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LETTERA DEL PARROCO Cari fratelli e care sorelle nel Signore, dopo la prima settimana di Quaresima ho incominciato a pensare e a pregare per prepararmi alla predicazione del Triduo pasquale, compito non facile ovviamente: chiunque, infatti, sente la propria inadeguatezza e incapacità di fronte a quei tre giorni di Gesù di Na- zareth, dove, così confessa la nostra fede apostolica, vediamo e sentiamo gesti e parole ultime e definitive (= la verità) circa l’uomo, il mondo e Dio. D’altra parte, è proprio del ministero del presbitero il servizio della predicazione ovvero non posso sottrarmi al dono rice- vuto per la comunità e non è un atto di volontà più o meno buona o determinata, ma ha a che fare piuttosto con l’affetto, come quando uno scopre e riconosce di essere innamorato e che non può fare di- versamente: non ce la fa, deve arrendersi e volere liberamente quel- lo che è. Superato per grazia il senso di vertigine che immancabilmente mi prende cerco comunque di rassicurarmi: in fondo si tratta sempre della vicenda di un uomo che soffre e muore ingiustamente (la risur- rezione è una faccenda diversa), vicenda molto simile a quella di mi- liardi di esseri umani, e, quindi, troverò ben qualcosa da dire. In realtà, riprendendo in mano con pazienza la Sacra Scrittura mi ac- corgo che non è proprio così. “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una mor- Messico e la visita di Papa Francesco pag. 3 Passione di Gesù, passione per l’uomo pag. 4 Laudato si’ - 6 pag. 6 Per seminare amicizia pag. 9 Gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case pag. 10 Il crocefisso stile russo/bizantino pag. 12 In questo numero: Parrocchia Angeli Custodi Via Pietro Colletta 21, Milano www.parrocchie.it/milano/angelicustodi [email protected] Anno 2016, numero 3 - mese di marzo/aprile Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected]

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LETTERA DEL PARROCO Cari fratelli e care sorelle nel Signore,

dopo la prima settimana di Quaresima ho incominciato a pensare e

a pregare per prepararmi alla predicazione del Triduo pasquale,

compito non facile ovviamente: chiunque, infatti, sente la propria

inadeguatezza e incapacità di fronte a quei tre giorni di Gesù di Na-

zareth, dove, così confessa la nostra fede apostolica, vediamo e

sentiamo gesti e parole ultime e definitive (= la verità) circa l’uomo, il

mondo e Dio. D’altra parte, è proprio del ministero del presbitero il servizio della predicazione ovvero non posso sottrarmi al dono rice-

vuto per la comunità e non è un atto di volontà più o meno buona o determinata, ma ha a che fare piuttosto con l’affetto, come quando

uno scopre e riconosce di essere innamorato e che non può fare di-versamente: non ce la fa, deve arrendersi e volere liberamente quel-

lo che è. Superato per grazia il senso di vertigine che immancabilmente mi

prende cerco comunque di rassicurarmi: in fondo si tratta sempre della vicenda di un uomo che soffre e muore ingiustamente (la risur-

rezione è una faccenda diversa), vicenda molto simile a quella di mi-

liardi di esseri umani, e, quindi, troverò ben qualcosa da dire. In

realtà, riprendendo in mano con pazienza la Sacra Scrittura mi ac-

corgo che non è proprio così.

“Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una mor-

Messico e la visita di Papa Francesco pag. 3

Passione di Gesù, passione per l’uomo pag. 4

Laudato si’ - 6 pag. 6

Per seminare amicizia pag. 9

Gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case pag. 10

Il crocefisso stile russo/bizantino pag. 12

In questo numero:

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Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected]

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te di croce” (Fil 2, 8), così afferma S. Paolo e mi pare che l’espressione, così cadenzata e

calibrata, voglia condurci a considerare la singolarità di quella morte ovvero a lasciarci

illuminare da quel morire lì, così unico (e diverso) perché ha a che fare con l’umiliazione,

l’obbedienza, la crocifissione… parole non immediatamente evidenti nel loro significato

né per Gesù né per la condizione umana del vivere e morire. È impresa ardua, rispetto

alle poche righe di una lettera del parroco, cercare di puntualizzare le succitate parole,

ma qualcosa bisogna pur dire.

Il minimo che si possa dire, se si parte da lì e non da altrove, è che saltano i nostri sche-

mi, analogie, similitudini, pensieri, ragionamenti, linguaggi e quant’altro: ci ritroviamo

nudi di fronte al Cristo che muore, scende negli inferi e risorge. Già star lì (e non da

un’altra parte) è già qualcosa da non sottovalutare, ma da apprezzare, perché così fece

Maria e Giovanni, così facciamo quando stiamo accanto a chi sta male e muore mala-

mente… stiamo lì, confusi, col cuore spezzato, senza poter far nulla se non prenderci cu-

ra di un corpo tanto simile a quello di un neonato (da lavare, pulire, cullare), un corpo

che a volte sembra quasi senz’anima…

Domanda: è l’inizio della fine o la fine di un inizio?

Lascio l’interrogativo aperto. Non vorrei fare la predica e dare l’impressione che tutto sia già scritto, chiaro, evidente, e che sia sufficiente dire la risposta (anche se una risposta

c’è…). Mi pare saggio fermarsi sulla soglia, indicare che c’è una porta, che è possibile aprire, ma tocca a Dio e a ciascuno allungare la mano: è Emmaus.

Lì, a due discepoli (o forse sarebbe meglio dire ex-discepoli) col volto triste e l’animo de-luso, sconvolti per il racconto delle donne, si fa incontro un forestiero: è Gesù in persona,

ma non lo sanno. Egli si affianca lungo la strada, li ascolta, lì interpella, riscalda il cuo-re ripercorrendo con loro tutte le Scritture (ovvero l’Antico Testamento e è bene non di-

menticarlo), infine siedono a mensa e lì lo riconoscono. E inizia una nuova storia. Ha scritto un teologo: “Emmaus non è mai accaduto, perché Emmaus sta sempre acca-

dendo” (J. D. Crossan).

Buona Pasqua!

