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Le teorie dello status morale 103 S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma

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Le teorie dello status morale

103S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma

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La nozione di status morale

To have moral status is to be morally considerable, or to have moral standing. It is to be an entity towards which moral agents have, or can have, moral obligations. If an entity has moral status, then we may not treat it in just any way we please; we are morally obliged to give weight in our deliberations to its needs, interests or well-being. Furthermore, we are morally obliged to do this not merely because protecting it may benefit ourselves or other persons, but because its needs have moral importance in their own right (Warren 1997, p. 3).

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Peter Singer:utilitarismo e liberazione animale

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http://www.princeton.edu/~psinger/

1975 (1a ed.)

1979 (1a ed.)

(1946 - )

S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma

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Peter Singer:utilitarismo e liberazione animale

Questo libro non si occupa di animali da compagnia, ed è probabile che non rappresenti una lettura gradevole per chi crede che l’amore per gli animali non comporti niente di più che accarezzare un gatto o dar da mangiare agli uccelli in giardino. Questo libro si rivolge piuttosto a chi è interessato a porre fine all’oppressione e allo sfruttamento dovunque si manifestino, e a far sì che il fondamentale principio morale di eguale considerazione degli interessi non venga arbitrariamente circoscritto ai membri della nostra specie. Il fatto stesso di dare per scontato che per occuparsi di tali questioni si debba essere ‘amanti degli animali’ è di per sé un indice di quanto siamo lontani dall’idea che principi che riteniamo validi per gli esseri umani possano venire estesi agli altri animali. Nessuno, eccetto un razzista interessato a etichettare oltraggiosamente i suoi avversari come ‘amici dei negri’, sosterrebbe che per essere interessati al problema dell’eguaglianza delle minoranze razziali maltrattate sia necessario amarle, o considerarle graziose e tenere. Perché dunque si dovrebbe farlo nel caso delle persone che lavorano per migliorare le condizioni degli animali?

(P. Singer, Liberazione animale, p. 10)

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Peter Singer:utilitarismo e liberazione animale

- Etica, universalizzabilità, utilitarismo:

- “L’etica ci chiede di andare oltre l’‘io’ e il ‘tu’, per giungere alla legge universale, al giudizio universalizzabile, al punto di vista dello spettatore imparziale, o dell’osservatore ideale, o in qualunque altro modo lo si voglia chiamare [...] Suggerisco che l’aspetto universalistico dell’etica offre argomenti convincenti, benché non definitivi, in favore di una posizione utilitarista in senso lato”. (P. Singer, Etica pratica, pp. 22-23)

- “Ammettendo che i giudizi morali siano universalizzabili, ammetto anche che i miei interessi, per il solo fatto di essere miei, non possono contare più di quelli di qualsiasi altro. Quindi, da un punto di vista ‘morale’, il naturale desiderio che i miei interessi siano rispettati deve essere esteso anche ai desideri degli altri. Immaginiamo ora che io debba scegliere tra due corsi d’azione alternativi [...] Immaginiamo [...] che io cominci a pensare in termini morali, nel senso di cominciare a capire che i miei interessi non possono contare più di quelli degli altri per il solo fatto di essere miei. Anziché solo i miei, devo ora prendere in considerazione gli interessi di tutti coloro che sono toccati dalle conseguenze della mia decisione: e questo mi obbliga a valutare tutti questi interessi e a scegliere il corso d’azione che massimizza i benefici per tutti coloro che ne sono interessati. Così devo scegliere il corso d’azione che, tutto considerato, ha le conseguenze migliori per tutti. Questa è una forma di utilitarismo, diverso dall’utilitarismo classico perché considera ‘conseguenze migliori’ quelle che, tutto considerato, promuovono gli interessi di tutti piuttosto che ciò che semplicemente aumenta il piacere e riduce la sofferenza”. (P. Singer, Etica pratica, p. 23)

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- La critica al contrattualismo:

- “... se la base dell’etica è che io mi astengo dal fare del male ad altri fino a quando essi non fanno del male a me, allora non ho nessuna ragione contro il fare del male a coloro che sono incapaci di apprezzare la mia astensione e, conformemente a ciò, di controllare la loro condotta nei miei confronti. Gli animali, nel complesso, rientrano in questa categoria. [...] Siccome gli animali non sono capaci di reciprocità, essi, secondo questa posizione, si situano al di fuori dei limiti del contratto etico. Nel valutare questa concezione dell’etica, dobbiamo distinguere tra spiegazione dell’origine dei giudizi etici, e giustificazione di questi stessi giudizi. La spiegazione dell’origine dell’etica in termini di contratto tacito tra gli individui per il reciproco vantaggio è abbastanza plausibile (anche se non più plausibile di parecchi resoconti alternativi). Ma noi potremmo accettare questo resoconto, come spiegazione storica, senza con ciò impegnarci in nessuna tesi ulla giustezza morale o meno del sistema etico che ne è risultato. Indipendentemente dalle possibili origini autointeressate dell’etica, è almeno possibile che, una volta cominciato a pensare in modo etico, siamo condotti al di là di queste premesse troppo terrene. Infatti, siamo capaci di ragionare, e la ragione non è subordinata all’autointeresse. Ragionando di etica usiamo concetti che [...] ci portano al di là del nostro interesse personale o di gruppo. Secondo la concezione contrattualista dell’etica, tale processo di universalizzazione dovrebbe fermarsi ai confini della nostra comunità; ma una volta che il processo è iniziato, possiamo giungere a vedere che fermarsi a quel punto non è coerente con le nostre convinzioni”. (P. Singer, Etica pratica, p. 76)

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Peter Singer:utilitarismo e liberazione animale

Un movimento di liberazione esige un’espansione dei nostri orizzonti morali. Pratiche in precedenza considerate naturali e inevitabili finiscono con l’essere viste come il risultato di un ingiustificabile pregiudizio. Chi può affermare con sicurezza che tutte le sue attitudini e pratiche siano esenti da critiche? Se vogliamo evitare di essere annoverati fra gli oppressori, dobbiamo essere pronti a rivedere tutti i nostri atteggiamenti verso gli altri gruppi, anche i più radicati. Dobbiamo considerarli dal punto di vista di chi è più danneggiato da tali atteggiamenti e dalla pratiche che da essi conseguono. Se riusciamo ad attuare questa inusuale inversione di prospettiva, può darsi che scopriamo nelle nostre attitudini e pratiche un modello che opera costantemente in modo da favorire un gruppo - di solito quello cui noi stessi apparteniamo - a scapito di un altro. In tal modo possiamo giungere a cogliere la necessità di un nuovo movimento di liberazione.

(P. Singer, Liberazione animale, p. 12)

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- Il principio di eguaglianza e la critica allo specismo:

- “L’eguaglianza è un’idea morale, non un’asserzione di fatto. Dal punto di vista logico, non vi è nessuna ragione cogente per assumere che una differenza fattuale di capacità fra due persone giustifichi una qualsiasi differenza nella quantità di considerazione da attribuire ai rispettivi bisogni e interessi. Il principio dell’eguaglianza degli esseri umani non è la descrizione di una pretesa eguaglianza reale: è una prescrizione sul modo in cui gli esseri umani dovrebbero essere trattati”. (P. Singer, Liberazione animale, p. 21)

- “Dovrebbe risultare evidente che le fondamentali obiezioni avanzate nei confronti del razzismo e del sessismo [...] sono altrettanto valide nel caso dello specismo. Se il possesso di un superiore livello di intelligenza non autorizza un umano ad usarne un altro per i suoi fini, come può autorizzare gli umani a sfruttare i non umani per lo stesso scopo?” (P. Singer, Liberazione animale, p. 22)

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- Dolore e piacere alla base degli interessi:

- La capacità di provare dolore e piacere è un prerequisito per avere interessi in assoluto, una condizione che deve essere soddisfatta prima che si possa parlare di interessi in un modo che abbia senso. Sarebbe assurdo dire che non era nell’interesse di un sasso l’essere preso a calci lungo la strada da uno scolaro. Un sasso non ha interessi perché non può soffrire. Nulla di ciò che possiamo fargli può comportare una qualsiasi differenza per il suo benessere. La capacità di provare dolore e piacere è una condizione non solo necessaria ma anche sufficiente perché si possa dire che un essere ha interessi - come minimo assoluto, l’interesse a non soffrire. Un topo, per esempio, ha davvero interesse a non venire preso a calci per la strada, perché in tal caso soffrirà (P. Singer, Liberazione animale, p. 23)

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- Sofferenza, interessi e principio di eguaglianza:

- “Se un essere soffre, non può esistere nessuna giustificazione morale per rifiutarsi di prendere in considerazione tale sofferenza. Quale che sia la natura dell’essere, il principio di eguaglianza richiede che la sua sofferenza venga valutata quanto l’analoga sofferenza - fin tanto che le comparazioni approssimative possono essere fatte - di ogni altro essere. Se un essere non è capace di soffrire, o di provare piacere o felicità, non vi è nulla da prendere in considerazione. È questa la ragione per cui il limite della sensibilità (impiegando questo termine come una conveniente, pur se non pienamente accurata, abbreviazione per ‘capacità di soffrire e/o provare piacere’) costituisce l’unico confine plausibile per la considerazione degli interessi altrui. Tracciare questo confine tramite caratteristiche come l’intelligenza o la razionalità significherebbe agire in modo arbitrario. Perché non scegliere allora il colore della pelle?” (P. Singer, Liberazione animale, p. 24)

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Peter Singer:utilitarismo e liberazione animale

- L’argomento dei casi marginali:

- “C’è un’altra possibile risposta alla tesi che l’autocoscienza, o l’autonomia, o una caratteristica analoga, possa servire a distinguere gli animali umani dai non-umani: ricordarsi che esistono esseri umani mentalmente menomati che hanno meno titolo ad essere riconosciuti come autocoscienti o autonomi di molti animali non-umani. Se usiamo queste caratteristiche per porre una linea di divisione invalicabile tra umani e altri animali, poniamo questi umani sfortunati dall’altra parte della linea; e se questa linea serve a marcare una differenza di status morale, allora questi umani avrebbero lo status morale di animali” (P. Singer, Etica pratica, p. 72)

- “... lo scopo del mio argomento è di elevare lo status degli animali piuttosto che di abbassare lo status di qualsivoglia gruppo umano” (P. Singer, Etica pratica, p. 74)

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Peter Singer:l’uccisione di persone e non-persone

- “Un essere autocosciente è consapevole di sé come entità distinta, con un passato e un futuro .(Questo si ricordi era il criterio di Locke per essere una persona.) Un essere consapevole di sé in questo modo sarà capace di avere desideri circa il suo futuro. Per esempio, un professore di filosofia può sperare di scrivere un libro che dimostri la natura oggettiva dell’etica; uno studente può attendere con impazienza il momento della laurea; un bambino può voler fare un giro su un aeroplano. Togliere la vita a una di queste persone, senza il loro consenso, significa frustrare i loro desideri per il futuro. Uccidere una lumaca o un neonato di un giorno non frustra alcun desiderio di questo tipo, perché lumache e neonati sono incapaci di avere tali desideri”. (P. Singer, Etica pratica, pp. 83-84)

- “Secondo l’utilitarismo della preferenza, una azione contraria alla preferenza di un essere è sbagliata, a meno che questa preferenza non sia superata da preferenze contrarie. Uccidere una persona che preferisce continuare a vivere è quindi sbagliato, a parità di condizioni. È irrilevante che le vittime non siano più lì dopo l’atto a lamentarsi del fatto che le loro preferenze non sono state rispettate. Per gli utilitaristi della preferenza, togliere la vita a una persona sarà di solito peggio che togliere la vita a un altro essere, perché un essere che non può vedere se stesso come un’entità con un futuro non può nemmeno avere preferenze circa la propria esistenza futura”. (P. Singer, Etica pratica, p. 86)

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Peter Singer:il “diritto alla vita”

- “Non sono convinto dell’efficacia o della significatività della nozione di diritto morale, a meno che non venga usata come modo abbreviato di riferirsi a considerazioni morali fondamentali. Nondimeno, data la diffusione dell’idea di un nostro ‘diritto alla vita’, vale la pena chiedersi se ci sono motivi per attribuire un diritto alla vita alle persone in quanto distinte da altri esseri viventi”. (P. Singer, Etica pratica, p. 87)

- “Detto nel modo più semplice [...] se il diritto alla vita è il diritto a continuare a vivere come entità distinta, allora il desiderio pertinente al possedere un diritto alla vita è il desiderio di continuare a esistere come un’entità distinta. Ma solo un essere capace di concepire se stesso come entità distinta nel tempo - cioè, solo una persona - può avere tale desiderio. Pertanto solo una persona può avere un diritto alla vita” (P. Singer, Etica pratica, pp. 87-88)

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Peter Singer:vite “solo coscienti”

- “Ci sono molti esseri che sono coscienti e capaci di provare piacere e dolore. Molti animali non-umani ricadono certamente in questa categoria; e così pure i neonati e alcuni cerebrolesi”. (P. Singer, Etica pratica, p. 89)

- “La ragione più ovvia per attribuire un valore alla vita di un essere capace di provare dolore o piacere è il piacere che può provare. Se attribuiamo un valore ai nostri piaceri - il piacere di mangiare, del sesso, di correre a tutta velocità, di fare un bagno in un giorno di caldo - allora l’aspetto universale dei giudizi etici ci richiede di estendere la valutazione positiva della nostra esperienza alle esperienze simili di tutti coloro che possono provare altrettanto”. (P. Singer, Etica pratica, p. 90)

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Peter Singer:persone non-umane

- “Non c’è nulla di così assurdo nell’idea che un essere sia in grado di pensare per concetti senza avere un linguaggio; e vi sono molti esempi di comportamenti animali che non si spiegano se non ammettendo che gli animali pensino”. (P. Singer, Etica pratica, p. 100)

- “È notoriamente difficile stabilire se un altro essere sia autocosciente. Ma se ammettiamo che è sbagliato uccidere una persona quando possiamo evitarlo, e se c’è un dubbio realisticamente fondato sulla eventualità che l’essere che stiamo per uccidere sia una persona, dovremmo concedere a quest’essere almeno il beneficio del dubbio. La regola qui dovrebbe essere la stessa di quella dei cacciatori di cervi, che dice: se vedi qualcosa che si muove in un cespuglio, e non puoi sapere se è un cacciatore o un cervo, non sparare! (Noi siamo anche liberi di pensare che il cacciatore non dovrebbe sparare in nessun caso, ma l’importante è che questa regola sia coerente con l’etica in uso presso i cacciatori.) Su questa base, una gran parte delle uccisioni di animali non-umani è da condannare”. (P. Singer, Etica pratica, p. 103)

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Peter Singer:l’uccisione di non persone e la tesi della sostituibilità

- “... cosa dire di un essere che, anche da vivo, non può sentire l’aspirazione a una vita più lunga perché non è capace di proiettarsi nel futuro? In un certo senso, questo essere è privo di individualità. Quindi, forse, nell’ucciderlo non si commette un torto verso un individuo, anche se si riduce la quantità totale di felicità nell’universo. Ma questo torto, se è un torto, può essere compensato dal portare alla vita un essere simile, che condurrà una vita altrettanto felice. In questo modo, la conclusione cui si arriva concorda con la distinzione, già introdotta, tra l’uccidere esseri autocoscienti e razionali, e l’uccidere quelli che non lo sono. Gli esseri autocoscienti e razionali sono individui che vivono la loro vita, non semplici ricettacoli di una certa quantità di felicità. Gli esseri coscienti, ma non dotati di autocoscienza, d’altra parte, possono essere considerati in modo appropriato come ricettacoli di esperienze di piacere e pena piuttosto che individui capaci di una loro vita” (P. Singer, Etica pratica, p. 106)

