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Le torbiere montane QUADERNI HABITAT 9

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Page 1: Le torbiere montane - orobievive.net · Alessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch comitato di redazione ... li della tassonomia della botanica sistematica e, per quanto possibile,

Le torbiere montane

Q U A D E R N I H A B I TAT

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Q U A D E R N I H A B I TAT

M I N I S T E R O D E L L’ A M B I E N T E E D E L L A T U T E L A D E L T E R R I T O R I O

M U S E O F R I U L A N O D I S T O R I A N AT U R A L E · C O M U N E D I U D I N E

Le torbiere montaneRelitti di biodiversità in acque acide

Quaderni habitatMinistero dell’Ambiente e della Tutela del TerritorioMuseo Friulano di Storia Naturale - Comune di Udine

coordinatori scientificiAlessandro Minelli · Sandro Ruffo · Fabio Stoch

comitato di redazioneAldo Cosentino · Alessandro La Posta · Carlo Morandini · Giuseppe Muscio

"Le torbiere montane · Relitti di biodiversità in acque acide"a cura di Alessandro Minelli

testi diFrancesco Bracco · Augusto Gentilli · Alessandro Minelli · Margherita Solari · F abio Stoch · RobertoVenanzoni

illustrazioni diRoberto Zanella

progetto grafico diFurio Colman

foto diNevio Agostini 134 · Archivio Museo Friulano di Storia Naturale 17/2, 36, 46, 52/3, 139 · Archivio MuseoFriulano di Storia Naturale (Maria M. Giovannelli) 74/1, 74/2, 77, 126/2 · Archivio Museo Friulano di StoriaNaturale (Gianfranco Tomasin) 78/1, 78/2, 81 · Archivio Museo Friulano di Storia Naturale (Ettore Tomasi)10, 15, 31/1, 31/2, 37/1, 50/2, 51, 52/1, 52/2, 53/1, 53/2, 115, 124, 126/1, 127, 129/1, 129/2, 133, 138 ·Mauro Arzillo,16, 101 · Stefano Bossi 82, 83 · Paolo Fontana 72 · Claudio Furlan 86, 87 · Luca Lapini 90, 91, 92, 95, 97, 98, 99, 100, 107, 108, 110, 113, 143 · Giuseppe Muscio 30/3, 34, 39/2,60, 73, 75, 102, 140, 144 · Ivo Pecile 54, 64, 85, 93, 96 · Paolo Paolucci 88, 104, 105/1, 105/2, 106/1,106/2, 109, 111, 112 · Provincia Autonoma di Trento (Renato Perini) 19 · Roberto Parodi 103 ·Margherita Solari 25, 43, 141, 142, 147 · Fabio Stoch 62/2, 63, 69 · Roberto Venanzoni 6, 8, 11, 13, 14,17/1, 18, 22, 23, 24, 26, 28, 29, 30/1, 30/2, 31/3, 35, 37/2, 39/1, 41, 42, 48, 49, 50/1, 55, 114, 116, 117,118, 121, 122, 123, 128, 132, 136, 137 · Adriano Zanetti 125 · Roberto Zucchini 44/1, 44/2, 47, 62/1, 66,67, 70, 71, 84, 120, 145, 146

©2004 Museo Friulano di Storia Naturale · Udine

Vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie.Tutti i diritti sono riservati.

ISBN 88 88192 14 XISSN 1724-7209

In copertina: La torbiera di Scichizza nelle Alpi orientali (foto G. Muscio)

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Francesco Bracco · Roberto Venanzoni

La vegetazione delle torbiere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

Francesco Bracco · Roberto Venanzoni

Gli invertebrati acquatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

Fabio Stoch

Gli invertebrati terrestri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

Alessandro Minelli

I vertebrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

Augusto Gentilli

Aspetti di conservazione e gestione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

Francesco Bracco · Fabio Stoch · Alessandro Minelli · Roberto Venanzoni

Proposte didattiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135

Margherita Solari

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149

Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

Indice delle specie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

IndiceQuaderni habitat

1Grotte efenomenocarsico

2Risorgivee fontanili

3Le forestedella PianuraPadana

4Dune espiaggesabbiose

5Torrentimontani

6La macchiamediterranea

7Coste marinerocciose

8Laghi costierie stagnisalmastri

9Le torbieremontane

10Ambientinivali

11Pozze, stagnie paludi

12I prati aridi

13Ghiaioni erupi dimontagna

14Laghettid’alta quota

15Le faggeteappenniniche

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Le torbiere sono ambienti umidi presenti in aree caratterizzate da eccesso diacqua, siano esse sponde di laghi e fiumi o superfici piane e versanti ove scor-re un sottile velo d’acqua. La vegetazione è costituita in prevalenza da specieigrofile (sfagni, muschi, ciperacee e graminacee) che, con le loro parti vegeta-tive morte, danno origine ad un deposito organico detto torba.Il termine usato per indicare la torbiera, nelle lingue di origine latina, è stretta-mente legato alla parola torba: quindi, letteralmente, significa luogo ove si pro-duce o da dove proviene la torba. Il significato quindi si riferisce alle caratteristi-che geologico-minerarie e non tiene conto della componente biologica checaratterizza questo ecosistema interessantissimo dal punto di vista naturalistico.Nelle lingue nordiche, ove le torbiere sono anche più diffuse, il termine corri-spondente ha radici differenti e diventa Moor, Moos, mire, bog, fen, ecc. Ter-mini questi che, arricchiti da qualificativi che descrivono le diverse tipologie,hanno un posto consolidato nella terminologia scientifica del settore.

In senso geologico o pedologico la torbiera è definita come un ambiente ovel’accumulo di torba raggiunge uno spessore di almeno 30 cm, che seccandosiperde circa il 75% di acqua e, escluse le sostanze minerali, contiene il 30-35%di carbonio puro. In pratica quindi la torba trattiene una quantità di acqua fino a

7IntroduzioneFRANCESCO BRACCO · ROBERTO VENANZONI

Conca con area torbosa alle pendici del Monte Bianco (Val d’Aosta)

ITALIANO FRANCESE SPAGNOLO TEDESCO INGLESE

TORBIERA TOURBIÈRE TURBERA (TRAMPAL) MOOR MIRE

TORBIERA ALTA HAUT-MARAIS, TURBERA ALTA HOCHMOOR RAISED BOGTOURBIÈRE BOMBÉE TURBERA ABOMBADA

TORBIERA BASSA BAS-MARAIS TURBERA BAJA NIEDERMOOR FENTORBIERA PIANA TURBERA PLANA

TORBIERA CLIMATICA MARAIS RECOUVRANT TURBERA CLIMÁTICA DECKENMOOR BLANKET BOGTURBERA DE RECUBRIMIENTO DECKEN-HOCHMOOR BLANKET MOSS

TORBIERA DI MARAIS DE TRANSITION TURBERA DE TRANSICIÓN ÜBERGANGSMOOR TRANSITION BOGTRANSIZIONE

AGGALLATO MARAIS FLOTTANT TURBERA FLOTANTE SCHWINGRASEN FLOATING MATMARAIS TREMBLANT SCHWINGMOOR TREMBLING BOG

CUMULI DI SFAGNI BUTTES À SPHAIGNES ABOMBAMIENTO BULTEN HUMMOCKMAMELÓN

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■ Distribuzione

Le torbiere sono ambienti tipici di territori dove, a causa del clima temperato e diparticolari condizioni idriche ed edafiche, la sostanza organica prodotta dallepiante (briofite in particolare, ma anche graminacee, ciperacee ed altre) non sidecompone e tende ad accumularsi formando la torba. Questo fenomeno deter-mina il cosiddetto processo di naturale interrimento degli specchi d’acqua.In Europa, le torbiere tendono quindi a ridursi a mano a mano che si procededa nord verso sud e sono distribuite sia nelle pianure che sulle montagne,ovvero in territori ove le formazioni forestali rappresentano, di massima, lavegetazione presente naturalmente, in assenza di trasformazioni operate dal-l’uomo (vegetazione potenziale).In Italia, le torbiere sono distribuite prevalentemente sulle Alpi e sull’Appenni-no settentrionale e diminuiscono drasticamente a mano a mano che si scendeverso sud lungo la penisola, riducendosi progressivamente a minuscoli popo-lamenti di sfagni.

8-9 volte il proprio peso secco mentre, per l’alta presenza di sostanza organica,una volta essiccata ha un potere calorifico elevato di ca. 3-5.000 Kcal/Kg.La torbiera è considerata attiva se il processo di accumulo della torba è in attoe morta se tale processo è stato interrotto. Grazie alla presenza di specie della flora e di tipi di vegetazione assai specia-lizzati (bioindicatori) è anche possibile classificare i diversi tipi di torbiera aseconda delle loro caratteristiche ecologiche e genetiche senza necessaria-mente addentrarsi nel complesso sistema di classificazione che prevede l’uti-lizzo di dettagliate analisi chimiche e stratigrafiche.Per gli aspetti naturalistici e quindi conservazionistici discussi in questo volume, èutile fare riferimento ad una nozione di torbiera intesa in senso geobotanico piut-tosto che geopedologico. Infatti la direttiva CEE 92/43 fa riferimento per la delimi-tazione di questi habitat a precise terminologie derivanti dalla descrizione dellavegetazione ivi ospitata e descritta secondo il metodo fitosociologico. Gliambienti trattati rientrano infatti completamente o in parte negli habitat denomi-nati torbiere alte attive (habitat 7110), paludi calcaree a Cladium mariscus e Carexdavalliana (habitat 7210), formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris atrofu-scae (habitat 7240), torbiere boscose (habitat 91D0). In questa sede verrannodescritti gli aspetti naturalistici relativi alle torbiere montane, ma in taluni casi sifarà riferimento anche a specie che popolano le torbiere a quote più basse.Verranno utilizzati termini formali di uso corrente della nomenclatura sintasso-nomica fitosociologica quali l’associazione, l’alleanza, ecc., in aggiunta a quel-li della tassonomia della botanica sistematica e, per quanto possibile, le spe-cie vegetali, verranno indicate con i nomi corrispondenti in lingua italiana.

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La torbiera di Palù Marcia in Trentino

Distribuzione delle torbiere in Europa: le aree più scure sono quelle ove la presenza è maggiore; in giallole aree prive di torbiere

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11Tra le regioni italiane il Trentino Alto-Adige è quella più ricca di torbiere: nel-la sola Provincia di Bolzano sono staticensiti oltre 700 siti con torbiere tipichee ambienti torbosi di interesse naturali-stico. Non ne mancano esempi, comun-que, nelle altre regioni dell’arco alpino.In questi territori le torbiere sono distri-buite dal piano montano a quello alpinocon un optimum in quello subalpino,ove si possono rinvenire anche rariesempi di pecceta boreale con sfagni.Spostandosi a sud, nell’Appennino ligure e modenese si rinvengono numerosiambienti umidi e torbosi e merita senz’altro richiamare alla memoria la soprav-vivenza della torbiera di Sibolla, in Toscana, esempio raro, soprattutto se siconsidera che è sviluppata quasi al livello del mare. Già a partire da questeregioni la tipologia delle torbiere si allontana dal modello alpino e le formazionivegetali che vi si sviluppano sono riferibili a limitate sfagnete e relitti di vegeta-zione torbicola rappresentati da popolamenti di erioforo a foglie larghe(Eriophorum latifolium) e carice di Davall (Carex davalliana) di poche decine dimetri quadrati.Infatti, procedendo ancora più a sud, in Italia centro-meridionale, scomparsele torbiere di Campotosto per la costruzione di un bacino idroelettrico, rimanedegna di nota l’isola galleggiante formata da Sphagnum palustre presente alLago di Posta Fibreno. Le ultime propaggini di qualche interesse sono costi-tuite dalle torbiere basse che si sviluppano in Calabria, in Sila e in Aspromon-te, grazie al substrato siliceo e all’altitudine elevata.La presenza di sfagni nelle isole, Sicilia e Sardegna, si limita a rarissime sta-zioni rispettivamente sulle Madonie e sul Monte Limbara, e rappresentanoquindi il limite meridionale di questi tipi di vegetazione medio-europei e perciòassumono un’elevatissimo valore dal punto di vista biogeografico e biologico.Legato ai contesti di torbiera è poi il cladio di palude (Cladium mariscus). Amano a mano che ci si sposta verso sud, questa specie tende a formare duegruppi di comunità. Il primo gruppo mantiene le caratteristiche delle fitocenosidi torbiera di impronta medio-europea ed è distribuito dalle regioni alpine eprealpine delle risorgive con presenze nei grandi laghi interni del nord e delcentro-sud, fino al Lago di Monticchio in Basilicata. Il secondo gruppo com-prende fitocenosi caratterizzate da specie della flora di impronta biogeografi-ca più mediterranea e con vocazione moderatamente alofila (che manifestacioè preferenze per l’acqua con un qualche tenore salino) e pertanto si rinvie-ne nei laghi retrodunali delle coste della penisola e delle isole.

