le trasformazioni di lorentz

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  • 7/24/2019 Le Trasformazioni Di Lorentz

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    Le trasformazioni di Lorentz e larelativit einsteniana

    di Fabrizio Tone

    Nota sulle unit di misura e postulati

    In fisica classica si utilizza comunemente il sistema CGS (centimetri-grammi-secondi) oil sistema internazionale S.I. (metri-chilogrammi-secondi). In relativit questa scelta nonrisulta appropriata poich introduce delle costanti moltiplicative che rovinano l'eleganza

    e la bellezza di alcune formule, rendendole asimmetriche. Per ovviare a questoproblema ci sono due soluzioni fondamentali, la prima cambiare l'unit di misura deltempo, la seconda cambiare l'unit di misura dello spazio. In queste lezioni di relativituseremo quindi il sistema chiamato "relativistico" (SR) ottenuto dal CGS sostituendo ilcentimetro con il secondo luce.

    Nel SR l'unit di misura della lunghezza il secondo luce, ovvero la lunghezza che laluce percorre nell'intervallo di tempo di un secondo. In questo caso l'unit di misuradella velocit "secondi-luce al secondo". La velocit della luce csar, per definizione,un secondo luce al secondo, e quindi in questo sistema 1c= . Come vedremosuccessivamente la relativit impone che nessuna particella materiale si muova avelocitvsuperiore a quella della luce e quindi .v < 1In queste lezioni viene inoltre considerato valido il seguente postulato: la velocit dellaluce nel vuoto indipendente dal sistema di riferimento dell'osservatore che lamisura.

    Vediamo come possibile derivare le corrette trasformazioni tra due sistemi diriferimento. Intendiamo, cio, le trasformazioni da un sistema di riferimento S concoordinate (x,y,z,t) a un sistema S' con coordinate (x',y',z',t'), entrambi inerziali, che

    garantiscano:

    La invarianza di forma delle leggi fisiche (e della legge di propagazionedella luce);

    La invarianza della velocit della luce nei due sistemi di riferimento.

    Per semplicit supponiamo di ope ra re nell e condizioni pi semplic i (le stesse che

    abbiamo adot ta te nel derivare le trasformazioni di Galileo), cio che a leorigini dei due sistemi coincidano.

    ' 0t t= =

    Pag. 1

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    Richiamiamo le espressioni delle trasformazioni di Galileo:' '

    ' '

    ' '

    ' '

    x x Vt x x Vt

    y y y y

    z z z z

    t t t t

    = = + = =

    = =

    = =

    '

    t

    Ovvero, quantunque la seconda si ottenga dalla prima in modo banale dal punto di vistaalgebrico, dal punto di vista fisico esse esprimono due situazioni distinte. La prima

    espressione lega le coordinate di un evento misurate in S con quelle in S', la secondadetermina le coordinate nel sistema S a partire dalle misure effettuate in S'. Il motivo

    per cui il coefficiente della variabile temporale cambia di segno sta nel fatto che se Vla velocit di S' rispetto a S, quella di S rispetto a S' -V.In analogia con il caso delle trasformazioni di Galileo, a cui le nuove trasformazionidevono ridursi per velocit piccole rispetto a quelle della luce, cerchiamo una relazionelineare del tipo

    1 2'x A x A= + che ammette come inversa

    1 2' 'x A x A t= Le costanti e sono da determinare in base ai requisiti imposti sulla

    trasformazione.1A 2A

    E' altres evidente dalla figura che la posizione di O' , cio del punto (x'=0, y'=0, z'=0),rispetto a O data a ogni istante t da 'x Vt= ,per cui:

    ( )1 2 1' 0x A x A t A Vt A= + = + 2tE dal momento che questa relazione deve valere qualunque sia t, dobbiamoconcludere che

    Pag. 2

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    1 20 A V A= +

    cio che, fissata la velocit V, le due costanti non sono indipendenti e pertanto, posto

    1A A= , si ottiene:

    ( )1 2'x A x A t Ax AVt A x Vt= + = =

    ( )'x A x Vt= Naturalmente, ragionando allo stesso modo per la trasformazione da S' a S avremo che

    ( )' 'x A x Vt= +

    Se si pone si ottengono le trasformazioni di Galileo; evidentemente la nuova1A =trasformazione pu differire da quella di Galileo per il valore di questa costante, che, ingenerale, potr dipendere dalla velocit relativa dei due sistemi.

    D'altra parte evidente che

    ' 'y y z z= =

    Questa una conseguenza della isotropia dello spazio. Poich tutte le direzioni sonoequivalenti al di fuori della direzione del moto (nel nostro caso l'asse x), ci aspettiamoche le coordinate y ez si comportino allo stesso modo, e che la sola coordinate xsi modifichi nella trasformazione.

    Per ci che riguarda l'espressione di t' in funzione delle coordinate nel sistema S, ci

    aspettiamo che anche essa sia lineare per l'omogene it dello spazio tempo, e checoinvolga le sole coordinate x e t . La scriveremo pertanto in modo del tuttogenerale:

    't Dx Et = + ove le costantiDedEvanno determinate in base alle propriet della trasformazione.

    A questo punto possiamo concludere che la trasformazione cercata dipende da tre solecostanti A, D, E. Per determinarle imponiamo la condizione di invarianza di formadella legge di propagazione della luce, vale a dire che:

    2 2 2 2x 2y z c t+ + = si trasformi in 2 2 2 2' ' 'x 2'y z c t+ + = .

    Si noti come cos facendo abbiamo anche imposto che la velocit della luce sia lastessa nei due sistemi.

    Partiamo supponendo vera l'equazione in S' e sostituiamo le espressioni precedenti .Otteniamo che l'equazione del fronte d'onda nel sistema S data da

    2 2 2 2' ' 'x y z c t+ + = 2'

    Pag. 3

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    ( ) [ ]2 22 2 2A x Vt y z c Dx Et + + = +

    Perch la nostra trasformazione sia corretta occorre che questa espressione coincida con2 2 2 2

    x2

    y z c t+ + = , vale a dire che

    ( ) [ ]2 22 2 2 2 2 2 2

    A x Vt2

    y z c Dx Et x y z c t + + = + + + =

    Sviluppando i calcoli:2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 22 2A x A V t A Vtx y z c D x c E t DEc xt+ + + = + +

    2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 22 2A x c D x A Vxt DEc xt y z c E t A V + + = + t

    ( ) ( ) ( )2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 22A c D x A V DEc xt 2y z c E A V + + + = t Imponendo le condizioni relative

    2 2 2

    2 2

    2 2 2 2 2

    10

    A c D

    A V D E c

    c E A V c

    =+ =

    =

    Questo un sistema di equazioni nelle tre incognite A, E, D, che pu essere facilmenterisolto. Se risolviamo la prima equazione e lo sostituiamo nella seconda e nella terzaotteniamo:

    ( )( )

    2 2 22 2 2

    2 2 2 2 2

    2 2 2 2 22 2 2 2 2 2

    11

    0 1

    1

    = + =

    + + = + = = = +

    A c DA c D

    A V DEc c D V DEc

    c E A V c c E c c D V

    Ricavando nella seconda equazione e sostituendo nella terza:

