l'artugna 131 - pasqua 2014

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Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. 87 a Adunata Nazionale Alpini se vedhòn! Anno XLIII · Aprile 2014 · Numero 131 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia

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Periodico della Comunità di Dardago - Budoia - Santa Lucia

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Page 1: l'Artugna 131 - Pasqua 2014

Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

87aAdunata Nazionale

Alpini

se vedhòn!

Anno XLIII · Aprile 2014 · Numero 131 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia

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ul tramontar del 1563, il Con -cilio di Trento deliberò in fatto dinascite, sepolture, battesimi, cre-sime e matrimoni stabilendo cheper ogni sacerdote corresse l’ob-bligo di redigere, su voluminosi re-gistri, eventi anagrafici e sacra-menti impartiti nella propriaparrocchia.«Il parroco tenga un libro – vi si

legge negli atti in riferimento almatrimonio – nel quale siano an-notati i nomi degli sposi e dei te-stimoni, il luogo e il giorno delcontratto di matrimonio, lo custo-disca diligentemente presso di sée ad esso si attribuisca il valore diprova dei matrimoni effettuati».Con quella secentesca sen-

tenza si sanciva così un nuovobattesimo, quello degli archiviparrocchiali, ancora ampiamentein uso. Certamente non fu l’attopiù significativo della Controrifor-ma ma ciò che sembra oggi unaconsuetudine anche civile, rego-lamentata dalla burocrazia quoti-diana, ha in sé un valore molto piùrappresentativo. Un valore cheabbraccia la nostra stessa identi-tà di persone, la testimonianzadelle radici dirette grazie ad unadocumentazione che attesta lanostra discendenza ben oltre lamemoria biologica delle singolepersone. I registri parrocchiali so-no infatti un’importantissima fontedi informazioni demografiche, unamappa essenziale del nostro per-corso genealogico. L’Artugnastessa vi attinge ogniqualvoltadebba ricostruire, attraverso l’al-bero genealogico, la storia di unapersona o di una famiglia del pae-se. Quanto siano importanti an-che dal punto di vista simbolico è

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uante volte abbiamo udito que-ste parole. Ogni volta che si fa unacommemorazione del «Papa Buo-no», così era chiamato all’epocaGiovanni XXIII, vengono sempre ci-tate queste famosissime parole,pronunciate nel «Discorso alla luna»in quel lontano 11 ottobre 1962,giorno di inizio del Concilio Ecume-nico Vaticano II, alla sera. Testimo-nianza di una dolcezza che questoPapa aveva vissuto, dal suo sorgerea Sotto il Monte, piccolo paese rura-le della bergamasca, il 25 novembre1881 e che lo accompagnerà pertutta l’esistenza, facendolo ama reda tutti i cristiani e facendolo ap-prezzare anche da molti lontani econtrari al suo insegnamento.I suoi inizi semplici ed umili in unanumerosa famiglia contadina doveregnava una grande fede e una di-gnitosa povertà, un po’ come nellenostre famiglie di quell’epoca. Inizistentati, difficoltà d’ogni genere,grandi sacrifici. «Vengo dall’umiltà efui educato a una povertà contentae benedetta che ha poche esigenzee che protegge il fiorire delle virtùpiù nobili e alte e preparate alle ele-vate ascensioni della vita» (Discor-so di saluto ai veneziani in occasio-ne dell’ingresso come Patriarca diVenezia il 15 marzo 1953). Questeparole hanno voluto ricordare le«ascensioni» continue che il Signo-re gli ha riservato nella vita e nellaChiesa. Grazie al finanziamento del-lo zio Zaverio che gli ha permessogli studi nel Seminario di Bergamo ealla sua indole di sgobbone unita-mente alla sua lucida intelligenza efacilità di espressione ha potutoconseguire i più alti titoli accademi-

S

di don Maurizio Busetti

Adottaun libre

una nuova iniziativa de l’Artugna

continua a pagina 20[ ]

ci. Dopo l’ordinazione sacerdotaleavvenuta a Roma il 10 agosto 1904,la pronta obbedienza e la sua umiltàlo aiutano ad assumere dei compitinon sempre esaltanti e di primo pia-no nella Chiesa ma che lo prepara-no all’alto compito di Pastore dellaChiesa Universale.Dapprima segretario del vescovo diBergamo Radini Tedeschi e giorna-lista dove conosce i problemi delmondo operaio che incominciavaad alzare la testa guidato dal sorge-re dei sindacati, alla partecipazionealla prima guerra mondiale, nelletrincee accanto ai soldati che ne-cessitano di vicinanza morale e diassistenza per i numerosi bisogni dichi si trova in una situazione diestremo pericolo e di disagio, lonta-no dai propri cari.Rientrato in diocesi, viene destinatoalla propaganda missionaria, alladirezione spirituale del Seminariomentre cerca di dedicarsi ai suoi di-letti studi sulla storia della Chiesa.Pio XI lo nomina nel 1925 DelegatoApostolico in Bulgaria e ordinando-lo arcivescovo e poi in Turchia. Luo-ghi dove nessuno aspirava ad an-dare perché paesi non cattolici e discarso valore per la promozionenella carriera ecclesiastica, carichidi problemi finanziari e di difficilirapporti con gli ortodossi. Qui ha lapossibilità di vedere la grande sof-ferenza della Chiesa per le divisionidei cristiani e l’aspirazione delleanime semplici nella ricerca del-l’unità. Vive la dolorosa stagionedella seconda guerra mondiale, latragedia degli ebrei braccati dai na-zisti e si adopera per ottenere la-sciapassare per questi ultimi così

Q

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la letteraPlevàn

di don Maurizio Busetti

del

da poter raggiungere Israele e trova-re la salvezza. Nel 1944, nonostantele resistenze di molti in Vaticano chelo consideravano un sempliciotto edi scarsa levatura e personalità, PioXII lo nomina nunzio apostolico inFrancia, dove avrà l’incarico di con-tribuire a risolvere problemi delicatidi rapporti tra lo Stato e la Chiesacon una personalità forte e autorita-ria come il generale De Gaulle. Gra-zie alla finezza della sua azione di-plomatica ed al suo carattere apertoe disponibile riuscì ad ottenere risul-tati veramente importanti. Nel 1953Pio XII lo nomina Cardinale e patriar-ca di Venezia. Lo toglie da una lungavita spesa nella diplomazia vaticanaper fargli sperimentare l’attività pa-storale diretta. Finalmente AngeloGiuseppe Roncalli che aveva so-gnato fino da ragazzo di poter esse-re parroco, magari di campagna,può coronare il suo desiderio dedi-candosi in maniera piena all’attivitàdi Pastore che prediligeva.A Venezia rimarrà il ricordo di que-sto patriarca vicino alla gente, cheviaggiava sul vaporetto che cammi-nava per le strade fermandosi achiacchierare con tutti coloro cheincontrava, con i gondolieri, acca-rezzando i bambini, visitando gliammalati. Il 28 ottobre 1958 vieneeletto Papa. Occorreva, dopo il lun-go, impegnativo e grande pontifica-to di Pacelli mettere un uomo chefacesse da cuscinetto tra il grandepontefice defunto ed un altro chepotesse essere all’altezza di talesuccessione. Occorreva un Papa ditransizione. Così si diceva. Si com-porta completamente all’opposto diun papa di transizione. Amabile nei

modi e negli approcci ma deciso nelcondurre la Chiesa sulle nuove stra-de che indicava lo Spirito. Scevroda manie di grandezza e di potereumano si interessa subito degliumili e dei poveri, di quanti sonomartoriati nell’anima e nel corpo.Eccolo ad aumentare lo stipendiodei giardinieri ed operai vaticanidecurtando quello delle alte sfereprelatizie.Eccolo andare di testa sua senzaconsultare nessuno all’Ospedaledell’Infanzia Bambin Gesù di Romaper far Natale con i bimbi sofferenti.Eccolo visitare i carcerati di ReginaCoeli. Eccolo prendere contatti conRussia e America scongiurando unnuovo conflitto che avrebbe avutoesiti disastrosi per l’umanità. Comenon ricordare l’incontro con il pri-mate della Chiesa Anglicana Geof-frey Fisher (erano quattro secoliche i capi delle due Chiese non siparlavano più). L’apertura nei rap-porti con Kruscev permette la libe-razione dalle prigioni della Siberiadel capo della Chiesa Orientale cat-tolica ucraina Mons. Slipiy.Sarà il primo Papa dopo oltre un se-colo ad uscire da Roma per andarepellegrino ad Assisi e a Loreto. Ma ilfatto più sconvolgente l’indizionedel Concilio Ecumenico Vaticano IIche lascia muti ed allibiti i cardinalidi Curia convocati in fretta e in furiain San Paolo fuori le Mura in quel 25gennaio 1959. Ma cosa si era mes-so in testa questo vecchio settanta-settenne messo lì per tirare avantitranquillamente in attesa di passarela mano ad un altro. Un Concilio dicui vedrà l’inizio, ne intuirà la dire-zione che oltrepassava le sue stes-

se attese, ma non vedrà la fine. IlConcilio andrà avanti per oltre dueanni dopo la sua morte che avverrànel quieto e soleggiato vespero del3 giugno 1963, causata da un can-cro allo stomaco doloroso e croci-figgente che non gli toglierà la forzae la lucidità di offrire la sua vita per ilbuon esito del Concilio.Paolo VI ne raccoglierà l’eredità econcluderà il Concilio il 7 dicembre1965. Alcune espressioni del PapaBuono rimaste impresse nella vitadella Chiesa hanno segnato la sto-ria successiva della comunità diCristo. «Dobbiamo cercare di piùciò che ci unisce che ciò che ci divi-de» e «la Chiesa è come una stanzarimasta chiusa per troppo tempo.Bisogna aprire le finestre perchéesca l’odore di muffa e di chiuso edentri aria nuova». Se i Papi succes-sivi hanno potuto far scelte ardite,impensabili fino a poco prima è per-ché Papa Giovanni XXIII ha apertola strada, sfatando definitivamentela fama di contadino sempliciottocon vocazione di povero parroco dicampagna.La Pasqua di Cristo inonda di luceimmortale quell’uomo, quel sacer-dote, quel Vescovo di Roma che hatracciato nuovi sentieri attraverso iquali la Sposa di Cristo può portareil Vangelo del suo Signore all’uomotravagliato del nostro tempo.

«Tornando a casatroverete i bambini, date loro una carezzae dite: questa è la carezza del Papa»

A tutti i Parrocchianied ai lettori de l’Artugnai migliori auguri di una lietae Santa Pasquanel Signore Risorto.

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4

la ruota della vita

[]

IMPORTANTE

Per ragioni legate alla normativasulla privacy, non è più possibile averedagli uffici comunali i dati relativial movimento demografico del comune(nati, morti, matrimoni).Pertanto, i nominativi che appaionosu questa rubrica sono solo quelliche ci sono stati comunicatidagli interessati o da loro parenti,oppure di cui siamo venutia conoscenza pubblicamente.Naturalmente l’elenco sarà incompleto.Ci scusiamo con i lettori.

Chi desidera usufruire di questa rubricaè invitato a comunicare i dati almeno ventigiorni prima dell’uscita del periodico.

NASCITEBenvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di...

Giorgia Lionello di Cristian e di Milena Bocus – FontanafreddaGaia Cosmo di Tomas e di Maria Candia – FontanafreddaAlessandro Grassi di Ivan e di Yurima Sanchez – DardagoGiorgia Poletti di Marco e di Giovanna Tagliapietra – DardagoNoemi Polese di Natalino e di Olivia Todone – BudoiaGaia Sogne di Marco e di Chiara De Robertis – Brugherio (Milano)

MATRIMONIFelicitazioni a...

Nozze d’oro

Gioconda Carlon e Pietro Del Maschio – BudoiaLuigia Bocus e Tiziano Basso – Dardago

LAUREE, DIPLOMIComplimenti!

Cristina Lauritano – Scienze dell’Educazione – Santa LuciaMarcello Callegari – Paesaggio, parchi e giardini – BudoiaAlice Zardo – Laurea Magistrale in Traduzione e Mediazione culturale – Dardago

DEFUNTIRiposano nella pace di Cristo.Condoglianze ai famigliari di…

Ornella Fabbro di anni 60 – DardagoNapoleone Soldà di anni 80 – Santa LuciaDante Falcon di anni 67 – Santa LuciaTeresina Romanin di anni 90 – Santa LuciaDosolina Pagnin di anni 90 – Santa LuciaClelia Cominotto di anni 82 – BudoiaSanta Carlon di anni 102 – VigonovoMirella Zambon di 77 anni – MilanoGiovanni Zambon di anni 77 – SacileBattista Lachin di anni 85 – Santa LuciaLuigia Ianna di anni 87 – DardagoSanto Zambon di anni 91 – LondraSauro Zambon di anni 87 – DardagoDon Bruno Della Rossa di anni 75 – AvianoFrida Luisa Rizzo di anni 75 – BudoiaGastone Penso di anni 88 – BudoiaAngela Maria Bosco di anni 74 – BudoiaTiziano Biasi di anni 77 – BudoiaTeolindo Zambon di anni 89 – Torino

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131anno

XLII

I · aprile 2014

sommario

2 Adotta un libredi don Maurizio Busetti

2 La lettera del Plevàndi don Maurizio Busetti

4 La ruota della vita

6 L’orsoglio nelle ciase dei Fort Salutedi Roberto Zambon

8 Qualche novità sui taiapiera Antonelli di Alessandro Fadelli

Periodico della Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia

In copertina.

L’aquila del cippo di Val de Croda,il nostro personale omaggio agli Alpinidi cui si celebra, a Pordenonenel mese di maggio, l’87a Adunata Nazionale.L’aquila infatti – sintetizzata dalla relativa pennaportata sul cappello alpino – è da sempreil simbolo che li caratterizza.L’origine è antica: emblema di forzae temerarietà, nella tradizione classica eraconsiderata come l’unico animalein grado di fissare il sole senza abbassaregli occhi e ritenuta addirittura sacraper i latini laddove era descritta come «fedeleinterprete dei voleri di Giove». Diventò insegnamilitare proprio in epoca romana quandosi coniò il motto «un’aquila per legionee nessuna legione senz’aquila»; la sua figuracon ali spiegate e folgori tra gli artigli campeggiòsu drappi, elmi e corazze. Relegata a semplicesimbolo araldico nelle epoche successivefu poi ripresa proprio dagli Alpiniche vi intravidero l’emblema del loro dominiosulle vette. Si dice infatti che «gli alpini arrivanoa piedi là dove giunge soltanto la fede alata».

Autorizzazione del Tribunale di Pordenonen. 89 del 13 aprile 1973Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96.Filiale di Pordenone.

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione diqualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza ilconsenso scritto della redazione, degli autori e deiproprietari del materiale iconografico.

Direzione, Redazione, Amministrazionetel. 0434.654033 · C.C.P. 11716594

Internetwww.artugna.blogspot.com

e-mail [email protected]

Direttore responsabileRoberto Zambon · tel. 0434.654616

Per la redazione Vittorina Carlon

Impaginazione Vittorio Janna

Contributi fotograficiArchivio de l’Artugna, Gionata Asti,Pietro Janna, Vittorio Janna, Marco Tabaro,Diego Zambon, Francesca Romana Zambon,Valentino Zambon Ite

Spedizione Francesca Fort

Ed inoltre hanno collaboratoFrancesca Janna, Espedito Zambon

StampaSincromia · Roveredo in Piano/Pn

10 Un cippo per Giovanni Battista Soldàdi Mario Bolzan

12 Lettera da Kaschaudi Roberto Zambon

13 Una generazione che… c’è ancoradi Carlo Salvagno

14 Un sogno divenuto ora realtàdi Mario Povoledo

15 Amicizia alpinadi Giancarlo Bianchi

16 10 febbraio, giorno del Ricordodi Liliana Zambon Minca

18 La restauratrice dei paramentiecclesiasticidi Gabriella Panizzut

...a sei anni imparai...di Noemi Alberta Panizzut

21 Un «giallo» di successo: lo zafferanodi Dardagodi Vittorio Janna Tavàn

24 Orgoglio dardaghese. Grazie, Flavio!di Adelaide Bastianello Thisa

26 Legame ancora vivo tra le due cittàdi Giulia Tabaro

28 Persone veramente specialidi Valentino Zambon Ite

29 Un’oasi in un deserto di sofferenzadi Pietro Janna Theco

31 ...«Se vedhón a le nove da Nino»di Sante Ugo e Vittorio Janna Tavàn

33 and... the winner is... Francesca Cimadi Francesco Guazzoni

34 L’angolo della poesia

35 Per la santificazionedi Papa Giovanni XXIIIdi Osvaldo Puppin

36 Collis ChorusConcerto del cuore

di Bruno Fort

37 ’N te la vetrina

38 Lasciano un grande vuoto...

41 Cronaca

44 Inno alla vita

45 I ne à scrit...

46 Palsa e bilancio

47 Programma religioso

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6

el numero 130 de l’Artugna,pub blicato lo scorso Natale, ab-biamo dedicato grande spazioall’orsoglio alla bolognese, costrui-to a Dardago tra il 1669 e il 1670.Fu il primo esemplare di questo ti-po costruito in Friuli.Nell’ articolo era stata formula-

ta l’ipotesi che la sua ubicazionefosse in corrispondenza delle Cia-se dei Fort Salute poste di frontealle scuole elementari del paese. Quelle case sono molto anti-

che. Reddi Fort (1958), l’ultimodella famiglia ad abitarvi, ricordache la nonna gli diceva che sul

vecchio arco, ora demolito, lachiave di volta riportava una datadel ’600.L’ipotesi sopra esposta ha sti-

molato la memoria di Reddi cheha ricercato tra le vecchie fotogra-fie e ha ripensato ad alcuni interro-gativi che ora possono, finalmen-te, trovare risposta.In famiglia spesso si chiedeva-

no a cosa potesse essere servito ilpalo di castagno, di circa 6 metri,utilizzato per sostenere il tetto so-pra le scale, ma che era preesi-stente alla costruzione. Inoltre, nelle vicinanze del palo,

a un paio di metri di distanza e auna profondità di circa 50 centi-metri, furono trovati alcuni basa-menti a cui nessuno sapeva dareun significato.Considerati questi elementi e il

fatto che i basamenti si trovanodue metri sotto il piano stradale, sipuò ritenere molto plausibile l’ipo-tesi che l’ubicazione del primo or-soglio friulano fosse proprio inquesto sito.Il palo di oltre 6 metri costituiva

l’albero centrale a cui era collegatala giostra del filatoio composta damontanti, piani inclinati, aspi, roc-

l’orsoglio nelle ciase de i di Roberto Zambon

1

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N

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Foto 1. Mappa datata 1775 in cui viene indicatol’Edifficio da Orsoglio investito al q.m SimonFollini l’anno 1670: 27 Febbraio giusto il Dise-gno di Francesco Alberti 15 Dicembre 1669.Il ruial, dopo aver sceso l’attuale via San Tomè,allora chiamata via dei Zamboni, costeggiava lapiazza e, appena iniziata l’attuale Via Brait, l’at-traversava per portare l’acqua all’orsoglio chesi trovava nelle case a lungo abitate dai FortSalute.

Foto 2. Particolare del filatoio Monti di AbbadiaLariana (Lc). Si notano i rocchetti e gli aspi. Il filodei rocchetti, passando per una serie di guidafiliveniva sottoposto a trazione e torsione e poiraccolto sugli aspi, pronto per essere filato.L’orsoglio preparava vari tipi di filati per trame eorditi. Il più famoso era l’organzino: un ordito ot-tenuto dalla torsione congiunta di due fili pre -cedentemente torti separatamente.

Foto 3. Il filatoio di Abbadia Lariana vistodall’al to. La ruota idraulica, posta nello scanti-nato, muoveva in senso antiorario l’albero a cuiera collegata la giostra. Questa era formata damontanti verticali, da piani inclinati – chiamatiserpi – da ingranaggi, aspi, rocchelli.L’albero faceva girare anche l’incannatoio postoal piano superiore. Questo serviva per trasferireautomaticamente il filo di seta, arrivato dalle fi-lande, ai rocchetti. Il torcitoio poteva lavoraresolo fili avvolti in rocchetti.

