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L’educazione alla legalità nello sport.

di Maurizio Monego

Vice Presidente Panathlon International

Premessa Quando parliamo di legalità, ci addentriamo necessariamente nel campo dell’etica. La legalità è

figlia dell’etica che dà senso e coesione ad una comunità, ad un popolo.

Etica è la ricerca di una fede comune in cui ci si riconosce abitanti di una casa comune, di una

dimensione, che appartiene a tutti, che non è di qualcuno soltanto e che ciascuno sente il dovere di

curare e di difendere, anche sacrificando il proprio tornaconto.

Quando un popolo si riconosce in questo rapporto con l’altro, nasce l’esigenza di fissare delle

regole condivise, seppur mediate, a cui uniformarsi. Di qui nasce il Diritto.

Lo sport si fonda analogamente su regole accettate da tutti. Si tratta di una attività essenzialmente

libera che si esplica nella competizione, fra con–tendenti ad un fine comune: la bellezza della gara

per stabilire in un confronto leale chi è davvero il più bravo.

Per questo l’etica instaurata dallo sport è “originaria e fondamentale”, come scrive Ariel Morabia.1

Questo se lo sport fosse vissuto nel suo significato più radicale e profondo.

Perciò se lo sport fosse “correttamente inteso” non avrebbe significato parlare di legalità nello sport.

Anzi potremmo affermare con sicurezza che lo sport è un mezzo per educare alla legalità.

Ma sappiamo bene che questi sono principi ideali, largamente disattesi, utopici.

Con tutto il valore che l’utopia sempre ha.

Lo sport puro? Lo sport non è mai stato puro. Da Omero e Pausania in poi ne abbiamo avuto testimonianze in ogni

secolo e presso ogni cultura.

E’ con l’avvento dello sport moderno che nasce quell’alea di purezza e di valore morale attribuito

allo sport.

Il concetto di fair play, del tutto nuovo e originale, può intendersi come un surplus di etica che fa

appello al dono, alla generosità, al rispetto ed all’onore dell’avversario e obbedisce a regole non

scritte, ispirate all’amore per la verità.

Affrontare oggi il problema della legalità nello sport presuppone avere coscienza che quello dei

“giorni di gloria” di vittoriana memoria non esiste più. Per ovvi motivi. Dallo sport di elite si è

passati allo sport di massa e allo sport industria.

Economia e sport A leggere il Libro bianco sullo sport che la Commissione Europea ha pubblicato l’11 luglio scorso

e che sarà presentato il 7 e 8 ottobre in una conferenza internazionale a Bruxelles, ci si può fare

1 Ariel Morabia, professore di filosofia di Tolosa (F) autore di “Sport e/è etica”, ricerca commissionata dall’UESCO,

Settore “Gioventù e sport” e pubblicata in collaborazione con il Panathlon International. Sta in Quaderni di Panathlon,

N. 3 , 1993.

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un’idea della dimensione economica dello sport. In uno studio presentato per iniziativa della

presidenza austriaca nel 2006 su dati del 2004 si legge che nella sola Europa lo sport, con il suo

indotto, ha generato un valore aggiunto di 407 miliardi di euro, che corrisponde al 3,7% del PIL

dell’UE e occupazione per 15 milioni di persone, pari al 5,4% della forza lavoro2.

Questi dati sono positivi dal punto di vista economico Sappiamo, però, che hanno il risvolto

negativo che il denaro provoca nell’inquinare la bellezza e la legalità dello sport. Ne ha permesso

anche la diffusione ai livelli che conosciamo.

Se rapportiamo quei dati ad una dimensione planetaria, risulta evidente che l’importanza economica

e le implicazioni sulla legalità che ne conseguono, sono problemi centrali dello sport

contemporaneo: contratti milionari – calcio, automobilismo ecc.- enormi interessi collegati ai diritti

televisivi; sistema delle regole, sono aspetti eclatanti dell’economia dello sport.

Non sono i soli.

Il doping Pensiamo al doping. E’ la priorità dei problemi da affrontare. Non da oggi. Il doping farmacologico

e le pratiche dopanti sono il cancro maggiore oggi presente nel corpo malato dello sport.

Le ultime vicende legate al Tour sono solo l’ultimo quadro rappresentato di una tragedia di cui è

difficile intravedere la fine. Fine che sappiamo non potrà mai essere compiuta ma solo un esito

sopportabile.

Vi sono implicati atleti, tecnici, dirigenti sportivi e medici senza scrupoli, che nella presunzione di

guidare fra rischi calcolati, di fatto procurano morte.