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Cladio di palude (Cladium mariscus)

L’isola galleggiante formata da sfagni nel Lagodi Posta Fibreno (Lazio)

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1312 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniLa formazione della torba

L’elemento chiave di una torbiera è il tap-peto verde e rosso-bruno di muschi e sfa-gni il cui spessore può andare da pochicentimetri ad alcuni metri e che, alla base,può avere un’età anche di alcune centi-naia di anni. La coltre di sfagni cresce sul-la superficie, mentre la sua parte inferioremuore e rimane accumulata, formandocon il tempo la torba.In una foresta le parti morte, rami, foglieecc. si decompongono e si trasformano inhumus sotto l’azione di batteri, funghi ealtri organismi decompositori. Lo strato disfagni vivi è però in grado di cambiareradicalmente le caratteristiche chimichedell’ambiente ove si sviluppa, causando-ne una forte acidificazione. Gli sfagni,infatti, sono capaci di assorbire una fortequantità di cationi, rilasciando altrettantiioni idrogeno, caratteristica molto utile inquesti habitat ove i nutrienti minerali scar-seggiano. Per questa caratteristica alcunisfagni sono stati utilizzati anche comeorganismi biodepuratori. Inoltre, durante laformazione degli strati di torba vengonoprodotti anche acidi organici, ad esempiol’acido tannico, di colore bruno. Questopreviene lo sviluppo dei batteri e la suaazione in questo senso è favorita da duecondizioni concorrenti: la temperatura èridotta, per il microclima fresco caratteri-stico di questi ambienti, e l’abbondantepresenza di acqua impedisce il contattodella materia organica morta con l’atmo-sfera ossigenata. Il risultato complessivo èil sostanziale blocco dei processi didecomposizione della sostanza organica.Col tempo, lo strato profondo di sfagnimorti si comprime per effetto del propriostesso peso e non va più soggetto a ulte-riore degradazione. La coltre superficialedi sfagni, invece, si rinnova durante ognistagione vegetativa al di sopra degli stratisottostanti morti e, di conseguenza, l’edi-ficio complessivo degli sfagni continualentamente ad elevarsi.Al microscopio la natura intima della torbasi rivela costituita da un fitto reticolo di cel-

lule morte grandi e piccole, che permetto-no di ritenere una grandissima quantità diacqua.Grazie a questa capacità, lo strato di sfa-gno può elevarsi al di sopra del livello del-la falda freatica e, imbevendosi come unaspugna, è capace di conservare a lungo leacque di precipitazione atmosferica,garantendo l’approvvigionamento idricodi cui ha bisogno la giovane piantina disfagno durante il suo periodo vegetativo.

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1514 ■ Geomorfologia

Le torbiere si possono rinvenire in corrispondenza di diverse morfologie delterreno che assicurano la presenza di acqua. Ciò si verifica per esempio nelfondovalle delle valli alluvionali, sulle spianate sommitali e di altopiano, sui ver-santi interessati da flusso d’acqua, in prossimità di sorgenti, ecc. Le torbiere dimaggiori dimensioni sono in genere localizzate in corrispondenza del fondo-valle oppure sulle sponde dei bacini lacustri. Sono interessati, a questo propo-sito, moltissimi piccoli laghi di circo o di sbarramento morenico delle quoteelevate, come pure i grandi bacini di sovraescavazione glaciale quali il Lagod’Iseo o il Lago Maggiore nella fascia prealpina, ed ancora i laghetti morenicied intermorenici degli anfiteatri pedemontani.Nei bacini lacustri di piccole dimensioni, ove il processo di interrimento daparte della vegetazione torbicola delle sponde non è ancora completato, siconserva un laghetto residuale in posizione centrale, che viene detto occhiodella torbiera. In moltissimi casi, soprattutto in ambito montano, si rileva poi lapresenza di vegetazione torbicola localizzata e di estensione molto ridotta:non sono necessari infatti spazi enormi e spesso è sufficiente passeggiare peri boschi per incontrare, in corrispondenza di piccole depressioni, di sorgenti ein fregio ai ruscelli, splendide radure popolate da sfagni che formano minuscolitappeti e piccoli cumuli in cui si concentrano le principali specie della flora tipi-che di questi ambienti.

Il laghetto alpino di Bordaglia, con torbiere (Alpi Carniche, Friuli)Area di torbiere nei dintorni di Madonna di Campiglio (Trentino)

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1716 ■ Ecologia e sviluppo

La maggior parte delle torbiere può essere ricondotta, in base alla loro genesi emorfologia complessiva, a due principali tipi. Il deposito torboso può risultareappiattito, come avviene nelle torbiere basse o piane (sommerse o semi som-merse), la cui esistenza è legata alla presenza dell’acqua freatica (per questosono dette torbiere soligene). Il deposito torboso tende invece a costituire unrilievo convesso nelle torbiere alte che si sviluppano al di sopra del livello del-l’acqua freatica, sono svincolate dalla falda e quindi si sviluppano solo in dipen-denza dalle acque di precipitazione (sono perciò definite torbiere ombrogene).È evidente che in questo caso il clima deve assicurare una certa continuitàdell’alimentazione idrica meteorica e anche condizioni termiche tali da noningenerare, da un lato, fasi di aridità eccessiva dovute a stagioni calde troppoprolungate, ma tali da permettere, con temperature non troppo basse, condi-zioni favorevoli allo sviluppo vegetativo delle piante e degli sfagni in particola-re. Da ciò deriva la particolare diffusione delle torbiere nei territori atlantici,caratterizzati da climi temperati di tipo oceanico. Nel nostro paese tali condi-zioni, grazie all’aumento orografico delle precipitazioni e alla diminuzione dellatemperatura legata all’altitudine, si realizzano soprattutto sui rilievi e, in subor-dine, nelle fasce prealpine ad elevata piovosità.

In realtà, tra i due estremi, della torbie-ra alta ombrogena e di quella bassasoligena, esistono moltissime situazio-ni di transizione che dipendono princi-palmente dal rapporto tra l’influenzadella falda freatica e l’apporto idricodovuto alle sole precipitazioni, dallaquantità di nutrienti presenti nelleacque, dalla natura del substrato geo-logico e da altri fattori minori. Si determina quindi l’esistenza di unterzo tipo di torbiera, detta di transi-zione o a mosaico, caratterizzato daun profilo irregolare e della presenza,sul piano inondato della torba, dinumerose depressioni e di piccolidossi alternati ad aggallati (prateriegalleggianti) costituiti da sfagni o daradici e rizomi di piante superiori qualidiverse specie di carici (gen. Carex),giuncastrello delle torbiere (Scheuch-zeria palustris) ed altre.La formazione di una torbiera, sia essaalta o bassa, o di un’area con vegeta-zione palustre, è dovuta a due proces-si generali di opposto significato: l’in-terrimento e l’impaludamento.Al primo processo corrisponde unaprogressiva colonizzazione da partedella vegetazione, che dalle spondeprogressivamente invade lo specchiod’acqua, espandendosi verso il cen-tro. Al secondo corrisponde la colo-nizzazione di aree anche vaste primaasciutte e in seguito inondate (ad es.valli fluviali). Le condizioni edafiche, geomorfologi-che e climatiche permetteranno suc-cessivamente lo sviluppo della vegeta-zione che costruirà la torbiera alta e/obassa e/o di transizione. Torbiera montana con eriofori (Val Dolce, Friuli) Carice davalliana (Carex davalliana)

Giuncastrello delle torbiere(Scheuchzeria palustris)

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1918 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniUn archivio archeologico

Le torbiere si sono dimostrate ancheimportanti archivi delle testimonianzedella presenza dell’uomo che risultanoaltrettanto ben conservate delle spogliedelle piante spontanee.Le condizioni ambientali favoriscono laconservazione di tutti i materiali resi-stenti agli acidi deboli sepolti nel sedi-mento torboso. Tra questi vi sono, adesempio, le parti cheratinizzate deglianimali (pelle, peli, unghie), che, quandosiano sfuggite ai processi superficiali didegradazione, vengono poi conservatemolto a lungo negli strati più profondidella torbiera.Del resto la coltre di sfagni, nelle sueparti inferiori, è sterile per l’assenza dibatteri, tanto che, durante la primaguerra mondiale, questo tipo di torba

era stato utilizzato quale tampone nellemedicazioni di emergenza.Le torbiere risultano quindi spesso siti dinotevole interesse archeologico in cui,all’interno degli strati di torba, è possibi-le rintracciare i segni della presenzaumana nel lontano passato. Ciò è avve-nuto, ad esempio, nella torbiera di Fiavé(Trentino) ove sono conservate tracceimportanti di un villaggio su palafitterisalente al 2100-2000 a.C. e poi al1400-1300 a.C., quando l’attuale torbie-ra era ancora un lago di sbarramento diorigine morenica.Ritrovamenti ancora più notevoli con-cernono poi i corpi umani ben conserva-ti, quali quelli rinvenuti in Danimarca nel1950 dell’Uomo di Tollund (ca. 400 a.C.)e, nelle immediate vicinanze, di lì a poco

(1952), dell’Uomo di Grauballe. Entram-bi appartengono a quel mondo che gliantropologi definiscono “degli uominidelle torbiere”, i cui resti umani risalentiall’età del ferro vennero ritrovati spessonelle aree di torbiera dell’Europa NordOccidentale e principalmente in Dani-marca e Germania.I resti, straordinariamente ben conser-vati, di questi nostri lontani antenati cihanno trasmesso molte informazionisulle caratteristiche dei capi di abbiglia-mento che indossavano al momentodella loro morte e del cosiddetto “ultimopasto”, mostrandoci quindi il loro livellodi civiltà e il tipo di dieta da essi seguito.La loro morte, spesso violenta, è statainterpretata come conseguenza di mani-festazioni rituali.

L’Uomo di Grauballe, per esempio, pre-sentava nello stomaco tracce di funghiallucinogeni, mentre l’uomo di Tollundaveva una corda intorno al collo e rap-presentava forse una vittima sacrificaleo criminale mandata a morte.In Inghilterra, importantissimi sono statii ritrovamenti, in area di torbiera, legatiall’epoca romana. Risulta ben docu-mentato, in particolare, il periodo in cuinumerose legioni difendevano i confiniin corrispondenza della fase di massimaespansione settentrionale dell’ImperoRomano. Sandali, utensili, monete,tavolette con incise corrispondenze emoltissimi altri reperti degli accampa-menti hanno arricchito lo scarso patri-monio archeologico altrimenti raccoltoin quei territori.