Foto 4. Le ciase dei Fort Salute, come ap paio -no attualmente. L’edifficio da orsoglio era il fab - bricato basso (secondo da sinistra).

Foto 5. Cortile dei Fort Salute. L’antico palo uti-lizzato per sostenere il tetto. Alla sua base sonostati rinvenuti alcuni antichi basamenti.

Foto 6. La bisnonna di Reddi Fort, Anna Busetti(1877), moglie di Luigi (1874), nel cortile dei FortSalute. Alle sue spalle si nota il lungo palo chefungeva da albero centrale dell’orsoglio.

Foto 7. I Fort Salute hanno abitato queste casefino al 2003. Nella foto, Luigi (1930) e Lilliana(1929), figli di Giovanni e di Vincenza Bocus chesi intravvede sullo sfondo con una bambina nonidentificata.

1. Vedi l’Artugna n. 130, dicembre 2013,pagg. 6-9.

NOTE

Fort Salute

chelli, fusi ecc. La sua altezza dioltre 6 metri corrisponde a quelladel torcitoio e dell’incannatoio1

che erano situati su due piani delfabbricato. I resti dei basamenti erano,

molto probabilmente, la base sucui poggiava tutta la complessamacchina la quale era azionata dauna ruota idraulica a cassette ali-mentata dall’acqua del ruial. Il sal-to di un metro e mezzo dalla stra-da era sufficiente per azionare ilmeccanismo.Finalmente, dopo molto tem-

po, con individuazione del edifficio

da orsoglio, si può aggiungere unfondamentale tassello per la co-noscenza di un’importante paginadi storia della nostra comunitàscritta da Simone Fullini quasi 350anni fa.

Notizie tecniche e foto tratte da «Scuolaof-ficina» Periodico di Cultura Tecnica, Annosettimo, n. 2, luglio 1988 (Bologna).

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di Alessandro Fadelli

qualche novità

ulla famiglia dardaghese degliAntonelli, valenti taiapiera (o scal-pellini, o lapicidi che dir si voglia)attivi fra Sei e Ottocento, molto si ègià scritto: penso soprattutto all’ar-ticolo di Vittorina Carlon Gli Anto-nelli, lapicidi dardaghesi, apparsone l’Artugna n. 99 dell’agosto del2003, pp. 9-13 (poi ristampato an-che in Paesi di pietra, Budoia2006, pp. 42-47), nel quale si deli-neava un quadro dettagliato dei la-vori sicuramente o probabilmenteattribuibili a vari membri della fami-glia e si stendeva un ampio alberogenealogico che andava dal capo-stipite seicentesco Bernardin (Be-din) agli ultimissimi nati in paese,fra il 1867 e il 1874 (la famiglia si èpoi estinta, almeno a Budoia); pen-so anche all’accurata scheda, re-datta sempre dall’amica Vittorina,che è comparsa alle pp. 148-150del libro Storia di Budoia, da mecurato nel 2009 per la Bibliotecadell’Immagine di Pordenone. GliAntonelli erano artigiani, ma megliosarebbe dire artisti, della pietra che

hanno lasciato tracce della loroabilità in diversi manufatti non solonel comune di Budoia, ma anchein altre località del Friuli Occidenta-le, da Marsure a Domanins, daManiago a Rauscedo (il loro cata-logo è comunque di sicuro desti-nato ad essere arricchito in futuro);sono entrati così a buon diritto nel-la lunga e gloriosa serie di scalpelli-ni pedemontani che per secolihanno onorato con il loro mestiere ipaesi d’origine e arricchito di opered’arte il Friuli, e non solo.L’occasione per riprendere qui il

discorso sugli Antonelli viene da al-cune piccole novità documentarie,casualmente apparse di recentedurante ricerche archivistiche sututt’altri argomenti oppure riemer-se da vecchi studi. Le prime tre so-no semplici aggiunte e precisazionial già citato albero genealogicodella famiglia; un albero a dir il veropiuttosto intricato per la mancanzadi alcuni dati anagrafici e per la ri-petuta presenza degli stessi nomidi battesimo nelle varie generazio-

ni, come ben si vedrà anche nellerighe che seguono. Sulla scortadei nuovi documenti reperiti, pos-siamo dunque affermare che Ma-ria, sesta di otto tra figli e figlie diGiambatta (Gio Batta o Battista)Antonelli, nata a Dardago il 29maggio 1761, era andata in sposapoco lontano da casa ad AngeloSantin Buset del fu Osvaldo diMezzomonte, nato a sua volta nel1757, e con lui aveva avuto dei fi-gli, fra i quali Angelo, nato nel1786, e Antonio, nato nel 1790.Secondo una dettagliata anagrafeparrocchiale polcenighese, Mariaera ancora viva e residente a Mez-zomonte intorno al 1812 con il ma-rito e i due figli maschi, evidente-mente non ancora sposati.1

Un’altra omonima Maria Anto-nelli si era invece maritata conFrancesco Fregona di Coltura emoriva a 65 anni il 24 agosto 1843nella frazione polcenighese. Que-sta seconda Maria era figlia del fuDomenico e della fu Lucia Pereldadi Aviano (in altri documenti detta

sui taiapiera

S

Taiapiera al lavoro in un disegno settecentesco.

Antonelli

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Lucia Spagnol, forse per via di unsoprannome di famiglia).2 Non ri-sulta però nel predetto albero ge-nealogico: a meno di un clamoro-so, ma non impossibile, abbaglioanagrafico del parroco, non sem-brerebbe infatti essere quell’AnnaMaria nata nel 1771, che nel 1843avrebbe dovuto avere ben 72 anni,e non soltanto 65.Il 17 aprile 1800 muore invece

sicuramente a Marsure, dove vive-va ormai da lungo tempo, Zuanne(Giovanni) Antonelli, zio di entram-be le Marie appena viste.4 Era nato55 anni prima, il 10 ottobre 1741, aDardago, decimo e ultimo figlio diAnzolo (Angelo) e di Valentina San-tin: proprio quell’Anzolo che intor-no al 1751 aveva realizzato un al-tare dedicato al Rosario per lachiesa di San Lorenzo di Marsure,mentre il figlio Gio Batta/Battista,

fratello maggiore di Giovanni e pa-dre della prima Maria, vi avevasvolto altri lavori in pietra (sull’altaremaggiore?) presumibilmente fra il1755 e il 1767.4 Nel vicino paesepedemontano Giovanni Antonellis’era accasato nel 1769 con Gio-vanna di Daniele Puppat detto Pe-retto di Costa di Aviano.5 Nell’attodi morte si segnala infatti che Gio-vanni risultava «erede Peretto diCosta». Non abbiamo per ora noti-zie tali da far credere che abbia an-che lui intrapreso l’arte lapicida pa-terna e familiare, e tanto menopossediamo traccia di sue even-tuali opere, ma non è da escludereche si fosse anch’egli incamminatosulla stessa strada.Sicuramente quella strada ave-

va seguito invece Domenico, fra-tello maggiore di Giovanni e padredella seconda Maria più indietro ci-

tata, quella che s’era sposata conun Fregona: lo sappiamo dal suoatto di morte, avvenuta per causesconosciute a Sacile il 17 novem-bre 1782, nel quale Domenico èdefinito chiaramente come «tagliapietra», con l’interessante precisa-zione da parte del parroco sacileseche il decesso era accaduto«mentre lavorava in Ca Doro».6 IDoro erano allora una delle più ric-che e prestigiose famiglie di Sacile,pur se diventata nobile solo assaitardivamente, verso la metà delSettecento; vi uscirono fra l’altroproprio in quel secolo due noti me-dici, ossia Leonardo, attivo e fa-moso anche a Venezia (fu lui il pri-mo della sua casata a esserenobilitato), e il figlio Francesco(1712-1789), a lungo stimato me-dico condotto a Sacile.7 Non sap-piamo con certezza su quale edifi-cio sacilese appartenente ai Dorolavorasse Domenico Antonelli almomento della sua scomparsa.Possiamo però ipotizzare che fos-se impegnato nella decorazione la-pidea, interna o esterna, del belpalazzo con doppia balconata etimpano triangolare ancor oggi vi-sibile sulla destra di Via Garibaldi,poco dopo l’ex chiesa di San Gre-gorio e prima di Piazza IV Novem-bre, già dei nobili veneziani Tiepoloe più tardi passato ai Vazzoler,piuttosto che nell’altra residenzadei Doro, ossia il palazzo in Piazzadel Popolo poi andato ai Pegolo.8

Forse – ma siamo sempre nelcampo minato delle ipotesi... –c’era anche qualche altro familiareal lavoro insieme a lui con mazze escalpelli per abbellire la residenzadei Doro.Domenico, anche lui figlio di

Anzolo e fratello maggiore di Gio-vanni, era nato a Dardago il 13gennaio 1728 e aveva dunquequasi 54 anni al momento dellamorte a Sacile, cittadina nella qua-le – si passi l’inciso – trovarono piùvolte lavoro in quel secolo vari ca-pimastri e muratori budoiesi, i Car-dazzo Martin su tutti, sia in edificireligiosi che, probabilmente, in abi-

La chiesa di San Lorenzoa Marsure in un’immaginerisalente al 1930 circa(da G. Tassan-M. Tassan Toffola,Dient e claps. Gente e sassi,Marsure 2005, p. 55).

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di Mario Bolzan

Posa del Cippo in memoria di Giovan Battista Soldà(detto Tita Maniach) sul monumento ai caduti di Santa Lucia

1. Archivio Parrocchiale di Polcenigo, Statodelle anime, anno 1812 ca.2. Ivi, Registro morti ecclesiastico 1812-1845, ad annum.3. Archivio Parrocchiale di Marsure, Regi-stro morti 1766-1822, ad annum. Nel Set-tecento risultano stabilmente residenti aMarsure anche altri Dardaghesi, come unGiovanni Zambon, più volte ricordato nellaprima metà del secolo, e un certo mistroGiovanni Boz (o Bozzo), menzionato nel1745.4. Cenni invero non proprio chiarissimi sudi lui e sul suo operato nella chiesa di SanLorenzo si trovano in G. TASSAN, Sot Tama-

NOTE

rethe. Marsure e l’Avianese nei secoli, Mar-sure 2000, p. 108; cfr. anche Aviano. Gui-da artistica, a cura di G. BERGAMINI, FiumeVeneto 1994, p. 95, con informazioni inparte diverse. Su tali opere sta comunquesvolgendo ricerche più approfondite Vittori-na Carlon.5. Archivio Parrocchiale di Marsure, Regi-stro matrimoni 1752-1790, ad annum.6. Archivio Parrocchiale di Sacile, Registromorti 1737-1793, ad annum.7. Per la famiglia Doro cfr. Nobili di Sacile(1481-1797). Momenti di vita pubblica eprivata tratti da documenti d’archivio, cata-logo della mostra a cura di N. ROMAN, Saci-

le 1994, soprattutto pp. 146-147; sui duemedici cfr. A. FADELLI, Medici a Sacile e Pol-cenigo nel Settecento, in Circolo Vittoriesedi Ricerche Storiche, Aspetti della sanitànelle Prealpi venete, atti del convegno (Vit-torio Veneto, 26 maggio 2012), Vittorio Ve-neto 2012, pp. 319-350.8. Sul palazzo in Via Garibaldi vedi ancheN. ROMAN, Benvenuti a Sacile. Guida stori-co-artistica della città, Godega di S. Urba-no 2001, p. 62.9. Cfr. A. FADELLI, I «taiapiera», il sarto e glialtri, l’Artugna, XXVIII (1998), 83, pp. 7-8.10. Archivio Parrocchiale di Sacile, Regi-stro morti 1737-1793, ad annum.

Palazzo Doro in Via Garibaldi a Sacile.

un cippoper Giovan Battista Soldà

Il 15 dicembre si è svolta la festadi Santa Lucia di Budoia conla consueta processionedella Santa portata a spalla perle vie del paese. Il pomeriggio èstato rallegrato anche da unacarrozza trainata da due cavalliche ha trasportato bambinie adulti in giro per il paese finoall’imbrunire. Durante la festa, alle ore 11,accanto al monumento ai cadutidi Santa Lucia della GrandeGuerra è stato posto un cippo,patrocinato dal Comune

tazioni private, magari talvolta inteam con i compaesani lapicidi.9 Edove – ci sia concessa un’ulterioredigressione – nel maggio del 1748aveva trovato la morte, sempre percause ignote, anche un altro dar-daghese, il trentottenne Giovannidi Battista Zambon, forse anche luial lavoro – quale? – in riva alla Li-venza, poi sepolto come altri fora-stieri nella chiesa oggi sconsacratadi San Gregorio.10

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di Budoia, in onore dell’autore delmonumento: lo scultore GiovanBattista Soldà detto Tita Maniach.Sul cippo oltre alle date di nascitae morte dello scultore è riportatala dicitura «Un uomo dal carattereforte, vissuto sempre in povertàe libertà di pensiero».Alla posa del cippo hannopartecipato le autorità delComune di Budoia, unadelegazione degli alpini delGruppo di Budoia e molti cittadinipresenti. Dopo un breve discorsoin memoria, da parte didon Maurizio e del sindacoRoberto De Marchi, ha presola parola la figlia di Tita Maniach,Maria Soldà di 83 anni. Mariaha ringraziato le autorità e tuttii presenti e ha ricordato la figuradel genitore raccontando ancheun aneddoto: aveva circa setteanni quando Tita Maniach realizzòl’opera e lei osservandolaespresse ingenuamente il suodisappunto al padre scultoreperchè trovava sproporzionatala mano e innaturale la posizionedella stessa. Tita Maniach spiegòalla figlia in modo paterno eartistico che la sculturarappresentava un giovane conla mano protesa alla ricerca

Lo scultore Giovan Battista Soldà detto Tita Maniach.

monumento ai caduti di SantaLucia (a cura di Corrado Besa).Benché in passato (nell’87e 2004) l’Artugna abbia giàpubblicato parte della descrizionedelle opere dell’artista e della suavita, riportate anche nelpieghevole, si ritiene che questaoccasione sia propizia peruna nuova pubblicazione ancheper ricordare nuovamente l’illustrescultore nonché nostroconcittadino e la sua operaegregia del monumento ai cadutidella Prima Guerra Mondialedi Santa Lucia.

di disperato aiuto in quanto stavamorendo. Inoltre, era un uomoforte e di osservare bene quantoera grosso il ginocchio, l’addomee la testa e che quindi tutto era inproporzione.Maria Soldà, entusiasta dellagiornata, ha poi offerto unrinfresco a tutti i presenti pressol’Auser di Santa Lucia.Per l’occasione è stato distribuitoai presenti un pieghevole, semprepatrocinato dal Comune diBudoia, dove è riportata una fotodell’artista, la sua storia, le sueopere e un breve saggio sullasua opera coraggiosa relativa al

Il monumento ai caduti.

La figlia dello scultore con il sindaco Roberto De Marchi.

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di Roberto Zambon

lettera da Kaschau

Kaschau,1 sabato 12 marzo 1881.Antonio Parmesan Danùt, scalpel-lino dardaghese, da molti anni èimpegnato nel cantiere del duomo2

della città.Dopo una giornata di lavoro si è

riproposto di rispondere a una let-tera al figlio Francesco. Era arrivatada qualche giorno ma Antonioaveva atteso la sera di sabato perprendere carta e penna. Aveva bi-sogno di tempo per pensare alla ri-sposta perché l’argomento eramolto importante.Francesco, infatti, gli aveva an-

nunciato l’idea di sposarsi e Anto-nio era molto preoccupato.

1. Kaschau è il nome tedesco di Košice,importante città della Slovacchia orientale.2. Forse si tratta della Cattedrale di SantaElisabetta che è la più grande chiesa del

NOTE

Aveva dormito poco, le nottiprecedenti. Pensava e ripensavacontinuamente alla sua vita vissutalontano dalla famiglia. Si era spo-sato con Maddalena Ianna e avevaavuto due figli, Francesco nel 1858e Giuseppe tre anni più tardi. Il suomestiere di scalpellino lo tenevalontano da Dardago. Di tanto intanto ritornava a casa portandocon sé la pesante cassetta degliattrezzi. Non aveva potuto godere la

crescita dei figli: da qualche tempoFrancesco lo aveva «sostituito» co-me uomo di casa. Ora aveva 23anni. La volontà del primogenito disposare la «morosa» Santa Zam-bon lo aveva turbato. Era preoccu-pato che questo passo potessedistrarre Francesco dall’assistenzaverso l’anziana madre e il giovanefratello. E poi… la casa non era ab-bastanza grande per una nuovafamiglia!Non era molto facile, per Anto-

nio, mettere per iscritto queste suepreoccupazioni!

LA MEMORIA DELL’EMIGRAZIONE

«[…] Io, per ora, non posso essere

molto d’accordo del tuo pensare e della

tua scelta […] ti dico ancora di riflettere

[…] bisogna fare come i merli che appa-

recchiano il nido, perché il mio nido ser-

ve per me… bisogna, secondo me, fab-

bricare la stalla e avere il comodo della

camera […] non pensare che io provve-

da. Intanto rifletti il tutto e poi mi farai

vedere il tuo disegno.

Frattanto ti saluto e sono tuo padre. An-

tonio Parmesan».

Quando scrisse la lettera, Anto-nio aveva quasi 60 anni: lavorò aKaschau almeno fino al 1887,quando in occasione del Giubileodei lavori del Duomo venne pre-miato con un diploma e cinquemonete d’oro da venti Franchi.Francesco e Santa si sposaro-

no e ebbero tre figli: Anna (1884),Antonio (1887) e Rosa (1890).Seguendo le orme del padre,

lavorò a Venezia come scalpellino.

Paese e la cattedrale gotica più orientaled’Europa. Fu molto danneggiata da un ter-remoto nell’anno 1834. Seguirono lunghilavori di restauro.

Notizie di Francesca Catullo, nipotedi Antonio (1887).

Il diploma rilasciato ad Antonio Parmesan.

L’alto Ministero / regio unghereseper la cultura e l’istruzione / dispone sub Z 4.905 del 22.2.1887che allo scalpellino / Parmesan Antonioin occasione del suo / 50° giubileo / in qualità di scalpellinovengano consegnate / 5 monete d’oro da 20 franchi

Cantiere del Duomo di Kaschau, 5 marzo 1887la Direzione lavori del Duomo

A sinistra. Alcuni dei preziosi àrtes di Antonio Parmesan e la sua inseparabile cassetta.All’interno sul coperchio, si può ancora leggere parte dell’elenco originario del contenuto... punte 51...34 fini, bocciarde 8, martelli 15, mazzette 4...

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di Carlo Salvagno

STORIE DI FAMIGLIE

una generazione che… c’è ancora

Questa (a destra) è l’ultima fotoscattata insieme ai quattro fratelliLachin Maria (Anna), Lucia, Gepe eGioconda probabilmente aPolcenigo negli anni ’90.Completa la serie la foto (a destra)della generazione che… c’èancora:(da sinistra) Renato Sfriso e PaoloSfriso (figli di Maria), Silvana eCarlo Salvagno (figli di Gioconda),Claudio Lachin (figlio di Gepe)e Roberto Sfriso (figlio di Maria).In quattro siamo nati Santa Luciamentre Re nato e Roberto sonoveneziani. Abitiamo un po’ sparsifra Venezia, Mestre, Marcon,Padova e addirittura Perugia,abbiamo tutti famiglia e figlie le nostre vite.Ma portiamo tutti il paese dellenostre radici nel cuore.

Nonna Paolina Monego. Nonno Valentino Lachin.

Sul numero 130 de l’Artugna èstato pubblicato a pagina 24un articolo di mio cugino PaoloEmilio Sfriso: «una generazione chenon c’è più».Desidero completarele informazioni con la foto di nonnoValentino Lachin morto agli inizidegli anni ’30 e di nonna PaolinaMonego morta a Venezianel 1977. A Venezia si eranoconosciuti dove lavoravano, comesi usava a quei tempi, pressol’Albergo Bonvecchiati.

