintattico mentre il binomio accettabilità/inaccettabilità appartiene al livello semantico. Così, una frase come:

Idee verdi incolori dormono furiosamente

è una frase grammaticale perché rispetta la buona combinazione degli elementi lessicali all’interno di una frase ma, da un punto di vista semantico, è inaccettabile perché è molto difficile, anche se non impossibile, assegnare a tale frase un’interpretazione. La distinzione tra grammaticalità e accettabilità rispecchia il punto di vista chomskiano in base al quale la sintassi è assolutamente prioritaria rispetto alla semantica e da essa indipendente. Quindi, mentre la nozione di grammaticalità riguarda la forma, la nozione di accettabilità riguarda il significato. D’altra parte, Chomsky associa l’accettabilità anche alla lingua in quanto esecuzione (opposta alla competenza). Gross invece utilizza unicamente accettabile/inaccettabile per riferirsi alle combinazioni di parole ammissibili o non-ammissibili in una data lingua e dice che “l’accettabilità è in effetti una nozione molto complessa che comporta delle intuizioni di forma e di senso, e che dipende da numerosi fattori culturali”.

Il fatto che alcune combinazioni di parole siano più o meno plausibili da un punto di vista interpretativo è solamente un fatto di gradualità, cioè di verosimiglianza di occorenza – come dice Harris (1988). In altre parole è più probabile o verosimile che a sinistra del verbo dormire occorra un elemento nominale che si riferisce a un essere animato, come in:

6 vedi Gross (1997) e Graffi (2001), di quest’ultiimo in particolare pagg.288, 289, 370.

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Il (bambino + cane) dorme

piuttosto che un elemento nominale di tipo non-animato come nella frase:

Le pietre dormono

Ancora meno probabile, anche se non impossibile, sarà un elemento nominale di tipo astratto come:

Idee verdi incolori dormono furiosamente

1.4. Raccolta dei dati, regole ed eccezioni

La grammatica generativo-trasformazionale (GGT) ha avuto il merito di portare alla luce un gran numero di fenomeni completamente nuovi, ma non è mai stata verificata la portata, l’estensione di tali fenomeni per una data lingua. In altre parole, i meccanismi sintattici devono essere studiati in rapporto al lessico di una lingua in modo sistematico. La motivazione fondamentale di un tale studio sistematico è che, una volta fatta un’ipotesi in base a pochi dati e proposta una teoria, è poi necessario andare a verificare l’adeguatezza di quella teoria su un numero esaustivo di dati e non più solo su pochi esempi. Dice Gross (1975) “dopo l’inizio del secolo scorso, i linguisti sembrano avere rinunciato a costituire degli inventari” forse perché un’impresa di tal genere sembrava impossibile da portare a termine vista la straordinaria ricchezza di forme sintattiche esistenti. Invece, è un’attività fondamentale, ed è appunto questo il programma di ricerca che si propone di portare avanti Gross raccogliendo e classificando i dati in database elettronici di cui parleremo in modo più dettagliato nella Parte II.

A partire dai primi anni ’70, Gross e i suoi collaboratori decidono di verificare l’applicabilità del modello teorico GGT, così, Gross (1975) analizza circa 3.000 verbi del francese che accettano la subordinazione completiva mentre BGE (1976) esamina in modo sistematico circa 7.000 entrate verbali del francese, transitive e intransitive (non a completiva). Nel frattempo, si cominciano a costruire grammatiche esaustive anche per i verbi dell’italiano; Elia (1978) è una delle prime analisi esaustive dei verbi a completiva, mentre EMDA (1981) contiene la descrizione di circa 5.000 verbi dell’italiano transitivi, intransitivi e a completiva. Gross e i suoi collaboratori verificano le regole sintattiche (o trasformazioni) su ogni singolo verbo e si accorgono che tali regole non sono applicabili in modo omogeneo e sistematico. Al contrario, l’applicabilità di tali proprietà è estremamente “irregolare”, molte sono le “eccezioni” e le idiosincrasie. Nelle sezioni che seguono vedremo qualche esempio di irregolarità.

Completive e infinitive

In italiano, le due frasi:

a. Luca pensa che lui sia socievoleb. Luca desidera che lui sia socievole

pur avendo entrambe lo stesso tipo di soggetto, Luca, e un’identica subordinazione completiva (la sequenza sottolineata), ricevono interpretazioni diverse. Infatti, in (a) lui può riferirsi sia a Luca, cioè il soggetto della subordinata è coreferente con il soggetto della frase principale, sia a qualche altro individuo. Nella frase (b), invece, Luca e lui non possono riferirsi alla stessa persona, quindi il soggetto della subordinata non può essere coreferente con il soggetto della frase principale. Diremo che (a) è ambigua perché possiamo assegnare ad essa due interpretazioni, una in cui Luca è coreferente con lui (Luca = lui) e un’altra in cui Luca è diverso da lui (Luca ≠ lui), invece la frase (b) non è ambigua perché Luca ≠ lui. Se c’è coreferenza tra Luca e lui in (a), è possibile derivare dalla subordinata completiva una infinitiva (la “i” in pedice indica la coreferenza):

Lucai pensa che lui siai socievole Luca pensa di essere socievole

Otteniamo tale derivazione applicando alla completiva la cancellazione della congiunzione (che 0) e del pronome coreferente (lui 0), la sostituzione del verbo da modo finito a modo infinito (sia essere) e l’inserimento della preposizione di7. Al contrario, in (b) non può esserci coreferenza tra Luca e lui, e infatti la frase seguente è inaccettabile:

7 Questa manipolazione di frase si chiama Equi NP Deletion, in cui Equi è l’abbreviazione per Equivalent e NP è l’abbreviazione di Noun Phrase, in italiano la trasformazione si chiama cancellazione di SN equivalenti.

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*Lucai desidera che luii sia socievole

Tuttavia, l’unico modo per esprimere coreferenza è applicare obbligatoriamente la cancellazione della congiunzione (che 0) e del pronome coreferente (lui 0), la sostituzione del verbo da modo finito a modo infinito (sia essere). Otteniamo una frase accettabile:

Luca desidera essere socievole

In quest’ultimo caso, però, l’inserimento della preposizione di non deve essere applicato altrimenti avremmo la frase inaccettabile *Luca desidera di essere socievole. Ciò dimostra che due verbi dello stesso tipo (e, come vedremo dopo, appartenenti alla stessa classe lessico-grammaticale) accettano interpretazioni e proprietà trasformazionali in parte diverse. Le proprietà semantiche e sintattiche sono dunque lessico-dipendenti.

Forma attiva - passiva

La passivizzazione – generalizza la GGT – si applica ogni qualvolta un verbo è seguito da un oggetto diretto. Tale trasformazione mette in relazione due frasi come Marco canta una canzone inglese e Una canzone inglese è cantata da Marco. Una tale affermazione è inattendibile perché si basa solo su pochi esempi di frase, non sono mai stati effettuati cioè studi sistematici in cui la passivizzazione viene testata su una quantità esaustiva di dati. Ad esempio, il verbo ricevere si comporta in modo irregolare rispetto all’applicazione della trasformazione passiva:

1. Maria ha ricevuto molti bei regali ↔ Molti bei regali sono stati ricevuti da Maria

2. Questo problema riceverà tutta la nostra attenzione↔ * Tutta la nostra attenzione sarà ricevuta da questo problema

In (2) ricevere ha un significato metaforico che dipende unicamente dal tipo di elemento nominale presente a destra e a sinistra del verbo stesso8. Anche un verbo come toccare si comporta in modo irregolare per quanto riguarda la correlazione di frase attiva-passiva:

3. Paolo ha toccato (le gambe di Maria + Maria)↔ (Le gambe di Maria + Maria) sono state toccate da Paolo

4. (Le spalle di Paolo + le sedie) toccano la parete↔ * La parete è toccata dalle (spalle di Paolo + sedie)

5. Quel film toccherà Maria↔ Maria sarà toccata da quel film

Gli esempi in (3) indicano un uso “concreto” del verbo in questione, parafrasabile con “tastare”, mentre in (5) il verbo ha un significato di tipo “psicologico”; in entrambi i casi il passivo è accettabile. Invece, in (4), laddove il verbo toccare ha significato diverso da (3), cioè “essere accostato a”, il passivo è inaccettabile. Ancora una volta, il tipo di elemento nominale presente a destra e a sinistra del verbo può determinare l’accettabilità della correlazione tra frasi attive-passive. Lo stesso fenomeno lo ritroviamo negli esempi di frase:

Quel ragazzo ha meritato la promozione↔ La promozione è stata meritata da quel ragazzo

La notizia merita una conferma↔ * Una conferma è meritata dalla notizia9

L’analisi di queste correlazioni tra frasi rendono dubbia l’affermazione che il passivo sia accettato da tutte quelle frasi in cui il verbo è seguito da un oggetto diretto.

8 Per questo tipo di argomentazione si veda Gross (1978).9 Per una discussione più dettagliata sull’accettabilità del passivo in casi come questi vedi D’Agostino (1992).

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Gross dice che, in fin dei conti, nulla è cambiato nelle grammatiche generativo-trasformazionali rispetto alle grammatiche tradizionali. Le grammatiche tradizionali descrivevano una regola e citavano poi le “eccezioni” a tale regola. La grammatica generativo-trasformazionale, pur avendo costruito un grande impianto teorico e un’architettura del linguaggio di grande impatto, non va molto oltre quando afferma l’esistenza di regole generalizzabili e di eccezioni a tali regole, il che – continua Gross – è scientificamente inammissibile. A differenza delle grammatiche tradizionali, oggi abbiamo tutti gli strumenti per poter quantificare e misurare i comportamenti regolari e i comportamenti eccezionali. Solo dopo aver fatto questa operazione di quantificazione, e non prima, è possibile fare delle generalizzazioni. Perché la GGT non ha mai fatto questa verifica ? Probabilmente perché tale quantificazione avrebbe messo in evidenza che le “regole” hanno lo stesso peso delle “eccezioni” all’interno del funzionamento di una lingua. E se le eccezioni sono numerosissime tanto da non poter essere più definite tali, allora la nostra competenza linguistica non è innata ma la acquisiamo nel corso dei primi anni della nostra vita. Se così fosse, bisogna ripensare allora a quanto è effettivamente parte del nostro corredo genetico e quanto invece fa parte della nostra memoria linguistica10.