- “... è possibile considerare gli animali non autocoscienti come reciprocamente intercambiabili in modo che non sarebbe invece appropriato per gli animali dotati di autocoscienza. Ciò significa che in alcune circostanze - quando gli animali vivono una vita felice, vengono uccisi senza dolore, la loro morte non è causa di sofferenze per altri animali e l’uccisione di un animale rende possibile la sua sostituzione con un altro animale che altrimenti non avrebbe vissuto - l’uccisione di animali non autocoscienti può non essere sbagliata” (P. Singer, Etica pratica, p. 108-9)

- “... sebbene possano darsi situazioni in cui non è moralmente sbagliato uccidere animali, si tratta di situazioni speciali, ben lontane dal coprire i miliardi di morti premature inflitte anno dopo anno dagli umani ai non-umani”. (P. Singer, Etica pratica, p. 109)

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Peter Singer:il vegetarianesimo come dovere morale

- “Non è praticamente possibile allevare animali per scopi alimentari su larga scala senza infliggere considerevole sofferenza. Anche se non si usano i metodi intensivi, l’allevamento tradizionale comporta la castrazione, la separazione della madre dai piccoli, lo smembramento dei gruppi sociali, la marchiatura, il trasporto al macello, e infine la macellazione stessa. È difficile immaginare come gli animali potrebbero essere allevati per cibo senza queste forme di sofferenza. Forse ciò sarebbe possibile su scala modesta, ma non si potrebbero mai alimentare le enormi popolazioni urbane odierne con la carne prodotta in questo modo. Se mai si potesse, la carne così ottenuta sarebbe immensamente più costosa di quanto non lo sia oggi - e allevare gli animali è già un modo costoso e inefficiente di produrre proteine. La carne di animali allevati e uccisi senza sofferenza sarebbe una ricercatezza disponibile solo per i ricchi. Tutto ciò è, in ogni caso, affatto irrilevante rispetto al problema immediato dell’etica della nostra dieta quotidiana. Quali che siano le possibilità teoriche di allevare gli animali senza sofferenza, la realtà è che la carne venduta nelle macellerie e nei supermercati proviene da animali che hanno sofferto mentre venivano allevati. Così, la domanda che dobbiamo porci non è: È giusto mangiare carne?, ma: È giusto mangiare questa carne? Io penso che in questo caso coloro che sono contrari all’uccisione senza necessità degli animali e coloro che rifiutano soltanto l’inflizione di sofferenza debbano unirsi e dare la stessa risposta negativa. Diventare vegetariano non è meramente un gesto simbolico. Non è neanche un tentativo di isolarsi dalle sgradevoli realtà del mondo, di mantenersi puri e senza responsabilità per la crudeltà e la carneficina che ci circondano. Diventare vegetariano è il passo più concreto ed efficace che si può compiere per porre fine tanto all’inflizione di sofferenze agli animali non umani quanto alla loro uccisione”. (P. Singer, Liberazione animale, pp. 171-172)

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Peter Singer:stile di vita personale e conseguenze cumulative

- “Se si considera la nostra personale decisione di diventare vegetariani, può sembrare frustrante che non si possa essere sicuri di avere salvato neppure un solo animale da una vita miserevole in un allevamento intensivo; in una prospettiva utilitarista, però, non cambia nulla se ciascun vegetariano è personalmente responsabile di aver salvato dieci polli l’anno dal loro destino, o se un vegetariano su diecimila fa la differenza che renderà possibile salvarne centomila. L’utilitarismo giudica le azioni in base alle loro conseguenze probabili, sicché la certezza di salvare dieci polli sta sullo stesso piano della probabilità di uno su diecimila di salvarne centomila: finché non ho idea se la mia decisione di diventare vegetariano è proprio quella che contiene la domanda di polli al di sotto della soglia, la forza di questa ragione per diventare vegetariano resta inalterata” (P. Singer, Utilitarismo e vegetarianesimo, in Etica e animali, a cura di L. Battaglia, Liguori, Napoli, 1998, pp. 266-267)

- “... diventare vegetariani è un modo per testimoniare la sincerità e la profondità della convinzione che quanto viene fatto agli animali è sbagliato” (P. Singer, Utilitarismo e vegetarianesimo, p. 268)

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Peter Singer:l’argomento morale contro la sperimentazione animale

- “... la questione etica della giustificabilità della sperimentazione animale non si può risolvere facendo riferimento ai benefici che essa comporta per noi, per quanto convincenti possano essere le prove di tali benefici. Il principio etico dell’eguale considerazione degli interessi esclude alcuni metodi di acquisizione della conoscenza. Non c’è niente di sacro nel diritto a perseguire la conoscenza. Noi imponiamo già molte restrizioni all’attività scientifica: non crediamo che gli scienziati abbiano in generale il diritto di eseguire esperimenti dolorosi o letali su esseri umani senza il loro consenso, benché ci siano parecchi casi in cui esperimenti simili potrebbero far progredire la conoscenza molto più rapidamente di qualsiasi altro metodo. Ora è necessario allargare l’ambito di queste già esistenti restrizioni” (P. Singer, Liberazione animale, p. 104)

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Peter Singer:un criterio per giustificare la sperimentazione animale

- “Non abbiamo ancora risposto alla domanda relativa a quando un esperimento potrebbe essere giustificabile. Non serve dire ‘Mai!’. Porre la moralità in termini così manichei può risultare attraente, perché elimina la necessità di soffermarsi su casi particolari; ma in circostanze estreme, tali risposte assolutiste collassano sempre. Torturare un essere umano è quasi sempre sbagliato, ma non è assolutamente sbagliato. Se la tortura costituisse l’unico mezzo per individuare una bomba atomica nascosta in una cantina di New York e programmata in modo da esplodere entro un’ora, la tortura sarebbe giustificabile. Analogamente, se un unico esperimento potesse curare una malattia come la leucemia, tale esperimento sarebbe giustificabile. Ma nella vita reale i benefici sono sempre assai più remoti, e il più delle volte sono inesistenti. Come decidere dunque quando un esperimento è giustificabile? Abbiamo visto che gli sperimentatori rivelano un pregiudizio a favore della propria specie ogni volta che eseguono esperimenti su nonumani che, a loro giudizio, non li giustificherebbero se usassero esseri umani, anche cerebrolesi. Questo principio fornisce una guida alla nostra domanda. Dal momento che il pregiudizio specista, come il pregiudizio razzista, è ingiustificabile, un esperimento non può essere giustificabile se non quando è di importanza tale che anche l’uso di un essere umano cerebroleso lo sarebbe. Questo non è un principio assolutista. Io non credo che sperimentare su un essere umano cerebroleso non possa mai essere giustiificabile. Se fosse davvero possibile salvare numerose vite con un esperimento che ne togliesse una sola, e non esistesse alcun altro modo di salvare tali vite, sarebbe giusto fare l’esperimento. Ma questo è un caso estremamente raro”. (P. Singer, Liberazione animale, pp. 97-98)

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Peter Singer:i confini dell’etica animale