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di Mario Povoledo*

Adunata Nazionale

ra da tempo che il Presidentedella Sezione di Pordenone, Gio-vanni Gasparet, spronato dalle au-torità regionali, provinciali e cittadi-ne e da svariati Sindaci dellaProvincia, coltivava il sogno ora di-venuto realtà: l’87a Adunata Nazio-nale si tiene, finalmente, a Porde-none. Chi non vive la nostra realtàassociativa, non ha la più pallidaidea di cosa significhi per un Alpi-no, la partecipazione alle nostreAdunate e ai raduni: è l’apoteosidi un impegno, quasi uno sfogo li-beratorio che viene dai nostri circa400 mila soci.L’Associazione è di carattere

militare ma fortemente ancorata epresente nella realtà nazionale e lo-cale. Noi Alpini – dopo i vari frontidi guerra: Africa, Grecia-Albania,Russia, Libano, Sarajevo, Afghani-stan, dove sono morti migliaia dinostri giovani – siamo, ora, impe-gnati su fronti creati dalle calamità,più o meno naturali, e dall’incuriadell’uomo.Terremoti e alluvioni sfigurano la

geografia di questa bella Italia chenoi non ci vergogniamo di chiama-re Patria, con la P maiuscola, e perla quale siamo sempre pronti a do-narci con il volontariato più genui-no, mettendoci nostri valori, quellidella solidarietà alpina, riconosciutied apprezzati anche all’estero.Fatta questa doverosa premes-

sa, l’ospitale città di Pordenonecon la sua provincia è pronta a ri-cevere con le braccia aperte 300-400 mila fra iscritti e loro famigliari,

aspetta sempre qualcosa da noi enoi, sempre pronti, ricambiamoquesto affetto con il sorriso, l’one-stà, la nostra cristallina amicizia.L’Adunata Nazionale è anche

occasione di stringere le mani adAlpini Italiani ed Esteri, è un mo-mento di vera fraternità. Noi delGruppo di Budoia, rinnoveremo ilnostro gemellaggio con Milano-Crescenzago, il Gruppo che ci havisti affratellati dopo la catastrofedel terremoto che sconvolse il Friulie anche con gli amici di Col SanMartino, Sezione di Valdobbiade-ne. Anche a Budoia, nel nostropiccolo, respireremo a pieni pol-moni l’aria di festa che vivrà la cittàdi Pordenone, i vari momenti di al-legria sana li offriremo anche ai no-stri compaesani. Già sin d’ora li in-vitiamo ai vari appuntamenti. Lenostre piazze saranno imbandiera-

degli Alpinia Pordenone

in un clima di gioia, di festa. Qual-che disagio, sicuramente ci sarà,basti pensare alla viabilità cittadinache cambierà per poter permette-re alla lunga teoria di uomini e don-ne di poter liberamente muoversi. L’Adunata ha anche un costo,

ma il ritorno nelle nostre realtà saràampiamente compensato. Già,perché noi Alpini siamo abituati adandare alle nostre feste, ai nostriraduni, pagando di tasca nostra.Non abbiamo nessun Ente a cuigirare gli eventuali scontrini fiscali,mettendo in risalto una emergentee pietosa realtà che stiamo viven-do in ogni regione d’Italia, conesempi poco edificanti da parte dimolti politici e che dopo devonopur giustificare e rendere amara-mente conto.Noi Alpini siamo fatti così e l’Ita-

lia ci vuole bene e ci segue, si

87a

E

un sogno divenuto ora realtà

Cerimonia per la consegna dell’aula delle ex scuole di Dardago come sede del Gruppo.Al centro, il vice sindaco Pietro Janna e il Capo Gruppo Mario Andreazza.

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TRA BUDOIA E MILANO-CRESCENZAGO

Gli ormai consolidati rapportidi gemellaggio, del quale siamoonorati e fieri, a suo tempoinstaurati con il Gruppo Alpini«Bepi Rosa» di Budoia, ci fannoaderire, con vivo piacere, al vostroinvito di completare con un nostrobreve scritto quanto da voidedicato agli Alpini su l’Artugna,sempre presente nella nostra sedesul tavolo della «stampa alpina».Il nostro Gruppo Alpini MilanoCrescenzago è stato inauguratoil 23 maggio 1971 e intitolato alTen. Col. degli Alpini AngeloGalimberti (1881-1965) valorosocombattente nella Grande Guerra(M.A.V.M. e Croce al V.M.) e uno trai Soci Fondatori dell’A.N.A. nel 1919.Nel 1975 il nostro Gruppo haistituito il «Nucleo Tamburi»sempre presente alle varie sfilate.L’allora giovane ConsigliereLuciano Bocus, con solerziae generosità si impegnò a reclutaree istruire i vari componenti.Dopo un lungo lavoro, nelsettembre 1996 venne inauguratala Sede di via Padova, 345,realizzando il nostro sogno di unirlaalla celebrazionedel 25° anniversario di Fondazionedel Gruppo stesso. Allamanifestazione dell’inaugurazionesiamo stati molto onorati dellapresenza di una rappresentanzadel Gruppo Alpini di Budoiaguidata da Mario Povoledo

(responsabile della ZonaPedemontana di Pordenone)unitamente al Pievano di Dardagoche dopo la benedizione dei localiconcelebrò la Santa Messa e tennel’omelia. Il gemellaggio ci ha datol’opportunità di effettuarenumerose visite nei paesi delComune di Budoia con cerimoniein Val de Croda, pressoi Monumenti ecc. Non possodimenticare la generosa ospitalità(anche per i pernottamenti), unavolta addirittura accolti conil suono delle campane di Dardagocon lancio di striscioline tricolori!Non dimentichiamo l’accoglienzadei Capi Gruppo e le riunioniconviviali. Così come ricordiamo

di Giancarlo Bianchi*

con affetto le vostre visite a Milano,in occasione della tradizionaleMessa in Duomo o perla Beatificazione di don CarloGnocchi; la gradita visita dellacomitiva sezionale di Pordenonenella nostra Sede; la presenzadel Gruppo Folcloristico Artugna alnostro 15° anniversario e la graditapresenza della corale parrocchialedi Dardago nella nostra ChiesaSanta Maria Rossa.I tempi e le situazioni cambianoma la nostra amicizia alpina devesempre continuare. A presto.

te, il Tricolore lo consegneremo allenostre famiglie e già dal 26 di aprilelo esporremo alle finestre. È que-sto il benvenuto ai nostri ospiti.Sotto la Bandiera Tricolore, noi ab-biamo sempre fatto festa perché cirappresenta tutti.Benvenuti Alpini nella nostra

bella e storica realtà della destraTagliamento, porterete gioia ed al-legria in un momento di crisi plane-taria di valori e di coscienze, ove

realtà affermate che davano panee lavoro sono offuscate da questacrisi e dove, purtroppo, ci sarebbepoco da festeggiare.Ma con gli Alpini vicini, almeno

nei giorni 9-10-11 maggio avremouno squarcio di luce intensa che,speriamo, spazzi via queste densenuvole nere. Sarà una festa di popolo, che

vivremo a fianco a fianco con i Pie-montesi, i Valdostani, i Veneti, gli

Abruzzesi, i Marchigiani, i Lombar-di, gli iscritti delle Isole. Una mareafestante che porterà una grandefelicità nei nostri cuori. Il giorno do-po, passata la festa, ve lo assicuro,ci sentiremo più soli ma, statenecerti, finché ci saremo, l’Italia potràcontare su di noi.

Viva gli Alpini!

* Consigliere-Delegato ANA Zona Pedemontana

Mandi! Viva gli Alpini!

amicizia alpina

* già Capo Gruppo

Il Capo Gruppo di Milano-Crescenzago consegna una targa ricordo alla delegazione della sezionedi Pordenone. Accanto al Capo Gruppo, il Presidente della sezione di Pordenone Giovanni Gasparete il nostro concittadino Luciano Bocus.

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di Liliana Zambon Minca

Il giorno del Ricordo è stato istitui-to con la legge del 30 marzo2004, tenendo presente il Trattatodi Parigi del 10 febbraio 1947, se-condo il quale quasi tutta l’Istria,una parte della Venezia Giulia e leprovince di Zara e Fiume venneroassegnate alla Iugoslavia di Tito.Trieste fu occupata dall’esercitopopolare iugoslavo per quarantagiorni, durante i quali furono com-messe violenze di ogni genere eparecchie persone furono infoiba-te a Basovizza. Si formò poi il Territorio libero di

Trieste, diviso in Zona A, compren-dente Trieste, Muggia e Duino,sotto il controllo alleato, e Zona B,da Capodistria a Cittanova, ammi-nistrata dagli iugoslavi.Il Memorandum d’Intesa del-

l’ottobre 1954 stabilì la fine del Ter-ritorio libero di Trieste, quindi la Zo-na A passò all’Italia, mentre laZona B restò alla Iugoslavia.In un decennio 350mila perso-

ne abbandonarono la loro terraabitata da generazioni, un vero eproprio esodo, e l’abbandonarononon per fame né per il desiderio di

giorno del Ricordo

L’articolo che vi proponiamotestimonia una pagina dolorosadella storia italiana, quelladi migliaia di esuliistriani-giuliani-dalmati forzatia lasciare le proprie terre,negli anni a cavallo tra il secondoconflitto mondiale e il dopo guerra. In questo nuovo millennio, oltreall’istituzione della leggedel Ricordo, di cui vi parleràl’autrice, un altro importanteevento per gli esuli èil riconoscimento del Magazzino 18al Porto Vecchio di Trieste: nonun monumento commemorativo,ma un luogo della memoria checi parla di umili ed emozionantiresti e testimonianze,appartenuti alla quotidianitàdi una civiltà dispersa con le sueradici e tradizioni.

migliorare la loro condizione, maperché avrebbero dovuto rinuncia-re ad essere italiani.Fu questa una delle più grandi

tragedie dell’Italia del ‘900.Quindi, dieci anni fa il 10 feb-

braio è stato dichiarato il giornodel Ricordo in memoria delle vitti-me delle foibe e degli esuli che fu-rono costretti a lasciare l’Istria e laDalmazia.Purtroppo, però, tutte queste

vicende sono state taciute per de-cenni, anche perché era convinzio-ne comune che nelle foibe fosserostati gettati solo dei fascisti, comepure che gli esuli fossero fascisti. Inrealtà le violenze iugoslave si eranorivolte contro gli italiani in quantotali, antifascisti compresi, perchéessi rappresentavano un ostacoloalle mire annessionistiche di Tito.Gli italiani della Zona B, fiduciosi

di poter passare all’Italia, iniziaronopiù tardi il loro esodo. Allora io abi-tavo a Capodistria da quando ave-vo sette mesi, per cui l’ho sempreconsiderata la mia seconda patria.Capodistria è, anzi era, una bellacittadina, una penisoletta dell’Istria

Una pagina dolorosa della storia italiana

10 FEBBRAIO

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settentrionale, a venti chilometri daTrieste. Il clima è meraviglioso, nonmolto caldo d’estate, perché venti-lato, né freddo d’inverno, anche sesoffia la bora, perché Capodistria èriparata da colline, allora verdeg-gianti, coltivate a oliveti e vigneti.Trascorsi a Capodistria l’infanzia,l’adolescenza e la giovinezza. Vifrequentai la scuola elementare«Pier Paolo Vergerio» e poi il ginna-sio e liceo classico «Carlo Combi».Gli anni del liceo furono anni, in cui,data la dominazione straniera, for-te era in noi l’amor di patria, per cuicercammo di resistere alle ingiusti-zie ed alle violenze degli iugoslavinei nostri confronti. Eravamo stu-denti presso l’università di Trieste,ma non sempre ci era concesso dipoterla frequentare. Infatti, prima dipartire per Trieste, eravamo sotto-posti a lunghe ed estenuanti visiteper cui spesso il piroscafo se neandava quasi vuoto per rispettarel’orario. Ricordo di aver perso perben tre volte di sostenere un esa-me, essendo rimasta a terra.Intanto i vecchi professori della

nostra scuola se ne erano andati,

per cui il C.N.R. (Comitato di Libe-razione Nazionale) di Trieste si erarivolto a noi studenti universitari,perché facessimo domanda di in-segnare, per impedire che le no-stre cattedre fossero occupate da-gli stranieri. Io insegnai lettere aBuie e ad Isola.Ora dovrei raccontare tante co-

se del periodo vissuto a Capodi-stria sotto gli Iugoslavi, ma mi limi-to ad uno degli ultimi fatti, accadutialla fine di marzo del 1952. Entran-do in classe, i miei alunni mi disse-ro: «Guardi, cosa è successo?»Era stato tolto il Crocifisso e que-sto fatto aveva colpito molto i ra-gazzi. Ed io allora: «Giù il Crocifissoe, per quanto non si possano farparagoni, giù anche l’altro.» L’altroera il ritratto di Tito. Dopo di ciòmolte furono le minacce nei nostriconfronti, perciò decidemmo cheera giunto il momento di lasciare lanostra terra. In due giorni, il 5 ed il6 aprile 1952, ce ne andammo,senza portarci dietro niente, chiper mare, chi per terra, alla volta diTrieste con tanta paura. Paura chemi restò per molti anni. Tanto è ve-ro che di queste cose non parlaimai con i miei figli, mentre più tardiraccontai tutto ai miei nipoti. Edanche a scuola non feci cenno diquanto mi era accaduto. Soltanto

Le immagini sono tratte da cartoline d’epoca.

L’imponente Piazza Roma,una delle più belle piazze dell’anticaRepubblica della Serenissima,il cuore della cittadina con il Palazzo Pretorioo Palazzo Comunale.

La Cattedrale dell’Assunta e di San Nazariodella seconda metà del XII secolo,con la Loggia.

La penisoletta di Capodistria.

negli ultimi anni della mia carrierascolastica, in terza media, quandosi studia la storia contemporanea,raccontai qualcosa e i miei alunnimi ascoltavano attentamente, tan-to che, se la lezione di storia pre-cedeva la ricreazione, essi mi dice-vano di rinunciare al riposo ma dicontinuare ad ascoltare quantostavo loro riassumendo.Arrivata a Trieste: «Dove vado?»

mi dissi. Per fortuna conoscevouna famiglia di Budoia (i signori An-gelin con le loro tre figlie, Noemi,Norma e Maria, che ricordo conaffetto e molta gratitudine), pressola quale ci facevamo arrivare la po-sta, perché altrimenti a Capodistriace la sequestravano. Andai da lorodicendo che ero fuggita e che nonsapevo dove recarmi. La signorami disse subito che mi avrebbeospitato. E così fu. Dopo tre giorniuna mia amica mi invitò ad andareda lei perché aveva trovato in affit-to una stanza con due letti e lì ri-masi, finché si rifugiò a Trieste puremio papà, che, in seguito alla miafuga, era stato licenziato. Miamamma e i miei fratelli allora pre-sentarono domanda per poter par-tire da Capodistria, domanda chefu accolta più di un anno dopo.Così appena nel giugno del 1953ci siamo ricongiunti tutti a Trieste.

Il ginnasio-liceo Carlo Combi, già Collegio dei nobili o Ginnasio Giustinopolitano, fondatonel XVII secolo (dove svolsi i miei studi). Fu scuola di vanto nel periodo veneziano, asburgico e italiano.

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Noemi Alberta Panizzut Donisio ènata a Budoia, figlia di Riccardoe Caterina. Da piccolissima hamanifestato il piacere di cucire; perun periodo con i genitori ha abitatoa Reims in Francia, Caterinaraccontava che lì la piccoladesiderava sempre attaccarei bottoni. A sei anni imparò ariconoscere i tessuti, i tipi di aghi,i filati, dalla sua maestra, la ziaMaria Burigana (moglie di Marco),sarta provetta, che aveva lavoratoin Ruga Giuffa, a Venezia, in unaprestigiosa sartoria. Non ha potutofrequentare la scuola oltrele elementari poiché ai tempi dellasua adolescenza bisognava avereuna famiglia facoltosa per potersostenere la spesa di mandareun figlio a studiare, ma lei, come

mio padre Ernesto e le mie zieMaria e Rosina erano moltointelligenti e curiosi di tutto ciò cheli circondava. Nella famiglia c’eramio nonno Giacomo, appassionatoal melodramma, che per potervedere le opere si faceva assumerecome comparsa alla Fenice,ottenendo anche 50 centesimidi com penso. Altri amavano lapoesia, la letteratura, pur essendoscalpellini o muratori comeRiccardo (capomastro). I ragazzirespiravano questo desideriodi sapere e l’amore per i librie ascoltavano con attenzionei racconti di chi emigrava e venivaa contatto con il mondo.Alberta ha sempre dedicato il suotempo alla lettura e al cucito, haviaggiato per seguire suo marito

di Gabriella Panizzut

Umberto Boschin, prima ufficialedi marina, poi geometra in impresedi costruzioni di grandi ope re inmolte parti del mondo. Ha abitatomolti anni a Genova, dedicandosial figlio Pierluigi e alla sua,possiamo chiamarla, arte,se definiamo così ciò che provocaun’emo zione. Infatti un lavoro finito,uscito dalla sua cura e dalla suaprecisione non è solo una stoffacon dei punti che si susseguono,è qualcosa di molto più importante.Pur rimanendo molto tempoin casa, non è rimasta estraneaa quanto la circondava: parlare conlei è come aprire un’enciclopediaperchè tutti i suoi ricordi sononitidi, precisi. La fine dell’800, gliinizi del ’900 appresi dai ricordi deinonni, gli anni precedenti la

la restauratrice dei paramenti

L’abilità metodologicadi una donna,che restaura con ago e filo,risponde ai criteri di minima intrusionee di grande rispettodi ogni parte sartorialedell’opera originale.

Noemi Alberta Panizzut

Alcuni dei paramenti ecclesiastici, dopo il restauro. Invisibili rammendi hanno donato nuova luce a piviali, casule, stole e tovaglie.

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Dal 1974, dopo la scomparsa diUmberto mio marito, sono rientra-ta da Genova nella casa paternadove tuttora vivo, e nel 1998 (ave-vo quasi ottant’anni) Mario Povole-do mi ha proposto di curare il re-stauro di piviali, casule, stole,to vaglie e quanto trovavo di inte-ressante nelle cassapanche e negliarmadi della sacrestia. Ho vissutosempre lontano dal mio paese, masapevo dell’esistenza di paramentie arredi sacri pregevoli, li avevo vi-sti indossati dai sacerdoti che sisono succeduti nella parrocchia,soprattutto da Don Alfredo, cheaveva uno spiccato senso esteti-co. Anche don Italico Geromettami ha incoraggiato.Mario comunque è stato il mio

valido aiuto, è una persona intelli-gente e sensibile, si cura con pas-sione della chiesa del nostro paesee di tutti gli oggetti in essa contenu-ti; è stato per me un entusiasta col-laboratore, preciso e puntuale neisuggerimenti e sostenitore nei mo-menti di stanchezza, perché il lavo-ro ha comportato una dedizionegiornaliera, per più di due anni, chea volte sembrava interminabile.Le casule sono tutte di seta,

una seta antica, introvabile ai giorninostri, quindi non si potevano so-stituire le parti bucate, si potevasolo rammendare, ma in modoche il rammendo fosse invisibile.Prima di tutto ho scucito tutti i

pezzi, ho diviso la seta dalle fode-re, ho catalogato per misura lepassamanerie. Poi, pezzetto perpezzetto, ho lavato in acqua le va-rie parti, immergendo velocementele stoffe e mettendole subito adasciugare distese, affinché non siarricciassero né modificassero laloro stiratura naturale. Alcune sonoricamate, ma la maggior parte pre-sentano dei disegni realizzati nellatessitura stessa. Le passamaneriesono dorate o argentate, i merlettial chiacchierino e all’uncinetto.

di Noemi Alberta Panizzut

Per un piviale di seta color ros-so e oro ho dovuto porre molta at-tenzione e dividere i due colori,poiché il rosso avrebbe potutostingere e macchiare l’oro, per cuila spalla, il bavero, il pizzo e i mer-letti li ho staccati e lavati singolar-mente. La stessa cosa ho fattocon un velo omerale regalatodall’Arcivescovo Mons. Aurelio Si-gnora, in seta rossa con il pannelloposteriore beige e la scritta IHS infilo d’argento La cosa più difficile èstata riattaccare il tutto con il filod’argento, che ha una consistenzadiversa dalla seta e presupponeuna precisione massima per evita-re le increspature.Con Mario sono andata nel ne-

gozio rifornito dalla ditta BrunoPietrobon, a Udine, ad acquistarestoffe per le fodere e filati di seta fi-ne e di cotone; ho contato, a lavo-ro compiuto, di aver utilizzato 25spagnoletti.Da Genova mi ero portata molti

merletti che avevo comperato daCrosio, durante una svendita dimolti anni prima: erano talmentebelli e preziosi che li ho acquistatisenza immaginare che li avrei usatiper un lavoro così importante, maho sempre pensato che le cosebelle prima o poi trovano una de-gna collocazione.In sacrestia un giorno ho notato

una pezza di velluto nero di coto-ne, un cotone spesso, forte, comequello delle sciampinele. Alcunigiorni dopo ho assistito alla bene-dizione, in TV, impartita da papaGiovanni Paolo II dalla sede di vil-leggiatura, Castelgandolfo. Sul da-vanzale del balcone dal quale par-lava era steso un panno rossobordeaux con una passamaneriad’oro che formava una greca: hosubito pensato al nostro velluto.Ho preso carta e matita e senza di-stogliere gli occhi dall’immagine hodisegnato il motivo, dicendo fra mee me «Santità, parli ancora per un

seconda guerra mondiale vissuti daadolescente, la guerra, le partenze,i lutti, i ritorni dal fronte, le vicendedel paese: di tutto ricordai particolari. Conosce vicendedi paesi vicini e lontanissimi, la lorostoria politica, economica, le lorobellezze. Ha imparato tutto dai libri,dai diari di Umberto, dai raccontidelle numerose persone che, comeme, hanno sempre avuto piacere diparlare a lungo di viaggi, di attualitàe di Storia con questa donna dolcee determinata, ferma nei suoiprincipi ma aperta sempre alle ideedegli altri. Ho voluto che leiparlasse di una delle coseimportanti fatte per la nostra chiesa,per dare al suo lavoro certosinoil rilievo che merita.

ecclesiastici

Noemi Alberta osserva e valuta una preziosapianeta, prima di curarne il restauro.