    ( )

    ( )( )

    2 2 2

    2 2

    2

    22 2

    2 22

    1

    1

    11

    A c D

    c D V

    E c D

    c D Vc c

    c D

    = +

    +=

    + = +

    2 2 2c D V

    Sostituendo ancora la prima nella seconda:

    Pag. 4

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    ( )

    ( )( )

    2 2 2

    2 2

    2

    222 2

    2 2 22 2

    1

    1

    11

    A c D

    c D VE

    c D

    c D Vc c D

    c D

    = + + =

    + = +

    2V

    Risolvendo la terza equazione rispetto a 2D :

    ( ) ( )2 2 4 4 2 4 2 2 2 2 2 21 2 1c D c D V c D c D c D V + + = + 2 2 2 4 4

    1 2V c D c D+ +2 2 4 4

    c D c D ( )4 2

    c D= 2 2 2 2 4 2V c V D c D+ =

    ( ) ( )

    2 22

    2 2 2 2 21

    V VD c

    cc c V c

    on= = =

    Sostituendo nellespressione di :2A

    2 2 2 21 1A c D c= + = +

    2

    2

    V

    c ( ) ( )

    2 2

    2 22 22 2 1V c

    c Vc Vc V = + =

    22

    2 2 2

    1

    1

    c VA c

    c V c

    = = =

    on

    Resta da determinare il valore di :

    ( )2

    2 2

    2

    11

    cc D V

    Ec D

    ++

    = =

    2

    2V

    c ( )

    ( )( )

    2 2 2 2

    2 22

    2

    2 2 2

    Vc V c V c V

    cVc VVc

    c c V

    =

    2

    ( )

    2 2

    2 2 2

    1

    1

    c c V V E c

    cc V

    = =

    on =

    Pag. 5

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    La scelta dei segni delle soluzioni (in linea di principio sono possibili anchesoluzioni di segno opposto) motivata da queste considerazioni:

    i due coefficienti D ed Edevono avere segno opposto;

    per velocit piccole rispetto a quelle della luce, cio 1V

    c trascurabile, il

    coefficiente E deve tendere a 1 .

    Sostituendo dentro la prima equazione otteniamo il valore

    2

    2 2 2

    1

    1

    c VA c

    c V c

    = = =

    on

    anche in questo caso si scelto il segno positivo perch quello che assicura ilcorretto limite delle trasformazioni di Galileo a basse velocit.

    Possiamo dunque scrivere le nuove trasformazioni nella forma

    ( )2

    22

    1'

    1

    '

    '

    1'

    1

    x x

    y y

    z z

    x Vt t

    c

    =

    =

    =

    Vt

    =

    Accanto a queste possiamo scrivere quelle che esprimono le coordinate di unevento in S nei termini di quelle in S'; basta invertire le coordinate accentate con quellenon accentate e cambiare il segno alla velocit relativa: vale a dire

    ( )2

    22

    1 '1

    1'

    1

    x x

    y y

    z z

    x Vt t

    c

    = +

    =

    =

    Vt

    = +

    Pag. 6

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    E' bene intendersi sul significato di queste trasformazioni. Nel primo casoconsideriamo il sistema di riferimento S come quello stazionario e S' come quellomobile. Nel secondo caso avviene l'opposto. In entrambi i casi l'osservatore stazionario quello che misura la velocit relativa dei due sistemi (precisamente nel primo casoe-

    nel secondo).v

    vSe si riguarda la prima delle equazioni, relativa alla coordinata spaziale nelladirezione di moto relativo, cio nel nostro caso l'asse x, si osserva che la differenzarispetto alle trasformazioni di Galileo essenzialmente dovuta al fattore gamma:

    2

    1

    1

    =

    L'effetto di questo fattore significativo a velocit confrontabili con quelle della luce.

    Alle velocit ordinarie di un automobile o di un aeroplano non differisce sensibilmente da1. Se si considera le espressioni che forniscono la trasformazione delle coordinatetemporali, appare evidente che la stessa condizione deve verificarsi per poterriscontrare significative deviazioni nelle misure dei tempi dei due osservatori. Infatti inqueste espressioni le deviazioni rispetto al "tempo assoluto" sono legate al suddetto

    fattoreye al termine ( )2

    v c all'interno della parentesi.

    Adesso viene trattato lo stesso problema con un altro punto di vista. Consideriamo undiagramma spazio-tempo bidimensionalex = x(t)

    Pag. 7

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    Fig 1.1Esempio di diagramma spazio-tempo (si ricordi che x espresso in secondi luce)

    Un punto nel diagramma spazio-tempo, a fissate coordinate (x, t), chiamato evento.Una particella o un osservatore che si muove nello spazio tempo descrive una traiettoria

    chiamata linea d'universo.

    La derivata della linea d'universo di una particella legata alla sua velocit dallarelazione:

    vdx

    dt= (1)

    Risulta evidente come un raggio di luce (v = 1) sia una retta inclinata di 45.

    Supponiamo che un osservatore O stia utilizzando un sistema di coordinate (x,t),mentre un altro osservatore O' (che in generale utilizza un sistema di coordinatediverso x',t') si muove di moto rettilineo uniforme nel diagramma spazio tempodell'osservatore O, descrivendo la linea d'universo disegnata in blu nel diagramma

    seguente. Nel sistema di riferimento O'la linea d'universo che descrive il movimentodi O' coincide con l'asse temporale t'. Risulta quindi evidente che questa linead'universo disegnata in blu rappresenta l'asse t' dell'osservatore O'.Quale sar la posizione dell'asse x' nel diagramma spazio-tempo di O?

    Per rispondere consideriamo prima i seguenti 3 eventi nel diagramma spazio-tempodell'osservatore O' (mostrato in figura 1.3), definiti come segue:

    Pag. 8

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    Fig 1.2:

    l'asse t' di una particella che si muove

    con velocit v rispetto ad O

    Evento A) Un fascio di luce emesso dal punto ( )A 0; a .

    Evento B) Il fascio viene riflesso nel punto ( );0a .

    Evento C) Il fascio viene ricevuto dall'osservatore nel punto ( )0;a .

    Sappiamo gi dove si trova l'asse t' nel diagramma di O (si veda la figura 1.2). Dato chequest'asse definisce il luogo geometrico ' 0x = possiamo collocare immediatamente glieventi A e C [rispettivamente a 't a= e 't a= + ]. Secondo il postulato fondamentale

    della teoria della relativit speciale la velocit della luce costante in ogni sistema diriferimento; ci significa che in ogni sistema di riferimento un fascio luminoso

    sempre rappresentato da una retta inclinata di 45. Possiamo quindi immediatamente

    Pag. 9

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    disegnare nel diagramma di Oil fascio di luce emesso da A, che si muove lungo unalinea d'universo inclinata di 45 (con derivata positiva). Il fascio riflesso deve arrivareall'evento C, quindi sicuramente esiste una retta inclinata di 45 (con derivata negativa)che passa attraverso il punto C. L'intersezione di queste due linee rappresenta l'evento Bin O. Segue quindi immediatamente che l'asse x' la retta che connette questo punto el'origine.