1.5. Struttura della frase

Abbiamo visto che l’accettabilità della frase passiva dipende non solo dalla presenza di un oggetto diretto ma anche dal tipo di elemento nominale che tale complemento diretto contiene. Inoltre, il tipo di soggetto influenza l’accettabilità di una correlazione come quella tra frase attiva-frase passiva. Se l’accettabilità della passivizzazione dipende anche dall’elemento nominale in posizione soggetto, allora è possibile che esista una relazione di dipendenza tra verbo e gruppo nominale in posizione soggetto che non è rappresentabile mediante gli alberi di Chomsky. Infatti, data la rappresentazione di una frase come Quella notizia merita una conferma:

F

SN SV

V SN

Quella notizia merita una conferma

il SN soggetto è – in termini generativisti - dominato da F, mentre il SN in posizione oggetto diretto è dominato da SV. In altre parole, la rappresentazione ad albero non mostra alcun tipo di dipendenza o di relazione tra il soggetto e il verbo. Invece, afferma Gross (1980), esistono delle dipendenze di natura non-locale (cioè non interna ai sintagmi) che devono essere prese in considerazione. Ad esempio, il verbo abitare può entrare in una struttura di frase in cui può essere seguito da un oggetto diretto (cancellazione di una preposizione locativa) indicante un luogo:

Max abita (quella + nella) casa in campagna

Tuttavia, sono presenti particolari restrizioni (distribuzionali) sia sul soggetto sia sull’oggetto diretto selezionati dal verbo e in relazione tra loro:

Max abita (quella + nella) casa in campagnaMax abita (*E11 + a) New York Max abita (*la + nella) vallata

Questi esempi mostrano che non tutti gli elementi nominali di tipo locativo sono accettati in posizione oggetto diretto, ma ciò dipende dal tipo di elemento nominale presente in posizione soggetto:

Una tribù abita (la + nella) casa in campagnaUna tribù abita (E + a) New York

10 Per Chomsky la memoria è finita mentre la competenza linguistica è infinita. 11 Il simbolo “E” sta per EMPTY ed è una notazione utilizzata per indicare che, in una determinata posizione, non occorre nessun elemento lessicale o grammaticale.

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Una tribù abita (la + nella) vallata

Un soggetto “collettivo” come tribù rende accettabili anche quelle frasi che prima erano inaccettabili. Il soggetto quindi dipende dal verbo ed entra in relazione con i complementi.

2. La grammatica in operatori e argomenti di Harris

Se il soggetto (e non solo i complementi) dipende dal verbo, allora le frasi sono concatenazioni di elementi che si sviluppano intorno al verbo, che è dunque l’elemento cardine, il perno, l’elemento pivot che permette di mettere in relazione gli N alla sua destra e alla sua sinistra (se ce ne sono). Il sistema combinatorio in base al quale costruiamo gli enunciati in una lingua naturale è una grammatica in operatori e argomenti così come è stato elaborata da Harris (1976) e ripresa, a livello metodologico da Gross. Per Harris sono operatori tutti quegli elementi lessicali che sono gli elementi centrali intorno ai quali si sviluppa e si organizza una frase e che hanno la funzione di mettere in relazione i complementi o, in termini harrisiani, gli argomenti tra loro. Così, nella frase:

Le ragazze leggono il giornale

il verbo leggere è l’operatore, cioè l’elemento centrale su cui l’intera frase è costruita, che mette in relazione l’N in posizione soggetto, ragazze, e l’N in posizione oggetto diretto, giornale, cioè gli argomenti di tale operatore. Se usiamo il simbolo O (‘o’ maiuscola) per indicare l’operatore e n (‘n’ minuscola) per indicare gli argomenti, allora avremo la seguente rappresentazione:

Onn =:Le ragazze leggono il giornale

cioè l’operatore leggere (O) ha come argomenti un soggetto (n) e un oggetto diretto (n). Al contrario, un operatore come il verbo dormire ha un solo argomento:

On =: Paolo dorme

Un verbo come andare è invece un operatore a tre argomenti:

Onnn =:Mario va da Roma a Milano

Abbiamo visto però che ci sono alcuni verbi che, come complementi, possono selezionare non solo un elemento nominale ma, in alternativa, anche una frase introdotta dalla congiunzione che, come in:

1. Gianni dice una barzelletta a Maria 2. Gianni dice che piove a Maria

Ora, che piove è detto anche complemento frastico proprio perché quel complemento è realizzato da una frase12. Si tratta quindi di un complemento un po’ più complesso di quello sottolineato in (1) che è invece un argomento elementare proprio perché è realizzato da un elemento nominale semplice come barzelletta. Le completive non sono argomenti elementari bensì argomenti non-elementari. Tali argomenti non-elementari sono simboleggiati da una o (‘o’ minuscola) proprio perché al loro interno contengono un altro operatore, nell’esempio (2) il verbo piovere. Così, un verbo come dire sarà rappresentato harrisianamente:

Onon =:Gianni dice che piove a Maria

In altre parole, dire è l’operatore (O), Gianni è l’argomento elementare (n) a sinistra dell’operatore mentre che piove è l’argomento non-elementare (o) e a Maria è l’argomento elementare (n), entrambi a destra del operatore dire.

D’altro canto, in una frase come Che tu sia partita rallegra Maria, gli argomenti dell’operatore rallegrare sono che tu sia partita, cioè una completiva in posizione soggetto (o soggettiva) e Maria, l’oggetto diretto del verbo. Il primo è un argomento non-elementare, il secondo un argomento elementare. Avremo dunque la seguente rappresentazione:

12 Nella grammatica tradizionale, come abbiamo già accennato, si parla di subordinazione che realizza una frase oggettiva.

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Oon =:Che tu sia partita rallegra Maria

Harris usa quindi una rappresentazione di tipo concatenativo: le frasi sono cioè concatenazioni di elementi anche se uno solo di questi elementi (l’operatore) ha la funzione di mettere in relazione gli altri (gli argomenti, elementari e non-elementari). Inoltre, Harris non fa differenza tra i complementi diretti e preposizionali (o indiretti) che sono rappresentati in modo equivalente (vedi l’esempio con il verbo dire).

Finora abbiamo dato esempi di frasi in cui è il verbo ad avere la funzione di operatore, ma per Harris l’operatore non è solo o necessariamente un verbo, può essere un nome, un aggettivo, una preposizione. Nelle frasi seguenti:

1. Carlo è un attore 2. Carlo fa l’attore3. Carlo è il marito di Laura

l’operatore non è né il verbo essere né il verbo fare bensì attore nel caso di (1) e (2), e marito nella frase (5). Ma, mentre (3) e (4) realizzano un operatore a un solo argomento, Carlo, la frase (3) è costruita intorno a un operatore a due argomenti, Carlo e Laura. La rappresentazione sarà la seguente:

On =:Carlo è un attoreCarlo fa l’attore

Onn =:Carlo è il marito di Laura

Anche i nomi possono essere operatori su operatori, cioè operatori che presentano argomenti non-elementari, come in:

Pietro ha la certezza (che ci sarà + di esserci)

In questo caso certezza è un operatore (O) a due argomenti di cui uno elementare (n), Pietro, e l’altro non-elementare (o), cioè la completiva che ci sarà oppure l’infinitiva di esserci. Nelle frasi:

Mario è carico di libriMarta è nudaPietro è certo (che ci sarà + di esserci)

sono gli aggettivi a svolgere la funzione di operatore. Rispettivamente, carico è un operatore a due argomenti elementari (Onn), nuda è un operatore a un solo argomento elementare (On), mentre l’aggettivo certo è un operatore a due argomenti di cui quello alla sua destra è un argomento non-elementare (Ono).

Anche le preposizioni possono mettere in relazione gli argomenti, possono essere cioè operatori. Negli esempi di frase che seguono gli operatori sono le preposizioni con e tra:

Onn =:Maria è con Marco

3. IL Lessico-grammatica

Abbiamo visto quali sono i motivi per cui Gross non crede che il modello GGT sia adeguato per descrivere la grammatica di una lingua naturale. In particolare, critica la nozione di sintagma (e quindi la rappresentazione ad albero), sostiene che l’applicabilità delle trasformazioni è tutta da verificare e non è d’accordo sul fatto che la frase sia una struttura bipartita. Rispetto a quest’ultimo punto Gross sostiene, mutuando la grammatica in operatori e argomenti di Harris, che la frase sia una concatenazione di elementi costruita in base a un operatore e ai suoi argomenti. Inoltre, Gross ritiene opportuno costruire innanzitutto una grammatica delle frasi semplici invece che delle frasi complesse per due motivi fondamentali, la creatività come combinazione di elementi lessicali e la riduzione di frasi. La creatività, fenomeno tipico delle lingue naturali, cioè la capacità che hanno i parlanti di produrre un numero illimitato di frasi, è già presente a un livello puramente combinatorio; non è quindi necessario andare a scomodare la ricorsività per rendere

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evidente la creatività, ricorsività che produce a sua volta frasi complesse. Le frasi complesse – dice Gross – sono a loro volta riconducibili e riducibili a frasi semplici e quindi è necessario analizzare queste prima di passare ad un livello superiore, cioè alle frasi complesse.

