lagip dal fine guerra alla gestione cefis (1945-1966)....l’agip dal fine guerra alla gestione...

38
LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario Mattei. Nel 1943, mentre l’esercito degli Alleati proseguiva la sua risalita verso Nord, incominciata con lo sbarco in Sicilia il 10 luglio 1943, l’AGIP aveva ancora sede a Roma, ma le attività operative minerarie erano limitate al Nord nelle zone intorno a Lodi e Podenzano. Dopo l'armistizio di Cassibile del 3 settembre del 1943, atto con il quale il Regno d'Italia cessò le ostilità contro le forze Anglo-Americane Alleate, venne formata il 23 settembre 1943, col nome di Stato Nazionale Repubblicano, la Repubblica Sociale Italiana (RSI) con sede del Governo a Salò, che il 6 dicembre 1943 commissionò l’AGIP affidandola a Carlo Zanmatti, con suo vice Bruno Mazzaggio. Poco dopo un'assemblea straordinaria dei soci decise il trasferimento della sede sociale da Roma a Milano. Quando nel febbraio 1945 fu completata l’occupazione dell’Italia centro-meridionale, venne ricreato a Roma il CdA dell’AGIP, con Presidente il senatore Arnaldo Petretti, che era stato uno dei propugnatori del modello preautarchico, benché fosse inquisito principalmente per essere stato vice Governatore dell’Africa Orientale Italiana (AOI) dal giugno 1936 al dicembre 1937. Le funzioni della nuova AGIP si limitavano alla gestione dei rapporti con il Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) e con le autorità alleate, all'amministrazione del personale dell'azienda, in parte inutilizzabile essendo chiusi tutti i cantieri dell’Italia centro meridionale, alla restituzione dei beni sequestrati nel 1941 alle società petrolifere straniere, ed al calcolo dei danni di guerra da parte dell'Ufficio Stralcio che era stato lasciato nella capitale nel 1943. L'ufficio, in contrasto con gli ordini ricevuti dalle autorità repubblichine, non aveva consegnato le rilevazioni contabili alla sede milanese dell'AGIP, ma aveva continuato la tenuta dei conti relativi alle attività nell'Italia centro meridionale, consentendo la saldatura con le operazione svolte per conto del CIP e con l'avvio della nuova gestione. La Direzione Generale trasferita a Milano nel 1943 veniva dichiarata Illegittima dal governo militare alleato. La nuova AGIP riprese il ruolo avuto nella prima metà degli anni ‘30, ponendosi come organo di equilibrio del mercato italiano degli idrocarburi, rafforzando il legame tra l'azienda, gli organi tecnici del Ministero dell'Industria e il mondo accademico, con l'attività commerciale, estesa anche al ramo minerario, fatta in accordo con i gruppi stranieri. Nel corso del suo primo anno di presidenza, Petretti avviò con risultati deludenti contatti segreti con gruppi internazionali Standard e Shell, le cui filiali si dividevano il mercato italiano. Finanziariamente l’AGIP era vicina al collasso, dovendo pagare gli stipendi dei dipendenti ed avendo perduto impianti, attrezzature e titoli minerari in AOI e nell’Europa dell’Est, sotto controllo russo, con le raffinerie italiane distrutte e con la minaccia di dover pagare danni di guerra, senza ottenere nulla per i danni subiti. La situazione rimase sostanzialmente bloccata fino al 1947, quando, con la firma del trattato di pace, venne definito il contesto legale entro cui arrivare a una soluzione delle pendenze internazionali dell'AGIP. La Liberazione pose il problema della riassunzione di chi era stato licenziato per non aver aderito al trasferimento dell’AGIP al Nord nel 1943, mentre, in modo speculare, tutto il personale che aveva lavorato per la DG di Milano era accusato di collaborazionismo con la RSI e l'esercito tedesco. Già nel marzo 1945 la nuova AGIP richiamava in servizio Kovacs, alla ROMSA dal 1912 e vice DG dell'AGIP dal 1934, licenziato per ragioni razziali nel 1938, nominandolo Vice DG per la riorganizzazione del downstream e in seguito DC della raffinazione AGIP fino all’aprile 1962. Si nominò anche una commissione, diretta dal professor Vincenzo Romanelli, che durante l'estate 1945 preparò una graduatoria del personale in base al suo coinvolgimento con il regime e alla sua utilità per lo svolgimento della futura attività aziendale. La gestione del personale era resa estremamente complessa dal rientro dei prigionieri di guerra, dei reduci delle operazioni all’estero ormai perdute e dalla distruzione di gran parte della documentazione. Con il ricongiungimento con la DG del Nord, si pose il problema della Gestione Ricerche, che apparteneva ufficialmente allo Stato, ma che durante la guerra era stata finanziata largamente

Upload: others

Post on 09-Feb-2020

9 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966).

La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario Mattei.

Nel 1943, mentre l’esercito degli Alleati proseguiva la sua risalita verso Nord, incominciata con lo sbarco in Sicilia il 10 luglio 1943, l’AGIP aveva ancora sede a Roma, ma le attività operative minerarie erano limitate al Nord nelle zone intorno a Lodi e Podenzano. Dopo l'armistizio di Cassibile del 3 settembre del 1943, atto con il quale il Regno d'Italia cessò le ostilità contro le forze Anglo-Americane Alleate, venne formata il 23 settembre 1943, col nome di Stato Nazionale Repubblicano, la Repubblica Sociale Italiana (RSI) con sede del Governo a Salò, che il 6 dicembre 1943 commissionò l’AGIP affidandola a Carlo Zanmatti, con suo vice Bruno Mazzaggio. Poco dopo un'assemblea straordinaria dei soci decise il trasferimento della sede sociale da Roma a Milano. Quando nel febbraio 1945 fu completata l’occupazione dell’Italia centro-meridionale, venne ricreato a Roma il CdA dell’AGIP, con Presidente il senatore Arnaldo Petretti, che era stato uno dei propugnatori del modello preautarchico, benché fosse inquisito principalmente per essere stato vice Governatore dell’Africa Orientale Italiana (AOI) dal giugno 1936 al dicembre 1937. Le funzioni della nuova AGIP si limitavano alla gestione dei rapporti con il Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) e con le autorità alleate, all'amministrazione del personale dell'azienda, in parte inutilizzabile essendo chiusi tutti i cantieri dell’Italia centro meridionale, alla restituzione dei beni sequestrati nel 1941 alle società petrolifere straniere, ed al calcolo dei danni di guerra da parte dell'Ufficio Stralcio che era stato lasciato nella capitale nel 1943. L'ufficio, in contrasto con gli ordini ricevuti dalle autorità repubblichine, non aveva consegnato le rilevazioni contabili alla sede milanese dell'AGIP, ma aveva continuato la tenuta dei conti relativi alle attività nell'Italia centro meridionale, consentendo la saldatura con le operazione svolte per conto del CIP e con l'avvio della nuova gestione. La Direzione Generale trasferita a Milano nel 1943 veniva dichiarata Illegittima dal governo militare alleato. La nuova AGIP riprese il ruolo avuto nella prima metà degli anni ‘30, ponendosi come organo di equilibrio del mercato italiano degli idrocarburi, rafforzando il legame tra l'azienda, gli organi tecnici del Ministero dell'Industria e il mondo accademico, con l'attività commerciale, estesa anche al ramo minerario, fatta in accordo con i gruppi stranieri. Nel corso del suo primo anno di presidenza, Petretti avviò con risultati deludenti contatti segreti con gruppi internazionali Standard e Shell, le cui filiali si dividevano il mercato italiano. Finanziariamente l’AGIP era vicina al collasso, dovendo pagare gli stipendi dei dipendenti ed avendo perduto impianti, attrezzature e titoli minerari in AOI e nell’Europa dell’Est, sotto controllo russo, con le raffinerie italiane distrutte e con la minaccia di dover pagare danni di guerra, senza ottenere nulla per i danni subiti. La situazione rimase sostanzialmente bloccata fino al 1947, quando, con la firma del trattato di pace, venne definito il contesto legale entro cui arrivare a una soluzione delle pendenze internazionali dell'AGIP. La Liberazione pose il problema della riassunzione di chi era stato licenziato per non aver aderito al trasferimento dell’AGIP al Nord nel 1943, mentre, in modo speculare, tutto il personale che aveva lavorato per la DG di Milano era accusato di collaborazionismo con la RSI e l'esercito tedesco. Già nel marzo 1945 la nuova AGIP richiamava in servizio Kovacs, alla ROMSA dal 1912 e vice DG dell'AGIP dal 1934, licenziato per ragioni razziali nel 1938, nominandolo Vice DG per la riorganizzazione del downstream e in seguito DC della raffinazione AGIP fino all’aprile 1962. Si nominò anche una commissione, diretta dal professor Vincenzo Romanelli, che durante l'estate 1945 preparò una graduatoria del personale in base al suo coinvolgimento con il regime e alla sua utilità per lo svolgimento della futura attività aziendale. La gestione del personale era resa estremamente complessa dal rientro dei prigionieri di guerra, dei reduci delle operazioni all’estero ormai perdute e dalla distruzione di gran parte della documentazione. Con il ricongiungimento con la DG del Nord, si pose il problema della Gestione Ricerche, che apparteneva ufficialmente allo Stato, ma che durante la guerra era stata finanziata largamente

Page 2: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

con risorse provenienti dal bilancio AGIP. Il nuovo Commissario nominato dal Consiglio Nazionale Liberazione Alta Italia (CNLAI), Mattei, che dal novembre 1944 era il rappresentante delle formazioni partigiane cristiane e addetto all'intendenza nel comando generale del Corpo Volontari della Libertà, prese servizio il 30 aprile 1945, con l'incarico di gestire il difficile periodo di transizione di quella parte dell'AGIP rimasta sotto il controllo della RSI, scegliendo come suo vice il DC dell'azienda Gustavo Comba, sostituito poi da Piero Verani Borgucci. Nel giugno 1945 il ruolo del Commissario venne riconosciuto anche dalle autorità di occupazione militare alleate. I primi ordini di servizio del nuovo Commissario sembravano più che altro indirizzati a controllare una situazione di emergenza, particolarmente grave sul fronte della gestione del patrimonio e del personale. La situazione nei cantieri del Nord era nel caos: tutti i quadri dell'AGIP avevano aderito alla RSI, in particolare i tecnici minerari che, con la progressiva chiusura dei cantieri più vicini al fronte, avevano accettato il trasferimento a Nord. Mattei visitò i cantieri lodigiani il 26 giugno 1945: il programma della visita prevedeva incontri nei cantieri di Caviaga, Podenzano, Piacenza, Parma e Fontevivo con i dirigenti, i tecnici e le commissioni interne. Tuttavia, già dal mese precedente i geologi lodigiani (Marchesini e Di Napoli) avevano compilato alcune relazioni di carattere generale, destinate a far conoscere sia ai dirigenti romani che a Mattei i risultati dei lavori svolti a Lodi negli ultimi anni della guerra, una vera e propria svolta nella storia dell'AGIP, sia per l'efficacia delle nuove tecniche (sismica a riflessione, carotaggio elettrico e micropaleontologia) che per i risultati minerari ottenuti. Mattei non aveva nessuna esperienza nel campo dell'industria mineraria, per cui lasciò mano libera alla tecnostruttura dell'azienda per quanto riguardava la gestione delle questioni tecniche relative alla prosecuzione dei lavori, dall'altra operò per ridurre le strozzature burocratiche e facilitare lo scambio di informazioni. Un rapporto diretto con gli ambienti della DC milanese, davano a Mattei una diversa prospettiva strategica riguardo alla questione del metano e, più in generale, sul futuro dell'AGIP, destinata a scontrarsi presto con la visione più prudente e tradizionalista dei dirigenti di Roma. Carlo Zanmatti. pur essendo stato licenziato e trovandosi al momento sottoposto a processo di epurazione, era destinato a diventare il più stretto collaboratore di Mattei nell'ambito dell'attività mineraria: si realizzava in questo modo la saldatura tra il processo di lenta accumulazione di capacità tecniche e scientifiche nell'AGIP prebellica, di cui Zanmatti era uno dei massimi esponenti, e la nuova strategia di sviluppo di cui Mattei divenne l'incarnazione. Mattei si trovò infatti a gestire i principali mercati di sbocco dei prodotti AGIP, i più importanti impianti di raffinazione, nonché gli unici cantieri che avevano prodotto risultati positivi, di cui però si sapeva pochissimo al di fuori della DG milanese, per cui l’AGIP iniziò una serie di ispezioni al Nord per avere un quadro completo della situazione. Il compito di ridefinire gli obiettivi minerari dell’AGIP era stato affidato nel maggio 1945 a una Commissione composta dai Consiglieri Luigi Gerbella, Direttore del Consiglio Superiore delle Miniere (CSM), Giorgio Kaftal e Spartaco Muratori, e in seguito Mario Giacomo Levi, anch'egli membro del CSM. La Commissione propose, anche per un clima politico ostile alla ripresa degli investimenti nel ramo minerario, di continuare, per non disperdere il patrimonio di conoscenze tecniche e manageriali dell'AGIP, le operazioni esclusivamente nelle zone che avevano dato risultati significativi negli ultimi anni. Petretti, dopo un attestato di stima per chi aveva guidato il lavoro minerario fino alla fine degli anni ‘30, ossia Caetani, Amoretti e Jacobini, ma non citava Zanmatti, proponeva di mettere a disposizione degli studiosi e delle compagnie Shell e Standard Oil, alle quali proponeva di partecipare alle ricerche in Italia, i risultati esplorativi dell’AGIP. Rispetto agli anni della guerra, le strutture dell'azienda vennero semplificate, accentrandole nella Direzione Centrale e nel Presidente stesso, avviando nell'ottobre del 1945 la riunificazione di tutte le unità periferiche sotto il controllo della sede di Roma. Petretti appoggiò la propria azione su un Comitato di presidenza (Bolaffi, Gerbella, Mattei e Levi) e sulla collaborazione con i due vicepresidenti, Bolaffi, DG del Demanio, e l'ex commissario del CLNAI Enrico Mattei. Quest'ultimo aveva messo termine al suo incarico di Commissario il 20 ottobre, ma mantenne nella nuova veste compiti di supervisione sugli uffici dislocati nell'Italia settentrionale. Faceva

Page 3: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

così ingresso nel piccolo mondo dell'industria petrolifera nazionale un nuovo protagonista, che aveva in sé sia i caratteri dell'imprenditore privato, sia alcuni tratti del dirigente di estrazione politica. La riunificazione dell'Agip metteva fine all'anomalia della doppia sede iniziata nel 1944, ma risolveva solo apparentemente il conflitto tra Roma e Milano, cioè tra due gruppi di potere depositari di competenze differenti e propugnatori di tesi di sviluppo alternative. Mattei divenne il massimo sostenitore e quasi l'icona del processo di trasformazione dell'AGIP basato su Milano, favorito dalla paralisi del tradizionale core business commerciale dell'azienda, dando grande peso al ramo minerario ed alle opportunità offerte dai giacimenti individuati nel lodigiano. La priorità di Petretti era invece di concentrarsi sul core business commerciale, iniziando a lavorare per la sua riattivazione, mentre le perdite generate dalle Gestioni separate (ricerche minerarie) avrebbero dovuto essere coperte da un rimborso erogato dallo Stato, dato che si riferivano a iniziative che l'AGIP aveva intrapreso per pressioni politiche. Tuttavia, anche il rilancio di un nucleo minimo di attività di importazione, raffinazione e distribuzione non avrebbe potuto basarsi esclusivamente sulle forze dell'AGIP, per cui la DG cercò un partner straniero sin dal febbraio 1945.

La situazione delle raffinerie italiane alla fine della guerra.

Gli eserciti alleati che dal Sud risalivano il territorio italiano, trovarono il paese privo di prodotti petroliferi, per cui dovettero creare una Commissione cui affidare il compito di approvvigionare e distribuire i prodotti per gli impieghi militari e civili. Nella primavera del '44, dopo lo sbarco di Salerno, i compiti della Commissione furono demandati al Comitato Italiano Petroli (Cip), al cui comitato direttivo partecipavano i rappresentanti della Standard, della Shell, della Vacuum, della Petrolea, del1'Agip e dell'Anìc, che dapprima s'installò a Napoli e poi si trasferì a Roma, dove si servì degli uffici dell' Agip e del personale di questa e delle società a suo tempo sequestrate dal Governo italiano. Verso la fine del 1946 la raffineria Anic (AGIP, Montecatini, Demanio) di Bari fu la prima a riprendere il trattamento del greggio su commessa del Cip. Seguì la Vacuum di Napoli, che, essendo stata molto danneggiata, fu dapprima ricostruita, ed in corso d'opera potenziata con impianti adeguati alle esigenze dei mercati italiano e mediterraneo. Tra la cessazione delle ostilità e l'ottobre del 1946 la raffineria Agip di Marghera (Venezia) fu riparata tanto da permetterle di operare come deposito costiero per gli alleati. Nel semestre successivo essa rimise in marcia diversi impianti, che le consentirono di raffinare greggio per il Cip. Nel 1947 l’:'Agip costituì l'Industria Raffinazione Oli Minerali (Irom), cui apportò come propria quota (51 %) gli impianti nella condizione in cui si trovavano, mentre l'Anglo - Persian Oil Co. (Aioc) sottoscrisse il restante 49% con l’impegno della ristrutturazione e della fornitura di greggio per 10 anni. Nel 1947 ripresero a lavorare per conto del Cip ed in proprio la Inpet di La Spezia, la Siap (Esso) e l'Aquila di Trieste, e le Permolio di Milano, Genova e Roma. Già nel 1948 la capacità nazionale di lavorazione superava di un milione di t/anno quella anteguerra e soddisfaceva quasi tutta la richiesta di prodotti del mercato interno, nonostante la perdita della raffineria Romsa (AGIP) di Fiume ed il mancato rientro in esercizio degli stabilimenti Spi di Fornovo Taro e Spdi di Fiorenzuola d'Arda. Della capacità di lavorazione complessiva, poco meno della metà apparteneva a raffinerie con partecipazione di capitale pubblico (Anic di Bari e Livorno, Irom di Venezia), mentre il resto era controllato da privati, in particolare la Standard e la Shell. Un accordo del 1947 tra la Fiat e la Caltex dette vita - su base paritaria - alla S.A. Raffineria Padana Oli Minerali (Sarpom), che negli anni successivi installò una raffineria a Trecate (Novara). L'Anic e la Standard N.J. crearono invece la Stanic. Dopo aver riscattato dal Demanio le raffinerie di Bari, Livorno e Novara, l’Anic priva della valuta estera necessaria per la ristrutturazione, fece un gravoso accordo paritetico con la Standard per rimettere in esercizio Livorno e ampliare Bari, con l’impegno che la Standard avrebbe fornito il greggio necessario ed i prodotti finiti avrebbero alimentato la rete SIAP (Standard), in diretta concorrenza con l’AGIP. L'unica attività industriale diretta rimasta all' Anic fu quella del piccolo

Page 4: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

stabilimento di Novara, che produceva lubrificanti, bitumi, grassi commestibili ed alcooli superiori. La situazione della raffinazione in Italia cambiò completamente negli anni successivi in seguito allo sviluppo dei campi del Medio Oriente, l’aumento del fabbisogno dei mercati europei e la rivoluzione in Iran che portò al boicottaggio della produzione iraniana ed al fermo per 4 anni dell’enorme raffineria di Abadan. L’Italia divenne il paese in cui venivano raffinati i greggi del Medio Oriente per esportare i prodotti finiti in tutta Europa. Vennero così potenziate le raffinerie esistenti e costruite molte nuove, tra cui:

a Villasanta di Monza gli impianti della Lombarda Petroli

a Falconara Marittima (Ancona) la raffineria dell'Anonima Petroli Italiana (Api)

ad Augusta in Sicilia le Raffinerie Siciliane Oli Minerali (Rasiorn)

A Rho (Milano) sorse la raffineria della Condor (Manchester Oil Refinery, Società Meridionale di Elettricità (Sme) e Italcementi)

a Trecate (Milano) la Raffineria Padana di Oli Minerali (Sarpom) di FIAT e Caltex, collegata al porto di Savona con un oleodotto di 151 km, il primo di questa lunghezza posato in Italia

a Ravenna la Raffineria Oli Minerali (Sarom) di Attilio Monti

a Cremona la Raffineria di Oli Minerali IROM

a Mantova quella Industrie Chimiche Italiane del Petrolio (Icip)

altre più piccole come la Raffineria Toscana (108 mila t.) di Firenze, la E. Garrone-Raffineria Petroli di Genova (71.200 t.), la Distilleria Italiana Carburanti e Affini di Avenza (60.800 t.) e la Nilo di Milano (20.800 t.)

Nel 1953 la potenzialità installata era già di 21 milioni di t/anno, compreso il 30 % di riserva e nel 1954 il greggio lavorato per l'esportazione superò quello per il mercato interno. Ricostruzione dei mezzi di trasporto e delle reti di distribuzione AGIP. Già nel 1926, anno della sua fondazione, l’AGIP assorbì la Società Nazionale oli Minerali (SNOM) che, con due piccole navi, faceva servizi di bunkeraggio nel porto di Genova e possedeva una rete di 2000 distributori. In piena espansione commerciale l'AGIP impostò programmi di sviluppo

per creare quella che allora era una flotta cisterniera moderna e d'avanguardia. Furono previste 4 motocisterne di 15.000 tpl, 4 motocisterne di 2.000 tpl e due rispettivamente di 1.000 e 600 tpl. Uscita dalla guerra con solo 18 mila t. di naviglio scampate alle distruzioni belliche, immise rapidamente nuove unità nella flotta cisterniera, fino a superare - con dieci navi - le 81 mila t. di portata lorda nel 1952. Un anno più tardi l’AGIP aveva in costruzione altre due motocisterne per complessive 40 mila tpl. Nel 1957 la gestione della flotta passò dall’AGIP alla SNAM, mantenendo però il nome AGIP sui fumaioli delle navi. Alla fine del 1952, il parco di carri cisterna ferroviari dell’AGIP aveva una capacità di 13.500 mc, e le sue autobotti erano in grado di eseguire trasporti per quasi 10 milioni di t/km. Quanto all'attività commerciale, va rilevato che il Comitato Italiano Petroli (Cip) cessò di operare il 10 dicembre 1948 e che solo da quella data le società ricuperarono la libertà di azione nella vendita di prodotti petroliferi. La ricostruzione delle reti di distribuzione, già iniziata in misura ridotta dal Cip, riprese allora con maggiore intensità. Prima della guerra Il duopolio Standard-Shell era ancora saldissimo, con la proprietà della maggior parte dei depositi costieri, la predominanza nelle forniture di greggio alle raffinerie ed una rete di distribuzione capillare e molto efficiente. Malgrado ciò l’AGIP era riuscita a conquistarsi una buona parte del mercato della raffinazione e distribuzione di carburanti, malgrado dovesse importare il greggio a prezzi molto superiori a quelli delle concorrenti, che erano anche produttori. La Standard era stata la prima tra le grandi compagnie a penetrare in Italia, fondandovi a Venezia la Siap nel 1891; controllava diverse raffinerie, tra cui quelle di Trieste e Fornovo Taro, vendendo nei suoi circa 10 mila distributori automatici due principali tipi di benzina: Standard ed Esso. La Royal Dutch-Shell, entrata in Italia nel 1912 costituendo a Genova la S.A. Nafta,

Page 5: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

controllava in particolare la raffineria di La Spezia, e con una rete di oltre 7 mila distributori vendeva il supercarburante Dynamin, la benzina Shell e il lubrificante Aeroshell. Esistevano anche altri piccoli operatori, tra cui la S.A. Italiana Petrolea, in origine emanazione del Sindacato per l’esportazione del petrolio russo, poi assorbita dalla FIAT, e la Vacuum Oil Co. in Italia dal 1901, che dopo la fusione con la Socony della Standard, controllava la Raffineria di Napoli e vendeva in rete solo lubrificanti, collocando all'ingrosso le altre produzioni. A seguito dell'affidamento all’AGIP dal febbraio 1941 degli impianti di raffinazione e distribuzione confiscati per decreto del Governo alle società straniere, in particolare SIAP e NAFTA, negli anni successivi l’AGIP si trovò a gestire un insieme di raffinerie quasi tutte ferme per mancanza dei rifornimenti di greggio, e circa 26000 distributori, per lo più privi di adeguati rifornimenti di carburanti e lubrificanti. Con la liberalizzazione del mercato nel 1948 l’AGIP si trovò a controllare direttamente solo la raffineria di Marghera (Venezia) ed una rete di circa 7000 distributori.

