laomenica - la repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e albert hackett,...

14
DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010 /Numero 292 D omenica La di Repubblica spettacoli Hendrix e la maledizione del rock GINO CASTALDO le tendenze Donne nate sotto il segno del leopardo LAURA ASNAGHI e ROBERTO CAVALLI l’incontro Maria De Filippi, tronisti contro snob GIUSEPPE VIDETTI cultura Moravia, la nascita di uno scrittore NELLO AJELLO, ENZO GOLINO e ALBERTO MORAVIA i sapori La cucina selvaggia del Grande Nord LICIA GRANELLO e KARI HOTAKAINEN l’attualità Nel paese che fa le valigie JENNER MELETTI GABRIELE PANTUCCI N ato nel cuore nero dell’Europa, è in America che il Diario di Anna Frank viene più studiato, riadattato, rivisto sotto ogni luce. Dopo un film e una rappre- sentazione teatrale, ora, e per la prima volta, la Fon- dazione Anna Frank ne ha autorizzato una versione a fumetti per renderlo più accessibile a tutti, più an- cora di quella metà di studenti che già lo leggono come testo scola- stico. L’autore del testo è Sid Jacobson, che con l’illustratore Ernie Colon produsse la versione grafica del rapporto sull’11 settembre (in Italia sarà pubblicato in gennaio da Rizzoli). Ma in realtà quella che Hill & Wang (della prestigiosa Farrar, Straus & Giroux) pubbliche- ranno negli Stati Uniti questa settimana è molto più di una graphic novel. È una ricostruzione accurata della vita della famiglia Frank a cominciare da Otto, il padre di Anna. Si apre con l’immagine del ma- trimonio di Edith e Otto il 12 maggio 1925, poi a ritroso vediamo la sua vita da studente , la chiamata alle armi per la Grande Guerra che gli frutta una promozione e la decorazione dell’ambita Croce di fer- ro. Notizie che solo in parte Anna riferisce nel suo diario. (segue nelle pagine successive) SIEGMUND GINZBERG P rima di leggerla, Anna Frank l’ho vista al cinema. Era la fine degli anni Cinquanta. Avevo dodici anni. Mi ero in- namorato degli occhioni da cerbiatta di Millie Perkins, nella parte di Anna. Poi, molto dopo, ho riflettuto che la vera Anna non somigliava affatto a quell’attrice. Fosse stata mia compagna di classe forse l’avrei ignorata. O forse me ne sarei innamorato lo stesso perché scriveva bene. Nel- le tavole di Sid Jacobson ed Ernie Colon assomiglia invece alle foto che ho di mia mamma ragazzina. Qual è la più “autentica”? Quella del Diario, certo. Indipenden- temente dal se e quanto sia stato “edito” da Papà Otto. Ma quella del film e quella del fumetto le somigliano in alcuni tratti essenzia- li, senza di cui non ci sarebbe Anna Frank. Tutte e tre sono ragazze estroverse, delle gran chiacchierone, gli piace comunicare, met- tersi in mostra, far scena. Sono fatte per dire qualcosa al prossimo, al pubblico. Non sono fatte per rinchiudersi in se stesse, tenere il muso, fare il broncio ai propri tempi, come direbbe Alfred Musil, e ai propri simili. (segue nelle pagine successive) Per la prima volta il “Diario” disegnato e a colori Perché i ragazzi delle scuole capiscano che la protagonista era prima di tutto una di loro il fumetto Anna Frank di © 2010 SID JACOBSON, ERNESTO COLÓN, ANNE FRANK-FONDS BASEL Repubblica Nazionale

Upload: others

Post on 18-Oct-2020

1 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010 /Numero 292

DomenicaLa

di Repubblica

spettacoli

Hendrix e la maledizione del rockGINO CASTALDO

le tendenze

Donne nate sotto il segno del leopardoLAURA ASNAGHI e ROBERTO CAVALLI

l’incontro

Maria De Filippi, tronisti contro snobGIUSEPPE VIDETTI

cultura

Moravia, la nascita di uno scrittoreNELLO AJELLO, ENZO GOLINO e ALBERTO MORAVIA

i sapori

La cucina selvaggia del Grande NordLICIA GRANELLO e KARI HOTAKAINEN

l’attualità

Nel paese che fa le valigieJENNER MELETTI

GABRIELE PANTUCCI

Nato nel cuore nero dell’Europa, è in America che ilDiario di Anna Frank viene più studiato, riadattato,rivisto sotto ogni luce. Dopo un film e una rappre-sentazione teatrale, ora, e per la prima volta, la Fon-dazione Anna Frank ne ha autorizzato una versionea fumetti per renderlo più accessibile a tutti, più an-

cora di quella metà di studenti che già lo leggono come testo scola-stico. L’autore del testo è Sid Jacobson, che con l’illustratore ErnieColon produsse la versione grafica del rapporto sull’11 settembre (inItalia sarà pubblicato in gennaio da Rizzoli). Ma in realtà quella cheHill & Wang (della prestigiosa Farrar, Straus & Giroux) pubbliche-ranno negli Stati Uniti questa settimana è molto più di una graphicnovel. È una ricostruzione accurata della vita della famiglia Frank acominciare da Otto, il padre di Anna. Si apre con l’immagine del ma-trimonio di Edith e Otto il 12 maggio 1925, poi a ritroso vediamo lasua vita da studente , la chiamata alle armi per la Grande Guerra chegli frutta una promozione e la decorazione dell’ambita Croce di fer-ro. Notizie che solo in parte Anna riferisce nel suo diario.

(segue nelle pagine successive)

SIEGMUND GINZBERG

Prima di leggerla, Anna Frank l’ho vista al cinema. Era lafine degli anni Cinquanta. Avevo dodici anni. Mi ero in-namorato degli occhioni da cerbiatta di Millie Perkins,nella parte di Anna. Poi, molto dopo, ho riflettuto che lavera Anna non somigliava affatto a quell’attrice. Fossestata mia compagna di classe forse l’avrei ignorata. O

forse me ne sarei innamorato lo stesso perché scriveva bene. Nel-le tavole di Sid Jacobson ed Ernie Colon assomiglia invece alle fotoche ho di mia mamma ragazzina.

Qual è la più “autentica”? Quella del Diario, certo. Indipenden-temente dal se e quanto sia stato “edito” da Papà Otto. Ma quelladel film e quella del fumetto le somigliano in alcuni tratti essenzia-li, senza di cui non ci sarebbe Anna Frank. Tutte e tre sono ragazzeestroverse, delle gran chiacchierone, gli piace comunicare, met-tersi in mostra, far scena. Sono fatte per dire qualcosa al prossimo,al pubblico. Non sono fatte per rinchiudersi in se stesse, tenere ilmuso, fare il broncio ai propri tempi, come direbbe Alfred Musil, eai propri simili.

(segue nelle pagine successive)

Per la prima volta il “Diario”disegnato e a coloriPerché i ragazzi delle scuolecapiscano che la protagonistaera prima di tutto una di loro

ilfumettoAnna

Frankdi

© 2

010 S

ID J

AC

OB

SO

N, E

RN

ES

TO

CO

N, A

NN

E F

RA

NK

-FO

ND

S B

AS

EL

Repubblica Nazionale

Page 2: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

la copertinaBanalità del bene

(segue dalla copertina)

Quella del film recita magari un po’ più delle al-tre, ma tutte e tre se la caverebbero benissimosulla scena della vita e della sua rappresenta-zione. La vera Anna, ce lo ricorda ripetuta-mente il fumetto, aveva le idee chiare, volevafare la giornalista o la scrittrice, insomma ave-

re un pubblico. Non fosse morta quindicenne a Bergen-Belsen ci sarebbe certamente riuscita. Ma ciò che più com-muove in Anna Frank, ciò che ne ha fatto un simbolo cosìforte, non è forse tanto la sua prigionia forzata nella soffit-ta del Prinsengrath ad Amsterdam, o la sua fine tragica,non è nemmeno la sua esuberanza vitale, quanto la sua“normalità” di adolescente. Prima ancora che ebrea, per-seguitata, vittima, è una ragazza della sua età. Non un su-per-eroe. Una normale adolescente. Ed è proprio in fattodi normalità che l’Anna di questo fumetto non è seconda anessuno, forse nemmeno all’Anna del Diario.

Vedo già qualcuno che arriccia il naso. Anche se il libro hal’imprimatur dell’Anna Frank Haus. Come, Anna Frank ba-nalizzata in un fumetto! Era già successo quando Otto Frankaveva autorizzato la versione teatrale di Frances Goodriche Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato aHollywood. Meyer Levin, lo scrittore che aveva aiutato Ot-to a pubblicare il Diario in America, era rimasto scandaliz-zato dalla hollywoodizzazione di Anna. Aveva persino ac-cusato l’amico Otto di aver deliberatamente messo in sor-dina l’ebraicità di sua figlia per non “disturbare” il pubblicoamericano. La polemica durò decenni, sfociò addirittura inuna causa in tribunale. In effetti, nel lavoro teatrale la paro-la “ebreo” non viene mai pronunciata, l’unico riferimentoè una canzone di Hanukah cantata a Natale. Nella famigliaebraica in cui sono nato, di ebraico non si cantava nulla.

Cinema e fumetto sono due forme di letteratura tutt’al-tro che figlie di un dio minore. Superman, Batman, CaptainAmerica e gli altri supereroi del fumetto combattevano i na-zisti da ben prima dell’Olocausto con la stessa efficacia diChaplin Grande dittatore e Humphrey Bogart sullo scher-mo. C’è persino chi, per spiegare l’origine ebraica di quasi

SIEGMUND GINZBERG

Anna Frank, diario a colorila vittoria dell’adolescenza

(segue dalla copertina)

Raccontate nel dettaglio, questo insieme di notizie dàun’immagine ancora più realistica della tragedia vissu-ta da un ebreo della classe media tedesca che meno didieci anni dopo vedrà sorgere il nazionalsocialismo diAdolf Hitler. Otto era orgoglioso di combattere per il suopaese e si sentì umiliato per la sconfitta che la Germania

subì. Il breve testo che sovrasta immagini realistiche e sobrie si scor-re come i titoli da prima pagina. Nove milioni di soldati uccisi... Disa-strose riparazioni di guerra imposte alla Germania... Hitler pubblicaMein Kampf... Alternandosi con le immagini della vita quotidiana diOtto, seguiamo il crescere della mostruosa escrescenza che proclamala salvezza della Germania attraverso la realizzazione di un’assurdabattaglia antisemita. Nasce Anna, col nome di Annelies Marie, quan-do il mondo è scosso dal crollo di Wall Street, in Germania aumenta-no i disoccupati e crescono i seguaci del micropartito di Hitler.