Don Guido

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Il Messico e un paese ricco di antiche tradizioni, di affascinanti segreti e di tutta una serie di attrazio-ni. Con una popolazione di circa cento milioni di per-sone il Messico è una delle nazioni più popolate del mondo. Il 60% degli abitanti è di origine metic-cia, soprattutto di discendenza spagnola; il 30% appartengono a varie etnie indigene; il 9% degli abitanti è di origini europea il resto 1% è compo-sta da ebrei, arabi, turchi, cinesi e giapponesi una gran parte di statunitensi. Il Messico con il suo modo e stile di vivere la sua devozione e il suo amore a Nostra Signora di Guadalupe, è arrivato a una identificazione religio-sa e culturale unica nel mondo cristiano. Per que-sto mi azzardo, a sottolineare il fenomeno dell’i-dentificazione del popolo del Messico con la Ver-gine Guadalupe. La religiosità del popolo messicano è in realtà il risultato di un processo di progressiva identifica-zione con la Vergine di Guadalupe nei diversi am-biti della sua vita individuale, familiare, sociale, cul-turale, e nazionale. La religiosità o pietà popolare è una sorta di spiri-tualità del popolo che risponde alle domande fon-damentali dell’ esistenza come l’identità, è espres-sione spontanea di fiducia in Dio e di amore verso di lui, verso la Vergine, verso i santi. I messicani si riconoscono tutti nella Madonna: è la loro madre, la loro icona, Ovunque andiate in Messico, dal taxi al negozio del barbiere, dall’ uffi-cio all’ aeroporto, troverete l’immagine della Ver-gine di Guadalupe. Tutti i messicani sono suoi figli: guai a toccare la Vergine di Guadalupe. La straordinaria storia di Guadalupe: è l’esempio di una Madre che richiama, ma anche di una nazio-ne che risponde. La religiosità popolare in Messico non è un folklo-re più o meno residuale sotto l’impatto della mo-dernizzazione o della secolarizzazione, è la moda-lità di inculturazione del mistero cristiano nella

storia, nella cultura e nella vita di questo popolo. Il Messico è anche un paese che sta vivendo una situazione molto dolorosa a causa della violenza, della corruzione, del traffico di droghe, della cri-minalità organizzata, della tratta di persone. È un popolo oppresso, disprezzato, sofferente, emargi-nato e violentato nella sua dignità. È una nazione che ha abbondanti ricchezze naturali e culturali che spesso sono sfruttate solo da pochi. Il papa nel suo viaggio apostolico nella terra mes-sicana, ha visitato le citta e le popolazione molto colpite da questa “guerra” da questa violenza che ha generato decine di migliaia di vittime, tantissi-ma povertà e distrutto migliaia di famiglie. Come missionario di misericordia e di pace, il Vicario di Cristo è andato incontro a tutti, spe-cialmente dei più bisognosi per farli incontrare con l’amore di Dio e la sua presenza in questo mondo. Il Sommo Pontefice ha visitato i più poveri mate-rialmente (Chiapas), e quelli che soffrono violen-ze (Morelia), quelli che sono costretti a lasciare casa, famiglia e patria (Ciudad Juárez) portando la consolazione di Cristo, espressione dell’Amore del Padre, e di sua Madre che intercede per tutti e che accoglie tutti sotto il suo mantello (visita alla Basilica di Guadalupe). Per il popolo messicano, la visita del Papa “missionario di misericordia e pace” è stata un dono grande di Dio e una gioia immensa perché tra le altre cose il Papa nella sua umiltà ha aiutato la gente ad accrescere la fede, e la speranza nel Signore Gesù Cristo. Il popolo si è sentito ridare la sua dignità, si è sentito accolto, abbracciato nella sua sofferenza e povertà. Ha ricevuto la sua “cariñoterapia”. La manifestazione d’ amore di Lui verso la More-nita è stato motivo di gioia sia per i credenti e non credenti tutti hanno apprezzato e accolto il Papa con un caloroso entusiasmo. “Francisco, hermano, ya eres mexicano!.

Messico e la visita di Papa Francesco

Sr. Rosalia Ontiveros Loera

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Quest’anno, in occasione del cammino quaresima-le, il coro parrocchiale degli Angeli Custodi ha pensato che uno dei modi migliori per vivere que-sto periodo fosse proprio quello di ripercorrere gli ultimi passi del cammino di Gesù, quei passi che lo hanno portato alla morte in croce. Quale modo migliore, infatti, per capire e vivere l’inse-gnamento di Gesù di Nazareth se non quello di metterglisi accanto e camminare con lui? Tutti noi probabilmente conosciamo lo sforzo e la difficoltà di incamminarci davvero accanto a lui, di contribuire a quel progetto di amore fraterno che lui ci ha mostrato e raccontato. Ma è proprio per questo, forse, che la passione di Gesù è passione per l’uomo, come recita il nostro titolo. È cioè quell’esempio perfetto di vita donata all’altro che deve illuminare e dar senso a ogni nostra piccola via crucis quotidiana, soprattutto a quelle che in-traprendiamo con fatica ogni giorno per tentare di realizzare, nel nostro piccolo, il progetto di un mondo più giusto. Ma c’è anche un altro senso in cui la Passione di Gesù è davvero passione per l’uomo. In italiano, il termine “passione” rimanda in effetti almeno a due diversi ambiti concettuali, intimamente con-nessi ma distinti. “Passione” ha certamente una derivazione greca, dal sostantivo pàthos e dal ver-bo pàsco, che rimandano alla dimensione passiva dei sentimenti: il pàthos è uno stato affettivo che si subisce, pàsco significa “io patisco”, a volte an-che “io soffro”. Ma per noi “passione” ha anche un fortissimo si-gnificato attivo: le nostre passioni sono quelle che ci fanno muovere, quelle che ci fanno agire, in una parola, quelle che ci fanno vivere. “Passione” è anche sinonimo di “amore”, anzi di un amore vi-scerale, che ci coinvolge interamente e che ci può veramente far mettere al servizio dell’amato. Ecco, a me piace pensare che la Passione di Gesù sia passione per l’uomo anche in questo senso: è cioè il frutto dell’amore viscerale di Gesù per noi, per ciascuno di noi, quell’amore totalizzante, ma-terno e paterno, che solo può spingere a mettere