La ridefinizione del ruolo dell’AGIP nel dopoguerra. Con la soppressione della gestione commissariale nell'ottobre 1945, da Roma sarebbero dipese l'intera struttura commerciale, la raffineria di Marghera e il servizio marittimo, mentre a Genova, sotto il direttore centrale Piero Verani Borgucci, assistito da Giulio Bilucaglia, venne istituita una Sovrintendenza incaricata di occuparsi dello stralcio delle attività assorbite dai gruppi stranieri. Una parziale indipendenza della Gestione ricerche venne invece mantenuta attraverso la creazione di un Ispettorato per l'Alta Italia che veniva affidato a Mattei, diventato nel frattempo VP. Dall'Ispettorato dipendeva il Gruppo Servizi ricerca e produzione, affidato a un tecnico proveniente dall'AIPA, il vice DC Marco Trisoglio, poco gradito dai tecnici, che con un OdG delle Commissioni interne delle unità minerarie, nel dicembre 1945 richiedevano che alla direzione del settore venisse richiamato Carlo Zanmatti. La volontà del Gruppo Servizi di continuare nella ricerca mineraria si scontrava però con gli obiettivi fissati dalla Presidenza dell’AGIP. Nel dicembre 1945 il VP Gerbella segnalava che il Presidente del CIP, De Graan, aveva manifestato la volontà del gruppo Shell di intraprendere delle ricerche in Italia. Il Comitato votò all'unanimità di facilitare la penetrazione del gruppo anglo olandese, che fino a quel momento non aveva in Italia attività di upstream, mettendo a disposizione i dati dell’AGIP. Nei mesi successivi informazioni vennero fornite al geologo Taverne, che nei primi mesi del 1946 visitò i cantieri AGIP attivi nella Pianura Padana. Nel marzo 1946 venne istituita un'apposita commissione (composta da Bolaffi, Gerbella, Verani Borgucci e due membri della Ragioneria dello Stato) per stimare il valore dei cantieri dell'Italia centromeridionale e procedere alla loro alienazione, secondo le direttive ricevute dal Governo. Tra le varie offerte di collaborazione pervenute da alcune società petrolifere americane, vi era anche quella della Western Geophysical Company, disposta a finanziare le operazioni dell'AGIP nella zona di maggior interesse della Pianura Padana. La totale assenza di un preciso disegno politico che definisse un quadro giuridico chiaro per l'industria petrolifera, ridusse progressivamente l'interesse delle compagnie straniere per l'Italia e l'AGIP continuò ad accollarsi per anni le spese per il mantenimento di campi sostanzialmente inattivi. Nel frattempo le attività nel Nord Italia si erano rimesse in moto, protette dallo scudo dell'autorità di Mattei. Già nell'estate del 1945 il Commissario aveva autorizzato la ripresa dei lavori nel lodigiano con l'inizio del pozzo numero 2 di Caviaga, dove i tecnici avevano ubicato altri due pozzi, scontrandosi però con le difficoltà finanziarie e la mancanza di materiali necessari per la perforazione. Non migliore era la situazione negli altri cantieri del Nord Italia: a Podenzano si registrava la drammatica scarsità di materiali e la preoccupazione di un prossimo esaurimento del giacimento, mentre la carenza di automezzi, assolutamente indispensabili per la prosecuzione del lavoro, era generalizzata a tutta l'azienda. Gran parte degli automezzi necessari venne acquistata dall’AGIP a prezzi d’affeziona nei campi ARAR, costituiti nell’ottobre 1945 per alienare i residuati bellici degli eserciti Alleato e tedesco rimasti in Italia, pratica che sarebbe continuata fino ai primi anni ’60 anche per i cantieri AGIP all’estero.

Page 6: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

Il Servizio Studi nell'estate del 1945 iniziò il trasferimento a Lodi, mentre Il Servizio geologico

rimase in vicinanza del cantiere di Caviaga, a Cavenago. Pur in queste condizioni precarie, Marchesini e Di Napoli avevano iniziato già dalla seconda metà del 1945 a raccogliere centralmente i dati relativi a tutti i cantieri operanti in Pianura padana. La diversità di vedute tra Mattei, la Presidenza AGIP ed il Governo, arrivò allo scontro quando nell'agosto 1946 il Ministro del Tesoro Corbino propose il blocco dei finanziamenti per le Ricerche per conto dello Stato, arrivando a considerare la liquidazione dell’AGIP. Petretti indirizzò una lettera al Ministro nella quale affermava l’importanza delle ricerche petrolifere e della raffinazione per il paese, citando le ingenti economie realizzate dalla nuova AGIP con la riduzione dei Servizi da 49 a 10 e i licenziamenti nella sede di Roma e nella Gestione Ricerche (rispettivamente 413 e 168 dipendenti). C’erano inoltre buone prospettive di un accordo quadro con la CALTEX, associando l'AGIP allo sfruttamento dei giacimenti dell'Aramco in Arabia Saudita da cui sarebbe stato importato in Italia il greggio. La trattativa non andò in porto per il timore della Presidenza AGIP di urtare le società inglesi, ritenute ancora più importanti di quelle americane. Sfruttando la polemica generata dalla presa di posizione del Ministro, Mattei poté fare una prima mossa per auspicare un riassetto più dinamico dell'azienda, proponendo la creazione di una nuova struttura ad holding attraverso la creazione di una distinta società per ognuno dei rami di attività, industriale, commerciale, marittimo e minerario, che avrebbe permesso un'ampia autonomia a tutti i rami operativi. Il 9 agosto 1946 Mattei presentò al CdA dell'AGIP un relazione nella quale denunciava le gravi responsabilità della dirigenza a fronte del perdurare del congelamento di tutte le attività di downstream, mantenendo un atteggiamento passivo nei confronti dei gruppi stranieri, che avevano iniziato a riorganizzarsi lasciando a carico dell'AGIP gli oneri delle unità nazionalizzate. Sarebbe invece stato interesse dell'azienda un rapido trasferimento delle raffinerie e delle reti commerciali a una gestione sequestrataria interamente a carico dello Stato, in vista di una definitiva restituzione ai legittimi proprietari di impianti e manodopera. Mattei segnalava come la nuova struttura avrebbe offerto la possibilità di riorganizzare i settori vitali dell'Azienda con organici ristretti e, soprattutto, con dirigenti opportunamente selezionati per competenza e preparazione. Poteva rimanere separata la raffinazione per rendere possibile la combinazione con un gruppo straniero in grado di fornire il greggio necessario. Il CdA AGIP propendeva invece per un'ipotesi di continuità con il passato e di moderata concorrenza o meglio di oligopolio esercitato in sintonia con Standard e Shell secondo le quote concordate tra le Società prima della guerra, con una struttura rigidamente accentrata ed uno stretto legame con l'amministrazione ministeriale. Petretti si dichiarava contrario alla liquidazione ma senza arrivare alla creazione di società autonome, in particolare per il settore ricerche, che già in precedenza aveva manifestato tendenze centrifughe. In assenza di una chiara direttiva politica, la prospettiva di creare un'impresa indipendente, autofinanziata attraverso i profitti dell'attività mineraria, sarebbe stata una scelta di totale rottura con il passato, del tutto inaccettabile per i funzionari di estrazione ministeriale in quel momento a capo dell'AGIP. Le proposte di Mattei vennero lasciate cadere nella successiva riunione del CdA, con una vaga promessa di un loro riesame al momento più opportuno. Nell'assemblea generale del 27 settembre 1946 si arrivò a proporre un emendamento dello Statuto che avrebbe riportato alla vicepresidenza unica, escludendo Mattei. Dal mese successivo Mattei si defilò dagli incontri del Consiglio, adducendo la ragione di un esaurimento nervoso. Nell'aprile 1947 Gerbella venne nominato DG e il 9 maggio 1947 Mattei si dimise dalla carica di VP mantenendo solo quella di Consigliere, prima che una modifica apportata nel giugno di quell'anno allo Statuto abolisse la sua carica. La sconfitta di Mattei sul fronte interno all'azienda appariva totale, ma l'imprenditore marchigiano poteva tuttavia contare sulla sua appartenenza alla nuova classe politica che stava progressivamente prendendo le redini dello Stato, mentre il CdA dell'AGIP non aveva modo di liberarsi dall'immagine di burocrati riciclati dal ventennio. L'ascesa ai vertici dell'azienda sarebbe stata quindi condotta da Mattei con attacchi indiretti, coniugando il peso di un progetto politico innovativo con il fascino delle prospettive auspicate dalla tecnostruttura AGIP.

Page 7: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

L'assenza di una riforma degli organi amministrativi dello Stato per adeguarli alla modernizzazione del paese sarà in seguito stimolo per l'AGIP, e in seguito per l'ENI, per fare da sé, aggirando o sostituendosi ad alcuni di essi. La firma del trattato di pace nel febbraio 1947 sbloccò il processo di restituzione dei beni sequestrati alle compagnie straniere e l'AGIP arrivò a forme di accordo con le società del trust, in modo da ristabilire una spartizione del mercato analoga a quella esistente prima dei provvedimenti del 1934 (all'AGIP sarebbe toccato il 23,90% del mercato dei prodotti leggeri, alla Shell il 29,91 e alla Standard il 34,43). L'apparato commerciale dell'AGIP iniziò ad essere ricostruito dalla primavera 1947, mentre la firma di un accordo con l’inglese AIOC il 3 aprile 1947 avrebbe assicurato per un decennio le forniture necessarie all'AGIP e la partecipazione AIOC alla riattivazione della raffineria di Marghera, con una capacità di 420.000 ton/anno, attraverso la costituzione della società Industria Raffinazione Oli Minerali (IROM), di cui gli inglesi avrebbero detenuto il 49% del capitale azionario. L'azienda italiana avrebbe potuto disporre liberamente del greggio ottenuto da eventuali concessioni proprie, ma avrebbe dovuto raffinarlo al di fuori dell'impianto IROM. L'accordo contemplava la commercializzazione dei lubrificanti AIOC attraverso la rete AGIP e la collaborazione fra le due società negli ambiti del rifornimento agli aerei e alle navi. Alla fine del 1947 venne presentato un nuovo piano di ricerca mineraria quinquennale, identificato con il nome del suo principale estensore, il responsabile della perforazione Cesare Gavotti, in cui i cantieri dell'Italia centromeridionale non venivano più nemmeno nominati, mentre la maggiore attenzione era data alle strutture già rilevate in Lombardia e Emilia. Il programma prevedeva un'estensione delle ricerche in Piemonte, nel Polesine (l'azienda aveva richiesto numerosi permessi nel Ferrarese) e nelle Marche. La Presidenza prevedeva un ritorno a Roma di tutti gli uffici pertinenti alla Direzione centrale ed il ritorno a Podenzano della Direzione di zona e degli altri uffici periferici. Durante la guerra le migliori attrezzature di ricerca erano infatti state trasferite a Lodi, dove ormai aveva sede il Servizio studi, mentre già dal 1945 risultava chiara la decadenza del campo piacentino. La creazione della Zona Alta Italia (ZAI, poi ZIS) non implicava un ridimensionamento di Lodi come centro tecnico, quanto la sostituzione del Centro di Direzione di Milano, sul quale si erano appoggiati prima Zanmatti e successivamente Mattei, con una Direzione lavori periferica, incaricata esclusivamente del coordinamento delle attività localizzate al Nord (cantieri e rapporti con la società di distribuzione del metano SNAM). Gli uffici di zona di Podenzano vennero potenziati nell'ottobre 1947, con il compito di collegamento con la Direzione Centrale di Roma, mentre gli uffici milanesi dovevamo ultimare la liquidazione degli affari correnti, senza contatti con i Cantieri. In realtà la necessità di uno stretto contatto con le attività di costruzione dei metanodotti rese impossibile l’abbandono di Milano, pur centralizzando a Roma il controllo di tutte le attività, come stabilito da Verani, ma ancora nella primavera del 1948 la sede romana non disponeva della totalità dei dati raccolti negli anni precedenti dai tecnici nei cantieri del Nord Italia. Rimaneva il problema dell’eccesso di personale, tanto che nella primavera del 1947 si riteneva, a causa del livello ancora insufficiente delle attività minerarie, di dover procedere a moli licenziamenti, anche di elementi di provata capacità. Mentre il lavoro di perforazione aveva basi piuttosto solide e continuò ad essere affidato a Sarti e Gavotti, la situazione era più preoccupante per la geologia e geofisica. Il quadro ancora incerto del futuro delle ricerche causò un'emorragia di tecnici di valore, determinata anche dalla difficoltà nell'individuare un leader del Servizio Studi: Marchesini aveva lasciato l'azienda nell'ottobre 1946 e il suo successore, Di Napoli, si licenziò all'inizio del 1948. Nello stesso periodo lasciarono l'azienda altri specialisti che erano considerati tra i tecnici più competenti di cui disponeva l'AGIP: Migliorini, Franchini, Signorini e lo stesso Rocco, che era stato riassunto. Nel novembre 1947 Gerbella, vista la situazione drammatica, propose, interrompendo il percorso di crescita delle competenze sviluppate internamente dall'azienda, il professor Tino Lipparini, dell'Ufficio geologico del Ministero dell’Industria come capo dell’Ufficio Studi. Bisogna riconoscere alla presidenza Petretti una notevole fiducia nel settore minerario, che lo avevano spinto a disubbidire agli ordini di cessazione delle attività emanati dal Ministero del Tesoro nel giugno 1945. Per la prima volta dalla sua creazione, la Gestione Ricerche aveva cessato di essere deficitaria, grazie agli introiti ottenuti dalla vendita del metano estratto a

Page 8: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

Caviaga e immesso nel metanodotto SNAM Piacenza – Lodi - Milano della capacità di circa 80.000 mc/giorno insufficiente rispetto alle potenzialità di Caviaga, costruito nei primi anni di guerra nella prospettiva di un impiego del metano come carburante,. Dal luglio 1947 l'AGIP avviò trattative con gli altri soci della SNAM, Demanio ed ENM, in modo da ottenerne la maggioranza e avere maggiore libertà nell'utilizzarla per l'ampliamento della rete di condotte dell'Italia settentrionale. Per cercare di assorbire il gas prodotto nel campo lodigiano l'AGIP iniziò a cercare clienti con un fabbisogno ingente di combustibili. Si iniziò così a progettare il raddoppio del metanodotto diretto a Milano ed un prolungamento fino a Bergamo per raggiungere la Dalmine, facendo fronte ai nuovi investimenti attingendo a prestiti bancari. L'accordo con la Dalmine prevedeva l'impegno ad assorbire entro il 1948 100.000 mc al giorno, pagando il gas in parte con i tubi necessari per la costruzione delle condotte e concedendo un mutuo allo sviluppo della rete attraverso un'opportuna politica di dilazione dei pagamenti. L’AGIP, per fornire altre zone industriali senza dover affrontare il costoso investimento di un metanodotto che portasse il gas dalla Lombardia, intensificò nel 1947 e 1948 le ricerche nel ferrarese e nel Piemonte orientale. Nel CdA del 13 marzo 1948 il DG Gerbella segnalava le difficoltà di acquisire nuovi contratti di fornitura industriale per la diffidenza dei clienti verso questo nuovo combustibile e le ingenti spese di adattamento dei bruciatori e come alcuni concorrenti, i piccoli produttori del Polesine, avessero accettato contratti di 15 lire a mc, mentre il contratto con la Dalmine era di18,62 lire a mc. Nonostante la frenesia che circondava i lavori minerari per aumentare in tempi brevi le riserve di gas, l'ostacolo maggiore all'aumento della produzione non era la disponibilità di metano, ma la possibilità di raggiungere nuovi clienti: dopo il potenziamento del metanodotto Caviaga – Milano - Dalmine, le possibilità di trasporto non erano infatti aumentate in maniera significativa e la portata della pipeline era già insufficiente ipotizzando per la fine del 1949 vendite pari a 325.000 mc al giorno, mentre le disponibilità avrebbero potuto raggiungere per quella data i 585.000 mc. Il problema dell'eccedenza poteva essere risolto con la costruzione del nuovo metanodotto che avrebbe raggiunto Sesto San Giovanni e ampliando la rete in direzione del Piemonte e della Liguria per raggiungere tutti i vertici del triangolo industriale. La gestione del trasporto e della commercializzazione del gas era un problema da affrontare in maniera totalmente nuova rispetto alle tradizionali esperienze di commercializzazione di piccole quantità di gas compresso in bombole. Dovevano inoltre essere risolte le difficoltà per la posa dei metanodotti dovute all’opposizione dell’ANAS, dei Comuni attraversati dagli scavi e dai proprietari dei terreni.

L’AGIP di Boldrini e Mattei dopo le elezioni del 1948. La presidenza Petretti non avrebbe però avuto modo di gestire lo sviluppo della nuova industria del gas naturale poiché stavano maturando le condizioni per un rinnovamento radicale dei vertici dell'AGIP. Già nel febbraio 1948 il Ministro dell'industria Giuseppe Togni segnalava la sua propensione per un nuovo CdA che vedesse Mattei presidente e AD. Il peso politico di Mattei si era rafforzato per il ruolo svolto nella preparazione delle elezioni del 18 aprile 1948 e della frattura che venne a crearsi tra i partigiani comunisti e quelli appartenenti ad altre tendenze politiche. Mattei si presentò candidato alla Camera nella DC; dopo essere stato eletto deputato si avvalse dell'appoggio del Ministro delle Finanze Ezio Vanoni e dello stesso Alcide De Gasperi per attuare la scalata all'AGIP. Nel giugno del 1948 a presiedere il CdA venne chiamato Marcello Boldrini, con Mattei VP ed Ettore Carafa d'Andria AD. La nomina del conte napoletano, insieme a Jacobini nominato consulente personale di Mattei, creava un,alleanza strategica e manteneva saldo il legame con la precedente fase di vita dell'impresa. Nel pieno della Guerra Fredda il nuovo CdA si trovava ad affrontare una rivoluzione geopolitica che avrebbe visto il declino degli inglesi nel mondo del petrolio, sostituiti dagli USA come fornitori e come principali fornitori dell’Europa i paesi del Golfo Persico interessati alla metà dei profitti ricavati dalla vendita del greggio. L'Italia si trovò coinvolta nel processo di conversione dell'Europa al paradigma energetico basato sugli idrocarburi, accentuata dalla scarsa disponibilità di materie prime e dalle condizioni economiche e politiche del paese, che portarono ad rapida adesione a un modello di sviluppo basato sul petrolio rispetto a paesi dove

Page 9: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

esistevano forti industrie energetiche nazionali basate sui combustibili solidi. L'industria della raffinazione e della commercializzazione dei prodotti ricavati dal greggio del Medio Oriente promosse varie iniziative di imprenditori italiani in un settore in vertiginosa crescita. L'AGIP, sotto la guida di Mattei, si trovava quindi in un contesto di forte cambiamento del rapporto tra l'apparato industriale e le fonti energetiche, traendo il massimo vantaggio da una totale egemonia nel settore del gas naturale. Mentre al convegno di Padova sul metano del giugno 1949 si discuteva di bombole per il gas carburante e dei ritardi della Direzione generale delle Miniere nell’assegnare nuovi permessi minerari, arrivò la notizia che l'AGIP aveva scoperto un giacimento di petrolio a pochi chilometri da Piacenza, a Cortemaggiore. L'eccitazione suscitata dal petrolio di Cortemaggiore fu utilizzata da Mattei per rivendicare all'AGIP un diritto di primogenitura sulla Pianura padana ed una legislazione adeguata sula quale il Governo rimaneva nel vago anche per l’opposizione di Confindustria e degli operatori privati. Il successo nell'operazione di sviluppo e valorizzazione delle riserve minerarie della Pianura Padana si articolò per l’AGIP negli anni tra il1948 e il 1954 in un equilibrio tra le necessità di ingenti investimenti, l'allacciamento di nuove utenze e la crescita delle vendite di gas e carburanti, i cui elementi portanti furono il primato delle competenze tecniche nel ramo minerario, il ruolo insostituibile della spinta imprenditoriale di Mattei, una fedeltà fanatica al leader e uno spiccato spirito di corpo. L'AGIP era organizzata attorno ai due tradizionali rami di attività, esercitata da due esecutivi ristretti per il settore minerario e quello commerciale: il primo luglio 1948 vennero così istituiti il Comitato Tecnico Ricerche e Produzioni (CTRP), presieduto dal vicepresidente Mattei, e il Comitato esecutivo di Presidenza. Del primo facevano parte Zanmatti, non ancora ufficialmente reintegrato nell'organico, e il professor Ramiro Fabiani. Membri dell'esecutivo di presidenza erano invece Boldrini, Mattei, Carafa d'Andria e Dante Crudele. Il CTRP rappresentava una sostanziale novità perché si differenziava radicalmente dai comitati di consulenza scientifica del periodo prebellico, essendo integrato con le funzioni operative dell'azienda, con ampi poteri decisionali, dove non era più presente la sovrapposizione con gli organi ministeriali. Il Comitato si riunì per la prima volta il 7 settembre 1948, a Milano, e fu per circa cinque anni il centro delle decisioni più importanti per il settore minerario, occupandosi sia della definizione delle strategie sia dei minimi particolari tecnici inerenti all'attività di ricerca. Mattei presiedette personalmente tutte le riunioni del Comitato fino al 20 giugno 1952, data in cui ne divenne presidente Zanmatti e Mattei passò ad occuparsi in maniera diretta della ristrutturazione dell'apparato commerciale.

La costituzione della Direzione Mineraria dell’AGIP.