Nel dicembre 1933 gli ebrei non hanno più diritti in Germania e Ot-to trasferisce la famiglia in Olanda. Nel maggio 1940 scoppia la guer-ra e la Germania invade il paese. Per i Frank e gli altri ebrei ritornanole angherie. Non possono usare i mezzi di trasporto pubblici, devonoportare la stella gialla, non possono frequentare le scuole pubbliche.La piccola Anna non parla di queste tristezze: il giorno del suo tredi-cesimo compleanno, il 12 giugno 1942, suo padre le ha regalato un dia-rio. Ed è solo a metà del libro, che la narrazione del diario si sovrap-pone. Il diario diventa per lei l’amico e la consolazione soprattutto neidue anni in cui vive in prigionia per non essere catturata dai nazisti:senza mai uscire dai sessantacinque metri quadrati che divide con al-tre sette persone.

La scrittrice americana Francine Prose, in uno studio recente, ha ri-letto il Diarioe lo ha confrontato con il testo originale, quello che il pa-dre in parte censurò eliminando i dissensi fra Anna e la madre e i tur-bamenti adolescenziali della ragazza. Il testo che pubblicò in olande-se nel 1947 — poi tradotto in tutto il mondo — è di circa un terzo infe-riore alla cosiddetta edizione definitiva del 1995 in cui furono recu-perate le parti eliminate. Quello che Prose ha scoperto è il lavoro diediting del Diario che era stato anticipato da Philip Roth nel suo ro-manzo Lo scrittore fantasma in cui fa dire al suo alter ego NathanZuckerman che le pagine più drammatiche del diario devono aver at-traversato una dozzina di stesure. Forse non dodici, ma almeno unpaio, secondo lo studio della scrittrice americana. Anna vi aggiunsedei dettagli, all’inizio del 1944 lo riscrisse per intero. Voleva diventareuna scrittrice ed era certa che il suo diario sarebbe stato pubblicato al-la fine della guerra. La biografia grafica continua fino alla tragica finedei sette protagonisti: tutti tranne Otto Frank, che si salva all’inizio del1945 quando i sovietici liberano Auschwitz. Il volume prosegue poicon la scoperta del diario, gli sforzi del padre per farlo pubblicare, ilsuo matrimonio nel 1953 con un’altra superstite di Auschwitz, sino al-la sua morte a novantun anni, il 19 agosto 1980.

GABRIELE PANTUCCI

Una tragedia illustrata

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ha tredici anni quando il papà, Otto, le regala un quaderno. Ne ha quindiciquando muore nel campo di concentramento di Bergen-BelsenOra, per la prima volta, la Fondazione che a quella ragazzina è intitolataha “tradotto” quanto su quelle pagine riuscì a raccontarein una delle forme preferite dai suoi coetanei di oggi: il fumetto

Repubblica Nazionale

Page 3: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

Prima ancora che ebrea,perseguitata, vittima, è una ragazzadella sua età, non un super eroeÈ la sua normalità che commuove

tutti i grandi disegnatori di comics ha sostenuto che perpe-tuerebbero il ruolo degli «scribi, antica e riverita professio-ne nell’ebraismo». Theodor Wiesegrund Adorno senten-ziando che «dopo Auschwitz scrivere poesia è barbarie»non si riferiva solo ai fumetti. Ma è stato smentito anche daifumetti (recentemente ne è stato pubblicato uno proprio suAdorno, Horkheimer e la Scuola di Francoforte).

Quando nel 1991 Maus fu incluso nella lista dei bestsellerdel New York Times, Art Speigelman obiettò solo per il fattoche figurava nella categoria “fiction”: «Non vorrei che fic-tion venisse interpretato nel senso che tratto di cose d’in-venzione, non potreste per favore introdurre una categoria

speciale “topi/non fiction”?». Per enfatizzare che parla dicose vere, non inventate, Will Eisner introduce spesso ri-produzioni di pagine di giornale nelle sue vignette. Alla stes-sa tecnica ricorrono i disegnatori di questo Anna Frank.

Capisco meno perché il volume venga raccomandato so-lo ai ragazzi di più di quattordici anni. La proposta avanza-ta un paio d’anni fa dal presidente Sarkozy di imporre a cia-scun alunno di quinta elementare di coltivare ad personamla memoria di uno degli undicimila bambini ebrei vittimedella Shoah aveva suscitato un mare di polemiche, tantoche poi non se n’è fatto nulla. Superficiale, strumentale,propagandistica, s’era detto. «Oscena» aveva addiritturatuonato il filosofo Pascal Bruckner. Speriamo non abbianoavuto sentore dell’interrogazione recentemente presenta-ta dal deputato leghista Paolo Grimoldi al ministro Gelmi-ni, contro la lettura del Diario di Anna Frank nelle scuole,con l’argomento che: «Vi è un passo nel quale Anna Frankdescrive in modo minuzioso le proprie parti intime e la de-scrizione è talmente dettagliata da suscitare turbamento inbambini delle elementari».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

FRAMMENTI DI VITANelle foto alcunimomenti della vitadi Anna:con la sorellaMargot; duranteil suo primo giornodi asiload Amsterdamnell’aprile 1934;la presa del potereda parte dei nazistinel 1933;infine, la casadi Amsterdamdove Anna è nata,diventata museonel 1960

TAVOLEIn queste pagine,alcune tavole della versionea fumetti del Diario

di Anna Frank che escenegli Stati Uniti il 14 settembreillustrata da Ernie Colon

© 2

010

SID

JA

CO

BS

ON

, ER

NE

STO

CO

LÓN

, AN

NE

FR

AN

K-F

ON

DS

BA

SE

L

Repubblica Nazionale

Page 4: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

l’attualitàSenza futuro

Riesi, provincia di Caltanissetta. Secondo la Svimezqui c’è la più alta percentuale di italiani che emigrano,il triplo che nel resto del Mezzogiorno. Vivono al Nord,in America, in Europa. Una volta all’anno in migliaiatornano a casa per l’estate che dura fino alla festadella Madonna della Catena, oggi. Poi rifanno le valigie

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

RIESI (Caltanissetta)

Oggi, al tramonto, ci sarà la proces-sione con la Madonna Santissimadella Catena. Fedeli scalzi arrivatianche dai paesi vicini, la banda

musicale, le campane che suoneranno fino amezzanotte. Sarà un paese vivo, Riesi. Con le lu-minarie in tutte le strade e piazza Garibaldi che di-venta un immenso ristorante. Poi, il silenzio, ilvuoto. Questa domenica è l’ultima d’estate, inquesta terra siciliana. È l’ultimo giorno vivo. «Dadomani — dice Fabio Di Pasquale, ventisette an-ni, cameriere stagionale al bar Cin Cin — qui re-steranno solo i pensionati e i bambini. In estateRiesi sembra un paese normale, perché almenoper qualche settimana tornano migliaia di emi-granti. Si fanno feste, si fa finta di vivere come setutto andasse bene. Ma da lunedì comincerannonove mesi di silenzio e di solitudine, in attesa del-la prossima estate. I bar si litigheranno i pochiclienti. Se d’estate vendi cento cornetti, dopo nevenderai dieci. Non si può vivere così. A dicembreparto anch’io, appena finita la scuola da infer-miere. Come gli altri vado lassù, al Nord».

È la capitale italiana dell’emigrazione, il paeseche si spegne in un giorno. Venticinquemila abi-tanti nel 1946, 11.200 oggi. Secondo la Svimez, inquesta capitale degli uomini con la valigia il tassodi spopolamento è pari al nove per mille, oltre trevolte la media del Mezzogiorno. «La cosa più brut-ta — dice Fabio Di Pasquale — è non avere spe-ranza. Sai che devi partire perché così hanno fat-to gli altri. Quelli della mia età sono già tutti alNord. Quando esco la sera, trovo solo i ragazzi didiciannove o vent’anni. Ma parti senza speranza

perché già sai che lontano non sarai felice, cheavrai voglia di tornare qui. Me lo hanno spiegatobene i miei due fratelli che sono a Torino e gli ami-ci che mi telefonano da Genova o da Milano».

È bella, piazza Giuseppe Garibaldi. Un cono digelato con pistacchio e crema, al bar Altariva, co-sta cinquanta centesimi. Sono contenti anche glianziani della Lega pensionati e Circolo pensiona-ti che in queste ultime ore vive portano fuori leseggiole per guardare il passeggio. C’è un palcoper l’“Estate insieme 2010”, costata settemila eu-ro in tutto e pagata di tasca propria da sindaco egiunta e dai bar della piazza. «Una volta — dice ilbarista che diventerà infermiere — arrivavanoAnna Oxa, Enrico Ruggeri, Riccardo Cocciante.Adesso si fanno serate di liscio e sfilate di cavallibardati. Io suono la chitarra in un gruppo, l’altrasera abbiamo fatto una “notte bianca” ma alle treabbiamo chiuso perché non c’era più nessuno.Basta guardarsi intorno per capire che non puoirestare qui: sono rimasti solo i troppo grandi e itroppo piccoli».

Riesi avrà un altro salasso, nei primi giorni dinovembre. «Sappiamo già — racconta GiuseppeCinque, responsabile dello Stato civile — che al-tre ottocento persone se ne andranno via, soprat-tutto a Torino. Sono gli operai in cassa integrazio-ne e mobilità dell’ex polo tessile, fallito nel 2006. Aottobre riceveranno l’ultimo assegno. Sono due-cento operai, in media ognuno di loro ha moglie edue figli. Il paese sarà ancora più vuoto. E cresce-ranno le Riesi sparse in Italia e in Europa. Alcunesono più grandi del paese di origine. Fra Collegnoe Grugliasco, nel torinese, ci sono quindicimilariesini. A Sanpierdarena di Genova sono quindi-cimila. Mettendo assieme figli e nipoti di nostriemigrati partiti fra la fine dell’Ottocento e la Se-conda guerra mondiale, possiamo contare altri

compaesani fra Colonia e Bruxelles». Finita la guerra, c’era la speranza di un futuro

senza valigia. «Ma l’illusione — dice Pino Testa, exsegretario della Camera del lavoro e ora assessorein Comune — è durata poco. Questa era una terradi braccianti che con la riforma agraria ebbero inconsegna quattro ettari e una casa colonica. Mal’agricoltura era estensiva, non si poteva viverecon quattro ettari a grano e fave. I terreni sono sta-ti abbandonati ed è cominciata una grande emi-grazione alla Fiat di Torino e all’Ansaldo di Geno-va. Anche gli ex braccianti andavano bene per av-vitare bulloni alla catena di montaggio». Tanti al-tri restarono, nelle miniere di zolfo. «Erano più dimille, i riesini che scendevano nelle miniere di Tra-bia e Tallarita, e altri millecinquecento arrivavanodai paesi vicini. Un lavoro bestiale, ci sono le fotodi questi uomini — e anche tanti carusi, bambinidai sette ai quindici anni — che lavorano nudi peril caldo insopportabile. Ma a fine mese c’era lo sti-pendio. Nel 1970 anche la miniera è finita, perchélo zolfo prodotto qui costava dieci volte tanto quel-lo che arrivava in nave al porto di Gela, viaggiocompreso». Ora c’è un museo, in quella che era lacentrale elettrica delle miniera. «L’ultima illusio-ne l’abbiamo avuta nel 1994. Torna in paese un exemigrante, Pietro Capizzi, che dice di essere ami-co dei Benetton e vuole aprire un centro tessile,dalla filatura al confezionamento. Nascono setteaziende che danno lavoro a trecento fra operai etecnici. Riesi respira. Ci sono giovani che tornano,si sposano, fanno mutui per la casa. Ma quando fi-niscono gli incentivi e gli sgravi fiscali della legge488 e dei patti territoriali le aziende chiudono.Quelli che avevano più di cinquant’anni hannoavuto settecento euro al mese per quattro anni, piùgli assegni familiari. Sono soldi che hanno con-sentito loro di vivere, e al paese di sopravvivere. Ma