se stessi dopo gli altri. In questo senso credo che proprio la Passione di Gesù, un momento di sof-ferenza e di profonda ingiustizia, ci metta di fron-te a un limpidissimo messaggio di speranza: lui patisce perché ha passione per noi, perché ci ama visceralmente anche quando sbagliamo e quando cadiamo, perché non si arrende. Ed è a questo amore viscerale che Gesù ci chiede di ispirarci nelle nostre relazioni con gli altri. Ec-co perché la nostra vita cristiana non può essere solo l’adempimento di un insieme di doveri, di precetti vuoti che regolino il nostro agire. Gesù infatti, come ci ricorda il bellissimo passo di Pri-mo Mazzolari ascoltato durante la nostra Via Crucis, “è andato oltre ogni dovere, con una ca-rità senza limiti. Dire la verità quando costa la vita è al di là del dovere. Scegliere di essere pove-ri alla maniera di Gesù è al di là del dovere. Fare del bene a chi ci fa del male è al di là del dovere. Amare chi ci odia è al di là del dovere” (Primo Mazzolari, Via Crucis “L’amore più grande”). Ci vuole quindi passione per amare come Gesù ci ama. Ma anche Pietro, il primo dei discepoli, fa fatica a capirlo. Enzo Bianchi lo racconta benissi-mo, descrivendo il momento in cui Pietro rinnega Gesù. “Pietro non aveva accettato né l’abbassamento di Dio, né l’umiltà del Maestro, né l’idea della soffe-renza del Messia. Aspettava che Dio s’imponesse, che il Figlio di Dio mostrasse la sua gloria, che il Regno si instaurasse con potenza. Aveva prote-stato con Gesù quando questi parlava della pas-sione, quando aveva voluto lavargli i piedi abbas-sandosi come uno schiavo. Ora, al canto del gallo, Pietro piange, […] comprende che dovrà presie-dere nell’amore, non nella gloria, senza oro né argento, lavando i piedi dei fratelli, donando la vita quale servo dei servi di Dio” (Enzo Bianchi, Via Crucis. Meditazioni e preghiere). Maria – la madre, una donna – è colei che, nono-stante la sofferenza, incarna davvero il messaggio d’amore di Gesù: “La Madonna è il folgorante esempio d’una nuova umanità: la Madonna dona

Francesca Forlè

Passione di Gesù, passione per l’uomo

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con cuore così largo e generoso, che al posto del Figlio accoglie Giuda, Pietro, il cattivo ladrone, i farisei, i crocifissori, me…” (Primo Mazzolari, Via Crucis “L’amore più grande”). E tuttavia. E tuttavia a un certo punto arriva il momento del-la morte. La morte ingiusta del giusto. La passione e l’amore sembrano sconfitti. È il mo-mento del dubbio, del “perché?”, della cinica ras-segnazione. È il momento del silenzio. “È finita. È proprio finita: Gesù è morto. Così si chiude la storia di quest’uomo che da Nazareth riaccese la speranza, annunciando l’Evangelo di Dio per tutti noi, buoni e cattivi, ricchi e poveri, uomini e donne […] Non ha rifiutato nessuno e si è avvicinato a tutti con mitezza e fermezza. La sua

mano e le sue parole guarivano. E nel suo sguar-do potevi intravvedere un altro mondo. Può un uomo giusto, un uomo innocente finire co-sì?” (Guido Nava, Via Crucis). No, la nostra Via Crucis non si conclude qui. Si conclude con un inizio. L’inizio dell’alba di Pasqua, dell’annuncio alle donne, della Resurrezione. Ge-sù risorge, la passione risorge. L’amore si rimette in movimento, ci rimette in movimento, ci fa rial-zare, ci dona speranza. È per questo che abbiamo voluto concludere la nostra Via Crucis con le immagini della natura che si risveglia: perché Pasqua possa davvero es-sere anche per noi l’occasione della rinascita, e il momento in cui poter iniziare cose nuove, e mi-gliori.

XXXVIII GIORNATA DELLA VITA

7 FEBBRAIO 2016

“LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITA”

La Commissione Famiglia della Parrocchia Angeli Custodi ringrazia tutti quanti hanno sostenuto la Gior-nata della Vita sia con le intenzioni che con l'acquisto delle primule.

Il ricavato netto è di € 1.400 di cui € 700 andranno al CAV Mangiagalli e € 700 a sostegno del Progetto Gemma.

MEETING 0-SEVEN

Domenica 17 aprile 2016 ore 15.30

Presso la Chiesa di San Silvestro e Martino - Viale Lazio

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Laudato si’ - 6 percorriamo la Lettera Enciclica Laudato si’

del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune

(a cura della redazione)

capitolo quinto ALCUNE LINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE 163. Ho cercato di prendere in esame la situa-zione attuale dell’umanità, tanto nelle crepe del pianeta che abitiamo, quanto nelle cause più pro-fondamente umane del degrado ambientale. Seb-bene questa contemplazione della realtà in sé stessa già ci indichi la necessità di un cambio di rotta e ci suggerisca alcune azioni, proviamo ora a delineare dei grandi percorsi di dialogo che ci aiutino a uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando. I. IL DIALOGO SULL’AMBIENTE NELLA POLI-TICA INTERNAZIONALE Chiarito ampiamente che tutto il pianeta è la casa comune dell’unico popolo umano, occorre che inte-ressi di pochi non utilizzino risorse a danno dei più. Occorre quindi un consenso mondiale per una piani-ficazione planetaria dell’uso delle risorse perché sia-no utilizzate al meglio, per tutti e con il minor danno possibile per l’ambiente: dalla garanzia per tutti dell’accesso all’acqua all’abbandono delle tecnologie che richiedono l’uso massiccio di combustibili fossili, altamente inquinanti. Negli ultimi decenni molto è stato fatto a livello di studio e di presa di coscienza dei problemi e sono state formulate ipotesi di soluzione o almeno di ridu-zione del danno, ma quasi nulla è stato realizzato perché non si riesce a raggiungere accordi per l’op-posizione di chi dovrebbe sopportarne i maggiori costi, per l’inadeguatezza della politica a creare au-torità sovrannazionali dotate di reali poteri indipen-denti e per l’obiettiva difficoltà di realizzare controlli. E occorrerebbe ancora che la comunità internaziona-le per un verso risarcisse i paesi che hanno subito l’inquinamento sena averne provocato e per un altro offrisse collaborazione tecnologica ed economica ai paesi con necessità di convertire i sistemi di produ-