- “Si deve tuttavia riconoscere che l’esistenza di animali carnivori pone un problema all’etica della liberazione animale - la questione cioè se noi dovremmo o meno intervenire. Ammesso che gli esseri umani potessero eliminare le specie carnivore dalla terra, e che la quantità totale di sofferenza degli animali nel mondo venisse in questo modo ridotta, dovremmo farlo? Una risposta semplice e concisa è che, una volta abbandonata la nostra pretesa di ‘dominio’ sulle altre specie, dovremmo smettere di interferire nella loro vita. Dovremmo, per quanto ci è possibile, lasciarle in pace. Dopo aver rinunciato al ruolo del tiranno, non dobbiamo tentare di far la parte di Dio. Benché contenga una parte di verità, questa risposta è troppo semplice e concisa. Che ci piaccia o no, noi siamo più coscienti di ciò che può accadere in futuro di quanto non lo siano gli altri animali, e questa coscienza può metterci in una situazione in cui sarebbe crudele non interferire. [...] A giudicare dalla nostra esperienza passata, qualsiasi tentativo di modificare su vasta scala i sistemi ecologici è destinato a provocare molti più danni che vantaggi. Non fosse altro che per questo motivo, è corretto affermare che, eccetto che in pochi casi assai limitati, non possiamo e non dobbiamo cercare di imporre un ordine a tutta la natura. Faremo abbastanza se elimineremo le uccisioni e le crudeltà inutili di cui noi siamo responsabili”. (P. Singer, Liberazione animale, pp. 234-5)

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Peter Singer:liberazione animale e uso della violenza

- “Arrecare un danno alla proprietà privata non è così grave come ferire o uccidere; quindi può essere giustificato su basi che non giustificherebbero alcunché che causasse danno a esseri senzienti. Ciò non significa che la violenza contro la proprietà sia irrilevante. La proprietà significa molto per certe persone, e occorre avere forti ragioni per giustificarne la distruzione. Ma tali ragioni possono esistere. La giustificazione può anche non essere qualcosa di così epocale da trasformare la società. Può trattarsi dell’obiettivo specifico e a breve termine di salvare un certo numero di animali da un esperimento doloroso e non necessario. Di nuovo, la giustificabilità di tale azione dipenderà in effetti dalle particolarità della situazione reale. Il non-esperto potrebbe facilmente sbagliarsi sul valore di un’esperimento o sul grado di sofferenza che comporta. E il risultato del danneggiamento di apparecchiature e della liberazione di alcuni animali non sarà forse l’acquisto di più apparecchiature e l’allevamento di più animali? Cosa fare poi degli animali liberati? Gli atti illegali vorranno forse dire che il governo deve resistere alle iniziative di riforma della legge sulla sperimentazione su animali perché altrimenti ciò apparirebbe come cedimento alla violenza? A tutte queste domande si deve trovare una risposta soddisfacente prima di arrivare alla decisione, ad esempio, di danneggiare un laboratorio”. (P. Singer, Etica pratica, p. 199)

124S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma

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Tom Regan:una teoria dei diritti

125

http://www.lib.ncsu.edu/exhibits/regan/

(1938 - )

1983

2004

S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma

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Tom Regan: il giudizio morale ideale

- Il giudizio morale ideale:

- Chiarezza concettuale

- Informazione

- Razionalità

- Imparzialità

- Distacco

- Validi principi morali:

- Coerenza

- Portata adeguatamente ampia

- Precisione

- Conformità alle nostre intuizioni

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Tom Regan: diritti umani e diritti animali

- “Sostenere la causa dei diritti degli animali è l’intento principale delle pagine che seguono, ma non è l’unico. A meno di riconoscere al miracoloso un ruolo legittimo nell’argomentazione filosofica, non è in alcun modo possibile sostenere la causa del riconoscimento dei diritti degli animali senza sostenere la causa dei diritti degli esseri umani, e un obiettivo centrale del presente lavoro è proprio quest’ultimo. A livello di massima generalità, quindi, gli argomenti che mi accingo a presentare possono e debbono essere giudicati per la validità con cui sostengono sia la causa del riconoscimento dei diritti degli esseri umani sia la causa del riconoscimento dei diritti degli animali. Sebbene io creda che le ragioni che sostengono la prima siano forti né più né meno di quelle che sostengono la seconda, altri potrebbero non essere d’accordo con me. In ogni caso, poiché il libro cerca di sostenere la causa di certi diritti umani, coloro che liquidano come ‘antiumani’ i sostenitori dei diritti degli animali dovrebbero essere ridotti al silenzio. Essere ‘per gli animali’ non significa essere ‘contro l’umanità’. Esigere che gli altri trattino giustamente gli animali significa chiedere per essi né più né meno di quel che si chiede per qualsiasi essere umano: che siano trattati con giustizia. Il movimento per i diritti degli animali non solo non si oppone al movimento per i i diritti umani, ma ne fa parte. Cercare di liquidarlo come antiumano significa fare della vuota retorica” (T. Regan, I diritti animali, p. 20).

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Tom Regan: interessi-benessere e interessi-preferenza

- “L’interesse-benessere differisce dagli interessi-preferenze. Nel caso dell’interesse-benessere, dire che A è interessato a X non significa dire (né necessariamente implicare) che A abbia un interesse-preferenza per X, vuoi in senso episodico vuoi in senso disposizionale. Che cosa significa dunque? Questo: che avere X o fare X costituirebbe (o pensiamo che costituirebbe) un beneficio per A; che avere X o fare X contribuirebbe al benessere di A. Per potere dire in senso letterale che un individuo è interessato in questo senso, una condizione necessaria è che per quell’individuo si possa parlare di benessere. Poiché gli animali e gli umani - che da questo punto di vista sono simili - soddisfano questo requisito, possiamo dire in senso letterale che hanno degli interessi-benessere; e poiché, per le ragioni ampiamente esposte nei capitoli precedenti, è ragionevole considerare entrambi come provvisti di desideri, possiamo dire che entrambi hanno in senso letterale degli interessi-preferenze. Certe cose sono nel loro interesse ed essi hanno interesse per certe cose” (T. Regan, I diritti animali, p. 133).

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Tom Regan: danni, deprivazioni, morte

- “Pur essendo importante ridurre le sofferenze animali, è essenziale riconoscere che non tutti i danni provocano dolore. I danni intesi come deprivazioni intaccano il benessere di un individuo anche se non gli procurano dolore e sofferenza. In quanto deprivazioni, questi danni vanno intesi come perdita di benefici (per esempio, come perdita dell’opportunità di svilupparsi o di esercitare la propria autonomia). [...] Una volta riconosciuto che i danni possono assumere la forma di deprivazioni, siamo in grado di comprendere come mai la morte possa essere un danno, quando lo è. La morte è il danno supremo e irreversibile perché è la perdita suprema e irreversibile che preclude qualsiasi opportunità di soddisfazione. Ciò è vero sia quando la morte è lenta e dolorosa, sia quando è repentina e indolore. Sebbene vi siano esiti peggiori della morte, una morte prematura non è nell’interesse della vittima, uomo o animale che sia, indipendentemente dal fatto che la vittima si renda conto oppure no, della propria mortalità, e quindi indipendentemente dal fatto che abbia oppure no, il desiderio di continuare a vivere. Per i bambini piccoli, nonché per gli animali dal livello mentale analogo al loro, morire anzi tempo è un danno, anche se entrambi presumibilmente, non hanno alcuna idea del proprio benessere a lungo termine, né la capacità di formulare desideri categorici, né la percezione della propria mortalità” (T. Regan, I diritti animali, p. 172-3).

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Tom Regan: la nozione di paziente morale

- “Diversamente dagli agenti morali, i pazienti morali mancano dei prerequisiti che sarebbero necessari perché essi possano controllare il proprio comportamento ed essere responsabili delle proprie azioni. I pazienti morali sono privi della capacità di formulare principi morali, nonché di ispirarvisi nel deliberare quale sia, tra un numero di molteplici atti possibili, quello che sarebbe giusto o corretto compiere. È vero che le loro azioni possono risultare di detrimento al benessere degli altri [...] Ma nemmeno quando procura danni significativi agli altri, un paziente morale compie qualcosa di moralmente sbagliato. Solo gli agenti morali possono farlo”. (T. Regan, I diritti animali, p. 215).