a novembre tutto sarà finito». Si fanno anche nelle Riesi lontane le feste della

Madonna della Catena (secondo la leggenda,spezzò i ceppi di tre condannati a morte) e di SanGiuseppe. «Qui a Boltiere, dodici chilometri daBergamo — racconta Arturo Testa, presidente del-l’associazione Amici di Riesi — facciamo la sagradel mufoletto, pagnotta riesina con semi di finoc-chi e condita con olio, pepe e sale. Arrivano tre-cento persone, anche da Milano. Si cerca di stareuniti, lontano da casa». Dieci fra fratelli e sorelle, iTesta. Tre sono a Riesi, uno a Palermo, due a Bol-tieri, uno a Torino e tre a Ginevra. «Sono partito nel1995, torno per qualche settimana solo d’estate.L’emigrazione è cambiata. Un tempo partiva il ca-po famiglia, a guadagnare soldi per poter un gior-no tornare a casa. Adesso i giovani sono rassegna-ti. Sanno che torneranno solo per trovare i paren-ti. Ormai lasciano la casa natale anche i pensiona-ti, per potere restare accanto ai figli».

Basta camminare in via Roma o nei vicoli pervedere decine di cartelli: «Vendesi», «Si loca». Sivendono o si affittano palazzi e appartamenti, ne-gozi, bar, ristoranti. Giovanni Cinque, trentunoanni, venerdì pomeriggio si è sposato con LetiziaDi Naro, ventotto anni. «Lavoro a Torino da sei an-ni, da quando è cominciata la crisi del polo tessile.Impiegato, guadagno milleduecento euro al me-se. Qui a Riesi potrei comprare un appartamentodi cento metri quadri con cinquantamila euro,mentre lassù l’affitto mi costa mezzo stipendio.Ma oltre alla casa, cosa posso trovare qui? Ormai sitorna in paese solo per sposarsi accanto ai paren-ti. E anche tanti amici d’infanzia, per partecipareal matrimonio, hanno dovuto prendere l’aereo».

Non ci sono più valige di cartone ma trolley. Inpullman a Catania, poi l’aereo per Torino. AttilioGerbino, laureato in architettura, è uno dei pochi

Il paese che domani se ne va

JENNER MELETTI

Repubblica Nazionale

Page 5: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

rei poi cerchi un posto da insegnante. Fai un cor-so per bidello e cerchi una scuola. Adesso tanti di-ventano infermieri o operatori sanitari e trovanoposto negli ospedali dei paesini. Ma così l’emigra-zione è frammentata, non riesci più a costruireuna comunità con chi è nato nel tuo paese».

Non c’è bisogno di chiedere, a chi è rimasto,quanti figli abbia. Basta guardare le case di perife-ria. Due appartamenti sopra il piano terra, due fi-gli. Quattro appartamenti, quattro figli. Tutti vuo-ti. In via Einaudi ci sono palazzi con le finestre mu-rate. «Quelli che erano partiti negli anni Sessantae Settanta — racconta Attilio Gerbino — pensava-no ancora di poter tornare. Si sono spaccati laschiena per costruire o far costruire un apparta-mento per i loro ragazzi ma questi sono cresciutie sono rimasti a Genova o Ginevra. E allora ci so-no questi palazzi dove la sera vedi luce solo alpianterreno».

Ieri notte non si è dormito, a Riesi. La tradizionevuole che si resti svegli fino all’alba, a mangiare incompagnia. Alle due e mezzo viene aperta la chie-sa madre per accogliere i primi pellegrini di MariaSantissima della Catena. Per una notte il centro ètornato vivo. «C’erano confini precisi, nelle nostrestrade. In via Roma c’era il passeggio delle fami-glie, soprattutto genitori con figlia da maritare. Inpiazza Garibaldi, passeggio di soli uomini. In viaPrincipe Umberto, i giovani. Cinquecento metripieni di ragazzi e ora restano solo due crocchi da-vanti a due bar. È sparito anche il passeggio, in que-sto nostro paese». Dopo la processione, gli scoppidei fuochi artificiali. Da domani, il silenzio. Verràtolto il palco, in piazza Garibaldi. Gli anziani delCircolo pensionati, sulle loro seggiole, potrannoguardare solo gli anziani della Lega pensionati. Egli operai che smontano le luminarie.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

STRADE VUOTEAlcune immaginisimbolo del “paesedegli emigranti”:la targa belgadell’auto di un riesinotornato a casa;cartelli di casein vendita;il bar Wuppertal;qui accanto,un manifestodei funerali di un riesinoin Germania; sotto,Fabio Di Pasquale,camerierecon le valigie pronte

LUCI SPENTENella foto grande,Piazza GaribaldiLe foto sonodi Alessandro Tosatto(Contrasto)

che è riuscito a tornare. «Ma anch’io ho fatto l’e-migrante nel capoluogo piemontese e là sono ri-masti i miei tre fratelli. Ho vinto un concorso, in-segno in una scuola media. L’emigrazione è cam-biata. Non partono più pullman per la Fiat o l’An-saldo ma c’è una emigrazione a catena: ognuno dinoi da anni ha un fratello o un parente che lavoralontano. Vai da lui, ti appoggi in attesa di trovareun lavoro. Oggi, prima di partire, ti prepari. Ti lau-

Repubblica Nazionale

Page 6: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

Aiuta le sorelline a fare i compiti. Divora Ariosto e Dostoevskij. Annotacon disgusto l’affermarsi del fascismo. E racconta di anestesie e gessiÈ un adolescente inchiodato a un letto d’ospedale l’autore de “La noia”quando scrive alla zia Amelia Pincherle Rosselli.A vent’anni dalla mortequelle lettere fino a oggi inedite sono il suo romanzo di formazione

CULTURA*

“Il difetto più grandeè la secchezzaschematicache ho nel mododi scrivere:per non caderein quell’eccessoche è l’ampollositàretorica”

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

“Le mie piccole consolazioni”

Quaranta lettere inedite rac-chiudono il percorso tor-mentato di un adolescente,a letto per anni a causa diuna tubercolosi ossea. Leaveva spedite Alberto Pin-

cherle — non ancora Moravia — fra il1920 e il 1928 alla zia Amelia, sposatacon il musicista Joe Rosselli, sorella delpadre Carlo (architetto e pittore di fa-miglia ebraica), madre di Aldo (mortoin guerra), Carlo e Nello, nonna dell’o-monima poetessa. Sono la sintesi epi-stolare di un romanzo di formazione,testimonianza della nascita di unoscrittore. Toccante è il sobrio annunciodel luglio 1927 da Solda, in montagna,millenovecento metri, che il romanzod’esordio è giunto al termine. Uscirà

due anni dopo con il titolo Gli indiffe-renti. Un successo.

Purtroppo disperse le lettere di Ame-lia, la sua «inspiratrice». Donna coltissi-ma, aveva scritto romanzi e opere tea-trali, dirigeva una collana editoriale, erasocialmente impegnata: a Firenze, co-me vicepresidente del Lyceum che da-gli inizi degli anni Venti si batteva per laconcessione del voto alle donne. Tal-volta la sua voce si avverte di rimbalzonella corrispondenza del nipote prodi-ga di notizie sulla malattia fin dalla pri-ma lettera, Roma 14 aprile 1920. Alber-to ha tredici anni, devono ingessargli lagamba destra offesa dall’infiammazio-ne all’anca, e spiega con stoica luciditàle procedure. Per l’anestesia i medici gliapplicano sul naso «una maschera ditela spugna impregnata di non sò cheporcheria. Credo che fosse clorofor-mio». Al risveglio, tre ore dopo, si ritro-va con l’ingessatura «alla gamba chem’avevano tirata e livellata». Gli diconoche il gesso verrà tolto a novembre e in-tanto annuncia alla zia che può distrar-si con «la collezione di francobolli», mal’occupazione preminente sarà «stu-diare e scrivere. Leggo pure molto».Chiude con i saluti ai cugini, spesso ri-petuti in altre lettere a entrambi o a unodei due.

Passano mesi, il 28 dicembre la corri-spondenza riprende. Alberto ha com-prato un teatrino, «faccio inoltre tutti icompiti di Adriana ed Elena (le sorelle,ndr) che ne approfittano abbastanza»,

Gastone (l’ultimo fratello, morirà sulfronte cirenaico, a Tobruk, nel 1941) «àcominciato la prima elementare». E poile confessa che sta scrivendo: «un librodi mia invenzione con miei disegni».Tracce della sua vocazione erano in pa-gine autobiografiche dove — già Mora-via, pseudonimo assunto dal cognomedella nonna paterna — ricorda che anove anni scriveva racconti.

Il saltuario carteggio — ancora da Ro-ma, 17 maggio 1921 — documenta nuo-ve sofferenze. Grande caldo, l’ingessa-tura diventa «un forno»: il malato riesceperò a seguire sui giornali «la lotta elet-torale», cioè le politiche del 13 maggio.«Furono eletti per la prima volta trenta-cinque deputati fascisti tra i quali Mus-solini», annota Simone Casini (la sua in-troduzione ricostruisce il contesto pri-vato e pubblico delle lettere recuperan-do dettagli poco noti soprattutto deglianni Venti; e disegna inoltre le genealo-gie familiari Pincherle-Rosselli che siestendono fino a Ernesto Nathan e aEnrico Fermi).

Frenetico sempre l’attaccamento ailibri: «Mi sono divorato il Carducci, il Pe-trarca e l’Ariosto, ora sto leggendo la Ge-rusalemme liberata». E spunta il poeta adimostrare la sua irriducibile passioneletteraria senza curarsi — qui come al-trove — dell’ortografia non proprio cor-retta: «Da una settimana in quà stò fa-cendo poesie. Ne ho fatte una dozzinatra sonetti e poesie di quartine e rima al-ternata in settenari. Inoltre ho finito il

romanzo che avevo cominciato quandosei venuta e ne stò facendo un altro».