zione in altri più rispettosi dell’ambiente e dei consu-mi. II. IL DIALOGO VERSO NUOVE POLITICHE NAZIONALI E LOCALI Con questa analisi economica e politica il papa inten-de dimostrare che superare l’irresponsabilità e co-struire un mondo più vivibile al presente e nel futuro non sono solo un sogno. 178. Il dramma di una politica focalizzata sui ri­sultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investi-menti esteri. La miope costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda ambientale lungi-mirante all’interno dell’agenda pubblica dei gover-ni. […] 179. […] La società, attraverso organismi non governativi e associazioni intermedie, deve obbli-gare i governi a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non control-lano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali. D’altra parte, le legislazioni mu-nicipali possono essere più efficaci se ci sono ac-cordi tra popolazioni vicine per sostenere le me-desime politiche ambientali. 180. […] In ambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico. Ciò implica favorire moda-lità di produzione industriale con massima effi-cienza energetica e minor utilizzo di materie pri-me, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ri-

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strutturazione di edifici che ne riducano il consu-mo energetico e il livello di inquinamento. D’al-tra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’eco-nomia dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture. È possibile favorire il miglioramento agricolo delle regioni povere mediante investi-menti nelle infrastrutture rurali, nell’organizza-zione del mercato locale o nazionale, nei sistemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche agricole sostenibili. […] III. DIALOGO E TRASPARENZA NEI PROCES-SI DECISIONALI 183. […] Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va inserito fin dall’inizio e dev’essere elaborato in modo interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica o politica. […] Ma nel dibattito devo-no avere un posto privilegiato gli abitanti del luo-go, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in consi­derazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato. […] La partecipazione richiede che tutti siano ade-guatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante. C’è biso-gno di sincerità e verità nelle discussioni scientifi-che e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione. 185. In ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter discernere se porterà a un vero sviluppo integrale: Per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà? In questo esa­me ci sono questioni che devono avere la priori­tà. Per esempio, sappiamo che l’acqua è una ri­sorsa scarsa e indispensabile, inoltre è un diritto fondamentale che condiziona l’esercizio di altri diritti umani. […]

Il papa prosegue con altri esempi nelle diverse situa-zioni con la raccomandazione che tutto si decida at-traverso una condivisione informata; che non preval-gano gli interessi economici di qualcuno; che tutti ade-guino il proprio comportamento alle esigenze colletti-ve. E qualora ci fossero difficoltà a trovare consenso 188. […] Ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito a un dibattito onesto e tra-sparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune. IV. POLITICA ED ECONOMIA IN DIALOGO PER LA PIENEZZA UMANA Continuano le argomentazioni sempre molto concrete dal salvataggio delle banche con danno dei risparmia-tori, alla ricerca di superamento della crisi economica in atto dal 2008 senza cambiare i modelli economici. 191. Quando si pongono tali questioni, alcuni rea-giscono accusando gli altri di pretendere di fer-mare irrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consu-mo può dare luogo a un’altra modalità di pro-gresso e di sviluppo. […] 193. […] Sappiamo che è insostenibile il compor-tamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti. […] Il nodo centrale è sempre non anteporre interessi privati alla tutela dei beni di tutti, anche appunto, rinunciando a certe privilegi per i pochi che danneg-giano i molti: l’economia non riesce a porsi dei limiti per ottenere questi risultati, occorre quindi l’interven-to della politica, che si impedisce di operare positiva-mente per la corruzione dei suoi operatori e per la loro pretesa di anteporre il permanere al potere alla ricerca dell’utile collettivo. Il giudizio di Francesco è tanto realistico quanto severo. 198. […] La politica e l’economia tendono a in­colparsi reciprocamente per quanto riguarda la

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povertà e il degrado ambientale. Ma quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni si affannano solo per l’u­tile economico e gli altri sono ossessionati solo dal conservare o accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi ambigui dove ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e avere cura dei più deboli. […] V. LE RELIGIONI NEL DIALOGO CON LE SCIENZE L’ultimo paragrafo di questo capitolo è dedicato al ruolo delle religioni e dei credenti. Come ha fatto spesso nel corso dell’enciclica, Francesco si riferisce alla sua esortazione Evangelii gaudium per richia-mare l’importanza delle religioni nella formazione dell’uomo integrale, in particolare nella dimensione morale; e per richiamare i credenti, non solo cattolici, alla coerenza con quanto affermano di credere. 200. Qualunque soluzione tecnica le scienze pre-tendano di apportare sarà impotente a risolvere

i gravi problemi del mondo se l’umanità perde la sua rotta, se si dimenticano le grandi motivazioni che rendono possibile il vivere insieme, il sacrifi-cio, la bontà. In ogni caso, occorrerà fare appello ai credenti affinché siano coerenti con la propria fede e non la contraddicano con le loro azioni, bisognerà insistere perché si aprano nuovamente alla grazia di Dio e attingano in profondità dalle proprie convinzioni sull’amore, sulla giustizia e sulla pace. Se una cattiva comprensione dei nostri princìpi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre, l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire. Molte volte i limiti culturali di diverse epoche hanno condizionato tale consapevolezza del proprio pa-trimonio etico e spirituale, ma è precisamente il ritorno alle loro rispettive fonti che permette alle religioni di rispondere meglio alle necessità attua-li.

RACCOLTA CARITAS

La raccolta di alimenti per la Caritas sarà domenica 27 marzo, anche se Pasqua.

Approfittiamone per essere ancora più generosi.