Punto di partenza per Gross e la metodologia lessico-grammaticale è quindi l’analisi della frase semplice: “ Harris sostiene” – dice Gross (1975) – “che (il significato o) l’informazione sono contenuti nelle frasi semplici e che le variazioni di forma (cioè le trasformazioni) costituiscono un «rumore» che bisogna eliminare per poter cogliere il senso. Mette quindi l’accento sullo studio delle trasformazioni che, applicate alle frasi complesse, permettono di analizzarle in frasi semplici. Harris ottiene dunque la descrizione delle frasi semplici come una semplice conseguenza della descrizione trasformazionale. Malgrado certe difficoltà di determinazione a priori della nozione di frase semplice, abbiamo preso tale nozione come punto di partenza”13. In altre parole, mentre per Harris le frasi nucleari o frasi semplici costitusicono il punto di arrivo, per Gross la descrizione delle frasi semplici costituisce il punto di partenza per la costruzione della grammatica di una lingua naturale. All’interno della metodologia lessico-grammaticale (LG), le frasi semplici o frasi elementari sono le unità minime dotate di significato, ciò vuol dire che, ad esempio, un verbo come abbattere può essere associato a uno o più significati (usi verbali) solo se inserito all’interno di strutture di frase (direbbe Harris il verbo abbattere, al di fuori di un contesto di frase, ha significato generico ma non produce informazione). Abbiamo così:

Il macellaio ha abbattuto la vacca “uccidere”Gli operai hanno abbattuto la parete “demolire”Quella storia drammatica mi ha abbattuto “demoralizzare”14

Il verbo abbattere ha significato diverso (come si può dedurre dalle parafrasi date tra virgolette) in ognuna di queste frasi. Allo stesso modo, anche un verbo come abbandonare, se inserito in diversi contesti di frase, può avere più di un significato:

Ha abbandonato (il tennis + il calcio + …) “non praticare più un’attività sportiva”Ha abbandonato (la moglie + il marito + ….) “separarsi o dividersi da qualcuno”Ha abbandonato i dischi in vinile in cantina “lasciare e trascurare qualcosa”

L’intuizione dei parlanti, il giudizio di accettabilità e la costruzione dei dati

L’attività di analisi e di descrizione dei fenomeni linguistici si basa sulla costruzione di esempi e contro-esempi. I dati oggetto di analisi sono costruiti e accumulati in base all’intuizione del linguista e al suo giudizio di accettabilità. A differenza di altri settori scientifici, come ad esempio la botanica o la zoologia, i dati non sono “esterni” a noi e quindi direttamente osservabili quanto piuttosto devono essere resi tali. Si potrebbe obiettare che per il linguista i dati “esterni” sono quelli appartenenti a un corpus o i dati registrabili. In realtà, se i linguisti tenessero conto solo dei dati “esterni” immediatamente registrabili, rappresentabili da un corpus scritto (ad esempio tutte le annate di “La Repubblica”, dalla sua nascita ad oggi), sarebbero costretti a considerare solo dati parziali, ecco perché i linguisti raccolgono e costruiscono i dati non solo in base a corpus (pre)esistenti ma soprattutto in base al proprio giudizio di accettabilità e alla propria intuizione linguistica.

3.1. I complementi essenziali in una frase semplice: cancellazione e riduzione

Ad un livello puramente intuitivo possiamo dire che le strutture di frase elementare (o frasi semplici) contengono solo quegli elementi necessari e sufficienti affinché tali frasi siano accettabili. Così, negli esempi seguenti:

1. Maria pranza a Roma

13 pag. 19. Harris (1988-1995, pag.102 e seguenti), distingue il significato dall’informazione: le parole isolate hanno un significato, ma sono le strutture di frase che sono portatrici di informazione, “la maggior parte della informazione presente nel linguaggio può essere individuata strutturalmente – si potrebbe persino dire: è fondata sulla struttura”.

14 Una frase come La polizia ha abbattuto i dimostranti è ambigua perché può significare sia che la polizia ha ucciso i dimostranti sia che li ha demoralizzati.

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2. Rosa abita a Roma

se cancelliamo il complemento a Roma otteniamo due risultati diversi:

1a. Maria pranza2a. *Rosa abita

L’accettabilità di (1a) e l’inaccettabilità di (2a) ha come conseguenza il fatto che il complemento a Roma è necessario in (2), ma è un complemento non-necessario in (1). Quindi, il verbo pranzare non richiede alcun complemento alla sua destra affinché venga prodotta una frase accettabile, mentre il verbo abitare ha bisogno di tale complemento. Come dice lo stesso Pinker (1994-97, pag.104), “perché un enunciato suoni grammaticale, devono essere soddisfatte le richieste del verbo”. Allo stesso modo, date le due frasi:

3. Maria ha messo una nuova macchina nel garage4. Rosa ha inventato una nuova macchina nel garage

il complemento preposizionale nel garage può essere omesso in (4) ma non in (3):

3a. *Maria ha messo una nuova macchina4a. Rosa ha inventato una nuova macchina

Se continuiamo a cancellare i complementi a destra dei verbi, anche (4a) diventerà inaccettabile:

3b. *Maria ha messo 4b. *Rosa ha inventato15

Il verbo mettere ha bisogno di due complementi alla sua destra, un complemento diretto come l’auto e un complemento preposizionale come nel garage, mentre il verbo inventare richiede a destra solo un complemento diretto.

Il criterio di base per identificare la struttura di frase elementare è quindi l’applicazione della cancellazione dei complementi, siano essi diretti o preposizionali. Se la cancellazione di un complemento produce inaccettabilità allora tale complemento è richiesto dal verbo. I complementi richiesti o selezionati dal verbo li chiamiamo argomenti o complementi di verbo. I complementi non richiesti dal verbo ma che aggiungono altra informazione alla frase li chiamiamo complementi di frase, oppure complementi circostanziali o non essenziali. Oltre ai complementi di verbo e ai complementi di frase, chiameremo complementi di nome quei complementi che dipendono direttamente da un nome. Così, nella frase:

Maria ha messo la macchina del fratello nel garage

la sequenza del fratello è un complemento di nome, proprio perché è strettamente dipendente dal nome che li precede (e non dal verbo). Tali complementi, che, espandendo il sintagma nominale (vedi 1.5), forniscono ulteriore informazione su di esso, sono il risultato di una riduzione a partire da una frase relativa, come in:

Maria ha messo la macchina che è del fratello nel garage [che è 0] Maria ha messo la macchina del fratello nel garage

Ritorniamo all’identificazione dei complementi di verbo. Possiamo trovarci di fronte a dei casi in cui la cancellazione dei complementi di verbo produce frasi accettabili. Così, a partire dalle frasi che seguono:

5. Maria mangia la pizza al ristorante6. Maria studia la matematica a casa sua

è possibile cancellare sia i rispettivi complementi preposizionali, al ristorante e a casa sua, ottenendo due frasi accettabili:

5a.Maria mangia la pizza6a.Maria studia la matematica

sia i rispettivi complementi oggetto la pizza e la matematica :

15 Questa frase è accettabile se l’interpretiamo in un senso diverso da fare un’invenzione, come ad esempio “immaginare”, “dire bugie”.

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5b.Maria mangia6b.Maria studia

A questo punto dovremmo concludere che i verbi mangiare e studiare non selezionano, non reggono alla loro destra nessun complemento e che quindi né i complementi oggetto né quelli preposizionali sono complementi di verbo. Tuttavia, la nostra intuizione di parlanti va contro questa conclusione, perché condizione necessaria di questi due verbi è che bisogna necessariamente mangiare o studiare qualcosa, così come dobbiamo necessariamente mettere qualcosa in qualche luogo oppure inventare qualcosa (vedi esempi precedenti). La nostra intuizione è in contrasto con il risultato della cancellazione, perché ci sembra che mangiare e studiare selezionano un complemento di verbo, in particolare un oggetto diretto. Abbiamo bisogno quindi di un’ulteriore verifica e per fare ciò applichiamo un test di cui parla Harris (1976) per distinguere i complementi circostanziali dai complementi essenziali. Harris dice che i complementi circostanziali (o avverbiali) sono riduzioni a partire da una frase mentre non lo sono i complementi essenziali. Riprendiamo le frasi (5) e (6):

5. Maria mangia la pizza al ristorante6. Maria studia la matematica a casa sua

Abbiamo ipotizzato che i complementi preposizionali al ristorante e a casa sua, proprio perché cancellabili, sono dei circostanziali. Tali complementi – dice Harris - sono il risultato di una riduzione a partire da una frase più lunga. Quindi la frase (5) è derivabile da:

Maria mangia la pizza e ciò (avviene + succede) al ristorante Maria studia la matematica e ciò (avviene + succede) a casa sua

Quindi, se è applicabile una parafrasi del tipo e ciò (avviene + succede) …. allora quel complemento è un complemento di frase o circostanziale. Lo stesso tipo di parafrasi non è applicabile a un complemento di verbo, infatti in una frase come:

Paolo va al ristorante il sabato

il complemento preposizionale al ristorante è un complemento di verbo e non un complemento circostanziale perché non esiste una relazione di parafrasi con:

*Paolo va e ciò (avviene + succede) al ristorante il sabato

mentre il sabato è complemento circostanziale perché è il risultato di una riduzione di frase:

Paolo va al ristorante e ciò (avviene + succede) il sabato

Diciamo quindi che la cancellazione e il test harrisiano della riduzione confermano la nostra intuizione che nelle frasi (5) e (6) i complementi preposizionali sono complementi di frase. A questo punto applichiamo il test di Harris ai complementi oggetto di (5) e (6). Ricordiamo che il test della cancellazione non conferma la nostra intuizione che la pizza e la matematica siano complementi essenziali, rispettivamente dei verbi mangiare e studiare, perché sono cancellabili. Ma vediamo cosa succede se applichiamo la parafrasi e ciò avviene… :

*Maria mangia e ciò (avviene + succede) la pizza*Maria studia e ciò (avviene + succede) la matematica

Produciamo due frasi inaccettabili, quindi i complementi oggetto sono complementi di verbo mentre i complementi preposizionali sono complementi di frase dei verbi studiare e mangiare. I verbi mangiare e studiare entrano in una struttura di frase elementare che possiamo rappresentare come segue (gli indici numerici indicano la successione degli N, N0 indica il soggetto, N1 il primo complemento, un eventuale N2 indica il secondo complemento):

N0 V N1

Diremo poi che accettano una sotto-struttura di frase del tipo:

N0 V

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Al contrario, per un verbo come pranzare (vedi esempio (1)) N0 V è la sua struttura di frase elementare e non una sotto-struttura. Il verbo mettere entra in una frase a struttura elementare:

N0 V N1 Prep N2

e non accetta alcun tipo di sotto-struttura.

Per determinare la struttura di frase elementare di un verbo è necessario innanzitutto stabilire quali e quanti sono i complementi essenziali di quel verbo. Per fare ciò ci serviamo, in prima battuta, della nostra intuizione di parlanti, tale intuizione deve essere poi verificata applicando dei test o criteri formali come la cancellazione e la riduzione (test di Harris)16.

