l’idea di “nemico”: nella guerra fredda segno che, di là dalle propagande messe in atto, e a...

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38 Marinai d’Italia Marinai d’Italia 39 I l campo liberaldemocratico e quello comunista, pur essendo tra loro incompatibili, per tutta la durata della Seconda guer- ra mondiale avevano trovato una forma di convivenza nell’am- bito dell’alleanza antifascista. All’indomani della vittoria, dopo la sconfitta del nemico comune, da entrambe le parti l’alleato del giorno prima fu rapidamente assimilato al “mostro” appena bat- tuto sul campo di battaglia: per gli statunitensi il comunismo non differiva nei modi dai fascismi e tutte quelle esperienze poteva- no essere assorbite nel concetto di totalitarismo; per i comunisti, di contro, i fenomeni fascisti erano propaggini dell’imperialismo capitalista. Le due superpotenze si provvedevano in tal modo di un armamentario culturale che forniva legittimità morale alla contrapposizione e sviliva il diritto d’esistere all’antagonista. In uno scenario siffatto, le dichiarazioni di Winston Churchill sul “sipario di ferro” (iron courtain) calato in Europa, la strategia del “contenimento” (containment) dell’espansione del comuni- smo proposta dal diplomatico George Kennan, le ingerenze sta- liniane in Grecia e la spietata repressione dei partiti non comu- nisti negli Stati dell’Europa orientale contribuirono a gelare i rapporti diplomatici tra le due superpotenze. In definitiva i due grandi vincitori, dopo aver sconfitto i fascismi «tornavano alle loro posizioni naturali, l’uno predicendo il crollo del capitalismo e attrezzandosi alla rivoluzione mondiale […], l’altro proponen- do un piano di ricostruzione mondiale dell’econo- mia improntato alle regole del capitalismo» (S. Guarracino, Il Novecento e le sue storie, Bruno Mondadori, Milano 1997, pp. 127-128). Ben pre- sto in tutto il mondo occidentale le associazioni politiche e sindacali e persino i singoli dovettero compiere scelte nette – o di qua, o di là – con le con- seguenze che ne derivarono in termini di conflittualità sociale ma anche di rafforzamento identitario e di costru- zione di senso. La lotta durò dal 1947 circa sino al 1989, an- no della caduta del Muro di Berlino (che di quella con- trapposizione divenne il simbolo) e impresse a molti con- flitti locali e a guerre civili per la decolonizzazione un so- vrappiù determinato dalla dimensione ideologica. Tale contrapposizione si caricò anche di una valenza reli- giosa, sicché «nella tradizione cristiana e soprattutto in quella protestante torna con insistenza l’immagine di Ar- mageddon, il momento finale dell’Apocalisse di Giovan- ni» (A. Lepre, Guerra e pace nel XX se- colo, Il Mulino, Bologna 2005, p. 345). Che il blocco comu- nista fosse davvero unitario risulta, a posteriori, un’afferma- zione più che discutibile: la Cina rappresentava un’espe- rienza orientale originale, più in contrasto che in dialogo con l’URSS, e la stessa Cuba era tutt’altro che propensa a seguire ciecamente i dettati del Cremlino, mentre nei Paesi dell’Est l’op- posizione covava sotto le ceneri. Fu la paura del nemico a far per- cepire agli statunitensi un impero sovietico immenso e monoliti- co, oltre a una capacità bellica sovietica che prese corpo piena- mente soltanto negli anni Cinquanta e che l’immaginazione ave- va ingigantito non poco. In effetti, quando l’URSS si dimostrò se- riamente capace di colpire gli USA (si pensi alla questione dei missili a Cuba nel 1962), proprio allora i massimi responsabili – John F. Kennedy e Nikita Chrusˇcˇëv – concretizzarono nel modo più positivo le riflessioni sulla distensione avviate negli anni pre- cedenti: segno che, di là dalle propagande messe in atto, e a dispetto dei militari pronti alla guerra, i supremi decisori non avevano perduto la capacità di valutare correttamente il nemico. Nella Guerra fredda il nemico nu- mero uno divenne l’arma nuclea- re: un ordigno che incuteva timo- re sia per l’uso che avrebbe po- tuto farne il blocco avversario sia, nondimeno, per un possi- bile uso errato da parte dei tecnici della propria nazione, essendo sempre soggetto all’er- rore umano dettato da imperizia o 38 Marinai d’Italia imprudenza. Si delineava un nemico nucleare, insomma, che spaventava di per sé prima ancora della riflessione che l’arma fosse detenuta da questa o quella nazione, poiché le sue poten- zialità stesse costituivano una minaccia. La fantascienza in- ventò un nuovo mostro, protagonista di una serie di film a parti- re dal 1954, dal nome Godzilla: si trattava di un animale preisto- rico sopravvissuto dal Giurassico, mutato e aumentato di dimen- sioni a causa delle radiazioni prodotte da esperimenti nucleari statunitensi nel Pacifico, e divenuto così un nemico dell’umanità intera: Godzilla colpiva le città emettendo un raggio nucleare dalle fauci e si “ricaricava” mediante una sorta di cuore-reatto- re. Il timore di una nuova guerra, incombente sul destino di tut- ti, ispirò anche la commedia La paura numero uno (1950), in cui la vita del protagonista Matteo Generoso viene congelata pro- prio dal terrore del conflitto: soprattutto nel terzo atto, emerge l’idea di un’umanità che combatte contro sé stessa e dove il ne- mico non è più distinguibile dal sé. Un altro nemico, quello interno, acquisì nuova fisionomia nel corso della Guerra fredda, assumendo talora il carattere pubblico dei militanti comunisti che avevano fatto del- l’URSS un mito («i partiti o quinte colonne comuniste co- stituiscono una sfida e un pericolo per la civiltà cristia- na», aveva detto Churchill a Fulton) e talaltra quello, celato e perciò più inquietante, delle “spie” al servi- zio dell’Unione Sovietica. Il maccartismo negli USA fu definito dal suo iniziatore, il senatore Joseph Mc- Carthy, come una «battaglia finale tra il comunismo ateistico e la civiltà», caricandosi quindi di un’impronta religiosa oltre che ideologica: registi e attori di Hollywood – da Charles Chaplin a Fritz Lang – pagarono caro il non allineamento all’ortodossia imposta da McCarthy, mentre i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg, dichia- rati il 5 aprile 1951 colpevoli di aver trasmesso all’URSS il segreto L’idea di “nemico”: nella Guerra fredda di Alessandro Ferioli Professore, ricercatore storico La costruzione del Muro di berlino il 13 agosto del 1961 Il Checkpoint Charlie era un noto posto di blocco sul confine tra i settori, nel Muro di Berlino L’idea di “nemico”