... a sei anni imparai a riconoscere i tessuti

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la storia delle guerre ad affermarlo.Solo nel Novecento l’invasione au-stro-ungarica, prima, e le due GuerreMondiali, poi, hanno portato al rogodegli archivi (in questo caso comuna-li) di molti paesi delle nostre regioni,da parte degli aggressori. Distruggerlisignificava infatti annullare l’identità ela civiltà di una popolazione. È dun-que fondamentale preservarli e cu-stodirli con la massima cura.Lo stato di salute di quelli della

pieve di Santa Maria Maggiore nongodono di particolare vigoria.Tempo, umidità, luce, agenti

esterni ed una non ottimale conser-vazione hanno portato al loro pro-gressivo deterioramento.Alcuni presentano allentamenti o

rotture delle cuciture, altri abrasionidelle copertine, sporcizia, strappi de-rivati da insetti o roditori, deteriora-menti causati dall’acidità degli inchio-stri. La necessità di un restauro èquanto mai urgente e per questol’Artugna e la parrocchia vogliono far-si capofila di un’iniziativa che – datol’alto valore e l’ingente investimento– sia condivisa e coinvolga tutta lacomunità di Dardago, Budoia e San-ta Lucia. Un’iniziativa denominata«Adot ta un libre» allorché, con il con-

tributo di singole persone, famiglie ogruppi, si possa provvedere al re-stauro degli oltre 50 registri dell’archi-vio parrocchiale e di diversi carteggisparsi e non ordinati in volume.Come fu per le 62 pergamene

della pieve, l’obiettivo è quello di «ri-metterli a nuovo» attivando tutte leazioni necessarie alla loro cura.Ad occuparsene sarà il Centro

Studi e Restauro di Gorizia che, valu-tato lo stato di conservazione dei vo-lumi (variabile e con problematichediverse considerato l’ampio lassotemporale della loro «vita», ovvero dal1600 ad oggi), provvederà agli inter-venti di scucitura totale, di spolvera-tura, di controllo del grado di solubili-tà degli inchiostri. Seguirà poi larimozione degli eventuali pregressirestauri, il lavaggio di ogni singola pa-gina, la ricollatura, l’asciugatura e laritoppatura. Per la rilegatura si cer-cherà infine di attivare complesseoperazioni tendenti al recupero e alriutilizzo degli elementi ancora funzio-nali della legatura originale.Interventi certamente lunghi e

meticolosi ma che potranno ridar vitaai messali e ai registri dei matrimoni(e delle relative promesse), dei batte-simi, delle cresime, dei decessi, dei

da pagina 2[ ]

Adotta un libre

lasciti, della contabilità delle nostrecomunità.Il costo di restauro stimato per

ogni singolo volume si aggira intornoai 1.000 euro e l’«adozione» da partedi coloro che sosterranno quella cifra,sarà certificata da una pagina inseritaall’inizio del registro che ne attesterà,con gratitudine, la «paternità».Una parte della spesa sarà coper-

ta dalla donazione fatta al nostrogiornale da parte di Sergio ZambonMomoleti, deceduto in Francia nel2013 che, come annunciato lo scor-so agosto (vd. l’Artugna n. 129), saràdestinata al restauro dell’archivio manon sarà ancora sufficiente a coprirel’intero investimento. Per questo ciaffidiamo ai nostri lettori, alla loro sen-sibilità e alle loro possibilità economi-che, per aiutarci a preservare un pa-trimonio culturale preziosissimo.Perché «adottare un libro» signifi-

ca in fondo adottare noi stessi la-sciando traccia della nostra vita.

po’ finché avrò tracciato tutto ilmio disegno». Infatti pareva miavesse ascoltato e fu così: avevo ilmio progetto!Con Mario sono andata da

Bruno Pietrobon a Treviso per ac-quistare la passamaneria e l’horealizzato, sono rimasta soddi-sfatta di esserci riuscita. Fortuna-tamente non si è rovinato duranteil recente crollo di una parte delsoffitto della chiesa; era stato ap-poggiato sui banchi dopo esserestato steso a terra per un’orazio-ne funebre: si è riempito di polve-re ma non rovinato.

C’erano anche due preziosetovaglie da balaustra e una perl’altare, donate alla fine degli anni‘50 da mio cugino Giosuè Paniz-zut in occasione della messa ce-lebrata per ricordare i 25 anni dimatrimonio con Agostina (Tina)Carlon. Tutte presentano disegnifloreali realizzati con una pagliuzzadorata che crea il ricamo su untulle di cotone: molte parti si era-no sfilate e ho ripristinato i disegnioriginali.Su ogni oggetto ho attaccato

una fettuccina che porta ricamatoa punto croce l’anno in cui ho

completato il mio lavoro: AD 2000.I celebranti hanno indossato le ca-sule durante le più importanti cele-brazioni e mi dicono che i parroc-chiani hanno espresso sentimentidi ammirazione.Spero ci siano delle altre occa-

sioni in cui i fedeli o anche gli ap-passionati di arte tessile possanoammirare la bellezza dei paramentidi cui ho parlato e chissà che qual-cuno abbia un pensiero di gratitu-dine per le mie mani attraverso lequali ho espresso tutto il mio amo-re per le stoffe e per l’arte del cuci-to durante tutta la mia vita.

Legature allentate,polvere, rotture, copertinestrappate: così si presentanoi preziosi manoscritti del nostro archivio.

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lo zafferano di Dardago

LA SFIDA IMPRENDITORIALE DI DIEGO ZAMBON E LUCIO ZANOLIN

un «giallo» di successo

Che nel linguaggio dei fiori sia simbo-lo di ricchezza materiale e spirituale,è cosa nota fin dall’antichità. Lo zaf-ferano, preziosissima spezia impie-gata lungo tutto il corso delle civiltàcome colorante o come ingredienteper la preparazione di cibi e profumi,per i dardaghesi Diego Zambon,classe ’75 e Lucio Zanolin, classe’69, rappresenta semplicementeun’intuizione, un simbolo di amoreper la propria terra e un’opportunitàdi lavoro da condividere e diffondere.Ebbene sì: lo zafferano di Darda-

go. Per i profani dell’agricoltura suo-na quasi come un’eresia.

«L’eresia sarebbe pensare al con-trario – dichiara Diego esplicitando laloro intuizione – Dardago rappresen-ta l’optimum per la coltivazione diquesta pianta rustica. Il terreno danoi è drenante ed il microclima colli-nare favorisce la sua crescita. Nonmolte zone in Italia possono vantarequeste caratteristiche; la zona del-l’Aquilano e la Sardegna sono le prin-cipali produttrici, anche se in piccolequantità non paragonabili a quelle diAsia Minore, Iran, Spagna e Grecia,ma la nostra scommessa è oramaiavviata. La scommessa cioè di tra-sformare la coltivazione dello zaffera-

no a Dardago in una piccola avven-tura redditizia».Il resto della storia, o meglio l’ini-

zio, si tinge di accentazioni da narra-zione favolistica.I due ‘ragazzi’, l’uno, Lucio, im-

bianchino (con diploma di peritoagrario lasciato nel cassetto), l’al-tro, Diego, muratore (con la qualifi-ca di operatore forestale), discor-rendo un giorno su quale opportunitàli avrebbe potuti impegnare in un’atti-vità integrativa al loro lavoro, pensa-rono ad un àmbito a loro caro: l’agri-coltura. Un pezzo di terreno inlo calità Lingoria (di proprietà della fa-

di Vittorio Janna Tavàn

Località Lingoria. Le pianticelle di Crocus sativuscrescono, ‘respirano’ l’aria delle nostre montagne,in attesa di regalare poi il loro fiore color lilla.

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miglia di Diego c’era, la voglia di ci-mentarsi in qualcosa di nuovo pure.Li carezzava un precedente avvia-

to dal padre di Lucio che aveva pro-vato come hobby, vent’anni prima, lacoltivazione dello zafferano.Ci provarono. Ricevettero in dono

alcuni bulbi di Crocus sativus (così ilnome scientifico del fiore da cui si ri-cava la spezia), altri furono acquistatia Navelli in Abruzzo, altri ancora a

Montefeltro nelle Marche ai confinicon la Romagna e la Toscana. 8.500bulbi in tutto.La prima fioritura avvenne a no-

vembre. Da dicembre fino a maggioi bulbi si moltiplicarono naturalmen-te. Nel 2013 raccolsero 2 etti di pro-dotto. L’obiettivo sarà ora di rag-giungere, entro il 2015, il chilo dizafferano. Raccontata così sbrigati-vamente, la storia può suonare mo-

desta e riportare cifre insignificanti,ma se si considera che in Italia laproduzione complessiva si aggiraintorno ai 500/600 chili di prodotto– la maggior parte dei quali esporta-ti a favore di una nostra importazio-ne dalla Spagna – le cifre ristabili-scono un equilibrio imprenditorialeed una dignità quantitativa, etica esostenibile.«È assurdo che continuiamo ad

importare zafferano dall’estero quan-do possiamo coltivarcelo – continua-no i due soci –. Certo, i costi non so-no esigui, ma tenuto conto che, adeccezione dell’aratura e dell’estirpa-zione delle erbacce, tutto il ciclo pro-duttivo non è meccanizzato e la colti-vazione è biologica e locale, il prezzoè giustificato. Lo stallatico dei cavalliper la concimazione ce lo fornisceMarcello Callegari dell’Azienda Agri-cola Ligont; raccolta, essiccazione econfezionamento sono invece intera-mente manuali. È per questo che lozafferano in pistilli italiano si aggira trai 20 e i 35 euro al grammo. Diffidateperò di un prodotto a basso costo. Èsintomo di provenienza estera, bas-sa qualità o di una sofisticazionemolto diffusa. Il nostro, a detta dicuochi locali e veneziani – alcune

Diego e Lucio (a destra) fautori e sostenitori di un’agricoltura alternativa, una nuova opportunitàdi lavoro a simbolo di amore per la propria terra.

Le nostre montagne stanno a guardare. Confezioni da 0,25 grammi contenenti i preziosi pistilli sono pronte per la vendita. La polvere dorata dello zafferano,ricavata dai fiori cari agli dei, potrebbe forse rappresentare un inizio di riscatto nei confronti di un’agricoltura dimenticata?

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cazione rispetto alla polvere di zaffe-rano. Certo, sono operazioni lunghee precise ma non prive di soddisfa-zioni. La nostra in fondo è stata unasfida con noi stessi ma anche con lanostra terra per dimostrare che, par-tendo da qui e qui da noi, è possibilecreare nuove prospettive imprendito-riali legate all’agricoltura sfruttandoterreni oramai lasciati all’abbandonoproduttivo. Noi stessi non abbiamointenzione di fermarci ma di diffonde-re la nostra esperienza a quanti nesiano interessati, a quanti si voglianomettersi in gioco in questa particola-re coltivazione, affiancarci o crearenuove attività.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

8 fette di salame fresco dello spessore di circa mezzo centimetro;2 quartini di panna da cucina;0,10 g di «Zafferano di Dardago» in pistilli; sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE

Far rosolare a fuoco molto dolce le fette di salame per circa 5 minuti. Eli-minare il grasso rilasciato dal salame cotto. Aggiungere quindi la panna,stemperare dolcemente e far amalgamare il salame con la panna a fuocobasso. Polverizzare bene i pistilli di zafferano (avvolgendoli in un pezzo dicarta forno piegata e sbriciolandoli con un cucchiaio o il fondo di un bic-chiere) e discioglierli in 1 cuc chiaio di latte unendolo poi alla panna. Ag-giustare di sale e pepe e cuocere ancora finché la panna non si rapprendeun poco. Versare e servire con una bella polenta bianca.

Verso una nuova tipicità gastronomica

Diffusissimo piatto della cucina‘povera’ dardaghese – laddove salamee panna mai mancavano nelle casedi un tempo – il salàt e cao, oggiè stato rivisitato e ‘nobilitato’con l’aggiunta dello zafferano coltivatonelle nostre terre.Agli occhi nulla appare invariato(il «giallo» storicamente conferitodal tuorlo d’uovo, per chi lo desidera,è ancora preservato), ma saporee leggerezza ne ricavano significativibenefici. Al vostro palato, dunque,l’ardua sentenza.

salàt e cao e ...’na nica de zafferano de Dardac

confezioni sono pervenute anche adArrigo Cipriani – è invece di gran pre-gio e stiamo avviando le procedureper l’ottenimento delle certificazionidi qualità».L’obiettivo è dunque ambizioso

ed il lavoro particolarmente onero-so. Produrre un chilo di zafferano si-gnifica infatti coltivare 200.000 fioricolor lilla, raccoglierli quando sonoancora chiusi nelle prime ore delmattino, estrarre con delicatezza i 3soli esili filamenti color arancio o ros-so dall’interno di ogni singola corolla,farli essiccare in forni ventilati cali-brando e monitorando la giusta tem-peratura affinché perdano quattroquinti del loro peso. La tostatura finale, delicata e me-

ticolosa ma che esalta il sapore dellozafferano, è infine un tocco d’artistaaffidato alla maestria di Luigina Bra-vin, mamma di Lucio, che lo sottopo-ne al calore di braci di legno.Per un solo chilo di prodotto finito

sono dunque necessarie circa 500ore di lavoro.«Noi lo vendiamo in pistilli tostati –

spiegano ancora Lucio e Diego –perché non c’è possibilità di sofisti-

Siamo stati tra i primi in Friuli adavviare la sperimentazione con lozafferano.Siamo orgogliosi che questo

prodotto porti il nome del nostropaese, ma ci piace confrontarci an-che con altre realtà simili comequella di Walter Zamuner di SanQuirino perché non siamo gelosidella nostra conoscenza ed abbia-mo voglia di crescere ancora e farcrescere la terra che amiamo».Zamuner dunque, ma soprattutto

Zambon e Zanolin per produrre lo«Zafferano di Dardago».Nel segno della «Z» un’altra sug-

gestione vincente.

La «tracciabilità» del prodotto è chiaramente dichiarata: «made in Dardago»!

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inalmente il 28 dicembre è sta-to ufficialmente presentato al pub-blico Comót, il dizionario della par-lata dardaghese, pensato e scrittoda Flavio Zambon Modola.Tutti noi di Dardago dobbiamo

ringraziare Flavio per questa ma-gnifica opera che mette nero subianco i vocaboli (oltre 7.000!) dellanostra parlata prima che vadanodispersi e dimenticati a causa delcontinuo «inquinamento» con l’ita-

liano, il veneziano ed anche a cau-sa del sempre minor utilizzo deidialetti a favore della lingua italianae dell’uso di termini stranieri comel’inglese.Quest’opera ha avuto una lun-

ghissima gestazione, ben otto an-ni; essa è stata concepita e nutritada sentimenti di valore: l’amore diFlavio per Dardago, la sua sensibi-lità, la sua acutezza (l’aver giusta-mente previsto che col passare

degli anni molti vocaboli sarebberoandati perduti), ma soprattutto lasua costanza e tenacia. È stato uncammino lungo, faticoso e difficile,proprio come quando si concepi-sce una nuova vita: una lunga ge-stazione, un travaglio doloroso edinfine l’impetuosità del parto e lacreatura vede la luce, tutti esultanoe sono felici. Questa è la storia diComót… ma riprendiamo il filo delnostro discorso. Ci sono state per

Orgogliodardaghese

di Adelaide Bastianello Thìsa

grazie, Flavio!

F

Teatro di Dardago. Sopra. Il piccolo Marco Zambon in costume friulano dà il benvenuto ai partecipanti. Sotto. Il pubblico intervenuto numeroso.Il tavolo dei relatori: (da sinistra) Roberto Zambon, il sindaco Roberto De Marchi, Mario Zambon, don Maurizio Busetti, Pier Carlo Begotti.

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Flavio occasioni piacevoli, come gliincontri domenicali dopo la santaMessa, con i paesani da Nino; iltrovarsi con questo o con quelloper mettere a punto e verificare itermini dubbiosi; ci sono stati mo-menti d’impegno e lavoro duro perinserire a computer, verificare ecorreggere tutte le voci man manoche aumentavano; ma, via via chegli anni passavano, le difficoltà an-ziché diminuire, aumentavano. Illavoro sembrava non arrivare maialla fine. Fortunatamente Flavio ol-tre che il valido aiuto e continuosupporto della figlia Francesca Ro-mana, ha trovato comprensione epiena condivisione in un amico epoi compagno di ventura, VittorioJanna Tavàn, il quale, quando haavuto tra le mani la mole di lavorogià fatto, ha capito al volo che sitrattava di un’opera di grandissimovalore per Dardago e non potevalasciarsela sfuggire. Ma come fa-re? L’investimento di lavoro ed eco-nomico era ingente… ma ancheper Vittorio l’amore per Dardago ègrande… così in ogni momento li-bero, giorno dopo giorno Vittorio edil suo studio si sono messi al servi-zio di Flavio e un poco alla volta (ol-tre cinque anni per l’esattezza!)l’opera ha preso forma, è cresciutae bozza dopo bozza, fatica dopofatica è arrivata a compimento.Flavio ha dovuto molto lottare

per trovare chi infine avrebbe potu-to finanziare la produzione conclu-

siva di tutto il lavoro, perché si sache thentha schei no se fa nient.Lui e Vittorio quello che potevanofare da soli lo avevano fatto, ora civolevano i schei. Ha bussato a tan-te porte, ha parlato con tante per-sone, ma… ha avuto tante portechiuse in faccia. …«sì, sì, è un bellavoro, ma…» c’erano sempre tantima… «dovresti fare così…, ci vor-rebbe questo…, manca quello…».Però si sa che l’amore muove le

montagne e Flavio l’amore per ilsuo Dardago ce l’ha ed è grande;così con la caparbietà e la convin-zione di chi sa di avere fatto unacosa veramente importante, ha te-nuto duro, non si è fatto abbattere,anzi, con la forza di chi crede nonha mollato. Infine è arrivato qual-che «nì», a seguito di ciò una portaha aperto uno spiraglio, un’altra hadetto «forse» e poi ancora un’altra;a questo punto si sono aperti i por-toni e come quando l’Artugna è inpiena, nessuno può fermare lamontana che corre via impetuosa,così il Dizionario della parlata dar-daghese è arrivato finalmente… intipografia!La presentazione è stata più

che un successo. Il Teatro di Dar-dago era gremito di gente e ci so-no state parole d’apprezzamentoda tutti. Erano presenti il sindacoRoberto De Marchi, il presidentedel Consiglio Provinciale MarioZambon, il Pievano don MaurizioBusetti ed il vice Presidente della

Società Filologica Friulana PierCarlo Begotti e tutti hanno avutoparole di elogio per Flavio e per ilsuo lavoro; lui era particolarmentesoddisfatto ed emozionato per tut-ti i complimenti ricevuti. Ora Darda-go, piccolo paese della Pedemon-tana, di circa cinquecento abitanti,possiede un ricco, bello e pregevo-le dizionario con termini, vocaboli,verbi, espressioni della sua parlatalocale che nessuno potrà più can-cellare o ignorare: anzi grazie allepagine bianche poste alla fine diogni lettera dell’alfabeto ognuno dinoi potrà arricchirlo con le «dimen-ticanze», che senz’altro ci potrannoessere, perché sappiamo tutti cheuna lingua viva può avere variazionianche da famiglia a famiglia, i voca-boli potranno così solo aumentare,grazie all’idea e all’impegno di Fla-vio Zambon Modola.Alla fine della presentazione, ci-

liegina sulla torta, il maestro Fabri-zio Fucile, di radice dardaghese,accompagnato dalla maestra Giu-stina Favia Zambon, ha cantato«l’aga de ’l rujàl», testo scritto daVittorio Janna Tavàn e musicatodalla stessa Giustina Favia Zam-bon, coinvolgendo il pubblico chelo ha accompagnato nel ritornello,all’inizio timidamente e poi semprepiù partecipe e sicuro.