Perfino fra gli amatori e i disabili si verificano casi di positività. Una ricerca presentata ad un

convegno nazionale all’Istituto Superiore di Sanità,3 ha rivelato come la maggior parte delle

positività ai test anti-doping, eseguiti in diversi sport, fosse imputabile agli atleti degli sport

cosiddetti minori, fra persone cioè che dovrebbero amare l’attività fisica, visto che scelgono

specialità non di visibilità, ma di passione e dove non si registrano pressioni da parte degli sponsor.

Genitori scriteriati spingono i figli all’assunzione di sostanze, come la caffeina4, che ancorché lecite

predispongono ad una certa mentalità per ricercare vantaggi … o per non subire presunti svantaggi.

Non tutti i Paesi, non tutte le federazioni, adottano misure di contrasto univoche. Vi è la necessità di

armonizzare le legislazioni statali e bisogna uniformare regole e comportamenti delle federazioni

sportive.

Dato il livello di pericolosità a cui si è giunti con il doping genetico, si deve andare nella direzione

di una sempre più stretta collaborazione fra WADA e polizie e magistrature degli Stati, come

suggerisce il Rapporto Donati5 (2007) relativo ai traffici mondiali delle sostanze dopanti.

2 D. Dimitrov / C. Helmenstein / A. Kleissner / B. Moser / J. Schindler : Die makroökonomischen Effekte des Sport in

Europa, Studie im Auftrag des Bundeskanzleramts, Sektion Sport, Wien, 2006. 3 Vedi articolo di Rico Guillermo in www.osservatoriosullalegalità.org/a/approfondimenti/sport/doping.htm ,Notiziario

20 gennaio 2004 4 Vedi quanto dichiarato da Felice Gimondi a La Gazzetta dello Sport del …………Luglio 2007.

5 Alessandro Donati,”I traffici mondiali delle sostanze dopanti” rapporto commissionato da LIBERA – Associazioni,

Nomi e Numeri contro le mafie – 2007.

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Altri fattori inquinanti Accanto al doping esistono anche altri gravi fenomeni: il cosiddetto “doping amministrativo”, i

fenomeni di corruzione fra dirigenti e fra i giudici di gara, gli imbrogli, le scommesse, le maglie

larghe di sistemi giudiziari costretti ad applicare leggi inadeguate.

Stiamo assistendo, nello sport italiano, a comportamenti poco trasparenti della stessa giustizia

sportiva, in cui il principio di terzietà è stato pesantemente messo in discussione.

Campionati e risultati sportivi dipendono ormai più dalle sentenze della giustizia ordinaria o di

quella amministrativa, che non dai responsi del campo.

La violenza negli stadi, che un tempo aveva per vittime i direttori di gara – l’arbitro come “cattivo

legittimo”, secondo la definizione del giornalista messicano Juan Villoro6 – è molto cambiata.

Parallelamente alle trasformazioni del tifo organizzato si sono affermati comportamenti

delinquenziali che prendono solo a pretesto lo sport. L’obiettivo della violenza sono oggi le forze

dell’ordine. “A prescindere” come direbbe Totò. Lo dimostra il fatto che gli attacchi di guerriglia

urbana avvengono spesso prima degli incontri e sono accuratamente premeditati.

Tutto ciò concorre a deteriorare il concetto stesso di sport. Il mens sana in corpore sano è uno

slogan che suona patetico, così come la litania che lo sport tiene lontani dai pericoli della droga ed è

una palestra di vita (Maradona? Pantani? O.J. Simpson?). Sono dichiarazioni che si stanno

svuotando di senso.

Lo sport infatti, da un punto di vista sociale è un elemento neutro. Non esprime di per sé un valore.

Dà invece un’attesa di valori, cosicché se vissuto come occasione di svago, di divertimento, di

socializzazione, può predisporre al rispetto dell’altro e di se stesi, può accrescere l’autostima, il

senso di responsabilità, la perseveranza, la solidarietà, l’amicizia; la pace.

In questo senso può considerarsi positiva palestra di vita, secondo quanto ci insegna Aristotele: “Le

virtù non si generano per natura, né contro natura, ma è nella nostra natura accoglierle e sono

portate a perfezione in noi attraverso l’abitudine”.7

A volte, invece, la palestra di vita ha per fine lo sviluppo di furbizie, l’abilità di barare, di prevalere

ad ogni costo. E allora prepara ad una vita di espedienti e di illegalità.

Di questo passo lo sport rischia la fine o subirà trasformazioni tali da snaturarlo.