    Fig 1.4: Riflessione della luce in O'vista da O

    Osservazione 1): la rettax' simmetrica a t' rispetto alla linea d'universo L di un raggiodi luce che attraversa l'origine del sistema (come facile dimostrare partendo daconsiderazioni geometriche).Uno dei risultati pi sorprendenti di questa trattazione che eventi contemporanei in O'non sono contemporanei in OAvendo gli assi dei sistemi Oe O' la stessa origine (risultato ottenuto sincronizzandogli orologi dei due osservatori nel momento in cui passano vicini), la pi generaletrasformazione che consente di passare dal sistema di riferimento O al sistema diriferimento O' :

    '

    '

    t t

    x

    =

    (2)

    dove i coefficienti all'interno della matrice 2x2 dipendono solo dalla velocit v di O'rispetto ad O e non dipendono da t, x, t'ex'.Utilizzando la relazione (1) immediato osservare che la retta t' (luogo geometrico

    x'=0) nel sistema di riferimento O soddisfa l'equazione1

    v - 0v

    tt x= = (3)

    Imponendo x' = 0 nella (2) si ricava un'altra equazione a cui soddisfa la retta t' nel

    sistema di riferimento O

    Pag. 10

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    0 0t x t x

    + = = (4)

    Confrontando la (3) con la (4) si ottiene

    v

    = (5)Tenendo presente l'osservazione 1 risulta invece immediato dimostrare che l'equazionedella rettax'(luogo t'=0in O') nel sistema di riferimento O :

    v vt

    0t= = (6)

    Possiamo quindi ottenere un'altra equazione della retta x' in O imponendo t'=0 nella (2)

    0 0t x t x

    + = =

    (7)

    da cui , confrontando la (7) con la (6)

    v

    = (8)

    Sostituendo la (5) e la (8) nella (2) si ottiene:

    ' v

    ' v

    t t t t

    x x x

    = = =

    x (9)

    Ovviamente la relazione 2 (e quindi la 9) verificata anche per i punti che appartengonoad una traiettoria di tipo luce.Sapendo che la velocit della luce costante in ogni sistema di riferimento si deduceche, per questo tipo di traiettoria, deve essere verificata la relazione

    '= 1

    ' ''

    t xt t

    t xx x

    ==

    =

    (10)

    combinando le relazioni (10) con la (9), e ricordando che la velocit del sistema diriferimento O', quindi sempre

    vv 1< :

    ( )

    ( )

    ( )

    ( )

    v v'= 1 1

    ' v v

    t x t t t

    x t x t

    =

    + + t = =

    e quindi = .

    Da cui, sostituendo nella (9)

    Pag. 11

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    t t' v

    ' vx x

    =

    (11)

    Ovvero, se si preferisce

    ' 1 v

    ' v 1

    t t

    x

    =

    (12)

    Consideriamo ora il sistema di riferimento O. Rispetto ad O'questo si muove di motorettilineo uniforme con velocit v , quindi, con procedura analoga a quella quiseguita deve essere

    v 't t1

    v 1 'x

    =

    (13)

    ma, invertendo la matrice presente nella (12) cont

    si ricava....1 1

    v 1 v

    ' v 1 v 1 ' v 1 v 1

    ' 1 v 1 v ' 1t t t

    x x x

    x

    = =

    ( )

    1

    2

    1 v ' 1 v '1 1 1

    v 1 ' v 1 '1 v

    t t t

    x x x

    = =

    ( )21 v '1 1

    v 1 '1 v

    t t

    x x

    =

    (14)

    da cui, confrontando la (13) con la (14)

    ( ) ( )21 1 1

    1 v =

    ovvero

    2 21 v

    =

    ( )21

    1 v =

    Per i due Sistemi di Riferimento devono coincidere per cui accettabile solo la

    soluzione positiva. Le trasformazioni di Lorentz possono essere scritte, dalla (12), come

    v = 0

    ( )2' 1 v1t t

    x ' v 11 v x

    Ritornando alle variabile classica

    =

    v

    csi ottiene

    Pag. 12

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    2

    2

    22

    22

    2

    v'

    v1v

    1'

    1 v' vv 11 'v

    1

    tx

    ct t

    c xx x t

    ctcc

    c

    =

    = =

    che esattamente la relazione che volevamo trovare, ovvero una relazione che lega

    due sistemi di coordinate uno in moto rettilineo uniforme rispetto all'altro

    (TRASFORMAZIONI DI LORENTZ)

    Un

    po

    di

    storia.

    Una

    crepa

    nel

    palazzo

    di

    cristallo

    Alla fine del XIX secolo, la Fisica raggiunse un traguardo straordinario, riuscendo a

    spiegare tutti i fenomeni elettrici e magnetici attraverso una teoria unitaria e

    perfettamente coerente, espressa dalle quattro equazioni di Maxwell, cosiddette dal

    loro ideatore, James Clerk Maxwell(1831-1879), considerato da alcuni il pi grande

    fisico matematico di tutti i tempi. Esse permisero di dedurre, per via puramente teorica,

    che non esiste un campo elettrico separato dal campo magnetico, entrambi di natura

    vettoriale, ma che l'uno e l'altro sono manifestazioni di un'unica realt fisica, chiamata

    campo elettromagnetico o tensore elettromagnetico. Inoltre, esse predicevano con

    esattezza straordinaria che tale campo elettromagnetico dovesse propagarsi nello spazio

    sotto forma di onde, nonostante nessun esperimento avesse rivelato una simile

    propagazione ondosa. La scoperta delle onde elettromagnetiche da parte di Heinrich

    Hertz(1857-1894) rappresent perci il pi alto trionfo della costruzione maxwelliana.

    A ci deve aggiungersi il fatto che Newton aveva gi fornito, quasi due secoli prima,

    una precisissima formulazione teorica della meccanica, oggi nota come meccanica

    classica, nella quale tutto viene dedotto a partire dall'equazione di Newton:

    F = m a

    Secondo il modello di Newton, espresso nella fondamentale opera Philosophiae

    Naturalis Principia Mathematica, lo spazio ed il tempo sono realt assolute (un

    Pag. 13

  • 7/24/2019 Le Trasformazioni Di Lorentz

    14/29

    discepolo di Newton arriv a considerarle attributi di Dio!!!) ed identiche per tutti gli

    osservatori. In altre parole,

    le misure di lunghezze (distanze) effettuate da due osservatori diversi

    risulteranno identiche;

    le misure di durate (tempi) effettuate da due osservatori diversi risulteranno

    identiche;

    due eventi che hanno luogo nello stesso punto secondo un osservatore, avranno

    luogo nello stesso punto secondo qualsiasi altro osservatore;

    due eventi giudicati simultanei da uno di essi, saranno simultanei per tutti.

    In questo contesto, per passare da un sistema di riferimento all'altro occorre fare uso

    delle trasformazioni galileiane.