Flavio! Pa’ la bela dhornadha e pa’’l nostre «Comót», da duth nealtrede Dardàc… anciamò GRATHIE.

Fabrizio Fucile, accompagnato al piano da Tina Favia, canta e dirige il pubblico durante l’intermezzo musicale.L’autore Flavio Zambon, al termine della presentazione, autografa e dedica alcune copie del dizionario.

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Il progetto si è basato sulla creazio-ne di una mostra fotografica conobiettivo l’esplicazione, tramite im-magini e parole in forma di citazioni,del legame tra Venezia e il comunedi Budoia (Pn).La mostra era suddivisa in cinquecapitoli tematici (famiglia, lavoro,solitudine, architettura e bellezze),sostenuti e motivati da informazionitratte da interviste a soggetti chehanno vissuto la migrazione da unacittà all’altra, principalmente per

motivi di lavoro, dalla fine degli anni’40 in poi.Il fotografo della mostra, Marco Ta-baro, ha avuto modo di vivere sullasua pelle entrambe le città e veder-ne per primo il legame.Il lavoro si è incentrato sul raccontoemozionale di esperienze stretta-mente inerenti il territorio e gli abi-tanti che ne hanno fatto la storia.L’evento di chiusura della mostra,«legami di musica e parole» è statopensato come un momento di rac-

Budoia è il paese per antonomasia,dove tutti conoscono tutti, dove ci siritrova la domenica a messa e si vaal bar a bere l’aperitivo, solitamente«da Renè», per stare insieme «a con-tarsela».Da qui inizia il viaggio, dalle stes-

se persone che amano vivere nelpiccolo comune in provincia di Por-denone ma non temono trasferi-menti o spostamenti per motivi di la-voro in altre città anche se per lunghiperiodi; infatti si sono sempre distintie fatti riconoscere come «i camerieridi Budoja, noti per la loro cortesia,introduttissimi nei più lussuosi alber-ghi dell’Europa centro-occidentale emolto ricercati anche a Venezia» co-me dicono Lorenzon e Mattioni nel li-bro «L’emigrazione in Friuli». Nel se-condo dopoguerra i giovani uominisi ritrovavano per motivi di lavoro adover scegliere se intraprendere unmestiere di tipo industriale e avere la

possibilità, così, di rimanere nellapropria zona abitativa, o se tentare,partendo da zero, una carriera nelcampo della ristorazione in una tra legrandi città del nord Italia, che nellamaggior parte dei casi era Veneziaper vicinanza e per comodità di rag-giungimento anche e soprattuttograzie al treno.Dai 14 anni in su queste giovani

leve partivano e cercavano lavorosenza saper nulla del mestiere, macon molta voglia di fare e di impara-re; così con gli anni e l’esperienza si

sono affermati: chef, capisala, porta-borse, ecc. dei più rinomati luoghidella ristorazione veneziana, come:Danieli, Gritti, Harry’s bar e molti altri.Le donne che partivano alla ricercadi impiego nelle grandi città avevanoun destino differente, infatti, nellamaggior parte dei casi, trovavanooccupazione nelle case delle famigliepiù agiate come cuoche, governantio donne di servizio; in altri casi anda-vano a lavorare nelle cucine dei ba-cheri, le caratteristiche trattorie ve-neziane.

...Budoia rispetto a Venezia era la quiete...

il legame ancora vivo tra di Giulia Tabaro

L’obiettivo fotografico di Marco Tabaro ha colto...

Fotografia esposta a «legami». Tema: lavoro.

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Il turista a Venezia non vede.Il turista è la fonte di sostenta-

mento principale della città, ma nonpercepisce e non conosce la Vene-zia dei veneziani, quella che corre,quella che «con l’acqua alta le bar-che non passano sotto i ponti e nonci arriva la merce».Venezia ha due facce, ha due rit-

mi ed è come fosse due città in una.Pensando a questo mi viene in men-te il film «the Truman show», dovetutto gira intorno al protagonista,Truman per l’appunto. Egli vive lasua vita di ogni giorno in modo natu-rale, ignaro di essere il fulcro di unreality show sulla sua vita e del fattoche tutto ciò che lo circonda è co-struito su misura per lui e tutti simuovono, lavorano e corrono perrenderlo il più reale possibile. Tutto fi-la liscio fino a quando Truman nonscopre la realtà, solo affrontando lasua paura più grande, il mare. Coluiche va a visitare la città galleggiante,costruita dall’uomo su palaffitte e cir-condata ed attraversata da acqua,come l’isolotto dove vive Truman, gi-ra e vaga ammirando le bellezzeche gli si presentando davanti, nonscostandosi mai di molto dalla stra-da principale, segnalata con i cele-

bri cartelli gialli, che attraversa tuttala città passando per i monumentisimbolo.Il passo lento permette di scruta-

re tutti i negozietti di souvenirs creatiapposta per lui, per distogliere la suaattenzione da tutta l’opposta frene-sia che invece invade le calli laterali einterne alla città dove si muovono or-ganizzati tutti i lavoratori e da tutticoloro che reputano quella la «vera

Venezia» o la «Venezia dei venezia-ni». Non ci sono stagioni, non ci so-no giorni della settimana o weekend,Venezia è il luogo dove ogni mattinaall’alba inizia la preparazione dello«show» per il turista legato allo ste-reotipo della «città da sogno» e doveogni cosa termina non più tardi dellamezzanotte. Perché è così: tantofrenetica durante il giorno, quantovuota la notte.

colta che intrattenesse e lasciassequalcosa unicamente a livello emo-zionale; sono stati scelti cinque bra-ni che approfondissero i 5 temi dellamostra, che a loro volta sarebberostati introdotti da brani letti tratti dadiverse fonti ed estrapolati da testipiù ampi.L’obiettivo finale era un rilanciodell’iniziativa che, visto il successoottenuto, si propone di proseguireapprofondendo ed avvalorando lerisorse del territorio.

...girare a Venezia era come girare a Budoia...

le due città

Il salone del Teatro di Dardago «trasformato» in galleria fotografica per la Mostra «Legami» di Giulia eMarco Tabaro. Numeroso ed interessato il pubblico presente.

Fotografia esposta a «legami». Tema: famiglia.

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di Valentino Zambon Ite

o frequentato per 40 annimoltissimi Paesi in via di sviluppo,compresa la Bolivia ed il SudAmerica, Paesi questi che mi hannosempre affascinato, sia per labellezza della loro natura (soprattuttola zona andina), che per l’umanitàdei suoi abitanti che vivonoin un difficile contesto economicoe sociale.Le mie visite erano, però, sempre«toccata e fuga», senza mai averela possibilità di calarmi nella vitaquotidiana reale, quando invecesono stato sempre molto curioso diconoscere come vivessero le migliaiadi missionari, preti e suore, cheavevano deciso di passare tuttala loro vita fra le difficoltà di questerealtà.Per questo motivo, quando Pieretode Theco mi parlò del suo progettodi andare a San Carlos (Boliviacentrale amazzonica) non esitai adirgli: «Vigne ancia mi»!Piereto, che era già stato altre voltein questa missione anche assieme aMario Tessèr, mi ha dato subitoalcune informazioni sulle condizionilocali e sulla personalità deimissionari e suore (friulani e veneti)che da 30-40 anni operano in Boliviae Sud America.Su ognuna di queste personebisognerebbe scrivere un libro perillustrare la loro vita avventurosa,rischiosa e fatta di grandi sacrifici erinunce, ma, dovendo sintetizzare,

credo sia doveroso almeno elencarlebrevemente.Padre Carlo Longo (il direttore dellamissione), 75 anni, padovano, 40anni di missione, persona di mondo,molto «tecnologico», brillante egrande comunicatore; padre ArturoBergamasco, 80 anni, di Medeuzzadi San Giovanni al Natisone, 30 anniin missione, parroco molto attento aipropri fedeli più bisognosi; padreErmanno Nigris, 83 anni, di Ampezzo(Carnia), 40 anni di missione,personalità ciarniela, schietto,essenziale, energico (fa ancora40.000 chilometri all’anno, su stradesterrate, col suo pick-up per andarea celebrar messa in paesetti fuori dalmondo nella foresta); padre GiorgioMilan, 74 anni, veneziano(di Martellago), 40 anni in Bolivia,persona dolce, come un buon «padredi famiglia» per i propri fedeli sparsinella foresta (molti dei qualiraccoglitori di foglie di coca); fratelloSeverino, 77 anni, di Belluno, 40 annia San Carlos, fondatore dellamissione e fedele amministratoredelle strutture salesiane locali(manutenzione delle chiese, scuole,fattoria didattica e altro).Quello che mi ha subito colpitodi queste persone è stata la lororeligiosità certosina, la sobrietà,lo spirito di rinuncia e, soprattutto,la loro grande pazienza e serenità:tutti con una fede profonda eun amore smisurato per il prossimo.

persone

La loro attività inizia molto presto(alle 4 del mattino le luci delle lorocamere erano già accese): preghieremattutine e messa in canonica,colazione (spartana) e poi ognunocol proprio fuoristrada a celebrarmessa e ad incontrare i fedeli nelleproprie parrocchie sparse su un’areavasta quanto il Veneto, il più dellevolte percorrendo sterrati fangosinella giungla e in montagna.Non ritengo sia interessantedescrivere le nostre attività (mia e diPiereto) nel mese passato assiemea queste persone, ma molti sonostati i sentimenti e le emozioni fortiche la vita assieme a loro ha fattonascere nel nostro animo. Abbiamovisto la grande gioia nei volti deibambini, che i salesiani incontravanonelle scuole e oratori; la gratitudinedei poveri e degli anziani, cheincontravano nelle mense dellamissione; la devozione dei fedeli, chepartecipavano alle loro messe,celebrate in chiesa o anche nellepovere case (capanne) in mezzo allaforesta tropicale, a volte anche dinotte.Grazie Padri salesiani, grazie dellagrande lezione di vita che ci avetedato e dell’amicizia che ci avetegenerosamente offerto. Nella mia vitaho fatto migliaia di viaggi in giroper il mondo, ma credo che questosia quello che ha lasciato il ricordopiù profondo nel mio cuore.Torneremo a trovarvi!

veramente speciali

H

A tavola con tanta serenità e sana allegria.Da sinistra. Padre Ermanno Nigris (seduto), padre Carlo Longo,fratel Severino, due giovani aspiranti, padre Arturo Bergamasco,Pietro Janna, altri quattro giovani aspiranti e Valentino Zambon.

san CarlosBolivia

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il centro del bambino

un’oasiin un desertodi sofferenza

di Pietro Janna Theco

l mese di gennaio, Valentino Iteed io ci siamo recati in Bolivia e pre-cisamente a San Carlos, ospiti, perun mese, della parrocchia retta daisalesiani, che si trova nella zonaorientale della Bolivia, in provincia diIchilo, in terra amazzonica a 350 me-tri sul livello del mare. Siamo arrivatiin piena estate, che coincide con lastagione delle piogge; i primi 15 gior-ni abbiamo avuto temperature eleva-te con qualche piovasco e un’umidi-tà pazzesca, da compromettere lacoltura del riso che, in un primo mo-mento aveva avuto beneficio dallepiogge, poi ha cominciato a essereattaccato da funghi e crittogame. La parrocchia di San Carlos si

estende su una vasta superficie di120.000 km2, coperti in gran parteda foresta vergine. La popolazione,

dedita prevalentemente ad attivitàagricola è di 100.000 abitanti. I centripiù importanti, oltre a San Carlos,sono Buon Retiro, Santa Fe’, Japa-cany (con 70.000 abitanti che ha co-me unico parroco il nostro amico pa-dre Arturo), San Juan (coloniagiapponese) e San Jerman, oltre aun’infinità di comunità sparse all’in-terno della foresta o in nuove zone diurbanizzazione.La situazione sanitaria è molto

grave e lo dimostra lo sconvolgentedato sulla mortalità infantile, che arri-va fino al 250 per mille nelle zone piùinterne, dovuta alla mancanza diprevenzione, a anemie e diarreecausate dal clima e dalla mancanzadi igiene, e alla presenza di parassiti.La Bolivia è il secondo paese del-l’America latina per casi di denutri-

zione infantile. Nel 1974, arrivarono aSan Carlos i primi salesiani: il friulanopadre Tito Solari, oggi arcivescovo diCochabamba, e il coadiutore FratelSeverino (bellunese di Mel), tuttorapresente, e negli anni successivi ilnostro padre Arturo.Nel 1980 arrivarono le suore della

Provvidenza, il cui nome è un pro-gramma di vita con il compito di oc-cuparsi dell’ospedale del luogo sortoper salvaguardare la salute dei cam-pesinos, messa costantemente a ri-schio. È lì che le suore constataronola grave situazione nutrizionale deibambini, portatori di gravi disfunzio-ni, per cui nel 1989 diedero vita, conl’aiuto dei salesiani, al centro delbambino denutrito: un’opera sogna-ta da padre Tito e fatta realtà dallesuore della Provvidenza, fedeli inter-preti degli insegnamenti del loro pa-dre fondatore: il friulano padre LuigiScrosoppi, ora santo, al quale il cen-tro è intitolato. Inizialmente i letti erano 28, at-

tualmente sono 50 e fino ad ora so-no stati curati 2800 niños. L’obietti-vo del centro è il recupero integraledel bambino, contemporaneamenteall’edu cazione alla prevenzione dellecomunità e della famiglia da cui ilbambino proviene. Nel centro sonoaccolti bambini molto debilitati, chele famiglie non segnalano anche perla mancanza di un sistema sanitariogratuito. Quasi tutto è a pagamento(un piccolo esempio: si vendono lemedicine sciolte!). Molto diffusi sonoi casi di labbro leporino anche condeformazioni devastanti. Nel tempo,il centro si è dotato di varie figureprofessionali: dal medico nutrizioni-sta, al pediatra, all’as sistente socia-

I

san Carlos Bolivia

denutrito

L’opera per l’aiuto ai niños. Nella foto al centro suor Maria José, suor Agada con Pietro Jannae la volontaria Antonella seduta tra i bimbi.

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le, alle infermiere professionali, men-tre le ausiliarie sono mamme chevengono dalla locale comunità e ilpiù delle volte sono le uniche a por-tare un reddito alla famiglia. In tuttooperano 35 unità oltre a tre suore.Suor Maria Jose, roccia dell’isti-

tuzione, ora a riposo a Cormons,commenta: «Quando si ammala ilpadre, si cercano i mezzi per portar-lo dal medico (le visite sono a paga-mento); quando si tratta della mam-ma già si incontrano alcuni «però»;quando si tratta di un bambino, nonsi trovano mai i mezzi.» Tutto questoci fa capire che i bambini non hannodiritto alla salute e di conseguenza...Oltre a curare i bambini ricoverati

e monitorarli una volta dimessi (qual-che bambino viene dimenticato alcentro e allora bisogna pensare an-che a una sua sistemazione), vieneorganizzata un’attività itinerante nellecomunità, volta alla formazione dinuclei di operatori locali che diffon-dono alcune istruzioni di igiene eprevenzione di base; viene svolta an-che un’opera di sensibilizzazionenelle scuole, nelle parrocchie e neicentri di aggregazione. Questo cen-tro, come tanti altri che operano inquel contesto sociale, sono un’oasiin un deserto di sofferenza e di disa-gio umano e spirituale: le suore, vererocce di fede e umanità, sono in quelcontesto unici punti di riferimento amamme bisognose di aiuto e confor-to, a bambini che cercano, oltre lacura fisica, un sorriso e una carezzache forse non hanno mai ricevuto.Ci chiediamo: «Quanto costa il

centro? E chi paga?» Il costo perogni bambino ospite è di 10 euro ilgiorno. La famiglia non paga, inquan to non ha i mezzi. Il governonazionale passa una piccola partedegli alimenti; la spesa per eventualiricoveri in ospedale e alcuni esamiclinici. Il resto è a pagamento: circa 7euro, a carico della comunità religio-sa della Provvidenza e dei salesiani.A sua volta la comunità religiosa ri-ceve l’aiuto costante di molti bene-fattori e amici, che hanno a cuore lastruttura e i fini per i quali opera, epoi di tante famiglie, che animano daanni il progetto delle adozioni a di-stanza che alimenta quella cassafor-

te preziosa per sostenere i bambini.Molti donano, nutriti dallo spirito

di generosità e di unione con chi sof-fre anche se sconosciuto, e alimen-tano in continuazione quel ruscelloinesauribile di solidarietà e fraternità.Il lavoro delle suore è costante-

mente appoggiato anche da moltivolontari che si recano al centro perfare un’esperienza e dedicare un po-co del loro tempo a questi bambini. Le suore accolgono sempre con

grande simpatia e disponibilità vo-lontari animati da questi propositi.Chi volesse fare un’esperienza puòmettersi in contatto con me: in que-sto momento sarebbe molto graditauna coppia magari con il marito ap-passionato di orto e giardino.È autunno, la stagione ideale per

gli ortaggi.Al centro, operano tre suore: suor

Agada e suor Sabina, che sono boli-viane dell’altipiano, e suor Clara daPadova. Prima di partire abbiamochiesto quali fossero le necessità piùurgenti per il centro e tra le tantehanno formulato due priorità: i mate-rassini per i lettini e il forno per il pa-ne. I materassini costano euro 30cadauno per 50 lettini, cioè 1500 eu-ro, e il forno con 8 vassoi, il cui costoè di 1320 euro, per un totale di 2820euro. Per loro sono una cifra astro-nomica, difficile anche a dire; per noi,ma un po’ a ciascuno e con il passaparola forse possiamo aiutarle.La nostra parrocchia, sempre

sensibile e atti di generosità, si fapromotrice di questa iniziativa e sequalcuno lo volesse fare direttamen-te fornirò loro le coordinate bancarie. Grazie a nome dei bambini del

Centro!

Sopra. Da sinistra. Suor Clara, Pietro Janna, il medico nutrizionista uruguaiano dottor Gari,suor Agada e Antonella.

Sotto. Centro del Bambino Denutrito, il dormitorio dei piccoli ospiti.