Nel gennaio 1951 venne costituita la Direzione Mineraria e venne riassunto Zanmatti, per cui alcune funzioni del Comitato passarono alle riunioni di tecnici, periodicamente indette a Milano sotto la supervisione di Zanmatti. Il CTRP nel 1953 cambiò il suo nome in Comitato di consulenza tecnica, ma di fatto le sue funzioni principali passarono all'esecutivo della nuova AGIP Mineraria. In quest'ultima fase, la presidenza del comitato venne affidata a Francesco Caltagirone, funzionario ministeriale della Direzione generale delle miniere, membro del CTRP dal 20 giugno 1951. La distinzione tra le competenze di Mattei e quelle di Carafa venne formalizzata dalla riforma dello Statuto dell'AGIP approvata dall'assemblea degli azionisti del 30 aprile del 1951, la quale sopprimeva la carica di AD e istituiva invece due VP con ruoli nettamente distinti. Alla fine del 1948 si era concluse la parabola del CIP, liberando la commercializzazione dei prodotti petroliferi dai vincoli imposti alla fine degli anni ’30; i principali operatori commerciali si riunirono in una nuova associazione, l'Unione Petrolifera, sotto la presidenza dell'AD della Standard italiana, Guido Ringler (Carafa fu invece eletto Presidente tra il 1950 e il 1951), ma rimasero l'elevata tassazione, i prezzi massimi imposti per via politica, il vincolo delle licenze di importazione, il sistema di concessioni ministeriali agli ampliamenti degli impianti. Il ritorno all'operatività delle società straniere, in precedenza nazionalizzate, sancì un nuovo primato delle grandi multinazionali sull'AGIP, legato anche al fatto che le importazioni di greggio erano possibili solo attraverso gli aiuti del piano Marshall. Il passaggio degli approvvigionamenti ai

Page 10: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

nuovi giacimenti del Medio Oriente, permise alle compagnie che controllavano tali risorse di abbattere i prezzi dei prodotti, pur mantenendo alti margini di profitto. Il business della raffinazione e della commercializzazione dei prodotti petroliferi in Italia si presentava come un settore in forte espansione, con alcuni soggetti in posizione dominante, ma con margini di profitto molto sottili, in particolare per l'AGIP che doveva mantenere una capillare rete commerciale, senza però avere un accesso diretto agli approvvigionamenti di greggio. Nei primi anni della presidenza Boldrini, l'AGIP cercò di ristabilire gli accordi di cartello che erano in vigore prima della guerra, per impedire una guerra al ribasso con una politica di sconti che avrebbe avvantaggiato solo i raffinatori indipendenti e le grandi compagnie americane, che potevano gestire il proprio ramo commerciale in perdita, concentrando i profitti nell’upstream. La posizione dell'AGIP nell'affollato mercato italiano non accennò a migliorare nei mesi successivi e nel corso del 1950 l’AGIP fu costretta a vendere sottocosto pur di mantenere le proprie quote di mercato. L'unico modo per mantenere una redditività del ramo commerciale era conseguire consistenti risparmi nei costi ottenendo migliori condizioni di approvvigionamento e migliorando l'efficienza della rete commerciale. Il greggio lavorato dalla raffineria dell'IROM proveniva esclusivamente dai giacimenti iraniani dell'AIOC a condizioni di cessione sfavorevoli. La presidenza Boldrini nel 1950 iniziò a premere per condizioni di fornitura più favorevoli che le permettessero di resistere al dumping della Standard. Le trattative coincisero con un periodo di indebolimento dei partner inglesi, a seguito della nazionalizzazione dell'industria petrolifera iraniana da parte del governo guidato da Mohammad Mossadegh. Nella tarda primavera del 1951 il governo iraniano richiese alla rappresentanza italiana a Teheran una consulenza dell'AGIP per l'organizzazione della propria compagnia petrolifera statale: una missione composta da Carafa d'Andria e Verani Borgucci si recò quindi in Iran tra il 25 giugno e il 7 luglio, visitando gli impianti di Abadan e incontrando personaggi di primo livello del mondo politico iraniano, tra cui lo stesso Mossadegh, e diplomatici americani e inglesi (Carafa si fermò a Londra rientrando a Roma, incontrando anche l'alta dirigenza dell'AIOC). Nell'agosto 1954, l'esito violento della crisi, vanificò il paziente lavorio della diplomazia italiana e portò alla ridefinizione della politica petrolifera iraniana sotto l'egida statunitense, a cui gli inglesi reagirono con tentativi di boicottaggio, a cui l’AGIP si allineo, scontando la scelta fatta nell'immediato dopoguerra in favore di un partner europeo piuttosto che statunitense, ottenendo in cambio forniture di greggio provenienti dai giacimenti dell'AIOC in Kuwait, a differenza dei piccoli gruppi industriali italiani che cercarono di avvantaggiarsi della favorevole situazione iraniana. In Italia l’AGIP collaborava con la Standard attraverso la sua partecipazione nell'ANIC, che tra il 1949 e il 1950 stava creando, insieme alla Standard, una nuova società di raffinazione, la STANIC per ricostruire le raffinerie di Bari e Livorno, che avrebbero rifornito di prodotti esclusivamente la rete commerciale Standard, mentre all'ANIC sarebbero andati alcuni prodotti intermedi necessari all'attività della Montecatini, che di fatto esercitava il controllo sull’ANIC. Solo la costituzione dell'ENI nel 1953 avrebbe riequilibrato la situazione interna dell'ANIC a favore dell'impresa di Stato, permettendo di avviare un negoziato per la revisione degli accordi con la multinazionale americana. Per quanto riguarda il miglioramento della rete, Boldrini nel Luglio 1948 propose uno stanziamento di 500 milioni di lire per ammodernare le stazioni di servizio in vista della ripresa delle attività commerciali, prevista per l'autunno, e l'acquisto di 400 nuovi distributori elettrici automatici. Su tali decisioni vi fu un acceso scontro tra il DG Gerbella, che giudicava l’investimento eccessivo, proponendo invece la costruzione da parte delle poco attrezzate officine AGIP, e il VP Mattei, che propendeva per l’acquisto immediato e la scelta delle aree su cui costruire le nuove stazioni in base alla posizione strategica e non in base al costo minimo del terreno. Mattei, finora concentrato principalmente sulla questione mineraria della Pianura Padana, proponeva anche per il downstream una strategia di svecchiamento dell'azienda, che doveva necessariamente passare attraverso consistenti investimenti. Il rilancio dell'attività commerciale necessitava però di essere inserito in un piano strategico più ampio, che affrontasse alla radice il problema della scarsa redditività del settore. I primi passi in questa direzione vennero intrapresi direttamente da Mattei solo a partire dal 1952, tra l'altro

Page 11: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

sfruttando la notorietà ormai acquisita da Cortemaggiore come centro di estrazione di metano e di idrocarburi liquidi. In qualche modo anche il rinnovamento dell'attività più tradizionale dell'AGIP ricevette quindi un impulso dai successi ottenuti nelle operazioni minerarie in corso nella Valle del Po. Anche l’upstream necessitava di una decisa riorganizzazione; già dalle primissime riunioni del CTRP Zanmatti e Fabiani proposero di richiamare all'AGIP Di Napoli e Rocco, l'unico tecnico italiano in grado di padroneggiare appieno la sismica a riflessione, aprendo le porte all'ingresso di una nuova generazione di tecnici. Dall'inizio del 1949 lo svecchiamento incominciò con un accordo con le commissioni interne del settore Ricerche per il licenziamento di 60 salariati e alla retrocessione a salari inferiori di altri 90. La sezione geofisica fu trasferita presso la nuova sede di Lodi nella primavera del 1948 e nel corso dell'anno venne potenziata con l'allestimento di una seconda squadra sismica, attraverso l'acquisto di apparecchi Western. Nel corso del 1949 fu completata l’organizzazione della sezione geologica, con direttore Facca, con Jaboli a capo del laboratorio paleontologico. Altre figure emergenti erano Lucchetti, Prosdocimo e Loddo, con Di Napoli riassunto come consulente. La mancanza di un leader del Servizio Studi acuiva i contrasti interni tra i geologi, e tra la Sezione geologica e quella sismica, con a capo Contini, capace dal punto di vista scientifico ma debole operativamente. Il problema principale del ramo minerario rimaneva quello di essere pesantemente sotto organico per gestire la crescita rapidissima delle attività connesse al metano, per cui il CTRP attivò la concessione di borse di studio a giovani laureti, che godevano di una borsa di studio ma con tutte le spese a proprio carico, e l'AGIP dovette ingegnarsi nel prendersi carico direttamente dell'addestramento del personale, pur utilizzando immediatamente i nuovi assunti nelle delicate operazioni di ricerca nella Pianura Padana. Parallelamente, era stato istituito un sistema di reclutamento per diplomati, destinati a ricoprire incarichi di supervisione nella perforazione, geologia e geofisica, con un periodo di formazione e prova che prevedeva il diretto inserimento nelle attività ed uno stipendio pari alle mansioni svolte. I candidati venivano assunti come operai comuni e dopo tre mesi, superando un esame, passavano alla posizione di qualificati e, dopo altri tre mesi, a quella di specializzati. Un esame concludeva i nove mesi di formazione e ammetteva a una condizione contrattuale pari a quella di impiegato. La necessità di ricorrere all'arte di arrangiarsi era comune a tutti e settori di attività, e la capacità di adattarsi e di apprendere velocemente tecniche completamente nuove con mezzi di fortuna rimase una delle caratteristiche dell'azienda anche in anni successivi. Una maggiore sistematicità nel processo di formazione del Personale fu possibile solo dal 1953 con istituzione a Cortemaggiore di una scuola per perforatori, affidata a Mazzini Pissard, capo del settore cremasco. L’attività di campagna dell’Agip negli anni ’40 e ’50 rimase comunque un lavoro estremamente faticoso e pericoloso per le esigenze dell'avanzamento dei sondaggi, che per l'AGIP dovevano essere quanto più rapidi possibile, con un ritmo di lavoro estenuante e la necessità di essere sempre pronti a interventi di emergenza in caso di imprevisti, sia per le carenze dei materiali impiegati che per il non perfetto addestramento ed esperienza del personale. Una vera e propria mitologia aziendale esaltò nel ramo minerario dell’AGIP lo spirito garibaldino e l'arte di arrangiarsi del tumultuoso periodo di sviluppo del metano padano, con alcuni caratteri dell'identità dell'impresa riconoscibili ancora ad anni di distanza. Mattei veniva identificato con l'azienda stessa e l'assoluta fedeltà personale dei tecnici nei suoi confronti diventava il principale elemento di coesione in una comunità per altro piuttosto divisa da rivalità personali, differenti specializzazioni e diversa età. Nella seduta del 3 agosto 1949 il CTRP definì uno piano tecnico e finanziario per l'esplorazione della Valle padana in un periodo di 5 anni, che prevedeva il completamento dell'esplorazione geofisica entro i primi tre anni, il completamento di oltre duecento sondaggi e l'entrata in produzione di almeno due nuovi giacimenti, già individuati. L'entità del progetto era tale che si rese necessaria la creazione di una nuova struttura organizzativa per gestirne l'esecuzione, con la ricostituzione di una Direzione Mineraria autonoma, soluzione auspicata da Zanmatti già nelle prime riunioni del CTRP. Gli uffici della ZIS vennero soppressi nel gennaio 1950 e le attribuzioni, insieme a quelle del Servizio ricerche e produzioni di Roma, vennero trasferite alla nuova Direzione, stabilita a Milano e affidata a Zanmatti. La gestione del personale era affidata a un

Page 12: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

uomo di fiducia di Mattei, l'ex colonnello dei carabinieri Vittorio Palombo (ex partigiano). La responsabilità del Servizio studi, in attesa del più volte auspicato ritorno di Rocco, rimase affidata allo stesso Zanmatti. Dato che lo sfruttamento del gas di Cortemaggiore era subordinato alla costruzione di un impianto di degasolinaggio che ne recuperasse la frazione liquefacibile prima di immetterlo nei metanodotti, la Direzione Mineraria assunse compiti rilevanti anche nel downstream. Nel maggio 1951 Direzione tecnica industriale dell'AGIP diventava un servizio della Direzione mineraria, con un completo ribaltamento rispetto a quella che era stata la struttura tipica degli anni ‘30, assumendo compiti di progettazione, costruzione e gestione degli impianti di raccolta e di trasformazione dei prodotti liquidi e gassosi, di fatto l'unica attività di questo tipo interamente sotto il controllo AGIP, dato che la raffineria di Marghera era gestita insieme all'AIOC e quelle di Livorno e Bari con Montecatini e Standard. I risultati delle ricerche stavano cambiando in maniera radicale la posizione del metano all'interno dell'economia italiana: l'entità delle scoperte rendeva possibili nuove forme di utilizzazione del gas naturale, che tuttavia per concretizzarsi, richiedevano un impegno diretto dell'AGIP a valle della fase mineraria su linee strategiche nuove.

Il ritorno di Rocco al Servizio Studi della Direzione Mineraria.

Il Servizio Studi e Prospezioni rimase in una situazione mal definita fino al ritorno di Rocco nel luglio del 1951: la sezione geologica era affidata a Facca mentre quella geofisica a Antonio Selem, coordinate da Zanmatti. Jaboli e Lucchetti, dirigenti dal febbraio 1951, affiancarono Facca come responsabili del reparto geologia strutturale e di superficie e quello della geologia del sottosuolo. Come soluzione parallela alla crescita interna, l'azienda decise di affidarsi alla collaborazione con delle società contrattiste straniere, scelta ricca di conseguenze per quanto riguarda le modalità di circolazione di conoscenze e di capacità specialistiche all'interno della tecnostruttura dell'azienda. Nel marzo 1950 iniziarono trattative con la Western Geophysical Co., con cui Rocco aveva lavorato dal 1946, per un contratto di consulenza in esclusiva, per utilizzare i laboratori della società negli Usa, segnando l'avvio di uno stretto rapporto di collaborazione che andava ben al di là di un semplice contratto di fornitura di servizi geofisici, come evidente dalla presenza, a partire dal giugno 1950, di Rocco e Boccalery, capo della Western in Italia, alle riunioni dei geologi e geofisici dell'AGIP tenute mensilmente a Milano sotto la presidenza di Zanmatti. L’accordo prevedeva il diretto coinvolgimento della società americana nella formazione del personale AGIP attraverso l’assegnazione di giovani geologi e ingegneri nelle squadre Western che lavoravano per l'AGIP. Nel 1951 l'attività di rilevamento si estese nelle Marche e in Basilicata (Fossa Bradanica), impiegando 4 squadre sismiche proprie, 8 a contratto, la squadra gravimetrica dell'azienda e una squadra tellurica della Compagnie Générale de Geophisique. La Western forniva 5 delle squadre a contratto e tutti i dispositivi per i gruppi AGIP. In seguito l’AGIP estese ad altre Società i rapporti di collaborazione; ad esempio nel 1952, oltre alle quattro squadre AGIP, vennero tenute in servizio solo due squadre Western, una del Servizio Geologico d'Italia, allestita quasi interamente con personale AGIP, una del Politecnico di Milano (Fondazione Lerici), ma i metodi di lavoro e di interpretazione utilizzati dall’AGIP rimasero quelli Western fino a tutti anni ‘60, quando Rocco lasciò il proprio posto nel 1968. Nell'ambito della perforazione, il ricorso ai contrattisti fu una scelta legata alla carenza di materiale in cui si trovava l'AGIP e delle difficoltà di procurarsi sonde moderne. Nell'immediato dopoguerra l'AGIP aveva proseguito i propri lavori con materiale scarso e spesso recuperato in modo fortunoso (ad esempio, le attrezzature del'AIPA, lasciate in deposito a Venezia). La possibilità di ricorrere a contrattisti per accelerare la valorizzazione dei giacimenti padani venne esaminata per la prima volta nella seduta del CTRP del 20 gennaio 1949, affidando alcuni contratti di perforazione alla SAIP, diretta da Italo Veneziani. Veneziani fu utile anche per l'opera di mediazione svolta nei confronti della Santa Fé Drilling Company, grazie ai contatti internazionali maturati durante il suo lavoro in Iraq per la BOD, permettendo di confrontare i preventivi per l'acquisto di nuove sonde Massarenti con i costi di ingaggio dei contrattisti americani, che promettevano ritmi di avanzamento della perforazione molto superiori a quelli

Page 13: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

abituali in Italia. L'impiego di sistemi così aggiornati avrebbe richiesto una costante presenza dei tecnici del Servizio Studi sui cantieri e l'esperienza sarebbe stata utile a tutto il personale coinvolto. I perforatori californiani si rivelarono estremamente capaci, ma poco avezzi a risolvere problemi imprevisti, che invece erano la condizione abituale dei cantieri padani. Con la crescita delle risorse interne e il venir meno delle urgenze più pressanti, nell'ambito della perforazione tutte le attività tornarono presto sotto la gestione diretta dell'azienda, con l'eccezione di alcuni servizi specifici e contratti di minore importanza con imprese italiane. La decisione rafforzò le critiche all’AGIP, giudicata da alcuni una Compagnia petrolifera sui generis, diretta da perforatori, indubbiamente molto capaci nel loro campo, ed in cui il Servizio Studi era obbligato ad individuare sempre nuovi prospect per tenere pienamente occupate le sonde aziendali, piuttosto che massimizzare le percentuali di risultati minerari positivi. L’impiego della SAIP come chiavistello per entrare alla fine degli anni ‘50 in Iran ed Egitto, non fece che rinforzare questo giudizio. Un forte stimolo ad aggiornare le competenze relative alle perforazioni derivò dalle esperienze maturate nella serie di incidenti minerari che accompagnarono il periodo di più rapida espansione delle attività, anche per la rilevanza che essi ebbero all'intorno della battaglia per orientare l'opinione pubblica sulla proposta di monopolio AGIP sulla Pianura padana. Nel marzo 1949 un grave incidente minerario coinvolse il campo di Caviaga; l'entità dell'incidente non venne compresa appieno nell'immediato, ma si rivelò negli anni successivi, quando le continue invasioni di gas degli strati superficiali costrinsero a tenere in produzione forzata il campo per evitare la dispersione in superficie degli idrocarburi. Il clamoroso show down di Cortemaggiore ebbe anche la funzione di ristabilire l'immagine dell'AGIP a poche settimane dall'eruzione.

Un esperto americano, l'ingegnere Brantly, registrò la correttezza della condotta dei tecnici italiani, ma anche le gravi carenze nelle attrezzature, troppo antiquate per intraprendere la perforazione di giacimenti con pressioni elevate e la necessità di integrare le competenze dell'AGIP con quelle di alcune società di servizi. Nel giugno e luglio del 1950 un gruppo di tecnici dell'AGIP incontrò negli Stati Uniti una serie di esperti di compagnie contrattiste per discutere problemi specifici nel campo della produzione e della messa in sicurezza dei pozzi. In particolare vennero approfondite questioni relative al tubaggio e alle attrezzature di sicurezza per lavorare in giacimenti caratterizzati da alte pressioni. Sempre sull'esempio americano, l'AGIP sviluppò alcune attività ausiliarie alla perforazione per la gestione dei fanghi di circolazione e nelle operazioni di cementazione dei pozzi. Nell'ottobre 1950 avvenne un altro disastro: entrò in eruzione uno dei pozzi di Cortemaggiore, con la completa distruzione degli apparecchi di sicurezza posti alla testa del pozzo (BOP), rendendo necessario l’intervento di Myron Kinley, un tecnico americano titolare di una società specializzata negli interventi di superficie sui pozzi in eruzione. La maturità tecnica raggiunta dall'AGIP grazie all'esperienza quotidiana,ai frequenti contatti con gli Usa ed al miglioramento delle attrezzature e dei servizi collegati alla perforazione, poté essere misurata nel confronto con il più grave incidente minerario dei primi anni ‘50, l'eruzione del pozzo Cortemaggiore 21, iniziata il primo dicembre 1950 e riportata sotto controllo solo il 4 febbraio successivo. La totale distruzione dell'impianto e lo sprofondamento del cantiere in un cratere di ottanta metri di diametro, resero impossibile un'azione di superficie. Non rimase che tentare di togliere pressione all'eruzione attraverso una perforazione orientata, operazione mai tentata prima dai tecnici dell'azienda. ricordata con orgoglio ad anni di distanza dagli eventi. L'esperienza accumulata permise di reagire in maniera molto più efficace in successive operazioni d'emergenza: nel marzo 1952 nel campo di Bordolano, l'eruzione venne domata nella metà del tempo necessario per Cortemaggiore 21, con la perforazione di due pozzi orientati. Rimaneva da risolvere il problema della ricerca di risorse finanziarie indispensabili per alimentare il processo di espansione dell'impresa. Le tradizionali attività commerciali dell’AGIP lavoravano in perdita data l’elevata concorrenza dei raffinatori privati e delle reti Standard e Shell, per cui l’AGIP doveva contare sull'incremento dei profitti derivati dalla vendita del gas e del reperimento di crediti da parte di terzi. La possibilità che le ricerche ricevessero nuovi contributi statali era del tutto irrealistica, benché la Gestione separata dei lavori per conto dello Stato rimanesse ufficialmente in vita. Le risorse a disposizione dell'azienda, impegnata

Page 14: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

anche nella ricostruzione della rete commerciale e della flotta, erano insufficienti, e l'AGIP cercò quindi di percorrere diverse strade per accedere alla rete del finanziamento pubblico. L'assistenza del piano Marshall venne concessa per la ricostruzione e il potenziamento della raffineria di Porto Marghera, nella quale c'era una forte partecipazione inglese, mentre fu respinta quella per l'ammodernamento della rete di distribuzione e per l’acquisto del materiale per la perforazione, per le quali l'AGIP ottenne dal Ministero del Commercio Estero una disponibilità di 2,8 milioni di dollari per far fronte alle esigenze per lo sviluppo di Cortemaggiore. A partire dal 1951 alcuni vincoli per l’accesso ai finanziamenti del piano Marshall vennero rimossi, e l’AGIP offrì le garanzie all'IMI per un finanziamento ERP richiesto dalla CIMA di Bologna, contrattista AGIP per la perforazione. Il piano ERP venne utilizzato dall’AGIP anche per l'acquisto di materiale per la perforazione negli Usa e per finanziare le proprie attività di ricerca attraverso prestiti IMI - ERP. Il ritmo accelerato con cui procedevano le ricerche e la costruzione di metanodotti aveva il merito di legittimare un'immagine dell'AGIP e del suo vertice come forze innovative e capaci di sostenere un progetto industriale di grande portata, creando le premesse per il progetto di fondazione dell'ENI e dello stretto rapporto nel 1950 e 1951 tra l'azienda petrolifera e la Banca Nazionale del Lavoro di Imbriani Longo, alla quale si deve il merito della risoluzione dei problemi di finanziamento presso terzi (in Italia e all'estero) delle iniziative dell'azienda. Nell'autunno del 1952, mentre il piano di sviluppo prevedeva tassi di crescita più moderati, appariva già definito il processo di costituzione dell'ENI; Mattei, nella seduta del Comitato di presidenza del 10 ottobre 1952, rilevava il raggiungimento di una discreta solidità finanziaria e la scoperta a Ravenna di un giacimento di gas che per importanza rivaleggiava con Cortemaggiore. L'incremento dei volumi estratti e trasportati determinò una parallela trasformazione negli utilizzi del metano. L'orientamento verso le utenze industriali era stata una scelta obbligata per arrivare al pieno sfruttamento del giacimento di Caviaga, ma già nell'ottobre 1948 il CTRP programmava di raggiungere i 280.000 mc/giorno di consumo per le utenze industriali a fronte di 45.000 mc/giorno per l'autotrazione. Le utilizzazioni domestiche iniziarono ad assumere una certa rilevanza a partire dal 1952 - 1953, ma con scarsi margini di profitto per la concorrenza dei piccoli produttori privati. Di maggiore interesse appariva invece l'impiego per la produzione termoelettrica, che iniziò nel 1952 con allacciamento della centrale della Edison di Piacenza e di quella della STEI a Tavazzano, in cui era coinvolta anche la Montedison. Sulla falsariga dell'accordo STEI, nel 1950 venne avanzata una nuova proposta alla Montecatini per avviare, attraverso l'ANIC, un impianto per la produzione di fertilizzanti azotati a partire dal metano, che non andò inizialmente in porto per lo scarso interesse della Montedison, ma che Mattei avrebbe poi costruito a Ravenna in prossimità dei nuovi giacimenti di gas, garantendo la massima regolarità nell’assorbimento di ingenti quantità di metano, altrimenti invendibile per la mancanza di clienti.

L’AGIP alla conquista del mercato italiano del gas e della benzina.