La palude di Fiavè (Trentino) Le palaffitte di Fiavè (Trentino)

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2120 Diversi sono i tentativi di raggruppare, spiegare e classificare la complessità deiprocessi di formazione delle torbiere e spiegarli in una unica teoria, tutte inqualche modo devono confrontarsi con l’eccezionalità dei processi ecologici.In questa sede si cercherà di esporre con sufficiente chiarezza le principali fasi.Weber, nel 1908, propone, come fenomeno fondamentale per la formazione diuna torbiera, la successione delle fasi di interrimento di un ambiente acquaticoche si articolano nel modo seguente: - fango lacustre (fase acquatica)- fango torboso (fase lemnitica)- torba di cannuccia di palude (Phragmites australis) e di ciperacee (fase telma-tica o di formazione della torba)- vegetazione arbustiva e forestale a ontano nero (Alnus glutinosa) (fase anfibia) - foreste a betulle (Betula) e pini (Pinus) (fase terrestre) - torba di giuncastrello delle torbiere (Scheuchzeria palustris), carici (Carex) esfagni (fase telmatica). Questa fase (vedi figura) è comunemente attribuitaall’arco temporale compreso tra il 3000 e l’800 a.C.- torba di sfagni (fase semi-terrestre).I cambiamenti del clima (che diviene più umido), la scarsità di nutrienti e l’ab-bassamento del pH, indotto anche dagli sfagni, impediscono lo sviluppo e larinnovazione delle specie forestali e determinano il rigoglioso sviluppo della tor-biera bombata a sfagni. L’inizio di questo periodo viene indicato a partiredall’800 a.C. Queste fasi corrispondono, in termini ecologici, a condizioni diver-se di sviluppo della vegetazione in rapporto al livello dell’acqua.Nella fase acquatica le comunità di macrofite e briofite risultano assenti e ladeposizione di sostanza vegetale è legata all’attività del fitoplancton in sospen-sione nelle acque. La fase lemnitica corrisponde alla comparsa di comunitàvegetali costituite da piante flottanti o radicate in acqua profonda. La fase tel-matica implica l’esistenza di specie e/o di comunità vegetali capaci di costituiredepositi torbosi a partire dal livello dell’acqua o appena al di sotto di esso. Nellafase semiterrestre le specie e/o le comunità vegetali radicano al di sopra dellivello dell’acqua, anche se stagionalmente possono andare soggette a som-mersione. I depositi torbosi formati dai resti indecomposti delle radici e delleparti vegetative aeree si accumulano quindi al di sopra del livello dell’acqua. La fase terrestre vede la comparsa di specie e/o comunità adattate a livelli difalda freatica più bassi, e che sono intolleranti nei confronti delle inondazioni.Queste, per la minor presenza di acqua e in presenza quindi di condizioni menoconservative per la sostanza organica nel suolo, accumulano solo lentamentenuovi depositi torbosi. Weber fu anche il primo ad osservate che la coltre dellatorba formata dagli sfagni, detta accrual, è al di sopra del piano della falda frea-tica e che la zona di contatto è riconoscibile e costituisce un orizzonte limite (intedesco, “Grenzhorizont”); in molti casi questo livello è stato datato.

~12 000 anni fa

~11 000 anni fa

~10 000 anni fa

~8 000 anni fa

~4 500 anni fa

~2 600 anni fa

~2 000 anni fa

oggi

1. substratoargilloso-limoso

2. torbieraa fragmiteto

3. torbieraa cariceto

4. torbieraa ontani

5. torbieraa betulla

6. torbieraa pino

7. torbieraalta antica

8. torbieraalta recente

Modello semplificato di evoluzione di una torbiera dalla fine dell’ultima glaciazione ad oggi in area alpina

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■ Torbiere alte

In Italia le torbiere alte ombrotrofe rap-presentano una minima parte rispettoalle altre tipologie, dette anche minero-trofe in quanto il loro sviluppo è condi-zionato dal carico minerale discioltonelle acque di falda. In numero sicura-mente maggiore sono presenti invecequelle di transizione o ombrominero-trofe. Le torbiere ombrogene, che sisviluppano unicamente in dipendenzadalle acque di precipitazione atmosfe-rica e che si identificano con il terminedi torbiera alta, sono veramente rare, localizzate e di piccole dimensioni. Laloro distribuzione interessa principalmente il piano montano e il piano subalpi-no del versante meridionale delle Alpi. In Europa le torbiere alte sono presentiin modo particolare nelle regioni più settentrionali e in quelle occidentali a for-te impronta oceanica, mentre nelle aree più continentali dell’Europa centrale ealpina sono rappresentate solo da lembi relittuali.Come accennato, la loro alimentazione idrica è svincolata dalla falda freatica edipende esclusivamente dalle precipitazioni atmosferiche a cui è legato anchel’afflusso di sostanze nutritive. Infatti, poiché l’acqua meteorica (sia essa piog-gia o neve) è in quanto tale priva di nutrienti minerali, gli unici apporti nutritiviper le piante sono rappresentati dalle polveri trasportate dal vento e dal pocoazoto in forma ammoniacale depositato dalle stesse precipitazioni meteori-che; per questo motivo le torbiere alte sono classificate come habitat estre-mamente oligotrofici e distrofici, ovvero con ridottissima disponibilità dinutrienti e ricchi di acidi umici; e, dal punto di vista idrico, ombrotrofici.Una torbiera alta tipica è formata da un cumulo di sfagni che si solleva rispet-to al livello della falda freatica e che comprende le parti seguenti: il piano som-mitale, leggermente convesso, i fianchi o rand e un solco, denominato lagg,che si forma al livello del suolo e delimita lateralmente il rand. La superficieconvessa della torbiera alta non è liscia ma tende ad essere caratterizzata dal-

23La vegetazione delle torbiereFRANCESCO BRACCO · ROBERTO VENANZONI

L’orchidacea elleborine palustre (Epipactis palustris)

La torbiera del Totes Moss (Alto Adige)

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fianchi. Il meccanismo di tale accrescimento è registrato nel deposito torboso,la cui struttura mostra un’alternanza di strati spessi di torba più chiara e stratisottili di torba più scura, maggiormente soggetta a fenomeni di trasformazionee humificazione. Tale alternanza è l’esito di un processo definito rigenerazioneciclica ed è legata alle diverse modalità di formazione della torba in corrispon-denza delle depressioni, in cui la materia organica viene prodotta più rapida-mente e si conserva in modo più completo, e dei cumuli, dove invece i mate-riali morti vengono deposti in un ambiente più asciutto, maggiormente sogget-ti ai fenomeni di decomposizione e trasformazione.

la presenza di cumuli, buche e canali-coli che confluiscono nel lagg. Il lagg, aseconda delle dimensioni della torbie-ra, può determinare la formazione diun piccolo ruscelletto che circonda l’a-rea rialzata del tappeto di sfagni cheraccoglie l’eccesso di acqua non trat-tenuta dal tappeto stesso.All’esterno di questa linea di frontierarappresentata dal lagg può essere pre-sente la vegetazione forestale oppurela vegetazione delle torbiere basse;entrambe sono più rigogliose in quan-to a contatto con l’acqua freatica e di

ruscellamento che ha maggiore disponibilità di nutrienti. Quindi la vegetazioneche circonda una torbiera alta ha caratteristiche mesotrofiche, diverse daquelle strettamente oligotrofiche che caratterizzano quest’ultima.La sommità di una torbiera alta è priva di vegetazione arborea: infatti i semidelle specie forestali possono giungere alla germinazione ma, in seguito, lestesse plantule difficilmente potranno attecchire a causa dell’acidità dell’am-biente e della scarsità dei nutrienti.La vitalità di una torbiera è espressa dalla sua possibilità di accrescersi versol’alto, il che provoca l’elevazione della cupola e l’aumento di pendenza dei

24 25

La torbiera è spesso circondata dalla vegetazione arborea ed è oggetto di “invasione” da parte di arbusti

1

32 4 54

5 54 4 4 7

8

9

6 6

Un cumulo di sfagni

Profilo schematico della vegetazione nella torbiera di Pezzabosco (Trentino) 1. Abietetum albae2. Sphagno-Piceetum3. Sphagnetum magellanici4. Sphagnetum magellanici a Carex rostrata5. Sphagnetum magellanici a Scheuchzeria palustris e Rhynchosporetum albae6. Carex rostrata e Menyanthes trifoliata sul bordo dello specchio d’acqua7. Eriophoro-Trichophoretum caespitosi8. Molinietum9. Mesobromion

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2726 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniGli sfagni

Gli sfagni (genere Sphagnum) apparten-gono alle briofite, sono quindi dei vege-tali accostabili, per il loro livello di orga-nizzazione e di complessità, ai muschicomunemente intesi.Questi organismi vegetali rivestono unruolo particolare all’interno degli ambien-ti di torbiera. È infatti la massa molto rile-vante di materiale organico da essi pro-gressivamente costruita nel tempo che,in profondità, è soggetta alla trasforma-zione in torba. È proprio la presenza diquest’ultima a condizionare e caratteriz-zare le condizioni di vita che l’ambientedi torbiera offre agli altri organismi, vege-tali e animali.Nell’ambito dei muschi gli sfagni costi-tuiscono un gruppo isolato, compren-dente l’unico genere Sphagnum. Questoè ricco di specie, raccogliendone infattioltre 200, di cui 24 sono segnalate per ilnostro paese da Cortini Pedrotti nellarecentissima Flora dei muschi d’Italia. Glisfagni rappresentano un gruppo unifor-me e ben caratterizzato sul piano anato-mico e morfologico.L’aspetto generale di una copertura disfagni è quello di un tappeto piano o diun insieme di pulvini, rilievi a cupola dalcontorno rotondeggiante, denso euniforme. Questa apparenza deriva dalnotevole numero di fusti individuali chevi si ritrovano riuniti in posizione moltoravvicinata.Un singolo sfagno è costituito da unfusticino sottile ed eretto dotato di rizoidisolo nelle primissime fasi del proprio svi-luppo, mentre in seguito non ne conser-va traccia. Il fusto, a intervalli regolari,porta ciuffi di rami laterali di sviluppolimitato. Alcuni tra questi, detti ramipatenti, sono perpendicolari al fusticino,altri sono riflessi, cioè appressati al fusti-cino stesso e rivolti verso la sua base;all’apice, infine, è presente un notevolenumero di ramificazioni raccolte in unarosetta compatta.In qualche caso gli sfagni, che appaiono

generalmente verdi, possono presentarsicolorati, in tonalità variabili dal bruno alrosso vivo, per la presenza di pigmentinella parete cellulare.Il fusticino non possiede vasi conduttorie al centro è occupato da un cordone dicellule parenchimatiche circondato daun cilindro lignificato; alla periferia èinvece presente lo ialoderma formato daun numero variabile di strati di cellulemorte, svuotate e intercomunicanti oaperte all’esterno mediante pori.Queste cellule, dette ialocisti, hannospesso pareti rinforzate da un ispessi-mento spiralato che consente loro diconservarsi beanti. Le ialocisti quindipossono assorbire acqua per capillaritàe permettere così allo sfagno di mante-nersi inzuppato anche al di sopra dellivello della falda acquifera che permea ilsubstrato.Tanto i rami quanto il fusticino portanofoglioline di piccole dimensioni (pochimillimetri), con disposizione uniforme e