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38 Marinai d’Italia Marinai d’Italia 39

I l campo liberaldemocratico e quello comunista, pur essendotra loro incompatibili, per tutta la durata della Seconda guer-ra mondiale avevano trovato una forma di convivenza nell’am-

bito dell’alleanza antifascista. All’indomani della vittoria, dopo lasconfitta del nemico comune, da entrambe le parti l’alleato delgiorno prima fu rapidamente assimilato al “mostro” appena bat-tuto sul campo di battaglia: per gli statunitensi il comunismo nondifferiva nei modi dai fascismi e tutte quelle esperienze poteva-no essere assorbite nel concetto di totalitarismo; per i comunisti,di contro, i fenomeni fascisti erano propaggini dell’imperialismocapitalista. Le due superpotenze si provvedevano in tal modo diun armamentario culturale che forniva legittimità morale allacontrapposizione e sviliva il diritto d’esistere all’antagonista.In uno scenario siffatto, le dichiarazioni di Winston Churchill sul“sipario di ferro” (iron courtain) calato in Europa, la strategiadel “contenimento” (containment) dell’espansione del comuni-smo proposta dal diplomatico George Kennan, le ingerenze sta-liniane in Grecia e la spietata repressione dei partiti non comu-nisti negli Stati dell’Europa orientale contribuirono a gelare i