    In poche parole, usando sole cinque equazioni la seconda legge della dinamica e le

    quattro di Maxwell e le quattro formule delle trasformazioni galileiane, ovviamente

    sulla scorta del calcolo differenziale ed integrale, era possibile prevedere in modo

    semplice ed univoco l'evoluzione nello spazio e nel tempo di qualsivoglia sistema

    fisico; e non solo di una palla da baseball o di un pianeta attorno alla sua stella, perch

    anche la coesione molecolare e la luce sono fenomeni elettromagnetici, e quindi

    rientrano nell'ambito di competenza delle equazioni di Maxwell. Una visione del mondo

    di questo tipo, nella quale, a partire da determinate condizioni iniziali, l'evoluzione

    possibile del sistema fisico in considerazione una ed una sola, prende il nome di

    meccanicismo; essa domin tutta la Fisica dell'800, ed aliment la filosofia allora pi

    in voga, quella positivistica.

    Anche questo splendido e compiutissimo palazzo di cristallo (o tempio della fisica

    classica) presentava per una crepa, come sempre accade in tutte le opere della manodell'uomo. Infatti, l'equazione F ma risulta covarianterispetto alle Trasformazioni

    di Galileo. Cosa significa? Che se le applichiamo all'equazione fondamentale di

    Newton, essa viene ad assumere la forma: F' ma' . Forze e accelerazioni variano

    numericamente, ma variano secondo una ben precisa legge matematica ma la forma

    della legge la stessa nei due sistemi. Orbene, se, assieme all'equazione di Newton,

    anche le equazioni di Maxwell compongono una teoria fisica perfettamente compiuta e

    coerente (la cosiddetta Fisica Classica), ci si deve aspettare che anch'esse, se non

    Pag. 14

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    invarianti, risultino almeno covarianti rispetto alle medesime trasformazioni. Ed ecco

    invece il colpo di scena: ci si accorse subito che le equazioni di Maxwell non erano n

    invarianti, n covarianti rispetto alle trasformazioni di Galileo; comparivano altri

    termini, a secondo delle velocit relative del sistema di riferimento. In altri termini,

    cambiando il sistema di riferimento adottato, le equazioni di Maxwell non cambiavano

    solo nella forma; non erano assolutamente pi valide! Se si ritiene valida la relativit

    galileiana, le equazioni di Maxwell sono s verificate, perch consentono di predire

    risultati sperimentali, ma cambiano col sistema di riferimento.

    questa la difficolt che indusse i fisici teorici alla ricerca di trasformazioni per cui le

    equazioni dell'elettromagnetismo risultassero invarianti. A trovarle fu il fisico olandese

    Hendrik Lorentz.Ma questo non tutto, perch un semplice ostacolo di natura matematica non avrebbe

    giustificato la ricerca di una nuova Fisica, da sostituire a quella Classica, peraltro

    perfettamente in grado di spiegare pressoch tutti i fenomeni meccanici, elettrici e

    magnetici. A porre ulteriori problemi fu per la luce. Prima le osservazioni di Thomas

    Young (1773-1829) riguardanti i fenomeni di interferenza della luce (1800), e poi la

    costruzione teorica delle equazioni di Maxwell, fecero trionfare definitivamente il

    modello ondulatorio della lucea discapito di quello corpuscolare, risalente all'autoritdi Newton. In altre parole, la luce un'onda esattamente come il suono o le onde

    sismiche. Questo fatto per, lungi dal rassicurare gli animi dei fisici dell'ottocento,

    poneva loro una spinosissima questione: se la luce un'onda, deve esistere un mezzo

    attraverso cui essa si propaga! Ma nessuno dei mezzi materiali conosciuti, come nel

    caso delle onde sonore o delle scosse di terremoto, pu essere il sostegno delle onde

    luminose, giacch esse si propagano pure nel vuoto, come dimostra il fatto che i raggi

    solari raggiungono tranquillamente la terra (inoltre, se si leva l'aria da una campana divetro sotto la quale posto un campanello, il suono da esso emesso non ci raggiunge

    pi, ma noi continuiamo comunque a vederlo).

    Fu cos introdotto un nuovo mezzo materiale, supposto impalpabile, trasparente e

    perfettamente elastico, che impregnerebbe ogni angolo dell'universo e trasporterebbe in

    ogni dove i raggi di luce, oltre che le onde radio e le radiazioni X e gamma. Per analogia

    con la celebre quintessenza di aristotelica memoria, a tale misteriosa realt fu dato il

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    nome di etere. Questo strano materiale tuttavia poneva pi problemi di quanti non ne

    volesse risolvere. Di che tipo di materia era composto? Perch di materia sicuramente

    doveva trattarsi, anche se a quei tempi il concetto stesso di "materia" non era ben

    definito, e la teoria atomica era ancora di l da venire. Ed in che modo permeava tutto

    l'universo? Doveva essere estremamente rigido, in modo da permettere la trasmissione

    di onde tanto veloci, ma allo steso tempo non doveva offrire alcuna resistenza al moto

    dei pianeti... Eppure, tutti accettarono di buon grado l'introduzione di questa stranissima

    sostanza, perch se non altro veniva incontro ad una delle principali preoccupazioni

    della Fisica Classica: essa poteva infatti rappresentare il sistema di riferimento

    assolutoper tutte le trasformazioni di Galileo, sostituendo quel centro dell'universo

    che, in un modello infinito del cosmo, non aveva alcun significato. La terra in moto

    attorno al sole, il sole lo intorno alla Galassia, questa lo rispetto alle altre galassie,

    ma l'etere pu considerarsi "immobile" in senso assoluto; immobile, come si diceva ai

    tempi, rispetto alle stelle fisse (il primo ad avanzare questa ipotesi fu Fresnel nel

    1818). Dalle leggi di Newton risultava che nessun sistema di riferimento pu ritenersi

    privilegiato rispetto agli altri; se il corpo B in moto con velocit pari a 3 m/s rispetto al

    corpo A, ritenuto fermo, nulla proibisce di ritenere che sia fermo il corpo B, e che sia Aa muoversi rispetto ad esso con velocit pari a 3 m/s, senza che le leggi della dinamica

    vengano violate. Parlare dunque di posizione assoluta di un corpo privo di senso,

    esattamente quanto lo sarebbe cercare il centro di un piano illimitato. La meccanica

    newtoniana consente tutt'al pi di parlare di posizione relativa ad un determinato

    osservatore. Anche il concetto di velocit assoluta va sostituito perci con quello di

    velocit relativa ad un dato osservatore, potendo poi passare dalla velocit misurata

    da un sistema a quella misurata da un altro mediante le solite trasformazioni galileiane.

    L'etere veniva a colmare questa lacuna, permettendo di stabilire una volta per tutte un

    sistema di riferimento nel quale le distanze, gli intervalli di tempo e le velocit potevano

    venire misurati in maniera univoca per tutti gli osservatori di questo mondo. Anche la

    velocit della luce, fissata univocamente dalla teoria elettromagnetica secondo la

    formula0 0

    1c

    , diventava velocit assoluta rispetto alla fantomatica etere. Ma

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    fu proprio questa la crepa che, allargandosi, fin per spezzare tutta quanta la

    costruzione!!!