Si moltiplicano testimonianze di let-ture importanti (Dostoevskij e Gogolper esempio), acute riflessioni psicolo-giche, propositi legati allo studio. Vuolsaltare la quinta ginnasio, sappiamo dafonti autobiografiche dell’esame supe-rato nel luglio 1922 — Alberto «portatoin aula da un bidello, in braccio» — edella frequenza al liceo Tasso interrottada un nuovo attacco della malattia, an-cora irrisolta perché le cure non eranoadeguate. Finalmente, nel 1924, la svol-ta risolutiva. Amelia, dopo ripetute einascoltate pressioni, convince i geni-tori a ricoverarlo all’Istituto Codivilla diCortina, fondato da Vittorio Putti, diret-

tore del rinomato Istituto Rizzoli di Bo-logna, all’epoca la migliore struttura or-topedica italiana.

Cortina gli piace molto, la descrive al-la zia mostrando una spiccata sensibi-lità per la natura, osservandone le mu-tevoli prospettive stagionali. Riferisceminuziosamente delle cure elioterapi-che e del piombo di sei chili applicato alpiede per tenere in trazione la gamba.La disparità delle diagnosi dei medici diRoma e di Cortina lo convince «che lamedicina sia una questione di opinio-ni». Parla di altri ammalati con rispettoma anche in modo spiritoso, piccole li-cenze per alleggerire l’incombere dinoia e solitudine, che fino all’ultimogiorno della sua esistenza cercherà difuggire con l’amore per la vita e ilprofondo interesse per la realtà: la sto-ria nel suo farsi quotidiano, i giovani, iviaggi, e novità d’ogni tipo. Quasi voles-se protrarre, negli anni più tardi, l’ado-lescenza che non aveva potuto goderenei suoi aspetti migliori e spensierati. Adiciassette anni, un metro e ottanta dialtezza, pesa soltanto quarantacinquechili confida alla zia. Raggiunti i 49,5chili le farà sapere: «Sono ancora un pe-so piuma, come dicono gli sportivi».

Cresce intanto la consapevolezza delmestiere: «Il mio più grande difetto è lasecchezza schematica del mio modo discrivere: per non cadere in quell’eccessoche è l’ampollosità retorica». Scrivere èuna necessità biologica: «Io ci trovo unaconsolazione alla mia infermità, ed una

ragione di più per non tagliarmi le venedei polsi». Segue sui giornali le vicendedel delitto Matteotti, prende in conside-razione una delle tesi storiografiche suimoventi dell’atto criminale. Ed è curio-so che mai in queste lettere superstiti ab-bia fatto cenno alla marcia su Roma.

Il 19 luglio 1925, invece, Alberto affer-ma che il «governo fascista [...] va com-battuto fino in fondo; è rattristante [...]constatare che siamo in pieno regimepaternalista, oscurantista, quietista;non ho mai letto nulla di più grottesco epiù idiota che i due discorsi di Farinac-ci e Mussolini contro l’intellettualismoe la cultura universitaria». S’indigna perle irruzioni della «feccia fascista» in ca-sa Rosselli, a Firenze: segnali non isola-ti che Carlo e Nello erano ormai sgradi-ti per la loro attività antifascista, tragi-camente repressa con l’omicidio a Ba-gnoles-de-l’Orne il 9 giugno 1937.

Troppo tardi scriverà alla zia di que-sto doloroso evento in una lettera daRoma, dicembre 1944 (questa e la suc-cessiva, pure inedite, seguono a distan-za le precedenti quaranta). Un ritardoattribuito — prudenza? opportuni-smo? — alla stretta sorveglianza fasci-sta. Quando nel 1951 esce Il conformi-sta, e Amelia, ottantenne, gli scrive, Al-berto risponde ringraziandola di avercapito «il senso del libro» dove si adom-bra la vicenda Rosselli. Ma l’affetto diuna volta non esiste più. Un atteggia-mento che Amelia conferma nelle sueMemorie in giudizi negativi sul nipote.

ENZO GOLINO

nascitascrittore

MoraviaCORRISPONDENZEIn queste pagine, alcune lettereinedite di Moravia alla ziaAl centro, lo scrittorein una fotografia del 1924

di uno

Repubblica Nazionale

Page 7: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

Ricordo di Albertoburbero per caso

NELLO AJELLO

Sono tanti anni che cerco un perché su AlbertoMoravia. Come mai, mi domando, l’autore diRacconti romani passa per essere stato un uo-

mo impaziente e altezzoso mentre non c’era nessu-no più cortese e paziente di lui? Doveva esserci qual-

cosa che produceva un cortocircuito fra Mora-via e i suoi interlocutori. Sarà sta-

ta forse la sordità di cuiegli soffriva ma chenon si rassegnava adammettere. Trovando-si in presenza di un arti-sta-monumento, moltigli si rivolgevano, al pri-mo approccio, sussur-rando. Questo brusio, perlui impercettibile, induce-va Moravia a rispondere apieni polmoni: «Chi è lei,scusi?». «Che cosa dice?»Sentendolo urlare, l’altro siesprimeva ancora più in sor-dina. Era lì che Moravia, sco-raggiato, diventava brusco (opassava per tale).

Ma la sordità era soltanto unvelo, che di rado riusciva a di-fenderlo da chi voleva parlarglie farlo parlare. Moravia era co-me divorato da una curiosità im-petuosa. Inseguiva le notizie. Sestava lavorando, gli piaceva di ve-nire interrotto. Teneva il telefonoa portata di mano. Non adottavanessuna di quelle bugie che i per-sonaggi della sua notorietà usanocome deterrente contro ammirato-ri, postulanti o committenti.

Mi capitava di scorgerlo in situa-zioni critiche, ma sempre in grado di

sormontarle con quell’annoiata baldanza che era ilsuo segno. Ci trovavamo nel 1980 a Capri, convocatiper rievocare Curzio Malaparte. Era un fine settem-bre, pioveva. Villa Malaparte si trova su un tratto dicosta impervio, non sempre facilmente raggiungibi-le via mare. Quella volta, per il maltempo, non lo era.Occorreva andarci a piedi attraverso un sentiero.Moravia agì lucidamente. Nei pressi della piazzettacomprò un paio di scarpe adatte. S’incamminò inmezzo a noi amici, sotto la pioggia, senza un gemito.Sbuffava solo un po’. Ricordo che a un fotografo goc-ciolante che lo esortava: «Maestro, sorrida!», rispose«Sorrida lei».

Mi raccontò che una volta, convocato per un di-battito in un paese dei Castelli romani, trovò sbarra-ta la porta del circolo che aveva organizzato (o avreb-be dovuto) l’incontro. Se ne tornò a Roma. Trovan-dosi in un’altra occasione negli Stati Uniti fu intervi-stato da una rete televisiva. «Ecco a voi mister Mora-via, famoso scrittore italiano», proclamò il presenta-tore. Prima di lui c’era stata la performance di undomatore di pulci. Mentre Moravia parlava, un pro-duttore di carne in scatola, anche lui celebre ma ame-ricano, aspettava il proprio turno. In condizioni ana-loghe, uno scrittore esordiente avrebbe dato segni di

disperazione. Lui andava avanti. Nonimmaginando che qualcuno lo trovas-se freddo e distante.

Doveva essere la sordità, mi dicevoall’inizio. Trovo però nel Diario romanodel suo amico Vitaliano Brancati il rac-conto di un episodio che lo riguarda.Siamo nel 1930, a Roma. Insieme a Bran-cati, Moravia, ventitreenne, incontraGiuseppe Antonio Borgese che ha recen-sito con molto entusiasmo Gli indifferen-ti. Lui vuole ringraziarlo. Entrato in una li-breria, compra una copia del romanzo perregalargliela, con dedica. Ma gli sfugge ilsuo nome di battesimo. Glielo domanda.

«Giuseppe Antonio, o Giacomo Anto-nio?». «Giuseppe Antonio», è la rispo-sta. Con un’aggiunta risentita. «Lei ètanto avvenirista da permettersi dinon conoscere il mio nome!». L’auto-re de Gli indifferenti non trova paro-le per attenuare la gaffe. «Anche que-sta volta», dice Brancati, «Moravia sichiuse nel suo burbero imbarazzo.Esso fa scambiare per superbiaquella mancanza di diplomaziache in lui è un necessario contrap-peso per nascondere la propriabontà». A volte, concludeva il ro-manziere siciliano, la sua appa-rente durezza non è che una ma-schera con la quale «un artista sitiene fuori dal sentimentali-smo». Ad aver conosciuto Mo-ravia, e a rileggerlo, si capisceche la sua lotta contro il senti-mentalismo deve aver cono-sciuto momenti eroici. Graziea Dio, ha sempre vinto lui.

Un altro filo continuo scorre nellacorrispondenza: è la critica alla borghe-sia, all’istituto familiare che «taglia leali», alla sua famiglia («in casa mia misento schiacciato») con il padre «filofa-scista» piuttosto assente e la madre (Gi-na De Marsanich, figlia di Augusto, de-putato fascista poi esponente del Msi)piuttosto limitata. Forse per questo ve-deva nella zia una figura materna piùintellettualmente consona. Si era an-che espresso — e chissà come avrà rea-gito Amelia! — sulle «signorine dellaborghesia italiana», archetipo del gene-re la cugina Annalia Orvieto, che «inmaggior numero tra tutte» diventano«buone madri e buone mogli: ma non èad esse che si può elargire il voto politi-co». Sua compagna per lungo tempo,che ne pensa Dacia Maraini di questeaffermazioni sulle donne? «Seppureprecocemente logico e razionale, forseAlberto non aveva riflettuto abbastan-za. Noi discutevamo spesso della con-dizione femminile, lui era aperto e con-vincibile, tanto che a volte amici e ami-che gli dicevano: “Parli proprio comeuna femminista”». Ma non v’è dubbioche la donna è protagonista essenzialedella narrativa di Moravia: anche suquesto piano lo scrittore — e così purenel controcanto di queste lettere bellis-sime e commoventi — a vent’anni dal-la morte può a buon diritto essere defi-nito uno storico imprescindibile delNovecento italiano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

‘‘Alberto MoraviaTra i monti scendeil fiume delle nubidal sole occiduo tintodi vermiglio;e coi suoi fiotti tumidisommerge il vesprodivampante nella valleche in una notte lividas’immergeDi prati variegatil’abetaie sembrannell’aria torbidadi brume dei greggineri sorti dalla notteche brucan l’erba lividadei prati dell’Adesempre cieco d’ogni lumeMa quel biancore smortodelle case non si costellaancor delle sue luci;e sol dove nel borgo entrala via due lumi rossitremano a vicenda controquel vespro di malinconia

IL LIBRO

È in libreria dal 15 settembreAlberto Moravia

Lettere ad Amelia Rosselli

con altre lettere familiari

e prime poesie (1915-1951),

cura e introduzione di Simone Casini (Bompiani, 364 pagine, 17 euro). Le lettereche illustrano queste paginevengono dall’ArchivioRosselli della FondazioneRosselli di TorinoPer ricordare l’anniversariodella morte dello scrittore,ciclo di dibattiti, letture e proiezioni dal titolo“Bompiani per Moravia”a Milano dal 20al 23 settembre,nella sala Buzzati, via Eugenio Balzan 3

(© 2010 Bompiani, Rcs Libri Spa)

Repubblica Nazionale

Page 8: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

Il 18 settembre 1970se ne andava Hendrix,il 4 ottobre la Joplin,pochi mesi dopotoccava a MorrisonStesse iniziali del nome,stessa età. Da decennigli amanti delle teoriedel complotto diconoche quelle mortinon sono statecasuali ma politicheDel resto,anche Cobain:quanti anni aveva?