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A las cinco de la tarde! Alle cinque delpomeriggio.L’orario più conosciuto della storia

della letteratura mondiale.Per gli spagnoli è quello caden-

zante quell’«arte» atavica di «dialogoe lotta», il tempo della corrida, cheGarcìa Lorca immortalò in un suo la-mento lirico. Un orario e una scansio-ne della giornata, dunque, bastevoliad echeg giare la suggestione di unaazio ne sociale e poetica. Quella che aDardago potrebbe invece attualizzar-si in A las nueve de la mañana, allenove del mattino. È a quell’ora infattiche, al termine del suono della primameridiana della «luce», novelli torerisbucano – come per incanto – dallecinque strade che portano alla piazzadel paese per incontrarsi e scontrarsiamabilmente nell’arena di Nino Co-smo, il bar-osteria-pizzeria del centro.È l’ora del caffé mattutino, quello

di un risveglio o di una pausa, primache al travaglio usato ciascun in suopensiero farà ritorno (giusto per incro-ciare un’altra suggestione letteraria dileopardiana memoria). I protagonistisono eterogenei ma con sueti, alcuniin pensione, altri nel pieno della vigo-ria lavorativa ed oratoria. Anche le«quote rosa» non mancano all’ap-puntamento; sempre le stesse chesiedono, con pacata discrezione, adun tavolo a parte come tradizioned’agorà pretende (il luogo della di-scussione politica nell’antica Grecia).

L’affronto virile richiede invece unaritualità precisa ma libera: quotidianilocali aperti sui tavoli, notizie di attuali-tà nazionale e territoriale in primo pia-no e l’animato talk show – senza con-duttore – prende vita.Trait d’union tra i due gruppi è

Guido Scatiròt che si divide tra il clanfemminile (a cui appartengono la mo-glie e la figlia), e quello maschilequando l’argomento dominante ri-chiede un pronto intervento.Da Nino non è necessario ordina-

re alcunché. Lui è un professionistagenetico, nel suo DNA pulsano seigenerazioni di esercenti famigliari e diogni avventore conosce gusti, con-suetudini, concentrazione caffeinicaed intensità di temperatura, dimen-sioni di tazza, correzioni alcoliche,macchiature di latte, accompagna-menti d’acqua, polverizzazioni di ca-cao, predilezioni dolcificanti, financovariazioni stagionali. Ci si schiera altavolo per coppie o individualmente:gli occhi a fessura, tazzina fumantealla mano, e sfogo alle specialità ar-gomentative di ognuno.Mario Poletti, detto Tic-tac, è tra

i più puntuali (l’etica professionaleda orologiaio lo obbliga, se non al-tro, all’esempio e alla coerenza), edentra preceduto dal suo sogno:quello di poter riparare un giorno ilvecchio orologio del campanile ri-masto sulla torre. Pietro, il vicesinda-co reduce da un mese di Missione in

Bolivia come tecnico agricolo edesperto allevatore di cunìci, carezza-tosi la barba «pepe e sale», s’avvam-pa di ardore artistico per la futura paladi San Martino e si destreggia su temidi politica interna.Corrado, presidente dei Donatori

di sangue, si lancia in temi sociali e siautocertifica esperto di affari esteri invirtù dei suoi trascorsi da ex impresa-rio emigrante in Francia. Arriva quindiFlavio Tarabìn Mòdhola che esordi-sce, egli pure per coerenza ‘profes-sionale’ e linguistica, con un «Comót»éla uncói?, poi Mario Tessèr, il fachirodetto anche «l’urlatore» (causa pos-sanza della voce), aiutante di GiorgioIgne nella scultura di San Tomè e fre-sco di tour australiano. Giungono poii riservati ma sempre ironici MaurizioFrith e Daniele Pala, Espedito Tarabìne il falegname Gianni Rosìt (detto daalcuni Geppetto), divenuto, per an ticasuggestione evangelica, braccio de-stro di don Maurizio. Una pia missio-ne che fa da spartiacque tra i suoidue assoluti amori: Francesca, suamoglie e la Fiorentina (da quando cigiocò Gianfranco Petris, nato a Bu-doia, n.d.r.).La porta si apre ancora ed è il tur-

no di Angelo Tavàn, poeta e botani-co, cultore della natura e della civiltàcontadina che s’accompagna a Ber-to de Théco, «orfano» della sua Fiat850 verde oliva lasciata a casa.Onorata la spesa quotidiana, si

IL SOTTILE PIACERE DELLA SOCIALITÀ QUOTIDIANA DARDAGHESE

di Sante Ugo e Vittorio Janna Tavàn

...«se vedhón a le nove da Nino»

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concedono la compagnia del bar.Si cede pure al compromesso

storico accogliendo un budoiese(ma «naturalizzato dardaghese»,specificano i maligni), quel vulcani-co Sergio Drugo che è anima ispira-trice, promotore ed iniziatore dei la-vori del rujàl.«Buongiorno signor oste».«Eh, buonanotte!»«L’ho sempre detto che questo

bar manca di gentilezza e sorrisi».«... ’Sto pacco de lumini!»«Perfetto Nino, se ha tempo e vo-

glia mi potrebbe fare un caffé mac-chiato?»«Eccolo servito, ti avevo visto arri-

vare...».È l’esordio che ritma l’entrata di

Sante Ugo Tavàn, ex bancario, subitobraccato dagli altri avventori.«Ti che te a laoràt in banca, cossa

elo ’sto spread?»Santino soffia sul caffé e posa la

tazzina; l’argomento è ostico e ne-cessita di una meditata e semplificataspiegazione.Mario taglia però corto ammaz-

zando la conversazione con l’impre-cazione «i soliti ladri!» ma l’àmbito nonè finanziario, né, tanto meno, politico.Essendo milanista, ha con Sante

Ugo, juventino, conti sportivi in so-speso. Le apostrofazioni colorite so-no generosamente ricambiate.La politica però non manca: l’in-

compatibilità di carattere nei confrontidel magico Berlusconi da parte delfachiro è sottolineata da Nino con un

«Il Berlusca ti procura gli incubi di not-te», subito controbilanciata da un«Tasi ti, che to netha la laóra par lui!» Ilriferimento critico è a Francesca Ci-ma, produttrice cinematografica e fi-glia della sorella Zaira di Nino, il cui ul-timo film vincitore dell’Oscar, èdistribuito da Medusa Film del Grup-po Mediaset.Il gestore dell’arena «Artugna»

condensa in sè diversi ruoli: modera-tore, provocatore, incassatore di bat-tute che – per definizione – sono daostaria. Non lesina però sottili vendet-te come quella di porgere il quotidia-no, a chi lo richiede, tra le spinosepiante grasse del bancone di modoche il lettore possa correre il rischio dipunzecchiarsi nel prenderlo.Sarà che le notizie devono essere

pungenti per essere discusse ma nonc’è argomento che non sia indagatoda quel gruppo di buontemponi; dallosport ai cantieri del paese (rujàl e ta-bele pa’ le ciase su tutti), da MatteoRenzi alla Debora (Serracchianin.d.r.), dall’economia a Grillo, dai pro-blemi del lavoro all’eterno Berlusconi,dalla viabilità a chei de Budhóia...Lo scibile delle argomentazioni

umane e terrestri passa al setaccio diquella socialità amichevole che dàorigine a riflessioni profonde ed inten-se, pittoresche e ridanciane.Alla simpatica 'lotta' non si sottrae

nemmeno el plevàn, don Mau rizio,che con biblico ritardo prende postoal tavolino per ultimo (in fondo essisaranno beati e primi) e, da buon pa-

store, si unisce al gregge guidandolosu altri argomenti. È la figura del me-diatore. Da quel pulpito più profanocontinua la sua predica domenicalecalandosi – Papa Francesco ne sa-rebbe orgoglioso – tra le sue fedhe, omeglio, tra i suoi moltóns, tanto chePia, sua madre, gli raccomanda chegli abiti non pren dano da moltrìn.Moltrìn o non moltrìn, poco impor-

ta; a lui spetta il caffé pagato perché –dice Maurizio Frith – «neàl tre paión elcafé al plevàn de Dardàc, no al cape-làn de Budhoia e de Santa Luthìa».Ogni giorno che il Signore manda

in Terra, a qualsiasi temperatura econdizione atmosferica, quel grupposi ritrova alle nove del mattino da Ni-no. Una mezz’ora di intensità elo-quente che può prolungarsi solamen-te se dalla porta della pizzeria entrauna faccia forèsta.La discussione allora si placa, il si-

lenzio pervade la sala, lo stupore in-dagatorio si trasforma in un brulichiodi voci finché qualcuno, mosso dacuriosità, interroga il nuovo entrato:«Che nuove ci portate da Milano?»«Ah! Ecco quelli delle novità; a

quest’ora le saprete forse meglio dime». Se non fosse un dialogo rubatoai Promessi Sposi non stenteremmoa credere alla precisione del copione.È l’ora del congedo.«Oh Nino, quanto ti devo?»«Già pagato, vai tranquillo – qual-

cuno ha già provveduto – se vedhóndomàn!»A las nueve de la mañana.

Da sinistra. Don Maurizio, Gianni,Piereto, Nino, Sergio, Espedito,Berto, Flavio, Santino.

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di Francesco Guazzoni

Erano 15 anni che il più famoso edambìto incipit celebrativo della storiadel Cinema non si sentiva abbinatoad un titolo italiano.È accaduto il 2 marzo scorso a

Los Angeles quando l’AccademyAwards di Hollywood ha proclamatoLa grande bellezza, il film di PaoloSorrentino, vincitrice dell’Oscar co-me miglior film straniero.The winner is... («Il vincitore

è...»), una formula emozionante cheha esaltato l’orgoglio artistico na-zionale così come quello locale diNino Cosmo che, riadattandone illessico ad una pronuncia più fami-gliare, l’avrà personalizzata nel dar-daghese e parentale «A la vint menetha!» (figlia della sorella Zaira).Già, perché se regista ed attori

sono le persone più in vista quandosi parla di cinema, è altresì determi-nante, affinché un film possa realiz-zarsi con successo, che vi siano per-sone che lavorino «nell’ombra», checredano e sostengano economica-mente quel progetto.Nel caso de La grande bellezza,

la produttrice si chiama FrancescaCima, nata a Sacile 47 anni fa, unmarito regista (Andrea Molaioli) edue figli.Con Nicola Giuliano e Carlotta

Calori è la fondatrice di Indigo Film,casa di produzione cinematograficache già aveva realizzato Il Divo diPaolo Sorrentino.«Senza un pizzico di incoscienza i

sogni non si avverano – racconta oraFrancesca in diverse interviste – Io,una ragazza della Provincia di Por-

denone cresciuta a pane e film, misono laureata in Lettere con una tesisui musical e poi sono volata a Ro-ma perché sentivo che il mio postoera lì, dietro le quinte di un set».Dopo essersi «fatta le ossa per

guadagnare» non essendo «figlia di»,ha finalmente coronato il suo sognoprofessionale quello di – spiega –«seguire insieme al regista tutta la vi-ta di un film. Valuto la sceneggiatura,collaboro durante il casting, trovo isoldi per finanziare la pellicola, la fac-cio crescere attraverso le proiezioniper gli addetti ai lavori, la pubblicità ei festival».Una carriera costellata di succes-

si ora marchiata con la massimaonorificenza del settore. Nino ne ècertamente fiero come lo fu quando,due agosti fa, Francesca passò atrovarlo con tutta la sua famiglia percena nella sua pizzeria in piazza aDardago.

«Il senso di casa non t’abbando-na – dichiara ancora – Mia madre, ilricordo di papà Luigi, un grand’uo-mo. Mi insegnò a non avere maipaura. ‘Provaci’, diceva. Come fecelui, d’altronde, un piccolo imprendi-tore del Nord-Est, che arrivò dovevoleva, seppure partito dal niente».E così Francesca ogni tanto ritor-

na e chissà se, guardando ai nostripaesi, non colga quello che ne Lagrande bellezza s’è fatto allegoria diun’Italia in decadenza: «Il film ha sa-puto raccontare lo spreco che si fadel talento e del patrimonio, comespesso vediamo accadere in Italia.Noi italiani non riusciamo a vedere inostri punti di forza, mentre fuoridall’Italia li apprezzano». Più che un monito un appello a

non perdere mai le nostre capacitàdi considerare e valorizzare «la gran-de bellezza» che anche la nostra ter-ra ha saputo e sa ancora esprimere.

Nicola Giuliano, Umberto Contarello, Paolo Sorrentino, Francesca Cima e Luca Bigazzi.

La produttrice sacilese trionfa alla «Notte degli Oscar» con La grande bellezza

FrancescaCima

and... the winner is...

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L’angolodella poesia

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Una rosa per il tuo amore.Una rosa per i tuoi sogni perduti.E una rosa per te.

Per la vita che ci hai dato.Per le notti bianche.Per i tuoi pianti nascosti.

E se le tue mani sono ancorapiene d’amore per noie in cambio non ricevi niente,

non piangere. Sorridi sempre.Tu non sai ma porti con tela cosa più bella del mondo:

Un cuore di mamma.

E.B.

Alla mammaL’esempio è il più efficace degliinsegnamenti, s’imprime comeun marchio nella memoria e si fabagaglio eterno per la nostra esistenza.In soli due versi di illuminata sintesi,Angelo condensa la forza della suacomposizione (L’esempio rimane /ravviva il passato e presente), primadi dispiegare una vicenda da cui trarneuna morale. Quella di un anziano che,richiamando i famigliari conuna vigorosa percussione di bastone(accorsi nonno che è?), ridimensionale loro preoccupazioni chiedendosemplicemente della grappa, a parzialericompensa di una vita fatta di stenti efatica (lavorai tanto / ma per viver neresta sempre), ma condotta con dignità(non ho debito).Rincuorato dal cordiale, il suo animoaffronta l’orrore di due guerre mondiali,allontanandone, nel ricordo, la visione(O mio cuor vi lascio / ad un trattochiude gli occhi, / alza sue man, saluta).Gli ascoltatori, sbigottiti in uncommosso silenzio (Incanto ai nostrisguardi / non vi è più una parola / maattorno a lui cadeva / pioggia dilacrime), ricordano la saggezza chein altre occasioni il nonno impartìcol suo esempio. Evitare l’invidia,profondere fratellanza e solidarietàdistinguendo i veri bisogni della vita(l’oro luce ma non si mangia), rispettareed onorare il lavoro.Ed infine la sacralità della terra, il suoesempio universale di valori e veraricchezza (O terra, seminar che nonmenti / sei oro per ogni Stato), vessatada sempre (Non politiche di castighi,/ che cibo non manchi) ma simbolodi salvezza e pace affinché il passatoed il presente di esordio possanotrovare continuità nel futuro (che siapace e auguri / per l’avvenire).

L’esempioL’esempio rimaneravviva il passato e presentein cortile si èpicchia il nonno il bastonsul suol di legnoaccorsi nonno che è?Con voce umile, chiedese è un goccio di grappanon ho debito, lavorai tantoma per vivere ne resta sempre.Le due guerre che passaio mio Dio meglio pace eternache provar, veder di certi guai.O mio cuor vi lascioad un tratto chiude suoi occhi,alza sue man, saluta.Incanto ai nostri sguardinon vi è più una parolama attorno a lui cadevapioggia di lacrime.La morale che dicevain sua vita a tutti:se l’invidia fosse febbre,quanta gente morirebbe.Amarsi tutti e aiutarsinon odio, soldi e confini;l’oro luce ma non si mangiacome diavolo attira ladri.Chiedere a chi aiuta, insegnarispetto a ognun di chi lavora,mani sacre dell’artigiano.O terra, seminar che non menti,sei oro per ogni Statoe il bestiame.Non politiche di castighi,che cibo non manchi,si sarà felici tutti quantiche sia pace e auguriper l’avvenire.

ANGELO JANNA TAVÀN

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recensione

[]

È mezzanotte. Fra le nubi radepallida si scorge l’argentea luna.Un cupo dolor invadeil cuor mio come una lacuna.

Nella mia stanza il silenzio è profondo, non dormo, ma pensieroso sono,pensando a quanto male nel Mondopermette Iddio nostro Patrono.

Erra lontano il pensier mio,verso colei che sopra ogni cosa amo.E tu, luna, volgi lo sguardo pioe bacia in fronte per me colei che amo.

Tu lo sai il suo nome, vero?È tanto bello e amabilmente puro,come le labbra e lo sguardo sincero,che di lei il mio cuor si sente sicuro.

Ma tu, o donna mia bella, dietro a quella finestra dormi e riposi.Pensi a me piccola stella?Pensi al dì che saremo sposi?

L’argenteo disco pian piano scompareDietro ad una nube bianca,ed in braccio a Morfeo anch’io voglio donarel’anima mia addolorata e stanca.

UN ANONIMO BUDOIESE DICIOTTENNE

NEL LONTANO 1954

Ascoltando

Angelo Giuseppe Roncalli delegatoapostolico in Turchia

San Paolo 2013, 180 pp. 18,50 euro

12 marzo, a Milano, Maria GraziaZam bon ha presentato il suo libro chedescrive alcuni aspetti finora esploratiin modo limitato e comunque pococonosciuti della vita del vescovo Ron-calli in Turchia; un libro di facile letturaanche se denso di contenuti e digrande rigore storico.Dopo 10 anni di permanenza in Bul-garia, nel 1935 Roncalli viene inviato aIstanbul, vi rimarrà fino al ’44, comeDelegato Apostolico (ovvero Nunzio,anche per la Grecia) e come vescovo.Entrambi questi ruoli emergono benevidenziati e documentati dal libro diMaria Grazia, «oriunda dardaghese»laica consacrata, in Turchia da 13 an-ni, ‘dono’ della diocesi di Milano.Dal modo di comunicare umile ed at-tento di Roncalli emerge una pazientecapacità di muoversi nell’ambiente di-plomatico, è un tessitore perseveran-te, la cui convinzione che la «diploma-zia deve esser permeata di vitaspirituale» riesce ad aprire barriereche sembravano insormontabili (è tut-tora localmente ricordato come il ‘pa-pa turco’)… ma è sopratutto vescovo,pastore instancabile, che visita anchele parrocchie più sperdute, muoven-dosi in treno, magari su un carretto,per incontrare comunità anche di po-chi anziani, insignificanti agli occhi delmondo, ma non a quelli di Dio.Attento alle indicazioni di Pio XI sti-mola, con successo, l’uso della lingualocale nella liturgia suscitando la di-sapprovazione dei ‘fedeli’ diplomaticistranieri che arriveranno a lamentar-sene in Vaticano… Frizioni con Roma,ove troverà comunque comprensionee approvazione in Montini, allora So-

stituto Segretario di Stato. Contatticon gli Ortodossi… nel ’37 incontrafortuitamente ed accosta, con fatica,confessa ‘quasi controvoglia’, l’arci-vescovo Ortodosso di Atene, ma rie-sce a stabilire un rapporto gentile conquella personalità dichiaratamenteanticattolica. Alla sua morte nel ‘38, ilcontatto con il successore patriarcaBeniamino I è subito fraterno, (avvie-ne così il primo incontro Cattolici-Or-todossi nella sede del Patriarcato dal1054!)… poi Roncalli, che era già Nun-zio a Parigi, nel ’47 verrà informal-mente consultato per la nomina delsuccessore di Beniamino: Atenagora,allora negli USA. Roncalli è pertanto ilprofeta ‘Giovanni Battista’ degli in-contri fra Cattolici e Ortodossi: Monti-ni (Paolo VI)-Atenagora nel ’64 e pros-simamente Francesco-Bartolomeo I...La tristezza le sofferenze e le preghie-re per la guerra, ...Istanbul è rispar-miata, Roncalli dona una statua votivadi Sant’Antonio tuttora meta di pelle-grinaggi di cittadini di ogni religione…Roncalli definì la Chiesa Turca, cuoredella cristianità nei primi secoli, co-me un insieme di Reliquie e di se-mi… un buon grano presente fra tan-ta paglia…Ma lo spazio qui concesso è tiranno…Chiederei comunque a Maria Graziadi intervenire, magari sul prossimonumero, raccontandoci ‘di prima ma-no’ i motivi e le fonti ispiratrici di que-sto libro, sviluppandoci qualche notasulla spiritualità di Roncalli, ed illu-strandoci poi quanto c’è ancora dellaTurchia di Roncalli nella Turchia attua-le, e quanto è invece evoluto…Grazie fin d’ora, Maria Grazia!