prive di nervatura mediana. Le fogliolineportate dal fusticino tendono però adavere contorno diverso da quelle inseritesui rami dei vari tipi: le prime possonoessere piane e spatolate, mentre leseconde risultano concave, carenate etendenzialmente rinchiuse su sé stessein corrispondenza dell’apice. I rami rifles-si hanno spesso foglioline più allungate ead apice meno strettamente rinchiuso atubo rispetto a quelle dei rami patenti. Lefoglioline sono formate da un solo stratodi cellule in cui compaiono due tipi di ele-menti cellulari diversi. Le ialocisti, isolate,sono regolarmente inserite nelle magliedi un reticolo regolare formato da cellulevive, molto più sottili e colorate. Questecellule, le clorocisti, appaiono verdi per lapresenza di cloroplasti.Le ialocisti che si trovano nelle fogliolinee nel fusticino consentono al corpovegetativo degli sfagni di assorbire eimmagazzinare una quantità di acquapari a circa venti-venticinque volte il pro-

prio peso secco; la mancanza dei rizoidiè quindi largamente compensata dalleialocisti, che fungono da strutture di rac-colta di acqua e nutrienti.Negli sfagni lo sviluppo di un individuocopre un periodo di tempo di molti anni.Annualmente, infatti, uno dei rami porta-ti in prossimità dell’apice del fusticino siaccresce, così da prendere la forma e lefunzioni del fusticino stesso, proseguen-done la crescita verso l’alto. A questoallungamento corrisponde la morte delleporzioni inferiori dello sfagno e questomeccanismo tende anche a moltiplicarevegetativamente gli individui, separandole ramificazioni che progressivamentehanno avuto origine dal medesimo fusti-cino e che quindi divengono organismiindipendenti.Brevi ramificazioni presenti nella rosettaapicale portano gli archegoni e gli anteri-di, cioè gli organi deputati rispettivamen-te alla produzione dei gameti femminili edi quelli maschili. Questi ultimi, gli sper-

sezioni 1000 x

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■ Vegetazione delle torbiere montane alte e di transizione

La vegetazione che si insedia in questo ambiente non è omogenea ed è carat-terizzata, come si è visto, da un complesso mosaico di depressioni e di cumu-li. Le buche e depressioni della superficie della torbiera sono colonizzate dasfagni che meglio sopportano l’acqua freatica, quale ad esempio Sphagnumcuspidatum, che insieme ad altre specie va a costituire la torbiera di transizionedi cui si è già detto. I cumuli, le cui dimensioni possono variare da pochi centi-metri fino ad alcuni metri, sono costituiti prevalentemente da altre specie di sfa-gni quali Sphagnum medium (= S. magellanicum), di colore tipicamente rosso,e S. rubellum. A queste specie si aggiungono poche piante superiori tra cuipossono essere ricordati l’erioforo guainato (Eriophorum vaginatum), il mirtillominore (Vaccinium microcarpum), il mirtillo falso (V. uliginosum), il mirtillo dipalude (V. oxycoccos), l’andromeda (Andromeda polifolia), la drosera a foglietonde (Drosera rotundifolia). Quando, per il progressivo accrescimento deglisfagni, i cumuli raggiungono dimensioni e, in particolare, un’elevazione critica,che rende difficoltoso il mantenimento del bilancio idrico, gli sfagni stessi ridu-cono la propria vitalità e la torba si decompone permettendo la colonizzazioneda parte di muschi, licheni e brugo (Calluna vulgaris).Quest’ultima specie, grazie alle micorrize (ife fungine che vivono in simbiosi con lapianta e ne amplificano le capacità assorbenti) presenti nelle radici, può riuscire avivere su questi substrati estremamente acidi e poveri di nutrienti, tanto da for-mare un arbusteto di ridotta statura, ovvero una vera e propria brughiera.

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Mirtillo palustre (Vaccinium oxycoccos), immerso nel tappeto di sfagni

Gli sfagni

matozoidi flagellati prodotti dagli ante-ridi, fecondano le cellule uovo prodot-te in numero di una sola per ciascunarchegonio. Dallo zigote prende origi-ne l’apparato sporifero portato in altoda un asse allungato detto pseudopo-dio. Questo è sormontato all’apice dauna capsula sferica che vi aderiscemediante un piede dilatato. All’internodella capsula si formano le spore, chea maturità vengono espulse attiva-mente per apertura dell’opercolodovuta alla elevata pressione del liqui-do interno.Le spore germinano in presenza dialcuni funghi con cui si sviluppa unasimbiosi micorrizica. Ciò che ne derivaè un breve stadio giovanile filamentoso(protonema) che quindi si accresce adare un piccolo tallo lobato munito dinumerosi rizoidi. Da questo, infine,deriva il nuovo individuo, che assumela forma e l’organizzazione tipica giàdescritte.Gli sfagni possono divenire una com-ponente importante negli ambienti incui le acque presenti siano tendenzial-

mente acide (pH<6,5). In tali condizio-ni, a seconda delle specie, si compor-tano da organismi idrofili (cioè fissati alfondo, sommersi e formanti tappetigalleggianti) o da entità igrofile (mante-nute bagnate o umide).Gli sfagni, oltre a prediligere acque conpH acido, tendono anche a rifuggire daquelle in cui sali minerali e nutrientisono disciolti in quantità elevata.Entrambe le condizioni, di acidità e dipovertà in nutrienti, vengono in qualchemisura mantenute dagli sfagni stessi inquanto da un lato essi secernono acidiorganici, dall’altro sono capaci diadsorbire i cationi circolanti sulle pro-prie membrane. Tali meccanismi hannoperò un’efficacia limitata dal fatto che lesecrezioni acide vengono prodotte solodalle piante vive e sottoposte a illumi-nazione, mentre la capacità di adsorbi-mento è in assoluto alquanto modesta.In presenza quindi di acque con un for-te carico minerale gli sfagni sono desti-nati a morire e lasciano spazio allacolonizzazione degli ambienti palustrida parte di altre piante.

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glie o aghifoglie quali la betulla pube-scente (Betula pubescens), il pino sil-vestre (Pinus sylvestris) e il pino mugo(Pinus mugo).L’associazione più diffusa è Pino mugi-Sphagnetum, caratterizzata dalle spe-cie di briofite tipiche del tappeto di sfa-gni della torbiera alta, quali Sphagnummedium, S. rubellum, S. fuscum, e dacormofite quali pino mugo, betullapubescente, erioforo guainato, mirtillominore, ecc.Vaccinio uliginosi-Betuletum pube-scentis è un’associazione alquantorara, segnalata in pochissime stazionidel Trentino-Alto Adige. In effetti, soloin poche torbiere sono sviluppati betu-leti a sfagno, che al margine meridio-nale dell’areale assumono, con la loropresenza in Italia, un grande interessefitogeografico e biogeografico. Questecenosi forestali sono effettivamentepoco conosciute e le stesse specie dacui prendono il nome presentano qual-che problema di carattere sistematicoe biogeografico. Infatti il mirtillo falso èuna specie tipica delle torbiere alteboreali e la sua presenza in Italia non èsicura, in quanto questa specie spessoè stata confusa con il mirtillo gaulte-rioide (Vaccinium gaultherioides); ana-logamente, la presenza in Italia dellabetulla pubescente (Betula pubescens)è da ritenersi dubbia in quanto nelnostro paese la specie sembra esseresostituita dalla betulla dei Carpazi(Betula carpatica ssp. carpatica).L’associazione forestale a peccio (oabete rosso, Picea excelsa) e sfagni(Sphagno girgensohnii-Piceetum) sisviluppa invece esternamente nella

La vegetazione delle sfagnete, dellesfagnete arbustate e dei boschi tor-bosi (Sphagnion medii, Vaccinio-Piceion). Sphagnetum magellanici èl’associazione più tipica di queste tor-biere ed è costituita prevalentementeda uno strato spesso e continuo di sfa-gni che formano un tappeto ondulatoemergente rispetto al piano della tor-biera. Specie di briofite comuni e tipi-che sono Sphagnum medium, S.rubellum e il muschio Aulacomniumpalustre, a cui si accompagnano altreentità quali Sphagnum capillifolium eS. tenellum. Tra le piante superioricaratteristicamente presenti vannoricordate il mirtillo minore, la carice apochi fiori (Carex pauciflora), l’erioforoguainato e diverse drosere (Droserarotundifolia, D. longifolia). Nelle zonepiù elevate, ove la torba tende adegradarsi, troviamo arbusti di piccolataglia quali il brugo e il mirtillo rosso(Vaccinium vitis-idaea), accompagnatida varie specie di muschi tra i qualiPolytrichum strictum.Sui versanti, oppure nella fascia piùperiferica, dove lo strato di sfagnidiviene più sottile, si rinviene l’asso-ciazione Eriophoro-Trichophoretumcaespitosi che si identifica per ladominanza di tricoforo cespitoso (Tri-chophorum caespitosum ssp. caespi-tosum), di erioforo guainato, di tricofo-ro alpino (Trichophorum alpinum) e disfagni quali Sphagnum flexuosum e S.compactum.Sul tappeto di sfagni si possono svi-luppare degli arbusteti caratterizzatidalla presenza, con ruolo localmentedominante, di alcune specie di latifo-

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Andromeda (Andromeda polifolia)

Carex rostrata

Drosera (Drosera sp.)

Mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea)

Tricoforo alpino (Trichophorum alpinum)

Mirtillo gaulterioide (Vaccinium gaultherioides)

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3332 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniLe torbiere come archivio palinologico

Le torbiere costituiscono elementi diinteresse botanico-naturalistico da duepunti di vista diversi. In primo luogo,esse ospitano attualmente numerosespecie di vegetali infrequenti e di grandeinteresse fitogeografico. In secondo luo-go, forniscono una occasione unica perla conoscenza del paesaggio vegetaledelle epoche passate. L’ambiente di torbiera, infatti, offre con-dizioni particolarmente favorevoli per laconservazione delle spoglie vegetali. Inbase a queste ultime è possibile ricono-scere i caratteri fondamentali della vege-tazione che è stata presente nell’areacircostante la torbiera, durante tutto l’in-tervallo di tempo in cui questa è esistita.Tale condizione di naturale archivio dellevicende vegetazionali è resa possibiledalla natura dei resti vegetali che riman-gono inclusi negli strati torbosi e dallecondizioni peculiari del sedimento pro-dotto dalla torbiera, che creano unambiente con proprietà fortemente con-servative.I materiali vegetali, cui si fa riferimento,sono costituiti dai granuli pollinici che, perle loro caratteristiche, risultano un buonvettore di preziose informazioni. La paretedei granuli, lo sporoderma, è organizzatain due strati, l’uno interno detto intina, l’al-tro esterno o esina, questo a sua volta dicostituzione assai complessa.Di importanza chiave è, in particolare, lapresenza, in quest’ultima, di sporopolle-nine, composti chimicamente molto sta-bili e soggetti a degradazione solo inambienti ossidanti. L’esina presenta inol-tre un aspetto molto variabile per la pre-senza di granuli, strie, spinule, rilievi reti-colati ecc. e perché vi possono essereprefigurate le aree di apertura del granu-lo stesso, in forma di solchi o di pori condiversa disposizione.Ciò crea una grande varietà di tipi pollini-ci morfologicamente distinguibili all’esa-me microscopico, che corrispondonocon sicurezza a famiglie, a generi o

anche a singole specie di angiosperme egimnosperme. In sintesi, i granuli pollini-ci rappresentano reperti ben identificabi-li di specie vegetali che in ambienti adat-ti sono passibili di una conservazionemolto prolungata. L’ambiente che garan-tisce le migliori condizioni a questo fine èappunto quello dei depositi torbosiaccumulati nelle torbiere.Qui si realizzano innanzitutto condizionidi anossia, dovute alla grande quantitàdi acqua contenuta nella torba (sino al95%) e alla presenza di sostanze facil-mente ossidabili, quali gli acidi umici e iloro derivati. Tali condizioni vengonoinoltre accentuate dal consumo di ossi-geno da parte dei microganismi decom-