3.2. I tipi di complementi nella frase semplice

L’analisi appena descritta costituisce una prima fase operativa che ci permette di verificare la presenza/assenza di complementi a destra del verbo. E’ altrettanto importante però verificare il tipo di complementi presenti, dobbiamo vedere cioè se siamo effettivamente di fronte a complementi diretti o indiretti/preposizionali. Così, se esaminiamo i seguenti esempi di frase:

Luca guarda Maria*Luca guarda (a + di) Maria

Luca obbedisce a Maria*Luca obbedisce (E + di) Maria

Luca dubita di Maria*Luca dubita (E + a) Maria

Luca irrompe nel teatro*Luca irrompe (E + di) teatro

possiamo dedurre, unicamente sulla base dell’accettabilità, che:

il verbo guardare seleziona un complemento diretto (non introdotto cioè da alcuna preposizione); il verbo obbedire regge un complemento indiretto introdotto dalla preposizione a; il verbo dubitare richiede un complemento indiretto introdotto dalla preposizione di; il verbo irrompere accetta un complemento introdotto da una preposizione locativa, come in ma anche a, su, e

così via, infatti le seguenti frasi sono anch’esse accettabili:

Luca irrompe a casa di MariaLuca irrompe sul posto di lavoro

Anche in questo caso, per verificare formalmente il tipo di complemento di verbo dobbiamo applicare alcuni test formali come la pronominalizzazione, l’interrogativa e la passivizzazione (vedi sez.11). Vediamo se tali test formali confermano i dati ottenuti in base alla nostra intuizione di accettabilità. Nell’esempio di frase:

Luca guarda Maria

possiamo pronominalizzare Maria utilizzando la particella preverbale (Ppv) la, ma non le, né tantomeno ne oppure ci o vi, infatti, se lo facessimo avremmo frasi inaccettabili:

Luca la guarda* Luca (le + ne + ci + vi) guarda

16 In questa fase dell’analisi la presenza/assenza del soggetto è trascurabile visto che tutti i verbi dell’italiano hanno un soggetto a eccezione deii cosiddetti verbi “metereologici” come piovere, nevicare, grandinare, tuonare, lampeggiare o che si riferiscono al tempo “cronologico” come annottare, albeggiare e così via (vedi Parte II, sez. 2.2.)

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La pronominalizzazione conferma il fatto che guardare seleziona come complemento di verbo un oggetto diretto. Anche l’interrogativa applicata a Maria dà ulteriore conferma dell’analisi:

Chi guarda Luca ?- Maria

*(Di + A) chi guarda Luca ?-* (Di + A) Maria

*Dove guarda Luca ?-*Maria

così come la passivizzazione:

Luca guarda MariaMaria è guardata da Luca

Per quanto riguarda obbedire, invece, se tale verbo seleziona effettivamente un complemento introdotto dalla preposizione a, allora la pronominalizzazione dovrà impiegare una Ppv diversa da quella utilizzata per guardare e infatti avremo:

Luca obbedisce a MariaLuca le obbedisce* Luca (la + ne + ci + vi) obbedisce

Allo stesso modo, l’interrogativa produrrà:

A chi obbedisce Luca ?- A Maria

* Di chi obbedisce Luca ?-* Di Maria

* Chi obbedisce Luca ?-* Maria

* Dove obbedisce Luca ?-* Maria

Per quanto riguarda la passivizzazione, il verbo obbedire è uno di quei casi in cui un verbo intransitivo accetta una trasformazione considerata “regolare” (in GGT) per i verbi transitivi:

Luca obbedisce a MariaMaria è obbedita da Luca

Per il verbo dubitare, la pronominalizzazione prevede l’utilizzo della Ppv ne, come in:

Luca dubita di MariaLuca ne dubita* Luca (la + le + ci + vi) dubita

Allo stesso modo, l’interrogativa produrrà:

Di chi dubita Luca ?- Di Maria

*A chi dubita Luca ?-* A Maria

*Chi dubita Luca ?-* Maria

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*Dove dubita Luca ?-*Maria

La passivizzazione non è accettabile:

Luca dubita di Maria*Maria è dubitata da Luca

Infine, il verbo irrompere accetta la pronominalizzazione del complemento locativo con le Ppv ci e vi:

Luca irrompe nel teatroLuca (ci + vi) irrompe* Luca (la + le + ne) irrompe

e l’interrogativa in dove:

Dove irrompe Luca- Nel teatro

*Che cosa irrompe Luca ?-*Teatro

*(Di + a) che cosa irrompe Luca ?-* (Di + a) teatro

Non accetta invece la passivizzazione:

Luca irrompe nel teatro*Il teatro è irrotto da Luca

L’applicazione di test formali come la pronominalizzazione, l’interrogativa e la passivizzazione conferma la nostra intuizione sui tipi di complementi che i verbi presi in esame accettano.

Riepiloghiamo. Per individuare la struttura di frase elementare in cui i verbi entrano, in primo luogo dobbiamo verificare quanti sono gli argomenti (o complementi di verbo) selezionati dal verbo stesso. Per fare ciò, oltre alla nostra intuizione, ci serviamo di test come la cancellazione e la riduzione. In secondo luogo, dobbiamo verificare la natura dei complementi di verbo, cioè di che tipo essi sono, diretti, indiretti e se sono indiretti da quale preposizione sono introdotti. Per fare ciò, oltre alla nostra intuizione (e al nostro giudizio di accettabilità), utilizziamo dei test formali come, ad esempio, la pronominalizzazione, l’interrogativa, la passivizzazione. Il risultato della nostra analisi è il seguente:

N0 V N1 =: Luca guarda MariaN0 V a N1 =: Luca obbedisce a MariaN0 V di N1 =: Luca dubita di MariaN0 V Loc N1 =: Luca irrompe nel teatro

I verbi guardare, obbedire, dubitare, irrompere sono tutti verbi a due argomenti (il soggetto e il complemento di verbo alla loro destra). Il verbo guardare seleziona un oggetto diretto, il verbo obbedire un complemento indiretto in a, il verbo dubitare un complemento di verbo in di, mentre il verbo irrompere un complemento introdotto da una preposizione di tipo locativo come in, a, su, e così via.

3.3. Nominalizzazioni e aggettivalizzazioni

Nella sezione dedicata alla grammatica in operatori e argomenti di Harris abbiamo visto che che gli operatori non sono necessariamente i verbi ma possono essere anche aggettivi, nomi e preposizioni. Ad esempio, in frasi come:

1. Maria è identica a Lucia

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2. Eva ha nostalgia di Parigi3. Luca fa uno scherzo a Maria

l’operatore è rispettivamente l’aggettivo identico e i nomi nostalgia e convenzione; in questo caso non siamo quindi in presenza di operatori verbali, bensì di un operatore aggettivale e due nominali. Nella prima frase è l’aggettivo identico l’elemento cardine attorno a cui è costruita la frase, un operatore a due argomenti, il soggetto Maria e il complemento nucleare introdotto dalla preposizione a. Allo stesso modo, nostalgia è un operatore nominale, anch’esso a due argomenti, che seleziona alla sua destra un complemento introdotto dalla preposizone di. Infine, nella terza frase, scherzo è un operatore nominale che regge alla sua destra un complemento in a.

Ci sono dei casi in cui gli operatori nominali e gli operatori aggettivali possono essere non solo in relazione morfo-fonologica con degli operatori verbali ma anche sintatticamente equivalenti ad essi. Per esempio, da un punto di vista morfo-fonologico, un verbo come smaniare è in relazione con un nome come smania e un aggettivo come smanioso perché condividono lo stesso morfema lessicale smani-, cioè la radice, a sua volta composto da un’identica successione di fonemi. Se a quella stessa radice o morfema lessicale aggiungiamo il suffisso –are deriviamo un verbo, se invece aggiungiamo –a allora deriviamo un nome, mentre con il suffisso –oso formiamo un aggettivo. Tra questi tre elementi lessicali esiste anche una relazione di tipo semantico e sintattico, infatti se inseriamo il verbo, l’aggettivo e il nome in contesti di frasi possibili, otteniamo:

4. Maria smaniava di tornare a casa5. Maria era smaniosa di tornare a casa6. Maria aveva la smania di tornare a casa

Le tre frasi hanno lo stesso significato, cioè sono l’una una parafrasi dell’altra: in (4) l’operatore è il verbo smaniare, in (5) l’operatore è l’aggettivo smanioso, in (6) l’operatore è smania; cioè le frasi (4)-(6) sono equivalenti per quel che riguarda il loro significato. Harris dice che una frase come (5) è il risultato di una trasformazione di aggettivalizzazione mentre (6) è il risultato di una trasformazione di nominalizzazione. Affinchè ci sia una (cor)relazione di trasformazione tra frasi è necessario che esista equivalenza parafrastica come in (4)-(6); due o più frasi sono in rapporto di equivalenza parafrastica se mantengono lo stesso significato e se nel passaggio dall’una all’altra non vengono introdotti nuovi morfemi lessicali secondo il principio dell’invarianza morfemica. Quindi le due frasi:

Maria smaniava di tornare a casaMaria desiderava tornare a casa

pur avendo significato simile, non sono in relazione di equivalenza parafrastica perché contengono due morfemi lessicali diversi smani- e desider- , non è stato rispettato il principio dell’invarianza morfemica; le due frasi sono invece in rapporto di sinonimia. D’altro canto, gli esempi seguenti:

Maria desidera Luca Luca desidera Maria

pur rispettando il criterio dell’invarianza morfemica non sono in relazione di equivalenza parafrastica perché non hanno lo stesso significato.

Ritorniamo alle frasi (4)-(6): oltre all’equivalenza parafrastica vediamo che i rispettivi operatori reggono lo stesso numero e lo stesso tipo di argomenti, il soggetto (umano) e un complemento frastico (un’infinitiva) introdotto dalla preposizione di.