    Il principio di relativit galileianoIntroduzione

    La teoria della relativit proposta da Einstein allinizio del XX secolo un argomento,

    certamente ostico, che, per, ha sempre suscitato un grande interesse. Le nuovissime e

    sofisticate tecnologie, che, solamente grazie allo studio di questa branca della fisica

    moderna si riusciti a ideare, progettare ed infine a costruire attirano e hanno suscitato

    quella voglia di andare oltre le spiegazioni di carattere puramente semplicistico. Ecco,

    allora, che con questo trattato non intendiamo certamente scavare pi a fondo di quello

    che le nostre conoscenze ci permettono ma, vorremmo approfondire il pi

    completamente possibile alcuni temi che si trovano alla nostra portata. Il tema scelto

    spazia dalla crisi della meccanica classica, teoria che, per, nonostante sia stata messa in

    crisi resistita fino ad oggi e viene ancora applicata ed insegnata nelle scuole, come ad

    esempio la nostra, fino alla formulazione, da parte di Einstein, nel 1905, dei postulati

    della relativit ristretta. Un percorso che si svolge su un periodo di circa quattrocento

    anni e che porta delle modifiche sostanziali nella cultura ideologica e scientifica delle

    persone (un caso fra tutti quello di Galileo e delle sue nuove concezionidellUniverso).

    Un riesame del principio di inerzia

    La meccanica, proposta da Newton durante il XVII secolo, fondata su tre principi, il

    primo di essi, chiamatoprincipio dinerzia, solitamente enunciato nel seguente modo:

    un punto materiale libero (non soggetto a forze), se fermo, continua a stare fermo, se

    invece in movimento, continua a muoversi di moto rettilineo uniforme. Questa

    affermazione non per niente banale in quanto introduce un concetto, quello di punto

    materiale libero, che comporta una grossa astrazione rispetto allesperienza sensibile e

    concreta delle cose, infatti esso vuol denotare un corpo puntiforme non condizionato da

    nessuna presenza esterna, il cui comportamento non sarebbe molto diverso da quello

    che avrebbe se fosse solo in tutto lUniverso. Sulla Terra, per esempio, non esistono

    punti liberi in quanto tutti i corpi sono sottoposti allattrazione gravitazionale della

    Terra stessa, pi precisamente non potrebbe esistere alcun punto libero in tutto

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    lUniverso perch lattrazione gravitazionale coinvolge tutti i corpi. Lutilit del

    concetto di punto libero, per, risiede nel fatto che esso permette di semplificare lo

    studio del movimento, definendo le propriet delle entit teoriche necessarie per la sua

    descrizione univoca e completa: spazio, tempo, sistemi di riferimento. Il principio

    dinerzia, inoltre, stabilisce le propriet dello spazio assoluto, chiamato cos perch le

    sue propriet sono indipendenti da ci che contiene, affermando che esso omogeneo

    e isotropo. Omogeneo perch si postula che tutte le direzioni dello spazio siano

    indistinguibili luna dallaltra. Isotropo perch si postula che tutte le direzioni siano

    equivalenti. Queste due affermazioni comportarono durante il XVII secolo una grossa

    tensione tra Galileo e Newton e i filosofi aristotelici a loro contemporanei perch,

    secondo la teoria aristotelica dello spazio, qualsiasi corpo, ovunque lo si ponesseavrebbe dovuto muoversi per raggiungere il suo luogo naturale, cio il centro

    delluniverso, dove, appunto, Aristotele pensava si trovasse la Terra.

    A questo punto come si pu determinare se un corpo fermo oppure in movimento?

    Infatti, per essere sicuri che un corpo fermo bisognerebbe controllare che la sua

    posizione non varia rispetto ad un altro corpo, che sia sicuramente fermo, ci comporta

    che dovrebbe esistere un sistema di riferimento sicuramente e assolutamente fermo.

    Per gli aristotelici questo non comportava un grosso problema in quanto per loro un tale

    sistema di riferimento cera ed era naturale: la Terra, cio il centro dellUniverso. Ma da

    quando fu introdotta la concezione copernicana dellUniverso, cio da quando la Terra

    venne scoperta in moto attorno al Sole, essa non venne pi sostituita da nientaltro.

    Insomma, da quel momento in poi, fu praticamente impossibile di parlare quiete

    assoluta di un sistema di riferimento e quindi fu impossibile determinare e stabilire la

    quiete assoluta di un punto. Il massimo che si pu affermare che un punto P in quiete

    rispetto ad un sistema di riferimento O; lo stesso punto P descritto mediante un altro

    sistema di riferimento O, in moto rispetto ad O, apparir in movimento.

    Le trasformazioni di Galileo

    Iniziamo questo paragrafo col considerare un evento fisico. Un evento qualcosa che

    accade in un certo punto ad un certo tempo, indipendentemente dal sistema di riferimento

    che potremmo usare (per esempio due particelle si scontrano). Per descrivere un evento

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    usiamo quattro misure in un particolare sistema di riferimento, cio le coordinatex, y, z, e

    il tempo t. Consideriamo ora due sistemi di riferimento, uno fermo che chiameremo O e

    laltro che si muove con velocit vrispetto a Sche chiameremo O.

    Per comodit poniamo che il sistema K(O;x;y;z;t)si sposta lungo lasse comunexx.

    A questo punto poniamo che si verifichi un evento in un punto P, un osservatore S

    misurer la posizione e listante in cui avviene levento assegnandogli le coordinate

    spazialix, y, z e il tempo t, mentre un osservatore S in movimento con velocit vrispetto

    a S gli assegner le coordinate spazialix, y, z e il tempo t. Cercheremo ora di trovare le

    trasformazioni che mettono in relazione queste otto coordinate spaziali. Visto che O si

    muove lungo lassexdi Oe che per semplicit supponiamo che gli orologi di entrambi gli

    osservatori segnino zero all'istante in cui coincidono le origini, le trasformazioni di

    Galileosono:

    ' V'TRASFORMAZIONIGALILEIANE

    '

    '

    x x ty y

    z z

    t t

    Per lequazione relativa al tempo bisogna assumere che il tempo possa essere definito in

    modo indipendente da un qualunque particolare sistema di riferimento per poter affermare

    la corrispondente equazione di sincronizzazione.

    Queste trasformazioni per valgono unicamente per velocit piccole di un ordine digrandezza che caratterizza la nostra vita quotidiana o non molto oltre. Se vogliamo

    prendere in considerazione corpi che si muovono ad una velocit prossime a quella della

    luce notiamo degli effetti strani che sono la dilatazione del tempo e la contrazione delle

    lunghezze, due fenomeni che vengono descritti con le trasformazioni di Lorentz, di cui

    si discuter in dettaglio in seguito.