INCONTRARSI NELLA BIBBIA

I PROFETI

Sabato 9 aprile h. 10.00

Ababuc

In Oratorio e per il pranzo ognuno porta qualcosa

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Alcuni anni fa in un viaggio nella Turchia orientale durante la visita di Trabzon – nota in italiano co-me Trebisonda, porto turco sulla riva meridionale del mare Nero – abbiamo chiesto di visitare la chiesetta dove il 5 febbraio 2006 era stato ucciso da un giovane fanatico don Andrea Santoro. Purtroppo da allora nel mondo sono centinaia i cristiani uccisi per la loro fede e ancora in Turchia nel luglio del 2010 è stato ucciso il vicario aposto-lico in Anatolia, il vescovo cappuccino Luigi Pado-vese solo recentemente sostituito da papa Fran-cesco: gli assassini di monsignor Padovese e di don Santoro sono stati condannati dalla giustizia turca in processi a porte chiuse che non allontano il sospetto di una certa tolleranza da parte dell’au-torità locale. Ma non è di questo che intendo ora parlare. Vorrei invece ricordare la particolare emozione vissuta con gli amici allora presenti: abbiamo la-sciato le belle viste sul mar Nero, le suggestioni monumentali di una Santa Sofia, ricca di arte e di secoli che richiama la grande moschea di Istanbul con lo stesso nome, per raggiungere una quartie-re molto popolare, vivace e congestionato dove in una stretta via con case che sembrano ammassa-te si nasconde una chiesina colorata, decisamente povera, con simboli cristiani. Ci riceve un personaggio che era stato collabora-tore di don Andrea e ci racconta la sua esperienza accanto a un prete diverso; ci racconta del lavoro fatto insieme per qualche anno, della simpatia di cui godeva anche fra gli islamici, dell’ecumenismo pratico vissuto in quella chiesa, dove si riunisco-no a pregare i pochissimi cristiani di Trabzon, sia-no cattolici, armeni, copti e altri piccoli gruppi forse neppure consapevoli delle differenze fra le rispettive dottrine. Dopo don Andrea nessun prete ha più accettato

di risiedere nella chiesa e le celebrazioni sono soltanto saltuarie, quando qualcuno trova il co-raggio e il tempo per venire e i diversi gruppi si incontrano nella preghiera e nei diversi riti. Ci indica la panca dove pregava don Andrea quando è stato ucciso: porta ancora ben visibili i proiettili che non sono andati a segno e intanto un prete inglese, turista come noi, propone una messa: lui celebra in inglese, noi rispondiamo e cantiamo in italiano. L’emozione è intensa, per qualcuno di-venta commozione, ma occorre stare a porte chiuse, perché in Turchia non è consentito cele-brare in lingue diverse dal turco. Al di là di queste memorie, mi piace ricordare, a dieci anni dall’uccisione, don Andrea Santoro per-ché resta un simbolo: un simbolo di fraternità e di pace, una presenza di speranza, non una sfida in un avamposto di una cultura diversa, ma un desiderio di condivisione fino alla comunione. In un appunto, scrive: «Spesso mi chiedo perché sono qui, e mi viene in mente la frase Giovanni: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo noi”». Chiudo con un’altra citazione da uno scritto di Andrea Santoro nel 1986, quando allora parroco a Roma, stava pensando all’idea di essere prete in oriente: Se io fossi un albero, vorrei essere un’agave del deser-to. È un albero che fiorisce una sola volta nella vita e poi muore. […] Ma una volta morta fa ancora qual-cosa di utile: il suo tronco fine e largo, indurito e sec-cato, serve da bastone a chi va in montagna e gli fa da appoggio. [… ] Anch’io vorrei spendermi comple-tamente per gli altri, specialmente per chi si trova nel deserto, cioè nel dubbio, nel dolore, nella solitudine. […] Vorrei, anche dopo morto, essere di appoggio agli altri, servire ancora a qualcosa con il ricordo, le cose fatte e dette, l’amicizia seminata nel cuore di tanti.

Ugo Basso

Per Seminare amicizia

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Martedì 16 febbraio si è tenuto il quarto incon-tro dei gruppi d’ascolto della Parola che hanno per tema ” L’abbraccio del Padre – La misericor-dia nel Vangelo di Luca” . Il quarto incontro è incentrato sulla parabola del Fariseo e il Pubblicano - Lc 18,9-14

Rileggiamo il Vangelo: 9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pub­blicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla setti-mana e pago le decime di tutto quello che possiedo': 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nem-meno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto di-cendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore" 14Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustifica-to, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Questa parabola segue immediatamente quella del giudice iniquo e della vedova importuna (Lc 18,1-8) e si può pensare che Gesù voglia insistere sulla ne-cessità di pregare sempre e ovunque. Il fariseo e il pubblicano sono certamente ritratti nel momento della loro relazione più personale con Dio. Ma que-sto orizzonte è sufficiente per capire il racconto? A tema c'è la preghiera, oppure, partendo da essa, la vita? Si possono separare l'una e l'altra? Ma proprio in questa parabola è in gioco qualcosa di più della preghiera. O meglio, Gesù tratta sì di due atteggiamenti diversi nella preghiera, ma in realtà attraverso di essi allarga di molto l’orizzonte: ci insegna che la preghiera rive-la qualcosa che va oltre se stessa, riguarda il nostro modo di vivere, la nostra relazione con Dio, con noi stessi e con il prossimo. Gesù si rivolge agli “uomini religiosi”, cioè a quei credenti che a causa della loro osservanza della legge e della loro pratica religiosa si convincono in cuor loro di essere giusti di fronte a Dio e, quasi come una conseguenza immediata, finiscono per disprezza-re gli altri. Il miglior commento a tale atteggiamento