Gross (1978) dice che nella grammatica generativa, per rappresentare formalmente sintagmi come l’acquisto delle mele (da parte) della mamma (vedi per la rappresentazione in GGT, Pinker (1994-97), cap. V, pag.98-99) sono stati escogitati notazioni formali inutilmente complicate per dimostrare che sintagmi del genere implicano la trasformazione passiva del verbo acquistare. Nessun generativista – continua Gross – ha mai pensato di adottare la soluzione di Harris (1968) che mette in correlazione trasformazionale (equivalenza parafrastica) due frasi come:

7. La mamma ha acquistato delle mele8. La mamma ha fatto l’acquisto delle mele

Alla frase (8) è possibile applicare la passivizzazione:

L’acquisto delle mele è stato fatto (dalla + da parte della) mamma

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questa forma passiva può, a sua volta, essere inserita in una frase relativa:

L’acquisto delle mele che è stato fatto (dalla + da parte della) mamma

Se poi applichiamo la cancellazione della sequenza che è stato fatto otteniamo:

L’acquisto delle mele (dalla + da parte della) mamma

Ricapitoliamo. Abbiamo detto che nella grammatica in operatori e argomenti di Harris possono essere operatori non solo i verbi ma anche altri elementi lessicali come nomi e aggettivi. Nelle frasi (1)-(3), che qui ripetiamo per facilità di lettura:

1. Maria è identica a Lucia2. Eva ha nostalgia di Parigi3. Luca fa uno scherzo a Maria

gli operatori sono rispettivamente un aggettivo e due nomi che però non sono il risultato dell’applicazione delle trasformazioni di aggettivalizzazion e nominalizzazione come avviene invece in (4)-(6):

4. Maria smaniava di tornare a casa5. Maria era smaniosa di tornare a casa6. Maria aveva la smania di tornare a casa

Dobbiamo puntualizzare che la relazione tra il nome scherzo, l’aggettivo scherzoso e il verbo scherzare non crea equivalenza parafrastica tra le frasi che seguono:

7. Luca fa uno scherzo a Maria8. Luca scherza con Maria9. Luca è scherzoso con Maria

dove la relazione di parafrasi sussiste solo tra le frasi (8) e (9).

Quindi, le frasi nominali includono sia le frasi risultanti da una nominalizzazione a verbo supporto come (6) sia le frasi a sostantivo predicativo autonomo come (2) e (3). Così, le frasi aggettivali includono sia le frasi risultanti da una aggettivalizzazione a verbo supporto come (5) e (9), sia le frasi ad aggettivo autonomo come (1).

3.4. Le frasi semplici a verbo ordinario e a verbo supporto

Sulla base della grammatica in operatori e argomenti, della concezione di equivalenza parafrastica e delle trasformazioni di nominalizzazione e aggettivalizzazione così come sono state delineate da Harris (1968), Gross (1981) distingue le frasi in cui gli operatori sono verbi ordinari transitivi o intransitivi:

TuonavaMaria passeggiavaCarmela fondò un’associazioneLe stelle luccicano nel cieloLuca confronta Marco con LucaPietro spruzzò i fiori d’acquaPietro spostò l’appuntamento dal lunedì al mercoledì

dalle frasi come:

1. Marco è idraulico2. Marco è identico a Pietro3. Maria era smaniosa di tornare a casa

4. Maria ha sete

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5. Eva ha nostalgia di Parigi6. Maria aveva la smania di tornare a casa

7. Marco fa l’idraulico8. Maria fa una chiacchierata con Eva9. Luca fa uno scherzo a Maria

in cui essere, avere e fare sono verbi supporto del nome o dell’aggettivo che segue. Siamo di fronte a frasi semplici o elementari in cui l’elemento centrale attorno a cui ruota la frase non è né il verbo essere, né avere, né fare, bensì l’intera combinazione sottolineata negli esempi. Quindi, le frasi (1), (4) e (7) non contengono due argomenti bensì uno solo (il soggetto), così come gli altri esempi di frase non contengono tre argomenti bensì due (il soggetto e il complemento). In alcuni casi, possiamo avere una correlazione tra verbo e nome o aggettivo, come in chiacchierata ↔ chiacchierare, smaniare ↔ smania ↔ smanioso (vedi sezione 7).

La grammatica in operatori e argomenti di Harris è dunque alla base della nozione grossiana di frase elementare a verbo supporto, infatti, nella sezione 4.1., abbiamo visto che l’operatore può appartenere alla classe dei nomi, degli aggettivi e anche delle preposizioni. Se gli operatori nelle frasi (1)-(9) non sono i verbi essere, avere e fare ma gli elementi lessicali che seguono ad essi, allora la funzione di tale verbi è quella di aiutare, sostenere, supportare i nomi e gli aggettivi con cui si combinano. L’ausilio, il supporto di cui tali elementi lessicali hanno bisogno consiste di tutte quelle informazioni di natura morfo-grammaticale come il modo e il tempo, la persona e il numero che sono tipiche dei verbi e non dei nomi. Così, data una frase a verbo ordinario come:

10. Maria fotografò Eva

la forma verbale fotografò, oltre ad avere contenuto lessicale, dà informazioni morfo-grammaticali, cioè il suffisso –ò “significa” che siamo in presenza di un verbo al modo indicativo, il tempo è al passato remoto, la persona è la terza ed è di numero singolare. Ora, la frase (10) è in rapporto di equivalenza parafrastica con:

11. Maria fece una fotografia a Eva

in cui l’operatore è fotografia, ma tale operatore, essendo un nome, non può assegnare quelle informazioni morfo-grammaticali tipiche dei verbi perché i nomi, anzi i loro suffissi, danno indicazioni solo su genere e numero. Ad esempio, in fotografia, il suffisso –a “significa” che il genere è femminile e il numero è singolare, ma non dice nulla per quanto riguarda tempo, modo e persona. E’ qui che interviene il verbo fare che ha la funzione di supporto, di ausilio del nome fotografia, altrimenti tali informazioni, necessarie per la costruzione di una frase, mancherebbero del tutto in (11). In altre parole, i verbi essere, avere e fare possono considerarsi ausiliari di nomi, aggettivi e così via.

Non confondiamo i verbi supporto, cioè gli ausiliari di nomi e di aggettivi, con gli ausiliari di verbo. Nelle frasi che seguono:

Maria ha dormitoPaolo è andato in discoteca

essere e avere sono ausiliari dei verbi dormire e andare, mentre in:

Luca ha fatto una fotografiaLuca ha avuto coraggio Luca è stato smanioso

la forma verbale ha è ausiliare, rispettivamente, dei verbi supporto fare (fare una fotografia) e avere (avere coraggio), mentre la forma verbale è deve essere considerata ausiliare del verbo supporto essere (essere smanioso).

Abbiamo visto che essere e avere possono essere sia verbi ausiliari sia verbi supporto, mentre fare non può essere verbo ausiliare. A questo punto dobbiamo chiederci se verbi come essere, avere e fare non si comportano mai come verbi ordinari. Consideriamo:

Il mio amico ha una FerrariQuegli artigiani fanno i cestiniDio è

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In queste frasi avere è equivalente a possedere, fare a realizzare, essere a esistere; quindi le sequenze avere una Ferrari, fare i cestini non sono combinazioni di verbi supporto e operatori quanto piuttosto una combinazione di verbo ordinario e oggetto diretto, laddove è presente.

3.4.1. La rappresentazione delle frasi a verbo supporto nella GGT

Nelle frasi a verbo supporto non è dunque il verbo a selezionare gli argomenti bensì l’operatore nominale o aggettivale. Così, data la seguente frase in cui è presente la sequenza a verbo supporto fare la preghiera:

1. Luca ha fatto la preghiera a Maria di andarsene

è l’operatore preghiera e non il verbo fare che seleziona gli argomenti a destra e a sinistra del verbo, mentre nella frase a verbo ordinario in correlazione con (1):

2. Luca ha pregato Maria di andarsene

è il verbo pregare che seleziona gli argomenti. Sia in (1) sia in (2) gli argomenti sono tre: due argomenti sono elementari, il soggetto e il complemento nominale, mentre un argomento è non elementare cioè l’infinitiva di andarsene.

Inoltre, nella frase a verbo supporto (1) esiste una relazione di coreferenza tra Luca e preghiera, infatti non è possibile modificare la frase nel modo seguente:

*Luca ha fatto la preghiera di Marco a Maria di andarsene

L’inaccettabilità dell’aggiunzione della sequenza di Marco esplicita il fatto che la preghiera deve essere di Luca e non di qualcun altro. La relazione di coreferenza tra l’argomento in posizione soggetto e l’operatore nominale o aggettivale è una proprietà di tutte le frasi a verbo supporto.

Gli indicatori sintagmatici della GGT, cioè gli alberi, non riescono a rappresentare in modo adeguato le frasi a verbo supporto perché nelle frasi di questo tipo:

1) non è il verbo a selezionare gli argomenti o complementi, mentre gli alberi presuppongono sempre questo tipo di selezione;

2) esiste una relazione di dipendenza tra il soggetto e l’operatore che gli alberi non mettono in luce.

Se proviamo a costruire gli alberi delle due frasi:

Maria sorride a LucaMaria fa un sorriso a Luca

otteniamo le seguenti rappresentazioni:

F F SN SV SN SV N V SP N V SN SP

Maria sorride a Luca Maria fa un sorriso a Luca

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Per prima cosa, da tali alberi deduciamo che la frase a verbo ordinario contiene due argomenti, un soggetto e un complemento, mentre la frase a verbo supporto contiene tre argomenti, un soggetto e due complementi. Ciò è falso perché in entrambi i casi siamo di fronte a frasi a due argomenti. La seconda cosa che gli alberi mostrano è che in entrambi i tipi di frase è il verbo a selezionare gli argomenti, visto che i complementi dipendono dal nodo SV. Ma, se ciò è vero per la frase a verbo ordinario, è falso invece per la frase a verbo supporto perché, come abbiamo già detto è la combinazione verbo-nome (o l’operatore sorriso) a selezionare gli argomenti. Il terzo motivo per cui gli alberi sono inadeguati è che essi non riescono a mettere in evidenza il rapporto di coreferenza esistente, all’interno della frase a verbo supporto, tra Maria e sorriso. La rappresentazione ad albero non mostra le dipendenze non-locali come questa.