Il Convegno nazionale del metano e del petrolio, svoltosi a Taormina nell'aprile 1952 su iniziativa dell'ENM, segnò la conclusione della parabola dei piccoli operatori metanisti veneti e romagnoli, riuniti nei consorzi SIRCI e CIM, mentre persino la presenza delle più antiche società minerarie SPI, SIN e Petroli d'Italia, fu limitatissima. All'opposto, i geologi del Servizio Studi dell'AGIP Lido Lucchetti e Giulio Fattorossi presentarono un nuovo ramo di specializzazione della disciplina dedicato dalle esigenze dell'industria degli idrocarburi, rivendicando come l’AGIP fosse la creatrice di questa nuova mentalità. L’AGIP era invece poco presente dove si parlava di raffinazione e commercializzazione degli idrocarburi. La presentazione al convegno di una serie di elementi ricavati dalla concreta attività di lavoro dell'AGIP, concludeva un processo di accumulazione e di trasferimento di conoscenze, dando al patrimonio accumulato empiricamente una formalizzazione scientifica. Il convegno di Taormina può quindi essere visto come uno spartiacque tra la prima fase di vita dell'AGIP di Mattei e un nuovo periodo di sviluppo aperto dalle scoperte di Caviaga e Cortemaggiore.

Page 15: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

Alla fine del 1953 il programma preventivato quattro anni prima era sostanzialmente concluso entro i limiti finanziari che erano stati programmati e con risultati superiori a quelli previsti. L'intera superficie utile della Valle padana era stata coperta dal rilievo sismico, si erano perforati 218 pozzi di coltivazione contro i 183 previsti e 86 pozzi di ricerca contro una stima che ne prevedeva al massimo 68. Grazie a questi lavori, erano stati messi in produzione quattro nuovi giacimenti, rispetto a un minimo di due previsti (oltre Ripalta e Cortemaggiore, entrarono in produzione Bordolano, Cornegliano e Correggio), mentre altre promettenti strutture, tra cui Ravenna, erano in fase avanzata di studio. La produzione di gas nel 1953 era di oltre 2 miliardi di mc e l'espansione delle vendite di metano era sostenuta da una parallela crescita della rete dei metanodotti. Le potenzialità di Cortemaggiore erano state pienamente accertate negli anni precedenti, ma il loro sfruttamento era stato rimandato perché vincolato alla costruzione di un impianto di degasolinaggio che separasse il metano dagli altri idrocarburi presenti nel giacimento prima di immetterli nella rete SNAM. L'impianto venne acquistato negli Stati Uniti, dalla North American Petroleum Corporation, e comportò un investimento di 1,15 milioni di dollari. La costruzione dell'impianto iniziò già nel 1950 e venne ultimata nell'aprile del 1952, inaugurato da De Gasperi nel giugno dello stesso anno. La gasolina recuperata a Cortemaggiore e il greggio estratto nel campo piacentino contribuirono alla produzione di una nuova benzina ad alto numero di ottani, la Supercortemaggiore, raffinata dalla Petroli d'Italia a Fiorenzuola, oggetto di un'aggressiva campagna pubblicitaria che vide la nascita dell'innovativo marchio del cane a sei zampe, destinato a diventare progressivamente il simbolo dell'azienda. Il giacimento di Cortemaggiore permise di avviare anche una nuova attività, grazie agli ingenti quantitativi di gas di petrolio liquefatti (GPL) che era possibile recuperare dal metano del campo piacentino. Già alla fine del 1951 l'AGIP aveva iniziato la costruzione degli impianti di imbombolamento del gpl che avrebbe permesso di lanciare sul mercato l'Agipgas, il cui marchio era un gatto che emetteva una fiammella dalla coda. Liquigas e Pibigas lanciarono una campagna per la difesa della propria posizione, cercando di far leva sul loro controllo del mercato delle bombole, per cui l’AGIP si trovò in difficoltà nel reperirne un numero adeguato ad una produzione che nel giugno 1952 era dell'ordine delle 30.000 tonnellate annue, reperendone 350.000 a fronte di un fabbisogno stimato attorno al milione e mezzo di unità. Inoltre i concorrenti cercarono di mettere in difficoltà l'AGIP attraverso un'operazione di restituzione rateale della cauzione delle bombole versata dai consumatori che, oltre a costituire uno sconto sul prezzo della bombola, avrebbe legato per anni il consumatore allo stesso fornitore. La risposta dell'Agipgas fu la vendita del gpl a un prezzo del 12% inferiore ai livelli dei concorrenti e l'abolizione della cauzione sulle bombole. Inoltre Mattei fece un accordo con l'imprenditore marchigiano Aristide Merloni, titolare di un impresa per la costruzione di bascule e sindaco di Fabriano, per la produzione delle bombole, in modo da rendere l'azienda di Stato indipendente anche su questo fronte. In seguito la distribuzione del gas in aree urbane venne completata con la realizzazione di reti, la costruzione delle quali venne affidata a una società appositamente costituita nel 1956, la Agipgas Città. Lo sviluppo di Agipgas fu un primo passo per portare l’AGIP nelle regioni del Centro-Sud, a cui seguirono negli anni successivi i programmi di ricerca di idrocarburi, gli esperimenti di sfruttamento delle forze endogene e dell'energia nucleare. La costruzione di una rete nazionale di distribuzione del metano fu invece un'iniziativa della presidenza di Eugenio Cefis e poté essere realizzata solo grazie all'attivazione di importanti contratti di fornitura di gas dall'estero.

Il 1952 rappresentò quindi un anno di svolta, nel quale la superiorità schiacciante dell'AGIP nel ramo minerario era ormai incontrastata e aveva un influsso positivo anche sulle altre attività dell'impresa. L'attivismo imprenditoriale di Mattei si estese anche sulle altre aree di business, che erano ancora gestite in continuità con il periodo prebellico. La formula strategica che aveva permesso di sbaragliare tutte le forze che avevano cercato di rallentare la conquista del metano padano divenne il modello di tutte le successive battaglie dell'azienda petrolifera di Stato. Il diretto coinvolgimento di Mattei nel rilancio del ramo commerciale aveva come premessa lo scardinamento degli equilibri di potere che l'AGIP aveva ereditato dal periodo prebellico,

Page 16: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

promuovendo il ricambio generazionale, attraverso l'imposizione di un limite massimo d'età di 65 anni per tutte le cariche,approvato dal CdA nel luglio 1950. Già nel 1948 il nuovo vertice aveva affidato a Pietro Rosa Speroli la carica di Direttore commerciale al momento del passaggio di Kovacs alla guida dell'IROM. Tra le nuove promozioni ai vertici aziendali figuravano alcuni giovani tecnici proposti da Mattei, come il responsabile del Settore cremasco Mazzini Pissard e del Settore piacentino Mario Benfenati, dell'Amministrazione e dei Servizi Generali della Direzione mineraria Romolo Falci e Marcello Cavallo. Il Direttore centrale Piero Verani Borgucci, ex dirigente AIPA, fu indotto alle dimissioni nel dicembre 1951, mentre il VP Carafa d'Andria, che rappresentava l'ultimo ancoraggio con il passato, dopo numerosi scontri con Mattei, preferì dimettersi nel maggio 1952. Con il ritorno alla vicepresidenza unica e l'attribuzione a Mattei di tutti gli incarichi in precedenza affidati a Carafa e Verani, si concluse il trasferimento di potere al nuovo gruppo dirigente che aveva preso le redini dell'AGIP dopo le elezioni del 1948, e Mattei iniziò a imprimere una forte accelerazione alla modernizzazione del ramo commerciale, con la drastica revisione delle strutture della Direzione centrale di Roma.

L'attività mineraria non necessitava più la costante cura imprenditoriale di Mattei, ma non perdeva la sua centralità, risolvendo il problema della collocazione del Servizio studi con l'inizio della costruzione dei Laboratori e del Centro direzionale di San Donato Milanese, nel 1953. Una delle prime iniziative di Mattei per riformare il nucleo più tradizionale dell'AGIP fu l'assunzione come consulente di Angelo Aldrighetti, docente di tecnica industriale e commerciale all'Università Bocconi. L'alto costo del greggio rimaneva il problema di base che impediva un risultato economico positivo del ramo commerciale dell’AGIP in un mercato in crescita, ma con prezzi in calo costante. Inoltre, le clausole dell'accordo di fornitura con l’IROM si rivelavano estremamente rigide e impedivano all'AGIP di reagire agli abbassamenti dei prezzi imposti dalla concorrenza. Nell'inverno del 1952, Mattei si recò personalmente a Londra per definire con successo la politica di sconti che sarebbero stati applicati dall’AIOC all'AGIP, contenendo le perdite del ramo commerciale. L'intervento diretto di Mattei può essere individuato anche nell’attenzione per l'immagine pubblicitaria più moderna dei prodotti dell'azienda, ad esempio attraverso la costruzione di stazioni di servizio ispirate ai modelli statunitensi e nella massiccia promozione di un brand AGIP. La scelta dei progetti per i nuovi distributori cadde sull’architetto Baiocchi, autore della sede di Piacenza dell'Università Cattolica, per ottenere sia un miglioramento estetico delle stazioni di servizio, sia una maggiore economia dovuta alla standardizzazione degli impianti. Una campagna di formazione dei gestori su standard molto elevati, anche in questo caso ispirati al modello delle compagnie americane, trasformò i vecchi chioschi in moderne stazioni di servizio. Parallelamente alla promozione dei nuovi prodotti, una particolare attenzione venne data alla creazione di un sistema di garanzia contro le frodi dei rivenditori ai danni dell'AGIP e dei consumatori: Mattei stesso promosse l'istituzione di un sistema di verifica permanente e di un piccolo nucleo di ispettori, le cui prime vittime cominciarono a cadere già nell'estate del 1952. Può essere ricondotto alle esigenze di rafforzare la posizione del ramo commerciale, il contributo dato dall'AGIP alla società Sviluppo iniziative stradali italiane (SISI), creata nel 1954 da ENI, Fiat, Pirelli e Italcementi, per la preparazione di un progetto di massima per la realizzazione dall'autostrada Milano – Roma – Napoli. La prima pietra dell'Autostrada del Sole verrà posata nel maggio 1956 a San Donato, davanti al centro direzionale di Metanopoli, riconoscimento del contributo dato dalle società del gruppo ENI per lo sviluppo della motorizzazione di massa e per la modernizzazione del paese. La nuova strategia commerciale avviata dal 1952 portò in tempi brevi a un significativo aumento delle vendite, con un risultato economico ancora negativo: a fronte di vendite aumentate per 120.000 tonnellate di prodotti rispetto l'esercizio precedente, il fatturato era cresciuto in maniera meno che proporzionale (7 miliardi di lire) a causa della politica di sconti, per cui la gestione commerciale registrava una perdita di 500 milioni. L'elemento chiave per chiudere in attivo era il controllo diretto della materia prima, come era avvenuto per il metano. Per estendere tale vantaggio anche al settore della raffinazione e della commercializzazione dei prodotti petroliferi l'AGIP avrebbe dovuto affrontare negli anni successivi uno sforzo minerario

Page 17: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

maggiore di quello compiuto con successo nella Pianura padana e l’ENI sarebbe stato lo strumento per avviare la diversificazione e l'internazionalizzazione delle attività.

L’assegnazione in esclusiva all’AGIP della Valle padana e la costituzione dell’ENI.

All’affermarsi dell’AGIP nell’industria mineraria italiana mancava ancora il supporto di una legislazione adeguata. Il Consiglio Superiore delle Miniere, organo tecnico del Ministero dell'Industria che avrebbe dovuto approvare le richieste per nuovi permessi di ricerca e di sfruttamento, venne infatti ricostruito solo nel novembre 1947, creando un Comitato per esaminare le oltre 400 nuove richieste, per cui gli operatori potevano operare unicamente nelle aree assegnate prima della guerra. L'AGIP, pur privilegiata rispetto ai concorrenti, era tuttavia, sotto l’aspetto giuridico, in una posizione rischiosa: il campo di Caviaga era ancora un permesso di ricerca, la cui produzione poteva essere commercializzata solo grazie a un'apposita autorizzazione ministeriale, e in tutte le altre aree in cui operava il titolare era lo Stato, con l’AGIP, come da Statuto, nel ruolo di operatore (Ricerche per conto dello Stato). Nella seduta del Consiglio dei Ministri del 22 aprile 1949, Ivan Matteo Lombardo, titolare del dicastero dell'Industria, presentò un proprio schema atto a correggere alcuni degli aspetti più anacronistici del regio decreto del 1927. Il progetto venne affossato dall'intervento di Vanoni, che ne propose il rinvio al Comitato interministeriale per la ricostruzione, vista la necessità di un monopolio statale dello sfruttamento del metano estratto nella pianura padana, giustificato dai consistenti investimenti già fatti e da un criterio di razionalità fiscale. Solo nel luglio del 1950 il Ministro Togni confermò che l'esecutivo stava lavorando a una proposta per l'istituzione di un Istituto Nazionale Idrocarburi (INI) che avrebbe coordinato le attività dello Stato nel settore idrocarburi e che avrebbe esercitato un diritto di esclusiva sulla Valle padana, aggiornando le norme per una completa riforma del diritto minerario degli idrocarburi, ma esisteva anche una proposta alternativa di Vanoni, che l'AGIP considerava maggiormente rispondente alle proprie esigenze. Nella primavera del 1951 venne reso noto che la privativa sulla Pianura padana e la riforma della legge mineraria sarebbero state trattate da due provvedimenti distinti. La proposta di istituzione dell’ENI venne presentata al Consiglio dei Ministri del 28 giugno 1951, seguita il 13 luglio 1951 dai disegni di legge n. 2101, intitolato “Istituzione dell'Ente nazionale idrocarburi”, n. 2092 “Ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi” e n. 1840 “Costruzione ed esercizio di oleodotti e di gasdotti”. Dopo il passaggio alla Commissione permanente Industria e Commercio, il progetto arrivò alla Camera il 21 marzo del 1952 e il testo definitivo venne approvato entro luglio, passando poi al Senato il 10 gennaio 1953, dove incontrò forti opposizioni guidate da don Luigi Sturzo, alfiere del liberismo. Tuttavia Sturzo rimase assente al momento della votazione (20 e 21 gennaio 1953), per non scatenare un imbarazzante scontro all'interno della DC. A partire dalla primavera del 1953 vennero quindi risolte tutte le questioni di carattere giuridico legale che interessavano l'attività di ricerca e produzione: la Direzione mineraria si trasformò in AGIP Mineraria, riconoscendo in questo modo la centralità e l'autonomia dell'upstream; la titolarità Gestione ricerche venne trasferita dallo Stato all'ENI e da quest'ultimo all'AGIP Mineraria. Le relazioni tra le società del gruppo ENI e l'esecutivo venivano regolate attraverso la presenza di alcuni rappresentanti dei Ministeri Finanze, Industria e Tesoro nel CdA e nel collegio sindacale dell'Ente. I programmi dell'ENI sarebbero stati approvati collegialmente dai tre dicasteri, attraverso un apposito Comitato dei Ministri dell’ENI. I rapporti tra ENM ed ENI venivano risolte con lo scioglimento dell’ENM e il passaggio di tutte le sue partecipazioni all'AGIP Mineraria: entrarono così sotto il controllo del gruppo la Società metanodotti padani (SMP), cioè l'unico vettore disponibile per gli operatori privati del Polesine, la società di perforazione SAIP e la Ravennate metano. La nuova posizione di forza permise di migliorare la posizione dell'AGIP all'interno dell'ANIC, a discapito della Montecatini, per utilizzare l'ANIC come uno strumento per la politica petrolchimica del gruppo e raggiungere una posizione più equilibrata nei rapporti con in gruppo Standard nell'ambito degli accordi relativi alle raffinerie STANIC ed il greggio della NIOC.

Page 18: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

Il fondo di dotazione concesso al nuovo Ente ammontava a 30 miliardi di lire, di cui 15 erano rappresentati dalle attività minerarie gestite dall'AGIP, mentre altri 15 miliardi erano concessi come liquidità già interamente assorbita negli anni precedenti per finanziare l'altissimo tasso di investimento che aveva preceduto la creazione dell'Ente.

L’espansione dell’AGIP all’estero e la diversificazione dell’ENI.

Si apriva a questo punto il problema di trovare nuove direttrici per la crescita dell'ENI, che sarebbero state cercate nell'espansione del core business all'estero e nella diversificazione e differenziazione delle attività. I primi anni dell'Ente si svolsero in continuità con la precedente strategia dall'AGIP, ma già attorno alla metà degli anni cinquanta l'ENI assunse una dimensione diversificata e multinazionale, tipica di un operatore petrolifero moderno. La linea di diversificazione scelta dall’ENI era legata alla necessità di trovare un impiego conveniente agli idrocarburi estratti, limitando al minimo i costi di trasporto ed evitando ritmi di assorbimento imprevedibili e troppo discontinui. La trasformazione chimica consentiva di rendere commerciabili i prodotti ottenuti anche da materie prime di scarsa qualità (come il greggio di Gela) oppure di ottenere dal metano prodotti che avrebbero potuto essere venduti anche all'estero, internazionalizzando un settore che aveva fino ad allora una dimensione esclusivamente italiana. L'istituzione dell’ENI aumentava la quota nell'ANIC, una holding finanziaria che si limitava a percepire i dividenti della partecipazione nella STANIC, con le raffinerie Livorno e Bari, anche con acquisti, effettuati attraverso la BNL, di nuovi pacchetti azionari detenuti da soci privati di minoranza, fino a possedere la maggioranza assoluta entro la fine del 1954. La società chimica poteva attuare l’ambizioso di costruire a Ravenna un impianto per la produzione di fertilizzanti e gomma sintetica, assorbendo un quantitativo ingente del gas prodotto dai giacimenti individuati nella zona. L’ENI non aveva una sufficiente esperienza in ambito chimico, per cui nel 1954 Mattei reclutò l'ingegner Angelo Fornara che aveva precedentemente lavorato per Pirelli, Montecatini ed Edison. I brevetti per i processi principali del petrolchimico di Ravenna vennero acquistati dalle imprese americane maggiormente specializzate nel settore, mentre ci si affidò alla tecnologia italiana per le trasformazioni meno innovative a valle della fase petrolchimica. La scelta dei partner americani dipese delle relazioni che Mattei stabilì con alcuni operatori nel luglio 1954 e gennaio e febbraio 1955, che ebbero come punto focale la raccolta di informazioni e la firma di accordi per la petrolchimica. In particolare nel viaggio del 1955, Mattei fu invitato a partecipare a una riunione del CdA della Standard Oil N.J., nella quale ribadì l'importanza di un'amichevole collaborazione con gli Stati Uniti. L'impianto di Ravenna venne progettato per una capacità di lavorazione di 380 milioni di mc di metano all'anno, per ottenere 30.000 tonnellate di gomma sintetica e 350.000 tonnellate di fertilizzanti Azotati con costi di produzione molto inferiore ai prezzi di mercato vigenti. Il progetto di diversificazione petrolchimica dell'ENI, entrava in rotta di collisione con la Montecatini, principale azienda chimica italiana, in particolare nel mercato dei fertilizzanti. L'eni riuscì a ovviare alla mancanza di una propria rete di distribuzione attraverso un accordo con la Federazione Consorzi Agricoli (Federconsorzi) stipulato nel 1958. Il nuovo settore chimico rimase per alcuni anni strettamente correlato con il nucleo originario di attività upstream e di approvvigionamento di greggio e metano; solo nei primi anni ’60, con l'aumentare della complessità delle sfide poste dall'innovazione petrolchimica a livello internazionale, inizieranno a manifestarsi esigenze contrastanti e spinte centrifughe tra i vari rami del gruppo. Al momento dell'ingresso dell'ENI nell'arena internazionale, si erano aperte le prime crepe nel sistema monolitico di accordi e di Consorzi che aveva dominato il Medio Oriente a partire dagli anni ‘30, aumentando il livello di concorrenza e l'aleatorietà del business. Si trattava di un equilibrio oligopolistico già in crisi, in cui esistevano numerose opportunità per azioni di free riding o finalizzate a inserirsi tra gli incumbent. Il settore minerario manifestava naturalmente una spinta all'estensione del proprio raggio di attività mano a mano che la ricerca veniva completata nelle aree inizialmente sfruttate e diventava necessario impiegare altrove le risorse liberate. Ancora nel 1952 l'attività di ricerca era limitata alla Valle padana, Marche e Basilicata, con limitati rilievi geologici in corso nella

Page 19: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

area della penisola studiate dall'azienda prima della guerra. La necessità di estendere progressivamente le attività era riconosciuta da tutti i responsabili dell'upstream, ma i pareri non erano univoci, con divergenze determinate da interessi professionali e ambizioni personali degli specialisti. Ad esempio, i tecnici della Sezione Geologia, il cui ruolo sarebbe stato valorizzato da una ripresa degli studi in nuove aree di prima esplorazione, erano molto sensibili al bisogno di organizzare un nuovo reparto finalizzato a tale attività: Facca e Jaboli presentarono una relazione su questo tema nel novembre 1952, valutando che le aree di ricerca attuali avrebbero garantito l'impiego totale delle sonde AGIP al massimo per tre anni. Le posizioni dei dirigenti di più alto livello si orientavano invece verso una maggiore prudenza rispetto ai responsabili degli studi geologici. Ad esempio Rocco, commentando le proposte dei due geologi a beneficio del CTRP, pur riconoscendo la correttezza dell'impostazione del problema, invitava alla prudenza segnalando come le risorse al momento disponibili permettessero al massimo di predisporre un Reparto esplorazione, da affidare a Jaboli, costituito alla fine del 1952, per occuparsi dello studio di nuovi temi di ricerca per l'estensione delle attività sia nell'Italia settentrionale che in regioni ancora quasi del tutto inesplorate dall'AGIP. Dato che non era possibile distogliere personale esperto da altri compiti, il Reparto esplorazioni fu inizialmente composto solo dallo stesso Jaboli e dai geologi Marco Pieri, Bruno Martinis e dal giovane borsista Roberto Carella. Il risultato immediato della creazione di un reparto sollevato dai normali compiti di routine, fu la possibilità di raccogliere in maniera sistematica tutti i dati emersi nei lavori svolti dall'AGIP negli anni precedenti, per una prima elaborazione di un modello generale di interpretazione del sottosuolo della Valle del Po, che andasse al di là delle esigenze puramente operative dell'azienda. Le approssimative teorie geologiche degli anni venti - trenta venero assimilate e trasformate attraverso l’integrazione delle conoscenze originate empiricamente attraverso l'esperienza del lavoro nei cantieri, per assumere lo status di nuova interpretazione scientifica del sottosuolo padano, e quindi essere la base per futuri studi e nuove iniziative industriali. L'unità guidata da Jaboli iniziò a operare anche al di fuori della Pianura padana nel corso del 1953, parallelamente all'allestimento di una nuova squadra sismica, adatta a lavorare in terreni più impervi rispetto a quelli della Pianura padana. Il risultato dei primi studi fu l’elaborazione del tema di ricerca dei calcari del mesozoico, successivamente applicato a tutta l'Italia centromeridionale. Nel gennaio 1953 il responsabile della Sezione geologica Giancarlo Facca avanzava l'ipotesi che l'esplorazione di una zona di frontiera, come l'Italia centromeridionale, potesse essere raggiunto attraverso una struttura esterna all'AGIP, con personale estraneo all'Azienda per non sovraccaricare l'organico dell'AGIP, mentre avrebbe permesso di addestrare dei giovani tecnici che in futuro sarebbero stati utili alla capogruppo. Nel 1954 venne così costituita la Società Mineraria Centro Meridionale (Somicem), con un capitale di 100 milioni, sottoscritto per il 90% dalla Mineraria e per il 10% dalla SNAM, con Presidente Zanmatti, mentre DG era lo stesso Facca, sostituito alla guida della Sezione geologica da Jaboli. Sostanzialmente la Somicem rimase un'iniziativa personale di Facca e il suo insuccesso può essere spiegato con il fatto che la volontà di Facca di creare una struttura di ricerca innovativa rispetto a quella dell'AGIP tagliò fuori la nuova società dal processo di raccolta e interpretazione dei dati sul sottosuolo italiano, che stava invece maturando nella società madre. Il ricorso della Somicem ai contrattisti, Western per la geofisica, AGIP Mineraria per la perforazione, colmava la completa assenza di alcuni servizi, che invece la Mineraria internalizzava almeno parzialmente. La Somicem presentava notevoli debolezze e i suoi tentativi innovati risultarono ridimensionati dal suo insuccesso operativo, che delegittimò del tutto un modello organizzativo alternativo al sistema accentrato in uso all'AGIP.