rapporti diplomatici tra le due superpotenze. In definitiva i duegrandi vincitori, dopo aver sconfitto i fascismi «tornavano alleloro posizioni naturali, l’uno predicendo il crollo del capitalismoe attrezzandosi alla rivoluzione mondiale […], l’altro proponen-do un piano di ricostruzione mondiale dell’econo-mia improntato alle regole del capitalismo» (S.Guarracino, Il Novecento e le sue storie, BrunoMondadori, Milano 1997, pp. 127-128). Ben pre-sto in tutto il mondo occidentale le associazionipolitiche e sindacali e persino i singoli dovetterocompiere scelte nette – o di qua, o di là – con le con-seguenze che ne derivarono in termini di conflittualitàsociale ma anche di rafforzamento identitario e di costru-zione di senso. La lotta durò dal 1947 circa sino al 1989, an-no della caduta del Muro di Berlino (che di quella con-trapposizione divenne il simbolo) e impresse a molti con-flitti locali e a guerre civili per la decolonizzazione un so-vrappiù determinato dalla dimensione ideologica. Tale contrapposizione si caricò anche di una valenza reli-giosa, sicché «nella tradizione cristiana e soprattutto inquella protestante torna con insistenza l’immagine di Ar-mageddon, il momento finale dell’Apocalisse di Giovan-ni» (A. Lepre, Guerra e pace nel XX se-colo, Il Mulino,Bologna 2005,p. 345).Che il blocco comu-nista fosse davverounitario risulta, a posteriori, un’afferma-zione più che discutibile: la Cina rappresentava un’espe-rienza orientale originale, più in contrasto che in dialogo conl’URSS, e la stessa Cuba era tutt’altro che propensa a seguireciecamente i dettati del Cremlino, mentre nei Paesi dell’Est l’op-posizione covava sotto le ceneri. Fu la paura del nemico a far per-cepire agli statunitensi un impero sovietico immenso e monoliti-co, oltre a una capacità bellica sovietica che prese corpo piena-mente soltanto negli anni Cinquanta e che l’immaginazione ave-va ingigantito non poco. In effetti, quando l’URSS si dimostrò se-riamente capace di colpire gli USA (si pensi alla questione deimissili a Cuba nel 1962), proprio allora i massimi responsabili –John F. Kennedy e Nikita Chrusˇcˇëv – concretizzarono nel modopiù positivo le riflessioni sulla distensione avviate negli anni pre-

cedenti: segno che, di là dalle propagandemesse in atto, e a dispetto dei militaripronti alla guerra, i supremi decisori nonavevano perduto la capacità di valutarecorrettamente il nemico.

Nella Guerra fredda il nemico nu-mero uno divenne l’arma nuclea-re: un ordigno che incuteva timo-

re sia per l’uso che avrebbe po-tuto farne il blocco avversariosia, nondimeno, per un possi-bile uso errato da parte dei

tecnici della propria nazione,essendo sempre soggetto all’er-

rore umano dettato da imperizia o

38 Marinai d’Italia

imprudenza. Si delineava un nemico nucleare, insomma, chespaventava di per sé prima ancora della riflessione che l’armafosse detenuta da questa o quella nazione, poiché le sue poten-zialità stesse costituivano una minaccia. La fantascienza in-ventò un nuovo mostro, protagonista di una serie di film a parti-re dal 1954, dal nome Godzilla: si trattava di un animale preisto-rico sopravvissuto dal Giurassico, mutato e aumentato di dimen-sioni a causa delle radiazioni prodotte da esperimenti nuclearistatunitensi nel Pacifico, e divenuto così un nemico dell’umanitàintera: Godzilla colpiva le città emettendo un raggio nuclearedalle fauci e si “ricaricava” mediante una sorta di cuore-reatto-re. Il timore di una nuova guerra, incombente sul destino di tut-ti, ispirò anche la commedia La paura numero uno (1950), in cuila vita del protagonista Matteo Generoso viene congelata pro-prio dal terrore del conflitto: soprattutto nel terzo atto, emergel’idea di un’umanità che combatte contro sé stessa e dove il ne-mico non è più distinguibile dal sé.