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    La luce e letere

    La meccanica newtoniana nei suoi presupposti impliciti ed espliciti funzion molto bene

    fino a quando ci si limit a descrivere il moto di oggetti materiali come molecole,pianeti o parti di macchine, avvalorando quindi i principi su cui essa era basata fino

    renderli senso comune, evidenti ed indubitabili. Quando, per, si cominciarono gli studi

    delle leggi dellottica e pi precisamente delle propriet della luce, durante il XIX

    secolo, cominciarono a sorgere i primi problemi e i primi dubbi che divennero sempre

    pi evidenti con lo studio dellelettromagnetismo e con la formulazione delle equazioni

    fondamentali dellelettrodinamica eseguiti da Maxwell alla fine dell800. Infatti il

    problema pi evidente risult quello della misurazione della velocit della luce; giGalileo, per, sosteneva che la luce si propaga nello spazio con una velocit finita e

    cerc di comprovare grazie a degli esperimenti questa sua affermazione ma non ci riusc

    in quanto possedeva degli strumenti troppo imprecisi per esperimenti di questo genere.

    Il primo a scoprire che la velocit della luce finita fu Roemer durante delle

    misurazioni di tipo astronomico; Fizeau e Foucault, verso la met del XIX secolo,

    riuscirono, grazie ad esperienze compiute in laboratorio a scoprire un valore pi preciso,

    prossimo a 300.000 Km/s, che da quel momento in poi venne comunemente indicato

    con c.

    Se per le onde sonore le trasformazioni di Galileo andavano bene, per la luce, invece,

    esse fallivano ogni volta. Infatti se per il suono il mezzo di propagazione laria

    sembrava che per la luce non esistesse nessun mezzo. Tuttavia pareva inconcepibile ai

    fisici del XIX secolo che la luce e le altre onde elettromagnetiche, contrariamente a tutti

    gli altri tipi di onde, potessero propagarsi in assenza di un mezzo. Sembr allora logico

    postulare lesistenza di un tale mezzo, detto etere, anche se si rese necessario

    supporre per esso delle propriet alquanto insolite; infatti esso fu considerato di densit

    nulla e di una perfetta trasparenza. Si suppose inoltre che letere riempisse lUniverso e

    che esso fosse assolutamente fermo. Perci se letere fosse esistito la Terra avrebbe

    dovuto muoversi attraverso di esso durante il suo moto di rotazione e rivoluzione e un

    osservatore sulla Terra, quindi, avrebbe dovuto avvertire un vento detere avente una

    ben precisa velocit vetere rispetto alla Terra. Ne segue, quindi, che un osservatore in

    movimento con una velocit wequiversa con la direzione di propagazione di un raggio

    luminoso, per la relativit galileiana la luce avrebbe avuto una velocit pari a

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    ' wc c

    .

    Questa problematica fu assiduamente studiata dai fisici e in particolare da A.A.

    Michelson e E.W. Morley, che grazie a strumentazioni molto raffinate cercarono di

    evidenziare lesistenza delletere, ma sempre con risultati negativi.

    I postulati di Einstein

    James C. Maxwell era profondamente convinto dell'esistenza dell'etere:

    Non vi pu essere alcun dubbio che gli spazi interplanetari e interstellari non sianovuoti ma occupati da una sostanza o corpo materiale che certamente il pi vasto e

    probabilmente il pi uniforme di cui abbiamo una qualche conoscenza...

    Come noto, tuttavia, questa incrollabile fede nell'esistenza dell'etere era destinata ad

    essere messa in discussione appena otto anni dopo la morte di Maxwell, l'artefice della

    Teoria Classica dei Campi, a causa dell'esperienza di Michelson-Morley. Ed in effetti

    lord Kelvin, uno dei padri della Termodinamica, in una conferenza tenuta il 27 Aprile

    1900, parl di tale esperimento, effettuato con la pi attenta cura per garantire un

    risultato affidabile, come di una nube della fisica del XIX secolo sulla teoria della

    propagazione della luce.

    Nel 1904 ancora Kelvin scrisse nella prefazione alle lezioni di Baltimora:

    Michelson e Morley, con il loro grande lavoro sperimentale sul moto dell'etererispetto alla terra, hanno sollevato l'unica obiezione seria contro le nostre spiegazioni

    dinamiche della luce...

    Occorre dire, per completezza, che Michelson rimase sempre scettico nei confronti della

    teoria della relativit ristretta, che purtroppo comportava la scomparsa dell'etere, ed i

    suoi pregiudizi verso la nuova teoria perdurarono fino alla morte: pregiudizi tipici dei

    fisici sperimentali di stampo ottocentesco, affetti da un vero e proprio "horror vacui".Ecco cosa sostenne Michelson ancora nel 1927 nel suo libro Studies in Optiks in cui

    present il suo punto di vista sulla Relativit Ristretta e le trasformazioni di Lorentz:

    L'esistenza di un etere appare inconsistente con lo teoria della Relativit; ma senzaun mezzo come si pu spiegare la propagazione delle onde di luce? [...] Come si pu

    spiegare la costanza della propagazione della luce se non c' nessun mezzo?

    Una possibile spiegazione dell'esito dell'esperimento di Michelson e Morley fu fornito

    indipendentemente dal fisico irlandese George F.Fitzgerald (1851-1901) nel 1892 e

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    dal gi citato olandese Hendrik Lorentz(1853-1928) nel 1895. Essi fecero osservare

    che i risultati negativi potevano spiegarsi ammettendo che il braccio dell'interferometro

    in moto attraverso l'etere nel senso del movimento della terra (quello orizzontale) si

    fosse accorciato. Quest' ipotesi pu apparire piuttosto artificiosa, ma Lorentz la

    spiegava ipotizzando che le forze di coesione della materia fossero essenzialmente di

    nature elettrica, e quindi il movimento attraverso l'etere poteva modificare le posizioni

    di equilibrio degli atomi.

    In pratica, Lorentz assunse che le equazioni di Maxwell siano valide solo in un sistema

    di riferimento privilegiato, quello in cui l'etere fermo. Ma allora come

    trascrivere le equazioni per un altro sistema in moto rispetto al primo? Lorentz si rese

    conto ben presto del fatto che ogni modifica nella forma di quelle equazioni avrebbe

    comportato che negli altri sistemi di riferimento le leggi (di natura sperimentale)

    dell'elettromagnetismo sarebbero diverse; da ci sarebbe seguita la possibilit di rivelare

    lo stato di moto rispetto all'etere. Ma, pens Lorentz, se tutti gli esperimenti volti a

    rivelare lo stato di moto della terra rispetto all'etere avevano dato esito negativo, solo

    un'ipotesi poteva essere sostenuta: quella secondo cui esistono delle

    trasformazioni, diverse da quelle galileiane, che lasciano inalterate leequazioni di Maxwell.

    Nel 1904 Lorentz scrisse in forma definitiva queste trasformazioni che, oltre a

    coinvolgere le coordinate spaziali, per garantire il risultato corretto prevedono una

    trasformazione anche per il tempo. Egli tuttavia non attribu significato fisico a

    questo "tempo modificato"; lo chiam tempo locale ma, come scrisse egli stesso

    anni dopo la pubblicazione della teoria della relativit:

    ...Io non pensai mai che questo tempo avesse niente a che fare con il tempo reale.Questo tempo reale per me era ancora rappresentato dalla pi antica nozione classica

    di tempo assoluto, indipendente da ogni sistema di riferimento. Esisteva per me un solo

    tempo vero: consideravo la ma trasformazione del tempo solo come un'ipotesi di lavoro

    euristico, di modo che la teoria della relativit davvero solo opera di Einstein.