positori e dalla velocità di diffusione mol-to ridotta dello stesso gas attraverso isedimenti torbosi inzuppati. In tali condi-zioni, tutti i materiali resistenti agli acidideboli, ad esempio le parti cutinizzatedelle piante (epidermidi fogliari, peli), chenon si siano decomposte superficialmen-te vengono conservate molto a lungo,una volta incluse nel sedimento torboso.Lo stesso processo interviene con parti-colare efficacia nella conservazione del-l’esina dei granuli pollinici e questa è laprima condizione che garantisce la loroaffidabilità quali testimoni della vegeta-zione del passato.Il polline, quanto meno nel caso di moltepiante anemogame (che cioè affidano la

propria impollinazione alle correntiaeree), è inoltre prodotto in quantità ele-vate e si diffonde ampiamente all’intor-no. Questo non si verifica invece per imacrofossili vegetali che, a differenzadai pollini, possono perciò fornire soloun’immagine, sicuramente molto circo-stanziata ma strettamente locale, dellacopertura vegetale del passato e in riferi-mento ai quali le specie proprie diambienti asciutti appaiono drasticamen-te sottorappresentate o risultano del tut-to assenti. La facile diffusione dei pollinipermette una loro dispersione efficacesul territorio e in particolare sulle torbiereche fungono da “trappole” efficaci, con-servando in seguito i granuli polliniciinclusi all’interno delle proprie torbe.Un altro fatto importante è che, nelle tor-biere, le condizioni del sedimento sonotali da impedire uno spostamento verti-cale dei pollini depositati per azione del-le acque percolanti attraverso l’accumu-lo torboso. Questo permette di collegarein modo univoco i pollini al loro livello dideposizione, per cui la successione deidiversi livelli deposizionali sovrappostiviene in effetti a rappresentare una regi-strazione della storia vegetazionale delterritorio circostante.Se il polline di una specie a impollinazio-ne anemofila non è presente nei sedi-menti di torbiera di un certo periodo, èmolto probabile che essa non sia statapresente nel paesaggio circostante. Inol-tre, i pollini fossili permettono di costrui-re un’immagine statistica della paleove-getazione a scala territoriale in quantotutti i pollini a trasporto aereo, prodotti inquantità rilevante, si considerano distri-buiti in modo tendenzialmente uniformee possono quindi giungere sulla torbieraove vengono intrappolati nei sedimenti.Naturalmente l’interpretazione dei risul-tati quantitativi è un’operazione criticacomplessa e occorre considerare nume-rosi fattori di complicazione che inevita-bilmente possono ricorrere in misura

2m

1m

3m

25% 75% 100%50%

pino silvestrequercia, tiglio, olmoabete rossofaggio

~ 6000 anni fa

PR

OFO

ND

ITÀ

POLLINE

~ 10000 anni fa

Pollini di pino, tiglio e faggio (x 2000)Esempio di diagramma pollinico

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35zona del lagg della torbiera, costituen-do, ad es. nella torbiera di Pezzabosco(TN), una fascia ristrettissima che cir-conda la torbiera stessa. Questa vege-tazione è caratterizzata dalla presenzadi sfagni quali Sphagnum girgensohniie S. palustre e di muschi tra cui Pla-giothecium undulatum e Ptilium crista-castrensis. Naturalmente si tratta diaspetti impoveriti di una associazionea impronta boreale che sulle Alpi sipresenta in condizioni relittuali diestrema importanza dal punto di vistadella salvaguardia della biodiversità.Assieme all’associazione appena citata compare anche un’altra fitocenosiforestale, il Bazzanio-Piceetum, che è presente in pochissime stazioni delTrentino-Alto Adige.Un’ultima associazione forestale di torbiera è la pineta a pino silvestre e moli-nia (Molinio-Pinetum), caratterizzata dal fatto che si sviluppa su suoli torbosicon vegetazione tipica delle torbiere alte. Specie guida sono, tra le erbe, lacespitosa molinia (Molinia caerulea) e, tra le entità arboree, il pino silvestre.

34

Schema illustrante la genesi dell’aggallato

Le torbiere come archivio palinologico

maggiore o minore. Non tutte le pianteanemofile producono quantità identi-che di granuli pollinici nel corso dellafioritura e non tutti i granuli pollinici siconservano in modo uguale. Vi posso-no poi essere effetti locali quali, adesempio, la presenza di individui di unaspecie anemofila immediatamente aridosso della torbiera, che quindi puòaver addirittura lasciato cadere le pro-prie infiorescenze direttamente sullatorba condizionandone drasticamenteil carico pollinico.L’efficacia del trasporto aereo del polli-ne, che ne assicura la diffusione territo-riale, può però anche provocare l’arrivodi contingenti pollinici da territori diver-si, magari lontani, da quello immedia-tamente circostante la torbiera. Questofenomeno avviene ad esempio in tor-biere montane soggette al transito dicorrenti aeree ascendenti che veicola-no i granuli pollinici provenienti dallefasce di vegetazione di quota inferiore.È ovvio che la ricostruzione quantitati-va della vegetazione non può fare con-to sulle specie autogame (soggette a

meccanismi di autoimpollinazione) oentomogame (impollinate dagli insetti),per le quali il presupposto di unaabbondante produzione pollinica e diuna sua uniforme distribuzione nellospazio non è valido. Esse comunque,con la loro presenza, possono fungereda specie indicatrici di particolari con-dizioni ecologiche e vegetazionali,mentre nessuna condizione può esserededotta dalla loro assenza. Le entità che più frequentemente ricor-rono nell’esame dei campioni di pollineestratti dalle torbe mediante tecnichedi laboratorio abbastanza complesse,che sono finalizzate a isolare i granulipollinici dalla matrice torbosa che liinclude, sono soprattutto quelle legno-se responsabili della fisionomia delleformazioni forestali e arbustive. Si trat-ta ad esempio dei pini (Pinus), del pec-cio (Picea), dei pioppi (Populus), dellebetulle (Betula), degli ontani (Alnus), delfaggio (Fagus), dei carpini (Carpinus),degli olmi (Ulmus), dei tigli (Tilia), dellequerce (Quercus), dei frassini (Fraxi-nus), dei salici (Salix), del nocciolo(Corylus).Più complessa è l’interpretazione deipollini delle specie erbacee, tra i qualisono ad esempio importanti quelli dellegraminacee, in quanto possono assu-mere il significato di segnali delle tra-sformazioni del paesaggio vegetaledovute all’azione dell’uomo, capace diaprire estensioni di pascolo o di prati-care coltivazioni di cereali erbacei interritori precedentemente ricoperti davegetazione forestale.L’analisi pollinica dei depositi torbosi èstata particolarmente importante inriferimento all’interpretazione dellevicende climatiche e vegetazionali delQuaternario, in rapporto sia alle varia-zioni postglaciali del paesaggio vege-tale che alla descrizione delle vegeta-zioni pleistoceniche dei periodi glacialie interglaciali.

Un’area di torbiera inondata

Le torbiere possono conservare i pollini dellavegetazione arborea che le circonda

torba

substrato

depositi di fondo

sfagni viviaggallato

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3736 La vegetazione erbacea delle depres-sioni degli aggallati con o senza sfa-gni (Rynchosporion albae). Tipicheassociazioni di questi ambienti sonoRhynchosporetum albae, Caricetumlimosae e in alcune situazioni meno aci-de anche Scorpidio-Caricetum limosae.Oltre alle specie che danno il nome aqueste comunità vegetali, la rincosporachiara (Rhyncospora alba) e la caricedella fanghiglia (Carex limosa), possonolocalmente abbondare anche il rarogiuncastrello delle torbiere e una rarapteridofita, il licopodio inondato (Lepi-dotis inundata). Queste specie, presentinelle depressioni e radicanti nello sfat-ticcio torboso, possono anche coloniz-zare le porzioni più depresse del tappe-to di sfagni, che risultano sommerse.Nelle torbiere di transizione, una tipicaassociazione che costituisce aggallati èil Caricetum lasiocarpae. Si tratta di untappeto compatto di sfagni quali Spha-gnum recurvum, S. palustre, S. teres, incui si distribuiscono le piante erbacee,con variabile grado di dominanza.La specie guida dell’associazione, cioèla carice a frutti pelosi (Carex lasiocar-pa), di dimensioni più elevate, emergecon le sue foglie sottili e leggermentearricciate alla sommità rispetto alleentità erbacee minori quali la rincospo-ra chiara e la carice della fanghiglia.Ospiti più vistosi sono la drosera inter-media (Drosera intermedia), la violapalustre (Viola palustris) e la potentillapalustre (Potentilla palustris). Quandola torbiera è più ricca di calcio ed altrebasi abbondano i muschi (Drepanocla-dus, Scorpidium e altri) e piante a fiorecome Carex dioica e Cladium mariscus.

Le ericacee Francesco Bracco · Roberto Venanzoni

Le ericacee sono una grande famiglia dipiante, diffusa in tutto il mondo, di cuiun buon numero di specie ricorre inmaniera caratteristica nella vegetazionedelle torbiere montane. In genere si trat-ta di piante dal portamento arboreo oarbustivo con una netta predilezione peri substrati acidi. Le difficoltà di captazio-ne dei nutrienti vengono in genereaffrontate e risolte grazie all’esistenza dimicorrize, cioè di complesse simbiosicon funghi che prendono contatto conle piante a livello dell’apparato radicale.Le ericacee comprendono quasi 3000specie, raggruppate in circa 170 generi.Quelle presenti nella vegetazione delletorbiere acide sono rappresentate tutteda arbusti nani, con ramificazioni stri-scianti sul suolo e piccole foglie spessocoriacee.Il basso pH dell’ambiente di torbierarichiama in primo luogo alcune specieche si ritrovano comunemente anche inambienti diversi accomunati da substra-ti marcatamente acidi; si tratta ad esem-pio del comune brugo (Calluna vulgaris)o anche di specie presenti nelle forestedi aghifoglie o nelle brughiere di altitudi-ne, come è il caso dei rododendri (gen.Rhododendron) e dei mirtilli (gen. Vacci-nium). Tra queste specie diffuse ecomuni vi sono il mirtillo blu (Vacciniummyrtillus), il mirtillo rosso (V. vitis-idaea) eil mirtillo gaulterioide (V. gaultherioides)alla cui problematica sistematico-fito-geografica si è fatto cenno nel testo.I mirtilli, comunque, sono presenti nelletorbiere montane acide con altre trespecie ben più rare e localizzate. Due diqueste, il mirtillo minore (Vacciniummicrocarpum) e il mirtillo palustre (Vac-cinium oxycoccos), sono arbusti nanidai sottili fusti striscianti e con fiorimuniti di corolla gamopetala a divisionimaggiori del tubo e riflesse all’indietro.In Italia entrambe le specie sono distri-buite nell’area alpina, nelle torbiere aci-de della fascia montana e di quella

subalpina. La terza specie è il mirtillofalso (Vaccinium uliginosum) che untempo si riteneva ampiamente distribui-to in praterie, brughiere, arbusteti eanche nelle torbiere. Oggi si ritiene chequeste piante appartengano in generaleal mirtillo gaulterioide, specie diploide didimensioni più ridotte. Il mirtillo falsocostituisce una stirpe diversa, tetraploi-de e di taglia visibilmente maggiore, chesi è dimostrata assai rara nel nostropaese e distribuita in modo molto piùlocalizzato ed esclusivo proprio negliambienti di torbiera alta e acida.Un’altra ericacea di notevole rarità e checompare necessariamente nelle sfagne-te delle torbiere acide, è l’andromeda(Andromeda polifolia). Come le specieprecedenti, anch’essa è un piccoloarbusto, ma in questo caso i rami sonoascendenti e le foglie alterne, a differen-za di quelle dei mirtilli, hanno lembolineare-lanceolato.Un’ultima ericacea, talvolta compresanella famiglia separata delle Empetra-ceae, è infine la moretta palustre (Empe-trum nigrum). Anche questo è un picco-lo arbusto a rami ascendenti o eretti,con piccole foglie ellittiche e fiori uni-sessuali a corolla dialipetala.