Un altro nemico, quello interno, acquisì nuova fisionomia nelcorso della Guerra fredda, assumendo talora il carattere

pubblico dei militanti comunisti che avevano fatto del-l’URSS un mito («i partiti o quinte colonne comuniste co-

stituiscono una sfida e un pericolo per la civiltà cristia-na», aveva detto Churchill a Fulton) e talaltra quello,celato e perciò più inquietante, delle “spie” al servi-

zio dell’Unione Sovietica. Il maccartismo negli USA fudefinito dal suo iniziatore, il senatore Joseph Mc-

Carthy, come una «battaglia finale tra il comunismo ateisticoe la civiltà», caricandosi quindi di un’impronta religiosa oltre cheideologica: registi e attori di Hollywood – da Charles Chaplin a FritzLang – pagarono caro il non allineamento all’ortodossia impostada McCarthy, mentre i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg, dichia-rati il 5 aprile 1951 colpevoli di aver trasmesso all’URSS il segreto

L’idea di “nemico”:nella Guerra freddadi Alessandro FerioliProfessore, ricercatore storico

La costruzione del Muro di berlino il 13 agosto del 1961Il Checkpoint Charlie era un noto posto di bloccosul confine tra i settori, nel Muro di Berlino

L’idea di “nemico”

della bomba atomica, divennero l’emblema di un’ingiusta condan-na a morte, pur essendo oggi accertata la loro attività spionistica.A quel punto diventava incerta persino l’identificazione del nemi-co, poiché l’intolleranza interna poteva fare più danni del nemicostatuale: non è un caso che la critica cinematografica abbia neltempo revisionato il senso del film di Don Siegel, L’invasione de-gli ultracorpi (1956), interpretandolo in un primo momento comeanticomunista e successivamente come antimaccartista.Il problema nazionale, alla base delle guerre della prima metà delsecolo, fu affrontato nell’Europa centrale con le espulsioni delleminoranze e le conseguenti persecuzioni a danno dei tedeschi deiSudeti, mentre nel campo sovietico i nazionalismi vennero soffo-cati duramente in favore di un comunismo a guida unica. Nel frat-tempo anche molti paesi arabi si inserirono nella Guerra fredda,apportandovi motivi legati alla decolonizzazione e al risveglio ter-zomondista: ne è un esempio la Libia di Gheddafi, che negli anniOttanta era indicata da Ronald Reagan come il motore del terro-rismo arabo, mentre per altri Stati del Patto Atlantico (come l’Ita-lia) veniva piuttosto vista come un nuovo interlocutore economi-co. Proprio a partire dalla seconda metà del secolo, una delle re-gioni più “calde” del mondo divenne il Medio Oriente, dove la co-stituzione dello Stato di Israele radicalizzò il contenzioso tra Ebreie Palestinesi. Da una parte il ricorso alle armi statuali legittime inazioni di violenza di massa, dall’altra la pratica sistematica del ter-rorismo, ed entrambe sostanzialmente finalizzate a cacciare il ne-mico, innescarono un conflitto dietro al quale non pochi hanno in-travisto una finalità di pulizia etnica. L’immagine internazionale delconflitto ebbe il suo culmine alle Olimpiadi di Monaco del 1972,quando un commando terroristico palestinese prese in ostaggio