SPETTACOLI

LONDRA

Una chitarra a forma di freccia, lo-candine, un paio di manoscritti, uncappello nero a falde larghe, un di-segno autografo dedicato al festival

dell’isola di Wight, un vestito sgargiante, di quelliche Hendrix si faceva confezionare su misura co-me uno specchio di stoffa della psichedelia impe-rante, e una grande mappa di Londra su cui sonosegnati tutti i luoghi che hanno fatto parte della suabreve, bruciante biografia. Siamo a Hendrix Bri-tain, piccola ma succosa esibizione allestita in al-cune stanze dello Handel Museum, al numero 23di Brook street, nella zona di Mayfair, dove Hen-drix ha abitato per un po’ di tempo. Quello è statoil suo flat inglese, la casa bohémien dove visse conl’amica Kathy Etchingham, l’unica di cui si sia fi-dato completamente, e dove probabilmente pas-sò alcuni tra i rari momenti di relax della sua tra-volgente esistenza.

Ma la mostra è solo uno degli omaggi che si stan-no moltiplicando in tutto il mondo. Hendrix del re-sto doveva molto a Londra, e la passione fu total-mente ricambiata. Furono gli inglesi a capire perprimi che nel suo blues da fantascienza c’era unanuova visione dell’universo dei suoni, che nella suaonnivora, devastante capacità di trasformare inpuro genio qualsiasi cosa uscisse dalla sua chitarrafiammeggiante, stava inventando una musica chenon si era mai sentita prima. Gli americani l’aveva-no snobbato. Per loro il blues era una musica dacortile, ce l’avevano sotto casa, e per anni quel dia-mante era rimasto grezzo, appena abbozzato, in-capace di abbagliare. Finché, da Londra, non ar-rivò il suo primo singolo, una folgorante e ruvidacanzone intitolata Hey Joe che lanciò il musicistache di lì a poco avrebbe osato sfidare il cielo stesso,nella nebbia iridescente di Purple Haze, quandocantava come se dialogasse con gli dei: «Scusatemi,mentre bacio il cielo». E a Londra Hendrix ci tornòanche per morire, soffocato dal suo stesso vomito,la sera del 18 settembre 1970, in una stanza del Sa-markand Hotel. Aveva ventisette anni.

Questo numero, nella mitologia rock, è divenu-to sinonimo di maledizione, anche perché di lì apoco, il 4 ottobre, morì anche Janis Joplin. Nel suocaso il referto parlava di morte accidentale causa-ta da overdose di eroina. Aveva la testa segnata asangue come se avesse sbattuto violentementecontro qualcosa, incapace di controllarsi. Anchelei aveva appena ventisette anni. Il 3 luglio dell’an-no seguente cadde anche Jim Morrison, al pari de-gli altri due devastato da una insanabile tendenzaall’autodistruzione attraverso sostanze illecite.Neanche a farlo apposta, aveva ventisette anni. Etutti e tre avevano un nome che iniziava per “J”.

Le tre “J”, o la maledizione dei ventisette anni.Complottisti e dietrologi ci hanno ricamato sopraper decenni. Pura coincidenza? O c’erano forzeoscure che lavoravano nell’ombra per eliminare ipericolosi araldi della rivoluzione giovanile? Di si-curo erano vittime facili, di sicuro erano tre rivolu-zionari, capaci di incendiare le folle, di smuoverecertezze, di mettere in discussione per il solo fattodi essere quello che erano i rassicuranti pilastridell’establishment americano.

Hendrix, a Woodstock, aveva addirittura profa-nato l’inno americano, costruendo una delle pagi-ne in assoluto più memorabili della storia dellarock, con una versione distorta di Star SpangledBanner che si trasformava nella riproduzione so-nora di un bombardamento in Vietnam. Jim Mor-rison era pericoloso quanto possono esserlo incerti casi le parole. Aveva cantato come un novel-lo Edipo generazionale di voler «uccidere il padree fottere la madre». La Joplin era una mina vagan-te, una donna sboccata, drogata e disinibita, chetoglieva il sonno alle buone madri di famiglia. Maera sensibile e a suo modo delicata. Quando can-tava aboliva ogni barriera tra le zone profonde delproprio essere e l’espressione formale, cantavarabbiosamente, con una potenza che attingeva al-la tradizione afroamericana, una bianca che can-tava come facevano i neri, e che un giorno decisedi far costruire una lapide più dignitosa alla primae più grande delle cantanti blues, Bessie Smith,morta perché non soccorsa tempestivamente, inquanto «negra», dopo un incidente stradale. Nel1969, dopo un concerto, fu fermata e denunciatadalla polizia per «linguaggio osceno». Ma qualcheanno dopo Leonard Cohen le dedicò una delle suepiù belle canzoni, Chelsea Hotel #2, in cui descri-veva perfettamente l’impudica ma fragile perso-

GINO CASTALDO

Gli eroi ribellie il fattore J-27

LA COLLANA

Sette cd (più un dvd) dedicati al ragazzo che ha riscritto la storia del rock: a quarant’anni dalla morte di Jimi Hendrix, tutti i venerdì in edicolacon la Repubblica e L’espresso la collanaJimi Hendrix: il sogno elettrico che ripercorrela carriera del musicista, dall’albumdel debutto Are You Experienced pubblicato nel 1967 all’esibizione a Woodstock nel 1969A 9,90 euro oltre il prezzo dei giornali

GUITAR HERO

Jimi Hendrix

Johnny AllenHendrix,poi ribattezzato dal padreJames Marshall, nasce a Seattle il 27 novembre 1942 e muore a Londraper causenon chiariteil 18 settembre 1970

*

Repubblica Nazionale

Page 9: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

nalità di Janis. E poi in tutti e tre i casi, le indaginifurono frettolose, per non dire poco accurate, e la-sciarono molte zone d’ombra sulle circostanzeesatte dei decessi, il che, com’è noto, è pane per identi dei teorici del complotto di ogni epoca.

Ma c’è anche di mezzo la storia. A quei tempi l’A-merica era governata dal suo trentasettesimo pre-sidente, il controverso Richard Nixon che nel 1968aveva sconfitto, seppure con minimo scarto, il suorivale democratico con una campagna in cui ave-va esplicitamente promesso di ripulire il paesedalla feccia hippy. La verità è che per un momen-to il Paese aveva davvero avuto paura che la sov-versione riuscisse a ribaltare le forme tradizionalidel vivere sociale. E del resto, senza bisogno di ar-rivare alle paranoie complottiste, molti storicihanno sottolineato con legittimo sospetto la stra-na coincidenza di un improvviso dilagare dell’e-roina nella zona di San Francisco nel momento piùpericoloso della rivoluzione pacifica, ovvero la“Summer of love” del 1967, quando interi quartie-ri della città erano diventate zona franca, un terri-torio liberato in cui si praticava la vita collettiva, illibero scambio, l’amore libero. Guarda caso in Ca-lifornia, in quella indimenticabile estate del sognogiovanile, a esaltare la rivoluzione c’erano propriole tre “J”. Non erano i soli a farlo, ma di certo eranoquelli che più apertamente sfidavano le regole.

Al festival pop di Monterey si esibirono JimiHendrix, che in un sommo rito simbolico di sacri-ficio incendiò la sua chitarra sul palco, e Janis Jo-plin che cantò una versione di Ball and Chainpas-sata alla storia. Da quelle parti c’erano anche iDoors di Jim Morrison, che sul palco arrivò a de-nudarsi, il che spinse le forze dell’ordine a inter-rompere le sue esibizioni: lo scomodo, insosteni-bile Jim Morrison che sembrava un incubo viven-te per ogni benpensante del Paese. Le sue eranopoesie cantate, ma sullo sfondo di un paesaggioapocalittico. A ogni concerto dava l’impressione

che il mondo non potesse rimanere com’era, chefosse la fine, The End, che il mondo era inevitabil-mente alle porte, The Doors appunto, di un cam-biamento senza ritorno.

Così nel 1967. Tre anni dopo, quando gli eroi co-minciarono a morire, barbaramente uccisi dallaloro stessa fragilità, Nixon si fece fotografare allaCasa Bianca mentre stringeva la mano a un bolsoElvis Presley, il quale molti anni prima aveva fattopartire la prima ingenua ribellione giovanile delrock’n’roll, ma che nel frattempo era diventato unbravo, ammirevole conservatore, fiero dei suoi di-stintivi di sceriffo onorario, patriota esemplare e, aquanto pare, perfino disposto alla delazione neiconfronti dei più giovani e ribelli rocker che lo ave-vano spodestato.

Di sicuro la scomparsa dei tre eroi segnò la finedi un’epoca. Ma la maledizione dei ventisette an-ni non finì lì. Tornò drammaticamente in auge nel1994, quando il mondo del rock fu letteralmentescioccato dal suicidio di Kurt Cobain, il cantantedei Nirvana, trovato morto l’otto aprile, nella suacasa di Seattle. Si era sparato un colpo di fucile intesta, o almeno così decretò il referto della polizia,ma ovviamente anche in questo caso in molti han-no pensato che la verità potesse essere un’altra.Anche Kobain aveva ventisette anni, compiuti dadue mesi, si drogava e per la verità era stato già a unpasso dalla morte per overdose, e questo l’ha ov-viamente messo in relazione con gli altri tre, seb-bene fossero passati più di vent’anni.