è forse un’altra parola di Gesù, rivolta proprio ai farisei: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che tra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevo-le” (Lc 16,15). La parabola può essere articolata in due momenti principali, che sono costruiti intorno alla contrappo-sizione tra i due personaggi, elemento caratteristico del vangelo secondo Luca (Marta e Maria: cf. Lc 10,38-42; il ricco che banchettava ogni giorno e il povero Lazzaro: cf. Lc 16,19-31; i due malfattori crocifissi insieme a Gesù: cf. Lc 23,39-43): la pre-ghiera dei due uomini (vv. 11-13); la situazione fina-le, giudizio di Gesù (v. 14). Sia il fariseo sia il pubblicano salgono al tempio, luo-go della presenza di Dio, per entrare in comunione con lui, ma le loro preghiere sono molto diverse: non basta pregare, occorre pregare in un certo mo-do, avverte Gesù. Il fariseo sta in piedi, nella posizione di chi è sicuro di sé, e fa nel suo cuore una preghiera che vorrebbe essere una lode, un ringraziamento a Dio. Luca usa l’espressione “tra sé”, in modo volutamente ambi-guo: può essere riferita alla preghiera del fariseo, presentata come una sorta di monologo tra sé e sé; oppure può connotare lo stare in piedi tra sé, il suo restarsene solo in disparte, accentuando così la sua sdegnosa separazione dagli altri. All’apparenza, infat-ti, egli si rivolge a Dio, dicendogli: “Ti ringrazio per-ché…”. Notate, queste prime parole del fariseo sono molto simili a quelle pronunciate da Gesù nel suo grido di giubilo: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché…”. (Lc 10,21). Ma la motivazione è molto diversa: se Gesù rende lode al Padre per i doni del suo amore, qui invece il ringraziamento non sale a Dio; chi lo pronuncia, il fariseo, ha fatto, ha compiuto, ha osservato la Legge quindi ti ringra-zio perché sono bravo. Sono parole in cui si cela un impressionante stravolgimento della preghiera: il fariseo sostituisce il suo “io” a “Dio”, e dunque fini-sce per rendere grazie a se stesso! Annota con finezza sant’Agostino: “Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stes-

a cura di Carlo Favero

Gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case

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so” (Discorsi 115,2). È evidente che in una simile preghiera l’intero rapporto con Dio è pervertito Ma ecco, di fronte a questa preghiera, quella del pubblicano, del peccatore pubblico. Il pubblicano è un uomo non garantito da quello che fa, anzi i suoi peccati manifesti lo rendono oggetto di diffidenza e di disprezzo da parte di tutti. Egli sale al tempio nella consapevolezza di essere un peccatore. Per questo Luca descrive accuratamente il suo comportamento esteriore, opposto a quello del fariseo. Egli “si ferma a distanza”, non osa avvicinarsi al Santo dei santi, là dove dimora la presenza di Dio: “sta lontano”, come il figlio minore della famosa parabola quando il padre lo vede e gli corre incontro( Lc 15,20); come Pietro (Lc 22,54) e gli altri discepoli (Lc 23,49) che seguono da lontano Gesù durante la sua passione; “non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo”, ma li tiene bassi, provando vergogna della propria condizione; “si bat-te il petto”, gesto tipico di colui che fa penitenza. Su questa postura fisica, che esprime la coscienza della sua indegnità nei confronti di Dio, Agostino indugia a lungo: “Il pubblicano s’era fermato a distanza”, ma tuttavia era vicino a Dio. Lo teneva lontano il rimorso, ma lo avvicina-va la fede. “Il pubblicano s’era fermato a distanza”, ma il Signore lo guardava da vicino. Poiché “eccelso è il Signore ma guarda alle cose umili, gli eccelsi invece”, com’era quel fariseo, “li conosce da lontano” (Sal 138,6) … Ma non bastava che stesse a distanza: “non osava neppure alzare lo sguardo al cielo” … Lo opprimeva il rimorso, lo sollevava la speranza. Ascolta ancora: “Si batteva il pet-to”. Sapeva di meritare il castigo, ma sperava di ricevere il perdono, in quanto consapevole dei propri peccati. (Discorsi 115,2) L’umiltà di quest’uomo non consiste nell’abbassarsi: la sua posizione nella scala sociale è esattamente quella che egli descrive, come anche l’osservanza del fariseo era reale. Egli è consapevole di essere pecca-tore, si sente bisognoso di perdono e, soprattutto, sa di non poter pretendere nulla da Dio. Non ha nulla da pretendere, per questo conta su Dio, non su se stesso. E ciò vale anche per noi: il nostro nulla

è lo spazio libero in cui Dio può ancora operare, è il vuoto aperto alla sua azione; su chi è troppo “pieno di sé”, invece, Dio è impossibilitato ad agire… Ecco dunque il discernimento di Gesù: egli non elo-gia la vita del pubblicano, così come non disprezza le opere in sé del fariseo, né gli chiede di agire come il pubblicano. Gesù inverte improvvisamente l’ordine dei perso-naggi: “Io vi dico che il pubblicano, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato”. Ma come intendere questo innalzamento e questo abbassamento? L’u-miltà non è falsa modestia, non equivale a un “io minimo”: non chi si fa orgogliosamente umile, è in-nalzato da Dio, perché questo equivarrebbe a repli-care l’atteggiamento del fariseo, sarebbe orgoglio mascherato da falsa umiltà. No, è innalzato da Dio, chi riconosce il proprio peccato, persevera nel rico-noscimento della grazia e della compassione di Dio, ossia nella fiducia in Dio, nel contare sulla sua mise-ricordia che può trasfigurare la nostra debolezza, chiedendo come il pubblicano della parabola: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!” Conclusione Diceva un padre del deserto: “Chi riconosce i propri peccati è più grande di chi risusci-ta i morti; e chi sa confessare i propri peccati al Signore e ai fratelli è più grande di chi fa miracoli nel servire gli altri. Sì, il vero miracolo, l’intelligenza delle intelligenze, è rico-noscere e confessare i propri peccati: siamo noi i pubbli-cani! Allora forse comprenderemo che è una povera e inutile fatica quella di nascondere o mascherare il proprio pec-cato, magari sforzandosi, anche in buona fede e con grande impegno, di edificare il proprio sepolcro imbian-cato (cf. Mt 23,27). Basterebbe riconoscere consapevol-mente le proprie precise mancanze nei confronti dell’a-more, per scoprire che Dio è già là e ci chiede solo di accettare che egli le ricopra con la sua inesauribile mise-ricordia. Allora forse ci può essere dato di pregare in verità e tra lacrime di compunzione, facendo nostro il sentire di “quel pubblicano del Vangelo”.

I prossimi incontri si svolgeranno: martedì 12 aprile h. 21.00 (Zaccheo – Lc 19,1-10) martedì 17 maggio h. 21.00

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IL CROCEFISSO STILE RUSSO/BIZANTINO

Scheda tecnica

Misure: 250 x 180 cm.