la delegazione sportiva israeliana, imprimendo al campo palesti-nese l’immagine di nemico terrorista e, quindi, illegittimo.Il periodo di maggiore caccia al nemico interno, dopo le “purghe”staliniane, fu quello del ritorno di Mao sulla scena pubblica in se-guito alla nomina alla presidenza di Liu Shaoqi. Proprio quest’ul-timo, con i suoi tentativi di moderare gli estremismi della colletti-vizzazione e di far rifiorire la cultura accademica, attirò gli stralidi Mao, che nel 1966 lo attaccò con il libello intitolato Bombarda-te il Quartier generale. All’epoca della Rivoluzione culturale il ne-mico fu individuato in tutti coloro che potessero essere anchelontanamente indicati come “benestanti”, si trattasse di proprie-tari terrieri o di contadini appena agiati. Tale qualità, secondoMao, si trasmetteva dai genitori ai figli e pertanto era ereditaria:l’aver avuto genitori o nonni possidenti doveva perciò continua-re a pesare sulle prospettive di conservare la propria incolumitàindividuale. Questo nemico di classe, rafforzato da una compo-nente biologica (la trasmissione ereditaria), veniva disumanizza-to dalla propaganda e ricondotto a stereotipi attinti dalla simbo-logia animale: «I draghi generano draghi, – affermava Mao – lefenici generano fenici, i topi generano topi» (Z. Li, The Private Li-fe of Chairman Mao, Chatto & Windus, London 1994, p. 429). Laspersonalizzazione era rafforzata dall’ideologia, che aggiungevaconcretezza ai nemici indicati da Mao e legittimava qualunquemenzogna per consentirne l’incriminazione o il linciaggio. Se lapietà verso il nemico doveva considerarsi crudeltà verso il popo-lo – come sosteneva Mao –, l’unico sbocco possibile era la re-pressione di ogni istinto di compassione verso chiunque, daglianziani ai propri insegnanti di scuola, dai genitori agli amici disempre: i grandi spettacoli di umiliazione e degradazione del ne-mico – attraverso imposizione di berretti d’asino o vernici sullatesta e sul volto – videro così la partecipazione di masse d’indi-vidui di ogni genere ed età non del tutto consapevoli delle pro-prie azioni, ma spinti da una miscela di propaganda e paura alruolo di spie, delatori ed esecutori dei tormenti. Il popolo stesso,

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in tal modo, diventava l’arma per combat-tere il nemico interno.La grande caccia al nemico ideologico vi-de il suo culmine – nel senso di provocareil maggior numero di morti in proporzionealla popolazione – con i Khmer rossi inCambogia. Anche i Khmer prestarono par-ticolare attenzione all’educazione del po-polo: costretti a vivere in comunità dove sipraticava la condivisione assoluta di ognioggetto, fino alle stoviglie, gli individui era-no attentamente controllati e il loro pen-siero indagato in riunioni serali di discus-sione; chi non dava segno di disciplinaideologica era punito con l’invio in monta-gna per una settimana di lavori forzati. S-21 era il codice della prigione di Tuol Sleng,un vecchio liceo riadattato a luogo di tor-tura, dove passarono oltre 20000 soggetti,di cui appena sette uscirono vivi. Gli stu-diosi ne hanno analizzato l’archivio cheraccoglie 4000 confessioni, chiaramenteestorte con la tortura, registrate e verba-lizzate fra il 1975 e i primi mesi del 1979: unacaratteristica comune pressoché a tutte èla dichiarazione è di aver tradito il partito,cui si aggiunge in molte di esse quella diavere congiurato con una potenza occi-dentale, oltre alla denuncia di complici traamici, famigliari e conoscenti. È insommala testimonianza di una ricerca del nemicoormai sclerotizzata, maniacale, nel dispe-rato e assurdo tentativo di eliminare il“male”. Il pittore Vann Nath, uno dei pochia salvarsi, ha ricostruito minuziosamentenelle sue opere i modi di tortura usati da-gli aguzzini del carcere, restituendoci visi-vamente e nei dettagli quella che fu un’impressionante (e non uni-ca) macchina di morte (<www.wannnath.com>).Ne conseguì un clima di sospetto che pervase tutti, nel presentee nel passato, senza esclusioni di vincoli di sangue e di amicizia, eche non risparmiò neppure la psiche individuale, il subconscio, seè vero che sui muri del carcere campeggiava il motto «Bisogna di-struggere il nemico visibile e anche quello invisibile, il nemico chesi annida nella vita mentale». Il nemico, in definitiva, era il “sape-re”, costituito dal linguaggio e dalla scrittura, dalle arti visive e dal-la danza, dalla storia e dalle scienze: infatti Pol Pot, che pure ave-va ricevuto una buona istruzione a Parigi, intendeva distruggeretutto ciò chiudendo le scuole e i luoghi di culto, uccidendo gli in-tellettuali e chiunque portasse gli occhiali, per fare ritrovare al suopopolo la purezza nel lavoro delle campagne. «Noi cerchiamo i mi-crobi che si annidano nel partito senza successo – dichiarava PolPot – Essi sono nascosti in profondità. […] Tuttavia a mano a ma-no che la rivoluzione socialista avanza impregnando ogni angolodel partito, l’esercito e il popolo, noi saremo in grado di localizza-re gli orribili microbi. […] Se aspetteremo ancora a lungo, i micro-bi potranno davvero guastarci». Egli sosteneva inoltre che la lotta