L’estensione delle ricerche AGIP nell’Italia meridionale.

Sin dall'istituzione della zona di esclusiva ENI nella Pianura Padana, gli operatori privati avevano concertato le proprie ricerche nell'Italia peninsulare e in Sicilia, dove alla fine del 1953 la Gulf aveva individuato un giacimento di petrolio in prossimità di Ragusa. Il dibattito politico aveva quindi seguito a ruota le suggestioni della stampa circa il potenziale petrolifero dell’Italia peninsulare, per cui la legge n. 6 dell'11 gennaio 1957 “Ricerca e coltivazione degli idrocarburi

Page 20: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

liquidi e gassosi” recepiva le più positive aspettative sul futuro dell'Italia come paese produttore e conteneva elementi presi di peso dalle norme vigenti in alcune delle aree più produttive del mondo. la legge si dimostrò in seguito troppo rigida e inadeguata per promuovere gli investimenti nella ricerca (permessi troppo piccoli, obbligo di passare rapidamente alla perforazione, oneri eccessivi per l’Operatore, ecc.), tanto che gli Operatori privati che avevano lottato strenuamente per l'accaparramento del petrolio italiano si defilarono progressivamente, mentre per l'ENI la valorizzazione mineraria del centro - sud diventava una priorità strategica dettata dal Governo. Nella seduta della Giunta esecutiva dell'ENI del 22 dicembre 1955, Mattei comunicava come le recenti scoperte avvenute in Abruzzo, molto sopravvalutate da Facca e dall’opinione pubblica, avessero spinto il Comitato dei Ministri ad invitare l’ENI ad ampliare il programma delle ricerche, prevedendo nuovi lavori nell'Italia centromeridionale; il programma minerario per il triennio 1956 - 58 arrivava così a toccare i 75 miliardi di lire, di cui 30 destinati all'Italia peninsulare e insulare. Si creò inoltre una concorrenza diretta tra l’AGIP Mineraria e la Somicem anche dal punto di vista degli studi quando venne istituito dall'AGIP a Napoli, nel 1956, un l'Ufficio geologico regionale affidato con l'Ods 47 del 1/6/1956 a Claudio Sommaruga, in cui confluì il personale del soppresso Ufficio forze endogene. Le difficoltà delle ricerche nell'Italia centro meridionale e gli scarsi risultati ottenuti vennero riconosciute dal vertice dell'ENI, che nel 1959 decise di chiudere la Somicem, non conseguenti dimissioni di Facca, mentre tutti i tecnici assunti dalla Somicem passarono o ritornarono all’AGIP, ma assunti in prova per un tirocinio che allineasse le loro conoscenze con quelle dei tecnici AGIP. Avevano nel frattempo avuto successo le trattative per la cessione all’AGIP dei permessi detenuti in Basilicata dalla Ricerche Petrolifere Meridionali (RPM), nei quali venne individuato nel 1960 l'importante giacimento a gas di Ferrandina, mentre iniziavano le ricerche in Sicilia, dove l'AGIP Mineraria operava attraverso società controllate per aggirare le limitazioni di carattere giuridico imposte dalla Regione autonoma, ma di fatto si manteneva una struttura unitaria ben lontana dall'esperienza Somicem. Le attività dell'AGIP in Sicilia prima della guerra si erano limitate a una campagna di rilevamento geologico, tra il 1927 e il 1934, condotta da Bonarelli, e poi ripresa da Fabiani. A questa seconda fase di studio si erano accompagnate alcune prospezioni gravimetriche e geoelettriche, che avevano portato a circa una ventina di sondaggi, concentrati nella parte orientale dell'isola, nella zona di Bronte e Gioitto (Catania), dove era stato rinvenuto un piccolo giacimento di gas impregnato di idrocarburi liquidi, sospendendo qualsiasi attività dopo il 1943. Nella primavera del 1950 il Governo regionale aveva approvato una legge che prevedeva un coinvolgimento diretto della Regione nelle ricerche, attraverso una convenzione con l'ENM, ed un diretto interessamento nei profitti, che si attendevano immensi. Le relazioni tra l'AGIP e le autorità regionali furono particolarmente difficili, come nel caso nel 1951 del cantiere di Gioitto, che l'AGIP giudicava antieconomico. La Regione non solo impedì il trasferimento delle attrezzature verso la Pianura padana, ma iniziò di propria iniziativa ad alienarle a favore di imprese locali. La principale società privata attiva in Sicilia era la Gulf Oil Corporation, che operava attraverso tre affiliate: American International Fuel and Petroleum Corporation, Mediterranean Oil Company e Petrosud, in modo da aggirare i limiti imposti dalla Regione contro la concessione di permessi di ricerca con un'estensione superiore ai 1.000 kmq a una stessa società. Di minor rilievo le attività di altri gruppi stranieri, la AIOC, attraverso la D'Arcy Exploration, la Western e la siciliana Esvaiso. Dal 1949 la Regione aveva riservato a proprio favore tre aree, per complessivi 7.300 kmq, nelle quali i lavori di prospezione erano stati condotti attraverso un contratto con l'ENM. Non riuscendo a trovar un accordo con la Regione, nel giugno 1953 le trattative con la Esvaiso portarono alla creazione della Mineraria Sicilia Orientale (MISO), emanazione diretta dell'AGIP Mineraria. I primi risultati ottenuti dalla Gulf con la scoperta del giacimento ad olio di Ragusa nel 1954, 20 milioni di tonnellate di petrolio, a quel tempo il maggior giacimento di petrolio dell'Europa occidentale, messo in produzione e collegato con un oleodotto alla raffineria costruita dalla Gulf Augusta, peggiorarono la posizione dell'azienda di Stato, che riuscì a ottenere solo tre aree di ricerca per un'estensione di 9.999 kmq, dovendo

Page 21: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

inoltre pagare una cifra particolarmente elevata come rimborso per gli studi eseguiti dalla Regione, giudicati inutilizzabili dai tecnici dell'AGIP. In tutta la vicenda, nella quale fu direttamente coinvolto anche lo stesso Mattei, cominciò a definirsi lo stretto intreccio tra attività industriale e politica che caratterizzò tutte le attività del gruppo ENI in Sicilia. Nel 1958 vennero create dall’AGIP nuove società controllate per estendere le ricerche a tutta la regione, iniziarono le perforazioni in mare di fronte a Gela, impiegando per la prima volta in Europa una piattaforma di perforazione offshore, lo Scarabeo, costruito per la SAIPEM negli USA, con la prima scoperta di olio nell’offshore europeo. Nel corso del 1956 la Mineraria arrivò ai primi consistenti risultati nell'isola: si cominciò a riconoscere la rilevanza della struttura di Gela, che l'anno successivo andò in produzione, ricavandone nei primi quattro mesi del 1957 circa 48.000 tonnellate di greggio. Su questa base, l'ENI poté iniziare delle nuove trattative con la Regione, inizialmente attraverso l'AGIP Mineraria, e solo successivamente coinvolgendo l'ANIC, alla quale spettava questo tipo di attività all’interno dell’ENI, per poter raffinare il greggio rinvenuto, molto viscoso, denso e ricco zolfo, in un nuovo impianto petrolchimico da costruire a Gela. L'ENI procedette quindi al trasferimento alle unità della Mineraria operative in Sicilia di un piccolo impianto per la lavorazione dei bitumi (300 ton/giorno) che l'ANIC possedeva, ormai inattivo, nelle vicinanze di Novara. Il trattamento petrolchimico in loco avrebbe messo a disposizione i distillati indispensabili per l'estrazione del greggio attraverso il processo di flussaggio. Si trattò di un processo analogo a quello degli impianti di Cortemaggiore, gestiti direttamente dalla Direzione mineraria per un controllo continuo di un'attività giudicata strategica e strettamente coordinata con i programmi del ramo minerario. A dirigere i lavori fu in entrambi i casi Eugenio Semmola. La realizzazione di un petrolchimico moderno in un'area priva delle necessarie infrastrutture, in particolare l’approvvigionamento idrico, la mancanza di un indotto locale e gli ostacoli frapposti dal mondo politico siciliano, trasformarono l'ambizioso progetto in uno sforzo economico e organizzativo colossale, che sarebbe poi risultato utile nell’esperienza ENI in Africa. l limite principale a un vasto progetto di sviluppo del centro sud rimanevano i modesti risultati minerari. Nel 1961 la percentuale dei pozzi sterili al di fuori dell'area di esclusiva si aggirava attorno all'86%, gli unici giacimenti di metano individuati erano Ferrandina, Gagliano (Catania) e San Salvo (in Abruzzo, in un’area precedentemente esplorata senza successo dalla Somicem), mentre l'unica rilevante scoperta di idrocarburi liquidi rimaneva Gela. Nel 1962 si iniziava a prevedere entro la fine del decennio l'esaurimento dei giacimenti settentrionali onshore. Solo dopo il 1967, con le scoperte offshore nel mare Adriatico, il trend di declino nella produzione di metano si rovesciò. L’ENI iniziò pertanto le trattative per una massiccia importazione di gas da Olanda, Algeria, Russia e Libia, che si concretizzarono nel 1965 con un contratto con la ESSO, che divenne operativo due anni dopo. Ancora alla fine degli anni ’50 il Parlamento italiano non aveva ancora definito chiaramente se l'ENI dovesse estendere le proprie attività a tutta la sfera dell'approvvigionamento energetico del paese, oppure se dovesse concentrare i suoi sforzi nel campo degli idrocarburi. Quest'ultima opzione avrebbe implicato forti investimenti per potenziare e differenziare l'upstream con la ricerca all'estero, ma anche un forte impegno nelle fasi a valle, con lo sviluppo della nuova chimica organica e nei servizi all'industria petrolifera, come l'impiantistica specializzata, la perforazione, la costruzione di pipeline, ecc. Per ripetere nel centro sud il successo del metano nella Valle padana, Mattei propose, anche su forti pressioni delle forze politiche, lo sfruttamento delle forze endogene, giustificata dalla presenza in Italia di Larderemo, facente capo alle Ferrovie dello stato. per cui nel 1952 venne creato il Reparto forze endogene affidato a Claudio Sommaruga, un vulcanologo, specializzazione molto diversa da quella usuale per i geologi del petrolio. Nel giugno 1953 l'ENI costituì insieme alla Finelettrica la Società Italiana Forze Endogene (SIFE), il cui obiettivo sarebbe stato l'individuazione e la valorizzazione di fonti di energia geotermica da ricercarsi principalmente nell'Italia meridionale. Uno dei primi passi fu l'acquisizione della Vulcano, una piccola società attiva nelle Eolie, ma l'obiettivo principale era di iniziare le ricerche in Toscana. L'operazione era vincolata da una scelta di tipo politico, e la sua approvazione venne subordinata all'intervento dell'ENI nella crisi

Page 22: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

del Pignone di Firenze, di proprietà della SNIA. Le pressioni su Mattei del sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, e i progetti ENI di raggiungere una parziale indipendenza per le forniture di impianti, spinsero l'ENI ad accettare di accollarsi l'onere del salvataggio, che non fu certo l’ultimo fatto su pressione dei politici. Per la forte opposizione delle Ferrovie dello Stato, il progetto di Larderello per l’ENI non andò mai in porto e, di fronte alla mancanza di risultati nelle ricerche, l'AGIP decise di far riconfluire le risorse destinate alle forze endogene nei progetti di ricerca di idrocarburi al centro sud. Il successivo tentativo di differenziazione energetica da parte dell'ENI fu la creazione dell'AGIP Nucleare, affidata all'AD Gino Martinoli, che si orientò verso il sistema tecnologico sviluppato in Gran Bretagna di un reattore a uranio naturale, moderato a grafite e raffreddato a gas, avviando un accordo di collaborazione con la Nuclear Power Plant Company (NPP) per i componenti e i servizi di ingegneria e con l'agenzia governativa United Kingdom Atomic Energy Authority per il controllo della sicurezza dell'impianto. Gli accordi con gli inglesi permisero di avviare nel luglio 1958 i lavori di costruzione di una centrale da 200 MW di potenza in prossimità di Latina. Il programma dell'ENI non riuscì a sottrarsi agli elementi di debolezza del sistema nazionale che porteranno al totale fallimento delle ambizioni nucleari dell'Italia, ben prima del referendum del 1987. In un promemoria preparato per Mattei nel settembre 1958 si riassumevano le linee essenziali della questione e si auspicava che diventasse compito dell'ENI trasformarsi nell'Ente Nazionale Energia, estendendo le proprie attività al settore elettrico attraverso l'assorbimento delle imprese di Finelettrica (SME, Terni Elettrica e minori) e della Larderello. L’opposizione dell’IRI, delle imprese elettriche, in seguito assorbite dall’ENEL, ed un insufficiente appoggio politico, portarono al fallimento delle iniziative di differenziazione energetica dell’ENI, almeno in questo periodo storico. Il reattore della centrale di Latina entrò in fase operativa il 27 dicembre 1962 e la produzione elettrica iniziò ai primi di maggio dell'anno successivo, quando ormai era già deciso il passaggio dell'impianto all'ENEL, istituito il 6 dicembre 1962, mentre l’AGIP Nucleare veniva sciolta ed assorbita dalla SNAM.

Le iniziative all’estero dell’AGIP: Somalia, Iran, Egitto, Marocco, Libia, Tunisia.

Sin dalla sua fondazione l’AGIP aveva avuto una spiccata vocazione internazionale, che tornò utile quando le prospettive di successo minerario in Italia incominciarono a declinare. Dalla primavera del 1947 Facca iniziò la revisione dei dati raccolti nell'Africa orientale durante le spedizioni coordinate da Migliorini, mentre nel corso del 1950 Zanmatti riallacciò i contatti personali con Migliorini, che aveva collaborato con l'americana Sinclair, nell'eventualità di un ritorno dell'AGIP in Africa orientale. I preparativi per una ripresa delle attività in Somalia erano già iniziati nel giugno del 1952, con la costituzione della Mineraria Somala, senza mettere, per motivi politici, direttamente in gioco il nome dell’ENI. La base scientifica sulla quale faceva affidamento la missione erano gli studi condotti prima della guerra e i dati ottenuti dalla Sinclair con un accordo di scambio di informazioni. La missione poteva contare su una buona disponibilità di mezzi moderni, tra cui un elicottero, di cui Facca andava particolarmente fiero. Dopo le prime ricognizioni geologiche, i lavori vennero proseguiti durante il 1954, con l'obiettivo di arrivare il più presto possibile all'ubicazione di un pozzo in una delle concessioni detenute dalla Mineraria Somala. Le speranze dell'AGIP furono però deluse nel giro di qualche anno; *** DA INSERIRE LAVORI SISMICI E GRAVIMETRICI E PERFORAZIONE AGIP nel corso del 1962, si iniziò a richiedere una riduzione dei permessi somali, fino ad arrivare a una completa rinuncia l'anno dopo. L’occasione per l’AGIP di entrare nell’area del Medio Oriente si presentò in seguito a una proposta formulata dalla compagnia di stato iraniana NIOC, che era alla ricerca di partner alternativi alle major, per aumentare il proprio potere contrattuale nei confronti del consorzio internazionale che controllava la maggior parte dell'industria petrolifera del paese. Il tramite con cui gli iraniani entrarono in contatto con l'ENI fu la società privata di raffinazione STOI di Firenze (4 milioni di ton/anno di capacità), che aveva acquistato del greggio durante il blocco contro l'Iran del 1951 - 54 e dal 1955 era in trattativa con la NIOC, desiderosa di avere uno sbocco stabile in Italia. La proposta della NIOC prevedeva la costituzione di una società al 50%

Page 23: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

con l’ENI, alla quale sarebbero stati assegnati permessi di ricerca al di fuori dell'area di competenza del Consorzio. La società mista avrebbe pagato al governo il 50% dei propri utili come royalty e il partner italiano avrebbe quindi avuto diritto al 25% dei profitti e del petrolio estratto. Già il giorno successivo alla proposta, Zanmatti iniziava i preparativi perché il governo iraniano richiedesse ufficialmente una visita di tecnici ENI, che sarebbe avvenuta nella forma più discreta possibile, facendola figurare come una missione della SAIP. Parteciparono alla missione Attilio Jacoboni per gli aspetti istituzionali, Carlo Sarti e Dante Jaboli per gli aspetti tecnici legati alla logistica dei lavori e alla geologia del paese, Salimbene Salimbeni per verificare la possibilità di una valorizzazione del metano estratto in Iran. La questione maggiormente delicata per l'ENI era la richiesta iraniana del pagamento di un cash bonus di 20 milioni di dollari, che avrebbe comportato problemi sia dal punto di vista degli equilibri finanziari che dell'accettazione politica dell'accordo da parte delle Partecipazioni Statali. I negoziati videro come protagonisti soprattutto Jacoboni, Sarti, ma anche Aldrighetti e l'avvocato Pietro Sette, ed ebbe un ruolo fondamentale l'ambasciatore italiano a Teheran, Renato Giardini.. L'interlocutore iraniano dell'ENI era Ahmed Maybud, uomo di fiducia dello Scià per le questioni petrolifere. Alla fine si arrivò ad un accordo in cui il cash bonus sarebbe stato sostituito da un impegno degli italiani a sobbarcarsi interamente le spese di ricerca fino all'accertamento dell'eventuale valore commerciale dei giacimenti ed al pagamento di una pingue provvigione del 3% a Maybud , che si era assunto l'impegno di far approvare l'accordo alla NIOC e al parlamento iraniano. Il Comitato dei Ministri per l'ENI fu informato delle trattative solo durante l'inverno 1956 e Mattei riuscì a superare le usuali pretese per un impegno esclusivo dell'ENI sul solo territorio nazionale facendo leva soprattutto sul modesto onere che veniva richiesto per aggiudicarsi le concessioni. Ricevuta l'autorizzazione dal governo, Mattei si recò a Teheran per firmare, il 14 marzo 1957, un accordo che prevedeva la creazione della una società mista tra NIOC e AGIP, la SIRIP. Nella nuova società, il gruppo italiano sarebbe stato rappresentato dall'AD e DG Carlo Sarti, mentre Presidente fu nominato Fathollah Naficy, Exploration Director della NIOC. Ci vollero molti mesi per ottenere l’approvazione del Parlamento iraniano; Mattei, Jacoboni e Giardini, furono personalmente coinvolti in un lentissimo lavorio all'interno del notabilato iraniano per ottenere l'approvazione della legge che avrebbe reso operativa la SIRIP. L'accordo iraniano fu la prima occasione che provocò un aperto contrasto con alcuni dei maggiori operatori internazionali del settore, una situazione destinata a ripetersi anche per altre iniziative del gruppo di Mattei negli anni 1958 – 62. L'occasione per uno sblocco venne trovato solo nel giugno 1957 grazie a un incontro diretto tra Mattei e lo Scià durante la sua visita in Italia, firmando l'accordo definitivo il 3 agosto 1957. Il permesso più promettente era situato in un'area al largo di Bandar e Bushehr, su cui il Kuwait avanzava delle rivendicazioni, e richiedeva che l'azienda si dotasse di competenze per le perforazioni offshore, finora mai eseguite dalle aziende dell'ENI. Anche i due permessi a terra presentavano condizioni ambientali proibitive: l'area assegnata nella regione montuosa degli Zagros, a quasi 3000 metri di altitudine, mentre il permesso nella regione del Mekran era invece all'estrema periferia del paese ed era privo di infrastrutture. Nonostante i problemi incontrati, i sondaggi esplorativi cominciarono in agosto 1959 nel permesso offshore con l'allestimento di una rudimentale piattaforma fissa, e due mesi dopo si iniziò a perforare anche il pozzo di Sequath 1, ubicato a ben 2700 metri di altitudine negli Zagros. Mentre i risultati sulla terraferma furono scarsissimi, i pozzi perforati in mare si rivelarono positivi e furono messi in produzione a partire dal settembre 1962. Nei mesi successivi l’ENI intraprese contatti con la Pan American International Oil Company, emanazione della società Standard Oil of Indiana, per uno scambio di dati e di partecipazioni anche al di fuori dell’IRAN, ma le trattative non arrivarono mai a buon fine. Un'altra esperienza interessante derivò dalle prime attività in Egitto, il cui sviluppo fu parallelo all'evoluzione della vicenda somala. Un primo esame delle possibilità petrolifere del paese può essere individuato in alcune relazioni di Jaboli del 1953. Alcuni giacimenti erano stati individuati in Egitto sin dai primi del Novecento e nel 1952 producevano quasi 45.000 barili al giorno; le ricerche erano riprese dopo la a seconda guerra mondiale, ma gli investitori stranieri avevano perso ogni interesse con l'entrata in vigore, nel 1948, di una nuova legge mineraria che