Peso: 60 kg circa.

Legno di tiglio gessato con zeppe sul retro.

Oro in foglia libera (kt 23 ¾).

Pigmenti naturali (terre), minerali (glauconite e lapislazzulo), secondo la tecnica bizantina che utilizza pennelli di martora e di vaio (una varietà russa e siberiana di scoiattolo, dalla pelliccia morbida e pregiata di colore grigio scuro).

Realizzazione

Il Crocefisso è stato realizzato in legno di tiglio, perché questo legno non ha nodi e non rilascia resina. Sul legno viene stesa una colla di coniglio, in seguito si adagia un telo di lino su cui per 7/8 volte viene applicata una mistura di gesso di Meudon, gesso di Bologna e colla di coniglio. Si lascia asciugare e si leviga la superficie per renderla completamente liscia.

I disegni, in parte ricalcati con carta grafite e in parte fatti a mano, vengono ripassati con una emulsione di pigmento nero o rosso (ottenuta da rosso d’uovo, gocce di lavanda, olio di papave-ro e vino bianco), che verrà utilizzata in seguito per tutti i colori.

Si incidono i contorni delle figure, dove si posizionano 3/4 strati di foglia d’oro zecchino, unita a una base di bolo armeno e albume d’uovo: questo è l’unico modo che permette di lucidare e bu-linare con pietra d’agata l’icona.

Ora si può finalmente iniziare a dare le prime campiture ovvero applicare i diversi colori in modo uniforme. Detti colori vengono stesi a velatura e non a colore pieno perché non lascerebbero tra-sparire la luce del gesso di fondo. Il colore finale di base è frutto di parecchi passaggi di pennel-lo, con progressiva aggiunta di bianco per giungere alle ultime lumeggiature dove si utilizza il bianco puro. I ricami d’oro sopra le vesti vengono applicati con emulsione collante all’acqua.

Tra qualche mese, infine, quando il colore si sarà asciugato e stabilizzato, verrà stesa una patina di olio di lino con essicativo (olifa) per fissare definitivamente il colore e renderlo più vellutato e stabile.

Significato

Nella barra superiore si può ammirare in tutta la sua magnificenza Dio Sabaoth, il Dio degli eser-citi ovvero Dio Padre tra le nuvole con la caratteristica aureola composta da due rombi, la mano destra benedicente alla greca, mentre nella mano sinistra regge il globo del mondo.

Sotto Dio Padre risplende il medaglione con lo Spirito Santo, in forma di colomba bianca, e ai lati i due angeli piangenti che tengono tra le mani il mandillion, panno/fazzoletto bianco che richia-ma il telo sindonico e la tradizione orientale della veronica (il vero volto di Cristo).

Sopra gli angeli piangenti troviamo il sole e la luna ovvero il cosmo che partecipò alla morte del Cristo come dice il profeta Gioele: “ Il sole si trasformò in tenebra e la luna si tinse di san-gue” (Gi 2, 31).

Il volto del Cristo ha un’espressione serena, quasi stesse dormendo, vittorioso sulla morte. So-pra il suo capo la scritta in greco INUH che sta per il latino INRI, Gesù Nazareno re dei Giudei. Nell’aureola si vedono due delle tre lettere greche del Nome di Dio “Io sono Colui che è”, mentre

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a fianco delle mani son ben visibili le lettere greche IC e XC ovvero le iniziali del nome greco Ge-sù Cristo.

Sotto le braccia del Cristo la scritta in russo: “Ci prosterniamo davanti alla tua Croce o sovrano e glorifichiamo la tua Santa Risurrezione”.

Sotto i piedi del Cristo, disgiunti alla maniera bizantina, troviamo una barra obliqua: è il suppe-daneo (piedistallo) o bilancia. Esso caratterizza le croci ortodosse e riveste un profondo significa-to. Innanzitutto evoca le parole profetiche del Salmo 98, 5: ”Adoriamo lo sgabello dei suoi pie-di”. Il lato destro rivolto verso l’alto indica il buon ladrone, che per il suo pentimento viene accol-to in paradiso, mentre il lato sinistro rivolto verso il basso indica il cattivo ladrone, che scende all’inferno. Il disegno rappresenta Gerusalemme: al di fuori delle sue mura, sul Golghota, fu cro-cifisso Gesù.

Secondo la tradizione la tomba di Adamo si trovava proprio sotto il Golghota e il sangue di Cri-sto, che colava dalle piaghe, penetrò nel terreno raggiungendo le ossa di Adamo: il primo uomo viene così redento dal Nuovo Adamo.

A uno sguardo d’insieme balza subito all’occhio che un bordo rosso di 5 mm corre lungo tutto il profilo dell’icona: è il segno del divino che confessiamo e contempliamo.

Ringraziamo, infine, Adriano Geroli, nostro parrocchiano, che ha scritto per noi questa icona e invitiamo tutti a meditare sul mistero del Cristo con gli occhi della fede e del cuore.

Post Scriptum

Le icone vengono coperte per venerazione e protezione dalla riza. A fine ottobre applicheremo alla nostra Icona del Crocefisso la riza in ottone e argento (metà Ottocento - Mosca) che ci è stata donata.

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Antica Omelia sul Sabato Santo

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è ad-dormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi. Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo e Eva che si trovano in prigione. Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: “Sia con tutti il mio Signore”. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: ”E con il tuo spirito”. E, presolo per mano, lo scosse, di-cendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà”. Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A colo-ro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uo-mo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giu-dei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sop-portati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta. Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te. Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti ri-metto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta sim-bolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio. Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa appa-recchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli.

MISERICORDIA DEI PADRI DELLA CHIESA In occasione dell’anno straordinario della Misericordia indetto da Papa Francesco fino al 20 novembre 2016, riportiamo, mensilmente, alcuni testi dei Padri della Chiesa.