- “I pazienti morali presentano al loro interno differenze moralmente rilevanti. Di particolare importanza è la distinzione tra (a) individui coscienti e senzienti (ossia capaci di provare piacere e dolore), ma privi di altre capacità mentali, e (b) individui non solo coscienti e senzienti, ma anche dotati delle altre capacità di ordine cognitivo e volitivo [...] (forniti, per esempio, di credenze e di memoria).

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Tom Regan: critiche alle teorie dei doveri indiretti

- Critica alla teorie dei doveri indiretti (Narveson, Rawls, Kant)

- “La dimostrabile arbitrarietà delle teorie dei doveri indiretti ha rappresentato lo sfondo che ci ha permesso di identificare un principio morale (il principio del danno) che si applica sia al trattamento degli agenti morali che al trattamento dei pazienti morali. Tale principio afferma il dovere diretto prima facie di non danneggiare nessun individuo che in qualche modo possa venire danneggiato, cioè nessun individuo che abbia credenze e desideri, e che sia capace di agire intenzionalmente e di sperimentare benessere. L’accettabilità di questo principio è stata argomentata evidenziando come esso soddisfi i criteri relativi alla valutazione dei principi morali (coerenza, portata adeguatamente ampia, precisione e conformità alle nostre intuizioni riflessive), e come il giudizio sulla sua validità sia stato formulato, nella misura in cui si può ragionevolmente sperare di riuscirvi, nel rispetto delle condizioni proprie di un giudizio morale ideale (imparzialità, razionalità, informazione e ‘distacco’). [...] Qualsiasi teoria etica che non sia in grado di dare spiegazioni del nostro dovere diretto prima facie di non danneggiare gli agenti e i pazienti morali non può essere, tutto considerato, una teoria adeguata. Pertanto, nessuna teoria dei doveri indiretti può ottenere il nostro assenso razionale”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 268-9).

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Tom Regan: critica all’utilitarismo edonistico

- “Se siamo d’accordo che l’utilitarismo edonistico renda troppo facile giustificare le uccisioni, possiamo procedere chiedendoci cosa sia, in questa dottrina, a determinare una così infelice conseguenza. Un modo per diagnosticare il suo punto debole fondamentale è il seguente: esso presuppone che agenti e pazienti morali siano, per usare l’efficace espressione di Singer, meri ricettacoli di ciò che ha valore positivo (il piacere) o negativo (il dolore). In sé, essi non hanno alcun valore; valore ne hanno invece quello che contengono (cioè che sperimentano). Può esserci utile una similitudine. Supponiamo di pensare gli agenti e pazienti morali come delle tazzine in cui si possono versare delle bevande dolci (piaceri) o amare (dolori). In un dato momento, ogni tazzina avrà un certo sapore: il liquido che contiene sarà più o meno dolce o amaro. Ebbene secondo l’utilitarismo edonistico, dobbiamo cercare di produrre non il liquido che abbia il miglior sapore per questo o per quel particolare individuo, bensì il miglior saldo, ossia la maggiore eccedenza del liquido dolce su quello amaro tra tutti quegli individui che risentono di ciò che facciamo; ciò che dobbiamo realizzare è il miglior saldo complessivo di dolce e amaro. Stando così le cose, non c’è alcuna ragione per cui non possa essere necessario redistribuire il contenuto di data tazzina tra le altre e, magari, addirittura distruggere una data tazzina (un dato ‘ricettacolo’) [...] Ecco in che modo e perché l’utilitarismo edonistico può giustificare uccisioni che riescano a restare segrete: un ricettacolo (una ‘tazzina’) viene distrutta, con il risultato che le tazzine che risentono di questo esito ottengono un saldo aggregativo di dolce (piacere) e amaro (dolore) migliore di quello che si sarebbe potuto ottenere diversamente”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 283-4).

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Tom Regan: critica all’utilitarismo della preferenza di Singer

- “... sebbene gli animali autocoscienti abbiano dei desideri riguardanti il loro futuro, è estremamente improbabile che abbiano anche un’idea della propria mortalità; in questo caso non potrebbero avere, in senso proprio, ‘il desiderio di continuare a vivere’. Se vuol continuare a sostenere che uccidere animali autocoscienti è un torto fatto direttamente a loro, Singer deve modificare il proprio requisito. Ma in che modo? La modifica più ovvia e [...] più ragionevole, è la seguente: una condizione sufficiente perché l’uccisione di A sia un torto fatto direttamente ad A è che la continuazione della sua vita sia negli interessi di A, cioè che sia per A un beneficio, una condizione che, nel caso degli animali autocoscienti, rende possibile la soddisfazione di quei desideri che è nel loro interesse soddisfare. Così modificata, la posizione di Singer implicherà che uccidere gli animali autocoscienti è un torto diretto anche se essi non desiderano ‘continuare a vivere’”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 286-7)

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Tom Regan: critica all’utilitarismo della preferenza di Singer

- “Le implicazioni della concezione secondo cui, sulla base dell’utilitarismo della preferenza, gli individui autocoscienti sono ricettacoli sostituibili, sono tutt’altro che propizie al tentativo di Singer di elaborare una versione dell’utilitarismo che sia migliore dell’utilitarismo edonistico. Un’aporia fondamentale di quest’ultimo, come abbiamo visto, è questa: l’uccisione di un essere autocosciente sarebbe giustificata se producesse il saldo aggregativo ottimale di piacere e dolore per tutti gli individui che risentono dell’esito. E ciò rende troppo facile giustificare l’uccisione. Evidentemente Singer desidera evitare conclusioni simili, e pensa di poterlo fare conservando l’utilitarismo, ma depurandolo dall’edonismo. Ma nemmeno la posizione di Singer evita queste conclusioni. Per l’utilitarismo della preferenza gli individui autocoscienti sono ricettacoli sostituibili né più né meno di quanto lo siano per l’utilitarismo edonistico. La sola differenza è che nel primo caso sono ricettacoli sostituibili delle preferenze, e nel secondo dei piaceri e dei dolori. Da questo punto di vista l’utilitarismo della preferenza non rappresenta un progresso nei confronti dell’utilitarismo edonistico. Il criterio della conformità alle nostre intuizioni riflessive morali non lo soddisfano né l’uno né l’altro”. (T. Regan, I diritti animali, p. 290)

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Tom Regan: il paradosso dell’argomento di Singer

per il vegetarianesimo

- “Ciò che invece occorre sottolineare è la natura paradossale di questo aspetto della fondazione utilitaristica proposta da Singer dell’obbligo di essere vegetariani. Essa dice che, se sono vegetariano, lo sono in quanto vi sono altre persone, anch’esse vegetariane, sufficienti a far sì che gli effetti della mia decisione di non mangiare carne, aggiunta all’analoga decisione di quelle altre persone, siano quelli di evitare che un certo numero di polli subisca la sorte dell’allevamento intensivo. Se, invece, gli effetti del nostro boicottaggio collettivo non incideranno sul numero di polli allevati intensivamente, allora, diventeremmo vegetariani inutilmente; e ciò, non in virtù di una mancanza nostra (supponendo che noi ci impegnamo molto a persuadere gli altri, ma senza successo), bensì in virtù degli effetti delle decisioni altrui (cioè dei non vegetariani), la cui domanda di carne compensa ampiamente gli effetti del nostro boicottaggio. Ma far dipendere la correttezza morale del comportamento dei vegetariani dalle decisioni delle persone che fanno ciò che i vegetariani deplorano - come di fatto implica la concezione di Singer - è, nella migliore delle ipotesi, paradossale, tanto più se notiamo che, secondo la sua concezione, per sottrarsi personalmente all’obbligo di essere vegetariani (essendo quest’obbligo determinato dall’incidenza dei vegetariani sulle dimensioni dell’allevamento industriale degli animali), i non vegetariani non devono far altro che continuare a fare quello che stanno facendo, ossia mangiare carne. Secondo tale concezione, infatti, non c’è alcun obbligo di astenersi dalle carni se sono troppo poche le persone che lo fanno; sicché coloro che si cibano di carni non fanno nulla di male. E se, per caso, le file dei vegetariani dovessero ingrossarsi a tal punto che la loro scelta collettiva prometta di determinare la chiusura di questo o di quell’allevamento, i non vegetariani, stante la posizione di Singer, e tenuto conto che l’obbligatorietà del vegetarianesimo dipende dall’incidenza dei vegetariani sulla pratica dell’allevamento intensivo, con qualche accorgimento potranno ancora sottrarvisi. Essi non dovranno fare altro che mangiare più carne in modo da neutralizzare l’incidenza collettiva dei vegetariani e quindi da eliminare per in non vegetariani l’obbligo di diventare vegetariani”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 309-10)

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Tom Regan: specismo utilitarista?