Page 24: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

impediva l'esportazione del greggio. Come conseguenza Standard Oil, Socony Vacuum e Shell avevano abbandonato le proprie concessioni, che erano state trasferite alla società statale National Oil of Egypt (NOE) e alla Coopérative Centrale de Pétroles d'Egypts (CCPE). Dopo il colpo di stato del luglio 1952, il governo egiziano iniziò a manifestare la volontà di riaprire le ricerche agli operatori internazionali, riformando nel 1953 il settore con una nuova legge mineraria. Jaboli e Selem approntarono nel dicembre 1953 un programma di ricognizioni geologiche e geofisiche indispensabili per valutare la convenienza dell'investimento, in un'area dove le conoscenze dell'AGIP erano quanto mai scarse. I primi contatti tra l'ENI e le autorità egiziane ci furono nel 1953, avendo la SNAM vinto l'appalto per la costruzione di un oleodotto che avrebbe collegato la raffineria di Suez con il Cairo, ma si rinforzarono progressivamente: nell'autunno di quell'anno Mattei incontrò a Roma il colonnello Mahmoud Younes, all'epoca sottosegretario del Commercio e dell'Industria, destinato a diventare consigliere tecnico di Nasser e a guidare numerose organizzazioni economiche di stato, ed in seguito lo stesso Nasser. Essendo le aree più promettenti già assegnate, l’AGIP sfruttò l’opportunità di un ampliamento del capitale sociale di una società già operante nel paese, l'International Egyptian Oil Company (IEOC), in cui la banca svizzera Hoffman deteneva la maggioranza ed esercitava il controllo del gruppo attraverso un patto di sindacato con la società petrolifera belga Petrofina. La IEOC aveva ottenuto nel 1953 alcune concessioni e sovrintendeva ai lavori nei cantieri del Sinai e della baia di Suez, detenendo 17 permessi rinunciati dalla Standard Oil New Jersey in cui erano stati individuati i giacimenti di Wadi Feiran e El Bilaiyim, in grado di dare una produzione di circa 800.000 tonnellate annue, e 122 nuove aree da esplorare. Le necessità di nuovi investimenti per sviluppare i due giacimenti ed avviare i lavori nelle zone ancora inesplorate, spinsero il gruppo svizzero e la Petrofina ad avviare trattative con l'ENI per un suo ingresso nella combinazione con l'apporto di capitali freschi. Il 21 febbraio 1955 Mattei presentava le linee dell'accordo, che prevedeva l’ingresso della SAIP con il 20,32% pagando 3,06 milioni di dollari, al Comitato dei Ministri per l'ENI (Bruno Villabruna, Roberto Tremelloni Silvio Gava). L’investimento sarebbe stato rapidamente ammortizzato con il pagamento dei lavori che la SAIP avrebbe svolto come contrattista di perforazione per conto dell'IEOC. Il Comitato pose molti vincoli all’accordo, tanto che Mattei fu costretto a coinvolgere la Pibigas come prestanome dell’AGIP nell’accordo, firmato nel marzo 1955, almeno per una parte delle azioni. L'AGIP si pose subito in una posizione di forza all'interno della società: grazie alle azioni controllate attraverso la Pibigas il gruppo italiano deteneva circa il 24% del capitale dell'IEOC, mentre vennero avviati accordi con la Petrofina per un incremento della quota ENI in occasione dell'aumento di capitale già deciso per la fine dell'anno. Già nel maggio 1955, durante una seduta del comitato esecutivo dell'IEOC al quale l’ENI era rappresentata da Carlo Zanmatti e Attilio Jacoboni, scelto da Mattei come il suo plenipotenziario per l'estero, venne proposta la modifica del contratto di perforazione con la Southern California e una progressiva sostituzione dei tecnici statunitensi con italiani o belgi, che avrebbero iniziato a lavorare in squadre miste insieme agli americani, in modo da facilitare il passaggio delle consegne negli anni successivi. Era prevista anche l’uscita degli azionisti svizzeri e un nuovo patto tra SAIP e Petrofina per il controllo paritario del gruppo. Tuttavia nel maggio del 1956 appartenevano al gruppo belga il direttore generale, il direttore amministrativo e il direttore tecnico della IEOC, mentre al gruppo ENI era riservata esclusivamente la direzione delle ricerche. La nazionalizzazione e la successiva guerra di Suez dell'estate 1956, portarono all'esproprio degli investimenti britannici e francesi e a un allontanamento dell'Egitto dal blocco occidentale: il governo abbandonò l'orientamento centrato sulla crescita del settore privato per una politica di intervento diretto dello Stato in favore dello sviluppo industriale del paese. L’ufficializzazione dell’accordo avvenne il 16 settembre 1957 con la creazione della Compagnie Orientale des Pétroles d'Egypte (COPE) con il 51% IEOC e la quota residua dei due enti statali egiziani Coopérative des Pétroles e Petroleum General Authority. L’accordo prevedeva che la COPE sostituisse la IEOC nell'esercizio di tutte le attività svolte sui permessi ottenuti dallo Stato egiziano nel 1952 – 53 con l’uscita delle società americane e inglesi. Su sette Consiglieri tre sarebbero stati egiziani, Mahmoud Younes, Ahmed Fathi Rizk, Ibrahim Mohamed Zaki), due italiani, Attilio Jacoboni e Renzo Cola, e due belgi E. Demeure de Lespaul e Emmanuel

Page 25: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

Boavaisin. Il petrolio egiziano iniziò ad arrivare in Italia già nel corso del 1957, ma è solo tre anni dopo, con l'inizio delle operazioni offshore di Belaym, che divenne possibile individuare, impiegando la piattaforma Scarabeo, che aveva perforato il pozzo Gela 21, consistenti giacimenti. Il controllo governativo sull'economia venne ulteriormente accentuato a partire dal 1960 - 61 attraverso una nuova ondata di nazionalizzazioni gestite dalla Economic Organization, creata nel gennaio 1957, di cui faceva parte anche l'ente petrolifero di stato egiziano Petroleum General Authority, dal 1958 Egyptian General Petroleum Company EGPC). La capacità dell'ENI di stabilire una stretta relazione con le autorità egiziane fu evidente con l'acutizzarsi della crisi congolese, nonché il crescente radicalismo delle posizioni anticoloniali di Nasser, che portò all'estromissione del capitale belga dall'IEOC. Per l'eni i provvedimenti egiziani comportarono l'acquisto della totalità del capitale dell'IEOC, secondo i termini stabiliti tra Mattei e l'AD di Petrofina, Laurent B.Wolters il 14 febbraio 1961. Dopo il riassetto azionario dell'IEOC vennero rivisti anche gli equilibri interni alla COPE, nella quale si passò a una partecipazione paritetica del capitale italiano ed egiziano. L'accordo fu la premessa per nuove intese che rafforzarono la presenza dell'ENI nel paese attraverso la collaborazione del gruppo al secondo piano quinquennale egiziano e la concessione di nuove aree di ricerca, tra cui la zona del Delta del Nilo dove venne individuato, già nel 1963, il giacimento di gas di Abu Madi. Il maggiore individuato allora in Egitto. L'evoluzione della situazione politica del Maghreb apriva nuove possibilità per l'ENI anche in Tunisia e Marocco, dopo la fine del protettorato francese nel 1956,. Nel corso del 1958, un contratto simile a quello iraniano, venne offerto al Marocco, con la creazione della SOMIP, e un'intesa analoga fu raggiunta con la Tunisia due anni dopo (SITEP). La creazione di una testa di ponte in Tunisia permetteva anche di studiare più da vicino la situazione della confinante Algeria, sia da un punto di vista geologico che per gli aspetti politici). Mentre in Marocco le ricerche si dimostrarono del tutto infruttuose e furono sospese del tutto nel 1967, in Tunisia si ottennero risultati molto significativi nel 1964, con l'individuazione del giacimento di El Borma, che rese la Tunisia, nel triennio successivo, la principale zona di produzione di greggio del gruppo. Come nel caso dell'Egitto, l'ENI riuscì a ritagliarsi un posto di primo piano nella politica energetica dei due paesi, estendendo la collaborazione dal ramo minerario al downstream e a un vasto raggio di attività collegate. Con la costruzione di due raffinerie, Mohammedia in Marocco e Biserta in Tunisia, attraverso le società miste SAMIR e STIR, veniva adottata una strategia di aumento delle capacità di lavorazione all'estero che sarà seguita con particolare decisione negli anni successivi, specialmente nei paesi africani. Si trattava di una politica molto aggressiva nei confronti dei concorrenti internazionali, in quanto poteva essere il complemento per accordi in campo minerario e spesso saturava il mercato locale, escludendo dal paese tutti i prodotti concorrenti. La strategia dell'eni era particolarmente adatta alla penetrazione nei paesi in via di sviluppo e faceva di solito parte di un più ampio progetto di cooperazione ai loro programmi di sviluppo, instaurando rapporti di fiducia con le élite locali, di assorbire la produzione del Pignone e di valorizzare le competenze che il gruppo aveva accumulato in ambito ingegneristico. Anche il ritorno in Libia, dove l'AGIP aveva svolto una limitata attività geologica prima della guerra, avvenne secondo lo spirito di quella che è stata definita la “formula Mattei”. La Libia era tornata una monarchia indipendente, sotto Mohammed Idris es-Senusi, nel dicembre 1951, e, alla fine del 1956, un'ambigua intesa italo - libica aveva riconosciuto alla Libia la proprietà dei beni italiani in Libia in cambio del pagamento di 5 miliardi di Lit ma restavano irrisolte la questione dei danni di guerra e dei crimini commessi dagli italiani durante il regime coloniale. Le relazioni dell’ENI con la ex colonia vennero riallacciate attraverso degli accordi per la ripresa delle attività commerciali (MANCANO DETTAGLI) nel 1957; l'attività mineraria iniziò due anni dopo e venne affidata alla Compagnia Ricerca Idrocarburi (CORI), società costituita a hoc dall'AGIP Mineraria, di cui venne offerto al governo locale la possibilità di una partecipazione paritetica, non accettata, per cui la CORI rimase al 100% italiana. A seguito dell'approvazione nel 1955 di una legge mineraria estremamente favorevole alle nuove ricerche, la Libia era già qualche anno al centro degli interessi di molte compagnie petrolifere, in prevalenza

Page 26: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

americane, come la Standard of Indiana), Shell, Gulf e Standard Oil N.J. che individuò nel giugno del 1959 un importante giacimento nella regione di Zelten, un'area che era stata interessata dagli studi di Desio prima della guerra. Entrando in un contesto così affollato e competitivo, la CORI incontrò numerose difficoltà nell'ottenere i permessi sperati, mentre i problemi tecnici della ricerca in un'area geologicamente e logisticamente difficile portarono a risultati molto differiti nel tempo: gli studi preliminari si protrassero fino al 1962, anno nel quale cominciarono, con scarsi risultati, i primi sondaggi. Nel 1970, dopo a presa del potere da parte di Muammar Gheddafi, la CORI riuscì a conservare i propri investimenti, nonostante i provvedimenti di espulsione della comunità italiana adottati dal nuovo regime e negli anni successivi la Libia divenne una delle principali aree di produzione del gruppo ENI, grazie al giacimento di Bu Attifel in una concessione rilasciata dalla BP, e la collaborazione venne estesa anche alla raffinazione e all'impiantistica (MANCANO FETTAGLI). Altre iniziative intraprese durante la presidenza Mattei furono l'inizio delle ricerche in Sudan nel 1959, dove si sperava di ritrovare delle analogie con le zone produttive del Mar Rosso, e alcuni accordi con la Nigeria nel 1961. Al momento della morte di Mattei, tuttavia, i lavori nei due stati africani erano appena iniziati: in Nigeria si ottennero risultati positivi nel 1965, mentre in Sudan le ricerche vennero sospese nel 1964. L’ampliamento delle zone di approvvigionamento di greggio faceva parte della strategia di Mattei, ed avrebbe portato dopo la sua morte all’estensione delle ricerche anche in Algeria e nel Mare del Nord, oltre che in altri paesi del Medio Oriente (Iraq e Arabia Saudita), in Asia (India, Pakistan e Cina) e Sud America. A seguito dello sviluppo delle attività diversificate del gruppo e la sua specializzazione nella perforazione, nel 1958 il neopresidente della repubblica argentina Arturo Frondizi aveva proposto a Mattei una collaborazione dell’AGIP con la Yacimientos Petroliferos Fiscales (YPF), che venne avviata nel 1959 con un contratto per la perforazione di 300 pozzi con il quale la Saipem veniva per la prima volta chiamata ad operare al di fuori delle esigenze del ramo minerario del gruppo.

La creazione della struttura organizzativa dell’ENI.

Lo sviluppo internazionale dell'ENI, sia in termini di produzione che di servizi a terzi, arrivò a dare risultati rilevanti solo dopo la morte di Mattei, quando cioè gli investimenti avviati dal fondatore dell'ENI, che nel campo degli idrocarburi richiedono lunghi tempi di ritorno economico, superarono la costosa fase di avvio e poté essere valutata la loro effettiva convenienza economica. Il problema di un attività più complessa e diversificata non implicava solo il reperimento di risorse, ma anche la creazione di una struttura in grado di programmare i flussi di investimento, le attività e di strategie adeguate ad affrontare le nuove realtà nelle quali l'impresa si sarebbe trovata ad operare. La trasformazione dell'ENI in un operatore internazionale avrebbe quindi richiesto un'evoluzione dell'intera cultura del gruppo, radicata in modo molto forte nella dimensione operativa che era stata alla base dei successi nella Pianura Padana. Al momento della sua creazione, l'ENI era poco di più che una segreteria di Mattei, allargata con alcune unità di staff. Alcune di queste funzioni di supporto alle decisioni strategiche erano già state create nell'AGIP: ad esempio nel luglio 1952 venne istituita, allo stesso livello gerarchico della Direzione mineraria e di quella Commerciale, una Direzione degli studi e delle statistiche, affidata a Mattei, coadiuvato dal professor Luigi Faleschini, assistente di Boldrini all'Università cattolica di Milano. Comportò inoltre lo spostamento di alcuni uffici in precedenza facenti parte dell'AGIP, ad esempio l'Ufficio legale, o il raddoppio di alcune mansioni che continuavano a essere svolte in modo trasversale tra le diverse società del gruppo: ad esempio il capo del personale dell'AGIP SpA, dell'AGIP Mineraria e il responsabile dell'ufficio ispettivo del personale del gruppo ENI fossero la stessa persona, Vittorio Palombo, uomo di stretta fiducia di Mattei. La Direzione amministrativa veniva affidata al professor Angelo Aldrighetti, mentre una novità rispetto agli organigrammi dell'AGIP SpA fu l'ingresso formale nel 1955 di Eugenio Cefis, amico ed ex socio di Mattei durante la guerra, a cui venne affidato l'Ufficio coordinamento approvvigionamento del gruppo. Cefis non si considerò mai un dipendente dell'ENI e non

Page 27: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

sopportava le etichette formali che gli venivano imposte dagli organigrammi, ed usò più volte le dimissioni come strumento per segnalare il proprio dissenso con altri dirigenti, ma senza mai interrompere la collaborazione con Mattei, basata essenzialmente su un rapporto personale. Il personale dell'ENI venne in gran parte trasferito dalle altre società operative del gruppo, dalle quali rimase ufficialmente dipendente fino al 1954, quando si procedette al loro inserimento ufficiale nell'organico ENI. L'Ente rimase comunque una struttura leggerissima, che rendeva inevitabile un diretto e costante coinvolgimento di Mattei e di alcuni suoi stretti collaboratori nella quotidiana gestione delle capogruppo settoriali, delle quali Mattei era sempre Presidente; una notevole eccezione era l'AGIP Commerciale, presieduta da Boldrini, di cui Mattei era AD, dividendo le proprie giornate tra la sede dell'ENI e i vecchi uffici di via del Tritone. Il coordinamento tra le capogruppo era assicurato dal fatto che ciascuna di esse era affidata a un dirigente che godeva della completa fiducia Mattei: Cefis era AD dell'ANIC, Raffaele Girotti della SNAM e Carlo Zanmatti dell'AGIP Mineraria; inoltre i tre dirigenti più vicini a Mattei comparivano a vario titolo (da Vicepresidente a Consigliere) in tutte le società del gruppo, affiancati da tecnici specialisti dei vari ambiti, come Angelo Fornara per la chimica o Egidio Egidi per le perforazioni. Gli organigrammi pertanto corrispondevano alla realtà operativa o ignoravano addirittura i compiti affidati agli uomini più vicini a Mattei, come nel caso di Pietro Sette, avvocato di fiducia di Mattei e consulente del gruppo per le vicende legali e amministrative più delicate, e Attilio Jacoboni, che operò come “ministro degli esteri” dell'ENI in tutti i contratti più importanti. Nel suo primo anno di vita la società holding fu costantemente occupata nella riorganizzazione delle competenze per rami omogenei di attività, trasferendo asset tra le società operative e dagli organismi statali disciolti a queste ultime, cercando di risolvere, senza riuscirci completamente, un’intricata rete di competenze sovrapposte, in particolare per l’AGIP Mineraria che si era espansa per gemmazione di nuovi ruoli per poter seguire rapidamente l’espansione del mercato del metano; nel 1958 l'età media dei dirigenti della Mineraria era 40 anni e solo alcuni dei livelli più alti della gerarchia risultavano attorno ai 60. Il processo di crescita investiva il gruppo a tutti i livelli: già dal 1954 la sede dell'ENI era insufficiente e si avviarono le pratiche per l'acquisto di un nuovo stabile in via Tevere, a breve distanza dalla precedente sede. Mattei, approfittò del cambiamento di sede per affidare alla Booz Allen & Hamilton (BAH) la riorganizzazione del gruppo per rispondere alle nuove esigenze di internazionalizzazione ed integrazione strategica delle società controllate. La BAH si installò negli uffici ENI, operando come un organo interno attraverso un'unità nuova, il Servizio tecnica direzionale (TEDI), con proprio ufficio centrale nella nuova sede della capogruppo di via Tevere, e un corrispettivo in ognuna delle società operative (progressivamente affidato a personale italiano, appositamente addestrato o reclutato dall'esterno). I consulenti della BAH operarono lungo tre linee di intervento principali, tra loro strettamente correlate: la ridefinizione degli organigrammi delle società del gruppo, i corsi di formazione per i quadri e l'implementazione di un nuovo sistema di valutazione delle posizioni (e quindi di adeguamento delle retribuzioni). La nuova struttura della capogruppo entrò in vigore nell'aprile del 1957 e venne presentata come l'applicazione concreta delle nuove teorie americane: l'organigramma della capogruppo diventava più complesso, differenziandosi dalle strutture ereditate dall'AGIP SpA, ma fondamentalmente non perdeva il suo carattere di segreteria allargata del Presidente. Un elemento di novità introdotto dagli americani era però il riconoscimento del ruolo di Cefis come braccio destro di Mattei attraverso l'istituzione della figura del vicedirettore generale, anello di congiunzione tra la sfera operativa delle società del gruppo e quella della definizione delle strategie generali, attribuita al solo Presidente, coadiuvato dalle unità di staff che dipendevano direttamente da lui. L'utilizzo dei Consulenti per creare un’immagine di delega delle funzioni, lasciando però una conduzione molto centralizzata e poco rispettosa delle funzioni e responsabilità descritte dagli organigrammi, resterà una prassi del gruppo anche nel futuro. Negli anni successivi, l'implementazione della job evaluation ebbe un ruolo importante all'interno dell'evoluzione dei rapporti tra l'ENI e i sindacati; nel 1957 era infatti nata l'Associazione sindacale delle aziende ENI (ASAP) che avrebbe rappresentato le società del

Page 28: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

gruppo nelle contrattazioni sindacali. L'eni rifiutava per la sua specificità sia l'adesione a Confindustria, sia una partecipazione all'Intersind, l'organizzazione delle imprese dell'IRI. All’interno del gruppo la job evaluation ebbe più o meno lo stesso scarso successo dell’operazione BAH, creando più malumori che effettivi miglioramenti organizzativi. Il contributo più importante della riorganizzazione BAH fu di rendere evidente la necessità di formazione di dirigenti e quadri, generalmente formati sul campo, per approfondire le oro conoscenze manageriali. Venne dapprima fondata una scuola a San Donato, l’Istituto direzionale e tecnico eni (IDET) gestita dai consulenti americani, con la collaborazione di alcuni assistenti italiani, che presto si rivelò un fallimento, pretendendo di applicare una mentalità americana a persone formate in un ambiente completamente diverso. Dal 1956 funzionava a San Donato un centro di formazione e di addestramento professionale per i dipendenti e la Scuola di alti studi sugli idrocarburi (dall'ottobre 1957 Scuola di studi superiori sugli idrocarburi). Accanto all'IDET si veniva così a creare, in pratica, un'esperienza formativa in qualche modo alternativa al modello di riferimento delle business school americane, entro il quale si realizzava una più stretta correlazione con l'ambito operativo dell'ENI e la realtà italiana. La IDET venne chiusa nel 1964, dopo la morte di Mattei. L’operazione di facciata BAH portò nel luglio 1959, ad adottare il modello delle grandi corporation multinazionali nella scelta di riorganizzare la rete degli Uffici centrali del gruppo in una in un nuovo stabile nel quartiere EUR, simile al centro direzionale di Metanopoli, a San Donato Milanese, costruito a partire dal 1953, ma le scelte architettoniche adottate nella realizzazione della nuova cittadella del petrolio nel quartiere Eur di Roma risentirono anche del modello d'oltreoceano. Entro il 1956 l'ENI si era ingrandita attraverso l'assunzione di nuovi dirigenti e il ricorso a consulenti esterni: la capogruppo, che nel 1954 aveva appena 12 dirigenti, ne occupava ora 23, ma nello stesso periodo la Mineraria passò da 24 a 34 dirigenti e la Commerciale da 38 a 40. Nello stesso periodo l’ENI vide la scomparsa dei suoi sponsor politici, in particolare Vanoni e De Gasperi, trovandosi indebolita nel momento in cui erano in discussione in Parlamento importanti temi di rilevanza enorme per l'eni, come la creazione del Ministero delle partecipazioni statali nel 1956, la nuova legge mineraria del 1957, il dibattito sulla nazionalizzazione dell'industria elettrica. Mattei, pur godendo sempre dell'appoggio degli ambienti cattolici, dovette assumersi in prima persona il peso di imprenditore politico per orientare il complesso gioco delle correnti democristiane e delle forze politiche esterne al partito di maggioranza a favore dell'azienda petrolifera di Stato, migliorando anche la propria capacità di rapportarsi con l'opinione pubblica sviluppando forme di comunicazione originali o perlomeno inedite in Italia, ad esempio iniziando la pubblicazione nel 1956 dei primi numeri di “Stampa e oro nero”, una sorta di rassegna stampa di quanto scritto contro l'ente di Stato, puntando a ridicolizzare gli avversari. Al momento in cui la strategia dell'ENI portava le società del gruppo ad impegnarsi contemporaneamente nella ricerca mineraria in Italia e all'estero, nella petrolchimica, in ambito elettrico e ad ampliare tutte le iniziative già avviate, i rapporti con il mondo della grande stampa italiana si raffreddarono progressivamente, per cui l'ENI doveva quindi trovare uno spazio autonomo per esprimersi. Questa esigenza fu alla base dell'incontro tra Mattei e i progetti del giornalista Gaetano Badacci e dell'editore Cino del Duca per creare un nuovo quotidiano che rompesse l'egemonia del Corriere della Sera: l'eni entrò in questo modo nel capitale azionario de “Il Giorno” che iniziò le proprie pubblicazioni il 21 aprile 1956 diventando ben presto una sorta di organo ufficiale dell'ente petrolifero di Stato. Mattei utilizzò anche il cinema, che rappresentava il più efficace mezzo per raggiungere il grande pubblico con un messaggio di immediata comprensione per la produzione di film industriali come ad esempio “Il gigante di Ravenna”. L'agip offrì nel 1951 un contributo di 1,5 milioni di lire all'Istituto Luce per la realizzazione di un documentario sul petrolio da presentarsi all'interno della Giornata della scienza, promossa dal CNR all'interno della Fiera di Milano. Dopo questo primo film, l'istituto cinematografico si offrì di documentare il lavoro dell'azienda petrolifera di Stato, e dalla collaborazione nacque il documentario “Le vie del metano”, diretto da Ubaldo Magnaghi, ed in seguito di altri protagonisti del cinema italiano come Paolo ed Emilio Taviani ed Bernardo Bertolucci. Per estendere la conoscenza dell’AGIP nell'ambito del metano come un primato

Page 29: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

europeo, venne organizzato dal 30 settembre al 3 ottobre 1957 a Milano, un convegno dedicato ai giacimenti gassiferi dell'Europa occidentale: in esso Jaboli e Rocco presentarono alla comunità scientifica internazionale la storia delle ricerche nella Valle padana e accreditava l'AGIP Mineraria come un importante operatore internazionale. A metà del 1957 maturò la pubblicazione di un'Enciclopedia del petrolio e del gas naturale, in dieci volumi, un'opera ambiziosa, che mirava a contribuire a colmare la lacuna di cultura petrolifera che caratterizzava l'Italia a livello tecnico, politico ed economico: l'eni si presentava come l'unico centro di raccolta e di elaborazione di conoscenze in tale ambito, molto spesso nella totale indifferenza o incomprensione del contesto italiano. Già a partire dal 1954 le relazioni allegate ai bilanci dell'Ente avevano iniziato a trasformarsi in veri e propri saggi sui mercati energetici internazionali, in modo da rendere chiaro il contesto in cui si svolgeva l'azione dell'eni. Dal 1957 venne ulteriormente potenziata la Direzione delle Ricerche economiche e delle Relazioni pubbliche, da cui ebbe origine nel 1959, a supporto dei piani strategici dell'azienda, il Servizio per gli Studi di pianificazione economica dell'ENI, in seguito Servizio studi ENI, affidato a Giorgio Fuà (Faleschini continuò a operare come consigliere personale di Mattei), e successivamente dal 1960 a Giorgio Ruffolo. Dalla seconda metà degli anni cinquanta si trovarono a lavorare nel Servizio studi dell'ENI molti giovani intellettuali, Sabino Cassese, Luigi Spaventa, Giorgio Ruffolo, Franco Briatico e Marcello Colitti, ai quali l’ENI offriva l'occasione di confrontarsi con le problematiche dello sviluppo di un settore multinazionale, del rinnovamento delle pratiche organizzative della grande impresa e del ruolo crescente dell'impresa pubblica nell'economia italiana. Con i “ragazzi di Fuà” entrava nel'ENI una componente radicalmente diversa sia dai retaggi dell’AGIP Commerciale prebellica, sia dal mondo degli specialisti minerari formatisi nella Pianura padana. Il rapporto tra i veterani e le nuove reclute, provenienti da un contesto ben diverso dal mondo del metano padano, non fu sempre facile, ma venivano mediati attraverso la figura di Mattei. La sua morte porterà progressivamente a uno scontro insanabile tra i due gruppi, con un sostanziale prevalere della comunità meglio consolidata nella realtà operativa. Per migliorare i rapporti con il mondo del petrolio nordamericano, nel giugno del 1955 l'eni deliberava la creazione di un proprio Ufficio di corrispondenza a New York, affidato a Mario Ferraris, affiancato a The Italian Economic Corporation (TIEC) della BNL, con l'incarico di curare i rapporti con enti e ditte americane, raccogliere informazioni di carattere finanziario, economico e tecnico, effettuare ricerche di mercato ed assistere le società del gruppo nello svolgimento di trattative negli Usa.