Vescovo e pastore

il cuore

Maria Grazia Zambon

Per lasantificazionedi papaGiovanni XXIII

di Osvaldo Puppin

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zione, tempo dopo si è ritrovato con un camion pienodi grano e a scaricarne il contenuto insieme a quel lun-gimirante vescovo che poi è diventato nientemeno chePapa Francesco. Recentemente Padre Martin in un in-contro in Vaticano ha voluto condividere con il Papaquel particolare momento.Il concerto si è svolto in un clima di grande energia

ed entusiasmo, sia per il contesto così raffinato ed ele-gante sia per l’importanza dello scopo della serata. Abbiamo presentato una vasta gamma di canzoni:

dai brani gospel-spiritual, ai brani natalizi fino al medleydel «Fantasma dell’Opera» presentato per la prima vol-ta il 26 dicembre dell’anno scorso in occasione del-l’anniversario del 25° anno di attività del coro. Il pubblico che annoverava circa un centinaio di

persone ha molto apprezzato il repertorio e si è prodi-gato in lunghi e calorosi applausi.

Al termine del concerto è stato offerto a tutti conve-nuti un ricco rinfresco preparato e servito dalla famigliaPiccolomini radunatasi al gran completo per l’occasio-ne. Sul volgere della serata, come d’incanto, da quella«grande stufa» in maiolica verde salvia, da uno sportel-lo laterale sono state sfornate delle torte dal profumo edal gusto indimenticabile (soprattutto quella alle mele)che hanno riscosso immediatamente enorme succes-so tra gli ospiti rimasti.Nel ringraziare la signora Benedetta e famiglia per

l’invito e l’accoglienza che ci hanno riservato, vorreiaggiungere che a ricordo della serata è stato donato atutti i coristi un cuore in stoffa contenente della lavandacon l’auspicio che la nostra vita sia sempre all’insegnadella fraternità e della «nobiltà d’animo».

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ià l’e-mail inviata alcuni giorni prima del concertodalla signora Benedetta, lasciava presagire che avrem-mo vissuto qualcosa di speciale. Nel raccomandarsi divestirsi molto caldi perché nella sala del concerto delcastello e in tutto il pian terreno il riscaldamento funzio-nava a legna, parlava di una «grande stufa»e di altri ca-minetti che sarebbero stati accesi già il mercoledì per il«concerto del cuore» di domenica 8 dicembre 2013volto alla raccolta di fondi per la missione in Mozambi-co di Padre Martin.Arrivati a Cordovado abbiamo parcheggiato chi

fuori delle mura sotto la torre con l’orologio e chi dietroil duomo nuovo collocato subito fuori della porta senzaorologio per raggiungere il Castello ove la famiglia Pic-colomini ci attendeva.Il riscaldamento voci è avvenuto in una sala adiacenteal salone principale in cui dominava il calore del cami-

netto confinante peraltrocon la cucina a legna dacui provenivano profumi dipiatti genuini.Padre Martin in un raccon-to veramente toccante, haspiegato che cosa signifi-ca essere missionario inMozambico e di quante

necessità abbia bisogno quella terra martoriata. Tra gli svariati aneddoti che ha voluto far conoscere miè rimasto impresso quello che narrava di un vescovovenuto in visita pastorale laggiù parecchi anni fa e cheinformato dallo stesso sacerdote che in quella comuni-tà mancava soprattutto grano per sfamare la popola-

a

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zion

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nel Castello di Cordovado

Collis Chorusconcerto del cuore

G

di Bruno Fort

…un camion pienodi grano e a scaricarne

il contenuto Padre Martine quel Vescovodivenuto poi

Papa Francesco...

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Anno 1952.La classe quarta di Dardago con il maestro Giacomo Zanchetal Ciamador de Val de Croda, in occasione della festa degli alberi. La bambina con lo scialletto sulle spalle, accanto al maestro,è Marisa Ianna Ciampaner.

Foto di proprietà di Marisa Ianna CiampanerUn gruppo di alpini budoiesi dell’8° Battaglione Tolmezzo.

In alto da sinistra. Vincenzo Carlon Ros (classe 1912),Andrea Zambon Thuciat, Giuseppe Carlon dei Redenti(classe 1911), Tommaso Carlon Favre (classe 1911),Luigi Carlon Brolo (classe 1911).In basso, da sinistra. Rino Del Maschio Besut(classe 1912), Giovanni Angelin Pelat (classe 1911),Agostino Carlon de la Fameia Granda (classe 1913),Osvaldo Angelin (classe 1913). Un sentito ringraziamento a Valentino Carlon Broloper aver individuato tutte le persone riprese nella foto.

Foto di proprietà di Franca Angelin

’N te la vetrina

UN ACCORATO APPELLOAI LETTORI

Se desiderate far pubblicare fotoa voi care ed interessanti per le nostrecomunità e per i lettori, la redazionede l’Artugna chiede la vostra collaborazione.Accompagnate le foto con una didascaliacorredata di nomi, cognomi e soprannomidelle persone ritratte.Se poi conoscete anche l’anno, il luogoe l’occasione tanto meglio.Così facendo aiuterete a svolgerenella maniera più corretta il servizio socialeche il giornale desidera perseguire.In mancanza di tali informazionila redazione non riterrà possibilela pubblicazione delle foto.

Piazza di Budoia, anno 1954. Festa dei coscritti del 1934.Sul carro allestito, da sinistra: Angelo Dedor Piai, Vincenzo Zambon Thuciat,Giuseppe Lachin Bomba, Egidio Carlon Ros, Valentino Carlon Brolo.In piedi, da sinistra: Sergio Fort, Evaristo Busetti Pevre e il fisarmonicistaCeleste Del Puppo Dhordhet. Conducente dei muli, Celestino Del Zotto Coth.

Testo e foto di proprietà di Valentino e Liliana Carlon Brolo

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Lasciano un grandevuoto...

l’Artugnaporge le più sentite condoglianze ai famigliari don Bruno Della Rossa

Un uomo che passò l’esistenza neldolore e, nella compassione, impostòla sua vita umana e sacerdotale. DonBruno ha terminato il cammino terrenoil 22 febbraio 2014 nella Casa del Cle-ro di San Vito al Tagliamento. Nato aLigugnana nel 1938, per motivi di sa-lute fu trasferito, ancor giovane, al-l’ospedale San Zenone di Aviano dovevisse per 40 anni la sua missione dacappellano accanto ai malati, fino allachiusura della struttura ed al passag-gio al CRO.

Clotilde Teresina Bocus Usardi«Ciao nino», «ciao nina», così ci salu-tavi ogniqualvolta venivamo da te finda quando eravamo piccoli. A noi pia-ceva venirti a trovare e non solo per-ché eri brava a cucinare come tuo pa-dre, che è stato un grande cuoco aVenezia, la città dove ha conosciutosua moglie Gigetta (Luigia).Ci piaceva perché eri forte, vitale e ca-parbia (difficilmente cambiavi idea),dietro a quel bancone del bar-alimen-tari dove hai cominciato a lavorare dapiccola e che non hai mai lasciato finoall’età di 86 anni. Tante persone sonopassate dal tuo bar, tutti ti conosceva-no e non solo quelli del paese ma an-che artisti, poeti e sportivi.Trovarti là era una certezza, eri la pri-ma ad aprire e l’ultima a riposarsi, adeccezione del giovedì quando ti dedi-cavi alle spese per il bar e non manca-vi mai di andare al mercato di Sacile incorriera. In vacanza non ci andavi mai,tranne qualche volta quando trascor-revi del tempo sul Lago di Garda nellacasa dov’era nato il nonno Francesco.Il tuo giardino – sempre fiorito – ed i la-vori quotidiani erano le tue passioni.Puntualmente ogni mattina, prima diaprire il bar, ti dedicavi al bucato, lava-to esclusivamente a mano perché –dicevi – «come me nemmeno la lava-trice riesce a fare la biancheria cosìbianca e morbida».Sapevi ricamare e rammendare e, unavolta che i panni erano asciutti, li pie-gavi talmente bene che quasi non ser-viva stirarli.Sebbene avessi solo la quinta ele-mentare, eri abilissima in matematica:

Sensibile e generoso, si fece promo-tore di iniziative di solidarietà come lacostruzione della Casa Via di Natale.Col degenerare della malattia, passògli ultimi 10 anni a San Vito e divenneconfessore alla Chiesa del Cristo diPordenone.

correnza, che segnavi puntualmentesui calendari che hai sempre conser-vato. «Il lavoro – ci insegnavi – è la mi-glior medicina» e la tua saggezza èstata quella di andare avanti sempre,anche quando il tuo cuore ha comin-ciato a soffrire e sono sopraggiunti altriacciacchi. Sempre ti sei rialzata. Il tuo motto era unico: «Io sto bene.Non ho nulla», ci dicevi.Anche davanti al medico negavi l’evi-denza… fino a quella mattina prestodel 27 novembre, quando improvvisa-mente ci hai «salutato».

ELEONORA E ANDREA

velocissima a calcolare a mente i puntiche avevi fatto, quando giocavamo in-sieme a briscola o a tresette. Non di-menticavi mai un compleanno, una ri-

Teresina Bocus e Francesco Usardi insieme nella vita e nel lavoro.Un’esistenza interamente dedicata al dovere.

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Mancavano pochi minuti alle sette disera del 24 ottobre, una sera d’autun-no malinconica e nebbiosa come losono i brevi crepuscoli della nostraumida pianura, quando il tenace cuoredi mia nonna Gilda ha cessato di bat-tere per sempre. Il primo novembreavrebbe compiuto 98 anni, quasi unsecolo di vita e di storia. Come vasempre dicendo mio padre Bruno, lagenerazione di mia nonna ha vissutocambiamenti radicali, dalla primaguerra mondiale, la catastrofe che haaperto il nostro secolo «breve», attra-verso il fascismo, la seconda guerramondiale, il difficile dopoguerra, la ri-nascita ed il boom, gli anni della con-testazione, il riflusso ed il rampantismodegli anni ottanta, la Milano da bere eMani Pulite…via via fino al nostro glo-balizzato e tecnologico presente.Un traguardo impegnativo. Ma è

meglio che le siano stati risparmiatiquesti pochi giorni per raggiungerlo,perché la sofferenza che l’ha accom-pagnata alla fine della sua gagliarda vi-ta è stata intensa. Per lei e per noi. Èdeceduta quasi un anno dopo la perdi-ta di mio zio Renzo, conosciutissimo inpaese e amato da tutti. A tutt’oggi nonmi pare ancora vero che questo luttopossa essere accaduto, che non ci siapiù il compagno della mia infanzia, perme più un fratello maggiore che unozio, il giovane che, insieme ai suoi ami-ci, assidui in casa di mia nonna, ai mieiocchi rappresentava il futuro prossimoe agognato della vita adulta in cui sareientrata anch’io. Feste, risate, scherzi,lazzi, discussioni politiche e sportive…nel mio ricordo i ragazzi di allora sonorimasti tutti giovani e belli e pieni di gio-ia di vivere, per sempre.Ed ora mia nonna. La morte è

un’esperienza che la nostra società haallontanato da sé illudendosi, così, diesorcizzarla: della morte non si parlamai ma viene per tutti il momento in cuidobbiamo farvi i conti. E allora scopria-mo che, oltre alla morte in sé, un altroinsondabile mistero che siamo costret-

ti ad affrontare è anche l’entità dellacoscienza di chi sta trapassando dauna vita all’altra o – mi perdonino i cre-denti – di chi si trova nel momento de-cisivo in cui la nostra esperienza uma-na si sta concludendo , l’ora nonrinviabile del gran forse, come dicevaStendhal. Mia nonna, poi, soffriva didemenza senile e comunicare con leisignificava essere costretti a percorre-re gli infidi sentieri di quel territorio in-definibile, oltre le categorie a noi fami-liari del normale, del naturale e dellogico, in cui vagava la sua mente per-duta. Ma che cos’è normale? E chipuò smentire che a suo modo ella per-cepiva la realtà ad un livello intuitivo,sensitivo, affettivo se non cognitivo?Me lo sono chiesta spesso standoleaccanto. E qualche episodio mi con-ferma che la consapevolezza di sé edegli altri non l’avesse del tutto abban-donata. Anche quando alla fine sem-brava del tutto assente, ad un trattofissava i suoi occhi velati nella mia dire-zione e dava l’impressione di animarsie di farfugliare il mio nome per poi ri-piombare nella sua imperscrutabile di-

il loro ricordo non sfuma

Ermenegilda Bastianello

epitaffio per la nonna

Ermenegilda Bastianello nel 2003 tra il nipote Federico (a sinistra) e il pronipote Ettore.

mensione. Quando stava ormai moltomale e le funzioni vitali avevano via viaceduto, tranne il suo cuore poderoso,abbiamo ascoltato (nonostante il miorazionale scetticismo) chi ci diceva cheforse non riusciva a staccarsi da que-sta vita perché aspettava qualcuno, ilsuo adorato e sfortunato figlio Renzo,e così abbiamo pensato di dirle chenon c’era più, mentre prima le aveva-mo risparmiato questo immenso dolo-re, approfittando del fatto che già allo-ra i momenti di smarrimento sialternavano ormai sempre più lunghi aquelli di lucidità. Avrà capito? Se nesarà andata più serena nella speranzadi rivederlo presto? Non lo sapremomai. Certo è che quello che abbiamofatto l’abbiamo sempre fatto con tantoamore nei suoi confronti e questo cirasserena. Come ci rasserena il fattoche lei ha avuto la fortuna di vivere alungo, una vita piena e spesso impre-vedibile, nel bene e nel male, che hodescritto a suo tempo in queste pagi-ne in occasione dei suoi novant’anni,una lunga esperienza trascorsa tra l’af-fetto dei suoi cari, mentre c’è chi muo-

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re giovane e lascia figli piccoli, comeDaniela Romani, che voglio in questaoccasione ricordare con profondo af-fetto e rimpianto, una donna splendidanell’aspetto e nell’anima, una grandemamma, dal coraggio irriducibile finoalla fine. E vorrei dire ai suoi altrettantocoraggiosi genitori e a suo marito, chestanno circondando di tutto l’affettopossibile i suoi figli, che è stato un au-tentico privilegio conoscere una donnacosì, che non dimenticherò, come soche non dimenticheranno le personeche l’hanno conosciuta. Ha voluto an-che lei, che era nata e cresciuta a Mila-no e che frequentava assiduamenteDardago con la sua famiglia, esseresepolta nel nostro piccolo cimitero dipaese, come mia nonna Gilda, cometutte le persone che ho amato nellamia vita, a partire dall’altra mia carissi-ma nonna Angelica, la madre di miopadre Bruno.Mi accorgo che questo epitaffio si è

trasformato in un ricordo di tutti i de-funti. Del resto siamo nel tempo deimorti e della riflessione. Quando entronel cimitero di Dardago, vi trovo un’at-mosfera persino accogliente, quasirasserenante e penso a quanto dicevaFoscolo secondo cui riposare all’om-bra dei cipressi e in urne confortate dipianto non rende a chi se n’è andato il

sonno della morte meno duro ma sol-leva il dolore di chi resta, perché, ac-canto a chi è sostenuto dalla fede eper questo vive nella certezza di rive-dere, presto o tardi, i propri cari, c’èchi si consola nell’illusione di potercontinuare a stabilire con la memoria eil sentimento un qualche contatto, unaceleste corrispondenza di amorosisensi, con chi ha profondamente ama-

to e di cui sente la struggente man-canza. Nell’istante preciso dell’addio mia

nonna si è congedata stringendo fortela mano a mia madre, che da temponon la lasciava un istante, come un ul-timo straziante saluto o come un rassi-curante arrivederci.

Novembre 2013MANUELA

Ermenegilda nel giorno dei suoi 90 anni, nel 2005, con i suoi due figli, Luigina e Renzo, il nipote Fede-rico, figlio di Renzo (accanto a lui) ed il pronipote Ettore, figlio della nipote Manuela.

il loro ricordo non sfuma

Venti anni, cinque anni. Ci sono feriteche nemmeno il tempo è in grado dicicatrizzare, bruciano ogni giorno co-me il primo.

Tuttavia, cari Abramo e Manlio – perquanto la vostra assenza lasci nei no-stri cuori un vuoto incolmabile – i sorri-si, le risate e una quantità infinita di beimomenti passati assieme rischiaranoanche nelle giornate più cupe losguardo di coloro che vi hanno volutobene, e il dolore per la vostra perdita èalleviato dalla consapevolezza che, dalassù, vegliate su di noi in ogni mo-mento della nostra vita.

LA VOSTRA FAMIGLIA

Abramo e Manlio Prizzon

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CronacaCronaca

Un Presepio vifa Santa Luthìa

Sono quasi le ventidue, ed eccoalla spicciolata arrivano le famiglie,per assistere alla messa di Natale.Chi l’avrebbe detto! Anche que-st’anno si compie il santo mistero,in una capanna a Santa Lucia, hapreso vita il Presepe.Direte come? Dal volere di ungrup po di bambini del catechismo,si è realizzato il presepe vivente,con tanto di pecore con i loroagnellini e una stupenda asinellache con il suo raglio, ci ha tutti ri-svegliati. Sembrava un sogno, ep-pure eravamo tutti intorno a quellacapanna. I paesani, i bambini con iloro genitori che, incantati, cerca-vano d’ immortalare quel momen-to magico. Don Maurizio prima dicelebrare la Santa Messa è uscitodalla chiesa per accogliere la Sa-cra Famiglia attorniata dagli angeli:purtroppo le pecore e l’asinello so-no rimasti fuori. Alex era entrato bene nella parte diGiuseppe con serietà, accompa-gnava la sua sposa Erika, nella par-te di Maria, che teneva tra le brac-cia teneramente Gesù bambino, gliangeli Martina, Debora e Benedet-ta accompagnavano, qua si voles-sero proteggere questa Sacra Fa-miglia. Mancava il pastore Antonioperché ammalato, peccato andràmeglio il prossimo anno. Al termine della Messa, tutti a ri-scaldarsi con una buona tazza dicioccolata, vino caldo con chiodidi garofano e fette di pinza. Quan-do la comunità è unita si fannograndi cose.Grazie a tutti i collaboratori e par-tecipanti per la bellissima espe-rienza. Un grazie particolare allafamiglia Damuzzo: grazie a loro

abbiamo avuto il piacere di vederegli agnellini con le loro mamme el’asinella.Arrivederci al prossimo Natale.

GIANFRANCA

Mario Tessèrlà pa’ le Australie

A Mario Tessèr mancava un conti-nente nel suo lungo peregrinarenel mondo: l’Australia.Nel periodo natalizio corona que-

sto ultimo traguardo visitandola inlungo e in largo: da Melbourne aSydney (per l’«anticipato» capo-danno complice il fuso orario), dallaKangaroo Island all’Uluru con lasua suggestiva «roccia rossa». Unincontro speciale poi ad Adelaide:quello con il «nostro» Italo ZambonBiso, capo cuoco in un rinomato ri-storante australiano. Una visita dipoche ore ma bastevole per di-scorrere di Dardago che Italo lasciò21 anni fa e per il quale, sebbene ri-torni in Italia ogni 2-3 anni, nutreancora una profonda nostalgia.

La Sacra Rappresentazione rivissuta dai bambini di Santa Lucia.

Mario Santin Tesser (a sinistra)incontra Italo Zambon Bisoad Adelaide durante il viaggioin Australia.

Sopra. L’Uluru, la suggestivaroccia, sacra agli aborigeni,che muta colore durante le oredel giorno.

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El Ruial i lo à fattornà nof

El Ruial de San Tomè torna al suoantico splendore... Su l’Artugna diNatale abbiamo presentato il Co-mitato e i lavori svolti in autunno.Da allora, un gruppo di dardaghe-si, di amici di Budoia, Santa Luciae Aviano, si sono dati appunta-mento quasi quotidianamente,lungo el ruial, per ripulirlo dal mu-schio, recuperare le parti di cana-lette mancanti, fugare le pietre, ri-pristinare i sentieri.In ottobre abbiamo coinvolto an-che gli Americani residenti in zona,che hanno risposto al nostro ap-pello, partecipando con grande

ca 160 metri. Una piccola riflessio-ne: la cava di Perer dovrà rimaneremonito per tutti, e soprattutto per inostri amministratori, di come nonsi deve intervenire sul territorio.Oggi, con grande orgoglio presen-tiamo l’area della ex-cava comple-tamente recuperata, con una nuo-va cascata e una bella scalinatacostruite in oltre tre mesi di lavorodi molti volontari. Siamo convintiche l’area di Perer valorizzerà l’inte-ro percorso, tanto che pensiamo diutilizzare in estate questo posto

I bói i ne insegna

Grazie alla possibilità di usare i lo-cali della Parrocchia di Budoia, an-che quest’anno per la secondavolta consecutiva, si è potuto offri-re una mostra filatelica più interes-sante dello scorso anno, dalla te-matica storico-religiosa imperniatasulla vita di Gesù e di quanto equanti fossero a Lui vicino.Ha destato un vero interesse so-prattutto tra i giovani, perché non èstato facile raccogliere da ogni par-te del mondo questi quadrettini (al-cune emissioni sono state emesseprima della Grande Guerra del1915-18) che hanno saputo rac-contare così bene la vita di Cristo,come ad esempio la profezia dellasua venuta espressa dalla sacer-dotessa del popolo barbaro dellaTauride dei Cimmeri (Kjmmrioi) ver-so il 680 a.C., popolo che dopo laprofezia sparì dalla faccia della Ter-ra e la statua della sacerdotessa èancor oggi conservata nella chiesadi Brou, in Francia.Come altro interesse ha coinvoltol’attenzione dei giovani il bacio diMaria a Giuseppe, davanti la PortaAurea del tempio di Gerusalemme,per non dimenticare l’attimo del ta-glio della testa del Battista ed il tra-sporto del macabro trofeo alla bel-la Salomè.