contro i nemici sarebbe stata permanen-te, poiché sarebbe durata ancora per de-cenni divenendo un elemento intrinsecoalla vita del partito per lungo tempo (da D.Chandler, B. Kiernan, C. Boua, Pol PotPlan the Future, Yale University Press,New Haven 1988).Nelle ideologie comuniste, tuttavia, il nemi-co poteva anche essere sottoposto a untrattamento di propaganda particolarmen-te intenso e violento, nella speranza di rica-varne un nuovo seguace dell’ideologia ecome tale restituirlo alla società. Ciò avve-niva attraverso un complesso programmadi riforma del pensiero finalizzato a pene-trare nella mente delle persone per ristrut-turarne gli schemi mentali, il modo di pen-sare e il sistema di credenze, per provoca-re un’adesione intimamente convinta all’i-deologia. Siamo così al nemico rieducato.Proprio basandosi sull’esperienza dei cam-pi di prigionia, fin dagli anni Cinquanta il so-ciologo statunitense Edgar H. Schein(Reaction pattern to severe, chronic stressin American Army prisoners of war in theChinese Republic, «Journal of SociologicalIssues», n. 3/1957) ha studiato i sistemi dipropaganda attuati dai cinesi in Corea suisoldati americani, individuando sostanzial-mente tre “stadi”. Il primo è quello dello“scongelamento”, ovvero l’induzione diuna crisi d’identità tale da far ritenere sba-gliati o superati i valori del passato, sicchéil soggetto, sottoposto a condizioni di fortidisagi e privazioni, è portato a demolire tut-te le credenze legate a una visione borghe-se della vita, applicandone il rifiuto al siste-

ma di valori diffuso nell’intera nazione d’appartenenza. Il secondostadio è quello del “cambiamento”, segnato dalla scoperta dellepossibilità di trasformazione positiva offerte dalla potenza deten-trice e ispirate alla nuova ideologia proposta, aperta a una nuovae più autentica vita, sicché il soggetto è indotto ad assumere im-pegni sempre più stringenti con sé stesso, anche in forma di di-chiarazioni pubbliche. Il terzo stadio è quello del “ricongelamen-to”, ovvero del consolidamento delle idee e dei comportamenti de-siderati dai capi attraverso un complesso sistema di premi e puni-zioni, correzioni e induzioni all’autocritica, fintanto che il soggettodimostri idee e atteggiamenti individuali acquisiti ormai in formapermanente e conformi a quelli del gruppo dominante. Tale siste-ma prese il nome di brainwashing, ovvero di “lavaggio del cervel-lo”, dal titolo di un famoso libro di Edward Hunter, Brainwashing inRed China (Vanguard, New York 1951). Al tempo stesso, la scoper-ta delle sue possibilità ha indotto una serie di inquietudini diffusenella società occidentali, di cui è testimonianza il film di JohnFranckenheimer, The Manchurian candidate (1962). Il che venne acostituire ulteriore motivo d’inquietudine.

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L’idea di “nemico”

Copertina del 14 aprile 1975

Vann Nath nato nel 1946 a Battambang, Cambogiae recentemente scomparso, è uno dei soli sette sopravvissutidella prigione segreta dei Kmer rossi detta S-21 dove uomini,donne e bambini furono interrogati, torturati e uccisidal 1975 al 1979

Copertina del 7 giugno 1999che ipotizza una nuova Guerra Fredda

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