- “La mia tesi, niente affatto ambiziosa, è questa: l’utilitarismo, a dispetto dell’enfasi posta sull’uguaglianza, se le cose si mettessero in un certo modo, potrebbe sanzionare forme riconoscibili di sessismo e di razzismo. Per ciò che riguarda lo specismo la situazione è la medesima, ma più grave. Come utilitaristi, noi dobbiamo prendere in considerazione gli interessi degli animali e dar loro un peso equo; e in tal modo evitiamo certi tipi di specismo, per esempio quello secondo cui non dovremmo nemmeno considerare rilevanti gli interessi degli animali. Ma il rispetto del principio di uguaglianza, tenuto conto del principio di utilità, non garantisce che gli animali vengano trattati equamente quando si affrontano problemi distributivi. Il fatto che gli animali vengano sottoposti ad allevamento intensivo, mentre ciò non accade agli umani, per esempio, non costituisce un argomento specificamente utilitarista contro l’allevamento intensivo degli animali. Potrebbe darsi, infatti, che trattando gli animali in questo modo si producano le conseguenze, tutto considerato, migliori, e che invece un analogo trattamento degli animali non le produca. Teoricamente, perciò, l’utilitarismo potrebbe fungere da fondamento sulla cui base difendere riconoscibili pratiche specistiche. Se ciò accada anche di fatto, dipende da questa eventualità: che le conseguenze di un simile trattamento degli animali siano, tutto considerato, migliori”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 312-13)

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Tom Regan: uguaglianza e valore inerente

- “L’interpretazione della giustizia formale che mi accingo a sostenere - e che indicherò come uguaglianza degli individui - implica l’idea che certi individui hanno valore in se stessi. Indicherò questo tipo di valore come valore inerente [...] Dire che il valore inerente di un individuo non è riducibile al valore intrinseco delle sue esperienze significa che non possiamo determinare il valore inerente degli agenti morali facendo la somma algebrica dei valori intrinseci delle loro esperienze. [...] Considerare gli agenti morali come dotati di un valore inerente significa quindi considerarli non meri ricettacoli di ciò che ha valore intrinseco, ma qualcosa di diverso e di superiore. Essi possiedono un valore autonomo che è distinto, irriducibile e incommensurabile rispetto ai valori di quelle esperienze che, come ricettacoli, hanno o subiscono. [...] Secondo il postulato del valore inerente, gli agenti morali possiedono in sé uno specifico tipo di valore che invece non hanno secondo la concezione degli individui come ricettacoli proposta dagli utilitaristi. Ad avere valore è la tazzina, non solo ciò che vi è contenuto”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 322-23)

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Tom Regan: uguaglianza e valore inerente

- “La concezione secondo cui gli agenti morali possiedono valore inerente in diversi gradi va respinta. Se gli agenti morali hanno valore inerente, lo hanno tutti in ugual misura”. (T. Regan, I diritti animali, p. 324)

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Tom Regan: il valore inerente come postulato

- “La concezione che attribuisce a certi individui (per esempio agli agenti morali) un uguale valore inerente è un postulato, ossia un assunto teoretico. Ma, come si conviene a qualsiasi assunto teoretico, esso non è stato avanzato senza ragione. Si tratta, al contrario, di un assunto che, sul problema del valore degli agenti morali si misura con teorie alternative, in particolare con quella secondo cui essi sarebbero privi di valore autonomo, meri ricettacoli di esperienze che avrebbero valore in se stesse (teoria utilitaristica) e con quella secondo cui essi avrebbero sì valore autonomo, ma un valore che varierebbe da individuo a individuo in relazione al grado in cui ciascuno di essi possiede le teorie preferite (teoria perfezionistica). Vi sono diverse ragioni per accettare questo postulato: esso ci fornisce un fondamento teoretico che ci consente di evitare, da un lato, le implicazioni fortemente antiegalitarie delle teorie perfezionistiche e, dall’altro, le implicazioni controintuitive di tutte le forme di utilitarismo dell’atto (per esempio, la tesi secondo cui le uccisioni segrete che ottimizzano le conseguenze aggregative per tutti gli individui che risentono di un esito sono giustificate). Il ruolo del criterio del soggetto-di-una-vita, se vogliamo farcene un’idea corretta, va colto sullo sfondo di questo scenario più vasto”. (T. Regan, I diritti animali, p. 336-7)

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Tom Regan: il valore inerente dei pazienti morali

- “... voler circoscrivere il valore inerente agli agenti morali è arbitrario. [...] Così, se consideriamo tutti gli agenti morali dotati di uguale valore inerente, se facciamo leva su questa concezione del loro valore per evitare le implicazioni controintuitive dell’utilitarismo dell’atto e quindi neghiamo la possibilità di giustificare il danno arrecato ad agenti morali in base al solo fatto che esso ha determinato conseguenze ottimali per tutti gli interessati, se alcuni di questi danni arrecati ad agenti morali sono dello stesso tipo di quelli arrecati a pazienti morali, e se il dovere di non danneggiare in questi modi né gli agenti né i pazienti morali è un dovere prima facie che abbiamo direttamente verso ciascuno di loro, allora sarebbe arbitrario considerare i pazienti morali come individui privi di valore inerente o come meri ricettacoli. Insomma: se postuliamo il valore inerente degli agenti morali, non possiamo negare tale valore ai pazienti morali se non in modo arbitrario”. (T. Regan, I diritti animali, p. 327)

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Tom Regan: il valore inerente dei soggetti di una vita

- “Un’alternativa alla concezione che vede nella vita la somiglianza rilevante ai fini della determinazione del valore inerente di un individuo è quello che chiamerò criterio del soggetto-di-una-vita. Perché un individuo sia un soggetto-di-una-vita, nel senso in cui questa espressione verrà usata qui, non basta né che sia un essere vivente, né che sia semplicemente un essere cosciente; occorre che abbia una vita con le caratteristiche su cui ci siamo soffermati nei capitoli iniziali: gli individui, cioè, sono soggetti-di-una-vita se hanno credenze e desideri, percezione, memoria, senso del futuro (anche del proprio futuro), una vita emozionale, nonché sentimenti di piacere e di dolore, interessi-preferenze e interessi-benessere, capacità di dare inizio all’azione in vista della gratificazione dei propri desideri e del conseguimento dei propri obiettivi, identità psicofisica nel tempo, e benessere individual, nel senso che la loro esperienza di vita è per loro positiva o negativa in termini logicamente indipendenti dalla loro utilità per altri e dal loro essere oggetto di interesse per chiunque altro. Coloro che soddisfano il criterio del soggetto-di-una-vita possiedono uno specifico tipo di valore - il valore inerente - e non vanno né considerati né trattati come meri ricettacoli”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 331-32)

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Tom Regan: i soggetti di una vita: agenti e pazienti