Carice a frutto peloso (Carex lasiocarpa)

Rincospora chiara (Rhyncospora alba)

Brugo (Calluna vulgaris)

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■ Torbiere basse

Le torbiere basse (o torbiere piane)sono legate a precise condizioni clima-tiche e il loro sviluppo è determinatodalla presenza della falda freatica. Sicostituiscono per interrimento dei cor-pi d’acqua, ad esempio laghi, o deicorsi d’acqua a lento deflusso o su ver-santi, in ambienti sorgivi, ecc. Il conte-nuto in sostanze nutritive delle acque discorrimento e la profondità della faldafreatica determinano, di volta in volta,la composizione della vegetazioneresponsabile dell’interrimento e quindianche il tipo di torba che si depositeràalla base della torbiera bassa. Tralasciando le fasi pioniere, durante lequali si accumula sostanza organica(Gyttja) sul fondo del bacino, la torbavera e propria comincia a formarsiquando diventa importante l’accumulodi radici e rizomi di specie erbacee,quali soprattutto la cannuccia di palu-de, le tife (Typha latifolia, T. angustifo-lia) e le grandi carici come la carice acespi (Carex elata), la carice tagliente(C. acutiformis), la carice spondicola(C. riparia) ecc. Tali specie, abbondanti e fisionomicamente dominanti, vanno acostituire le vegetazioni, povere di specie, delle cinture ripariali dei canneti(Phragmitetum australis, Typhetum angustifoliae ecc.) e dei magnocariceti(Caricetum elatae, Caricetum gracilis, Caricetum acutiformis, ecc.).In questo contesto di ambiente acquatico, la produzione di sostanza organi-ca è così elevata, rispetto alla mineralizzazione provocata dai fenomeni didecomposizione degli organismi o parte di essi, da formare depositi organo-geni sia sul fondo che, in modo particolare, in vicinanza delle sponde, ovequesto processo è particolarmente veloce. Ciò permette lo stabilirsi del can-neto e, alle spalle di questo, delle praterie a grandi carici.Queste formazioni vegetali, attraverso la produzione di sostanza organica econ l’accumulo dei loro resti organici innalzano il suolo e nello stesso tempoformano una fascia di interrimento più consolidata che si spinge in avanti, in

38 39

4.9%

3%

2%

10%

2,5 3,5 4,8 6,4 8,0

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ACIDO NEUTRO BASICOpH

presenza di nutrienti (contenuto in azoto)

torbiera bassa acida

torbiera oligotrofica acida

torbiera bassa di transizione

torbiera eutrofica

torbiera bassa basica

a

b

c

Schema semplificato della distribuzione dellavegetazione a seconda della disponibilità dinutrienti e dell’acidità dell’ambiente.

Dall’alto in basso, in successione, condizioniottimali per:

a) vegetazione delle torbiere alte;b) vegetazione delle torbiere di transizione e

delle torbiere basse;c) vegetazione palustre di grandi carici,

canneti, boschi palustri e ripariali.

Cannuccia di palude (Phragmites australis)

Torbiera bassa con eriofori nell’Appennino

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4140 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniLe piante erbacee delle torbiere montane

La flora delle torbiere montane compren-de una quota particolarmente elevata diciperacee, famiglia le cui specie spessoassumono un ruolo dominante nellavegetazione, così da caratterizzarla fisio-nomicamente e da fungere da entità gui-da per la definizione delle comunitàvegetali presenti. Si tratta di una famigliadi monocotiledoni erbacee di aspettograminoide (affine cioè alle comuni gra-minacee) più spesso perenni, che com-prende circa 90 generi e 4000 specie. Lasua distribuzione è cosmopolita, tendecioè a coprire tutte le terre emerse,anche se questa famiglia risulta partico-larmente rappresentata nelle zone tem-perato-umide e nei territori subartici. Laflora italiana ne comprende un paio dicentinaia di specie raccolte in una venti-na di generi. Compaiono in moltiambienti diversi (prati e pascoli, foreste,vegetazioni rupicole), ma il numero mag-giore di specie si inquadra nella vegeta-zione igrofila, palustre o di torbiera.Volendo fornire un’immagine generaledelle ciperacee, a scapito delle eccezio-ni effettivamente esistenti, si può affer-mare che esse più spesso presentanorizomi o stoloni sotterranei da cui pren-dono origine i fusti epigei non ramificati,pieni, privi di nodi e con foglie tuttebasali. Le foglie hanno lembo linearecon una guaina decorrente sul fusto,generalmente chiusa, e risultano piùspesso prive di ligula.Rispetto alle graminacee, di cui superfi-cialmente condividono il portamentogenerale e l’aspetto delle foglie, se nedistinguono anche allo stato vegetativoper vari caratteri tra cui spicca in parti-colare la sezione triangolare del fusto ela disposizione tristica, cioè lungo trefile, delle foglie.I fiori sono generalmente piccoli e nonsono dotati di colorazioni vistose, inquanto l’involucro è semplice e ridotto asquame o setole; gli stami sono 2 o 3 el’ovario è supero, con 2 o 3 stimmi che

mettono in evidenza il numero di carpelliche lo costituiscono. I singoli fiori sonogeneralmente portati, in vario numero,all’interno di spighette. Raramente puòessere presente una singola spighettaall’apice del fusto, ma più spesso le spi-ghette sono a loro volta raccolte in infio-rescenze maggiori a spiga semplice ocomposta, a capolino o ancora con ramilaterali allungati quanto l’asse principaleo di più. Ogni spighetta è costituita da unasse che porta un numero variabile difiori, ognuno posto all’ascella di una glu-ma e possono esistere glume sterili, cioèprive di fiori all’apice o alla base dellaspighetta stessa. L’intera spighetta infineè portata all’ascella di una brattea. Tra le ciperacee presenti in modo signifi-cativo nella flora di torbiera, possiamocitare le carici (gen. Carex), i pennacchi(gen. Eriophorum), i tricofori (gen. Tri-chophorum), le rincospore (gen. Rhyn-chospora), le giunchine (gen. Eleocharis),la lisca minore (Blysmus compressus) e ilcladio di palude (Cladium mariscus).All’interno del genere Carex sono statedescritte 2000 specie, delle quali 120circa sono presenti nel nostro paese. Unbuon contingente di queste, una trentinadi specie, è presente nelle torbiere mon-tane che spesso ne costituiscono l’habi-tat esclusivo. Una parte di queste pos-sono essere considerate molto rare: adesempio la carice appuntita (C. micro-glochin), la carice a pochi fiori (C. pauci-flora), la carice pulce (C. pulicaris), lacarice capitata (C. capitata), la caricetonda (C. diandra), la carice delle torbie-re (C. heleonastes), la carice falso giunco(C. juncella), la carice norvegese (C. nor-vegica), la carice di Buxbaum (Carexbuxbaumii), la carice di Hartman (C. hart-manii), la carice di Host (C. hostiana), lacarice a frutto peloso (C. lasiocarpa). Alcune entità risultano infrequenti e pos-sono essere citate ad esempio la caricedioica (C. dioica), la carice canuta (C.tomentosa), la carice della fanghiglia (C.

limosa) e la carice dello Stretto di Magel-lano (C. irrigua). Altre ancora, quali lacarice di Davall (C. davalliana), la caricecenerina (C. canescens), la carice stella-ta (C. stellulata), la carice fosca (C.fusca), la carice migliacea (C. panicea),la carice gialla (C. flava s.str.), la carice abecco curvo (C. lepidocarpa), la carice diOeder (C. oederi), la carice rigonfia (C.rostrata) e la carice spondicola (C. elata),sono più comunemente presenti, almenoin Italia settentrionale.Tutte le specie di questo genere sonocaratterizzate da fiori unisessuali, pre-senti in spighette uniflore raccolte in spi-ghe uni- o bisessuali. L’ovario, in seguitoil frutto, è racchiuso in un involucro parti-colare chiamato otricello, con un’apertu-ra apicale da cui fuoriescono 2 o 3 stim-mi. Tra il lembo fogliare e la guaina esistela ligula e questo rappresenta un’ecce-zione rispetto ai caratteri generali dellafamiglia. Le varie specie possono forma-re tappeti, se dotate di stoloni sotterra-nei allungati, o invece costituire cespicompatti di aspetto cupoliforme checonferiscono alla copertura vegetale uncaratteristico aspetto ondulato.Un genere meno numeroso è quellodegli eriofori. che costituiscono uno deisegnali visuali più immediati della pre-senza di estensioni di torbiera. Con lamaturazione del frutto, infatti, le sei seto-le, che costituiscono l’involucro del fioree ne circondano l’ovario, si allunganonotevolmente e, come risultato, le spi-ghette prendono l’aspetto di fiocchicotonosi candidi lunghi fino a 4 cm checonferiscono alla vegetazione un aspet-to inconfondibile. Le specie delle torbie-re montane comprendono l’erioforo diScheuchzer (Eriophorum scheuchzeri) eil più raro erioforo guainato (E. vagina-tum), dotato di un’unica spighetta termi-nale. L’erioforo a foglie strette (Eriopho-rum angustifolium) e l’erioforo a foglielarghe (E. latifolium) presentano invecepiù spighette all’apice del fusto.

I tricofori (gen. Trichophorum) hanno incomune con gli eriofori le setole involu-crali che appaiono lunghe sino a un paiodi centimetri nel tricoforo alpino (Tri-chophorum alpinum) mentre sono brevie poco vistose nel tricoforo cespitoso(Trichophorum caespitosum). Entrambele specie sono di piccola taglia (fino auna ventina di centimetri) ma divergonoper il portamento in quanto solo laseconda, che è anche la più diffusa, for-ma tipici cespi bombati.Un genere molto più importante, containfatti 200 specie circa su scala mondia-le, è quello delle rincospore. In Italia sene contano solamente due, la rincosporachiara (Rhyncospora alba) e la rincosporascura (R. fusca), che differiscono per ilcolore delle spighette: nella prima speciesono biancastre, mentre nella secondabruno-rossastre. Si tratta di pianticelleerbacee cespitose di limitato sviluppocon spighette raccolte in glomeruli termi-nali e talvolta ascellari. Entrambe le spe-cie, in particolare la seconda, sono con-siderate molto rare a livello nazionale.