3.6. L’analisi trasformazionale e l’analisi distribuzionale

Nelle sezioni precedenti abbiamo parlato spesso di analisi trasformazionale, ma è necessario riprendere alcuni punti e chiarirli prima di passare all’analisi distribuzionale. Il primo a portare avanti un’analisi trasformazionale del linguaggio fu Harris che, come abbiamo visto nella sezione 6, mirava a individuare, grazie proprio alla descrizione trasformazionale, le frasi nucleari di una lingua. Essenzialmente sono due i processi trasformazionali che interessano Harris: la cancellazione e la riduzione (vedi sezione 6.1). Abbiamo anche visto che le frasi sono in rapporto trasformazionale quando esiste tra loro equivalenza parafrastica e abbiamo anche detto che, grazie alla cancellazione e alla riduzione, Harris riesce a spiegare in modo semplice le trasformazioni di nominalizzazione e aggettivalizzazioni (vedi sezione 7). Chomsky nel modello GGT eredita la descrizione trasformazionale di Harris, ma la rielabora apportando una modifica sostanziale. Nel modello chomskiano le trasformazioni intervengono nel passaggio dalla struttura-p (o struttura profonda) alla struttura-s (struttura superficiale); è grazie alle trasformazioni che dalla struttura-p è possibile derivare le strutture-s17. Harris, al contrario, non ipotizza affatto l’esistenza di una struttura-p, cioè di una struttura mentale astratta, perché è interessato alla descrizione trasformazionale che non è di natura derivazionale ma correlazionale.

Nel quadro harrisiano, così come nella metodologia lessico-grammaticale di Maurice Gross, ha molta importanza l’analisi distribuzionale che invece Chomsky trascura a favore dell’analisi trasformazionale. Abbiamo gia accennato all’analisi distribuzionale anche se non abbiamo mai usato questo termine. Così, nella sezione 3.2. abbiamo visto che il verbo ricevere accetta il passivo in (1), ma se sostituiamo il soggetto come in (2) il passivo non è più accettabile. Allo stesso modo, nella sezione 4, abbiamo visto che il verbo abitare accetta un determinato tipo di soggetto per essere accettabile nella sua forma transitiva. Infine, nella sezione 6, abbiamo visto che sostituendo gli elementi nominali a destra e a sinistra dello stesso verbo abbattere il significato cambia, abbiamo cioè diversi usi dello stesso verbo. In tutti questi casi non abbiamo fatto altro che sostituire elementi lessicali con altri per verificare se e come cambia il comportamento delle frasi semplici, abbiamo analizzato cioè come si distribuiscono gli elementi lessicali all’interno di un contesto di frase e come le frasi stesse reagiscono a tale distribuzione di elementi, accettando o meno alcune trasformazioni, o assegnando significati diversi alle frasi stesse. L’analisi trasformazionale deve andare di pari passo con un’attenta analisi distribuzionale, per evitare false generalizzazioni (il passivo è sempre accettato se il verbo accetta un SN alla sua destra), per individuare usi lessicali diversi e per mettere in luce comportamenti regolari e irregolari. Harris (1954) dice che “la distribuzione di un elemento sarà definito come la somma di tutti i contesti di quell’elemento. Il contesto di un elemento A è la disposizione effettiva dei suoi co-occorrenti, cioè di altri elementi, ognuno in una posizione determinata, con cui compare A per produrre un enunciato. I co-occorrenti di A, in una posizione determinata, sono chiamati la selezione di A per quella posizione”. Così, ad esempio, dati i seguenti insiemi:

Maria la TvIl mio amico guarda il gelatoTua sorella mangia il CDIl professore ascolta lo studenteMio figlio la pizza

17 Per la differenza tra la struttura-p e la struttura-s rimandiamo a Pinker, qui ricordiamo brevemente che la struttura-p è una sorta di rappresentazione mentale astratta generata dall’interrelazione tra grammatica a struttura sintagmatica e dizionario mentale . E’ grazie a ciò che, ad esempio, rappresentiamo provenire come un verbo i cui posti a destra e a sinistra sono occupati da un SN e un SP. Dalla struttura-p di quel verbo, rappresentata grazie ad un albero, le trasformazioni ci permettono di derivare le diverse strutture-s. Dobbiamo puntualizzare che la struttura-p non va identificata con la frase attiva, come comunemente si afferma, la frase attiva è anch’essa una struttura-s, ottenuta grazie all’applicazione di regole trasformazionali di tipo morfo-grammaticali alla struttura-p. Tanto per rendere l’idea, e semplificando notevolmente, a partire da una struttura-p del tipo Maria scrivere libro deriviamo la frase attiva Maria ha scritto un libro, applicando trasformazioni morfo-grammaticali come ad esempio la flessione del verbo e l’accordo con il soggetto, l’inserimento del determinante un che, a sua volta, si accorda con libro. Dalla stessa struttura-p deriviamo poi la passiva Il libro è stato letto da Maria, l’interrogativa Chi ha scritto il libro?, la frase pronominalizzata Maria lo ha letto, la frase scissa E’ Maria che ha scritto il libro e così via.

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possiamo produrre 75 enunciati, ma mentre Maria mangia il gelato è una frase accettabile, Maria mangia la Tv non lo è. Quindi, come dice Harris (1954) ”gli elementi di una lingua non si ritrovano in modo arbitrario gli uni in rapporto agli altri; ciascun elemento si ritrova in certe posizioni in rapporto a certi altri elementi”.

In altre parole, il verbo mangiare (l’elemento A di cui parla Harris) seleziona alla sua destra, cioè in posizione oggetto diretto, un elemento nominale che appartiene alla classe di tutto ciò che è “commestibile solido”, il gelato (così come la pizza) appartiene a tale classe mentre la TV non fa parte delle entità commestibili e quindi frasi come *Maria mangia (la TV + il CD + lo studente) sono inaccettabili. In modo speculare, le frasi il professore ascolta (la TV + il CD + lo studente) sono accettabili mentre *il professore ascolta (il gelato + la pizza) non lo sono. Infine, le frasi tua sorella guarda (la TV + il gelato + il CD + lo studente + la pizza) sono tutte accettabili. Quindi, come dice Harris (1954) “l’uomo della strada crede che, quando parla, combina elementi qualsiasi in funzione del senso che desidera esprimere; in realtà non fa altro che scegliere alcuni membri all’interno delle classi che compaiono regolarmente insieme”.

Ogni lingua ha una struttura distribuzionale che deve essere descritta e analizzata verificando quali sono gli elementi che in una lingua possono co-occorrere tra loro. Così, negli esempi appena dati, abbiamo visto che i tre verbi mangiare, ascoltare e guardare non selezionano la stessa classe di elementi, non c’è quindi tra loro equivalenza distribuzionale. Nel caso dei verbi ascoltare e mangiare addirittura abbiamo una distribuzione complementare, la classe di elementi selezionata da mangiare produce inaccettabilità in un contesto di frase con il verbo ascoltare e viceversa. Possiamo invece dire che, per quel che riguarda la posizione soggetto, i tre verbi presi in esami hanno la stessa selezione o gli stessi co-occorrenti o, ancora, la stessa distribuzione.

Tuttavia, potremmo obiettare che frasi come Maria mangia (il CD + la TV + lo studente) potrebbero essere accettabili in un contesto extralinguistico particolare, ad esempio se quel CD è di cioccolata oppure se Maria è improvvisamente impazzita. Allo stesso modo, le frasi il professore ascolta (il gelato + la mozzarella) potrebbero essere facilmente interpretabili in un mondo immaginario o fantastico in cui tali entità hanno voce umana. Ma allora se, in fin dei conti, tutto è possibile, tutto è interpretabile come facciamo a dire qual è la distribuzione di un determinato elemento lessicale? A tale proposito Harris parla del vincolo di verosimiglianza, meccanismo in base al quale l’accettabilità di una frase si muove all’interno di una gradualità tra co-occorrenti più o meno verosimili o probabili. Così, se è altamente probabile o verosimile che gelato o pizza appaia alla destra di un verbo come mangiare, è poco probabile o raro, ma non impossibile che, nella stessa posizione appiano CD e Tv. “Intendiamo qui,” - dice Harris (1988) – “per verosimiglianza di una parola sotto un operatore (o per un argomento), una stima delle probabilità o della frequenza di quella parola rispetto a un fissato numero di occorrenze di quell’operatore (o argomento) […]. Ogni parola esercita una selezione alquanto sfumata sulle altre parole che occorrono nella posizione dei suoi argomenti – vale a dire una selezione che rende la distribuzione diversa da quanto ci si aspetterebbe se le occorrenze fossero casuali o con pari frequenza. Sotto sleep [dormire], questo vale per centinaia di parole come man [uomo] e persino tree [albero], in contrasto con earth [terra], raro, oppure stone [pietra] o universe [universo], ancora più rari18. L’insieme delle parole che hanno frequenza più alta della media è chiamato la selezione, in questo caso sotto sleep. Il significato principale di una parola è dato dal significato della selezione degli argomenti su cui opera o della selezione degli operatori di cui è argomento”.

La distribuzione, la selezione di un elemento lessicale è stabilita in base all’alta probabilità che esso co-occorra con elementi appartenenti a una determinata classe e non a un’altra. L’operazione che è alla base dell’analisi distribuzionale è la sostituzione di elementi lessicali. In tutti gli esempi dati, infatti, non abbiamo fatto altro che sostituire elementi lessicali con altri più o meno della stessa natura per verificare la selezione dei verbi.

Finora abbiamo preso in esame i verbi, ma come facciamo a descrivere la struttura distribuzionale, cioè la selezione dei nomi o degli aggettivi ? Questo argomento lo affronteremo nella sezione 5 della Parte II.

3.7. Le frasi fisse: non-composizionalità, distribuzione fissa, applicabilità delle trasformazioni

A partire dai primi anni ’80 Maurice Gross mette in evidenza la presenza nella lingua francese (ma non solo in quella) di un numero molto alto di un tipo particolare di frasi che, nelle grammatiche tradizionali, sono chiamate frasi idiomatiche o modi di dire. Per l’italiano, si tratta di frasi del tipo:

1. Marta ha preso il toro per le corna18 “per esempio, possiamo trovare frasi come The children slept [I bambini dormirono], The trees slept during the winter [Gli alberi dormirono durante l’inverno], persino The stones slept (through the ages) [Le pietre dormirono (lungo i secoli)], o The universe will then sleep (after the big bang) [Poi l’universo dormirà (fino al successivo big bang)], ma non The is slept [L’è dormì]” Harris (1988).

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2. I ragazzi hanno tagliato la corda

a cui possiamo assegnare significati figurati o metaforici. Così, una possibile parafrasi per la frase (1) è “Maria ha affrontato la situazione”, mentre (2) può essere interpretata come “I ragazzi se ne sono andati in fretta”. Queste frasi sono state sempre considerate delle “eccezioni” sia all’interno delle grammatiche scolastiche sia in studi linguistici più recenti come Lyons (1968) e anche all’interno della stessa GGT.