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Gli Angeli raccontano…

(a cura di Levia Messina)

"Il 15 maggio, i ragazzi di prima media riceveranno il sacramento della Santa Cresima, o Confermazione (in quanto confermazione delle promesse battesimali) e, in questi giorni, i cresimandi e le loro famiglie, sono chiamati a una scelta importante, quella del padrino o della madrina. Al padrino o madrina è affidato il compito di provvedere che il cresimato si comporti come un vero testimone di Cristo e adempia fedelmente agli obblighi derivanti dallo stesso sacra-mento: si tratta, quindi, di una sorta di guida, di punto di riferimento, per la vita spirituale del cresimato. È un impegno serio, che dura, o, per lo meno, dovrebbe durare, tutta la vita, senza limitarsi al momento di festa di quel giorno, per questo sarebbe importante che il cresimando (sì, è una scelta che a undici anni si può compiere o, almeno, sulla quale dovrebbe essere possi-bile esprimere un'opinione di cui i genitori tengano conto) e la sua famiglia sappiano come muoversi per decidere al meglio. Innanzitutto, qualche regola specifica, alcune persone non possono essere padrini o madri-ne: I minori di 16 anni: si tratta, infatti, di un ruolo poco adatto per un ragazzino molto,

molto giovane. Al contrario, un fratello maggiore di qualche anno, potrebbe essere il candidato ideale.

Per ovvie ragioni, i non cattolici e chi non ha ancora ricevuto Cresima e Comunione. Chi è stato condannato con qualche pena da parte della Chiesa. Chi non conduce una vita conforme alla fede e all'incarico che assume: la figura del

padrino, contrariamente a quella del testimone di nozze, che è principalmente una figura legale, pur essendo sostanzialmente laica, ha una forte valenza religiosa. Senza polemiche, come potrebbe una persona non praticante o lontana dalla Chiesa svolgere al meglio un compito simile?

Chi vive in una situazione matrimoniale irregolare, come divorziati risposati, conviven-ti o sposati solo civilmente. Questo per la ragione precedente: si tratta di stili di vita non conformi alla fede e alla morale cattolica. Un separato o divorziato non risposato e non convivente, al contrario, può ricoprire questo ruolo (così come, contrariamente all'opinione comune, può ricevere, se in grazia di Dio, la Santa Comunione).

Al di là di queste regole, il messaggio fondamentale è il fatto che non si tratti di un ruolo "di prestigio", di un favore da rendere all'interno della famiglia, quanto della scelta di una per-sona adatta per cultura o stile di vita e con cui il ragazzo abbia confidenza. Per intenderci, una persona da cui il cresimato, in un'età difficile come quella dell'adolescenza, possa chie-dere consigli come "I miei amici non vogliono più andare in Chiesa e all'oratorio, mi sento escluso, cosa devo fare?", piuttosto che "Mi piace un ragazzo, ma mi prende in giro perché sono cattolica, come posso fare?" o cose del genere (pur sottolineando come i primi cate-chisti siano i genitori e come sarebbe bello che ogni ragazzo potesse rivolgersi anche al proprio parroco per questioni simili). Quindi, prima di scegliere la zia novantenne o il cugino del nipote del cognato ("perché mia mamma aveva fatto da madrina a suo figlio"), pensia-moci bene, è una scelta importante che merita rispetto e riflessione."

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Rendiconto parrocchiale - Anno 2015

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Hanno collaborato a questo numero: Ugo Basso, Carlo Favero, Fabrizio Favero, Roberta Marsiglia, Levia Messina, don Guido Nava, Elisa-betta Perego

I numeri precedenti sono raccolti nella sezione “La Parrocchia” del sito internet parrocchiale www.parrocchie.it/milano/angelicustodi

Sacerdoti Parroco Don Guido Nava tel. e fax. 0255011912 Residente Don Roberto Davanzo Direttore della Caritas Ambrosiana

Ss. Messe festive: 9.00 (inv.) - 11.00 - 18.00 vigilia: 18.00 feriale: 8.15 (inv.) - 18.00 Segreteria tel. 0255011625 Lun. - Ven. 9.30 - 12.00 / 17.00 - 18.00 Lun. - Mer. - Ven. 16.00 - 17.00 (Centro di ascolto)

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CALENDARIO PARROCCHIALE MARZO 2016

DOM 20 DOMENICA DELLE PALME 10. 45: Processione con i rami d’ulivo dal cortile delle Suore Mantel-late di via Vasari – II elementare

LUN 21 MAR 22 MER 23

GIO 24 GIOVEDÌ SANTO 17. 00: Lavanda dei piedi e accoglienza Oli Santi.

21. 00: S. Messa In Coena Domini

VEN 25 VENERDÌ SANTO 15. 00: Celebrazione della morte del Signore.

21. 00: Via Crucis

SAB 26 SABATO SANTO 21. 00: Veglia pasquale

DOM 27 DOMENICA DI PASQUA Ss. Messe: 9. 00 – 11. 00 (Battesimi) – 18. 00

Raccolta viveri per Caritas Parrocchiale

LUN 28 Lunedì dell’Angelo S. Messa: 18. 00

MAR 29 MER 30 GIO 31

CALENDARIO PARROCCHIALE APRILE 2016 VEN 1 SAB 2

DOM 3

II di Pasqua

In albis depositis

Prima Domenica

10. 30: Battesimi

LUN 4 21. 00: Consiglio Pastorale Parrocchiale

MAR 5 MER 6

GIO 7 21. 00: Redazione …tra le case

VEN 8 18. 00: Incontro Preado - Ado

SAB 9 10. 00: Incontrarsi nella Bibbia

DOM 10 III di Pasqua

LUN 11

MAR 12 21. 00: Gruppi Ascolto

MER 13 GIO 14 VEN 15

SAB 16 15. 30: Genitori e ragazzi II elementare

DOM 17 IV di Pasqua 15. 30: Meeting famiglia a S. Silvestro

LUN 18 18. 30: Consiglio affari economici parrocchiale MAR 19

MER 20 21. 00: Commissione famiglia

GIO 21 VEN 22 SAB 23 DOM 24 V di Pasqua LUN 25 S. Marco evangelista MAR 26

MER 27 16. 45: Confessioni IV elementare

21. 00: Commissione liturgica GIO 28

VEN 29 18. 00: Incontro Preado - Ado

21. 00: Giovani Coppie

SAB 30 20. 45: Veglia per i comunicandi e per tutti

CALENDARIO PARROCCHIALE MAGGIO 2016 DOM 1 Prima Comunione 11. 00: Prima Comunione