- “Il criterio del soggetto-di-una-vita individua una somiglianza reale tra agenti e pazienti morali. Ebben, si tratta di una somiglianza rilevante, ossia di una somiglianza tale da rendere l’attribuzione del valore inerente intelligibile e non arbitraria? Le ragioni per rispondere affermativamente sono le seguenti. (1) Una somiglianza rilevante tra tutti gli individui per i quali si postula il possesso di un uguale valore inerente deve indicare una caratteristica comune a tutti quegli agenti e pazienti morali che qui vengono concepiti come dotati di tale valore. Tutti gli agenti morali e tutti quei pazienti morali di cui ci stiamo occupando sono soggetti di una vita che, per loro, è migliore o peggiore, nel senso già illustrato, in modo logicamente indipendente dalla loro utilità per gli altri e dal loro essere oggetto di interessi di altri. (2) poiché il valore inerente, non ammettendo gradi, va concepito come un valore categoriale, una somiglianza rilevante, dev’essere anch’essa categoriale. Il criterio del soggetto-di-una-vita soddisfa questo requisito: esso non asserisce né implica che coloro che lo soddisfa possiedano lo status di un soggetto-di-una-vita in misura maggiore o minore in relazione al grado in cui dispongono o sono privi di certe virtù o capacità (per esempio, della capacità di dedicarsi alla matematica superiore o delle abilità che fanno tutt’uno con la genialità artistica). Un individuo o è, nel senso indicato sopra, il soggetto-di-una-vita oppure non lo è. E tutti quelli che lo sono, lo sono in ugual misura. Il criterio del soggetto-di-una-vita delimita così uno status categoriale comune a tutti gli agenti morali e a quei pazienti morali di cui ci occupiamo. (3) Una somiglianza rilevante tra agenti e pazienti morali deve contribuire a chiarire perché noi abbiamo doveri diretti verso entrambi e perché abbiamo meno ragione di pensare di averne verso gli individui che non sono né agenti né pazienti morali, ivi compresi quelli che sono vivi al pari degli agenti morali e dei pazienti morali di cui ci stiamo occupando. Il criterio del soggetto-di-una-vita soddisfa anche questo requisito”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 333-34)

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Tom Regan: il principio del rispetto per gli individui

- “La tesi secondo cui gli agenti e i pazienti hanno uguale valore inerente non è un principio morale, in quanto, di per sé, non ci impone di trattare questi individui in un certo modo. In particolare, il postulato del valore inerente non ci dà, di per sé, un’interpretazione del principio formale di giustizia, cioè del principio che [...] ci impone di dare a ciascuno quanto gli è dovuto. Ci dà, però, una base su cui elaborare tale interpretazione. Se gli individui hanno uguale valore inerente, qualsiasi principio che enunci quale trattamento dobbiamo riservare loro per ragioni di giustizia deve tener conto del loro uguale valore. Il seguente principio (il principio del rispetto) lo fa: dobbiamo trattare gli individui dotati di valore inerente in modi che rispettino il loro valore inerente”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 337-8)

- “Diversamente dalle interpretazioni utilitaristiche, però, l’interpretazione della giustizia in termini di rispetto per gli individui dotati di valore inerente esclude, in anticipo, la liceità di pervenire a una distribuzione qualsiasi. Non è giusto in nessun caso trattare un individuo dotato di valore inerente come mero ricettacolo allo scopo di produrre conseguenze ottimali per tutti coloro che risentiranno dell’esito”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 339-40)

143S. Pollo, Istituzioni di etica, a.a. 2012/13 - Sapienza Università di Roma

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Tom Regan: estensione del principio del rispetto ai pazienti morali

- “Non possiamo quindi sostenere che il principio del rispetto si applichi solo ai nostri rapporti con gli agenti morali, dicendo che (a) tale principio riguarda solo il trattamento degli individui verso i quali abbiamo dei doveri diretti e che (b) noi non abbiamo doveri diretti verso i pazienti morali. Né possiamo evitare di riconoscere come i pazienti morali rientrino nell’ambito di applicazione di quel principio dicendo che essi non hanno valore inerente o che ne hanno meno degli agenti morali; e ciò perché tentare di escluderli da quell’ambito per questa ragione vorrebbe dire porre le premesse di una teoria perfezionistica della giustizia, ossia di una teoria che o sancirà un trattamento ingiusto a danno di alcuni agenti morali o lo eviterà, ma solo al prezzo dell’arbitrarietà. Accettare il principio del rispetto, insomma, vuol dire impegnarsi a riconoscere che esso si applica anche ai nostri rapporti con i pazienti morali. Nemmeno loro vanno trattati come se fossero meri ricettacoli. I danni eventualmente arrecati loro non potremmo giustificarli dicendo semplicemente che in tal modo produrremmo un saldo aggregativo ottimale di beni e mali intrinseci per tutti gli individui interessati. Noi dobbiamo loro un trattamento rispettoso, non per bontà d’animo, né in considerazione degli ‘interessi sentimentali’ di altri, ma perché lo esige la giustizia”. (T. Regan, I diritti animali, p. 354)

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Tom Regan: la grammatica dei diritti

- “Il principale diritto morale fondamentale di tutti gli agenti e i pazienti morali è il diritto a un trattamento rispettoso. [...] è intellegibile e non arbitrario considerare tutti gli agenti e i pazienti morali come dotati di uno specifico tipo di valore (il valore inerente) e come dotati di valore in ugual misura. Tutti gli agenti e i pazienti morali devono sempre essere trattati in modi che siano coerenti con il riconoscimento del loro uguale possesso di questo tipo di valore. Questi individui hanno il diritto morale fondamentale a un trattamento rispettoso, in quanto la pretesa che avanzano in tal senso è (a) una valida pretesa-da individui identificabili (cioè da tutti gli agenti morali) e (b) una valida pretesa-a, la cui validità poggia sull’appelo al principio del rispetto [...]. Il sussistere del diritto morale fondamentale a un trattamento rispettoso vieta di trattare gli agenti e i pazienti morali come se fossero meri ricettacoli di valori intrinseci (per esempio, del piacere), privi di alcun valore proprio; ciò perché, qualora gli individui in questione venissero concepiti in questi termini, sarebbe lecito arrecare danno ad alcuni di essi (per esempio, facendoli soffrire) solo perché le conseguenze aggregative per tutti gli altri ‘ricettacoli’ che risentirebbero dell’esito sarebbero ‘le migliori’. [...] tutti gli agenti e i pazienti morali hanno il diritto morale prima facie di non essere danneggiati”. (T. Regan, I diritti animali, p. 440)

- “Se la mia teoria è corretta, allora gli animali, al pari di noi, hanno certi diritti morali fondamentali, in cui rientra, in particolare, il diritto di essere trattati con il rispetto che, come esseri dotati di valore inerente, è loro dovuto per strette ragioni di giustizia. [...] anch’essi, come noi, non devono mai essere trattati come meri ricettacoli di valori intrinseci (per esempio di piacere o di soddisfazione delle preferenze), e qualsiasi danno arrecato loro dev’essere coerente con il riconoscimento del loro uguale valore inerente e con il loro uguale diritto prima facie di non essere danneggiati. (T. Regan, I diritti animali, p. 442)

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Tom Regan: la grammatica dei diritti

- “La teoria dei diritti riesce dove l’utilitarismo fallisce. Che io faccia il mio dovere non dipende da quanti altri agiscono come me; nessun vegetariano verrebbe meno alla propria scelta solo perché molti altri continuano a sostenere l’industria degli animali, oppure perché non sa con certezza se e, in caso affermativo, quando e come, l’astenersi dalla carne rappresenti una differenza (per esempio, quanti animali si sottrarranno in tal modo agli abusi dell’allevamento di tipo industriale). L’individuo ha ragione di non acquistare i prodotti di un’industria che viola i diritti di altri indipendentemente da quante sono le persone che fanno come lui; secondo la teoria dei diritti, inoltre, la validità della causa di chi si oppone all’industria animale non dipende dal fatto che questo individuo, o qualsiasi individuo, conosca il saldo aggregativo di beni e mali che deriverebbero a tutti dalla liceità o non liceità dell’allevamento industriale degli animali. Poiché questa industria comporta la sistematica violazione dei diritti degli animali, per le ragioni addotte è moralmente sbagliato acquistarne i prodotti. È per questo che, secondo la teoria dei diritti, il vegetarianesimo è moralmente obbligatorio; ed è per questo che non dobbiamo ritenerci soddisfatti da alcun altro risultato che non sia la fine completa dell’allevamento - non necessariamente intensivo - a scopo commerciale degli animali così come lo conosciamo”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 469-70)