Probabilmente e paradossalmente il riscatto potrebbe venire proprio dal mondo economico, non più

interessato ad associare l’immagine e i marchi degli sponsor in uno sport che avesse perso l’anima.

Oggi, infatti, qualcosa stia cambiando: molti sponsor del ciclismo hanno annunciato l’abbandono –

tra queste, la società che ha vinto 7 degli ultimi 8 Tours - e la positività di un atleta comporta

automaticamente l’annullamento del contratto e il riconoscimento dei danni.

Educazione Rimane, enorme nella sua complessità, il problema educativo.

Perché lo sport possa continuare ad essere uno strumento di formazione della persona, nel rispetto

dei diritti umani e dei valori di umanità che, nonostante i sovvertimenti prodotti nella loro scala,

6 Juan Villoro - giornalista messicano laureato in Sociologia -, “Gli undici della tribù”, in Micromega 3/98.

7 Aristotele, “Etica Nicomachea”, II, 24-27

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sono patrimonio di tante donne e di tanti uomini e di tanti giovani, vi è la necessità di incidere sulle

agenzie educative.

Bisogna aiutare la scuola prima di tutto ad utilizzare lo strumento sport, depurato ma non

sterilizzato, di tanti aspetti negativi frutto di colossali equivoci. Qualche germe aiuta a sviluppare

anticorpi. “Utopia e disincanto, anziché contrapporsi, si sorreggono e si correggono a vicenda”,

scrive Claudio Magris.

Bisogna rieducare molti cattivi educatori – a cominciare da certi genitori - che preparano al cinismo

e alla furbizia prima che alla responsabilità e al bello della competizione.

Occorre unire le energie con la Polizia di Stato, che lancia continuamente campagne di educazione

alla legalità fra gli studenti, inserendo anche i comportamenti corretti in campo sportivo fra gli

argomenti, accanto all’educazione stradale e all’educazione civica.

Bisogna pretendere che lo sport organizzato faccia pulizia in casa propria cacciando i corrotti e

isolando i gattopardisti. Occorre una rivoluzione morale che riaffermi con forza la volontà di

riportare lo sport ad essere attività gioiosa, formativa, occasione per tanti giovani di arricchire una

vita e perfino per farne un mestiere esaltante.

La pratica di uno sport umano educa alla legalità, perché riconosce nell’altro la dignità della

persona, compagno o avversario che sia, il concorrente (da cum-petere) che è necessario per la tua

competizione, non il nemico da eliminare. Nello sport come nella vita.

Occorre valorizzare il tantissimo di buono che atleti e dirigenti esprimono in silenzio senza i

riflettori che restano puntati prevalentemente sugli scandali. Spesso lo spirito olimpico, i valori,

emergono. Si veda i tanti gesti di fair play, la gioia di tanti atleti. Da loro bisogna partire, per

difenderli e per farli crescere in numero e farne altrettanti esempi.

Il Panathlon sta facendo la sua parte, con la debolezza di chi oppone solo gli ideali allo strapotere

del mercato, ma con la forza di chi crede nell’utopia possibile o almeno a qualcosa che gli assomigli

e con l’entusiasmo e la speranza di tanti panathleti, che nelle loro realtà si adoperano per

salvaguardare il potenziale educativo dello sport. Lo fa attraverso l’organizzazione di congressi

internazionali, attraverso opere editoriali, sostenendo e promovendo convegni e incontri, attraverso

corsi per dirigenti e genitori, promuovendo il fair play, con interventi nelle scuole spesso in sinergia

con le Prefetture e/o la Polizia di Stato.

Il prossimo Congresso internazionale di Anversa (22-23 Novembre) avrà fra i temi quello di una

dirigenza responsabile e ruoterà intorno alla Dichiarazione del Panathlon sull’etica nello sport

giovanile. Il CIO ci ha incoraggiati su questa strada ed esso stesso produrrà un documento analogo

il cui studio è nato proprio dalla nostra iniziativa.

Nel 2008 è in agenda una Conferenza internazionale, con il sostegno del CIO e dell’AGFIS, a cui

parteciperanno le più importanti federazioni sportive internazionali che hanno sottoscritto il nostro

documento. Sarà l’occasione per studiare le necessarie misure per la messa in pratica della

Dichiarazione. Poi saranno i Panathlon Club a svolgere il delicato e prezioso lavoro di diffusione e

vigilanza, accanto alle istituzioni e alle società sportive. Si tratta di azioni concrete per affermare,

insieme ai valori che vogliamo veder emergere il valore educativo dello sport. Perché sia

effettivamente palestra di legalità.

Abano Terme 15 Settembre 2007