Erioforo a foglie larghe (Eriophorum latifolium)

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dal taglio dei boschi palustri, e di questo va tenuto conto quando si opera nelcampo della gestione e della conservazione. Come accennato, sul fronte del-la fascia di interrimento generata dalla successione delle fasce di vegetazio-ne possiamo trovare gli aggallati o praterie flottanti che in condizioni eutrofi-che (cioè di elevata disponibilità di nutrienti azotati e fosfatici) sono costituitida cannuccia di palude e cladio di palude che si sviluppano sull’intreccio for-mato dai propri rizomi; in condizioni più oligotrofiche, ovvero di scarsa dispo-nibilità di nutrienti nelle acque, da tappeti di sfagni. In quest’ultimo caso siparla di torbiere di transizione.Questi tappeti sono formati da specie di sfagni quali Sphagnum cuspidatume S. recurvum che con l’accumulo delle loro parti vegetative determinano laformazione della vera e propria torba di sfagni. In questo tappeto flottante disfagni si rinvengono anche piante superiori quali il giuncastrello delle torbiere,la carice della fanghiglia, la rincospora chiara, gli eriofori a foglie strette(Eriophorum angustifolium), oltre a specie più ubiquitarie come la caricerigonfia (Carex rostrata), il trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata), la potentillapalustre, ecc. In questo contesto, la permanenza della vegetazione di torbie-ra bassa e la tendenza alla costituzione di consorzi vegetali tipici delle torbie-re alte può essere all’origine di un interessante mosaico, con elementi divegetazione di torbiera bassa, alta e di transizione che determinano un eleva-to valore di biodiversità locale. Molto diffuse sono poi le torbiere basse di ver-sante e di ambiente fontinale.

direzione dell’acqua libera. Contemporaneamente, la vegetazione idrofitica edel canneto colonizza nuove superfici progressivamente sottratte allo spec-chio d’acqua. In particolari condizioni edafiche e climatiche, questa fascia può essere for-mata da un tappeto di sfagni (torbiere di transizione).A seguito dell’innalzamento del suolo dovuto alla produzione di torba da par-te della cannuccia di palude o delle carici, si vengono a determinare le condi-zioni per la colonizzazione da parte di specie arboree, con lo sviluppo di unbosco palustre. Questo completerà la successione dell’interrimento dellospecchio d’acqua e il processo di formazione della torba attraverso il deposi-to di rami e foglie. In tali condizioni la disponibilità di sostanze acide risultageneralmente bassa e questo favorisce lo svolgimento di reazioni chimiche diriduzione e di processi di fermentazione che portano alla formazione del gasdi palude (metano) e alla presenza di solfuri disciolti in acqua. Questi ultimireagiscono con i composti di ferro e, insieme alle sostanze umiche cheabbondano nel suolo della torbiera bassa, ne determinano il colore scuro.I suoli delle torbiere basse neutro-basifile sono generalmente ricchi in calcaree sostanze nutritive e hanno un pH da neutro-basico a debolmente acido;pertanto, una volta drenati e coltivati, si presentano notevolmente produttiviqualora vengano utilizzati come prati umidi falciabili. I prati umidi e la vegetazione palustre che oggi rinveniamo in questi paesaggisono da ritenersi formazioni seminaturali secondarie, derivate in gran parte

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Area umida utilizzata come prato umido falciabile (Alto Adige) L’iridescenza connessa alla presenza di idrocarburi (gas di palude)

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4544 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniLe piante carnivore

Anche se il fenomeno biologico dellepiante carnivore è alquanto spettacolare,di fatto una definizione rigorosa di piantacarnivora non è sempre agevole. Sipotrebbe dire che una pianta carnivoradeve essere capace di assorbire nutrientiprovenienti da animali morti posti a con-tatto con la sua superficie esterna e otte-nerne un vantaggio in termini di aumentodella crescita, della probabilità di soprav-vivenza e della efficienza riproduttiva (adesempio, produzione di polline e/o disemi). Inoltre deve presentare un qualchetipo di adattamento finalizzato primaria-mente all’attrazione, alla cattura e allasuccessiva digestione delle prede, cherichieda un impiego sostanziale dellerisorse di cui dispone.In realtà, come spesso avviene, la lineadi confine tra le piante carnivore e le altrenon è così netta e la carnivoria apparecome una sindrome complessa, com-parsa più volte nel corso dell’evoluzionein gruppi di organismi vegetali molto

diversi, piuttosto che come un singoloevento puntiforme.Generi esotici quali Brocchinia e Cato-psis (delle Bromeliaceae, la famiglia del-l’ananasso), Paepalanthus (fam. Eriocau-laceae), Craniolaria, Ibicella, Martynia eProboscidea (delle Martyniaceae), Rori-dula (delle Droseraceae) hanno compor-tamenti di confine in quanto catturanopiccoli animali che rimangono intrappola-ti sulle secrezioni vischiose delle foglie,ma non vi è la prova che esse secernanoenzimi digestivi. Altre piante con foglievischiose (gen. Drosera) catturano picco-li animali che non sono in grado di digeri-re e sono insetti di maggiori dimensioni(emitteri della famiglia dei Reduviidi), chene percorrono le superfici fogliari, anutrirsi di tali animaletti, rilasciando poisulle foglie le loro deiezioni che vengonoassorbite dalla pianta. Allo stesso modoanche la flora batterica presente nellespoglie degli animaletti catturati puòcontribuire, mediante i propri enzimi, alla

loro digestione, cooperando con la pro-duzione enzimatica della pianta o vica-riandola completamente.La comunissima borsacchina (Capsellabursa-pastoris), che ritroviamo molto fre-quentemente lungo i margini stradali enelle zone ruderali del nostro paese, diffi-cilmente può esser considerata una pian-ta carnivora. È però vero che i suoi semi,durante la germinazione, si circondano diuno strato mucoso che è capace di cat-turare e digerire i nematodi, i protozoi e ibatteri del suolo.Attualmente si ritiene che le piante carni-vore in senso stretto raccolgano più di600 specie incluse nelle seguenti fami-glie di dicotiledoni: Sarraceniaceae (con igeneri Sarracenia, Heliamphora, Darling-tonia), Nepenthaceae (Nepenthes), Dro-seraceae (Drosera, Dionaea, Aldrovanda,Byblis, Drosophyllum), Dioncophyllaceae(Triphyophyllum), Passifloraceae (Passi-flora), Cephalotaceae (Cephalotus) eLentibulariaceae (Genlisea, Pinguicula,Utricularia).Dei generi elencati il più numeroso è l’ul-timo citato, l’erba vescica (Utricularia),che comprende circa un terzo di tutte lespecie carnivore esistenti; per ricchezzaseguono rispettivamente Drosera (conpiù di 150 specie), Nepenthes e Pingui-cula (ognuno con molte decine di speciediverse).In generale questa categoria di piantecompare in ambienti illuminati, umidi econ limitatissima disponibilità di nutrienti.In genere il substrato su cui crescono èacido; meno frequente (gen. Pinguiculasoprattutto) è la colonizzazione di suolicalcarei, comunque poveri di elementinutritivi. In tali condizioni le piante carni-vore traggono dai piccoli animali cattura-ti soprattutto l’azoto, ma vi è qualche evi-denza sperimentale che si giovino anchedi altri nutrienti, come zolfo e fosforo.Per quanto dotate di abitudini predatorie,che tendiamo a considerare proprie aglianimali, le piante carnivore rimangono

comunque fondamentalmente autotrofe,cioè capaci di costruire le complessemolecole organiche di cui sono fatte, apartire da sostanze molto semplici. Inol-tre esse sopravvivono con successoanche in assenza di catture. Le sostanzederivanti dalla carnivoria danno però lorola possibilità di aumentare effettivamentel’accrescimento vegetativo, il numero difiori e di semi, ampliandone quindi lepossibilità riproduttive.I dispositivi per la cattura di cui le piantecarnivore si servono sono diversi:- trappole a caduta: gli ascidi diNepenthes, Sarracenia, ecc.- trappole adesive: le foglie di Drosera,Pinguicula, ecc.- trappole a scatto: le foglie di Dionaea,Aldrovanda ecc.- trappole a risucchio: le vescicole diUtricularia e Genlisea.Il funzionamento di alcuni di questidispositivi è associato all’esistenza dimovimenti attivi (foglie di Drosera, vesci-cole di Utricularia, foglie di Dionaea etc.)e alla presenza di motivi di attrazione,quali secrezioni nettarifere, macchiecolorate e gocce brillanti. In corrispon-denza di tali dispositivi esistono inoltre itessuti che assicurano la secrezione dienzimi, quali proteasi, esterasi, fosfatasiacida, che permettono la digestione del-le prede.La strategia biologica della carnivorianon ha comunque rappresentato unasoluzione ottimale per le piante interes-sate: se infatti è stato reso possibile losfruttamento di una nuova fonte dinutrienti, il complesso insieme di adatta-menti richiesti (secrezione di nettari,mucillagini ed enzimi, gestione di movi-menti attivi) impone costi metabolici chese di per sé risultano abbastanza ridotti,comportando soprattutto una rilevantediminuzione della capacità fotosinteticalegata al reimpiego delle strutture fogliari.Ciò spiega il confinamento di questepiante all’interno di ambienti estremiPinguicola volgare (Pinguicula vulgaris) Pinguicola alpina (Pinguicula alpina)

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4746 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniLe piante carnivore

caratterizzati da una scarsa competizio-ne e da importanti necessità di compen-sazione nutrizionale.Nelle torbiere montane del nostro paesesono rappresentati tre generi di piantecarnivore che sono indicativi delle entitàevolutesi nell’ambito dei due maggiorigruppi di angiosperme dicotiledoni, leroside e le asteride: le prime comprendo-no le drosere (gen. Drosera), le secondel’erba unta (gen. Pinguicula) e l’erbavescica (gen. Utricularia).Tre specie del genere Drosera sonosegnalate per il territorio italiano e le dueche risultano particolarmente legate allavegetazione delle torbiere montane a sfa-gni sono la drosera a foglie tonde (Drose-ra rotundifolia) e la drosera a foglie allun-gate (D. anglica). La drosera a foglieallungate viene interpretata quale ibridofissato e ampiamente diffuso tra la dro-sera a foglie tonde e una specie di drose-ra assente in Italia (D. linearis). Le droseredelle torbiere montane sono entrambepiante di piccole dimensioni (10-20 cm)con una rosetta di foglie basali e un sotti-le fusto fiorale eretto. Questo è più spes-so nudo e porta, in piccolo numero, i fioricon 5 petali bianchi. La drosera a foglietonde ha foglie a lamina reniforme-ton-deggiante dotate di un lungo picciolosottile che le mantiene aderenti al sub-strato, la drosera a foglie allungate pre-senta invece lamine fogliari sottili, lunghesino a una diecina di volte la larghezza etenute in posizione eretta. La trappolache esse presentano è costituita dallefoglie munite di emergenze a tentacolo,caratteristicamente arrossate, al cui api-ce è presente una goccia lucente disecreto adesivo. I tentacoli sono capacidi movimento che viene innescato dauna stimolazione meccanica (due stimoliin un minuto), che induce la loro piegatu-ra per una differente distensione cellularesui due lati dei tentacoli stessi. Movimen-ti più lenti, che possono comportareanche la ripiegatura dell’intero lembo

fogliare intorno alla preda, vengono inve-ce innescati da stimoli chimici. La drose-ra intermedia (Drosera intermedia), infine,si presenta anch’essa in ambienti di tor-biera ove si distingue per le foglie a lami-na ellittica gradualmente attenuata nellungo picciolo. L’aspetto è quindi effetti-vamente “intermedio” tra le due specieprecedenti.L’erba unta comprende nel nostro paeseun numero maggiore di specie rispettoalla drosera e il suo studio sistematico hacondotto anche in tempi recentissimi alladescrizione di specie nuove per la scien-za. Parecchie specie di erba unta sonocaratteristiche delle rocce calcaree umi-de ma almeno un paio di esse comparesu substrati acidi e si ritrova anche nelletorbiere: si tratta dell’erba unta comune(Pinguicula vulgaris) e dell’erba untamaculata (P. leptoceras). La prima è unaspecie a distribuzione europea mentre laseconda è presente sulla catena alpina ese ne allontana raggiungendo il Giura e