Abbiamo assunto che frasi come (1) e (2) abbiano significato metaforico-figurato ma tali combinazioni di parole possono essere interpretabili anche in modo letterale, e quindi in (1) Marta può avere concretamente afferrato il toro per le corna mentre in (2) i ragazzi potrebbero aver tagliato la corda di un pacco. Quindi, queste frasi sono ambigue perché ad esse possono essere assegnate almeno due interpretazioni diverse, l’una letterale e l’altra metaforica. E’ il contesto, linguistico o extra-linguistico, a segnalarci la lettura più probabile. Così, ad esempio, se sto assistendo a una corrida e Marta è una torera che ha deciso di morire, una frase come (1) potrebbe essere interpretata letteralmente. Allo stesso modo se ai ragazzi è stato appena consegnato un pacco, è molto probabile che (2) sia interpretata letteralmente 19. La prima caratteristica di frasi come queste è quindi l’ambiguità, cioè combinazioni di parole come prendere il toro per le corna oppure tagliare la corda o ancora rompere il ghiaccio, piantare baracca e burattini, possono avere significato letterale oppure significato metaforico. Siamo di fronte a metafore morte, fossilizzate che si sono sedimentate nel nostro patrimonio linguistico e che usiamo nel nostro linguaggio quotidiano senza neanche renderci conto di questa loro caratteristica. Infatti, noi parlanti ignoriamo l’origine di questo tipo di frasi, sappiamo usarle e comprenderle in modo appropriato senza soffermarci neanche una frazione di secondo sul meccanismo metaforico che è alla loro base. Le impariamo a memoria senza che ciò comporti alcun tipo di sforzo.

Da ciò deduciamo che il significato delle frasi idiomatiche è non-composizionale, cioè non è ricavabile dalla somma dei significati dei singoli elementi presenti in esse. E questa è una proprietà semantica delle frasi idiomatiche. Per quanto riguarda invece la loro struttura distribuzionale, l’applicazione dell’operazione di sostituzione ai vari elementi lessicali ci permette di concludere che le idiomatiche sono caratterizzate da una distribuzione fissa degli elementi. E’ proprio per questo che Gross usa il termine frasi “fisse”. Ma vediamo meglio che cosa si intende per distribuzione fissa. Nella seguente frase idiomatica:

3. Marta ha tagliato la testa al toro

che vuol dire più o meno “Marta ha preso una decisione” la stringa di elementi lessicali tagliare la testa al toro è distribuzionalmente fissa perché non possiamo sostituire nessuno di questi elementi con un altro appartenente alla stessa classe o allo stesso campo semantico. Così, se applichiamo la sostituzione al verbo tagliare, otteniamo una frase inaccettabile a meno che non l’interpretiamo in senso letterale:

* Marta ha (reciso + segato + mozzato) la testa al toro

Allo stesso modo se sostituiamo testa o toro o entrambi con una parola appartenente alla stessa classe, produrremo delle frasi inaccettabili dal punto di vista idiomatico:

* Marta ha tagliato (la testa + il capo) al (toro + bisonte)

Al contrario, in una frase semplice a verbo ordinario come:

Marta ha tagliato la testa alla bambola

in cui, tra l’altro, il significato è composizionale, si compone cioè del significato dei singoli elementi all’interno della frase stessa, le operazioni di sostituzione, inapplicabili alla frase idiomatica (3), sono in questo caso accettabili:

Marta ha (reciso + segato + mozzato) (la testa + il capo) alla (bambola + pupattola)

Diciamo quindi che la struttura distribuzionale delle frasi idiomatiche è fissa al contrario della struttura distribuzionale delle frasi a verbo ordinario che gode di maggiore libertà. Tuttavia, sono presenti delle frasi fisse in cui è possibile sostituire qualche elemento lessicale, ad esempio in:

Marta (prende + coglie) la palla al balzo

19 Tuttavia, non è impossibile attribuire, anche in contesti come questi, una lettura metaforica. Ad esempio, Marta decide “di affrontare la situazione” infilzando il toro, oppure i ragazzi “se ne vanno in fretta” perché si rendono conto che il pacco contiene una bomba.

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Marta si è montata (la testa + il capo)

ma tali sostituzioni sono comunque sempre limitate e ristrette. Il motivo per cui ciò accade deriva dal fatto che se, ad esempio, il verbo tagliare in (2) non è un operatore (l’operatore delle frasi idiomatiche è infatti l’intera sequenza fissa e quindi tagliare la corda, prendere il toro per la corna), allora tale verbo non seleziona alcun tipo di co-occorrente e il fatto che ci sia corda alla sua destra non significa quindi che quell’elemento nominale può essere sostituito con un altro elemento della stessa classe, appartenente cioè allo stesso campo semantico. In altre parole, se non c’è alcuna correlazione semantica tra il significato metaforico delle frasi fisse e le singole parole presenti in esse, sarebbe una operazione insensata sostituire gli elementi fissi con elementi dello stesso campo semantico.

Oltre alla non-composizionalità e alla distribuzione fissa delle frasi idiomatiche dobbiamo mettere in evidenza che non sono accettabili variazioni di natura morfo-grammaticale degli elementi nominali fissi, così né in (1), né in (2) né in (3) possiamo flettere al plurale toro, corda e testa o al singolare corna senza produrre inaccettabilità:

* Marta ha preso i tori per il corno* I ragazzi hanno tagliato le corde* Marta ha tagliato le teste ai tori

Possiamo invece variare il verbo per quel che riguarda tempo e modo:

Marta (ha preso + prenderà + prese + prende + prenderebbe) il toro per le cornaI ragazzi (hanno tagliato + tagliarono + tagliano + taglierebbero) la corda

D’altra parte, sia nelle frasi libere sia nelle frasi fisse, è possibile inserire avverbi tra la forma verbale e l’oggetto diretto:

Marta ha mangiato davvero la melaMarta ha mangiato veramente la fogliaMarta ha mangiato sempre pane e volpe

Le frasi fisse pur essendo anomale da un punto di vista semantico e distribuzionale mostrano una struttura sintattica estremamenete regolare. Così, ad esempio, un verbo come mangiare è seguito da un oggetto diretto, sia nelle frasi a verbo ordinario sia nelle frasi fisse:

Marta ha mangiato la melaMarta ha mangiato la foglia “intuire le intenzioni subdole di qualcuno”Marta ha mangiato pane e volpe “essere furbo”

Anche da un punto di vista trasformazionale le frasi fisse mostrano maggiori restrizioni rispetto alle frasi a verbo ordinario o a verbo supporto. Se applichiamo la passivizzazione alle frasi fisse (1) e (2) otteniamo frasi inaccettabili dal punto di vista metaforico-figurato:

1a. * Il toro è stato preso per le corna da Maria2a. * La corda è stata tagliata dai ragazzi

Le frasi (1a) e (2a) perdono il significato metaforico e sono accettabili solo se interpretate letteralmente. In questo caso la frase passiva ha messo in gioco la permutazione del soggetto e dell’oggetto diretto, con il conseguente inserimento della preposizione da e il cambiamento della forma verbale. Tuttavia, il passivo può avere anche altre forme (vedi sez.11), ad esempio quella senza agente, in cui l’oggetto diretto non viene spostato in posizione soggetto; abbiamo così frasi passive come:

1b. E’ stato preso il toro per le corna 2b. E’ stata tagliata la corda

che mantengono il significato idiomatico. Inoltre, la cancellazione dell’ausiliare può produrre frasi passive che mantengono il significato idiomatico:

1c. Preso il toro per le corna, Marta si sentì sollevata2c. Tagliata la corda, i ragazzi andarono a ballare

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L’accettabilità di forme passive come (1b-c)-(2b-c) dipende dal fatto che gli elementi fissi mantengono la posizione della forma attiva, cioè la loro contiguità.

Le trasformazioni come la frase scissa, la relativizzazione, l’interrogativa non sono applicabili sulle parti fisse o invariabili proprio perché, come abbiamo detto prima, all’interno delle sequenze fisse non c’è alcuna relazione di senso-forma. Così, se applichiamo la frase scissa a (1), abbiamo frasi accettabili solo in senso letterale ma non in quanto idiomatiche:

* E’ il toro che Marta ha preso per le corna* E’ per le corna che Marta ha preso il toro

Ma se focalizziamo il soggetto che è la parte variabile all’interno dell’enunciato stesso, abbiamo una frase fissa accettabile:

E’ Marta che ha preso il toro per le corna

L’inaccettabilità della scissa sulle parti fisse invariabili è dovuta al fatto che questa operazione, proprio perché permette la focalizzazione dei sintagmi, implica automaticamente la messa in contrasto con un altro elemento semanticamente vicino. L’aggiunta di una sequenza contrastiva del tipo non X, come in:

* E’ il toro che Marta ha preso per le corna ≠ e non il bufalo* E’ per le corna che Marta ha preso per il toro ≠ e non per le gambe E’ Marta che ha preso per il toro per le corna ≠ e non Lello

rende evidente l’inaccettabilità delle frasi fisse sopra. Infatti, dal momento che gli elementi focalizzati non hanno significato letterale, non è neanche possibile contrapporli, tramite una sequenza non X, a un elemento lessicale ad esso vicino. Ecco perché l’applicazione di tali trasformazioni produce accettabilità solo se interpretiamo queste frasi in senso letterale e concreto, ma non in senso metaforico-figurato.

Allo stesso modo la relativizzazione, applicata a elementi fissi produce inaccettabilità:

Il toro che Max ha preso per le corna era scatenatoLa corda che i ragazzi hanno tagliato era prevedibile

perché presuppone che ci sia coreferenza tra il pronome relativo e l’elemento relativizzato, ma la coreferenza è una nozione di senso e in quanto tale inapplicabile nel caso delle frasi fisse.