    Le leggi di trasformazione di Lorentz, furono formulate assai prima delle teorie sulla

    contrazione dei tempi e la dilatazione delle lunghezze, ed per questo che ancor oggi si

    parla oggi di "contrazione di Lorentz" e non di "contrazione di Einstein". Lorentz

    giustificava tuttavia questa contrazione solo come una conseguenza delle modificazioni

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    che subivano gli strumenti di misura quando cambiava il loro stato di moto rispetto al

    sistema di riferimento assoluto (cio quello in cui l'etere in quiete).

    Egli anticip i risultati di Einstein sulla relativit ristretta, eppure non seppe capirne il

    senso fisico, cos come Tycho Brahe cap che il geocentrismo era insostenibile, ma non

    arriv a porre il sole al centro del suo sistema.

    Einstein lavor in modo diverso. Per nulla preoccupato di sfatare tab che resistevano

    fin dai tempi del grande Newton, egli comprese che, quando ci si muove a velocit

    prossime a quella della luce, spazio e tempo subiscono delle effettive trasformazioni che

    non li rendono pi entit assolute, o addirittura metafisiche.

    Se si dava credito all'esperienza di Michelson e Morley, una cosa sola appariva costante

    nel passare da un sistema di riferimento ad un altro: la velocit della luce, uguale sianella direzione del moto della Terra che in direzione opposta. Ed egli part proprio da

    qui, assumendo come questa semplice ipotesi avr conseguenze a dir poco esplosive.

    La teoria della Relativit Ristretta (o Relativit Speciale) fu conclusa da Einstein e

    pubblicata il 30 giugno 1905 sugli Annalen der Physik in una fondamentale

    memoria intitolata Zur Elektrodynamik bewegter Krper (Sull'elettrodinamica

    dei corpi in movimento, [ 13]). In quell'articolo egli scrisse:

    ...Nessuna caratteristica dei fatti osservati corrisponde al concetto di un etere

    assoluto; [...] per tutti i sistemi di coordinate per i quali valgono le equazioni della

    meccanica, valgono anche le equivalenti equazioni dell'elettrodinamica e dell'ottica

    [...]. In quanto segue facciamo questa ipotesi e introduciamo l'ulteriore postulato, un

    postulato a prima vista inconciliabile colle ipotesi precedenti, che la luce si propaga

    nello spazio vuoto con una velocit c che indipendente dalla natura del moto del

    corpo che la emette. Queste due ipotesi sono del tutto sufficienti a darci una semplice e

    consistente teoria dell'elettrodinamica dei corpi in movimento basata sulla teoria di

    Maxwell per i corpi in riposo

    Tutta la teoria di Einstein basata dunque su due postulati fondamentali:

    1.(Principio di relativit)Leleggidellafisicasonolestesseintuttiisistemidiriferimentoinerziali.Nonesisteun

    sistemainerzialeprivilegiato.

    2.(Principio della costanza della velocit della luce).Lavelocitdellalucenelvuotohalostessovalorecintuttiisistemiinerziali.

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    Il primo di essi rappresenta un'estensione, a tutti gli eventi, del principio di relativit

    galileiana, che non risulta cos annullato, bens superato attraverso il secondo postulato,

    dal quale possibile ricavare i fondamenti della cinematica relativistica.

    Con questi due soli postulati Einstein rivoluzion l'intero mondo della Fisica; ma

    l'aspetto tragico o, perlomeno, tragicomico di questa vicenda che il premio Nobel non

    fu assegnato ad Einstein per la Teoria della Relativit, bens per un suo articolo datato

    18 marzo 1905, sempre pubblicato sugli Annalen der Physik , dal titolo ber einen

    die Erzeugung und Wervandlung des Litches betreffenden heuristischen Gesichtspunkt

    (Su un punto di vista euristico circa la creazione e la conversione della luce ), nel

    quale egli interpretava l'effetto fotoelettrico sulla base dell'ipotesi quantistica formulatacinque anni prima da Max Planck. Un lavoro certamente importantissimo, che spian la

    strada alla nascente Meccanica Quantistica; ma da quest'ultima Einstein si tenne sempre

    ai margini, mentre della Relativit egli era stato l'ideatore assoluto, tanto che essa

    forse l'ultimo esempio, nella storia della scienza, di una intera teoria creata da un uomo

    solo. Il fatto che la teoria della Relativit fu a lungo misconosciuta, in patria e fuori, e

    addirittura bollata come fisica ebrea. Il suo autore per non se ne diede per inteso se

    vero che, quando gli fu riferito che era stato pubblicato un libro intitolato Cento

    fisici contro Einstein, in cui si proponeva una teoria alternativa alla Relativit, egli

    rispose con arguzia: Cento? Se fossi in errore, di fisico ne basterebbe uno.

    Il "vento d'etere" non esiste!

    Il primo problema che ci si pone : c' un punto di riferimento invariante per tutti i

    sistemi? S, uno c': la velocit della luce c. La teoria classica dei campi

    elettromagnetici imperniata sulle equazioni di Maxwell fornisce per essa il valore di:

    0 0

    1c

    Dove 0 e 0 rappresentano rispettivamente la costante dielettrica e la

    permeabilit magneticadel vuoto. Si tratta di due costanti universali, invarianti in

    tutti i sistemi, indipendentemente dal sistema di misura. In unit S.I. esse valgono

    infatti:

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    12 -3 20

    7 7 20

    8 859 10 m Kg A

    4 10 12 56 10 m K

    -2 -1g s A

    -1

    -1

    , Farad m

    , ( ) Henry m

    Introducendo questi valori si ottiene:

    -1

    0 0

    1299.792.456, 2 m sc

    Quindi ci si aspetterebbe che c rappresenti la tanto sospirata VELOCIT

    ASSOLUTA. Ed invece la legge di composizione delle velocit contraddice questa

    speranza! Immaginiamo di viaggiare sul cosiddetto "treno di Einstein", un ipotetico

    treno futuribile che si muove a 240.000Km/s; accendendo i fari, la loro luce dovrebbe

    viaggiare a:

    300.000 + 240.000 = 540.000Km/sin palese disaccordo con l'affermazione secondo la quale non si vede perch dovrebbe

    valere dovunque, fuorch sul treno di Einstein. Il perch di questa apparente

    inconciliabilit verr trovato proprio da Einstein.