l’Appennino settentrionale. Entrambepresentano una compatta rosetta basaledi foglie ovato-allungate, di colore verdechiaro e con i margini più o meno solleva-ti. La superficie superiore è vischiosa elucente e costituisce la trappola per lacattura delle piccole prede. I fusti fioralisono nudi, ghiandolosi e alti sino a 10-15cm. All’apice portano il fiore con unavistosa corolla irregolare bilabiata a 5divisioni e un lungo sperone. Nell’erbaunta comune la corolla è viola, nell’erbaunta maculata è in genere chiazzata dibianco e violetto.L’erba vescica è l’ultima pianta carnivorae non compare propriamente nella vege-tazione emersa di torbiera, quanto negliambienti acquatici che vi sono compresiad immediato contatto. Si tratta di unapianta dal fusto esile e ramificato che por-ta foglie divise in segmenti lineari. Essavive immersa completamente nell’acquada cui spunta solo il fusto eretto e indivisoche regge l’infiorescenza terminale.Nelle due specie più tipiche degliambienti di torbiera, erba vescica minore(Utricularia minor) e erba vescica inter-media (U. intermedia), si realizza un casodi dimorfismo fogliare: oltre alle foglieverdi fotosintetizzanti, immerse nell’ac-qua, esistono anche foglie incolori,ugualmente suddivise, che prendonocontatto con il sedimento di fondo. Il fio-re in entrambe le specie presenta unapiccola corolla bilabiata, con sperone, dicolore bianco-giallastro e venature piùscure. Le vescicole fogliari costituisconola trappola di cattura per piccolissimianimali acquatici, minuscoli crostacei adesempio, e nell’erba vescica minorecompaiono anche sulle foglie verdi,mentre nell’erba vescica intermedia ten-dono a essere presenti solo sui rami cheportano le foglie incolori di ancoraggio alfondale. Le vescicole, di 1-2 mm di dia-metro, funzionano da trappole a risuc-chio e sono munite di un opercolo dinan-zi al quale sono posti peli sensibili.

Quando le vescicole sono chiuse, lapressione idrostatica interna viene man-tenuta inferiore a quella dell’acqua ester-na attraverso sistemi di trasporto attivoche espellono dalla vescicola gli ioni clo-ro, cui si associano passivamente gli ionisodio e l’acqua. La stimolazione mecca-nica dei peli sensibili provoca, in un arcodi tempo molto breve (10-15 millisecon-di), l’apertura dell’opercolo cui consegueuna rapida corrente d’acqua in entratache trascina all’interno della vescicolal’animaletto che aveva toccato i peli. Inseguito l’opercolo si richiude imprigio-nando la preda destinata alla digestione.Questa è dovuta agli enzimi liberati daipeli secretori presenti sulla superficieinterna della vescicola.Contemporaneamente al processo dige-stivo si realizzano anche i processi di tra-sporto attivo già citati, che fanno nuova-mente diminuire la pressione idrostaticainterna alla vescicola, preparandola quin-di a una nuova aspirazione predatoria.

Drosera a foglie rotonde (Drosera rotudifolia) Erba vescica minore (Utricularia minor)

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■ La vegetazione delle torbiere basse montane

La vegetazione delle torbiere basse è costituita prevalentemente da praterieche rientrano nell’alleanza Caricion davallianae, che sono caratterizzate daspecie dominanti quali la carice di Davall, il giunco nero comune (Schoenusnigricans), il raro giunco nero delle paludi (S. ferrugineus), la giunchina a cin-que fiori (Eleocharis quinqueflora) ed il giunco a fiori ottusi (Juncus subnodulo-sus) che, presenti a quote relativamente alte, si possono spingere anche versoil basso fino alle risorgive planiziarie.Assieme a queste specie, che sono di dimensioni piuttosto piccole, spesso sirinviene anche il cladio di palude che può costituire comunità vegetali all’inter-no delle torbiere o addirittura formare aggallati. Questi si sviluppano sul frontedel canneto, in acqua aperta, contribuendo notevolmente al processo di inter-rimento di laghi e sorgenti.Altre specie rare dal punto di vista floristico sono l’elleborine palustre (Epipac-tis palustris), la carice dioica (Carex dioica), la lisca minore (Blysmus compres-

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Le torbiere, habitat di grande interesse e, spesso, di limitata estensione, necessitano di particolare tutela Una depressione montana occupata da una torbiera

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5150 Francesco Bracco · Roberto VenanzoniAspetti geobotanici della flora

Una nota caratteristica della vegetazio-ne degli ambienti acquatici e palustri èla prevalenza di specie vegetali conampia distribuzione geografica e que-sto è spiegato dalle condizioni unifican-ti che il mezzo acquatico tende a garan-tire anche in condizioni climatiche piut-tosto diverse. Nelle torbiere questomodello è abbastanza valido per lebriofite, mentre la distribuzione geogra-fica delle piante superiori tende invecea connotarsi in modo diverso.Una delle caratteristiche della vegeta-zione delle torbiere è la notevole abbon-danza di specie la cui distribuzione geo-grafica interessa le fasce climatiche piùfredde. Si tratta di entità distribuite nellezone fredde del continente eurasiatico epresenti anche nei territori corrispon-denti dell’America boreale (specie cir-cumboreali).Alcune tra le specie più vistose e benindividuabili delle torbiere presentanoegualmente questo comportamentofitogeografico: si tratta della viola palu-stre (Viola palustris), della potentilla del-le paludi (Potentilla palustris), del trifo-glio fibrino (Menyanthes trifoliata). Diquesta categoria fanno parte i due piùtipici rappresentanti della flora carnivo-ra delle torbiere (argomento approfon-dito nella scheda di pagg. 44-47): ladrosera a foglie tonde (Drosera rotun-difolia) e la meno frequente drosera afoglie allungate (D. anglica). Un buonnumero di carici, quali la carice tonda,la carice di Buxbaum, la carice a fruttopeloso, la carice della fanghiglia, lacarice rigonfia presentano questo tipodi distribuzione fitogeografica.Anche il giunco nudo (Juncus triglumis),il giunco delle torbiere (J. squarrosus) eil licopodio inondato (Lepidotis inunda-ta) contribuiscono a sostanziare l’ampiocontingente delle specie circumboreali.Una seconda categoria fitogeograficasignificativa raccoglie entità la cuidistribuzione gravita decisamente nella

fascia artica e comprende più a sudsolo territori situati a quote elevate incorrispondenza delle catene montuose(specie artico-alpine). Si tratta di untipico esempio di distribuzione disgiun-ta, cioè costituita da territori separati dadistanze non superabili dalle specievegetali attraverso i propri ordinarimeccanismi di diffusione.Il giunco filiforme (Juncus filiformis)mostra questo tipo di areale di distribu-zione, assieme a varie specie del gene-re Carex; possono essere citate adesempio le entità seguenti, tutte assairare: carice appuntita, carice a pochifiori, carice capitata, carice falso giuncoe carice norvegese.Una situazione fitogeografica ancor piùparticolare è quella rappresentata dapiante che, presentando tipi di distribu-zione affini ai precedenti, sono oggidistribuite in località particolarmenteristrette e frammentate sui rilievi dell’Eu-

ropa meridionale. Si tratta dei “relittiglaciali”, cioè di specie di ambientefreddo che si diffusero in determinatearee durante le glaciazioni e in seguitoal miglioramento climatico postglacialerimangono oggi, nell’Europa meridiona-le, accantonate in ambienti con micro-climi particolarmente freschi e in condi-zioni di scarsa competizione, qualiappunto le torbiere montane.Alcune delle entità che risultano piùcaratteristicamente legate alla vegeta-zione palustre appartengono a questacategoria: il giuncastrello delle torbiere(Scheuchzeria palustris), l’erioforo diScheuchzer (Eriophorum scheuchzeri),la carice delle torbiere (Carex heleona-stes), l’andromeda (Andromeda polifo-lia), la moretta palustre (Empetrumnigrum), il mirtillo palustre (Vacciniumoxycoccos), il mirtillo minore (Vacciniummicrocarpum) e la rara betulla nana(Betula nana).

Trifoglio fibrino (Menyanthes trifoliata)

Erioforo guainato (Eriophorum vaginatum) Viola palustre (Viola palustris)

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ecologico uno stadio della successio-ne primaria di interrimento in stazionicon acque calcaree e sponde ampie epianeggianti, ove trovano il loro opti-mum anche l’associazione Cladietummarisci (a maggiore distanza dalla riva)e i prati umidi a molinia (in posizioneinvece più prossimale). Il giunco nerocomune è presente anche nella regio-ne biogeografica mediterranea, ovecompare non solo nelle stazioni umidee ricche in carbonati, ma si dimostratollerante anche rispetto a cloro e sol-fati, costituendo associazioni subalofi-le, cioè anche in acque caratterizzateda un ridotto carico salino.L’associazione Primulo-Schoenetumferruginei costituisce invece la vegeta-zione tipica delle torbiere basse, inpresenza di acque ricche di calcaredisciolto, distribuite nella regione alpi-na e in particolare nelle stazioni piùcontinentali del piano sub-montano emontano. Floristicamente è caratteriz-zata dalla dominanza del giunco nerocomune e da un forte contingente dispecie tipiche dell’alleanza Cariciondavallianae e delle unità superiori, trale quali vi sono la primula farinosa, lacarice di Host (Carex hostiana) e lacarice di Davall, la tajola comune ecc.Le specie compagne provengono inmaggior misura dalla vegetazione deiprati pingui soggetti a sfalcio (classeMolinio-Arrhenatheretea). Ecologica-mente appartiene al complesso diassociazioni che compare nei processidi interrimento delle stazioni di pendioe sorgive con acqua corrente ricca dicalcare ma oligotrofa, vale a dire moltopovera di nutrienti.

53sus), l’erba parnassia (Parnassia palu-stris), la tajola comune (Tofieldia caly-culata), il giuncastrello alpino (Triglo-chin palustre), la primula farinosa (Pri-mula farinosa), l’erioforo a foglie larghe(Eriophorum latifolium) e la caricemigliacea (Carex panicea).Tra le vegetazioni più rappresentativeva ricordata l’associazione Caricetumdavallianae, dominato dai piccoli cespidella carice di Davall, cui si possonoad esempio associare l’equiseto palu-stre (Equisetum palustre), l’erba par-nassia e la carice migliacea. Questotipo di vegetazione è assai sensibilealle variazioni del livello idrico, adesempio quelle indotte da operazionidi drenaggio artificiale, che tendono afavorire l’ingresso di specie dei pratiumidi quali la valeriana dioica (Valeria-na dioica) e, soprattutto, la molinia, icui grossi cespi tendono poi a ricopriree a sostituire del tutto le specie dellatorbiera bassa.L’associazione Schoenetum nigrican-tis si rinviene nella regione alpina nellestazioni più termofile caratterizzate daestati calde, e quindi nel piano sub-montano o anche a quote inferiori. Ècaratterizzata da una debole presenzadi specie dell’alleanza Caricion daval-lianae e, tra le specie compagne, forteè la presenza di specie dell’ordineMolinietalia, quali la molinia, il morsodel diavolo (Succisa pratensis), lamazza d’oro comune (Lysimachia vul-garis), e della vegetazione dei cannetipalustri (classe Phragmiti-Magnocari-cetea) come la cannuccia di palude, ilcladio di palude, ecc. Questa vegeta-zione rappresenta dal punto di vista

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Erba parnassia (Parnassia palustris)

Primula farinosa (Primula farinosa)

Equiseto palustre (Equisetum palustre)

Mazza d’oro comune (Lysimachia vulgaris)Erioforo a foglie larghe (Eriophorum latifolium)