La riorganizzazione del downstream AGIP.

A metà degli anni ’50 per l’ENI restava ancora da risolvere il problema del profitto nel downstream, storicamente nullo o negativo. Il problema era aggravato dal fatto che il mercato italiano assorbisse una forte quota di fuel oil, usato da industria e privati in sostituzione del carbone, mentre i carburanti trovavano difficili sbocchi per i ritardi nella motorizzazione italiana. Il margine d raffinazione sul fuel oil era minimo o nullo, mentre era buono quello sui carburanti, difficili da smerciare in proporzione alla resa dei greggi trattati. La raffinazione dei derivati del petrolio prevede infatti che dallo stesso greggio siano ricavati contemporaneamente più prodotti congiunti, ognuno dei quali deve trovare una collocazione economica, non la semplice eliminazione di scorie come avviene nel caso di altri minerali. Sin dalla ripresa in Italia dell'industria della raffinazione all'inizio degli anni ’50, il nostro paese era considerato dalle multinazionali del petrolio come un'utile base per la lavorazione dei greggi provenienti dal Medio Oriente, i cui derivati più remunerativi sarebbero stati destinati ai mercati dell'Europa centro settentrionale, mentre il consumo locale avrebbe assorbito i prodotti con margini più contenuti (fuel oil). L'AGIP Commerciale, che al contrario dei concorrenti non aveva accesso a fonti della capogruppo ENI, si mosse verso l'internazionalizzazione solo all'inizio degli anni ’60, scegliendo due strategie diverse: da una parte si cercò la penetrazione nei più evoluti mercati dell'Europa centro settentrionale, forti consumatori di carburanti, dall'altro si associò alle iniziative minerarie del gruppo nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa.

Page 30: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

Rientrava nel primo caso l'ampio progetto di penetrazione nei mercati svizzero e tedesco attraverso la costituzione del Central European Line (CEL), un oleodotto con capacità di trasporto di 4_5 milioni di tonnellate annue tra greggio e prodotti, che avrebbe trasportato il greggio proveniente dall'Egitto e da Gela verso una raffineria nel cantone svizzero del Valais e a un impianto a Ingolstadt, in Baviera. La rete di distribuzione da realizzarsi nei due paesi si sarebbe quindi appoggiata sia su prodotti importati dall'Italia, sia su una produzione locale ricavata da greggio fornito dall'eni. Nel febbraio 1959 Mattei informava la Giunta dell'ENI della costituzione di una società con un gruppo finanziario svizzero (Société Financière Italo -Suisse) che avrebbero avuto per scopo la realizzazione della rete di oleodotti in partenza da Genova. Nel corso del 1960 venne proposta la costituzione di una società di distribuzione in Gran Bretagna, operazione alla quale era collegata la fornitura di 300.000 tonnellate annue di benzina di prima distillazione a un'importante operatore petrolchimico britannico. Un parziale riequilibrio del mercato venne ottenuto dalla petrolchimica ANIC, che poteva assorbire alcune delle frazioni leggere della raffinazione per ricavarne olefine e aromatici piuttosto che benzine. A questo punto il recupero di redditività nel settore della vendita dei prodotti liquidi rimaneva legato all'approvvigionamento di greggio a basso costo, in primo luogo dando alle attività minerarie ENI una nuova dimensione internazionale in competizione diretta con i maggiori operatori stranieri sfruttando le smagliature del sistema a proprio vantaggio e destabilizzando le posizioni consolidate delle Mayor americane ed inglesi. Nel momento del massimo sforzo espansivo delle attività all'estero, l'ENI si trovava in una situazione di carenza di fonti di approvvigionamento a condizioni convenienti, per cui bisognava trovare alternativa, che venne offerta dall'aggressiva politica di penetrazione dei mercati occidentali da parte dell'Unione sovietica e con una ridefinizione dei rapporti con la Standard of New Jersey. Negli anni sessanta, l’URSS era il secondo produttore al mondo dopo il Venezuela, detenendo le più vaste riserve accertate, dopo il Medio Oriente. Con il varo del piano settennale 1959-1965, l'Unione Sovietica avviava una completa ristrutturazione della propria industria petrolifera, che avrebbe modernizzato tutte le fasi della produzione e permesso un notevole aumento delle esportazioni di idrocarburi. L'Italia, e in particolare l'AGIP, avevano tradizionalmente avuto un forte legame con l'industria petrolifera russa: il controllo sui giacimenti del Caspio era stata l'araba fenice dei trattati di pace dopo la prima guerra mondiale, ed il sindacato sovietico per i prodotti petroliferi era stato il fornitore esclusivo dell'Agip dalla sua fondazione fino alla metà degli anni ’30. Negli anni ’20 e ’30 la dipendenza dell'industria petrolifera dello stato fascista da un paese comunista era una questione nota solo agli addetti a lavori, ma nel nuovo contesto della guerra fredda la ripresa dei contatti con l'Unione sovietica da parte dell'ENI e di altre imprese italiane diventava un problema di geopolitica. Nel gennaio 1958 entrarono in vigore nuovi protocolli commerciali tra i due paesi e il miglioramento delle relazioni diplomatiche aveva suscitato un notevole interesse tra gli imprenditori italiani, ma l’ostacolo maggiore era quello di trovare dei prodotti da importare per bilanciare l'esportazione delle merci italiane, secondo i meccanismi previsti dagli accordi commerciali. I contratti per le forniture di greggio all’ENI assumevano quindi un ruolo chiave in un quadro più ampio di relazioni commerciali e diplomatiche. A seguito di una visita di Mattei in URSS nel dicembre del 1958, una serie di incontri accuratamente programmati dall’Ambasciatore italiano in URSS Pietromarchi, l'ENI ottenne una prima fornitura di 15.000 tonnellate di greggio dal Soyuzneftexport ad un prezzo di 1,90 dollari al barile), un livello assolutamente al di sotto dei 2,49 Dollari praticati per i greggi arabici e iracheni, che erano però di qualità migliore rispetto al petrolio offerto dai Russi. Nei primi mesi del 1959 Eugenio Cefis e Giuseppe Ratti, vennero inviati a Mosca per ottenere una fornitura di 800.000 tonnellate di greggio a un prezzo di 13,06 Dollari/Ton, ancora più conveniente di quello del contratto pilota a fronte dell’'acquisto da parte dei russi di un quantitativo di valore equivalente di gomma sintetica di produzione ANIC. I negoziatori del gruppo italiano trattarono l'affare con i massimi vertici del sindacato sovietico per l'esportazione, Eugeni Gurov, presidente del Soyuzneftexport), e A. J. Drobiazko, presidente del Raznoimport, incontrando la massima disponibilità a rifornire l'ENI di greggio, ma trovando fortissime resistenze nell'accettare come contropartita la gomma sintetica prodotta a Ravenna.

Page 31: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

L'accordo per le forniture di prodotti ANIC venne raggiunto, e le spedizioni di un quantitativo sperimentale di 8.000 tonnellate di gomma sintetica iniziarono nel gennaio 1959, ma pochi mesi dopo si manifestarono gravi problemi nelle fabbriche che avevano accettato di sperimentare l'Europrene, con incidenti ed emissioni di gas tossici. I sovietici rifiutarono la consulenza agli utilizzatori esperti ANIC per adattare gli impianti ed i sistemi di lavorazione della gomma sintetica, sconosciuti nelle fabbriche russe. Sovietica; nel luglio del 1959 Ratti riferiva a Cefis come l'intero accordo di fornitura di greggio contro gomma rischiasse di saltare. A fronte della richiesta russa di aumentare le quantità di greggio fornito all'ENI, il gruppo italiano rispondeva indicando come principio imprescindibile quello del bilanciamento delle importazioni con equivalenti esportazioni di prodotti ENI, come fertilizzanti ANIC, macchinari prodotti dal Pignone e impianti petrolchimici completi realizzati dalla SNAM Progetti. Dall'autunno del 1959 per il rinnovo degli accordi vennero fatte dall’ENI, in accordo con la Finsider, offerte di tubi in acciaio di grande diametro e altre attrezzature necessarie per la costruzione dei nuovi oleodotti che avrebbero collegato i giacimenti russi all'Europa orientale, raggiungendo un accordo preliminare per un contratto di fornitura per il 1960 di1 milione di tonnellate di greggio a 1,50 dollari al barile. L'applicazione del contratto si dimostrò molto difficile per le difficoltà di fornire ai sovietici i materiali richiesti, in particolare i tubi, e costrinse i negoziatori italiani (Ratti, Nicola Melodia, ANIC, Giulio Sacchi, Saipem) a un'interminabile trattativa, che trovò uno sbocco nell'ottobre del 1960.7 L'accordo, firmato a Mosca da Mattei durante la sua visita dell'11-14 ottobre 1960, prevedeva la fornitura di un oleodotto completo (macchinari e tubi) e di 50.000 tonnellate di gomma sintetica, contro un pagamento dilazionato tra il 1962 e il 1966, da effettuarsi in greggio (16-17 milioni di tonnellate in tutto, a un prezzo di 1,26 dollari al barile). L'intesa era stata possibile grazie al coinvolgimento della Finsider che avrebbe fornito i 240.000 Ton di tubi, ad un prezzo molto scontato, poiché la Finsider si trovava nella difficile posizione di dover negoziare una produzione ancora ipotetica, dato che avrebbe dovuto essere realizzata nel nuovo stabilimento di Taranto, ancora in fase di costruzione, adattando una tecnologia americana fino ad allora mai sperimentata in Italia. Per la prima volta dalla sua fondazione l'AGIP si trovò nella condizione di accedere a forniture di greggio a prezzi molto competitivi, e poté promuovere una riduzione dei prezzi di vendita, recepita tra il 1960 e il 1961 dal Governo con un ribasso dei prezzi massimi di listino, mettendo in difficoltà i concorrenti e rompendo così lo schema in cui era l'AGIP a dover subire passivamente le spinte al ribasso avviate dagli operatori integrati. La nuova fonte di approvvigionamento implicava anche un adattamento del sistema di raffinazione dell'AGIP in base alle caratteristiche del greggio russo, ricorrendo inizialmente alla raffineria RAISOM di Moratti, in attesa di disporre nel 1963 di una capacità di lavorazione di 11 milioni di tonnellate annue, grazie al completamento dell'impianto di Gela e alla realizzazione di una nuova raffineria in prossimità di Pavia (Sannazzaro de’ Burgondi). Il ricorso al petrolio russo offriva grandi possibilità di sviluppo ma implicava anche notevoli investimenti, mentre l'affidabilità dei sovietici come partner commerciali si dimostrò molto limitata. Già nel marzo 1960, il Servizio amministrativo dell'AGIP segnalava i gravi ritardi con i quali i russi fornivano i i documenti e i dati descrittivi dei carichi importati, indispensabili per completare le pratiche di importazione, e le specifiche inferiori a quelle stabiliti nei contratti. Costi maggiori al previsto era dovuti anche ai ritardi nel carico del greggio nel porto russo di Novorossisk per la disorganizzazione dello scalo e una deliberata discriminazione contro le navi che non battevano bandiera sovietica, portavano a tempi di carico che, nel giugno 1961, risultavano essere di circa 150 ore per nave, il doppio delle stallie previste dagli accordi vigenti; il quintuplo della sosta media delle navi ai terminali del Golfo Persico, con un conseguente ritardo sulle forniture programmate. L'insoddisfazione delle società operative dell'ENI era tale da spingere il Servizio programmazione raffinazione a richiedere di legare esplicitamente l'aumento dei quantitativi importati dall'URSS deliberato da Mattei a concrete garanzie di tutela degli standard qualitativi e dei tempi di consegna previsti. Ulteriore punto di frizione erano le vendite di greggio dell’URSS ai raffinatori privati italiani, che deprimevano i prezzi di un mercato dove i margini di profitto erano già irrisori, mentre l’ENI incontrava molte difficoltà ad esportare prodotti finiti in quantità sufficiente a bilanciare

Page 32: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

il valore delle importazioni di greggio russo. Un'operazione così problematica vedeva l’ENI e il suo Presidente bersaglio di una campagna stampa negativa pilotata dal Dipartimento di Stato americano, dalle Major petrolifere e dai produttori di petrolio e di carbone minacciati dall’ascesa dell’industria petrolifera sovietica in un periodo in cui la pressione concorrenziale sul mercato internazionale degli idrocarburi stava già aumentando e che le grande compagnie si trovarono a fronteggiare l'opposizione dei paesi produttori a un abbassamento dei prezzi pagati per il greggio. L’Italia era infatti il principale sbocco per il petrolio sovietico suscitando forti critiche, che vennero anche raccolte in un rapporto pubblicato nel 1962 dal National Petroleum Council, associazione che riuniva i principali operatori americani), discussi al Senato statunitense nel Giugno 1962. Erano sotto accusa anche i rapporti dell’ENI con l'Egitto, forte importatore di greggio sovietico, che si sospettava venisse smistato all’ENI, ma anche ai raffinatori privati italiani come ad esempio API e RAISOM, come produzione locale, raffinato in Italia acquisendo nazionalità comunitaria, per essere poi esportato evitando eventuali misure restrittive. Sul piano politico, nel corso del 1960, mentre si andava definendo il contratto per lo scambio di greggio contro tubi e materiali per oleodotti, si manifestarono tensioni sia all'interno della Nato che della CEE, dove era f dove era forte l'influenza degli interessi carboniferi dei paesi dell'Europa centrale. Nel dicembre 1960, la ESSO inviava a tutte le sue consociate una nota sui termini del contratto appena siglato dall'ENI con l’URSS in cui accusava la compagnia italiana di mettere a rischio la stabilità dell'intero mercato petrolifero internazionale. Nel 1961 il Servizio Studi dell'ENI elaborò una linea difensiva che doveva poi diventare quella del Governo italiano: in un appunto inviato dal Presidente del Consiglio Fanfani al Segretario Generale della NATO, Dirk Stikker, nell'ottobre 1961, si sottolineava come le preoccupazioni per il crescere dei volumi degli scambi con l'URSS fosse una dimostrazione che le preoccupazioni delle Major prevalevano su quelle relative alla sicurezza dell'Occidente. Si ricordava inoltre come l'ENI fosse stata costretta dai concorrenti a iniziare i negoziati con l'URSS, non essendole stato permesso di avviare ricerche in proprio nei paesi del Mediterraneo, mentre tutti i tentativi di accordo con operatori occidentali erano caduti nel vuoto. Nel corso del 1961 le tensioni con la Standard N.J. erano arrivate al punto tale che Mattei aveva intrapreso delle azioni legali per lo scioglimento della STANIC, denunciando i partner statunitensi per i danni economici che avrebbe arrecato all’ENI, ma già nel 1962 i rapporti tra le due imprese petrolifere erano migliorati notevolmente ed erano in discussione accordi per superare le precedenti ragioni di attrito e potenziare gli investimenti comuni. Un riavvicinamento con la ESSO iniziò nel corso del 1962 e portò al rientro delle iniziative giudiziarie avviate da Mattei e alla firma di una serie di accordi che garantivano all'ENI tra il 1963 e il 1966 una fornitura di 5,1 milioni di tonnellate di greggio, al prezzo di 11,47 dollari a tonnellata, confrontabile con quello del contratto sovietico a causa delle diverse specifiche dei greggi e della diversa quantità totale. Anche questo contratto era basato sul baratto con beni prodotti dall’ENI, in questo caso impianti e servizi di impiantistica, comprendenti anche la progettazione e la fase di start-up di complessi petrolchimici e pipeline. Si prevedevano inoltre precisi limiti di copertura e la possibilità di scissione del contratto da parte del partner insoddisfatto. L'accordo con la ESSO arrivò quindi alla sua scadenza naturale senza che nessuno dei soci mettesse in atto le previste clausole di rescissione e, anzi, nel corso del 1967 si iniziò a negoziarne il rinnovo. Nell'avviare una politica di distensione con i concorrenti nel corso del 1962, l'ENI poteva contare, sui buoni rapporti mantenuti con alcuni settori dell'industria petrolifera americana e l'appianamento dei rapporti con la ESSO fu possibile attraverso i contatti personali tra Mattei, Angelo Moratti e Vincenzo Cazzaniga, Presidente della SIAP. Il clima di tensione toccò quindi il suo apice tra il 1961 e il 1962, quando tutti i soggetti manifestarono maggiori aperture al dialogo e si mise lentamente in moto un processo di appianamento delle maggiori controversie. I contratti con l'URSS vennero tuttavia rinnovati nel corso del 1963, insieme agli accordi di costruzione di nuovi impianti petrolchimici in Unione sovietica, e l'importanza del petrolio russo per l'ENI iniziò a ridursi solo a partire dal 1965, quando iniziò lo sfruttamento dei giacimenti direttamente gestiti dall'ENI.

Page 33: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

La morte di Mattei e l’affidamento della gestione dell’ENI a Cefis.

Il riavvicinamento dell’ENI agli Stati Uniti era frutto di un atteggiamento di ammorbidimento delle relazioni con gli operatori stranieri che coinvolgeva in modo consistente l'apparato di relazioni pubbliche dell'ENI, favorendo forme di comunicazione meno aggressive, istituzionalizzato con la creazione nel 1962 dell'AGIP Usa Inc., affidata a Paolo Gamboni, che avrebbe curato i rapporti commerciali dell'ENI, ma avrebbe avuto anche la funzione di svolgere un servizio di relazioni pubbliche nei confronti del mondo economico e politico statunitense per espresso interessamento del Ministero degli Esteri italiano. Già nel marzo 1962 Gamboni riferiva a Ruffolo come esistesse un grande interesse negli ambienti politici di Washington per un incontro ad alto livello con esponenti dell'eni e come fosse necessario dare una risposta al bisogno di una più attenta strategia di comunicazione negli Usa, sia per migliore la comprensione delle attività dell'ENI, sia per agganciare relazioni ad altissimo livello. L'AGIP Usa si avvalse anche dei servizi professionali dell'esperta in relazioni pubbliche Tamara Aiello, e nel corso del 1962 si iniziò a preparare un viaggio di Mattei negli Usa, che sarebbe stato il culmine del cammino di disgelo tra l'ENI e gli Stati Uniti, con una sorta di riconoscimento ufficiale della statura internazionale dell'ente petrolifero italiano. La visita non ebbe mai luogo a causa della morte di Mattei il 27 ottobre 1962, a causa del sabotaggio dell’aereo sul quale si stava trasferendo da Gagliano a San Donato Milanese. La morte di Mattei coincideva con un periodo di forte tensione espansiva dell'ENI, che dovette affrontare una delle crisi più gravi della propria storia in un momento di debolezza e instabilità. L'identificazione dell'impresa con il leader e la mancanza di un percorso di passaggio generazionale approntato in precedenza, rendevano l'ENI vulnerabile, esponendola al rischio di finire sotto il controllo della classe politica, nei confronti della quale Mattei aveva sempre svolto un ruolo di ponte e di barriera, in modo da garantire all'ENI un adeguato livello di sostengo, ma anche una consistente autonomia. L'azienda iniziò immediatamente un'azione difensiva, in primo luogo occupando tutti i posti chiave con manager fidati provenienti dai propri ranghi, in modo da scongiurare il rischio di una colonizzazione politica: la nomina di Boldrini a Presidente era automatica, e sotto di lui vennero posti i due principali dirigenti del periodo matteiano, Cefis, richiamato all'ENI d'urgenza, divenne VP (ma in pratica Presidente operativo) e Girotti DG, una carica che non era mai esistita fino a quel momento, ma che andava a occupare possibili vuoti di potere. La scelta di Cefis di accettare la carica di VP, piuttosto che quella di Presidente, era forse dettata dalla sua personale avversione per l'eccessiva visibilità e dalla necessità di avere piena libertà di azione al di sotto della prestigiosa figura di rappresentanza di Boldrini. La risposta all'emergenza era quindi basata sul carisma personale di un dirigente e su un accentramento delle decisioni. Cefis iniziò a dotare l'ENI di un nuovo nucleo di competenze gestionali che, una volta superata la crisi, avrebbe potuto costituire la base per un modello di gestione più moderno per garantire tra il 1963 e il 1965 la sostenibilità finanziaria degli investimenti avviati nel periodo 1960-1962, che aveva visto un nuovo consistente incremento per l'estensione delle attività minerarie all'estero, nella penetrazione commerciale nell'Europa centro- settentrionale, nella realizzazione dell'oleodotto verso la Germania e nello sviluppo dei petrolchimici di Gela e Pisticci. All'inizio del 1962 il fabbisogno finanziario era stimato nell'ordine di 260 miliardi, di cui solo 60 potevano essere coperti dall'autofinanziamento. Alla rigidità del programma finanziario dell'ENI si aggiungeva la stretta creditizia imposta dalla Banca d'Italia nel 1963 e il graduale peggioramento delle condizioni economiche mondiali: in sostanza nessuna delle fonti di finanziamento usuali poteva garantire in maniera coerente la rapida espansione dell'impresa. L'elemento che destava più preoccupazione nel nuovo vertice era la totale inadeguatezza del capitale sociale costituito dal fondo di dotazione dell’ENI: a partire dal 1963 si moltiplicarono, anche nei documenti ufficiali, le richieste di una presa di responsabilità dell'azionista pubblico, in modo che lo sviluppo delle attività del gruppo fosse sostenuto da un parallelo aumento dei mezzi propri. I primi interventi di Cefis si orientarono a un immediato contenimento della spesa, con la riduzione dell'organico meno integrato nel core business petrolifero e il taglio di alcuni dei contratti di consulenza avviati da Mattei; economie vennero ricercate anche con un contenimento dei programmi di welfare aziendale e cercando di