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Tom Regan: i limite del diritto a non essere danneggiati

- I limiti del diritto a non essere danneggiati:

(1)Autodifesa da parte dell’innocente

(2)La punizione del colpevole

(3)Il sequestro di ostaggi innocenti

(4)Minacce innocenti

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Tom Regan: teoria dei diritti e vegetarianesimo

- “La teoria dei diritti riesce dove l’utilitarismo fallisce. Che io faccia il mio dovere non dipende da quanti altri agiscono come me; nessun vegetariano verrebbe meno alla propria scelta solo perché molti altri continuano a sostenere l’industria degli animali, oppure perché non sa con certezza se e, in caso affermativo, quando e come, l’astenersi dalla carne rappresenti una differenza (per esempio, quanti animali si sottrarranno in tal modo agli abusi dell’allevamento di tipo industriale). L’individuo ha ragione di non acquistare i prodotti di un’industria che viola i diritti di altri indipendentemente da quante sono le persone che fanno come lui; secondo la teoria dei diritti, inoltre, la validità della causa di chi si oppone all’industria animale non dipende dal fatto che questo individuo, o qualsiasi individuo, conosca il saldo aggregativo di beni e mali che deriverebbero a tutti dalla liceità o non liceità dell’allevamento industriale degli animali. Poiché questa industria comporta la sistematica violazione dei diritti degli animali, per le ragioni addotte è moralmente sbagliato acquistarne i prodotti. È per questo che, secondo la teoria dei diritti, il vegetarianesimo è moralmente obbligatorio; ed è per questo che non dobbiamo ritenerci soddisfatti di alcun altro risultato che non sia la fine completa dell’allevamento - non necessariamente intensivo - a scopo commerciale degli animali così come lo conosciamo”. (T. Regan, I diritti animali, p.p. 469-70)

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Tom Regan: le specie protette

- “... la teoria dei diritti non è indifferente agli sforzi volti a salvare le specie che rischiano l’estinzione; anzi, li sostiene. Ma li sostiene, non perché vanno a favore di specie ormai scarsamente rappresentate, bensì, principalmente, perché soccorrono animali che hanno lo stesso valore di tutti quegli individui, noi compresi, che hanno valore inerente e che, quindi, hanno in comune con noi il diritti fondamentale di essere trattati con rispetto. [...] Dal punto di vista morale, secondo la teoria dei diritti, i medesimi principi valgono sia per gli animali rari o in via di estinzione, sia per quelli appartenenti a specie abbondantemente rappresentate, sia per gli animali selvatici che per quelli domestici”. (T. Regan, I diritti animali, p.p. 482-83)

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Tom Regan: la teoria dei diritti e l’olismo dell’etica ambientale

- “La teoria dei diritti non nega la possibilità che sistemi di oggetti naturali abbiano un valore inerente - cioè un tipo di valore diverso, irriducibile e incommensurabile rispetto ai piaceri e alle soddisfazioni delle preferenze di un individuo qualsiasi, nonché rispetto alla somma di analoghi beni di un numero qualsiasi di individui. La bellezza di una foresta intatta ed ecologicamente equilibrata potrebbe essere concepita come dotata di un valore di questo tipo. Non è certo impossibile argomentare una tesi simile. È escluso però che sia possibile e abbia senso attribuire dei diritti morali a una collezione di alberi o all’ecosistema. Poiché né l’una né l’altro sono individui, non è affatto chiaro che senso abbia applicar loro la nozione di diritto morale”. (T. Regan, I diritti animali, p. 485)

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Tom Regan: la teoria dei diritti e la sperimentazione

- “... dal momento che è desiderabile minimizzare i rischi che corriamo quando scegliamo di usare un nuovo prodotto o un nuovo farmaco, la teoria dei diritti guarda con favore allo sviluppo di valide procedure scientifiche che proteggano i nostri interessi [...] La teoria dei diritti proibisce solo quelle procedure che violano i diritti degli individui. Ciò che essa chiede non è una riduzione del numero di animali sacrificati nei laboratori, né un perfezionamento dei protocolli, ma la totale eliminazione dell’uso degli animali nei test tossicologici. Analoga è la richiesta che la teoria dei diritti avanza circa l’uso degli animali nella ricerca. Danneggiare degli animali nella speranza di scoprire qualcosa che possa essere di beneficio ad altri significa trattarli come se il loro valore si riducesse alla loro possibile utilità per gli interessi di altri; e far questo non a pochi, ma a molti milioni di animali significa trattarli come se fossero risorse rinnovabili - rinnovabili, in quanto rimpiazzabili con altri, senza che ciò comporti nulla di moralmente sbagliato; e risorse, perché si assume che il loro valore sia una funzione della loro possibile utilità per gli interessi di altri. La teoria dei diritti esclude che gli animali possano essere usati nella ricerca in un modo che riesca loro dannoso, e quindi chiede la totale eliminazione di tale loro uso”. (T. Regan, I diritti animali, pp. 530-31)

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Tom Regan: abolizione vs. Animal Welfare

- “... animal welfarists attempt to serve two demanding moral masters. First, there is the demand that individual animals have lives that fare well, all things considered. This is the demand that leads animal welfarists to call for improved living conditions for animals in laboratories, for example. Second, there is the demand that leads animal welfarists to permit the death of some animals, sometimes very large numbers of them, and even to permit the agony of some, so that others might benefit. When viewed in this light, it should not be surprising that the loudest, most powerful voices speaking in the name of animal welfare today are those of individuals who have an interest in perpetuating instituzionalized utilization of nonhuman animals. [...] Even if the critics are right, however, and the quality of life for these animals can be improved, this will not change the system in any fundamental way. [...] Nevertheless, the philosophy of animal welfare by its very nature permits utilizing other animals for human purposes, even if this means (as it always does) that most of these animals will experience pain, frustration, and other harms, and even if this means, as it almost always does, that these animals will have their lives terminated prematurely. This is what I means by saying that welfare reforms within the system of utilization will not change the system in any fundamental way. [...] Advocates of animal rights believe that more than animal welfare-based reforms of the system are needed. When a system is unjust to the core, respect for justice demands abolition. [...] The true objective for which animal advocates should work, according to this view, is not to provide nonhuman animals with larger cages, but to empty them” (T. Regan, Animal Liberation: What’s in a Name?, in Id., Defending Animal Rights, pp. 34-35)

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Tom Regan: sull’uso della violenza per i diritti animali

- “This violence is something that everyone both friend and foe of animal rights, must lament, something we all wish could be prevented. The question is how to do so. How might we prevent if not all then at least many of the acts we all wish would not occur. Here we arrive at a question that should give all people of goodwill pause. It is this question, I think, rather than questions about the moral or legal justification of violence, to which we might more profitably give our time, attention, imagination, and labor. My own (very) modest proposal is this. Although Garrison-like abolitionists cannot support reformist measures, they can support incremental abolitionist change, change that involves stopping the utilization of nonhuman animals for one purpose or another. One goal, for example, might be not fewer animals used in cosmetic or industrial testing but no animals used for this purpose. Other goals might be not fewer dogs “sacrificed”in dog labs, or fewer primates “studied” in maternal deprivation research, or fewer goats shot and killed in weapons testing, but no animals used in each of these (and an indefinite number of other possible) cases”. (T. Regan, Understanding Animal Rights Violence, in Id., Defending Animal Rights, pp. 148-9)

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