Nella sua lettera d’addio non c’era alcun riferi-mento a Jimi Hendrix, a Janis Joplin o Jim Morri-son (malgrado Hendrix fosse di Seattle come lui).Citava Freddie Mercury come esempio di unarockstar che si esaltava nel rapporto col pubblicoe finiva la lettera citando un verso di una canzonedi Neil Young: «Meglio bruciare in fretta che spe-gnersi lentamente».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

*REGINA BLUES

Janis JoplinNasce a Port Arthur il 19 gennaio 1943 e muorenella stanzadi un motel di Hollywood il 4 ottobre 1970Causa ufficialedel decesso:overdosedi eroina

*RE LUCERTOLA

Jim MorrisonJames DouglasMorrison nasce a Melbourne, in Florida, l’8 dicembredel 1943 e muoreil 3 luglio del 1971 nella vascada bagnodella sua casaparigina

Repubblica Nazionale

Page 10: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

i saporiEstremi

Gli allevamenti sono tutti naturali, le materie prime cresconoselvagge, i prodotti e le lavorazioni, dai formaggi al miele,sono rigorosamente biologici. E ora Helsinki, la capitaleeuropea più vicina al Polo, si è attrezzata con l’ultimoelemento: una generazione di nuovi chefche hanno imparato a rinnovare le antiche tradizioni

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

RennaAllevate in libertà

nei boschi oltre il Circolo

polare artico,

hanno carne vigorosa,

magra, da utilizzare fresca

o conciata con sale

ed erbe per farne salsicce,

salami o insaccati simili

alla bresaola

SalmoneIl re del mare del Nord vive

di una doppia cittadinanza

Pescato in acque finniche

in primavera e autunno,

durante l’estate

viene importato fresco

dalla Norvegia

Per esaltarne il sapore,

affumicatura a freddo

AringaCampionessa di Omega 3,

protagonista dall’antipasto

ai secondi piatti,

viene utilizzata in cento

varianti, da crude

a essiccate, passando

per marinate originali

(ginepro e cipolle in primis),

grigliate e fritte

Pane di segaleLievito madre e lunga

fermentazione

per le pagnotte impastate

con pochissima farina

di grano tenero,

da conservare più giorni

Per colazione arricchito

con frutta secca, miele

e frutti di bosco

nordLICIA GRANELLO

Orsi, renne e aringhecucina “into the wild”

Gli abitanti

della città di Helsinki

580mila

L’anno in cui viene fondata

la città di Helsinki

1550

L’anno in cui nasce

la repubblica finlandese

1919

Tra due anni Helsinki sarà

capitale mondiale del design

2012

Gradisce una bistecca di renna o preferisce lo stufato d’orso? I dueestremi del gusto carnivoro — carne magra, muscolosa, tutta pro-teine la prima, tosta e grassa la seconda — ben raccontano il largoventaglio di sapori a disposizione nella capitale europea più vicinaal Polo, in rapida ascesa nelle classifiche della gastronomia inter-nazionale. Non a caso, proprio qui è cominciata pochi giorni fa la ter-

za avventura di “Cook It Raw”, dove “cuocilo crudo” è un ossimoro apparente, conuna manciata tra i migliori cuochi del pianeta riuniti nella piazza del mercato da-vanti al porto a scegliere e combinare tra loro materie prime selvagge e affascinan-ti, pronte alle preparazioni più disparate, dal subitaneo raccolto&mangiato a lentee lunghissime cotture.

Tutto merito di Alessandro. Fu lo zar russo, infatti, a spostare da Turku a qui lacapitale della Finlandia nel 1812. Dopo il parlamento e il governo, traslocò anchel’università, sancendo definitivamente la nascita di una nuova stella nel firma-mento delle grandi città del mondo.

Helsinki è una metropoli pocket size— mezzo milione di abitanti, disseminati suun gruppo di piccole isole collegate da ponti e traghetti — verde, civilissima, colta,simbolo di un Paese che non conosce il dramma della disoccupazione, come bentestimoniano le parole ammirate con cui martedì scorso il presidente Napolitanoha riassunto la situazione finlandese, accogliendo la collega Tarja Halonen in visi-ta in Italia. Da qualche anno a questa parte, poi, i cuochi di nuova generazione han-no cominciato a svecchiare sensibilmente i menù dei ristoranti, regalando nuovoappeal alla cucina locale, a partire dalla carne di renna, cucinata in preparazionisempre più leggere e sfiziose, lontane dalle ruvide ricette tradizionali.

Del resto, se per noi le renne sono i cavalli di Babbo Natale, qui sono considera-te le mucche del Baltico. Con la differenza non piccola che, rispetto alle vacche blin-date nelle stalle e forzate all’ingrasso, qui l’allevamento è into the wild, ovvero to-talmente libero, fino all’autunno, quando vengono selezionati i capi da abbattereper rifornire mercati e industria conserviera.

Insieme agli chef, anche l’agricoltura ha cambiato status, passando da un ap-proccio di mera sussistenza al valore aggiunto delle produzioni di qualità. Graziea giovani appassionati come Aki Arjola, fondatore di “Eat & Joy Farmers Market”,a cuochi come Kari Aihinen, che coltiva erbe e alleva api sulla terrazza del suo ri-storante nel cuore cittadino, a gastronomi come Kenneth Nars, gli azzardi di untempo — formaggi a latte crudo, farine e verdure biologiche, microbirrifici e affu-micature artigianali — sono diventati pratica quotidiana di successo.

Tra una sauna con immersione nel lago (da fare!) e un cd di Sibelius — gloria mu-sicale della città — visitate lo Studio Aalto, dove fino all’8 ottobre saranno esibiti di-segni e progetti frutto della collaborazione tra tre mostri sacri dell’architettura e deldesign quali Alvar Aalto, Aarne Ervi e Viljo Revell. All’uscita, un sandwich di pane disegale con aringhe e un bicchierino di schnappvi faranno sognare l’aurora boreale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’APPUNTAMENTOÈ una tavolozza di colori e sapori, l’autunno di Helsinki,

tra le macchie di verde dei boschi che virano al rosso

e l’arrivo sul mercato di funghi e frutti di bosco,

con gite organizzate al Nuuksio National Park,

trenta chilometri di sentieri alle spalle della città,

alla ricerca di porcini e chiodini, more e mirtilli

A inizio ottobre, poi, comincia la stagione delle aringhe:

appuntamento quotidiano con i pescatori che attraccano

di fronte a Kauppatori, la piazza del mercato

Grande

Repubblica Nazionale

Page 11: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

OrsoLa carne-simbolo della culturavenatoria nordica è tornata sul mercato con l’incremento di capi da abbattere per limitare i guai da sovrappopolazioneI cuochi la trasformano in stufati, ragù e salsicce

BarbabietolaContende alla patata il primato di contorno più popolare, anche grazie all’eccellenteapporto in vitaminee alla spiccata nota dolce,che ben si armonizza con la cucinalocale. Si serve bollita in insalata

Frutti di boscoVitamine e colori riempiono le bancarelle del mercato affacciatosul porto, danno sostanza agli yogurt, entrano nelle ricette di molti dolci, ma anche nelle preparazioni con carni decise, come orso e renna

AcquaviteVendute dallo Stato in regime di monopolio, le schnapps —semplici o aromatizzate con bacche— vengono servite in bicchierini come accompagnamento sgrassante dei piatti a base di aringa e trota affumicata

Noi finlandesi, che mangiamo in frettaper paura di restare senza

KARI HOTAKAINEN

Il piatto preferito dal finlandese è la pitsa. Per nu-mero, le pizzerie in Finlandia superano gli stranie-ri. A fare le pitse sono i turchi, che dalla Germania

hanno portato anche il secondo piatto più amato inFinlandia, il kebab. Pitsa e kebab sono così amati per-ché tutt’e due grassi e poi, al momento di ordinarli, noncreano imbarazzi di pronuncia. I finlandesi mangianoanche una grande quantità di hamburger americani,preparati in genere da adolescenti. Se non esistesseroturchi e adolescenti i finlandesi creperebberodi fame.

I finlandesi apprezzano anche i piatti cinesie quelli thailandesi, pappe triturate fino a per-dere ogni connotato, e pertanto facili da dige-rire oltre che salate a dovere.

Il finlandese mangia in fretta, temendo chela roba finisca e a lui non ne rimanga.

Il vegetale più amato è la patata. La fa bolli-ta, in padella, la fa stufata, a tocchetti, la adora.Il finlandese leva le braccia al cielo e mormora:Signore, dammi oggi la mia patata quotidiana,se non lo fai tu allora vado a prenderla io all’S-market.

In Finlandia ci sono effettivamente due catene di su-permercati alimentari, la S e la K. È sbarcato anche Lidl,nonostante l’opposizione di varie comunità locali. Ifinlandesi sono sostenitori dell’economia di mercatoe della libera concorrenza, ma dev’esserci un limite atutto. E il limite è Lidl.

In definitiva i finlandesi si riforniscono di alimenti indue grandi negozi, ragion per cui in quasi tutte le cuci-ne del Paese si fa da mangiare partendo da identichematerie prime. Che poi in ogni casa prendano sapori

diversi è davvero un miracolo. Nelle case dei finlandesi si cucinano prevalente-

mente polpette, ragù di carne, polpettone e lasagne.Niente di più pratico, è tutto basato sulla stessa mate-ria prima: carne macinata.

In dispensa ci sono in media quindici confezioni dipolpa di pomodoro e venti pacchi di pasta. Solo le pa-tate superano per quantità la pasta. Gli ci è voluto deltempo, ai finlandesi, per realizzare che nelle lasagne

non è il caso di aggiungere le patate. Sovente mangiano anche pesce, per

quanto importato dalla Norvegia. Solo qual-che anno fa sono arrivati alla consapevolez-za che i cibi che amavano di più venivano dalontano, via nave e via aereo.

Il colmo dei colmi si raggiunse quel Natalequando anche il nostro piatto rituale, il pro-sciutto di maiale, risultò importato dalla Da-nimarca. Roba da restare a bocca aperta: chedi maiali in Finlandia ce ne sono tanti, e ce nesono che sanno anche parlare.

Vi sarete di certo resi conto che quanto so-pra è stato preparato di getto, come la pasta.

Mi auguro sinceramente che sia al dente, come è giu-sto. Chi scrive, almeno lui, lo è.

Traduzione Nicola RainòL’autore è uno dei più originali scrittori finlandesi:

dopo le prime raccolte di poesie, si è dedicatoalla prosa per bambini e adulti

I suoi ultimi libri, Colpi al cuore (2006) e Via della Trincea (2009),

sono pubblicati in Italia da Iperborea

itinerariKari Aihinenè lo chef del “Savoy”,affacciatosulla Eteläesplanadi,la passeggiatapedonale di Helsinki,

con giardino botanicopensile e alveareTra i piatti più golosi,l’aringa affumicatacon crema di aneto

dove dormire dove mangiare dove comprareHOTEL FABIANFabianinkatu 7Tel. (+358) 9-61282000Doppia da 110 euro, colazione inclusa

HOTEL KLAUS KBulevardi 2-4Tel. (+358) 20-7704700Camera doppia da 125 euro

HOTEL HAVENUnioninkatu 17Tel. (+358) 9-681930Doppia da 170 euro, colazione inclusa

HOTEL GLOKluuvikatu 4Tel. (+358) 10-3444400Doppia da 210 euro, colazione inclusa

SEA HORSEKapteeninkatu 11Tel. (+358) 9-628169Chiuso domenica, menù da 30 euro

CHEZ DOMINIQUERikhardinkatu 4Tel. (+358) 9-6127393Chiuso dom. e lun., menù da 100 euro

ATELJE FINNEArkadiankatu 14Tel. (+358) 9-493110Sempre aperto, menù da 25 euro

LUOMOVironkatu 8Tel. (+358) 9-1357287Chiuso dom. e lun., menù da 50 euro

EAT & JOYProdotti tipiciMannerheimintie 22Tel. (+358) 45-2505333

ALKO ARKADIAEnotecaSalomonkatu 1Tel. (+358) 20-7112102

HANNA ANDSTRÖMAringhe e salmoneKuppahalli, EtelärantaTel. (+358) 9-626066

CAFÉ EKBERGPane e pasticceriaBulevarden 9Tel. (+358) 9-68118660

‘‘

Da “IL TRENO PER HELSINKI”

Dacia MarainiAllungo timidamentele mani per toccarglila faccia. Ha la pellemorbida e profumata[…] Lo attiro. Lo bacioE lui mi mordecon delicatezzale labbra. Siamointerrotti da una voceacuta che grida:Helsinki! Helsinki!