    Le prime prove a favore dell'invariabilit della velocit della luce nel vuoto furono datedall'esperienza di Michelson e Morley (1887), che ora descriver in succinto,

    lasciandone l'analisi quantitativa agli studenti interessati (vedi Approfondimento). Nel

    paragrafo precedente abbiamo spiegato in che modo and in voga la teoria dell'etere: la

    credenza che ogni perturbazione deve trasmettersi in un mezzo materiale, e non nel

    vuoto, condusse all'ipotesi dell'esistenza di una sostanza imponderabile che tutto

    permea. La velocit della luce risulterebbe cos costante rispetto all'etere,

    salvaguardando tutta la teoria elettromagnetica. Ora, la Terra nel suo cammino attornoal sole si dovrebbe muovere nel mare d'etere grande quanto tutto l'universo, se vero

    che questo mare fermo, come si compete ad ogni riferimento che ha la pretesa di

    essere assoluto; dunque, dal punto di vista degli osservatori terrestri, l'etere si dovrebbe

    muovere in direzione opposta al moto del nostro pianeta. Ne consegue che, misurando

    la velocit della luce nella direzione del moto orbitale terrestre, si dovrebbe riscontrare

    un risultato maggiore di quello ottenuto nel caso in cui la si misuri in direzione opposta,

    Pag. 25

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    perch nel primo caso la velocit orbitale pari all'incirca a 33 Km/s si somma al

    risultato della legge di composizione delle velocit classico, nel secondo caso si sottrae.

    Ebbene, Albert Michelson ed Edward Morley pensarono di effettuare una doppiamisurazione della velocit della luce, nella direzione del moto terrestre ed in direzione

    opposta, con lo scopo di confrontare i due risultati e di provare il moto della Terra

    attraverso l'etere. Ma una simile misura era pi facile a dirsi che a farsi, poich la

    velocit orbitale del nostro pianeta poteva incidere sulla velocit della luce al massimo

    per una parte su diecimila. I due scienziati ebbero allora l'idea di utilizzare un

    complesso apparato di specchi (INTERFEROMETRO), che sfruttasse proprio il

    fenomeno dell'interferenza tra raggi di luce che hanno percorso cammini otticidifferenti. Il loro interferometro aveva pi o meno quest'aspetto:

    (l'immagine ricavata dall'Enciclopedia Multimediale Encarta). Vediamo come

    funziona.

    In esso, un raggio di luce colpisce uno specchio semiargentato, e quindi semirilettente

    (al centro della figura): in parte esso riflesso su di uno specchio (in alto), che lo

    riflette nuovamente, in parte lo attraversa ed riflesso su un altro specchio. Il primo di

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    questi raggi attraversa lo specchio semiargentato, il secondo da questo riflesso in

    direzione ortogonale, cosicch i due raggi si sovrappongono prima di giungere ad uno

    schermo (in basso). Essendo derivati da un'unica sorgente luminosa, i due raggi sono tra

    loro coerenti(cio hanno stessa intensit, stessa ampiezza e stessa lunghezza d'onda);

    avendo percorso cammini ottici di uguale lunghezza, essi giungono sullo schermo in

    fase, e quindi la luminosit totale sar raddoppiata. In effetti, Michelson e Morley

    inclinarono gli specchi in modo che i raggi risultanti non fossero esattamente paralleli,

    ma formassero l'uno rispetto all'altro un angolo piccolissimo. Questo sufficiente

    perch i cammini ottici non siano pi identici, e quindi sullo schermo si formano delle

    frange di interferenza, come quelle visibili in figura:

    Se per ruoto l'interferometro di 90, anzich al raggio orizzontale la velocit orbitale

    della Terra si sommer al raggio verticale, e dunque la differenza di cammino ottico fra

    i due raggi varier; si dovr quindi avere uno spostamentonelle frange di interferenza.

    SeL la lunghezza del braccio dell'interferometro e v la presunta velocit della Terra

    rispetto all'etere, la differenza tra i cammini ottici dovrebbe essere dato dalla formula:

    2

    2

    v2x L

    c =

    Lo spostamento cos ottenuto dovrebbe equivalere a circa mezza lunghezza d'onda della

    luce gialla, e quindi dovrebbe essere tale da portare le frange scure sulle frange chiare e

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    viceversa, proprio come illustrato nella figura qui sopra. Nel suo primo esperimento di

    questo genere, condotto da solo nel 1881, Michelson non not nulla ma, siccome

    l'apparecchiatura era piccola, pens che la differenza di cammino ottico si confondesse

    con gli errori sperimentali. Per questo nel 1887 egli ritent, assieme a Morley, usando

    un'apparecchiatura molto pi grande, tale che il percorso totale dei raggi di luce

    misurasse almeno 11 metri; stavolta la differenza dei cammini ottici nei due casi doveva

    uguagliare esattamente mezza lunghezza d'onda della luce utilizzata, e quindi lo

    spostamento delle frange di interferenza doveva essere evidente. Ma, a sorpresa,

    nemmeno stavolta si not nulla, ed alla stessa conclusione giunsero tutti coloro che, con

    tecniche pi o meno perfezionate, ripeterono lo stesso esperimento.

    Ci fu chi, per salvare la Teoria Classica dei Campi, azzard l'ipotesi che la Terra

    trascinasse con s l'etere nel proprio moto, cos come trascina con s l'atmosfera; ma

    allora dove andrebbe a finire l'impalpabilit e l'infinita elasticit della quintessenza di

    aristotelica memoria? E che razza di sistema di riferimento assoluto esso

    rappresenterebbe, se si muovesse di moto relativo assieme a tutti i corpi che incontra?

    Conclusioni: l'esperienza di Michelson e Morley era stata concepita per dimostrare che

    la luce pu avere velocit diverse per diversi osservatori in moto relativo rispetto

    all'etere, attraverso la dimostrazione dell'esistenza di una sorta di vento d'etere ,

    dovuto in realt all'immobilit in senso assoluto della quintessenza, ed al moto relativo

    rispetto ad esso della Terra lungo la propria orbita, sulla scorta della presunta validit

    della composizione galileiana delle velocit. Il fatto che l'esperimento sia

    clamorosamente fallito non poteva far altro che smentire gli assunti di partenza,

    mostrando una volta per tutte che la luce ha sempre la stessa velocit per tutti gli

    osservatori, e che evidentemente le trasformazioni di Galileo NON sono valide per tuttii sistemi di riferimento in moto relativo l'uno rispetto all'altro. Anzich cementare la

    crepa che minava la solidit del castello della Fisica, Michelson e Morley la allargarono

    ulteriormente, mostrando che la meccanica galileo-newtoniana e la teoria

    elettromagnetica di Maxwell erano intimamente inconciliabili.

    In realt, come abbiamo gi detto nel paragrafo precedente, i fisici sapevano gi che le

    equazioni di Maxwell sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz, non

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    rispetto a quelle di Galileo, e questo ben prima che il genio di Ulm pubblicasse le sue

    mirabolanti teorie. Gi si sapeva insomma che, se si vuole conservare la forma delle

    quattro equazioni dell'elettromagnetismo, la somma delle velocit non pu pi

    consistere nella semplice somma vettoriale e questo, come vedremo, implica proprio

    che deve giocoforza esistere una velocit maggiore di tutte le altre. Nessuna teoria fisica

    per giustificava quelle trasformazioni, che restavano un giochetto matematico e niente

    pi; e cos, tutti erano impegnati alla ricerca del fantomatico etere, come novelli Parsifal

    alla caccia del Sacro Graal, e Michelson continuava a perfezionare i suoi interferometri,

    sperando di osservare l'inesistente spostamento delle frange d'interferenza... finch non

    arriv quell'apparentemente modesto scienziato ebreo che cambi la Fisica moderna...