Mi è doveroso un ringraziamentoalla parrocchia per l’ospitalità, alCircolo Filatelico di Pordenone perl’allestimento, e ai miei cari figli emoglie che mi hanno aiutato nel-l’allestimento.Grazie per l’apprezzamento daparte di quanti hanno visitato lamostra e soprattutto di quello deigiovani che mi hanno rivolto unaquantità di domande.

FORTUNATO RUI

entusiasmo. Il risultato è stata unagiornata indimenticabile, di lavoroe festa italo/americana, conclusasicon un ricco evento gastronomicosul piazzale delle Scuo le, con con-segna di stampe storiche del ruial,un’occasione di festa e di socializ-zazione.A fine novembre, tutto il tratto de’l ruial esistente è stato ripristinatoe il cantiere spostato a Perer, doveera stato coperto da detriti per cir-

La s’ciala de Perer è terminata. Nella foto alcuni volontari ‘riposano’ dopo le fatiche dell’impegnativoricupero. La cascata del ruial ricavata sull’area della ex cava de Perer. Il materiale di riporto avevafatto «sparire» il ruial.

Fortunato Rui curatore della mostra filatelica.

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I Alpins i ne à portàti cróstui

Ciao a tutti, siamo i bambini dellascuola dell’infanzia di Dardagovogliamo ringraziare i nostri nuoviamici, gli alpini premurosi, attenti ebuoni di cuore.�Grazie per la bellafesta di carnevale e per i buoni cro-stoli che ci avete offerto, con voi lanostra sfilata di carnevale e statamolto più bella di sempre.

I BAMBINI E LE MAESTRE DELLA SCUOLA

DELL’ INFANZIA

Se te vadheda Renè...

Grazie!Gentilezza e disponibilità. Questele caratteristiche di Zi Ping, JunDong, Shu Hua Guan e Chen HanChen, gestori del bar «da Renè» aBudoia, nostri collaboratori per ladistribuzione del periodico.Collaborazione che offrono sem-pre sorridenti, contenti di fare ope-ra di volontariato.A loro, il nostro sincero ringrazia-mento per il prezioso aiuto.

I à tacat a lavoràin glesia

Negli ultimi giorni di marzo è statoaperto il cantiere nella chiesa diSant’Andrea di Budoia per la si-stemazione delle capriate e mes-sa in sicurezza della navata cen-trale.La gara d’appalto è stata vintadalla ditta FI.BE. di Vigonovo.Ci auguriamo di poter ritornarepre sto tra le sacre mura.

suggestivo per delle rappresenta-zioni nelle serate di luna piena.Da settembre 2013 sono state im-piegate oltre 2.500 ore di lavoro daparte dei volontari e, il 3 maggio al-le 10.30 alla Cascata di Perer, sicelebrerà la 1a Festa del Ruial. Ilprogramma dettagliato della gior-nata è esposto nelle bacheche co-munali. Un’altra occasione di in-contro per l’intera comunità.Il sentiero adiacente è reso acces-sibile anche ai bambini. Invitiamotutti ad una passeggiata partendoda ’l Mulin de Bronte fin a la s’cialade Perer, per poi seguire el ruial fi-no alla presa sul Cunath con rien-tro lungo la strada de Val de Croda.Sono 6 chilometri di un ambienteunico, con flora magnifica: in estatesi potranno anche raccogliere lam-poni, ribes, more, menta ed altreerbe messe a dimora dal comitatodel ruial, e magari avere anche lagradita sorpresa di incontrare qual-che cervo o capriolo.Rimarrà da costruire la «diga» sulCunath, che assicurerà l’acqua alruial durante tutto l’anno. Questilavori saranno realizzati appenapossibile dal Corpo Forestale.L’attività del Comitato continuacon altri progetti tra cui la sistema-zione di una nuova area pic-niccon fontana e adiacente laghettoin località alla Rosta. Nelle prossi-me edizioni de l’Artugna vi daremoulteriori e dettagliate informazioni.

CHEI DE ’L RUIAL

I gestori del bar «Da Renè» con la collaboratrice Anna Maria Del Maschio.

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L’abbraccio affettuoso di Giorgia al fratellino Matteo,nato a Milano lo scorso luglio.

Sorridenti salutano mamma Cristina Chiesa,papà Francesco Milito e i nonni Tino e Alves Bastianello Thisa.

Siamo felici di pubblicare una foto della piccola Costanza, per presentarlaalle Comunità di Budoia, Dardago e Santa Lucia. Papà Federico Quaia(originario di Santa Lucia e corista del «Collis Chorus») e mamma Elena

Bazzo desiderano così salutare i tanti amici lettori de l’Artugna.Costanza Quaia è nata il 22 ottobre 2013 a Pordenone e, fin dal primogiorno di vita, ha già conquistato il cuore di tutti: nonno Bruno e nonna

Wanda, nonno Angelo, gli zii, i cuginetti e tutti gli amici che con noi hannoatteso e festeggiato il suo arrivo. Costanza ha già le idee chiare:

ama la musica (in particolare Mozart e Verdi, è nata nell’anno verdiano!),i viaggi e le passeggiate nella natura, e ha tanta voglia di crescere!

Congratulazioni a Cristina Lauritano per la sua laurea. In una freddamattina di dicembre (18 dicembre 2013), a Portogruaro, pressola sede staccata dell’Università di Trieste, è stata proclamata Dottoressain Scienze dell’Educazione tra grande commozione e orgogliodi tutti i presenti. Il più sincero augurio di un futuro promettente e riccodi soddisfazioni!

Il 30 novembre 2013 i coniugi Mario e Mariarosa Andreazza hannocelebrato il loro 50° anniversario di matrimonio nella chiesa di San Giovannidi Polcenigo, in cui il 30 novembre 1963 si erano uniti in matrimonio.Alla cerimonia erano presenti i loro cari figli, nipoti e famigliari con gli Alpinidi Budoia, rappresentanti dei gruppi della pedemontana e il presidenteGiovanni Gasparet. La Santa Messa è stata celebrata dal parroco donMaurizio e accompagnata dalla corale «Julia» di Fontanafredda. È seguitoun brindisi augurale presso la sede del gruppo di Budoia.

Il 28 dicembre 2013, nella chiesa di San Giuseppe di Santa Luciadi Budoia, don Maurizio Busetti ha celebrato il 50° anno di matrimonio diGioconda Carlon e Pietro Del Maschio. Con l’affetto della famiglia edegli amici più cari hanno festeggiato questo bellissimo traguardo.Un sentito ringraziamento va all’A.F.D.S. Budoia-Santa Lucia per la suapresenza con il labaro.

L’11 febbraio 2014, Caterina Bocus ha festeggiato 98 anni di vita con isuoi famigliari. Qui è ritratta insieme al figlio Tonino con l’immancabilecappello d’alpino. Un affettuoso augurio da figli, nipoti e pronipoti.

inno alla vita

Auguri dalla Redazione!

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Carissimi,spero di farvi cosa gradita segnalan-dovi finalmente l’uscita del mio librosulla vita di mons. Roncalli durante isuoi dieci anni in Turchia come Nun-zio Apostolico. È un periodo del futu-ro Giovanni XXIII per lo più scono-sciuto, ma che ha contribuito aformare il pensiero e l’attività pasto-rale del Papa Buono, questa figuraprofetica che presto sarà dichiaratasanta!È edito dalla San Paolo e lo potetetrovare facilmente nelle librerie oppu-re ordinarlo online.Augurandovi una buona lettura «na-talizia», ne approfitto per inviarvi i mieimigliori auguri di un Santo Natale e diun 2014 di Pace!Un caro abbraccio.

MARIA GRAZIA ZAMBON

Cara Maria Grazia,ci complimentiamo con lei per larealizzazione di un’opera così im-portante che ci permette di cono-scere quell’aspetto, finora scono-sciuto, della vita del nostro PapaBuono, in terra turca.Troverà la recensione del suo libro,a cura di Osvaldo Puppin, a pagina35. Le auguriamo di proseguire nel-la sua impegnativa opera di coope-razione tra le Chiese e di pastoraleecclesiale in favore dei giovani edelle donne in un cammino di dialo-go, di fede e di solidarietà umana.Cordialità.

Milano, 13 dicembre 2013

Cara Redazione,in attesa della prossima uscita dellaVostra sempre gradita rivista, invia-

Mestre, Natale 2013

Spett. Direzione,vi invio una mia foto,con mia figliaValentina e i miei nipoti Giorgia eLuca per fare gli auguri e per salu-tare tutti gli amici di Dardago.Mando anche una piccola offertaper l’Artugna che aspetto semprecon grande piacere.Grazie per lo splendido lavoro chefate.

ANGELA ZAMBON PINAL (DE FEDELE)

Cara Angela, grazie te che ci segui con tanto af-fetto. Lo «splendido lavoro», co-me lo definisci, è possibile solograzie alla vicinanza e alla collabo-razione dei nostri numerosissimilettori.

Cari Amici della Redazione,eccoci anche quest’anno a rinnovarela nostra gratitudine e ammirazioneper l’amore e l’impegno che investitenel realizzare l’affezionata rivista l’Ar-tugna.

«Sappiate che non c’è nulla di più elevato, dipiù forte, di più sano e di più utile nella vitache un bel ricordo, specialmente se è un ri-cordo dell’infanzia...» (Fëdor Dostoevskij)

Dardago è nei nostri cuori e, graziea voi, possiamo continuare a «viver-la». Grazie ancora e buon lavoro!Con affetto.PIETRO, PIERINA, LEONIDA E ANNA ZAMBON

Carissimi,la bella citazione presa dal capo-lavoro «I fra telli Karamazov» ci faveramente molto piacere. La realizzazione della rivista ci ri-chiede un grande impegno ma ri-cevere simili congratulazioni ci sti-mola a proseguire. Un ringraziamento particolare perla generosa offerta.

Fiume Veneto, 14 febbraio 2014

I ne à scrit...l’Artugna · Via della Chiesa, 133070 Dardago (Pn)•

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mo all’operosa redazione de l’Artu-gna i nostri migliori auguri di BuoneFeste e Sereno Anno Nuovo.

AGNESE E DOMENICO DIANA

Cari Agnese e Domenico,vi ringraziamo per la vostra sentitavicinanza alla vita del periodico eper la puntuale generosità; ricam-biamo gli auguri più cordiali a voi efamiglia.

Auguro un prospero 2014 a tuttala redazione, ringraziando perl’impegno proficuo destinato amantenere vivo il legame con lanostra comunità.

DONATELLA ANGELIN – MILANO

[...dai conti correnti]Buon lavoro per il 2014.

ANNA JANNA – MILANO

In memoria di Rigo Ferdinandonel 25° della sua scomparsa.

FAMIGLIA RIGO – TORINO

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Situazione economica del periodico l’Artugna

Periodico n. 130 entrate uscite

Costo per la realizzazione 4.880,00

Spedizioni e varie 490,00

Entrate dal 01.12.2013 al 31.03.2014 5.050,00

Totale 5.050,00 5.370.00

bilancio

Girovagando in internet si trova-no anche delle piccole gemmedi saggezza come questa…

– Se vi hanno insegnato a salu-tare quando entravate in unambiente.

– Se vi hanno insegnato a daredel lei agli adulti come forma dirispetto.

– Se vi hanno insegnato che ne-gli autobus il posto si lascia alledonne incinte e a quelli piùgrandi di voi.

– Se vi hanno insegnato che ibeni comuni vanno rispettatipiù dei propri.

– Se vi hanno insegnato chel’onestà è un valore e non undifetto.

– Se vi hanno insegnato che il ri-spetto mostrato è rispetto gua-dagnato.

– Se siete cresciuti con il cibofatto in casa.

– Se avete giocato in strada perdiverse ore.

– Se non avevate i vestitini firmati.– Se la vostra casa non era aprova di bambino, vi punivanose vi comportavate male e unoscappellotto ogni tanto l’avetepreso.

– Se avete avuto una tv in biancoe nero e per cambiare canaledovevate alzarvi.

– Se non conoscevate l’inglese asei anni e non avevate il telefo-nino a nove, ma sapevate be-ne cos’era l’educazione…

Esponete questo scritto in unabacheca e dimostrate che sietesopravvissuti lo stesso!

Punturedi spillo

a cura di Sante Ugo Janna

[AFORISMI – MALDICENZEPROVERBI – FREDDURE]

Domenica 27 Aprile insieme con Giovanni Paolo II verràproclamato Santo il papa Giovanni XXIII che molti di noi ri-cordano come il papa buono, il papa della gente, il papacontadino, il parroco del mondo. La sua popolarità inquell’epoca (1958-1963) era alle stelle. In ogni trasmissioneche lo riguarda viene sempre ricordato o fatto vedere il di-scorso della luna fatto alla sera dell’inizio del Concilio Ecu-menico Vaticano II che cambierà la storia della Chiesa. Lenostre parrocchie vogliono ricordarlo e mettersi sotto lasua protezione. Pertanto faremo una gita-pellegrinaggio aSotto il Monte, suo paese natale, dove vedremo i luoghidove nacque, dove fu educato alla vita e alla fede, dove sitrovava il centro dei suoi affetti.

SABATO 7 GIUGNO 2014

7.00 partenza dai nostri paesi11.00 arrivo alla Casa del Pellegrino di Sotto il Monte11.30 Santa Messa (nostra) presso

la Chiesa di Santa Maria di Brusicco12.45 Pranzo presso la Sala Ristoro

della Casa del Pellegrino14.00 Visione di un breve filmato di introduzione

al pellegrinaggio14.30 Visita al Giardino della Pace e alla cripta

«Obedientia et Pax»15.00 Visita al Museo di Ca’ Maitino16.00 Visita alla Casa Natale del Santo

(oggi Seminario del P.I.M.E)17.00 Partenza. Andremo a vedere la Chiesa artistica

di San Tomè ad Almenno (8 km da Sotto il Monte), omonima di quella di Val de Croda e rientro.

Iscrizione in parrocchia entro il 30 aprile.Quota di partecipazione 40 euro (tutto compreso)da versare all’iscrizione.

Andiamo nella terradi Papa Giovanni XXIII

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DOMENICA DELLE PALME Dardago Budoia Santa LuciaIngresso di Gesù in Gerusalemme

• Benedizione dell’Ulivo, processione sagrato piazza sagrato Santa Messa di Passione 11.00 9.30 9.30

• Apertura della solenne Adorazione – 17.00 – Eucaristica delle 40 ore

• Santa Messa Vespertina – 18.00 –

LUNEDÌ SANTOAdoriamo il Signore

• Solenne Adorazione Eucaristica e Santa Messa – – 16.00/17.00

MARTEDÌ SANTO

• Santa Messa 9.30 – –• Solenne Adorazione Eucaristica 10.00/11.30 – –

MERCOLEDÌ SANTO

• Santa Messa – 9.30 – Solenne Adorazione Eucaristica – 10.00/11.30 –• Solenne Ador. Eucaristica 20.30/21.30 – – per le tre Comunità e confessioni

GIOVEDÌ SANTOUltima Cena di Gesù, istituzione dell’Eucaristia e Sacerdozio

• Santa Messa Vespertina in «Coena Domini» 20.15 – – per le tre Comunità; rito della lavanda dei piedi; riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro; spogliazione degli Altari e adorazione; e presentazione comunicandi raccolta salvadanai «Un pane per amor di Dio»

VENERDÌ SANTORicordo della morte di Gesù. Digiuno e astinenza

• Via Crucis in chiesa 15.00 – _

• Azione Liturgica della Passione del Signore; – – 17.30 adorazione della Croce; Santa Comunione • Solenne Via Crucis per le tre Comunità – 20.15 – lungo le vie [in caso di maltempo, la Via Crucis si svolgerà in Oratorio]

SABATO SANTOVigilia di Pasqua, attesa della Risurrezione

• Benedizione del fuoco ed accensione 21.00 – – del Cero Pasquale sul sagrato, per le tre Comunità Veglia Pasquale e Santa Messa di Risurrezione

DOMENICA DI PASQUA DI RISURREZIONEAlleluja Cristo è risorto alleluja

• Santa Messa Solenne 11.00 10.00 10.00

• Santa Messa Vespertina – 18.00 –

LUNEDÌ DI PASQUA

• Santa Messa 11.00 10.00 10.00

Settimana Santa

CONFESSIONI Lunedi Santo – – 16.00/16.45 Mercoledì Santo 20.30/21.30 10.00/11.15 _ Sabato Santo – 15.00/17.00 18.00/19.00

Santa Comunione per anziani ed ammalati durante la settimana.

programma religioso

Giorgio Igne, La mia Croce, [30x50 cm].

Incantesimo di Venerdì Santo

Eppure io sento una certezzalegarmi a questolegno superstite; sentoognuno portato da questa condanna/d’esistere.

Anch’Egli è dovuto tornarefra noi dal regno di mortein questo impetuososgorgare di sangue.

E furono anzi le nostremani, le nostrelabbra, che ne hannoconsumato il cadavere,a ridarGli la vita:Egli ormai non può più morire.

Certezza che lega perfinole pietre al loro essenziale istinto: potered’una magia che erompeda noi mentreun reticolato di pensierici esilia…

DAVID MARIA TUROLDO

[da O sensi miei… Poesie 1948-1988, Rizzoli, Milano 1990]

Buona Pasqua!

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venerdì 9 maggioAssociazioneNazionaleAlpini

87aAdunataNazionale

Pordenone9_10_11maggio 2014

_dalle ore 9.00 alle ore 21.00viale GrigolettiSfilata degli Alpini(la sezione di Pordenone sfila per ultima)

piazza XX SettembreAmmainabandiera (al termine sfilata)

si invita la popolazionealle manifestazioni programmate,ad acquistare ed esporreai balconi e sulle terrazzela bandiera tricolore.

...a Pordenone

_ore 9.00piazza XX SettembreAlzabandiera e deposizione corona

_ore 18.30via MonterealeArrivo della Bandiera di Guerra del III Artiglieriae sfilata sino al Municipio

sabato 10 maggio

domenica 11 maggio

_ore 16.00Palazzetto dello Sport (via Interna)Celebrazione Santa Messa

...a Dardago, Budoia e Santa Lucia

venerdì 9 maggio

esposizione del tricolore nelle piazze da martedì 22 aprilea martedì 3 giugno

_ore 21.00Chiesa di Santa LuciaConcerto del Coro «Rosa delle Alpi»di Cassano Magnago/Varese

sabato 10 maggio

Accoglienza degli Alpini di Milano-Crescenzagoe di altri luoghi

Deposizione cesto floreale ai Monumenti ai Caduti

_ore 10.00 piazza Santa Lucia_ore 10.15 cippo Capitan Maso, Budoia_ore 10.30 piazza Budoia_ore 10.45 cippo «Val de Croda»_ore 11.00 piazza Dardago

_ore 18.00Dardago_Chiesa Santa Maria MaggioreCelebrazione Santa Messa con gli Alpini ospiti

_ore 21.00Dardago_Chiesa Santa Maria MaggioreConcertoCoro Julia di FontanafreddaCoro ANA di Sedico Belluno

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