Per gli stessi motivi di natura semantica l’interrogativa è accettabile solo se applicata alle parti variabili, come in:

- Chi ha tagliato la corda ?- I ragazzi

se, invece, applichiamo l’interrogativa alle parti fisse produrremo significato letterale e perdita quindi del significato idiomatico:

- Che cosa ha tagliato Maria ? * La corda

D’altra parte, trasformazioni quali la pronominalizzazione e la dislocazione producono frasi accettabili perché non sono trasformazioni che implicano coreferenza o focalizzazione di elementi, e quindi non mettono in gioco quella che è la sfera semantica delle idiomatiche:

? Marta lo ha preso per le corna, il toroI ragazzi l’hanno tagliata, la corda

Gross, dunque, è stato il primo linguista che non solo ha sollevato il problema dell’esistenza delle frasi fisse ma lo ha anche affrontato in modo sistematico raccogliendo e classificando circa 20.000 frasi fisse del francese ed effettuando un’analisi distribuzionale e trasformazionale esaustiva ed approfondita.

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Perché questo interesse per le frasi fisse da parte di Gross? In realtà, già a partire dalle analisi effettuate sui verbi ordinari del francese (ma anche quelle fatte per l’italiano e per parecchie altre lingue), Gross mette in evidenza che il loro comportamento trasformazionale è estremamente irregolare e idiosincratico e la distribuzione stessa può essere molto ristretta. Così, ad esempio, abbiamo visto che esistono usi verbali di tipo “transitivo” che non accettano forme passive (proprio come le idiomatiche). Allo stesso modo, sono presenti nel lessico usi verbali che selezionano classi molto ristrette di nomi (vicini quindi al comportamento distribuzionale di tipo idiomatico), come ad esempio arare, stendere e risuolare (D’Agostino 1992):

I contadini arano (il terreno + il campo + l’orto)Emma stende (il bucato + la biancheria + le lenzuola)Il calzolaio risuola (le scarpe + gli stivali + i mocassini + * le scarpe da ginnastica)

Esistono poi verbi che si riferiscono ai versi degli animali come abbaiare, ululare, miagolare che in posizione soggetto selezionano un elemento nominale unico, “fisso”. Addirittura, l’uso figurato di questi verbi ha una distribuzione molto più libera:

Il cane abbaia(Il professore + Mio padre + Il mio amico + Mimmo) abbaia

Il lupo ulula (Il professore + Mio padre + Il mio amico + Mimmo) ululaIl vento ulula

Ma, se le idiomatiche sono caratterizzate da una distribuzione fissa e da particolari condizioni di applicabilità delle trasformazioni, anche i verbi ordinari hanno un comportamento sintattico difficilmente riconducibile a regole generali e quindi idiosincratico, per di più possono presentare restrizioni distribuzionali molto forti e in alcuni casi simili alle idiomatiche. Se l’irregolarità trasformazionale e la distribuzione più o meno ristretta caratterizza buona parte del lessico (frasi a verbo ordinario e frasi fisse), allora il meccanismo di memorizzazione è molto più forte di quanto si possa immaginare (rispetto all’ipotesi generativista sull’innatismo).

3.7.1. Le frasi fisse nella GGT

Che le idiomatiche siano anomale da un punto di vista semantico è un fatto riconosciuto sia da linguisti come Sweet (1891) e Saussure (1916) sia in ambito generativista. Molti sono i generativisti che hanno dedicato brevi analisi alle frasi idiomatiche 20. Qui noi prenderemo in esame brevemente ciò che dice Chomsky (1980).

Dalla discussione fatta finora sulle caratteristiche delle idiomatiche è facile dedurre che la rappresentazione ad albero generata dalla grammatica a struttura sintagmatica non è adeguata, proprio perché si tratta di sequenze in cui il verbo e gli elementi nominali fissi vanno considerati un tutt’uno. A tale proposito, Chomsky dice che

“… take care of [prendere-cura-di] «prendersi cura di», take advantage of [prendere-vantaggio-di] «approfittare di» […], make mention of [fare-cenno-di], kick the bucket [dare un calcio al secchio] «tirare le cuoia», […] sono idiomatiche nel senso che il loro significato non può essere decomposto [anche se] esse hanno la forma sintattica tipica delle espressioni non idiomatiche, e, in effetti, a volte hanno significato letterale perfettamente logico, se inteso in senso non idiomatico”.

In effetti, continua Chomsky si può postulare che

“una regola idiomatica dirà che kicked the bucket può essere assegnato alla categoria Verbo con il significato di morire, mentre take advantage of può essere assegnato alla categoria Verbo con il significato di approfittare. Inoltre, abbiamo notato due categorie di queste costruzioni: espressioni idiomatiche come John took care of Bill «John si è preso cura di Bill» possono essere sottoposte a regole di Movimento, producendo care was taken of Bill [cura-fu-presa-di-Bill] o care seems to have been taken of Bill [cura-sembra-esser-stata-presa-di-Bill]. Altre, come kick the bucket «tirare le cuoia» non possono essere sottoposte a tali regole; non vi è alcuna lettura idiomatica di the bucket was kicked by John «il secchio fu preso a calci da John» o the bucket seems to have been kicked by John «sembra che il secchio sia stato preso a calci da John». Per dirla in termini un po’ più approssimativi, vi sono delle costruzioni idiomatiche che appaiono sia a livello di struttura-P che a livello di struttura-S, mentre altre appaiono solo a livello di struttura-P. Ma le costruzioni idiomatiche che appaiono solo a livello di struttura-S sono molto rare […]. Questo è un fatto generale che richiede una spiegazione: lo si può facilmente spiegare in base all’assunto che le regole idiomatiche si applicano a livello della struttura-P, marcando alcune costruzioni come immuni alle regole di Movimento. […] Queste proprietà delle costruzioni

20 All’interno della scuola generativista, verso la fine degli anni ’60 c’è stata una scissione tra chi pensava che la sintassi fosse prioritaria e tra chi sosteneva invece che fosse la semantica ad avere ruolo prioritario sulla sintassi. I generativisti che si sono occupati delle idiomatiche appartengono sia alla prima (vedi ad esempio, Weinreich, Frazer, Katz) sia alla seconda scuola (vedi McCawley, Chafe).

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idiomatiche forniscono delle prove a sostegno […] dell’esistenza di strutture-P distinte dalle strutture-S, legate a quest’ultimo da trasformazioni grammaticali.21

Chomsky risolve il problema delle idiomatiche ipotizzando una regola che blocca le operazioni di Movimento22 e anzi dice, siamo di fronte a uno degli aspetti idiosincratici delle lingue naturali che confermano l’ipotesi della differenza tra struttura-p e struttura-s (come dire “l’eccezione che conferma la regola”). Le forme che appaiono solo a livello di strutture-s sono frasi idiomatiche che ad esempio accettano solo il passivo. Innanzitutto, Chomsky non distingue frasi fisse da frasi a verbo supporto e non tiene conto del fatto che la passivizzazione nelle frasi fisse è molto più complicata dall’analisi fatta in poche righe. E’ evidente che a Chomsky non interessi tanto analizzare questo tipo di frasi quanto piuttosto difendere il suo modello generale23.

3.8. Le parole composte

Le frasi fisse sono state anche terminologicamente denominate frasi a verbo composto24, proprio perché, diversamente dalle frasi a verbo semplice (non supporto) in cui l’operatore è il verbo, l’operatore non è il verbo ma è la sequenza verbo-complementi, è cioè la composizione del verbo e ciò che segue (o, più raramente, precede). La fissità distribuzionale e la non-composizionalità semantica non appartengono solo alla frasi idiomatiche, ma anche ad altre parti del discorso. Nel discorso che segue:

Lisa risolse il problema in un batter d’occhio scoprendo che quanto era accaduto era stato per Marco il suo banco di prova, per di più la donna non era scomparso ma era viva e vegeta

le sequenze selezionate sono, innanzitutto, sequenze di tipo metaforico, e quindi hanno significato non-composizionale. Così in un batter d’occhio vuol dire “velocemente”, banco di prova si riferisce qui “a una situazione in cui risultino con evidenza le reali capacità di una persona o la validità di un'azione”25, infine vivo e vegeto fa riferimento allo stato di benessere psico-fisico di qualcuno. Anche in casi come questi il significato non è ricavabile dalla somma dei significati dei singoli elementi all’interno della sequenza stessa. Da un punto di vista distribuzionale non possiamo sostituire battere con sbattere (es.: *in uno sbatter d’occhio) oppure occhio con pupilla (es.: *in un batter di pupilla). Inoltre, non possiamo sostituire il determinante un con il e produrre così la preposizione articolata nel (es.: *nel batter d’occhio). Allo stesso modo, in banco di prova non possiamo sostituire né banco né prova con parole appartenenti alla stessa classe (es.: *tavolo di prova, *banco di test), né, d’altra parte, possiamo sostituire la preposizione di con per o inserire un determinante come il o un (es: *banco per (una + la) prova). Anche in viva e vegeta non possiamo sostituire viva con vivente e vegeta con vigorosa (es.: *viva e vigorosa, *vivente e vegeta). Quindi, le proprietà distribuzionali e semantiche tipiche delle idiomatiche appartengono anche a sequenze di parole che hanno funzione avverbiale ( in un batter d’occhio), nominale (banco di prova), aggettivale (vivo e vegeto). Quindi, nel lessico di una lingua, oltre ai verbi composti (o fissi), esistono anche i nomi, gli avverbi, gli aggettivi composti (o fissi) che, quantitativamente, hanno almeno pari peso rispetto agli avverbi, ai nomi e agli aggettivi semplici (Gross 1986). Ma qual è la situazione nelle altre lingue ? Praticamente identica. Tutto ciò che è “fisso” costituisce una buona parte del lessico delle lingue naturali.

21 pagg.142-147.22 A partire dagli anni ’80 Chomsky comincia ad ipotizzare l’esistenza di un’unica regola di Movimento (Move α) che implica tutte le diverse trasformazioni23 Più recentemenete Annemarie Di Sciullo si è occupata di idiomatiche.24 Nella terminologia lessico-grammaticale più recente i verbi composti si riferiscono unicamente ai verbi+particella dell’inglese. Ma noi adotteremo l’equivalenza tra frasi a verbi composti-frasi fisse perché adeguata all’italiano che, a differenza dell’inglese, presenta solo pocchissime entrate di verbi+preposizione di tipo idiomatico (buttare giù, tirare su).25 Banco di prova , nella terminologia di tipo tecnico, è il piano corredato di speciali apparecchiature per eseguire il collaudo dei motori.

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