L’AUTORELo scrittore

finlandese KariHotakainen

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

Page 12: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

le tendenzeUrban Zoo

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

Èun tessuto dalle tante anime, può es-sere chic e pudico, glamour e provo-catorio, ma anche la massima espres-sione della lussuria o all’opposto ilsimbolo di un morigerato bon ton.C’è chi è contro e chi lo adora sempre

e comunque. Il tessuto amato-odiato, che sta ri-tornando prepotentemente sulla scena dellamoda è quello con la stampa maculata, uno deicapisaldi del fashion systemche è riuscito a con-tagiare, con la sua carica sensuale, anche i pez-zi di arredo per la casa, gli accessori design, epersino alcuni oggetti d’uso quotidiano come lascopa per le pulizie domestiche. Il maculato af-fascina e nei dizionari della moda viene defini-to anche “animal print” o tessuto “animalier”.

Lo stile leopardato oggi torna di gran moda mavanta una storia millenaria, costellata di perso-naggi illustri come Gabriele D’Annunzio che nel-le sue ricche dimore adorava circondarsene. Magià nell’antico Egitto i sacerdoti erano affascina-ti delle pelli maculate che poi, in versione tessu-to, avrebbero colonizzato i guardaroba dal Sette-cento esaltando colli, polsi, dettagli di abiti opu-lenti e di ampi mantelli simbolo del potere.

La stoffa leopardata ne ha fatta di strada e trale grandi firme della moda che l’hanno esaltatac’è sicuramente Christian Dior. Alla fine deglianni Quaranta, i suoi raffinatissimi abiti inchiffon a vita stretta e a gonna ampia hanno se-gnato la storia dell’eleganza femminile. E se inmaniera più prorompente e carnale le pin-up delcinema hollywoodiano ne hanno fatto la ban-diera dell’erotismo, l’animalier è riuscito a con-quistare icone di eleganza come Jacqueline Ken-nedy, irriverenti contestatrici degli anni Settan-ta, fino a dive come Madonna.

Nella grande abbuffata di maculato che si an-nuncia per l’autunno-inverno spiccano gli abiti-bustier dei Dolce e Gabbana, da sempre grandiinterpreti del genere in versione supersexy. Blu-girl si diverte a offrire versioni con colori fluo chepiacciono molto alle ragazze, come del resto lemaglie stretch di Iceberg. I trench animalier, davera maliarda, fanno bella mostra da H&M aprezzi minimal. Etro crea mise pensate per ladonna borghese iper-chic mentre Roberto Ca-valli punta sull’espressione più grintosa. Lo stileleopard si rincorre sulle décolleté classiche diChristian Dior, le ballerine Ferragamo, i sandalifetish di Miu Miu e gli stivaletti di Gucci, Giusep-pe Zanotti e Cesare Paciotti. Anche le borse siprendono una bella rivincita sul fronte del ma-culato. Piccole (per la sera) o capienti (per il gior-no) portano, tra le altre, la griffe di Prada, Fendi,Gucci, Rocco Barocco ma anche Moschino, An-na Molinari.

E l’animalier dilaga anche fuori dai guardaro-ba e finisce sulle sedute dei divani, i pouff dei sa-lotti barocchi, i cuscini, le lenzuola da alcova ro-mantica. È un vero tormentone mirato ad am-pliare l’esercito, già consistente, delle fan di que-sto genere: donne dalla sensualità esplosiva o te-nere fanciulle, unite dalla passione per il macu-lato peccaminoso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LAURA ASNAGHI

CROMATADalla Alivar una riproduzione

della chaise longue di Le CorbusierLa struttura è in acciaio cromato

con l’imbottitura in veste animalier

MIXÈ capiente il bauletto Gucci,con un giusto equilibriotra cuoio e maculatoPerfetto per andare in ufficio,ma glamour quanto bastaper esibirlo a cocktail seralie negli eventi notturni

ZEBRAI cuscini animalier di MastroRaphael riproducono il mantodelle zebre con le caldetonalità del colore cammello

Nel segno del leopardo

Amato o odiato, indossato dalle pin-up di Hollywoodma anche da Jackie Kennedy, il maculato è il tessutoche non ammette mezze misure. Anche se per secoliha sempre avuto i suoi cultori, quest’autunnoè la sua stagione. E dalle passerelle agli oggetti quotidiani,dai mobili agli accessori, si diffonde a macchia di...

Animalier

ILLU

ST

RA

ZIO

NE

GR

UA

U

Repubblica Nazionale

Page 13: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

La mia donna felinacosì sicura di sé

ROBERTO CAVALLI

I miei primi maculati risalgono a qua-rant’anni fa. E da allora la mia passione perquesto tipo di stampa, è cresciuta di giorno

in giorno. Sono considerato il “re del macula-to”, e non so se merito questa definizione. Mauna cosa è certa. Il mio tessuto piace alle don-ne e, soprattutto, le rende belle. Ricordo cheper elaborare il mio primo animalier ero an-dato allo zoo di Pistoia per fotografare un leo-pardo. Volevo che il mio tessuto fosse specia-le e riuscisse a trasmettere la bellezza del man-to di quell’animale.

Il maculato è fortemente connaturato allamia storia di stilista e creativo e non ho maismesso di farlo perché trovo che sia uno dei ca-pitoli irrinunciabili della moda. Quella deigiorni nostri ma anche la moda del passato.Quattro anni fa, a New York, a una mostra or-ganizzata dal Metropolitan Museum, doveerano esposti anche molti miei abiti maculati,c’erano tanti pezzi storici che risalivano al Set-tecento. Segno che la passione per questo tipotessuto è antica e radicata.

Per creare un disegno animalier che sappiatrasmettere una vera emozione ci vogliono ta-lento, pignoleria, voglia di ricercare e di speri-mentare. Mia moglie Eva e io lavoriamo gior-nate intere, a volte settimane, per trovare quel-la speciale sfumatura che ti fa dire: «Sì, questomaculato è davvero bello». Io parto sempredalle immagini, le studio, ci rifletto e poi ela-boro un modello. Tutto questo tenendo sem-pre presente in che periodi dell’anno verran-no indossati quegli abiti. Se sono destinati al-

l’inverno mi piace giocare sul manto di ani-mali con il pelo, dal leopardo alla giraffa. Se sitratta di mise estive preferisco ispirarmi allesquame dei serpenti. Invece i jeans stretch-animalier (che sono stato il primo a fare e chehanno avuto un grande successo) vanno benein tutte le stagioni.

So benissimo che non tutte le donne im-pazziscono per il maculato. Alcune lo consi-derano troppo volgare e non lo degnano di at-tenzione. Secondo me sbagliano. Perché l’a-nimalier, se ben indossato e se interpretato nelmodo corretto, riesce a trasmettere alla donnala grinta felina di un leopardo. Certo, ogni co-sa va dosata e calibrata. Il mio consiglio è diequilibrare la forza di un tessuto maculato conaccessori più soft. Il top sono le ballerine, o co-munque le scarpe raso terra che donanoun’andatura angelica. Tra le donne famoseche hanno portato alla perfezione i miei abitianimalier, ricordo, con una certa emozione, latop model Cindy Crawford. Il tessuto aveva lastampa del manto di una tigre, testa compre-sa, e lei lo ha indossato in passerella con taleconvinzione e sensualità, che c’è stata un’ova-zione del pubblico. Anche Victoria Beckham eJennifer Lopez hanno la giusta attitudine perindossare con eleganza abiti di questo genere,che richiedono sicurezza di portamento equella che gli americani chiamano self confi-dence. E se una donna ha questo piglio allora sipuò permettere anche un tacco alto. Garanti-sco: donne così fanno girare la testa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

MALIZIOSALa ballerina di Miu Miuè uno tragli accessoripiù maliziosiche una donnapossa esibiregiocando sulla fintainnocenzadi una scarpa baby

SEXYCi vuole grinta e una camminatasicura per indossare lo stivalettodi Luciano Padovan, “armato”

di tacco stiletto, davvero molto sexy

LEGGERAPratica, leggera e confortevole la borsa,

con stampa animalier, di Cafè NoirPensata per le donne

che amano essere sempre alla moda

AGGRESSIVARocco Barocco è da sempre

un fan del maculatoAbiti e borse animalier

abbondano nelle sue collezioni

BON TONLa scarpa décolleté di Christian Dior

è la massima espressionedel bon ton in stile animalier. Specie

se indossata con un tubino nero

GHEPARDATessuti morbidie sfumatureRoberto Cavallitrasformala donnain una sinuosagheparda

AFRICANAEchi africani

nell’abitoDolce

e GabbanaPer sedurre

con un total lookmaculato

SELVAGGIABlumarineabbandonale atmosfereromantichee riscopreil richiamodella forestain un abito cortocon stampa tigrata

MORBIDAEffetto maculato ancheper la morbida pochettedi Etro dai colori caldi

IRONICALa maniadel maculatonon ha confinie sbarca,con molta ironia,anche tra gli oggettid’uso quotidianoCome le scopein setoladel marchioMaiuguali pulizia

Repubblica Nazionale

Page 14: Laomenica - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2010/12092010.pdf · e Albert Hackett, quella da cui poi fu tratto il film girato a Hollywood. Meyer Levin, lo scrittore

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 12 SETTEMBRE 2010

l’incontro

‘‘

Nazionalpopolari

Il termine tronistaormai è entrato nel vocabolarioNon piaceneanche a me,ma evito di pensarecontinuamenteche sono meglioo più intelligente di lui

L’infanzia da provinciale in collina,tutte le domeniche a messa,una mamma professoressa di italiano“La tv? A quei tempi il mio sogno

era fare la benzinaia”,dice oggi la “sanguinariadell’Auditel”Che qui confida amori,paure, “sfigaggini”e il fortissimo legamecon il figlio Gabriele

Prima di contrattaccare: “Trucida io?Chi mi critica è snob, peggio è miope:si sente superiore agli altri”

ROMA

Saranno le quotidiane partitedi tennis, sarà il riposo forza-to di agosto, Maria De Filip-pi ha l’aria di un’adolescen-

te appena tornata sui banchi di scuola.«Lasci stare, C’è posta per te riparte il 18settembre, Uomini e donne il 20 e Ami-ci il 2 ottobre», esordisce. Ma tutto que-sto non le pesa. L’inattività la logora piùdelle intere giornate trascorse a proget-tare e condurre le sue creature televisi-ve. «La mammografia, quella sì mi hastressato», dice accendendosi la primasigaretta della giornata. «Sa che io nonl’avevo mai fatta? Mi ero limitata all’e-cografia, perché avevo paura che tuttoquello strizzamento facesse male. Cosìeccomi lì, davanti alla dottoressa cheguarda le lastre e parla d’altro. Io vadonel panico. La incalzo: “Sì, vabbè, mache c’è lì?”. E lei: “Ma niente, niente”».