Page 34: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

affittare alle agenzie dell'Onu che si stavano insediando a Roma alcuni dei piani del nuovo palazzo dell'EUR, rivelatosi sovradimensionato. Il contenimento della spesa non poteva comunque avere effetti se non fosse stato accompagnato anche da un aumento dei mezzi propri a livelli più coerenti con le necessità di investimento del gruppo. Nel settembre del 1964 il Parlamento deliberò di aumentare fondo di dotazione dell'ENI da 36,9 a 161,9 miliardi, diluito in più anni, mettendo a disposizione del gruppo le risorse indispensabili per evitare il blocco degli investimenti più urgenti. Attraverso questa misura e il contemporaneo taglio dei costi in alcune aree di investimento giudicate non prioritarie fu possibile migliorare il livello di copertura con mezzi propri, nonostante nuove consistenti emissioni di obbligazioni. L'azione di Cefis non si limitò al reperimento di risorse fresche per proseguire gli investimenti già deliberati, ma ebbe soprattutto il senso di una revisione di tutte le attività secondo un criterio di economicità e di taglio dei costi attraverso un’attenta selezione delle aree di business dove concentrare le energia del gruppo. Già nei primi mesi della nuova gestione, il servizio di tecnica direzionale venne potenziato con l'assunzione di esperti di sistemi di amministrazione e controllo, ed il servizio finanziario passò sotto il diretto controllo di Cefis. Il processo di aggiornamento ebbe una percorso duplice: da una parte il reclutamento di nuove competenze dall'esterno (Giorgio Corsi, chiamato a ricoprire la nuova carica di direttore finanziario), dall'altra la promozione di dirigenti del gruppo che già avevano operato in questi ambiti: ad esempio il direttore del servizio programmazione Alberto Grandi, proveniente dalla SNAM e membro dello staff di Cefis dal 1960, venne promosso alla carica di VDG nell'estate del 1965 con l'esplicito incarico di sovrintendere alla programmazione, alle analisi operative e al servizio amministrativo. Grandi fu poi uno dei dirigenti incaricati, insieme a Fornara e Briatico, di seguire da vicino la Montecatini - Edison dopo la scalata e seguì Cefis quando questi optò per il passaggio al gruppo privato. Nel corso del 1964 iniziarono così ad essere utilizzati strumenti come la valutazione dei flussi di cassa (tecnica utilizzata dalla concorrenza), e criteri più precisi per la misurazione del significato economico delle attività nelle quali il gruppo era coinvolto. Inoltre può essere visto come un elemento significativo l'importanza che Cefis dava alla pubblicazione di Bilancio consolidato, ai fini di informare l'opinione pubblica e gli stakeholder sulla complessa opera di risanamento in atto. Dall'esercizio 1967 si arrivò infine a utilizzare un modello anglosassone, che permetteva di evidenziare nuovi concetti come quello del calcolo del margine operativo e una chiara distinzione del working capital e delle modalità di copertura del fabbisogno finanziario. La ristrutturazione del gruppo coincise con un progressivo cambiamento dei rapporti di forza tra i detentori di diverse tipologie di conoscenze: la creazione di un forte nucleo di manager con competenze prettamente economiche si accompagnò infatti a un parallelo indebolimento di alcune delle altre componenti del multiforme universo ENI. La gestione delle attività all'estero venne impostata su basi nuove nel corso del 1964, attraverso la risoluzione del rapporto con Attilio Jacoboni, che era stato una sorta di plenipotenziario di Mattei nelle trattative più delicate con i paesi produttori, che era depositario di moltissime delle relazioni cruciali che consentivano lo svolgimento delle operazioni dell'ENI all'estero, per cui gli fu affidato un ben remunerato incarico di consulenza. Un altro ambito nel quale vennero attuati numerosi cambiamenti fu quello degli Uffici Studi e delle Relazioni Esterne del gruppo. Le dimissioni di Giorgio Ruffolo furono l'elemento più visibile di un cambiamento nelle relazioni tra il vertice del gruppo e gli uffici che avevano creato la cultura dell'impresa nel periodo Mattei. Nel corso dei primi due anni della nuova gestione lasciarono il Servizio Relazioni Pubbliche anche Sabino Cassese, a cui era affidato l'Ufficio studi legislativi, Alvise Savognan di Brazzà, responsabile dell'Ufficio Relazioni Pubbliche, e Luigi Bruni, dirigente preposto all'Ufficio studi economici. Inoltre nel corso del 1965 Cefis espresse il proprio parere contrario a una prosecuzione del rapporto di consulenza con l'esperto di questioni petrolifere internazionali Paul Frankel, che era stato in stretto contatto con Ruffolo. Il carattere di covo di liberi pensatori che avevano avuto gli Uffici studi nel corso della presidenza Mattei continuò ad esistere come organo del Servizio programmazione di Grandi, mentre il Servizio relazioni pubbliche affidato a Briatico. La necessità di un miglior uso delle risorse disponibili e un profilo dell'impresa meno aggressivo portava a utilizzare le risorse intellettuali del gruppo in maniera più funzionale allo svolgimento delle attività operative, piuttosto che nell'elaborazione di una filosofia dell'industria petrolifera

Page 35: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

alternativa a quella dominante nel settore. Cefis orientò le strategie di comunicazione dell'ENI verso una maggiore riservatezza, ridimensionando alcune delle iniziative avviate da Mattei. Italo Pietra, direttore del “Giorno” dal gennaio 1960, aveva già smorzato alcuni dei tratti più aggressivi che erano stati imposti al quotidiano dal suo predecessore, Baldacci, e aveva avviato un'azione di contenimento dei costi, tanto da spingere Mattei a riconsiderare la convenienza dell'iniziativa, mantenuta per pressioni da parte del mondo politico. Il ruolo del “Giorno” dopo la morte di Mattei divenne solo uno tra gli strumenti di comunicazione a disposizione di Cefis, accanto al controllo dell'Agenzia Giornalistica Italia. Le attività delle Società che facevano parte dell’ENI si svolsero invece in sostanziale continuità con il periodo precedente, dopo aver superato un attento vaglio per individuare quali fossero le aree di investimento sulle quali fosse più conveniente concentrare le risorse disponibili. La decisione di Cefis di continuare e anzi potenziare i costosi investimenti nella ricerca mineraria venne presa per le pressioni della Direzione Mineraria, e in particolare del Direttore Egidi, che lo convinsero della necessità di proseguire i piani di sviluppo, in modo da non concedere ai concorrenti un vantaggio di tempo. Già nel 1963 i responsabili della programmazione dell'AGIP realizzarono uno studio utilizzando il nuovo concetto del “costo di scoperta” degli idrocarburi che portò alla sospensione delle esplorazioni meno remunerative iniziate nel periodo precedente: Somalia, Sudan e Marocco. L'anno seguente, in una valutazione delle attività minerarie del gruppo presentata da Cefis alla Giunta esecutiva dell'ENI, veniva introdotta per la prima volta la distinzione tra capitale di sviluppo e capitale di rischio e il concetto di risorse minerarie accertate, per arrivare alla dimostrazione della necessità di proseguire e anzi di potenziare gli investimenti già intrapresi in ambito minerario. L'investimento previsto per l'Italia nel quinquennio 1964_69 sarebbe stato di 53 miliardi, mentre la prosecuzione della attività all'estero ne avrebbe richiesti 210: già da tali cifre appariva evidente come i margini di espansione della attività sul suolo nazionale fossero ormai limitati e come invece la maggior parte delle possibilità di realizzare profitti consistenti fossero legate all'internazionalizzazione delle attività. Mentre i giacimenti della Pianura padana avrebbero potuto garantire un prelievo di 7 miliardi di metri cubi di gas all'anno solo fino al 1970, le riserve di petrolio portate alla luce in Egitto, Iran e Tunisia erano state appena intaccate. Inoltre si attendevano ancora gli esiti in diverse aree di ricerca indiziate favorevolmente in Libia, Nigeria, Mare del Nord, oltre che nuove concessioni in Egitto e Iran. Cefis si sentiva il dovere di ricordare che in teoria l'intero capitale di rischio investito nell'attività mineraria avrebbe potuto essere perso, tuttavia l'azienda disponeva di un patrimonio di conoscenze che riduceva in maniera consistente il rischio e, anche nel peggiore degli scenari la perdita sarebbe stata limitata a 65 miliardi di lire.

Il miglioramento del controllo finanziario sulle attività dell’ENI.

Se nelle operazioni minerarie il prevalere di una logica ingegneristica sulle valutazioni economiche era in qualche modo il riflesso del peso che le competenze tecniche avevano in quest'area di attività, nemmeno il ramo commerciale dell'ENI aveva sviluppato sistemi di controllo per valutare l'efficacia degli investimenti. Anche in questo ambito l'innovazione venne introdotta come una risposta alla crisi del periodo 1963-65, attraverso l'applicazione dell'analisi dei flussi di cassa ai risultati delle società di commercializzazione. Le ragioni che avevano motivato la creazione di società commerciali estere venivano ricordate da Cefis nel 1964 richiamandosi alla logica di integrazione delle attività avviate nei vari paesi e alla necessità di utilizzare i greggi a disposizione del gruppo in modo che i prodotti potessero trovare la migliore collocazione e che la posizione di acquirente del gruppo migliorasse per ottenere prezzi di rottura negli acquisti di greggio da terzi. Nel 1962 l'AGIP aveva proprie consociate in Germania, Inghilterra, Austria, Svizzera, Grecia, Cipro, Libano, Argentina e in 18 paesi africani; per la maggior parte dei casi l'attività di distribuzione era iniziata da poco o si trovava ancora in una fase di avvio. In particolare per quanto riguardava le attività africane. Le uniche reti anteriori al 1960 erano quelle nelle ex colonie italiane, Eritrea, Somalia e Libia, mentre per tutti gli altri paesi la data di ingresso era posteriore al 1961. I risultati dell'intera gestione extraeuropea risentivano quindi ancora del peso degli investimenti iniziali e registravano ancora risultati

Page 36: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

negativi di oltre 1,8 miliardi di lire nel 1964. Al di fuori dell'Europa l'AGIP possedeva 800 impianti per un investimento di 54,6 miliardi di lire, che sarebbero diventati 135 nel 1969 con l'obiettivo di arrivare al controllo del 15% del mercato africano. La maggior parte delle consociate si riforniva direttamente di prodotti dall'Italia o da raffinerie locali di concorrenti, ma l’obiettivo era quello di collegare la crescita delle reti alla costruzione di raffinerie nei paesi di vendita, creando opportunità per le altre società del gruppo. Rimaneva il rischio politico dell’esproprio nei paesi di recente indipendenza, ma la politica di africanizzazione del personale garantiva interesse e simpatia da parte delle élite locali, nonché riflessi positivi sul lato del contenimento dei costi. Maggiori possibilità di crescita per il gruppo si prospettavano in Europa, in relazione al completamento degli oleodotti continentali. La situazione delle consociate in Austria e Inghilterra appariva in linea con le previsioni di investimento per l'avviamento della rete, anche se nel 1964 si registravano perdite comprese tra i 300 e i 400 milioni per ciascuna. Più grave appariva invece il caso della Germania, per la quale si prevedevano, nel 1964, perdite di 3,5 miliardi, che imponevano una drastica riduzione dei costi e uno snellimento dell'organizzazione. La rete svizzera era invece l'unica che in Europa registrava già un pareggio a soli tre anni dall'avvio delle attività. La rete europea dell'AGIP contava, nel 1964, 705 impianti di distribuzione, concentrati per la maggior parte in Germania, con investimenti per 44 miliardi di lire. Tra le società europee, solo quelle austriaca e inglese si approvvigionavano in maniera consistente dalle raffinerie del gruppo in Italia, la consociata svizzera si appoggiava alla raffineria di Aigle, mentre l'AGIP Monaco era totalmente dipendente dagli acquisti di prodotti da raffinerie terze sul mercato tedesco. La riuscita delle operazioni commerciali nell'Europa centro-settentrionale implicava che l'ENI si inserisse in una posizione vantaggiosa nel trasferimento della capacità di raffinazione dalle aree costiere ai principali mercati di consumo permessa dalla realizzazione di una rete continentale di oleodotti, con una revisione in senso più favorevole all'ENI degli accordi con la raffineria di Aigle, il completamento dell'impianto di Ingolstadt e la realizzazione di una raffineria del gruppo in Gran Bretagna, dove la concorrenza era aumentata enormemente per i tentativi di penetrazione commerciale di altri operatori indipendenti, che avevano provocato una dura reazione difensiva da parte di ESSO e Shell-Mex (società mista Shell BP). Per il gruppo ENI diventava conveniente dimettere le attività commerciali in Gran Bretagna cedendole alla ESSO, che aveva fatto una buona offerta per garantirsi le quote di mercato La valutazione economica del portafoglio di attività dell’ENI portò a stemperare la carica ideologica di molti degli investimenti avviati negli anni precedenti, imponendo un atteggiamento più duttile nei confronti dei concorrenti, con i quali potevano anche essere trovate alleanze nei singoli mercati. Un clima di maggiore collaborazione con le major permise un utilizzo più efficace dell'oleodotto Genova-Ingostadt, dando all'ENI la possibilità di acquisire una partecipazione e utilizzare le pipeline che i maggiori concorrenti, ESSO, BP, Shell e Mobil, avevano progettato dall'Adriatico alla Baviera. L'accordo fu poi ampliato con la creazione di una società mista AGIP-BP-ESSO che avrebbe realizzato e costruito la raffineria Romande, capitale 40 milioni di CHF, in Svizzera. Un’evoluzione molto simile nell’atteggiamento dell’ENI verso le Major avvenne nello stesso periodo anche per l’upstream. Alla fine degli anni ‘50 l'ENI si era presentata sullo scenario internazionale con un’impostazione che risentiva troppo delle esperienze prebelliche in Albania e Romania, e successivamente delle competenze accumulate lavorando nell'ambito del metano padano. I punti di forza erano inizialmente l'attivismo di singoli dirigenti e la forte coesione della tecnostruttura. Le varie Società del gruppo mantenevano una compartimentazione rigida, con una netta separazione tra le decisioni strategiche al vertice dell’ENI e la fase operativa delle singole Società. La limitazione dell'orizzonte strategico delle società operative portava a una concentrazione esasperata su alcuni aspetti del lavoro, mentre venivano a volte sottovalutati gli aspetti finanziari, con una sorta di esaltazione di valori quali l'abnegazione sul lavoro spinta ai limiti del sacrificio e la capacità di arrangiarsi. Il lavoro minerario veniva quindi valutato esclusivamente in base a grandezze fisiche, metri perforati, pozzi eseguiti, tonnellate estratte, ed il risultato valutato nei suoi valori economici aggregati. Nei corsi organizzati dai consulenti BAH per i dirigenti si affermava che i manager non dovessero essere dei tecnici, pur

Page 37: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

conoscendo le basi del proprio business, ma nella Mineraria valeva il principio che ogni unità venisse diretta dallo specialista con maggiore esperienza nel settore e che il top management fosse composto da personalità carismatiche espresse dai rami operativi, che tendevano a entrare nel merito di questioni tecniche, perdendosi nei particolari non di loro competenza specifica. Queste carenze manageriali si rilevarono già tra il 1959 e il 1960 in Iran, dove l’AGIP stabilendo un'amichevole un'intesa al di fuori dell'accordo, aveva accettato di avviare a proprie spese lo sviluppo del giacimento individuato in offshore. Negli anni successivi, i contratti firmati secondo la formula Mattei, si rivelarono estremamente problematici da gestire, perché erano compilati secondo gli schemi della cultura giuridica italiana, ben lontana dalla pragmaticità dei contratti utilizzati delle multinazionali anglosassoni. Inoltre, l'AGIP Mineraria non aveva un servizio legale in grado di affrontare le questioni poste dai paesi produttori. Ad esempio in Egitto la necessità di stabilire un accordo e di avviare nel più breve tempo possibile la fase operativa aveva generato prassi destinate a rivelarsi nel medio periodo poco favorevoli al gruppo. Il fatto che la necessità di strutturare un sistema di coordinamento, programmazione e controllo esteso a tutte le attività del gruppo fosse rinviata a fronte delle esigenze della crescita, dipendeva anche dalla presenza di un'efficiente risorsa sostitutiva, cioè la funzione unificante di Mattei stesso, la cui onnipresenza e pervasività aveva come conseguenza di limitare le possibilità di crescita di nuovi nuclei con capacità manageriali di alto livello. Ad esempio, la negoziazione dei contratti internazionali era responsabilità esclusiva di Mattei e di pochi uomini fidati, Jacoboni, Sarti, Sette, mentre i dirigenti dell'AGIP venivano coinvolti esclusivamente su aspetti tecnici, senza alcuna possibilità di intervenire sul quadro generale delle trattative. Alla morte di Mattei i manager AGIP si ritrovarono orfani di una guida carismatica e dovettero quindi sperimentare nuove soluzioni per adeguare la prassi dell'ENI al contesto internazionale. L'adozione di criteri di razionalità gestionale diffusi tra gli operatori stranieri portarono progressivamente l'ENI a maggiore inserimento internazionale, adottando le forme di partecipazione tipiche delle Major. ossia le Joint Venture. Venivano in favore del gruppo le mutate condizioni del panorama petrolifero mondiale: nuove costose tecnologie, in particolare per la ricerca in mare, rendevano indispensabile la collaborazione tra più investitori. La necessità di disporre di fonti di greggio sempre più differenziate, in coincidenza con l'emergere di nuovi produttori e dell'instabilità politica di alcune aree, rendeva sempre meno sostenibile una strategia di concessioni esclusive. Nel 1964 l'AGIP avviava due accordi di collaborazione mineraria con la Phillips, con la quale il rapporto era iniziato con la costruzione del petrolchimico di Ravenna, per l'esplorazione off-shore di alcuni permessi in Iran e per una partecipazione al 15% nell'attività di esplorazione nel Mare del Nord e l’ingresso della Philips in Nigeria. La nuova apertura alla collaborazione con società estere ebbe conseguenze particolarmente rilevanti sui rami del gruppo che avevano conservato molti dei loro caratteri originari legati alle attività in Italia. Il ramo minerario, in particolare, subì forte spinte perché la sua capacità di assimilazione delle innovazioni non fosse esercitata esclusivamente sul lato tecnico, ma si estendesse anche alla gestione economica delle attività e allo sviluppo di autonome capacità di elaborazione strategica e di negoziazione coi partner. Un esempio dei cambiamenti radicali stimolati dall'assimilazione delle forme di organizzazione più aggiornate nel core business tradizionale, è la trasformazione della Direzione mineraria dell'AGIP in un centro di raccolta e di elaborazione di dati, con la cessione di tutte le operazioni di rilevamento sismico, affidate esclusivamente a contrattisti, e di perforazione, ceduta definitivamente alla Saipem nel 1968. Il ramo minerario era nato attorno alla perforazione, e gli ingegneri provenienti da questo ramo di attività costituivano la maggioranza dei dirigenti. Lo stesso ethos dell'azienda era plasmato dall'esperienza dei cantieri, nella quale venivano esaltati abitudine a condizioni di vita e di lavoro difficili, dedizione assoluta all'azienda, disciplina quasi militare, valore delle capacità professionali.. La reazione all'interno dell'AGIP fu durissima: già in precedenza il trasferimento di singoli dipendenti alla Saipem, una controllata SNAM, era visto come una sorta di punizione, la totale esternalizzazione della perforazione suscitò violente proteste, che arrivarono al rifiuto di indossare la divisa della nuova società. In questo modo ci si svincolò progressivamente dalle pratiche di gestione più tradizionaliste ma si diluì il carattere specifico dell’AGIP, che invece era stata una delle caratteristiche del

Page 38: LAGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966)....L’AGIP dal fine guerra alla gestione Cefis (1945-1966). La ricostituzione dell’AGIP alla fine della guerra: il Commissario

periodo matteiano, indispensabile per avviare il processo di sviluppo in un ambiente che respingeva i tentativi di ingresso di nuovi operatori.

La guerra nella petrolchimica e il passaggio di Cefis alla Montedison.

Nella primavera del 1966 Cefis considerava superato il periodo di crisi e rinunciava ai poteri straordinari che gli erano stati conferiti nel settembre 1964, lasciando anche la carica di Presidente in tutte le capogruppo. La nomina a Presidente dell’ENI il 26 giugno 1967, con VP Raffaele Girotti e DG Angelo Fornara, amministratore delegato dell'ANIC, costituì un'investitura ufficiale per un nuovo piano strategico di espansione, basato sui risultati del periodo matteiano, ma profondamente diverso dalle precedenti fasi di vita dell'ENI. Tra i settori nuovi che si erano sviluppati attorno al core business petrolifero un posto di primo piano stavano prendendo sia la petrolchimica che i servizi ingegneristici e di costruzione di impianti per conto terzi: nel 1966 il gruppo era impegnato nella costruzione di tre raffinerie in India, di oleodotti in Tanzania, Zambia e Siria, e di una rete di metanodotti in Francia. Il rischio che correva l'ENI, con il progressivo svilupparsi di rami di attività estremamente diversi e complessi, era quello di una spinta centrifuga che disgregasse l'unità che il gruppo aveva mantenuto durante il periodo matteiano eil periodo di transizione guidato da Cefis. Uno dei momenti di riflessione più avanzati per ridefinire il carattere e la cultura dell'ENI, fu il rapporto “L'Italia e l'eni”, prodotto nel 1965 per rispondere alle accuse di mancanza di un piano strategico rivolte dal governatore della Banca d'Italia. il documento venne in seguito utilizzato come base per tutte le discussioni con il Governo e, ristampato a uso interno nel 1967, costituì la proposta più organica per una strategia di crescita del gruppo che andasse oltre l'impostazione di Mattei, pur non tradendo nessuno dei caratteri originari dell'ENI. La natura energetica dell'Ente veniva individuata come il suo carattere fondamentale, indicando per la Petrolchimica la necessità di uno sviluppo che si armonizzasse con le esigenze del core business petrolifero. Allo Stato era richiesto un intervento chiaro per definire gli obiettivi di sviluppo e le regole del settore, mettendo freno agli sprechi e alle duplicazioni, che venivano giudicate gravi nel settore della raffinazione e della distribuzione. Il piano di sviluppo poté vedere una realizzazione solo parziale: la ricerca mineraria, le competenze nell'ambito dell'impiantistica e dei montaggi, il programma di importazione di gas e la creazione di una rete nazionale di metanodotti divennero progressivamente le aree di crescita più importanti del gruppo, ma non si realizzò mai l'auspicata normalizzazione dei rapporti con l'azionista politico e, di conseguenza, i risultati furono estremamente parziali negli ambiti nei quali era richiesta una collaborazione coerente con l'Amministrazione statale. La guerra chimica, in corso sin dalla fusione tra i due antichi rivali dell'ENI, Montecatini ed Edison, assorbì le migliori risorse del gruppo pubblico. Le dimissioni di Cefis per passare alla presidenza di Montedison nell'aprile 1971. rappresentarono per l'ENI uno shock paragonabile a quello della morte di Mattei, perché passarono a Montedison molti dei suoi collaboratori più stretti, decapitando il management dell'eni. Raffaele Girotti, benché come il suo predecessore appartenesse alla cerchia dei fedelissimi di Mattei, non riuscì mai a sviluppare una presidenza forte, in grado di dare coesione al gruppo attorno agli elementi innovativi che pur stava cercando di introdurre. Inoltre, i condizionamenti della politica rendevano sempre più difficile una strategia autonoma, mentre sia il carattere del nuovo Presidente che alcune scelte organizzative da lui volute, allentarono il legame tra la capogruppo e le società operative. Si diluiva e veniva invece progressivamente a perdersi l'idea che l'azione delle singole società operative fosse parte di un più ampio piano di sviluppo condiviso e tendente all'obiettivo ultimo dello sviluppo nazionale, tutti elementi presenti sia durante la presidenza Mattei che nelle linee guida indicate in ”L'Italia e l'ENI”. L'eredità degli anni di fondazione del gruppo rimase nella realtà operativa del core business dell'impresa, e la grande visione di Mattei sullo sviluppo del Paese, e l'alto ruolo dell'azienda di Stato, continuarono a vivere come elemento costante nell'immaginario dei dirigenti che avevano iniziato il loro rapporto con l'azienda tra gli anni quaranta e sessanta. Il ricordo dei primi anni di sviluppo dell'ENI continuò a permeare le successive vicende dell'AGIP e dell'ENI e a rappresentare un punto di riferimento a cui richiamarsi nei momenti di difficoltà che l'impresa dovette affrontare nei decenni successivi.