La guerra dell’Auditel è appena ripre-sa dopo il letargo estivo tutto repliche efrattaglie, lei per far onore al titolo di“sanguinaria” del piccolo schermo do-vrà sbaragliare la concorrenza su tutti ifronti. Non sarà difficile con l’Italia chemorbosamente resta incollata a C’è po-sta in attesa che una famiglia si riunisca,che due amanti separati ritrovino la stra-da, che una figlia in età da marito riab-bracci il padre che non vede dall’asilo.«Scelgo le storie che mi coinvolgono dipiù. Non necessariamente le più truci-de», rettifica. «Chi viene a C’è posta nonlo fa per voglia di apparire, c’è sempre difondo un’autentica disperazione».

La regina della tv è una di casa, nes-suno dei telespettatori la chiama percognome. Solo Maria. Maria nazionale.Eppure giura che la tv non era proprionei suoi piani. Che tutto è successo percaso. «Io da piccola volevo fare la benzi-naia». Non sta scherzando. L’enigmaDe Filippi è tutto sigillato negli anni tra-scorsi in provincia, con mamma, papàe un fratello più grande e zelante. «Sononata a Milano, poi ci siamo trasferiti a

Pavia, dove mio padre aveva un’azien-da agricola in collina, nell’Oltrepò»,racconta. «Lì c’erano un benzinaio, ilbar dei giovani, il bar dei vecchi e un ali-mentari. Niente di più. Corrado, il ben-zinaio, era davanti a casa nostra e spes-so stavo da lui. Pensavo che quel me-stiere fosse fonte di grandi guadagniperché il portafogli a soffietto di Corra-do era sempre pieno di banconote. Co-sì tornavo a casa e ogni volta era la soli-ta solfa: “Papà, ma perché non fai il ben-zinaio?”. La domenica si andava inchiesa, su quello papà era intransigen-te. Mi divertiva, perché era uno spetta-colo unico. Da una parte le donne, dal-l’altra gli uomini, e se ti piaceva qualcu-no certo non seguivi la funzione, col ri-sultato che il prete non lo guardava nes-suno». Racconta come se stesse parlan-do di un’altra, con la medesimaintonazione di quando riassume in tra-smissione vita morte e miracoli dellestorie degli altri. Però si vede che si èanalizzata a fondo, che ha sciolto conpazienza i nodi che la provincia le hastretto intorno, che l’understatementche l’ha resa celebre è un’eredità deglianni trascorsi nell’Oltrepò, e non baste-ranno mille telegatti a eliminare quellariluttanza ad apparire.

«In collina, tutto sempre in collina, iopensavo che la mia vita sarebbe stata lìper sempre», continua. «In collina an-che il primo amore. Che grande soffe-renza. Era un ragazzo di Torino, ma nonmi dichiarai mai, perché mi considera-vo un cesso, avevo duemila complessi.D’inverno gli scrivevo — ricordo ancoral’indirizzo, via XX Settembre 69. Finchénon si mise con un’altra…». Un’infan-zia normale, i grilli per la testa messisempre a tacere dalla mamma Pina,professoressa di italiano, latino e greco.Per una destinata al liceo classico era co-me per un ladro avere un carabiniere incasa. «Parlò con il preside davanti a me,me lo ricorderò finché campo: “È diver-sa da suo fratello, meglio se la mettete inuna sezione più facile”. Infatti, non stu-diavo. Ero furba, brava a copiare. Unavolta mi fece uno scherzo crudele, minascose il libro di italiano e io per tre me-si non me ne accorsi. Aspettavo tutto ilgiorno di uscire con la Vespa, alle sei delpomeriggio, il momento più euforicodella giornata. E prendevo una multadietro l’altra. Una volta la feci grossa, perpagarne una più salata delle altre rubaiin casa un pezzo d’argento e andai a ven-derlo in una gioielleria dall’altra partedella città. Pavia è uno sputo, fui sma-scherata e portata per un orecchio da-vanti al gioielliere. Alla maturità presi unvoto alto, ma ormai posso dirlo: copiai.Poi l’università. Non so cosa mi scattò

dentro, ma diventai bravissima. Giuri-sprudenza l’avevo scelta io, ero libera difrequentare o non frequentare, la mate-ria m’interessava. Partii con la voglia difar bene e se non prendevo almeno ven-tinove rifiutavo il voto. Ero proprio unamartella».

Ma la televisione? «Mi lasci racconta-re, sennò mica capisce perché sono co-sì. Mio padre, a quel punto era pazzo dime, mia madre invece ripeteva che pri-ma me ne andavo di casa e meglio era.“Non darle retta, tua madre si è eman-cipata, non starla a sentire. Resta qua”,diceva papà. Lui era del nord, ma piùmeridionale di un meridionale. Avreb-be voluto mamma a casa tutta per sé.Non avrebbe mai accettato che indos-sasse un vestito rosso. Lei non gliel’hamai data vinta, amava viaggiare, anda-re a teatro, giocare a carte con le amiche.Alla fine, tanto ha contato la mammaperché la vedevo più felice di papà, cheaveva combattuto tutta la vita per te-nersi lei appiccicata e non c’era riusci-to. Aveva vinto lei su tutti i fronti. Feci ilconcorso in magistratura — comemamma voleva — e fui bocciata. Permantenermi facevo le tesi di laurea;avevo risposto a un’inserzione sul gior-

nale, mi davano un milione e mezzo atesi. Il primo lavoro, sempre della serie“mantieniti”, me lo trovò mamma allaUnivideo. Ci stetti un anno, non mi pia-ceva per niente, poi conobbi Maurizio(Costanzo) al Festival di Venezia… mipropose di venire a lavorare a Roma…».Finalmente tutta tv. «Macché, ogniweekend ero a casa. Per anni ero rima-sta appiccicata a papà, sdraiata sullasua pancia a riordinargli i capelli con ilpettine che aveva nel taschino. Unacozza umana».

Poi ci sarà stata la presenza di Co-stanzo da giustificare. Lui classe 1938,coniugato. Lei classe 1961, stagista. Unterremoto nella famiglia dell’Oltrepò.«Mio fratello incalzava: “Sei pazza?Vuoi che lo sappiano dai giornali?”. Co-sì lo dissi io a entrambi. Prima a mam-ma, che prese il telefono e lo chiamò:“Scusi, ma lei che è sposato che vuole damia figlia?”. Lui rispose che aveva in-tenzione di separarsi e lei si quietò. Apapà lo dissi con riluttanza, mentre milavavo i denti per ostentare tranquillità.Non batté ciglio. Era incazzato, preoc-cupato. Gli scrissi una lunghissima let-tera, l’unica che gli abbia mai scritto, edopo le cose cambiarono. QuandoMaurizio venne a Pavia a conoscere imiei, mamma se lo studiava, mentrepapà fu immediatamente conquistatodalla sua parlantina. Gli uomini sonomolto più semplici, bofonchiano mahanno meno retropensieri di noi. Mau-rizio mi ha aiutato molto ma non mi hamai forzato ad assomigliare a lui, mi hasolo insegnato ad accettare le mie sfi-gaggini».

Così Maria De Filippi diventa Marianazionale ficcando il naso nella pri-vacy, nei sogni e nelle segrete ambizio-ni della gente comune. «La scelta di rac-contare questo tipo di storie non è par-tita da un discorso di audience, è quelloche so fare», puntualizza. «Quandoscelgo le storie di C’è posta, mi sentomolto la casalinga di Voghera; non mioffende fare programmi nazionalpo-polari, mi lusinga. Chi mi critica è snob,peggio, miope, si sente superiore agli al-tri, più intelligente». I critici televisivinon le perdonano di propagandaremodelli negativi. «Già, Uomini e donnenon va giù a nessuno», afferra al volo.«Per il concetto di tronista, termine cheormai è entrato anche nello Zingarelli.Secondo me non hanno mai cercato dicapire il tronista da un punto di vista so-ciologico. Il tronista non piace neanchea me, ma evito di pensare continua-mente che sono meglio di lui. Anchemia mamma lo guarda in cagnesco.Non potrebbe mai essere figlio mio,pensa».

Le paparazzate dell’estate, le fotocon suo figlio (il ragazzo avuto in affida-mento dieci anni fa e successivamenteadottato) una volta la mandavano inbestia, oggi che Gabriele è maggioren-ne la fanno sorridere. Estrae dalla bustauna serie di istantanee scattate col te-leobiettivo. Madre e figlio in spiaggia.Visti così, potrebbero essere due fidan-zatini: un ragazzone di un metro e no-vanta che assomiglia a Jeff Goldblumcon una bionda dal bel personalino.«L’adozione ha cambiato le mie prio-rità», dice accarezzando una delle im-magini più tenere. «È stata una sceltanon un ripiego. Quando lui è arrivato,pensavo: mi vorrà bene. Poi mi sonochiesta: perché dovrebbe? Perché l’hoportato via da là? In fondo si era adatta-to, aveva dieci anni. A un’altra famigliache gli avevano presentato aveva dettodi no. E lì ho capito che tra noi due do-veva scattare qualcosa che non fosse ri-conoscenza, che dovevo conquistarlo,che niente era scontato. Ora ha dician-nove anni, siamo nella fase universitàsì/università no. Io, con orrore di miamadre, vorrei che non la facesse. Gli hodetto: “Vieni a lavorare con me, stai unanno lì, impari un mestiere poi decidi”.Lui in realtà non è affatto interessato aquel che faccio, gli piace il disegno. Masto cercando di fargli capire che l’uni-versità la deve fare quando ne ha voglia,non per convenzione sociale. È bellocome il sole», dice sfogliando le foto.«Maurizio... pazzo di lui, ma in modo di-verso, perché più adulto. È difficile chevedano lo stesso telefilm, mentre noidue giochiamo anche alla playstation».

La chiamano al cellulare per gli ulti-mi dettagli della prima puntata di C’èposta. «Io prendo male che diano perscontato che tutto quel che faccio deb-ba andare bene», sbotta. «Non è veroche faccio tutto bene, faccio dei grandierrori, me ne accorgo in corsa e non c’èpossibilità di recuperare. Ogni volta cheinizia un programma, dicono: chi vuoiche vinca? Chi vuoi che vinca un par dipalle, io mi faccio un gran culo!».‘‘

GIUSEPPE VIDETTI

FO

TO

LIV

ER

AN

I

Maria De Filippi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale