la sovversione dell'evangelo

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Paolo Castellina La sovversione dell'Evangelo Meditazioni quotidiane sulla lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani d ella Galazia (Epistola ai Galati) Edizioni Tempo di Riforma 2009

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Lettura quotidiana e commento della lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani della Galazia (Epistola ai Galati).

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Page 1: La sovversione dell'Evangelo

Paolo Castellina

La sovversionedell'Evangelo

Meditazioni quotidianesulla lettera dell'apostolo Paolo

ai cristiani della Galazia(Epistola ai Galati)

EdizioniTempo di Riforma

2009

Page 2: La sovversione dell'Evangelo

ISBN 978-1-4452-4399-3

Tutte le citazioni bibliche sono tratte dalla versione Nuova Riveduta, ediz. Società Biblica di Ginevra, 1994.

Ulteriori riflessioni bibliche, predicazioni, studi ed articoli del past. Paolo Castellina, sono presenti nel sito web http://www.riforma.net

Email: [email protected]

Quest'opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.0 Inghilterra & Galles. Per leggere una copia della licenza visita http://creativecommons.org/licenses/by-ncd/2.0/uk/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA.

Dicembre 2009

Meditazioni sull'epistola ai Galati, p. 2

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Introduzione

Le nostre meditazioni quotidiane sistematiche ci conducono ad una lettera apostolica molto impor-tante, quella che Paolo scrive ai cristiani della Gala-zia. Proclamando l'Evangelo in tutta la sua carica rivoluzionaria, essa contrasta un fenomeno ricor-rente nella storia del cristianesimo, il tentativo di “addomesticarlo” per renderlo più simile alle religio-ni di questo mondo. “Troppo tagliente” e “pericolo-so”, ancora oggi c'è chi lo vorrebbe “smussare”, “an-nacquare” “ridurre a più miti pretese”. Un tale “Evangelo riveduto e corretto”, però, non è più l'E-vangelo di Cristo, è “altra cosa”, fondamentalmente una sua falsificazione priva di potenza: non può, in-fatti, né salvare né trasformare la creatura umana rovinata dal peccato.

La lettera ai cristiani della Galazia (Epistola ai Galati) è così considerata una delle più importanti dell'apostolo Paolo. Potremmo dire che si tratti del cuore stesso dell'insegnamento dell'Apostolo, l'affer-mazione più esplicita ed aliena da compromessi del-l'Evangelo che, come egli afferma: “Io stesso non l'ho ricevuto né l'ho imparato da un uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo“ (1:12).

Questa lettera, forse la più influente del Nuovo Testamento, presenta numerose similitudini con quella scritta ai cristiani di Roma ed è stata grande-mente stimata nel corso della storia soprattutto come il “cavallo di battaglia” della Riforma prote-

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stante, il manifesto della libertà in Cristo, la pietra angolare stessa della Riforma. Lettera favorita da Martin Lutero, è stata considerata come “il sasso colto dal greto del torrente attraverso il quale, come Davide, i riformatori hanno colpito il gigante Golia del Papato”. Martin Lutero si riferiva a questa lette-ra come a “sua moglie”: “L'epistola ai Galati è la mia epistola. Ad essa sono come unito in matrimonio. È la mia Caterina”...

Si può veramente dire che Galati incorpori il cre-do fondamentale della libertà cristiana, la sua Ma-gna Charta, cittadella imprendibile che resiste ad ogni attacco sferrato contro la libertà cristiana, so-prattutto quando proviene da coloro che vorrebbero ridurre la fede cristiana a semplice “religione”, fatta di regole, cerimonie, feste da celebrare, tradizioni umane ecc. e renderla pari a tante altre. Il carattere rivoluzionario della fede cristiana coerente continua ad apparire, però, in modo sorprendente al lettore di questa lettera (ieri come oggi) quando la studia attentamente traendone le conseguenze.

La Galazia, la zona dove si trovavano le chiese alle quali questa lettera è stata originalmente invia-ta, corrisponde più o meno al centro-nord dell'at-tuale Turchia ed è stata chiamata così a causa del-l'immigrazione dall'Europa in quella terra di popola-zioni celtiche (Galli) intorno al 287-27 a. C. La Ga-lazia diventa una provincia di Roma nell'anno 25 a. C. Comunità cristiane erano state costituite in Ga-lazia durante il secondo viaggio missionario dell'a-

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postolo Paolo ed erano formate da convertiti prove-nienti sia dall'ebraismo che dal paganesimo. Questa lettera ai cristiani della Galazia è stata scritta dal-l'apostolo Paolo nell'anno 49 o 55 AD durante il suo terzo viaggio missionario.

I problemi che l'Apostolo affronta in questa lettera erano stati causati dai giudaizzanti, cristiani d'origi-ne ebraica che, in modo militante e legalistico, insi-stevano che tutti i cristiani (anche quelli provenienti dal paganesimo) dovessero sottoporsi alle prescri-zioni cerimoniali della legge mosaica. Essi conside-ravano l'insegnamento di Paolo, “troppo facile”, “li-berale”. Gli contestavano di predicare una grazia a buon mercato! Avrebbero voluto che i cristiani, per poter appartenere al popolo di Dio, si facessero cir-concidere. Attaccavano l'Apostolo in tre aree: (1) contestando la sua autorità; (2) affermavano che la salvezza dovesse essere sia per fede che per opere meritorie; (3) sostenevano che la visione di Paolo della vita cristiana conducesse a giustificare com-portamenti licenziosi. Tutto questo era molto simile al Fariseismo che lo stesso Gesù aveva combattuto durante il Suo ministero terreno.

Affidando, così, questo commentario devozionale alla vostra diligente lettura e meditazione quotidia-na, confido che lo Spirito di Dio possa renderlo effi-cace per la gloria di Dio e il consolidamento dell'E-vangelo nella vostra vita.

Past. Paolo Castellina, dicembre 2009

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Inviato speciale

1 “Paolo, apostolo non da parte di uomini né per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risu-scitato dai morti, 2 e tutti i fratelli che sono con me, alle chiese del-la Galazia; 3 grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo, 4 che ha dato se stesso per i nostri peccati, per sottrar-ci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e Padre, 5 al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (Galati 1:1-5).

Com'è sua consuetudine, anche all'inizio di questa let-tera ai cristiani della Galazia, Paolo si presenta come suo mittente. Egli evidenzia ciò che qualifica il suo ministero e legittima il suo autorevole intervento. In questa lettera, specificare come egli sia apostolo, è molto più che una formalità. Difatti, come vedremo più avanti, fra i cristiani della Galazia la sua dignità ed autorità apostolica era sta-ta contestata. Egli descrive, così, come sia giunto ad esse-re quel che, per grazia di Dio, è diventato.

Egli è “apostolo”. Benché termine “apostolo” letteral-mente significhi inviato, messo, per lui e per i 12 (primi di-scepoli di Gesù) esso assume una connotazione del tutto particolare. Iddio ha voluto, infatti, che essi, insieme agli antichi profeti di Israele, fossero gli autorevoli, principali, fondamentali strumenti della rivelazione, dell'Evangelo di Cristo. “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare”, Nel-le altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conosce-

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re questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è sta-to rivelato ai santi apostoli e profeti di lui” (Efesini 2:20; 4:11). Il loro ruolo è insostituibile, imprescindibile per la fede cristiana, inalterabile e “non trasmissibile”.

Paolo afferma di avere ricevuto questo suo incarico non da parte di uomini né per mezzo di un uomo. Certo, con Barnaba dalla chiesa di Antiochia egli era stato inviato a predicare l'Evangelo in una particolare zona, ma era stato lo Spirito Santo a guidarli in quel senso (Atti 13:3). La vo-cazione ed il ministero di Paolo non dipendeva da alcuna autorità umana e men che meno ecclesiastica, ma diretta-mente da Gesù Cristo (Atti 9:1-43; 26:14-17, Galati 1:15-17) e quindi da Dio Padre.

Paolo può essere considerato “inviato speciale”, aven-do conosciuto il Cristo solo in quanto risorto e non come i 12 durante la Sua vita terrena (Matteo 10:1-42). L'imme-diatezza della vocazione di Paolo non può essere usata per giustificare le pretese di alcun altro (come spesso è avvenuto nella storia) che affermi di aver ricevuto rivela-zioni tali da sovvertire (sottraendo, aggiungendo o scal-zando) quanto è stato finalizzato nelle Sacre Scritture del-l'Antico e del Nuovo Testamento.

Come la Persona e l'opera di Cristo era e rimane spe-ciale, unica, insostituibile ed insuperabile, così l'esperien-za dell'apostolo Paolo è da considerarsi unica nel suo ge-nere. Paolo e i 12 rimangono sorgente perenne e punto di riferimento inalterabile di tutto ciò che può considerarsi Evangelo di Cristo e Parola di Dio. Ad essa dobbiamo at-tenerci diligentemente, consapevoli che nel presente secolo

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(o mondo) malvagio ci sono stati e continuano ad esserci “falsari” dell'Evangelo che producono “moneta falsa”. Da questo tipo di mondo Iddio ci ha sottratti e dobbiamo bene guardarci, affinché, con le sue incessanti lusinghe, non ne veniamo sedotti ed ingannati. Non tutto, infatti, quel che brilla è oro. Come i falsi profeti del tempo di Ge-remia: “Tendono la lingua, che è il loro arco, per scoccare menzogne; sono diventati potenti nel paese, ma non per agire con fedeltà; poiché passano di malvagità in malvagità e non co-noscono me, dice il SIGNORE” (Geremia 9:3).

Preghiera. Ti ringrazio di avermi fornito con Paolo e gli al-tri apostoli e profeti un sicuro punto di riferimento per la mia vita. Che io mi attenga ad esso diligentemente non dando cre-dito alcuno alle pretese di chicchessia, per quanto altisonanti possano essere. Amen.

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Diffidate dalle imitazioni

“6 Mi meraviglio che così presto voi passiate, da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. 7 Ché poi non c'è un altro vangelo; però ci sono alcuni che vi turbano e vo-gliono sovvertire il vangelo di Cristo. 8 Ma anche se noi o un ange-lo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi ab-biamo annunciato, sia anatema. 9 Come abbiamo già detto, lo ripe-to di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annuncia un vangelo di-verso da quello che avete ricevuto, sia anatema” (Galati 1:6-9).

Non fa meraviglia che sin dall'inizio l'Evangelo di Cri-sto sia stato oggetto di attacchi d'ogni genere. Esso, infat-ti, “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Ro-

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mani 1:16). L'Avversario sa benissimo quanto esso sia ef-ficace, per questo vorrebbe neutralizzarlo e distruggerlo. Se non può farlo attraverso l'opposizione violenta, cer-cherà di insinuarsi nella chiesa sotto mentite spoglie per corromperlo, alterarlo, sovvertirlo. È come chi produce moneta falsa o opere d'arte contraffatte. La copia può es-sere somigliantissima all'originale e trarre in inganno an-che i più esperti, ma è un falso, non ha valore. L'Evangelo può essere così bene imitato da confondere anche chi nor-malmente sarebbe considerato persona avveduta. È per questo che dobbiamo sempre verificare bene: non tutto ciò che è fatto passare per vangelo è vangelo.

Il contenuto dell'Evangelo ci è stato trasmesso una vol-ta per sempre dal Nuovo Testamento. L'Apostolo scrive: “Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi, mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l'ho annun-ziato; a meno che non abbiate creduto invano” (1 Corinzi 15:1-2). Ciononostante, pure a molti oggi l'Apostolo po-trebbe dire, come agli antichi cristiani della Galazia: “Mi meraviglio che ... passiate, da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo”. Ecco perché lo studio diligente della Parola di Dio e delle dottrine cristiane è importantissimo. Solo un ingenuo potrebbe sottovalutar-lo. Ci permette infatti di discernere il vero dal falso, di non essere ingannati e derubati di ciò che più vale.

L'Evangelo annunzia la grazia di Dio per la nostra eter-na salvezza attraverso il ravvedimento e la fede in Cristo. Si incontra sempre, però, chi questo vangelo vorrebbe

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“interpretarlo” secondo i presupposti di filosofie e tradi-zioni umane, ad esso aggiungere o togliere secondo pre-sunte nuove rivelazioni o autorità. Anche per l'Evangelo valgono così gli ammonimenti dell'ultimo capitolo del-l'Apocalisse: “Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della pro-fezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio ag-giungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qual-cuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell'albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro” (22:18-19).

Non sorprendono quindi nemmeno gli anatemi (le ma-ledizioni!) dell'Apostolo verso chiunque pretende di alte-rare l'Evangelo: si tratta di questioni troppo importanti per tollerare qualsiasi sua manipolazione, qualunque sia il pretesto che la vorrebbe giustificare, chiunque la pro-ponesse, uomo od angelo che sia. L'Evangelo è inalterabi-le. Esso è eterno: “Poi vidi un altro angelo che volava in mez-zo al cielo, recante il vangelo eterno per annunziarlo a quelli che abitano sulla terra, a ogni nazione, tribù, lingua e popolo” (Apocalisse 14:6). Non lasciamoci turbare da chi ci propo-ne un cristianesimo riveduto e corretto che non sia con-forme al “deposito” della fede apostolica.

Preghiera. Signore Iddio, voglio attenermi diligentemente alla fede trasmessa dagli antichi apostoli e profeti, senza la-sciarmi turbare da discorsi di apparente plausibilità che se ne distanziano. Aiutami a verificare ogni cosa secondo il metro della Tua Parola. Amen.

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Il favore ed il compiacimento di Dio

10 “Vado forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo” (Galati 1:10).

Il predicatore della Parola di Dio, soprattutto quando è considerato “un dipendente” dell'organizzazione che lo sostiene finanziariamente, può essere facilmente ricatta-bile. Egli, in qualche modo, deve compiacere le autorità da cui dipende o le persone che lo sostengono. Tende quindi ad evitare di dire ciò che potrebbe loro essere sgradito, ciò che pur vero, potrebbero essere “cose sco-mode”. Spesso non può permettersi, dice, di “perdere il posto di lavoro” e quindi adatta e compromette il suo messaggio. Un esempio di questo potrebbe essere la con-trapposizione fra i profeti di corte e il profeta Geremia. I primi dicevano solo cose gradite al sovrano da cui dipen-devano e la Parola di Dio li considera falsi profeti. Gere-mia diceva la verità scomoda e sgradita e per questo era stato duramente perseguitato (Cfr. Geremia 26:8).

Può anche accadere che pur di conquistarsi l'approva-zione della gente e l'accoglienza dell'Evangelo (e quindi comprovarsi un evangelista “di successo”), il predicatore semplifichi eccessivamente il messaggio ed eviti di dire tutta la verità, soprattutto eviti di dire ciò che potrebbe non essere gradito, oppure non evidenzi l'impegno, le difficoltà ed i sacrifici che implica l'essere cristiano. Gesù

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non teme di allontanare la gente da Sé dicendo “cose scandalose” o “pretendendo troppo” dai Suoi seguaci. Egli non cerca di tenere il giovane ricco fra i suoi seguaci cercando un compromesso. I suoi beni avrebbero pure fatto loro comodo (Cfr. Matteo 19:22). Gesù non alletta la gente con le benedizioni dell'essere cristiano senza pro-spettare, nel contempo, “la croce” dei sacrifici che implica il seguirlo. “Chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Luca 14:27).

Lo stesso fa l'Apostolo Paolo, nel frammento della sua lettera che consideriamo oggi. Le parole dure che poco prima egli ha usato per condannare il falso vangelo pro-posto dai suoi avversari in Galazia, testimoniano come egli non predichi per compiacere la gente e per “tenersela buona”, ma come egli dica la verità così come sta, che piaccia loro oppure no, anche quella che li inimica e li al-lontana. Non cerca di conciliarli perché rimangano mem-bri di chiesa e così “facciano numero”, numero di cui vantarsi quando si tratta di contare “i successi” dell'E-vangelo. Perché? Perché egli serve solo ed esclusivamen-te la causa della verità, la causa di Cristo, qualunque ne siano le conseguenze sicuro che la verità trionferà, ma nei suoi termini.

L'annuncio dell'Evangelo non è solo messaggio che promette grazia, salvezza e benedizioni. Esso implica an-che la denuncia del peccato (cosa oggi impopolare), l'ap-pello al serio ravvedimento. Esso non parla solo di para-diso e di salvezza, ma anche di inferno e di perdizione per chi non si affida a Cristo, che la cosa piaccia oppure

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non piaccia, che sia popolare o meno, “compatibile” che sia con “la mentalità moderna” oppure no.

L'annuncio dell'Evangelo può implicare, così, che la maggior parte dei suoi uditori lo respinga. “Ah, ma poi abbiamo le chiese semivuote... poi non abbiamo abba-stanza contributi per pagarci le spese... poi rimaniamo solo in pochi!”. Che sia! Certamente accetteranno il mes-saggio coloro che sono destinati ad accoglierlo, pochi o tanti che siano! “Ah, ma la predestinazione non è un con-cetto conveniente oggi per il successo della chiesa... que-sto offenderebbe la gente!”. No, non c'è giustificazione che tenga: dobbiamo annunciare la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità! “Ah, ma c'è modo e modo per farlo”. No, c'è solo il modo che ci è stato prescritto nel Nuovo Testamento e che vi vediamo esemplificato.

Noi non cerchiamo il favore degli uomini, ma il favore di Dio. Noi non cerchiamo di piacere agli uomini, ma di piacere a Cristo, il quale solo noi serviamo. Sono forse questi “metodi poco producenti”? Certo, non rispondono alle moderne tecniche per “guadagnarsi il mercato”. Cer-to, magari altri ci supereranno in successo con “un mes-saggio più gradito”. Il mondo, magari, riderà di noi, “perché non siamo abbastanza furbi”. Che importa? La-sciamo che rida. Ride bene chi ride ultimo!

Preghiera. Signore Iddio, voglio compiacere Te ed avere in Tuo favore in tutto ciò che faccio. Voglio proclamare la verità che Tu hai rivelato con fedeltà, senza compromessi, sicuro che trionferà. Aiutami, te ne prego. Nel nome di Cristo. Amen.

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L'origine divina del vangelo di Paolo

11 “Vi dichiaro, fratelli, che il vangelo da me annunciato non è opera d'uomo; 12 perché io stesso non l'ho ricevuto né l'ho impara-to da un uomo, ma l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo” (Galati 1:11,12).

Ancora oggi, in ambienti razionalisti o comunque av-versi alla fede cristiana, al fine di discreditare il cristiane-simo, si afferma che sia stato Paolo, di fatto, “l'inventore del cristianesimo”. Essi immaginano un Saulo di Tarso ebreo ma influenzato da idee pagane che ambisce a crea-re una sintesi fra religioni misteriche ed ebraismo sulla base dell'originale movimento cristiano, quello che prima era deciso a combattere ma che, dopo una subitanea “il-luminazione”, si rende conto come sarebbe stato invece più conveniente sfruttare per i suoi fini. Ecco così come egli si sarebbe inventato la storia dell'incontro con il Cri-sto risorto, ingannando le comunità cristiane e diventan-done l'incontrastato capo ideologico.

Altri affermano che la sua esperienza di conversione non fosse altro che la risoluzione allucinatoria di forti conflitti interiori e sensi di colpa. Queste ed altre simili accuse non sono una novità. Anche allora, cristiani d'ori-gine ebraica ancora non avevano compreso le implicazio-ni dell'Evangelo della grazia e, insistendo sulla “necessi-tà” di osservare diligentemente le prescrizioni tradiziona-li del Giudaismo, accusavano Paolo di sovvertire la fede

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di Israele. È così che l'Apostolo insiste sul fatto che il messaggio che porta non è risultato delle proprie rifles-sioni o idee, e nemmeno che origini dal pensiero di qual-che intellettuale, filosofo o mistico.... ma sia esclusiva-mente frutto di una speciale rivelazione della quale è sta-to fatto oggetto da parte di Dio, in piena conformità con il messaggio e l'opera di Gesù di Nazareth. Nessuna diffe-renza, quindi, fra “il Gesù della storia” ed “il Cristo della fede”, ma continuità organica. L'eterna Parola di Dio si è incarnata in Gesù di Nazareth, ha compiuto l'opera della redenzione vivendo e morendo su una croce, è risuscita-to, è apparso ai Suoi discepoli e, per ultimo, è apparso a Paolo rendendolo uno fra gli strumenti privilegiati del Suo Evangelo. Il mondo tenta sempre di “spiegare” quanto non comprende o non vuole accettare. L'Evangelo della grazia è rivelato da Dio ai Suoi eletti e li conduce al ravvedimento ed alla fede.

Preghiera. Fa' sì che abbia, o Signore, la mente di Cristo per vedere le cose dalla Sua prospettiva. Amen.

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L'opera imprevedibile dello Spirito Santo“13 Infatti voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel pas-sato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza la chiesa di Dio, e la devastavo; 14 e mi distinguevo nel giudaismo più di molti coetanei tra i miei connazionali, perché ero estrema-mente zelante nelle tradizioni dei miei padri. 15 Ma Dio che m'a-veva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque 16 di rivelare in me il Figlio suo per-ché io lo annunciassi fra gli stranieri. Allora io non mi consigliai con nessun uomo, 17 né salii a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di me, ma me ne andai subito in Arabia; quindi ritornai a Damasco” (Galati 1:13-17).

Ci sono persone delle quali “non si penserebbe mai” che potessero affidare la loro vita a Cristo, amarlo e ser-virlo devotamente. Diciamo di loro: “Sono troppo dure, ostinate, ribelli e persino militanti nella loro avversione alla fede cristiana”. Oppure: “Non si riuscirà mai a scuo-tere la loro indifferenza”, o anche: “Non sono il tipo”. Non dobbiamo mai, però, perdere la speranza. Certo, dobbiamo continuare pazientemente ad essere loro di buona testimonianza con la parola e l'esempio, come pure dobbiamo continuare a pregare, anche spesso con lacrime, affinché il Signore operi su di loro e li chiami ef-ficacemente a Sé stesso e i salvi: questo è il nostro dovere verso di tutti. Se, però, sono stati eletti da Dio a salvezza, dobbiamo aver fiducia che certamente, a suo tempo, essi verranno a Cristo. Potremmo avere la gioia di vedere di utilizzare la nostra stessa testimonianza e preghiere come strumento della divina vocazione. L'incredulità e la ribel-

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lione a Dio certamente meritano, come dice la Parola del Signore, la Sua condanna, ma, come si dice, “finché c'è vita c'è speranza”. Non dobbiamo frettolosamente mette-re qualcuno nella categoria dei perduti. Non sappiamo: potrebbe fare esperienza della conversione persino nel-l'ultimo istante della sua vita. Come afferma la Confessio-ne elvetica posteriore del 1566: “Benché Dio conosca quelli che sono suoi e ricordi in alcuni passi il piccolo numero degli eletti, dobbiamo tuttavia ben sperare di tutti ed evitare di porre temerariamente qualcuno nel numero dei reprobi” (Cap. X).

Chi avrebbe mai solo sospettato che uno come Saulo di Tarso diventasse uno dei più importanti apostoli di Cri-sto? Era fra i peggiori nemici di Cristo! Eppure Dio Dio lo aveva prescelto fin dal seno di sua madre. Quando giunge il tempo prestabilito da Dio, Cristo gli si rivela efficacemen-te e rigenera il suo spirito tanto che, come descrive l'Apo-stolo in questi accenni autobiografici, egli giunge al rav-vedimento ed alla fede in Cristo. Allora la chiesa ricono-sce in lui i segni inequivocabili della conversione e lo in-vita così a sottoporsi al battesimo come suggello della promessa di Dio di salvezza in Cristo, adempiuta me-diante l'azione efficace dello Spirito Santo. Difatti: “Il ven-to soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Giovanni 3:8).

La vocazione di Paolo si rivela davvero stupefacente ed unica. Dio lo chiama direttamente e gli rivela Cristo e l'Evangelo della salvezza senza alcuna mediazione uma-na, nemmeno quella degli originali Apostoli. Certamente

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essi, più tardi confermeranno il carattere genuino di que-sta esperienza e la totale compatibilità del messaggio pre-dicato da Paolo con l'Evangelo che essi hanno udito dalla bocca stessa di Cristo, e riconosceranno come Dio lo chia-mi a portare questo stesso Evangelo ai popoli pagani.

Preghiera. Signore, Ti lodo e ti benedico perché con la Tua potenza hai rigenerato spiritualmente anche me, cosa che, ma-gari, nessuno avrebbe pensato verosimile. Che io non giudichi prima del tempo e non perda la speranza per alcuno. Amen.

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Quali credenziali per il ministero?

18 “Poi, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per visitare Cefa e stetti da lui quindici giorni; 19 e non vidi nessun altro degli apo-stoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore. 20 Ora, riguardo a ciò che vi scrivo, ecco, vi dichiaro, davanti a Dio, che non mento. 21 Poi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia; 22 ma ero sco-nosciuto personalmente alle chiese di Giudea, che sono in Cristo; 23 esse sentivano soltanto dire: «Colui che una volta ci perseguita-va, ora predica la fede, che nel passato cercava di distruggere». 24 E per causa mia glorificavano Dio” (Galati 1:18-24).

Prosegue lo schietto racconto autobiografico dell'apo-stolo Paolo con il quale egli vuole sottolineare fortemente il fatto che il messaggio dell'Evangelo di cui è portatore proviene direttamente da Dio. Il contatto con i primi di-scepoli di Gesù e con l'originale comunità cristiana, infat-ti, era stato molto limitato e la sua esperienza per molti di loro era solo “un sentito dire” fonte di grande stupefazio-ne e di lode verso Dio, che davvero agisce talvolta in

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modo decisamente imprevedibile. Il ministero di Paolo era indipendente dalla “successione apostolica”.

Sono molti anche oggi coloro che pretendono di essere ascoltati e seguiti vantando credenziali umane. Potrebbe-ro essere titoli di studio o di merito acquisiti in scuole ri-nomate, oppure certificati che mostrano come essi siano stati ufficialmente consacrati al loro ministero da un'or-ganizzazione religiosa che vanta la continuità di un'inin-terrotta successione risalente agli apostoli stessi. Per loro questo sarebbe garanzia indiscutibile di legittimità alla quale Dio stesso darebbe il sigillo di approvazione. La “competenza” di ogni autentico ministro di Dio, però, non si fonda sulla legittimazione umana ma su un'auten-tica vocazione divina ed esperienza spirituale. La chiesa può solo confermare, sanzionare, la divina vocazione di una persona, non determinarla.

Innumerevoli sono i casi in cui è l'uomo ad inviare ma Dio non lo benedice. C'è oggi infatti chi predica o addirit-tura dirige una chiesa senza avere mai avuto una reale esperienza di conversione a Cristo ed è estraneo ad una vera vita spirituale. Non hanno diritto di predicare e di amministrare le ordinanze di Cristo coloro che Dio non ha inviato, quand'anche fosse l'intera assemblea degli Apostoli ad averli consacrati imponendo loro le mani. Dio non ha mai mandato e non manderà mai come stru-mento per la conversione d'altri chi non ha mai avuto l'e-sperienza della conversione. Non invierà mai ad insegna-re le virtù di Cristo chi svolge il ministero cristiano “solo per professione” e conserva una mentalità mondana ed

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inconvertita, chi è pretenzioso, intollerante e volgare. Co-loro nei quali non dimora lo Spirito di Cristo, non hanno alcun mandato a predicare l'Evangelo. Potranno anche vantare l'approvazione di autorità umane, ma Dio se ne prenderà gioco.

D'altro canto, nessuno può presumere di propria ini-ziativa di predicare o di assumere qualche altro ministero senza esserne stato mandato. Quando poi ha ricevuto l'autorità di Dio, dovrà pure ottenere la conferma ed il mandato della comunità cristiana, come Paolo che, pur consacrato Apostolo direttamente da Cristo stesso, non ignora la comunità cristiana storica e gli altri Apostoli, ma persegue la loro approvazione conciliando con essi il suo ministero. “E come annunzieranno se non sono mandati?” (Romani 10:15).

Preghiera. Che io non presuma di poterti servire senza ave-re avuto una reale esperienza spirituale di conversione, ma nemmeno di farlo senza avere perseguito e ricevuto il mandato di una comunità cristiana. Amen.

7

Una questione di principio

1 “Poi, trascorsi quattordici anni, salii di nuovo a Gerusalemme con Barnaba, prendendo con me anche Tito. 2 Vi salii in seguito a una rivelazione, ed esposi loro il vangelo che annuncio fra gli stra-nieri; ma lo esposi privatamente a quelli che sono i più stimati, per il timore di correre o di aver corso invano. 3 Ma neppure Tito, che era con me, ed era greco, fu costretto a farsi circoncidere. 4 Anzi, proprio a causa di intrusi, falsi fratelli, infiltratisi di nascosto tra

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di noi per spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, con l'inten-zione di renderci schiavi, 5 noi non abbiamo ceduto alle imposizio-ni di costoro neppure per un momento, affinché la verità del vange-lo rimanesse salda tra di voi” (Galati 2:1-5).

I contatti fra l'apostolo Paolo e la chiesa di Gerusalem-me erano ben rari. Questo, però, non per malanimo o per-ché i due gruppi (quello di Paolo e quello di Pietro e gli altri) fossero in competizione. Vi era un reciproco ricono-scimento e rispetto, confermato dalla visita che Paolo ren-de loro 14 anni dopo l'inizio del suo ministero evangeli-stico fra i pagani. Questa visita, che il Signore stesso in ri-velazione lo spinge a fare, si era forse resa necessaria per-ché nessuno potesse avere anche solo il sospetto che l'E-vangelo di Paolo fosse diverso da quello degli altri apo-stoli.

Il problema non era la dirigenza della chiesa di Gerusa-lemme, ma i falsi fratelli che si erano infiltrati nelle comu-nità cristiane costituite da Paolo fra i pagani, i quali, con-testando il suo approccio “liberale”, insistevano che esse si conformassero alle leggi cerimoniali mosaiche. A Geru-salemme nessuno aveva costretto i cristiani d'origine pa-gana che avano accompagnato Paolo a farsi circoncidere, anzi, i cristiani della Giudea si erano compiaciuti della sua opera esortandolo solo a rammentarsi dei loro poveri con un loro fraterno e benevolo sostegno.

Ecco, allora, il punto sul quale Paolo non ha intenzione alcuna di fare compromessi o di cedere alle imposizioni legalistiche dei giudaizzanti. L'Evangelo di Cristo ci ha li-berato definitivamente dalle leggi cerimoniali ebraiche.

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Non è tollerabile alcun asservimento a pratiche religiose che avevano un senso, semmai, solo prima dell'avvento di Cristo: liturgie e cerimoniali, sacrifici, “feste comanda-te”, circoncisione ecc. Allora esse preannunciavano in modo tangibile ciò che Gesù Cristo avrebbe realizzato alla Sua venuta. Egli è venuto ed ha compiuto ciò di cui quelle pratiche erano prefigurazione. Oggi non sono più necessarie, ne siamo liberi.

È dunque una questione di principio giustificata da un sano ragionamento teologico che i giudaizzanti sembra-vano non capire. Le leggi cerimoniali dell'Antico Testa-mento per i cristiani sono superate. Rimangono in vigore e sono inalterabili solo le leggi morali che riguardano l'e-tica, il retto comportamento dei cristiani., ma tutto il resto non può essere imposto. In un'altra lettera Paolo dice: “Quelle cose hanno, è vero, una parvenza di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà e di austerità nel trattare il corpo, ma non hanno alcun valore; servono solo a soddisfare la carne” (Colossesi 2:23). Ancora oggi vi sono correnti cristiane che vorrebbero assoggettare i credenti a diverse pratiche cerimoniali dell'Antico Testamento op-pure ad altre pratiche inventate di sana pianta. Le uniche cerimonie che devono praticare i cristiani sono le ordi-nanze del Battesimo e della Cena del Signore. Nient'altro può essere imposto. Siamo liberi dal dover sottometterci a pratiche religiose di qualunque natura esse siano e te-nuti a rispettare in modo responsabile solo la legge mora-le rivelata. Non cediamo alle imposizioni di alcuno. Non lasciamoci rendere schiavi da leggi e regolamenti umani!

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Preghiera. Signore, Ti ringrazio della libertà che mi hai concesso in Cristo. Che io la viva responsabilmente e con fie-rezza. Amen.

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I rischi dell'adattarsi al nostro uditorio

6 “Ma quelli che godono di particolare stima (quello che possono essere stati, a me non importa; Dio non ha riguardi personali), quelli, dico, che godono di maggiore stima non m'imposero nulla; 7 anzi, quando videro che a me era stato affidato il vangelo per gli in-circoncisi, come a Pietro per i circoncisi 8 (perché colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche ope-rato in me per farmi apostolo degli stranieri), 9 riconoscendo la grazia che mi era stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano in segno di comunione perché andassimo noi agli stranieri, ed essi ai circon-cisi; 10 soltanto ci raccomandarono di ricordarci dei poveri, come ho sempre cercato di fare” (Galati 2:6-10).

È con un certo qual fastidio che l'Apostolo si sente co-stretto a giustificarsi di fronte a chi lo contesta. Quello che predica non è un Evangelo differente da quello an-nunziato dagli apostoli di Gerusalemme, eminenti primi discepoli di Cristo, come se essi soli fossero i Suoi più fe-deli interpreti e lui, Paolo, una sorta di eretico che rinne-ga la fede di Israele (cosa che essi non farebbero). Esiste un solo Evangelo e proprio “le colonne” della fede cri-stiana (Pietro, Giacomo e Giovanni) riconoscono la piena legittimità del messaggio e della missione di Paolo, cosa che essi gli certificano in occasione del suo viaggio a Ge-rusalemme. Quel che li differenzia è solo il target, il parti-

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colare tipo di persone che essi sono chiamati a raggiunge-re attraverso quello stesso Evangelo: Pietro gli ebrei, Pao-lo i pagani, le genti.

L'Evangelo, dunque, non cambia: non c'è un Evangelo dei pagani ed uno degli ebrei. È solo il linguaggio che deve essere adattato a coloro ai quali ci rivolgiamo, un linguaggio che essi devono poter comprendere. Paolo co-nosce bene e pratica questo principio quando scrive: “Poiché, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tut-ti, per guadagnarne il maggior numero; con i Giudei, mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge, mi sono fatto come uno che è sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge, mi sono fat-to come se fossi senza legge (pur non essendo senza la legge di Dio, ma essendo sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi sono fatto ogni cosa a tutti, per salvar-ne ad ogni modo alcuni. E faccio tutto per il vangelo, al fine di esserne partecipe insieme ad altri” (1 Corinzi 9:19-23).

Paolo è fedele all'Evangelo di Cristo, ma si sente libero di adattarlo al particolare uditorio che incontra anche a rischio di essere frainteso da coloro che non intendono il suo metodo. Con i pagani utilizza categorie che potrebbe-ro essere estranee alla mentalità ebraica, con gli ebrei ca-tegorie ebraiche che gli altri non intenderebbero. Adatta-re il linguaggio senza alterare la sostanza dell'Evangelo è un'arte raffinata che dobbiamo apprendere se vogliamo comunicarlo con efficacia. Quanto spesso è vero che l'in-

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successo evangelistico è dovuto non alla durezza dell'u-ditorio, ma alla nostra incapacità di parlare il linguaggio della gente adattandoci alla loro mentalità. Parliamo ma-gari nel “dialetto” della nostra chiesa senza chiederci se gli altri lo capiscano! Non dobbiamo temere di essere in-fedeli se con alcuni utilizziamo un linguaggio diverso. È vero: corriamo dei rischi, ma sono rischi che dobbiamo assumerci. Qualcuno potrà esserne scandalizzato, pazien-za. Dobbiamo imparare dalla franchezza e dalla determi-nazione di Paolo: evangelizzare, ad ogni costo!

Preghiera. Dammi, o Signore, la sapienza di comunicare l'Evangelo fedelmente, ma in modo comprensibile! Nel nome di Cristo. Amen.

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Adattamento o compromesso?

11 “Ma quando Cefa venne ad Antiochia, gli resistei in faccia per-ché era da condannare. 12 Infatti, prima che fossero venuti alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con persone non giudaiche; ma quando quelli furono arrivati, cominciò a ritirarsi e a separarsi per timore dei circoncisi. 13 E anche gli altri Giudei si misero a simu-lare con lui; a tal punto che perfino Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia. 14 Ma quando vidi che non camminavano rettamen-te secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei giudeo, vivi alla maniera degli stranieri e non dei Giudei, come mai costringi gli stranieri a vivere come i Giudei?»” (Galati 2:11-14).

Non c'è differenza fra l'Evangelo predicato da Paolo e quello predicato da Pietro, il riconoscimento reciproco è

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franco ed aperto. Pietro non ha problema a vivere “alla maniera degli stranieri e non dei Giudei” perché sa che la sal-vezza non dipende dalla conformità alle pratiche cerimo-niali ebraiche, ma dalla fede in Cristo. Il problema era l'incoerenza di Pietro, tanto che Paolo era stato costretto a riprendere pubblicamente Pietro. Pietro, infatti, con gli israeliti, non solo adattava loro il suo linguaggio (cosa le-gittima e necessaria), ma anche, in certe cose, il suo com-portamento, causando così equivoco e confusione sulla sostanza dell'Evangelo. Agli ebrei, per esempio, era proi-bito di mescolarsi con i pagani ed essi esigevano che i pa-gani che si accostavano alla fede ebraica dovessero farsi circoncidere. La fede cristiana questo non lo richiede, anzi, “Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3:28), come pure: “in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l'incirconcisione; quello che vale è la fede che opera per mezzo dell'amore” (Gala-ti 5:6). Pietro, però, per compiacere gli israeliti (ed attirar-li a Cristo) o per timore, simulava la sua conformità alle prescrizioni cerimoniali ebraiche (che altrimenti avrebbe ritenuto superate). È così che Paolo giustamente “resiste in faccia” a Pietro, “perché era da condannare”. Forse Pietro temeva che non facendo come gli israeliti essi si scanda-lizzassero respingendolo e rifiutando Cristo? Su questio-ni di principio, però, non si può transigere, quale che sia la possibile reazione del nostro uditorio.

Non si può fare accettare Cristo “a tutti i costi”. Non possiamo dire: “Basta che accettino Cristo e siamo dispo-

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sti ad ogni compromesso”. Paolo stesso sarebbe stato condannabile se, per attirare i pagani, avesse fatto com-promessi con qualche loro pratica idolatrica. In quel caso Pietro avrebbe fatto bene a “riprenderlo in faccia”. Nel corso della storia, pratiche idolatriche e pagane sono state di fatto “cristianizzate” perché fosse “più facile” l'accesso dei pagani alla fede cristiana. L'Evangelo, così, è stato compromesso ed alterato tanto da renderlo irriconoscibi-le, tanto da renderlo “altro”. Sappiamo, però, che non può esistere “un altro Evangelo”.

Oggi, allo stesso modo, c'è chi “annacqua” l'Evangelo per renderlo “maggiormente accettabile”alla nostra gene-razione, oppure lo mescola con le ideologie o i costumi prevalenti adattandolo per renderlo “più appetibile” o “attuale”. Anche se, così facendo, riusciamo ad avere “le chiese piene”, il risultato è tragico e fatale non solo per la fede cristiana, ma per la stessa salvezza di chi prende per buono un tale “Evangelo”, perché non risulta più quel che dovrebbe essere. Quali sono le cose fondamentali del-la fede cristiana sulle quali non possiamo fare compro-messi?

Preghiera. Signore, dammi di proclamare e vivere l'Evan-gelo in tutte le sue implicazioni con chiarezza e senza paura, sicuro che porterà frutto come e dove Tu così hai deciso. Amen.

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Nient'altro che Cristo

15 “Noi Giudei di nascita, non stranieri peccatori, 16 sappiamo che l'uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Cristo Gesù, e abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dal-le opere della legge; perché dalle opere della legge nessuno sarà giu-stificato. 17 Ma se nel cercare di essere giustificati in Cristo, siamo anche noi trovati peccatori, vuol dire che Cristo è un servitore del peccato? No di certo! 18 Infatti se riedifico quello che ho demolito, mi dimostro trasgressore. 19 Quanto a me, per mezzo della legge, sono morto alla legge affinché io viva per Dio” (Galati 2:15-19).

A molti lettori potrebbe sembrare che i problemi che l'Apostolo affronta nelle argomentazioni che sviluppa in questa lettera non siano per loro rilevanti. Di fatto lo sono se ci diamo la pena necessaria di comprenderle e poi di trasporle alla nostra situazione.

Facciamo allora una parafrasi di quanto Paolo scrive in questo testo: "Noi, che siamo nati in una famiglia ebraica e la cui identità, cultura e tradizione si trova nell'ebrai-smo, ci teniamo lontani dal modo di vivere delle altre genti. Lo consideriamo non solo qualcosa di estraneo, ma anche di peccaminoso, perché non in armonia con la vo-lontà rivelata di Dio. Per questo cerchiamo di seguire di-ligentemente quest'ultima. L'Evangelo, però, ci ha inse-gnato che la nostra accettabilità da parte di Dio (l'essere da Lui considerati giusti, "a posto") non è il risultato dal-l'osservanza delle prescrizioni della Sua legge, ma della

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fede nel Signore e Salvatore Gesù Cristo. Nessuno, infat-ti, potrà mai, per quanto si impegni, conquistarsi "la pa-tente" di uomo giusto attraverso l'osservanza di queste prescrizioni. Perché? Perché il peccato è anche qualcosa che ha corrotto profondamente la natura umana, la no-stra natura, tanto che pretendere di risanare questa con-dizione attraverso la semplice osservanza di leggi e rego-lamenti, solo significherebbe aumentare la nostra colpe-volezza. Significherebbe, infatti, ignorare o sottovalutare la diagnosi che Dio fa della nostra condizione, non pren-derlo sul serio quando ce ne parla. Significherebbe - ed è la cosa più grave - misconoscere e sottovalutare l'opera che il Salvatore Gesù Cristo ha compiuto quando ha rea-lizzato Egli stesso, in nostro favore, per grazia, ciò che a noi è impossibile. Cristo ci darebbe in questo modo licen-za di trascurare impunemente la legge di Dio diventando Egli stesso promotore di peccato? Niente affatto! Cristo ci fa intendere il senso delle antiche prescrizioni cerimoniali della legge di Dio e, di fatto, ci mette in grado di osserva-re le Sue prescrizioni morali, non più per conquistarci il Suo favore, ma, con la Sua forza, facendo sì che la loro os-servanza sia espressione di riconoscenza e di amore verso di Lui. Cristo ha sconfessato come futili le pretese umane di conquistarci da noi stessi la nostra accettabilità da par-te di Dio attraverso l'osservanza della legge. Se noi, con-traddicendolo, torniamo a sostenerle, rinneghiamo Colui nel quale diciamo di credere e, per così dire, ricostruiamo ciò che Egli ha demolito. È come se ora io fossi morto alla legge. Chi è morto, infatti, non può guadagnarsi nulla e sono consapevole di essere tale spiritualmente. Ho affida-

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to, però, la mia vita a Cristo e vivo in Lui, con Lui e per Lui".

Per la maggior parte fra noi è probabile che le prescri-zioni cerimoniali della legge mosaica ci siano estranee e non siano cosa che noi consideriamo importante osserva-re. Quanto spesso, però, sottovalutiamo la radicalità in-validante del peccato sulla nostra vita ed immaginiamo di poterci conquistare il favore di Dio conformandoci ai nostri personali criteri di giustizia. Potrebbe essere la no-stra "rispettabilità borghese" o l'osservanza di pratiche re-ligiose attraverso le quali crediamo di "metterci a posto" con Dio! Così facendo non solo contestiamo la diagnosi che di noi fa la Parola di Dio, presumendo arrogantemen-te di "cavarcela da soli", magari con qualche "aiutino" o attraverso un perdono a buon mercato da parte di Dio.

Quel ch'è peggio è che, così facendo, noi disonoriamo la Persona e l'opera del Signore e Salvatore Gesù Cristo, affidandoci alla quale soltanto noi potremo essere giusti-ficati e riconciliati con Dio per potergli ubbidire di tutto cuore, spiritualmente rigenerati.

Preghiera. Signore Iddio, che io prenda molto seriamente la diagnosi che Tu fai nella Tua Parola sulla mia disperante con-dizione spirituale, affinché, per la mia giustificazione e salvez-za io mi affidi alla Persona ed all'opera di Gesù Cristo soltanto. Nel Suo nome Ti prego. Amen.

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Morti e viventi con Cristo

20 "Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me. 21 Io non annullo la grazia di Dio; perché se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque morto inutilmente" (Galati 2:20-21).

Chi pretende di imporre ai cristiani, in qualsiasi forma, il sistema legale della legge mosaica (o un qualunque al-tro sistema legale dalla cui osservanza si vorrebbe far di-pendere la salvezza), di fatto annulla e rinnega la grazia di Dio in Gesù Cristo proclamata dall'Evangelo. È un'ac-cusa grave ma fondata che giustifica le forti ed indignate espressioni che l'Apostolo rivolge ai cristiani della Gala-zia, sviati da insegnamenti eversivi che vanificano l'Evan-gelo di Cristo. Ancora oggi c'è chi diffonde, in un modo o in un altro, insegnamenti altrettanto eversivi che pregiu-dicano la sostanza della fede cristiana proclamata dagli Apostoli. In questo testo Paolo dichiara come e perché egli, insieme ad ogni autentico cristiano, debba essere considerato "morto" per la legge mosaica e quindi libero da essa.

La verità centrale proclamata dall'Evangelo è che il Si-gnore e Salvatore Gesù Cristo ha amato gli eletti fino al punto di dare per loro Sé stesso completamente. Cristo, così, muore in croce pagando in quel modo Egli stesso, al

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posto ed in loro favore, la pena che la giustizia di Dio prescrive per averla trasgredita. Coloro che si affidano a Cristo come loro Salvatore possono così dire, come affer-ma l'Apostolo, che essi siano stati crocifissi con Cristo. "Là su quella croce, con Cristo ed in Cristo, io sono mor-to. Il debito che avevo verso la legge di Dio è stato paga-to. Io non devo più nulla alla legge. Essa non può più pretendere nulla da me così come non si può più preten-dere nulla da chi è morto. La pena è stata completamente espiata. Ciò che la giustizia prescrive è stato soddisfatto".

È chiaro, così, come chi ripropone la presunta esigenza salvifica di sottoporsi, conformarsi, ai dettami della legge mosaica (o di un qualsiasi sistema legale religioso) non abbia ancora compreso tutte le implicazioni per il creden-te del sacrificio di Cristo. Anzi, riproponendo l'esigenza di sottoporsi dettami della legge, egli, di fatto, vanifica la morte di Cristo in croce, la rende inutile. Se, infatti, per la mia salvezza, io dovessi ancora conformarmi a ciò che la legge prescrive, pena la mia dannazione, perché mai Cri-sto sarebbe morto in croce? Forse per Sé stesso? O forse che Cristo ha pagato solo parte del mio debito verso la legge e io ancora devo risarcirne il resto nei termini di ubbidienza o di parziale condanna? No, "Cristo ha paga-to completamente il prezzo della mia salvezza e io alla legge non devo più nulla. Essa non può più pretendere nulla da me. Con Cristo ed in Cristo, io sono morto".

C'è di più: con Cristo ed in Cristo io sono risuscitato ad una nuova vita. "La vita che vivo ora nella carne la vivo nella fede nel Figlio di Dio". Così come per fede io sono morto

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con Cristo in croce, così per fede io vivo con Cristo la vita di risurrezione, una vita nuova, impostata a nuovi princi-pi. L'identificazione di Paolo e di ogni credente con Cri-sto non riguarda, così, solo la morte, ma anche la vita. Paolo può così dire: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". Affidandomi a Cristo io mi sono lasciato alle spalle, "morto e sepolto", pure il mio vecchio modo di pensare, di parlare e di agire. Ora ragiono, parlo ed agi-sco, secondo nuove categorie, quelle di Cristo, tanto che ora è possibile dire che Cristo vive in me. I cristiani, perciò, sono coloro attraverso i quali vive il Cristo, tanto che essi legittimamente, calcando le Sue orme e guidati dal Suo insegnamento e Spirito, sono considerati "il corpo di Cri-sto", del quale Egli è anima e capo.

Possiamo allora affermare anche noi con l'Apostolo: "Io non annullo la grazia di Dio"? Presto forse ascolto e do credito a chi vorrebbe tornare a sottoporre il cristiano a dei sistemi legali considerati in qualche modo "essenziali" alla salvezza?

Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio che Cristo ha conse-guito, con la Sua vita, morte e risurrezione, tutto ciò che vale per la mia salvezza. Che io non mi lasci sottoporre più ad alcu-na servitù, ma viva con fiducia e riconoscenza la libertà dei fi-gli di Dio. Amen.

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Dopo aver scoperto il nuovo, ritornare al vecchio?

"1 O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso? 2 Questo soltanto desi-dero sapere da voi: avete ricevuto lo Spirito per mezzo delle opere della legge o mediante la predicazione della fede? 3 Siete così insen-sati? Dopo aver cominciato con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne? 4 Avete sofferto tante cose invano? Se pure è proprio invano. 5 Colui dunque che vi somministra lo Spirito e opera miracoli tra di voi, lo fa per mezzo delle opere della legge o con la predicazione della fede?" (Galati 3:1-4).

L'errore in cui erano caduti a quel tempo i cristiani del-la Galazia era tanto grave da pregiudicare la sostanza stessa dell'Evangelo, quello che era stato inizialmente loro annunciato.

Che cosa era stato loro predicato? Qualcosa di radical-mente diverso da ogni concezione religiosa allora corren-te e che a tutt'oggi rimane del tutto anticonformista, anzi, qualcosa di scandaloso e folle: "Noi predichiamo Cristo cro-cifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia" (1 Corinzi 1:23). Ciò che era stato "dipinto" di fronte ai loro occhi aveva davvero "tinte forti": "Un Dio crocifisso come il peggiore fra i criminali? Un Dio trafitto e sconfitto? Che insensatezza!". Non solo questo: l'Apostolo aveva loro annunciato la salvezza per la sola grazia di Dio mediante la sola fede in Cristo Gesù soltanto. "Come? Non c'è nulla da 'fare' per essere salvati? Farebbe tutto Lui? Che assur-

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dità! Troppo facile!". "Come? Noi saremmo del tutto inca-paci di fare alcunché per contribuire alla nostra salvezza? No, noi non siamo poi così male... Noi possiamo...". "Come? Dio salverebbe solo chi Lui stesso sceglie ed abi-lita? Ma questo sarebbe ingiusto! Siamo noi (i più merite-voli) a scegliere, noi ad agire, noi a potere migliorare noi stessi... Abbiamo solo bisogno di qualche incoraggiamen-to...".

Queste sono alcune fra le tante contestazioni che ven-gono poste all'Evangelo, ieri come oggi. Molti per questo respingono l'Evangelo, altri lo modificano, adattandolo alle umane aspirazioni, "normalizzandolo", riconducen-dolo ai concetti che contraddistinguono le religioni di questo mondo, quelli che ci sono più famigliari, quelli che ci sembrano "più logici", in linea con "la tradizione" (qualunque essa sia). Paolo, per loro, aveva proposto, quindi, un Evangelo "insensato", sicuramente da correg-gere, da modificare...

Ad essere insensati si erano rivelati, però, i cristiani del-la Galazia. Essi, attraverso la predicazione dell'Evangelo, avevano ricevuto uno Spirito diverso da quello che spira in questo mondo: "...lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo cono-scete, perché dimora con voi, e sarà in voi" (Giovanni 14:17). Dio li aveva rigenerati spiritualmente ed aveva impartito loro la fede che li aveva innestati in Cristo: questa era sta-ta la loro salvezza. Tutto questo, però, era per loro stato vano? Ora avrebbero voluto ritornare ai concetti tradizio-nali della salvezza per opere? Dopo avere scoperto l'am-

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bito dello Spirito di Dio, concetti e realtà molto diversi da quelli comuni in questo mondo, avrebbero voluto conse-guire "la perfezione" attraverso i metodi tradizionali, "le opere della legge" realizzate con le presunte risorse natu-rali dell'uomo, quelle della "carne"? Dopo aver scoperto l'efficacia del nuovo, avrebbero voluto ritornare alle pre-tese illusorie del vecchio? Questo sì che era insensato. Quanti oggi sono altrettanto insensati da tornare sul bi-nario morto delle religioni di questo mondo? Per alcuni l'Evangelo è troppo "scandaloso".

Preghiera. Signore Iddio, che io non diventi altrettanto in-sensato come coloro che respingono l'Evangelo o lo vogliono modificare, perché "non combacia" con le concezioni prevalenti in questo mondo o con quello che riteniamo "migliore" o "più comprensibile". Che io assorba sempre di più "la mente di Cri-sto", la realtà rivoluzionaria dell'Evangelo. Amen.

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Un rapporto non con un libro, ma con una Persona

6 "Così anche Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia. 7 Riconoscete dunque che quanti hanno fede sono fi-gli d'Abraamo. 8 La Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustifi-cato gli stranieri per fede, preannunciò ad Abraamo questa buona notizia: «In te saranno benedette tutte le nazioni». 9 In tal modo, co-loro che hanno la fede sono benedetti con il credente Abraamo. 10 Infatti tutti quelli che si basano sulle opere della legge sono sotto maledizione; perché è scritto: «Maledetto chiunque non si attiene a tutte le cose scritte nel libro della legge per metterle in pratica». 11 E che nessuno mediante la legge sia giustificato davanti a Dio è evi-

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dente, perché il giusto vivrà per fede. 12 Ma la legge non si basa sul-la fede; anzi essa dice: «Chi avrà messo in pratica queste cose, vivrà per mezzo di esse». 13 Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno»), 14 affinché la benedizione di Abraamo venisse sugli stranieri in Cristo Gesù, e ricevessimo, per mezzo della fede, lo Spirito promesso" (Galati 3:6-14).

Le argomentazioni dei legalisti, che tanto sembrano condizionare le comunità cristiane della Galazia, non co-stituiscono solo una perversione dell'Evangelo, ma deri-vano da una comprensione errata o inadeguata delle basi stesse della fede di Israele. Paolo può affermarlo con competenza perché egli non solo può vantare di essere apostolo di Cristo a pieno diritto, ma perché egli può es-sere indiscutibilmente considerato esperto interprete e maestro di ebraismo, essendo stato educato nelle migliori scuole teologiche del tempo. "Io sono un giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ... educato ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri; sono stato zelante per la causa di Dio, come voi tutti siete oggi" (Atti 22:3).

Paolo, così, esamina con competenza ed autorità la vi-cenda del "padre" stesso della fede di Israele, Abraamo, la figura di israelita per eccellenza nella quale ogni auten-tico israelita trova suo modello e rispetto al quale può le-gittimamente definirsi "figlio d'Abraamo". Chi può defi-nirsi così "figlio di Abraamo"? Coloro che ricalcano la sua fede, che lo seguono come proprio modello. In che modo Abraamo ha conseguito la condizione di "giusto davanti a Dio"? Non con il metodo e lo spirito dei legalisti che turbano e confondono i cristiani della Galazia, cioè trami-

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te l'osservanza rigorosa della legge morale e cerimoniale di Mosè (che al tempo di Abraamo nemmeno era stata formulata come tale) ma tramite la fede, cioè accordando a Dio piena ed incondizionata fiducia.

La religione rivelata, infatti, non consiste tanto nel rap-portarsi ad una legge, a dei regolamenti, a dei libri, ma prima di tutto in un rapporto intimo e personale con il Dio vero e vivente impostato sulla fiducia. Lo stesso vale per tutti coloro che, a qualunque nazione appartengano, si pongono nella prospettiva di Abraamo: quando il Dio vero e vivente si rivela loro e li chiama, essi Gli rispondo-no accordandogli piena ed incondizionata fiducia. È que-sto il modo in cui essi Gli possono essere graditi: se c'è questa loro fiducia di fondo in Lui, l'ubbidienza alla Sua volontà rivelata ne conseguirà come naturale e libero frutto della fede. La promessa che Dio fa ad Abraamo, al-lora, è davvero una buona notizia: "Da te sorgerà un po-polo di credenti che sarà di benedizione per tutto il mon-do" .Gente in armonia con Dio, infatti, non potrà che ri-flettere dovunque il carattere di Dio stesso praticando e diffondendo amore e giustizia, beneficando chiunque, come faceva Gesù stesso che, "...unto di Spirito Santo e di potenza ... com'egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, per-ché Dio era con lui" (Atti 10:38).

Lo spirito di Gesù era ben diverso da quello dei Farisei, rigoristi della religione, che addirittura accusavano Gesù, il Figlio di Dio, di non conformarsi come loro pensavano fosse necessario, alla legge di Dio! Gesù onorava la legge

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di Dio conformandosi al suo spirito e non tanto alla lette-ra, tenendo conto delle persone e delle circostanze in rap-porto dinamico con Dio Padre.

La legge di Dio è allora superflua? Non è forse Dio che l'ha rivelata? Certo, "Noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne fa un uso legittimo" (1 Timoteo 1:8). Bisogna, infatti chiedersi quale sia la funzione che essa assolve nella si-tuazione specifica in cui ci troviamo. La legge diventa una vera e propria maledizione se si vive solo in funzione di essa, perché essa esige perfetta (e per noi impossibile) conformità. Nemmeno, infatti, la più rigorosa conformità alla legge di Dio sarebbe sufficiente per renderci giusti davanti a Dio, ci ritroveremmo sempre manchevoli di qualcosa, perennemente frustrati e quindi inevitabilmen-te condannati. La nostra natura, infatti, è radicalmente contaminata dal peccato e non riusciremmo nemmeno a viverla nello spirito giusto, quello di chi è in comunione fiduciosa ed amorevole con Dio.

Il legalista, perennemente frustrato o apparentemente (e quindi ipocritamente) conforme alla legge, in fondo odia Dio e diventa lui stesso per gli altri un fardello in-sopportabile. Solo Gesù ci libera dalla maledizione della legge, perché prima Egli prende su di Sé la condanna che noi meritiamo come trasgressori e la espia, poi ci dona il Suo Spirito affinché, riconciliati con Dio grazie a Lui, vi-viamo il rapporto con Dio e quindi con la legge, come Lui faceva. Non è quindi l'osservanza della legge di Dio che ci rende giusti davanti a Dio, ma la fede in Dio il quale, in Gesù ci fa uscire dalla situazione di ineluttabile condanna

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in cui ci troviamo. Come viviamo noi la religione? Come un rapporto con leggi, regolamenti, rituali ed istituzioni, oppure come un rapporto vivo d'amore e di fiducia con la Persona di Dio?

Preghiera. Signore Iddio, Ti sono grato perché il mio Si-gnore e Salvatore Gesù Cristo, benché non ne fossi degno, mi ha riconciliato con Te tramite la Sua opera permettendomi, così, di vivere l'amore e la giustizia prescritti dalla Tua Legge nello spirito giusto, in fiduciosa comunione con Te. Che la mia vita sia così testimonianza di chi vive in comunione con Te per beneficare il mondo. Amen.

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Un dono incondizionato 15 "Fratelli, io parlo secondo le usanze degli uomini: quando un te-stamento è stato validamente concluso, pur essendo soltanto un atto umano, nessuno lo annulla o vi aggiunge qualcosa. 16 Le promesse furono fatte ad Abraamo e alla sua progenie. Non dice: «E alle pro-genie», come se si trattasse di molte; ma, come parlando di una sola, dice: «E alla tua progenie», che è Cristo. 17 Ecco quello che voglio dire: un testamento che Dio ha stabilito anteriormente, non può es-sere annullato, in modo da render vana la promessa, dalla legge so-praggiunta quattro centotrent'anni più tardi. 18 Perché se l'eredità viene dalla legge, essa non viene più dalla promessa; Dio, invece, concesse questa grazia ad Abraamo, mediante la promessa" (3:15-18)..

Le benedizioni del perdono, della rigenerazione e della salvezza in eterna comunione con Lui sono un dono che Dio fa ai peccatori che si affidano al Signore e Salvatore Gesù Cristo. Esse sono grazia, espressione dell'incondi-

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zionata generosità di Dio, non qualcosa che sia "da meri-tare" attraverso l'osservanza della Sua legge. La legge è sicuramente buona, ma ha finalità diverse.

Le benedizioni di Dio possono essere paragonate ad un testamento attraverso il quale un padre esprime la sua volontà di lasciare i suoi beni alla sua morte ai suoi figli. Non comporta condizioni e non l'ha mai alterato cam-biando idea sulle sue condizioni. Il patto è stato firmato e confermato. Niente e nessuno può metterlo in questione o alterarne sostanza e le modalità. È irrevocabile. Così è il patto fatto da Dio ad Abraamo ed alla sua progenie. In questo testo l'Apostolo ne specifica il beneficiario e la data in cui è stato stipulato.

Chi è il beneficiario di questo patto? Abraamo e la sua progenie. Paolo rileva come, nell'originale, il termine "progenie" sia singolare, non plurale. Andrebbe meglio tradotto: "Abraamo e il suo discendente". Beneficiario della promessa di Dio è una sola persona, che l'Apostolo precisa essere il Cristo. La questione è rilevante perché, a differenza di quanto gli Israeliti credono, il termine pro-genie non si riferisce al popolo di Israele nel suo insieme. Non ha un significato nazionalista come se, per ricevere le benedizioni promesse ad Abraamo fosse necessario ap-partenere al popolo ebraico e quindi fosse necessario sot-tostarne ai requisiti (ad esempio, la circoncisione).

Cristo, di fatto, è il solo erede e canale delle promesse benedizioni di Dio. Non è necessario far parte formal-

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mente della nazione ebraica per poter partecipare a que-ste benedizioni: bisogna essere in Cristo, essere in comu-nione con Lui, appartenere a Lui. Infatti: "Se siete di Cri-sto, siete dunque discendenza d'Abraamo, eredi secondo la pro-messa" (Galati 3:29). Cristo, il discendente di Abraamo, in-clude in sé la comunità dei credenti, nella quale non c'è alcuna distinzione di nazionalità, razza, condizione socia-le o genere. Proprio come la progenie è una sola (v. 16), così "voi tutti siete uno in Cristo Gesù" (v. 28).

Quando è stato stabilito questo patto? Esso porta una data precisa ed essa stabilisce la sua precedenza su ogni altro documento in seguito sopravvenuto che non può cambiarne i termini. La legge mosaica è sopravvenuta 430 anni dopo il patto stabilito con Abraamo. L'Apostolo afferma come i due documenti debbano essere radical-mente distinti e non possano essere confusi. I termini del-l'uno e dell'altro sono diversi. Quanto la legge prescrive al tempo di Abraamo non era né contemplato né c'è evi-denza alcuna che fosse implicato. Presupporlo non ha al-cun fondamento né legittimazione. I termini irrevocabili del patto sono stati stabiliti molto tempo prima che fosse-ro stabilite le leggi mosaiche.

La distinzione fra promessa e legge è la stessa che esi-ste fra Evangelo e legge. Essa è radicale e nessun compro-messo o distinguo è possibile: le benedizioni del Patto ci sono impartire per pura grazia, senza alcun presupposto o condizione. L'eredità promessa è dono, grazia, non una ricompensa per aver osservato la legge: "Perché se l'eredi-

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tà viene dalla legge, essa non viene più dalla promessa; Dio, in-vece, concesse questa grazia ad Abraamo, mediante la promes-sa" (18). L'eredità promessa è un dono. Considerare ri-compensa ciò che è già stato ricevuto come dono è illogi-co ed insensato. Affermare il contrario significherebbe pure offendere il donatore.

Preghiera. Signore, Ti ringrazio per avermi unito per fede a Cristo e per avermi fatto così partecipe delle benedizioni pro-messe a Lui ed in Lui. Fa sì che mai io vi interponga i miei "sì, ma, già e però"... ma che fiduciosamente io viva di questa Tua stupefacente generosità. Amen.

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Comprendere la funzione della legge (1)

19 "Perché dunque la legge? Essa fu aggiunta a causa delle tra-sgressioni, finché venisse la progenie alla quale era stata fatta la pro-messa; e fu promulgata per mezzo di angeli, per mano di un media-tore. 20 Ora, un mediatore non è mediatore di uno solo; Dio invece è uno solo" (Galati 3:19-20).

L'Apostolo qui interrompe la sua argomentazione e si chiede: Perché dunque la legge (di Dio)? Anche se non sal-vifica, indubbiamente essa ha una funzione. Nessuno po-trebbe accusarlo di promuovere un relativismo etico o, peggio, una vita amorale. Perché Dio ha stabilito, per la condotta dell'essere umano, una legge? La breve risposta che qui Paolo fornisce tocca tre punti: (1) la funzione ne-gativa della legge; (2) il carattere temporaneo della legge; (3) l'origine mediata della legge.

1. Secondo l'Apostolo, la legge ha una funzione negati-va: "Essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni" (19). Paolo ha già dimostrato ciò che la legge non può fare: non può rendere giusto alcuno davanti a Dio (v. 11); non è basata sulla fede (v. 12); non è condizione per essere benedetti da Dio (v. 18). La legge fornisce pure un criterio oggetti-vo secondo il quale si misurano le nostre trasgressioni, il criterio secondo il quale Dio giudica la nostra vita. Dio ha pubblicato la Sua legge affinché noi si sappia quanto sia-mo peccatori, quanto ci discostiamo da ciò che Dio ritiene giusto. Il peccato certo esisteva prima che la legge di Dio

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fosse pubblicata [cfr. "Poiché, fino alla legge, il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c'è legge" (Romani 5:13)], ma dopo la sua pubblicazione, il peccato poteva cosi essere chiaramente specificato e mi-surato (cfr. Romani 3:20; 4:15; 7:7). Ogni atto o atteggia-mento poteva allora essere etichettato come trasgressione di questo o di quel comandamento della legge. Immagi-niamo uno stato in cui vi siano molti incidenti stradali, ma nessun codice stradale. Sebbene molti guidino in modo pericoloso e dannoso, è difficile designare quali atti siano da considerare dannosi, fintanto che la legisla-tura pubblichi un codice stradale che definisca in che cosa consista la guida corretta e secondo il quale precisa-re le sue trasgressioni. Il codice stradale permette di iden-tificare e perseguire i cattivi conducenti.

2. Il carattere temporaneo della legge è chiaramente stabilito dalle parole: "aggiunta ... finché venisse la progenie alla quale era stata fatta la promessa" (v. 19). Paolo aveva già messo in rilievo come la legge mosaica fosse stata data 430 anni prima della promessa ad Abraamo (v. 17). Il ter-mine "aggiunta" implica come la legge non sia per Dio un tema centrale del Suo progetto di redenzione, ma qualco-sa di supplementare e secondario rispetto al patto eterno fatto con Abraamo. Così come la parola "aggiunta" segna il punto di inizio della legge mosaica, la parola "finché" segna il suo punto finale. Ecco così come la legge mosaica vada in vigore ad un certo punto della storia e rimanga in vigore (conservi questa sua funzione specifica) fintanto che non sia comparsa la progenie, cioè Cristo. La promes-

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sa ha così valore permanente e la legge, in questo senso, natura temporanea. La promessa è stata fatta molto tem-po prima della legge e rimarrà in vigore per lungo tempo dopo il periodo della legge; d'altro canto, la legge è stata in vigore per un tempo relativamente breve e limitato in entrambe le direzioni dalle parole aggiunta e finché. Men-tre il Giudaismo ed i giudaizzanti mettevano in rilievo il carattere eterno ed imprescindibile della legge, la pro-spettiva di Paolo è che Cristo, non la legge, ha un caratte-re eterno. Cristo è il principio, il centro e la fine dei piani di Dio. La legge è solo un passo, un gradino, verso l'a-dempimento di ogni cosa in Cristo.

3. Nella sua affermazione: "fu promulgata per mezzo di angeli, per mano di un mediatore", Paolo designa l'origine della legge. La tradizione giudaica metteva in rilievo come la grande gloria della legge derivasse dal fatto che essa fosse stata proclamata attraverso una serie di inter-mediari, angeli e lo stesso Mosè. Di fatto, per Paolo, que-sto dimostra l'inferiorità della legge rispetto alla promes-sa, perché la promessa è stata fatta in modo immediato da Dio, da "un unico", dall'Uno, che è più importante dei molti intermediari ("Ora, un mediatore non è mediatore di uno solo; Dio invece è uno solo" v. 20). Si illudono, sembra dire Paolo, coloro che affermano che attraverso l'ubbi-dienza della legge si possa avere accesso immediato a Dio, perché la legge stessa è mediata, è passata attraverso degli intermediari. Solo, però, la promessa di Dio che si realizza in Cristo può farci avere accesso immediato a Dio. Lo testimonia il dono dello Spirito dato a coloro che

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sono in Cristo. Cristo, e non la legge, è stato strumentale affinché i credenti in Lui potessero essere riconciliati con Dio e facessero esperienza di Dio.

La legge non aggiunge nulla a ciò che già ci è stato con-cesso in Cristo. Il fatto poi che Dio sia uno solo implica un contrasto fra l'universalità di Dio e la particolarità della legge. La legge divide Ebrei e Gentili ed è stata data tra-mite Mosè, leader di una nazione soltanto. Cristo, però, è il mediatore dell'unità di tutti i credenti in Cristo Giudei e greci, schiavi e liberi, uomini e donne. Mentre così la legge è rivolta ad un popolo soltanto, Cristo è l'erede di una benedizione che copre tutte le nazioni.

Preghiera. Signore Iddio, quando la Tua legge mi è stata presentata, mi sono reso conto quanto io sia peccatore, condan-nato, impotente a salvare me stesso e quanto io avessi bisogno del Salvatore Gesù Cristo. Che io tenga sempre il Cristo al cen-tro della mia attenzione e vita, affinché tramite Lui io abbia co-stante accesso a Te ed alle benedizioni che tu hai promesso. Amen.

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Comprendere la funzione della legge (2) 21 La legge è dunque contraria alle promesse di Dio? No di certo; perché se fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge; 22 ma la Scrittura ha rin-chiuso ogni cosa sotto peccato, affinché i beni promessi sulla base della fede in Gesù Cristo fossero dati ai credenti" (Galati 3:21-22).

Per coloro che allora attribuivano valore supremo alla legge di Dio, le affermazioni di Paolo che attribuiscono alla legge, invece, un ruolo limitato e secondario nei piani di Dio attraverso la storia, suonavano come una stupefa-cente e pericolosa svalutazione. Come poteva Paolo "par-lare contro" alla legge in questo modo? Gli contestavano, infatti, "La legge è dunque contraria alle promesse di Dio?". "Assolutamente no!", risponde Paolo. Dato che sia la leg-ge che le promesse provengono da Dio, esse debbono es-sere considerate non come contraddittorie, ma come complementari. L'Apostolo, così, prima presenta le logi-che conseguenze, contrarie ai fatti, del considerare la leg-ge in modo positivo (v. 21) e poi passa dall'ipotesi alla realtà del ruolo negativo della legge (v. 22).

1) "Se fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge". La legge non è in grado di "produrre la vita", cioè non ha la capa-cità in sé stessa di farci vivere in modo gradito a Dio, "vi-vere per Dio" (2:19). Come dice il proverbio: "Tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare". Se la legge, di per sé stes-

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sa, potesse darci la capacità di vivere in giusto rapporto con Dio, "allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge". Era quello che dicevano gli avversari di Paolo che pro-muovevano la legge come il modo per vivere per Dio. Erano loro, però, che ponevano la legge in diretta opposi-zione alla promessa, contraddicendo così, l'Evangelo. Come Paolo, però, già aveva detto: "Se la giustizia si otte-nesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque morto inu-tilmente" (2:21).

È solo quando si dà alla legge un ruolo positivo che essa si oppone direttamente alla promessa adempiuta in Cristo. Non è forse una contraddizione dire allo stesso tempo che solo affidandoci al sacrificio espiatorio di Cri-sto sulla croce si è in grado di vivere in giusto rapporto con Dio e poi anche che solo osservando la legge si può vivere in un giusto rapporto Dio? Certo. La legge, così, non ha una funzione positiva, questo è escluso, dato che credere nell'Evangelo è il solo modo per ricevere vita nel-lo Spirito e giustizia (3:1-18).

2) La legge non può impartire la vita perché "la Scrittu-ra ha rinchiuso ogni cosa sotto peccato" (22). Tutti, il mondo intero, sono imprigionati, incatenati, condizionati dal peccato. La legge di fatto comporta solo l'effetto pratico di condannarci tutti quanti. Non dice essa forse: "Male-detto chi non si attiene alle parole di questa legge, per metterle in pratica!" (Deuteronomio 27:26)? Quanti possono real-mente farlo? Nessuno! La legge ci condanna e ci maledice tutti! Chi mai ne potrebbe esserne all'altezza? L'Apostolo,

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così, sottolinea come il peccato contamini radicalmente ogni essere umano e lo renda incapace di ogni accettabile giustizia (rispetto ai criteri di Dio). Identificarsi così con il popolo giudaico ed osservare a legge di Mosè, come gli avversari di Paolo esortano i neofiti a fare, non potrà mai rimuovere qualcuno veramente dall'ambito degli "stra-nieri peccatori" (2:15) e portarlo nella sfera della giustizia, della benedizione e della vita. Al contrario, lo consolida ancor più nel peccato perché gli fa sentire tutto il peso del non potere conformarsi alla volontà rivelata di Dio.Non siamo, però, lasciati come peccatori condannati sotto la maledizione di Dio. La legge è stata data per mostrare come tutta l'umanità sia tenuta in servitù al peccato, "af-finché i beni promessi sulla base della fede in Gesù Cristo fosse-ro dati ai credenti" (3:22). È chiaro, così, come la legge e la promessa operino in armonia per adempiere i propositi di Dio. La legge ci sottopone tutti a maledizione, la pro-messa ce ne tira fuori in Cristo. Nella legge che ci con-danna siamo lasciati senza alcuna via d'uscita affinché noi possiamo trovare libertà solo per fede in Cristo. La legge imprigiona tutti - sia Giudei che Gentili - sotto il peccato per preparare la strada per includere tutti i credenti in Cristo - sia Giudei che Gentili - nelle benedizioni promes-se ad Abraamo.

La legge, quindi, non deve essere considerata contrad-dittoria rispetto all'Evangelo. Riducendo tutti al livello di peccatori, la legge prepara la via all'Evangelo. Nessuno, però, ha titolo di considerare la legge sullo stesso piano dell'Evangelo. La legge ha una funzione negativa: farci

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prendere coscienza del nostro peccato. Essa non è in gra-do, di per sé stessa, di liberarci dall'asservimento al pec-cato. La promessa di benedizioni ci proviene solo attra-verso la fede in Cristo.

Preghiera. Che io veda chiaramente, o Signore, la funzione di ogni aspetto del piano di salvezza che Tu hai rivelato nell'E-vangelo. Che io non equivochi, lasciandomi condizionare dalle pretese del cuore umano, la funzione della Tua legge, come se io fossi in grado, da solo, di guadagnarmi la salvezza solo impe-gnandomi nella via di una religione o di una moralità. Amen.

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Comprendere la funzione della legge (3) 23 "Ma prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi sotto

la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivela-ta. 24 Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cri-sto, affinché noi fossimo giustificati per fede. 25 Ma ora che la fede è venuta, non siamo più sotto precettore" (Galati 3:23-25).

In questo testo l'Apostolo esemplifica quanto espresso fino a questo punto sulla funzione negativa della legge mosaica personificandola e paragonandola prima ad un carceriere e poi ad un precettore. Al v. 22 la Scrittura di-chiara il mondo intero, "ogni cosa", fatta prigioniera dal peccato. Qui dal generale passa al particolare: Paolo af-ferma che, per un certo periodo di tempo, i Giudei erano tenuti prigionieri, "sotto custodia" dalla legge mosaica che così limitava, restringeva, confinava, in modo oppressi-vo, ogni aspetto della loro vita, tanto che si poteva dire che la legge fosse stata il loro carceriere (custode). È così che la legge mosaica era stata data non solo come criterio permanente di giustizia per tutta l'umanità, ma anche come sistema temporaneo di supervisione di un popolo particolare, quello israelita.

Come un carceriere, un complesso sistema di codici e regolamenti teneva strettamente legata la condotta del popolo ebraico. Questa situazione, però, doveva essere solo temporanea. La funzione della legge come "carcerie-re" non era da considerarsi permanente ma limitata solo

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ad un certo periodo della storia. Come afferma il v. 23 questo "imprigionamento" sarebbe terminato: "Ma prima che venisse la fede ... in attesa della fede che doveva essere rive-lata", la fede, cioè, in Gesù Cristo.

La natura temporanea della legge è pure descritta dal-l'immagine del precettore o pedagogo. "Così la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo" (24). L'immagine è quella di un tutore privato di bambini (funzione antica-mente affidata ad uno schiavo) da distinguersi da quella di un maestro. Allora il pedagogo aveva la funzione di-retta e privata di supervisione, di controllo e di disciplina del bambino, mentre era il maestro ad istruirlo ed edu-carlo. Il precettore controllava in casa il comportamento del bambino attraverso una costante disciplina. Così era, per Paolo, la funzione della legge come supervisione e di-sciplina del popolo di Israele "in attesa della fede" in Cri-sto. La venuta di Cristo, quindi, avrebbe posto termine alla supervisione della legge. Quale ne era lo scopo? "Af-finché (anche) noi fossimo giustificati per fede" (24b). Sotto la costante disciplina della legge, gli israeliti dovevano im-parare quanto impossibile fosse osservarla appieno. Come un precettore doveva sempre rilevarne le inosser-vanze e mancanze, non farli mai considerare a posto, rim-proverarli del continuo e tormentarli, non farli mai senti-re soddisfatti e compiaciuti di sé stessi, farli sempre senti-re in colpa... Certo questo non era fine a sé stesso come per castigarli. Questa disciplina doveva insegnare loro che avrebbero potuto solo essere dichiarati giusti da Dio per fede nel Cristo, nel Messia.

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Al v. 25 l'Apostolo arriva alla conclusione che demoli-sce ogni argomentazione che sostenga come i cristiani debbano vivere sotto il controllo e la supervisione della legge: "Ora che la fede è venuta, non siamo più sotto precetto-re". I Galati dovevano comprendere come supporre di vi-vere ora, come cristiani, sotto la supervisione e disciplina della legge mosaica sarebbe stato come se Cristo non fos-se mai ancora giunto. Assurdo, insensato: Cristo è venuto ed ora, la vita che viviamo la viviamo "nella fede nel Figlio di Dio" (2:20). Vivere per fede in Cristo significa essere li-beri dalla supervisione della legge. Se lo può dire chi è giunto alla fede in Cristo dal Giudaismo, ancora di più lo può dire chi proviene dal paganesimo. Hanno ricevuto lo Spirito credendo all'Evangelo, ora vorrebbero forse fare progressi nella vita spirituale osservando la legge mosai-ca? Il loro tentativo di osservare la legge come se fossero sotto la supervisione della legge non voleva dire progre-dire, ma retrocedere al periodo della storia prima che Cri-sto fosse venuto. Davvero folle. La nostra nuova vita in Cristo non è da viversi sotto la supervisione della legge, ma sotto il governo di Cristo attraverso il Suo Spirito. La libertà in Cristo dalla sovrintendenza della legge mosaica ci mette in grado di "vivere per Dio" (2:19).

Ancora oggi ci sono raggruppamenti che affermano di essere cristiani, i quali ritengono essenziale per la salvez-za la rigorosa osservanza della legge dell'Antico Testa-mento, di feste e cerimonie giudaiche, oppure di regola-menti religiosi stabiliti ad hoc dalle loro dirigenze. Questo viene in diverso modo giustificato e prescritto come "con-

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dizione" per la salvezza. Che cosa hanno compreso della grazia in Gesù Cristo? Poco o nulla, perché in varia misu-ra contraddicono quanto afferma il Nuovo Testamento.

Preghiera. Signore Iddio, dammi di comprendere appieno tutte le implicazioni della grazia di Dio in Gesù Cristo e la li-bertà che in Lui tu mi doni. Proteggimi dalle pretese di even-tuali autorità religiose che vorrebbero di nuovo trascinarmi in schiavitù, ma anche dalla tentazione di trasformare questa li-bertà in licenze troppo facilmente giustificate. Che io mi sotto-metta volentieri al dolce giogo di Cristo. Amen.

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Le benedizioni d'essere in Cristo 26 "...perché siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù. 27 Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete ri-vestiti di Cristo. 28 Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. 29 Se siete di Cristo, siete dun-que discendenza d'Abraamo, eredi secondo la promessa" (Ga-lati 3:25-29).

I cristiani della Galazia non devono prestare ascolto alle pretese dei legalisti che li frastornano con argomenta-zioni insensate: chi è unito a Cristo per fede, in Lui ha tutto pienamente: "Voi avete tutto pienamente in lui" (Co-lossesi 2:10). Chi o che cosa mai potrebbe pretendere di darci maggiori benedizioni o di "integrare" quanto già ab-biamo in Cristo? L'osservanza della legge mosaica? Espe-rienze supplementari? Assurdo: "Benedetto sia il Dio e Pa-dre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo" (Efesini 1:3). Che potrebbero volere di più? La loro comunione con Cristo è una realtà: la loro fede in Cristo li ha resi figli di Dio (26), sono stati battezzati (immersi) in Cristo, si sono "rivestiti" di Cristo (27), sono uno in Cristo (28), in Cristo sono discendenza di Abraamo ed "eredi secondo la promessa" (29). In Cristo, così, possono godere di nuovi rapporti, sia di carattere spirituale (26-27) che sociale (28-29) cosa che la legge mosaica precludeva o limitava.

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1) Sotto la legge i Giudei erano considerati figli di Dio e gli stranieri dei peccatori. Ora anche gli stranieri, (le altre genti) per fede in Cristo hanno ugualmente titolo di esse-re considerati figli di Dio, il più alto onore possibile: "A tutti quelli che l'hanno ricevuto (Cristo) egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome" (Giovanni 1:12).

2) Il battesimo che hanno ricevuto è suggello, certifica-zione, della loro unione salvifica con Cristo. Non è il bat-tesimo in quanto tale a determinare questa unione con Cristo, ma, preceduto o seguito dalla personale fede in Lui, la certifica. Il battesimo personalizza, certificandole e confermandole, la realtà delle promesse di Dio in Cristo.

3) I cristiani si sono "rivestiti" di Cristo. Questo era an-ticamente rappresentato dalla veste bianca indossata da chi veniva battezzato. Esso indica la giustizia di Cristo che, per grazia di Dio, attraverso la fede in Lui, viene im-putata, attribuita al credente che così se ne riveste per la propria salvezza. Il credente così partecipa alle perfezioni morali di Cristo.

4) In Cristo cadono tutte le barriere razziali, economi-che e sessuali. I nuovi rapporti "verticali" stabiliti in Cri-sto corrispondono a nuovi rapporti "orizzontali". Parte dell'essenza dell'Evangelo è l'uguaglianza ,l'unità e la pari dignità di tutti coloro che sono in Cristo. Non si trat-ta solo di una "realtà spirituale" davanti a Dio, ma qual-cosa che è chiamato a realizzarsi molto concretamente nei rapporti e nelle attività dei cristiani. Infrangere ogni bar-

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riera sociale, razziale, sessuale, economica ecc. e realizza-re l'unità e l'uguaglianza di ogni creatura umana in Cri-sto può essere cosa complessa perché spesso si scontra con cultura, costumi e tradizioni consolidate, ma deve es-sere preciso intendimento e testimonianza dei cristiani che verso quel fine devono lavorare costantemente (...e senza tante scuse!). Escludere, ad esempio, le donne dalla partecipazione significativa nella vita e nel ministero del-la chiesa, significa negare l'essenza stessa dell'Evangelo, tanto quanto la segregazione razziale o la tolleranza di forme di schiavitù. L'uguaglianza di tutti i credenti di fronte a Dio deve essere dimostrata nella vita della chiesa se essa vuole esprimere la verità dell'Evangelo.

Corona l'argomentazione dell'Apostolo l'affermazione del v. 29: "Se siete di Cristo, siete dunque discendenza d'A-braamo, eredi secondo la promessa". I cristiani sono inclusi nelle benedizioni promesse ad Abraamo in quanto appar-tengono a Cristo. Essi sono quindi "discendenza di Abraa-mo", fanno parte del popolo di Dio, sono innestati in Israele e non hanno bisogno di altro, men che meno de-vono sottoporsi alle prescrizioni cerimoniali della legge mosaica.

Preghiera. Ti ringrazio, o Signore, per le straordinarie be-nedizioni che per la Tua grazia ho ricevuto in Cristo. Che io possa testimoniare al mondo la mia identità manifestandone tutte le conseguenze sia a livello spirituale, che personale e so-ciale, affinché la gloria della tua grazia sia ancor più palese e ri-conosciuta. Amen.

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Dalla schiavitù della legge alla libertà in Cristo

1 "Io dico: finché l'erede è minorenne, non differisce in nulla dal ser-vo, benché sia padrone di tutto; 2 ma è sotto tutori e amministratori fino al tempo prestabilito dal padre. 3 Così anche noi, quando erava-mo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo; 4 ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5 per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione" (Galati 4:1-5).

Possiamo bene immaginare come l'immagine usata dal-l'Apostolo (al capitolo 3 di questa lettera) della legge mo-saica come di un carceriere (custode, 3:23) o un precettore che ci tiene sotto stretta disciplina (3:24-25) potesse sem-brare offensiva verso chi così tanto la valutava. Già lo stesso Gesù dicendo: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», aveva avuto per tutta risposta: «Noi siamo di-scendenti d'Abraamo, e non siamo mai stati schiavi di nessu-no; come puoi tu dire: "Voi diverrete liberi"?». Al che Gesù aveva loro risposto: "In verità, in verità vi dico che chi com-mette il peccato è schiavo del peccato" (Giovanni 8:31-34).

È così che l'Apostolo, per rappresentare la libertà del cristiano dal legalismo, ora propone una terza immagine che forse può essere per loro più positiva. È quella di un figlio minorenne di un possidente che, prima di aver tito-lo alla sua eredità, fintanto che è minorenne, deve sotto-stare ad una disciplina educativa che lo rende non molto

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dissimile da uno dei servi di casa. Quando però giunge la sua ora, egli può liberarsi dal controllo di guardiani e precettori ("tutori ed amministratori") per godere i suoi pieni diritti come erede e padrone dei beni di famiglia. Il fatto che sia un figlio amato ed onorato non lo solleva dal dover essere educato per un certo tempo, anche molto ri-gidamente. Viene però il giorno in cui questo controllo della legge paterna cessa e lui saprà regolare responsabil-mente da solo la sua vita. Questo è il senso, dice l'Aposto-lo, della cessazione in Cristo del controllo della legge mo-saica. Che senso avrebbe tornare ora ad esservi stretta-mente sottoposti? Quel tempo è passato! "Così anche noi, quando eravamo bambini, eravamo tenuti in schiavitù dagli elementi del mondo" (3). Per "elementi del mondo" o "prin-cipi elementari" (chiamati anche "deboli e poveri elementi", v. 9) l'Apostolo ancora intende la legge mosaica, "l'abbe-cedario della fede" al quale sono soggetti, "in servitù" i bambini, ma ora siamo cresciuti, non dobbiamo più tor-nare ...alle elementari! Come cristiani (provenienti sia dall'ebraismo come dal paganesimo) Cristo ci ha fatto uscire dalla schiavitù spirituale dalla grazia liberatrice di Dio.

Ciò che proponevano i legalisti ai cristiani della Gala-zia era veramente anacronistico. Mancavano di prospetti-va storica, non si rendevano conto del cambiamento radi-cale introdotto dall'avvento del Cristo: "Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio" (4). È "il tempo prestabilito dal padre" (2). La fede cristiana non può essere compresa esclusivamente in modo statico nei termini di

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un sistema logico di idee, ma nell'ambito delle fasi suc-cessive di un storia, la storia della salvezza, che ci per-mette di inquadrare la funzione e il senso ultimo di ogni cosa. Al centro di questa storia c'è l'avvento di Cristo, la cui vicenda qui l'Apostolo riassume. L'eterno Figlio di Dio "nasce da una donna", indicando qui l'incarnazione e la piena umanità di Gesù. Gesù nasce "sotto la legge", cioè pienamente sottoposto a tutte le prescrizioni della legge mosaica che adempie perfettamente conseguendo quella giustizia che nessuno di noi potrebbe conseguire. Di que-sta giustizia Egli ce ne fa dono tanto da potercene noi ri-vestire. Gesù, però, prende pure su di Sé, in nostro favo-re, la maledizione che comporta l'aver noi infranto la leg-ge di Dio, e paga Egli stesso il prezzo della nostra salvez-za. Gesù, così, si sottopone a tutto ciò che implica essere umani (tentazioni, sofferenza, solitudine, abbandono da parte di Dio e, alla fine, la morte).

Perché tutto questo? Affinché noi potessimo ritornare in comunione salvifica con Dio, ricevendo i pieni diritti dell'adozione a figli di Dio (v. 5). Ecco, così, come Cristo, e Lui soltanto, sia pienamente qualificato per adempiere questi propositi. Come Figlio di Dio Egli è in grado di im-partirci la posizione ed i diritti della Sua figliolanza. In quanto, poi, pienamente uomo, Egli è in grado di rappre-sentare e redimere tutti coloro che, fra l'umanità, Gli sono affidati per la salvezza, la redenzione. Cristo, così ha tolto a noi le catene per mettersele su di Sé liberandoci sia da-gli obblighi che dalla maledizione della legge.

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Preghiera. Signore, che io giammai pretenda di poter fare io ciò che solo Tu hai realizzato per me in Cristo. Aiutami, te ne prego, a vedere ogni cosa in prospettiva storica affinché mi sia-no chiari tutti gli elementi della storia della salvezza, che Tu hai disposto e vissuto in mio favore. Amen.

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Siamo figli, non più servi!6 "E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre». 7 Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio" (Galati 4:6-7).

"Dio ha mandato Suo Figlio "per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione" (5). I due verbi qui usati, riscattare e ricevere, presentano le due fac-ce della medaglia del nostro rapporto con Dio. Iddio ha già agito nella storia per liberarci. Affinché, però, la no-stra vita sia trasformata dalla Sua azione, noi dobbiamo rispondervi con fede. Questo è sufficiente per ricevere il titolo a pieno diritto di figli: "A tutti quelli che l'hanno rice-vuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome" (Giovanni 1:12).

Un figlio adottivo riceve ogni titolo legale dei figli na-turali: stesso nome, stessa eredità, stessa posizione, stessi diritti. Dio manda Gesù Cristo, per Sua stessa divina na-tura Figlio di Dio, affinché noi, che non siamo Suoi figli per natura, potessimo diventare Suoi figli adottivi e rice-verne tutti i titoli legali. Abbiamo così lo stesso nome, la

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stessa eredità, la stessa posizione e diritti ci Colui che è Figlio di Dio in virtù della Sua natura divina. L'immagine che l'Apostolo usa in questo testo è diversa dalla prece-dente. Prima parlava di un figlio temporaneamente sog-getto alle restrizioni di una certa schiavitù, ora parla di un servo, uno schiavo, che, per grazia, viene adottato come figlio e ne gode di tutti i diritti.

Questa figliolanza non è solo un fatto dichiarato ogget-tivamente (e basterebbe questo per esserne sicuri): di essa possiamo farne esperienza diretta, soggettiva: "Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori", fatto che corrisponde a "Dio mandò suo Figlio". L'esperienza, "il vis-suto" dell'essere figli adottivi di Dio, il fare esperienza dello Spirito Santo, non è qualcosa che noi, come creden-ti, si possa conseguire solo in un secondo tempo, magari attraverso speciali procedure o preghiere. Non ci sono per questo requisiti o condizioni da assolvere: essa è "un dato" che si manifesta allorché nella preghiera sentiamo ed invochiamo Dio veramente come padre, il nostro pa-dre, anzi, come papà, nel modo più personale ed affettuo-so, in modo simile a ciò che viveva lo stesso Gesù in terra (e che continua a vivere in cielo).

Tutto questo diventa una nostra persuasione interiore: Dio non è più per noi un concetto astratto e lontano. A che cosa è dovuto questo cambiamento nella nostra per-cezione? Allo Spirito del Figlio Suo che ci è stato dato. Non è solo la comprensione intellettuale di un concetto, né soltanto un sentimento: è la consapevolezza profonda,

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che siamo in rapporto con Dio in modo unico e straordi-nario, tanto da trasformare tutta la nostra vita e che si im-pone persino ai nostri sensi di colpa, dubbi e paure. Ri-volgersi a Dio come padre, anzi, papà, non è quindi una formalità liturgica, né un modo casuale e privo di rispetto di considerare Dio, ma qualcosa che ci fa prendere co-scienza della nostra nuova identità che abbiamo acquisito in Cristo (la nostra identità più profonda), che dà senso alla nostra vita e che ispira e motiva la vocazione che as-solviamo in questo mondo. Questa consapevolezza data-ci dallo Spirito di Dio è tale da impartirci il senso della nostra personale dignità e valore, non importa quale sia la nostra condizione in questo mondo e le circostanze nelle quali viviamo. È così che a livello personale, nella preghiera, entriamo nel "dialogo" della ricca e meravi-gliosa vita interiore della Santa Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo...

Tutto questo è riassunto al versetto 7: "Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio". La testimonianza interiore dello Spirito ci persuade che siamo figli di Dio, che non siamo più "rinchiusi sotto la custodia della legge" (3:23), non più "sotto precettore" (3:25), non più "sotto tutori e amministratori" (4:2). Siamo liberi dal controllo della legge mosaica. Certo, questo non vuole dire "liberi di fare quel che vogliamo". Chi vive in comunione con Dio Padre sotto la guida dello Spirito Santo non ha più bisogno che la legge lo guidi e lo disci-plini, ma è diretto dalla potenza superiore dello Spirito, in costante armonia con Cristo. Il nostro rapporto con Dio

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non è e non può esser più mediato dalla legge mosaica, ma da Cristo (oggettivamente) e dallo Spirito Santo (sog-gettivamente). Gesù stesso rappresenta la diversità del rapporto con Dio come figli o come servi nella parabola del figliol prodigo (Luca 15). Il fratello maggiore afferma: "Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando" (Luca 15:29): non aveva mai considerato e chia-mato suo padre affettuosamente papà ma si era considera-to suo servo! Vorrebbero così forse i cristiani della Gala-zia tornare in questa condizione "rivalutando" la legge mosaica?

Conseguenza dell'essere figli è l'aver titolo all'eredità: "sei anche erede per grazia di Dio". È la fede in Cristo che ci rende sia figli che eredi di Dio. Non dobbiamo per questo ...diventare ebrei! La promessa di benedizioni in Abramo si realizza in Cristo e attraverso Cristo si trasmette a tutti coloro che, per fede, sono in comunione con Cristo, a qualunque nazione appartengano. Oggi in Cristo gà pos-siamo godere di tante benedizioni, ma non è che una ca-parra: "...ci ha dato la caparra dello Spirito" (2 Corinzi 5:5): un giorno, dopo la morte finale e la risurrezione finale, saremo completamente come Lui: "Carissimi, ora siamo fi-gli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand'egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è" (1 Giovanni 3:2). Parlando al funerale di suo padre, uno una volta aveva detto: "La più grande eredità che mio padre mi ha lasciato e di cui sono riconoscente non sono tanto i suoi beni, ma l'essere di-ventato come lui". È vero per chi è in Cristo: diventare

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moralmente e spiritualmente come Lui è l'eredità più grande.

Preghiera. Desidero esprimerti, Padre celeste, papà, buono e generoso, tutta la mia riconoscenza per avermi fatto in Cristo Tuo figlio adottivo e contitolare di meravigliose benedizioni. Che la mia vita rifletta in tutto questa consapevolezza profonda e che io ne renda fedele testimonianza al mondo. Amen.

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Tentativi di "normalizzare" l'Evangelo 8 "In quel tempo, è vero, non avendo conoscenza di Dio, avete servi-to quelli che per natura non sono dèi; 9 ma ora che avete conosciuto Dio, o piuttosto che siete stati conosciuti da Dio, come mai vi rivol-gete di nuovo ai deboli e poveri elementi, di cui volete rendervi schiavi di nuovo? 10 Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni! 11 Io temo di essermi affaticato invano per voi" (Galati 4:8-10).

Il rapporto che il cristiano ha ristabilito con Dio per grazia attraverso la fede nella Persona e nell'opera di Cri-sto ha potenzialità enormi e, per così dire, "tutte da sco-prire". Il neo-convertito non è che all'inizio del suo cam-mino e deve fare ancora molta strada. Giustamente vor-rebbe (ed è incoraggiato a farlo) approfondire questa co-noscenza con Dio, questo rapporto con Lui. Come potrà approfondire questa conoscenza? Ai cristiani della Gala-zia era stato proposto un modo: adeguandosi alle leggi, regolamenti ed usanze dell'antica legge mosaica! "Che cosa?" reagisce Paolo. "Fatemi capire... Vorreste conoscere meglio Dio attraverso i metodi che usavate nel passato

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quando, prima di incontrare Cristo, non avevate ancora il rapporto vivente con Dio che avete ora ed eravate a tutti gli effetti ignoranti di Dio? Sarebbe lo stesso che voler ap-profondire la conoscenza di Dio studiando il pensiero dei filosofi pagani, o tornando alle pratiche del paganesimo! Sarebbe insensato! Volete rendervi schiavi di nuovo?".

Sarebbe come se un laureato volesse seguire corsi sup-plementari di aggiornamento ed approfondimento tor-nando a studiare ...alle elementari! Paolo definisce "deboli e poveri elementi" tutto ciò che appartiene alla inadeguata religiosità pre-cristiana (ebraica o pagana che sia), inten-dendo Cristo "quella via nuova e vivente che egli ha inaugu-rata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne" (Ebrei 10:20) e che sola porta con certezza a Dio.

Le religioni di questo mondo aspirano a conoscere il divino, ma brancolano nel buio giungendo solo a rappre-sentazioni immaginarie della divinità (sia fisiche che astratte), a ciò "che per natura non solo dèi". Così è per la religione fatta di candele da accendere, processioni, para-menti sacri, digiuni, cerimonie, rituali e liturgie da segui-re, formule da pronunciare e preghiere "da dire", festività da celebrare, leggi da osservare, dogmi da credere...: chi segue tutto questo non ha idea alcuna di che cosa voglia dire un rapporto vivo e personale con Dio, quello che ci è possibile in Cristo e con Cristo, attraverso il dono che Egli ci fa dello Spirito Santo. Che cosa potrebbero mai ag-giungere a questo i deboli e poveri elementi della religione priva del Cristo?

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Quando l'Apostolo dice ai Galati "non avevate conoscen-za di Dio" non intende conoscenza teorica, ma un rappor-to esperienziale con Dio. Gli sforzi filosofici e religiosi umani per conoscere Dio non sono in grado di condurci ad una conoscenza esperienziale di Dio. "Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione" (1 Corinzi 1:21). La conoscenza di Dio che questo comporta è una profonda comunione e dialo-go con Colui che, per primo, ci conosce a fondo. Essere conosciuti da Dio significa essere stati scelti (eletti) ed amati da Lui per la Sua grazia: "Se qualcuno ama Dio, è co-nosciuto da lui" (1 Corinzi 8:3). La grazia di un rapporto personale con Dio attraverso Cristo nell'esperienza dello Spirito Santo, è espressione di un'eterna ed immeritata elezione da parte di Dio. I cristiani, secondo l'espressione di Pietro, infatti, sono gli: "eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo" (1 Pietro 1:2).

"Io temo di essermi affaticato invano per voi": Paolo espri-me così il suo scoraggiamento e delusione per i cristiani della Galazia che sembrano non comprendere la gravità della china che hanno imboccato. La sua predicazione ed insegnamento fra di loro è stata inutile? Indubbiamente leggi, tradizioni, cerimoniali, grandi messe in scena reli-giose sono cose che affascinano... Non dovrebbe, però, maggiormente affascinare l'Evangelo di Cristo, che rap-presenta sempre una novità nel mondo (quando è procla-mato e vissuto fedelmente)? Evidentemente chi ancora

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sente "il fascino della religione" (priva di Cristo), ancora non ha veramente compreso il carattere rivoluzionario dell'Evangelo di Cristo, oppure, in qualche modo, ne ha timore, preferendovi "le certezze tangibili" della religiosi-tà umana o cercando di piegare ad essa la fede cristiana.

La fede cristiana, quando torna alla religiosità monda-na, degrada, si altera e si corrompe, diventa "altro". Non esiste, però, "un altro vangelo" se non un vangelo falso.

Preghiera. Signore Iddio, tu mi conosci appieno: voglio pro-gredire nella Tua conoscenza e scoprire i sempre nuovi e vari aspetti del rapporto con Te. Fa sì che sempre meglio io cresca ad immagine di Cristo, scoprendo tutte le dimensioni del Suo amore. Dammi però di resistere e rifiutare la seduzione della religiosità mondana priva di Cristo: non potrà darmi nulla di più di quanto solo Tu sai e puoi dare nella potenza dello Spirito Santo. Amen.

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Le sofferenze di un ministro di Dio "12 Siate come sono io, fratelli, ve ne prego, perché anch'io sono

come voi. 13 Voi non mi faceste torto alcuno; anzi sapete bene che fu a motivo di una malattia che vi evangelizzai la prima volta; 14 e quella mia infermità, che era per voi una prova, voi non la disprez-zaste né vi fece ribrezzo; al contrario mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù stesso. 15 Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia? Poiché vi rendo testimonianza che, se fos-se stato possibile, vi sareste cavati gli occhi e me li avreste dati. 16 Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? 17 Co-storo sono zelanti per voi, ma non per fini onesti; anzi vogliono staccarvi da noi affinché il vostro zelo si volga a loro. 18 Ora è una buona cosa essere in ogni tempo oggetto dello zelo altrui nel bene, e non solo quando sono presente tra di voi. 19 Figli miei, per i quali sono di nuovo in doglie, finché Cristo sia formato in voi, 20 oh, come vorrei essere ora presente tra di voi e cambiar tono perché sono perplesso a vostro riguardo!" (Galati 4:12-20).

Quando l'Apostolo qui dice: "Siate come sono io", egli intende: "Siate miei imitatori, come anch'io lo sono di Cristo" (1 Corinzi 11:1). Paolo, infatti, è un uomo completamente consacrato a Cristo, determinato ad essere fedele all'E-vangelo ricevuto e non disposto ad accogliere "alternati-ve" come lo sono i Galati, per quanto ben presentate pos-sano essere. Egli, così, li sfida a vivere nella libertà che Cristo ci ha donato e a rifiutare la tirannia spirituale alla quale vorrebbero assoggettarli. Siamo stati introdotti in un'epoca nuova della storia della salvezza, portatrice di benefici prima sconosciuti ai più, benefici che abbiamo ti-tolo a godere pienamente. Lo Spirito Santo, la giustizia, le

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benedizioni, l'adozione, l'eredità promessa: tutto questo è disponibile in Cristo. Egli chiede così ai Galati di opporre resistenza a coloro che vorrebbero riportarli indietro nel passato non avendo compreso le peculiarità del presente in Cristo. Nel momento della sua conversione Cristo ha fatto di Paolo un uomo nuovo: le sue prospettive sono completamente cambiate: così deve poter essere anche per coloro che in Galazia sono stati coinvolti in Cristo in un'esperienza di conversione. Allo stesso modo l'antica legge mosaica deve essere "convertita" a Cristo, intesa e vissuta in Cristo, e non viceversa, Cristo ...riconvertito al vecchio modo di considerare e vivere la legge!

Nel tempo stesso Paolo dice pure ai Galati "perché an-ch'io sono come voi", cioè, sono un uomo come voi che Cri-sto ha liberato e con voi sto vivendo quest'esperienza. "Vi ho incontrato, mi sono identificato nella vostra condizio-ne e vi ho accompagnato a Cristo. Ho fatto l'esperienza della libertà in Cristo e l'ho partecipata con voi. Vorrei che prendeste piena coscienza di quanto essa sia preziosa e non barattabile con niente e nessuno al mondo. Ora, di-sorientati dai discorsi che avete sentito dagli ultimi arri-vati, mi guardate con sospetto. Com'è possibile? Vi ho be-neficato oltremisura. Ripensate a quei momenti in cui per la prima volta avevate incontrato me ed il mio messag-gio. Con quale gioia mi avevate accolto! Allora ero persi-no malato, ciononostante, avete capito che io ero portato-re di qualcosa di unico al mondo e l'avete accolto come se ve lo avesse porto un angelo del cielo!".

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Questo riferimento ad un predicatore fisicamente ma-lato, ma accolto volentieri ed efficace nel suo ministero, si oppone pure ad una certa distorsione moderna del mes-saggio evangelico che suppone che la fede autentica deb-ba scaturire necessariamente in "salute e ricchezza" e che malattia equivalga a "mancanza di fede"! In questa pro-spettiva un predicatore malato e magari con scarse risor-se economiche appare loro come qualcosa di vergognoso e ...di "cattiva testimonianza"! Nulla di più sbagliato di questo. Certo, nessuno desidererebbe essere malato e po-vero. Spesso, però, è proprio attraverso la malattia e la povertà che nasce la testimonianza cristiana più efficace, perché quando le si vive nello spirito di Cristo esse sono particolarmente potenti a mostrare come vivere le priva-zioni in modo diverso da quanto comunemente lo si fac-cia in questo mondo. Le accuse che i legalisti della Gala-zia portavano a Paolo oltre che il suo "liberalismo", lo at-taccavano forse anche da questo punto di vista?

Gli avversari di Paolo nella Galazia, volevano dunque staccare da lui il cuore di qui credenti per volgerlo a loro che si vantavano (disonestamente) di grandi cose. Che tristezza. Paolo per loro era e continuava ad essere come un padre in Cristo, anzi, una madre che sempre si era presa affettuosa cura di loro, anche quando li rimprove-rava, perché li rimproverava solo e sempre per il loro bene. No, verso di loro non aveva alcun malanimo, solo la grande tristezza (e giustificata rabbia), quella di un ge-nitore amorevole che vede i suoi figli volgergli ingiusta-mente le spalle privi di riconoscenza, perché attratti dalle

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ingannevoli seduzioni di falsi amici. Il suo sforzo ed im-pegno nel comunicare loro Cristo era stato come le doglie di un parto. Era stato così fin dall'inizio.

Il dolore ora in lui si rinnova perché i Galati stanno per andare dietro ad estranei, rischiavano di perdere quel Cristo che avevano ricevuto con gioia. La perplessità di Paolo per ciò che stanno facendo i cristiani della Galazia, di fatto rinnegando l'Evangelo, è grande. Si chiede così come questo sia possibile. In effetti pastori, predicatori ed evangelisti, anche oggi non dovrebbero essere così inge-nui da pensare di dover ricevere sempre un caldo benve-nuto se coerentemente insegnano la verità. Di fatto, inse-gnare la verità vuol dire correre il rischio concreto di alie-narsi, con questo, molte persone. È un rischio da correre. Meglio perdere qualcuno per strada che tacere o modifi-care la verità solo per "tenerselo buono" compiacendolo sempre.

Preghiera. Signore, riconosciamo che spesso siamo partico-larmente stupidi prestando ascolto alle seducenti argomenta-zioni degli "ultimi arrivati" che vorrebbero correggere la no-stra "fede ingenua", magari quella dei primi tempi della nostra conversione a Cristo, per adeguarla alla loro presunta maggio-re sapienza. Aiutaci, te ne preghiamo, a saper discernere i lupi con la veste d'agnello che ci vorrebbero allontanare dal nostro "primo amore". Amen.

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Leggere l'Antico Testamento nella prospettiva di Cristo

21 "Ditemi, voi che volete essere sotto la legge, non prestate ascolto alla legge? 22 Infatti sta scritto che Abraamo ebbe due figli: uno dal-la schiava e uno dalla donna libera; 23 ma quello della schiava nac-que secondo la carne, mentre quello della libera nacque in virtù della promessa. 24 Queste cose hanno un senso allegorico; poiché queste donne sono due patti; uno, del monte Sinai, genera per la schiavitù, ed è Agar. 25 Infatti Agar è il monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme del tempo presente, che è schiava con i suoi figli. 26 Ma la Gerusalemme di lassù è libera, ed è nostra madre. 27 Infat-ti sta scritto: «Rallègrati, sterile, che non partorivi! Prorompi in gri-da, tu che non avevi provato le doglie del parto! Poiché i figli del-l'abbandonata saranno più numerosi di quelli di colei che aveva ma-rito». 28 Ora, fratelli, come Isacco, voi siete figli della promessa. 29 E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello che era nato secondo lo Spirito, così succede anche ora. 30 Ma che dice la Scrittura? «Caccia via la schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non sarà erede con il figlio della donna libera». 31 Per-ciò, fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della donna libera" (Galati 4:21-31).

Coloro che avevano frastornato i cristiani della Galazia cercavano di persuaderli che se volevano essere piena-mente benedetti da Dio e salvati era essenziale che essi pure diventassero ebrei, si sottoponessero fedelmente ai rituali dell'Ebraismo e ne seguissero le leggi. L'Apostolo lo contesta con forza, riaffermando come essere in comu-nione di fede e di ubbidienza con Cristo sia del tutto suf-ficiente e che anzi, proprio questo sia il fine ultimo di tut-to ciò che l'Antico Testamento prefigura e prescrive. So-

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stenere altrimenti, dice Paolo, vuol dire alterare e vanifi-care l'Evangelo di Cristo, fraintendendo i propositi di Dio. Le argomentazioni dei giudaizzanti, però, sono insi-stenti e danno l'apparenza di verità, per chi è disavvedu-to ed impreparato rispetto all'approccio cristiano, anzi, cristocentrico alle Sacre Scritture (qui in particolare l'Anti-co Testamento). Ecco, così, due cose da imparare su come Paolo affronta il problema.

In primo luogo, l'Apostolo esamina accuratamente il ragionamento dei suoi avversari scendendo sul loro stes-so terreno e cogliendo le contraddizioni in cui essi stessi non si avvedono di cadere. Essi si vantano di seguire dili-gentemente la legge mosaica. Paolo dimostra che, di fat-to, essi non le prestano realmente ascolto perché ignora-no volutamente aspetti dell'Antico Testamento che non fanno loro comodo. "Ditemi, voi che volete essere sotto la legge, non prestate ascolto alla legge?". Ancora oggi può es-sere necessario contestare i ragionamenti apparentemen-te plausibili di insegnamenti settari e legalistici scenden-do sul loro stesso terreno, secondo il principio: "Rispondi allo stolto secondo la sua follia, perché non abbia ad apparire saggio ai propri occhi" (Proverbi 26:5).

In secondo luogo, l'Antico Testamento va interpretato alla luce dell'insegnamento ed esempio di Cristo, nella Sua prospettiva. Cristo, infatti, adempie e realizza le anti-che Scritture. Non possiamo, infatti, limitarci a prendere alla lettera quanto vi troviamo. Ogni avvenimento e si-tuazione ivi contenuta prefigura non solo la Persona e l'o-

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pera di Cristo, ma anche, spiritualmente, la nostra stessa vita in quanto cristiani, indicando sia l'esempio da segui-re che gli errori da evitare. In questo senso la lettura "alle-gorica" che Paolo fa talora dell'Antico Testamento, giu-stamente si distanzia da un crasso letteralismo, allargan-do le nostre prospettive a tutta la ricchezza della Parola di Dio. Ancora oggi c'è chi prende alla lettera l'Antico Te-stamento o pretendendo di seguirlo o per scandalizzarse-ne e così respingerlo, senza tenere conto che esso va spiri-tualizzato, o meglio, va letto nella prospettiva di Cristo.

Abraamo diventa così la figura del credente a cui Dio rivolge precise promesse. Queste promesse, però, ritarda-no a realizzarsi. Di fronte ad Abraamo si pongono così due alternative, o attendere, confidando in Dio anche di fronte all'umanamente impossibile (un figlio da Sara, sempre più anziana), oppure "darsi da fare" trovando una via d'uscita tutta umana (generare un figlio con la serva Agar). Quest'ultima soluzione sarebbe anche legit-tima: un figlio da lei sarebbe suo erede legale e "figlio" in un certo qual senso, anche di Sara. Si tratta però di una scappatoia certo legale ma che non è fondata sulla fede. Da Agar nasce Ismaele: questo, però, gli creerà solo pro-blemi e sarà, comunque "figlio della serva". A suo tempo da Sara nascerà Isacco, il figlio della promessa, il risultato della fede, ma il danno è già stato fatto.

Tutto questo è indicativo delle scelte che si pongono spesso al credente. La via della legge è la via degli umani stratagemmi che, per quanto "furba", esteriormente legit-

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tima e sapiente (è "una buona idea") , si rivela via inade-guata e sbagliata, foriera di innumerevoli problemi. Più difficile è la via della fede, quella a cui Dio ci chiama e ci sfida. È "la via della Gerusalemme celeste", non "la via del Sinai". È la via della libertà non quella che comporta servitù e problemi innumerevoli.

Preghiera. Signore Iddio, confesso che, di fronte ai Tuoi "ritardi" io mi lascio cogliere dall'ansia e sono tentato di risol-vere il problema a modo mio, giustificando le mie scelte tutte umane. Per quanto spesso difficile, dammi di camminare vera-mente per fede in Te evitando così le inevitabili conseguenze negative delle mie "scorciatoie". Ti prego, infine, di darmi la sapienza necessaria per leggere ed applicare tutta la Scrittura nella prospettiva e nello spirito di Cristo. Amen.

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Libertà dalla religione tradizionale "1 Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi

e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù. 2 Ecco, io, Paolo, vi dichiaro che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. 3 Dichiaro di nuovo: ogni uomo che si fa circon-cidere, è obbligato a osservare tutta la legge. 4 Voi che volete essere giustificati dalla legge, siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia. 5 Poiché quanto a noi, è in spirito, per fede, che aspettiamo la speranza della giustizia. 6 Infatti, in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l'incirconcisione; quello che vale è la fede che opera per mezzo dell'amore. 7 Voi correvate bene; chi vi ha fermati perché non ubbidiate alla verità? 8 Una tale persuasione non viene da colui che vi chiama. 9 Un po' di lievito fa lievitare tutta la pa-sta. 10 Riguardo a voi, io ho questa fiducia nel Signore, che non la penserete diversamente; ma colui che vi turba ne subirà la condan-na, chiunque egli sia. 11 Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono ancora perseguitato? Lo scandalo del-la croce sarebbe allora tolto via. 12 Si facciano pure evirare quelli che vi turbano! 13 Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri; 14 poiché tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo pros-simo come te stesso». 15 Ma se vi mordete e divorate gli uni gli al-tri, guardate di non essere consumati gli uni dagli altri" (Galati 5:1-15).

La predicazione dell'Evangelo - al cui centro sta l'an-nunzio sulla Persona ed opera di Gesù Cristo, la Sua morte in croce e risurrezione - era e rimane (quando è fe-dele) qualcosa di molto diverso dalle predicazioni che si odono presso le religioni di questo mondo. Essa è qualco-sa di così anticonformista da risultare intollerabile, anzi,

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scandalosa, lo scandalo della croce (11b). Diventa allora qualcosa da ridurre al silenzio (magari perseguitando chi la porta avanti), oppure da ricondurre docilmente sui sentieri battuti di ciò che all'uomo sembra più ragionevo-le, così come chi turbava i cristiani della Galazia avrebbe voluto fare. La predicazione dell'Evangelo, infatti, non parla di ciò che l'uomo dovrebbe fare per conquistarsi "la patente di uomo giusto" e la salvezza, ma ciò che Cristo per lui ha compiuto, essendo l'essere umano, a motivo del peccato, del tutto incapace, disabile, a fare alcunché per sé stesso, men che meno tramite "opere religiose". Cristo, così, ci libera da ciò che normalmente sono consi-derati "doveri religiosi". Possiamo allora dire che l'Evan-gelo ci dona la libertà dalla religione, così come essa è in-tesa normalmente. L'Evangelo, infatti, considera "la reli-gione" come "una palla al piede", una schiavitù di cui li-berarsi. Sono pochi oggi a comprendere il suo carattere dirompente dell'Evangelo rettamente inteso.

È per questo motivo che i cristiani della Galazia sono chiamati dall'Apostolo ad opporre strenua resistenza contro coloro che vorrebbero riportarli alla schiavitù del-la religione tradizionale. Ritornare, infatti, al ritualismo della religione ed alla salvezza attraverso pretese opere meritorie, significherebbe decadere dalla grazia di Dio in Gesù Cristo, vanificarla del tutto, separarsi da Cristo per legarsi ad obblighi religiosi che, oltre ad essere oppressi-vi, sarebbero anche molto frustranti (e generatori di ipo-crisie). L'insistenza con la quale chi sta frastornando i cri-stiani della Galazia sulla questione del "dovere" che

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avrebbero di farsi circoncidere, è tale che Paolo, esaspera-to, sbotta esclamando sarcasticamente: "Perché allora, in-vece di tagliarsi solo il prepuzio non si tagliano via tutto, non si fanno castrare! Chissà quanti 'punti in più' guada-gnerebbero!".

Detto questo, però, è pure necessario fare molta atten-zione al fatto che la "libertà dalla religione" che Cristo rende possibile, non si trasformi in una vita vissuta senza scrupoli morali, in una "occasione di vivere secondo la carne", in modo sregolato. Se è vero com'è vero che le no-stre opere non ci potrebbero mai far meritare la salvezza, è anche vero che un'autentica fede in Cristo è necessaria-mente una fede che opera per mezzo dell'amore. La persona che Iddio ha spiritualmente rigenerato donandole la fede in Cristo, è una persona rinnovata che inevitabilmente produce opere impostate all'amore di Cristo. Se queste sono assenti, si può ragionevolmente mettere in dubbio che una persona, nonostante tutto ciò che può affermare d'essere, sia realmente credente, almeno nel senso indica-to dalla Parola di Dio. Il cristiano onora la legge morale di Dio perché ama Dio, apprezza le Sue opere e l'ordine che le caratterizza. Il cristiano segue la legge morale di Dio, interiormente persuaso che i criteri di giustizia di Dio sono ottima regola per fare ciò che è giusto ai Suoi occhi.

Il cristiano autentico, così, è una persona che si pone gioiosamente al servizio di Dio e degli altri, non perché così facendo, voglia conquistarsi la salvezza, ma perché vuole dimostrare amore e riconoscenza verso Colui che

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l'ha salvata. Colui o colei che si trova in questa posizione opera amore e misericordia, e senza pretendere nulla in contraccambio, perché è nella sua natura farlo, perché, così facendo, imita il suo Signore e Salvatore. Allora anche i litigi che spesso esplodono nella società umana saranno trascesi ed alla fine risolti dall'amore di Cristo nel nostro cuore.

Preghiera. Signore Iddio, fa che io non cada nella trappola che ancora oggi vorrebbero che io cadessi, la pratica della reli-gione come esercizio meritorio. Che io trovi sempre in Cristo il mio tutto: Egli è completamente sufficiente a fare di noi perso-ne nuove. Amen.

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La determinazione di vivere secondo lo Spirito di Cristo

16 "Io dico: camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne. 17 Perché la carne ha desideri contrari allo Spi-rito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro; in modo che non potete fare quello che vorreste. 18 Ma se siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge" (Galati 5:16-18).

Il tentativo dei cristiani della Galazia di raggiungere "la maturità spirituale" sottoponendosi alle prescrizioni ceri-moniali della legge mosaica era fallito. Le loro chiese si stavano "mordendo, divorando e consumando" (v. 15) in interminabili conflitti. La loro devozione alla legge non era scaturita in una corrispondente devozione all'amore, e indubbiamente questo infrangeva la legge stessa! Dove trovare la motivazione e le risorse per risolvere i loro conflitti e rinnovare l'amore fra di loro? L'Apostolo ne in-dica la soluzione nel "camminare secondo lo Spirito" (v. 16).

Dato che la vita cristiana inizia con l'opera rigenerante dello Spirito (3:3; 4:6; 29), la vita cristiana può solo proce-dere attraverso l'opera dello Spirito seguita strettamente. È lo Spirito di Dio, infatti, che imposta "lo stile di vita", il modo di vivere di un cristiano. Le indicazioni della legge mosaica rappresentano certamente dei parametri utili ri-spetto ai quali confrontarci, ma non danno il necessario dinamismo e le risorse per praticarli saggiamente nello Spirito di Cristo.

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L'Apostolo ha fiducia nella capacità direttiva dello Spi-rito: "Camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne" (v. 16). I "desideri della carne" sono gli impulsi della nostra natura contaminata e tendente sem-pre al peccato. È quello che normalmente "ci viene spon-taneo" fare e che dobbiamo respingere ad ogni costo (qui Paolo in quel "non ... affatto" rafforza proprio questo no-stro dovere). Spesso ammantati convenientemente di reli-giosità, infatti, sono i nostri interessi ed egoismo che gra-tifichiamo frequentemente nel nostro comportamento. "Camminare nello Spirito" implica, però, l'attiva determi-nazione, nella nostra vita quotidiana, di calcare le orme di Cristo sulla via dell'abnegazione e della "croce". Chi vive, infatti, nello spirito di Cristo, come potrebbe "mor-dere, divorare e consumare" gli altri? Chi vive nello Spiri-to di Cristo persegue "amore, gioia, pace, pazienza, benevo-lenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo" (v. 22).

Nel v. 17 l'Apostolo descrive un altro conflitto, molto più rilevante, che deve essere risolto prima di ogni altro, quello nostro interiore fra lo spirito e la carne (o carnalità). Non dobbiamo vergognarci di ammettere che in noi vi sia questo conflitto. Lo Spirito e la carnalità, infatti sono due forze ostili che in noi si contrappongono sempre, "opposte fra di loro". Quali prevarranno? Quali vinceran-no? Coloro che camminano nello Spirito non possono esse-re "neutrali" in questo conflitto: devono combattere e vin-cere le forze dell'egoismo. Ogni giorno, perciò, il cristiano deve "scegliere da che parte stare" e vivere di conseguen-za. La nostra lotta contro la carnalità è forse destinata a

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fallire? La carnalità inevitabilmente prevarrà oppure sempre inevitabilmente ci ritroviamo in una impasse fru-strante? È forse questo che implica il "non potete fare quel-lo che vorreste"? No, al cristiano è possibile riportare con-crete vittorie sulla propria carnalità. L'Apostolo ha fidu-cia che, seguendo l'impulso dello Spirito di Cristo e re-spingendo quello del nostro egoismo, "marciando ai Suoi ordini" è possibile essere vittoriosi e vivere come Cristo si aspetta dai Suoi discepoli! È possibile quando ogni gior-no rammentiamo a noi stessi "chi siamo", chi stiamo ser-vendo, e quali risorse ("armi spirituali") noi abbiamo a di-sposizione per riportare vittoria sulle sfide che ci pone la vita cristiana sia a livello individuale che sociale.

Chi dunque vive sotto la guida dello Spirito di Cristo e lotta ogni giorno contro l'influenza della propria natura peccaminosa, non ha bisogno di essere controllato e fre-nato dalla legge mosaica. "Se siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge" (18). La vita nello Spirito è una vita vis-suta in modo determinato. È "saltare giù dal letto" quan-do la sveglia suona, immediatamente, "senza tante storie", senza indugio, non cedendo ai richiami della pro-pria pigrizia e del sonno... "Dormire un po', sonnecchiare un po', incrociare un po' le mani per riposare... La tua povertà verrà come un ladro, la tua miseria, come un uomo armato" (Proverbi 6:10-11).

È vestirsi, infilarsi le scarpe, mettersi lo zaino e cammi-nare decisamente senza ritardo verso la meta. È il con-trollo su sé stesso che esercita la persona matura e re-

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sponsabile che non ha bisogno che ci sia sempre qualcu-no a sollecitarlo a fare il proprio dovere, magari minac-ciandogli dei castighi, come fa la legge. Lo Spirito di Dio produce nel credente una trasformazione del suo caratte-re (5:22-23). Se lo Spirito, ad esempio, ci sospinge a per-donare chi ci ha fatto un torto invece di coltivare in noi il risentimento, allora siamo sotto il controllo dello Spirito piuttosto che sotto la restrizione del comando: "Non ucci-dere". Quando la condotta è guidata e potenziata dallo Spirito, essa adempie alla legge tanto da non essere più sottoposti alla sua supervisione e condanna.

La vita condotta dallo Spirito implica ubbidienza attiva alla guida dello Spirito (v. 16), una lotta costante contro i desideri della nostra natura peccaminosa mediante la po-tenza dello Spirito (v. 17) e la completa sottomissione al controllo dello Spirito di Cristo (v. 18). Un tale modo di vivere ci può portare a fare esperienza concreta della li-bertà dal controllo che la nostra carnalità vorrebbe eserci-tare su di noi, ma anche dal controllo della legge. Questo non significa contravvenire a ciò che dice la legge per darci in balia del nostro soggettivismo, ma esattamente il contrario!

Preghiera. Che lo Spirito di Cristo, o Signore, controlli ogni aspetto della mia vita ogni giorno e mi impegni nella lotta contro le mie tendenze egoistiche, sempre pronte a prevalere in me e a camuffarsi in svariati modi! Amen.

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L'evidenza dell'opera dello Spirito in noi 19 "Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazio-

ne, impurità, dissolutezza, 20 idolatria, stregoneria, inimicizie, di-scordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, 21 invidie, ubriachez-ze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio" (Galati 5:19-21).

Il discorso fin ora portato avanti dall'Apostolo sulla "vita nello Spirito" avrebbe potuto sembrare troppo astratto e indefinito, soprattutto se messo a confronto con la "concretezza" della legge mosaica che definisce esatta-mente in che cosa consiste la vita in armonia con la vo-lontà di Dio. Ancora oggi molti sono attratti da quelle re-ligioni che offrono regole "certe e sicure", un chiaro codi-ce di condotta seguendo il quale si possa avere "la garan-zia" della salvezza. Questo però, sebbene possa apparire "più semplice" rispetto all'Evangelo, è una via ingannevo-le, anzi, una "scorciatoia" che porta solo in un vicolo cie-co! L'Evangelo non è vivere "sotto la legge" ma vivere sotto la direzione dello Spirito di Dio. Una base oggettiva per determinare se stiamo seguendo la guida dello Spiri-to e non quella "della carne", però, esiste.

È per questo che Paolo qui descrive quali siano "le ope-re della carne", gli atti della natura peccaminosa (vv. 19-21) e una lista dei "frutti dello Spirito" (vv. 22-23). Non si tratta, però, di un codice alternativo alla legge mosaica, ma uno strumento di verifica.

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Quelle che siano "le opere della carne" (v. 19) sono ovvie, dice Paolo. Per quanto "i desideri della carne" siano celati, gli atti prodotti da quei desideri sono manifesti, inequi-vocabili. La lista di vizi che qui egli offre sono simili a quelle già in uso negli insegnamenti di etica del mondo greco-romano di quel tempo, ragione in più per rendere inescusabile chi pretende di non conoscerli: essi sono ma-nifesti, palesi. La differenza fra Paolo ed i filosofi pagani suoi contemporanei non sta tanto nel contenuto della li-sta, ma nel suo contesto: in Cristo soltanto si può trovare libertà da questi vizi. Elencarli soltanto non dà la forza per risolvere i problemi di cui è afflitta la società che li pratica. Sono le "opere della carne" che le "opere della legge" non riescono a contrastare. Questa lista, così, propone quindici opere della carne, lista non esauriente ma già mol-to indicativa. Esse possono essere distinte in quattro cate-gorie: (1) abuso della sessualità; (2) abuso della religione; (3) conflitti sociali e (4) abuso di sostanze stupefacenti.

(1) L'abuso della sessualità. Paolo menziona diversi tipi di abuso della sessualità: fornicazione, impurità, dis-solutezza, orge. La "fornicazione" include ogni tipo di im-moralità sessuale, gli altri le perversioni sessuali. Le so-cietà dove si sviluppa il permissivismo sessuale, sono so-cietà dove la corruzione si estenderà in ogni suo ambito fino a distruggerla.

(2) Abuso della religione. Idolatria è tutto ciò che nel cuore umano prende il posto che dovrebbe occupare solo Dio. Non è soltanto adorare immagini religiose, ma an-

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che esserne connivente (1 Corinzi 10:7-14), come pure è idolatria la cupidigia /avidità (Colossesi 3:5).

(3) Conflitti sociali. In questa lista l'Apostolo dà mag-giore evidenza alla natura peccaminosa di ciò che causa tensioni e conflitti nella comunità cristiana e nell'ambito della società. Inimicizie, discordia, gelosia, ira, spirito di con-tesa, divisioni sulla base di personalismi, sètte (divisioni causate dall'eccessiva enfasi data ad un solo aspetto della dottrina cristiana oppure da insegnamenti eversivi), invi-dia. Le inevitabili divisioni causate dall'applicazione dei principi dell'Evangelo, ovviamente, non sono da com-prendere in questa categoria! Gesù disse: "Voi pensate che io sia venuto a portar pace sulla terra? No, vi dico, ma piutto-sto divisione" (Luca 12:51).

(4) Abuso di sostanze stupefacenti e di ogni sostanza che altera la mente e danneggia il corpo: quindi l'ubria-chezza, ma anche qui il termine stregoneria (termine dal quale, nell'originale greco, deriva il nostro "farmacia") in-clude la fabbricazione e l'uso di droghe velenose, usate per esempio per causare l'aborto.

Paolo afferma, così, molto chiaramente: "Chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio". L'Evangelo è finalizzato a trasformare le persone moralmente e spiritualmente per riconciliarle con il Dio tre volte santo e conformarle alla Sua buona e giusta volontà. Nel regno di Dio non troverà posto niente e nessuno che non pratichi la giustizia com'è definita ed esplicitata da Dio stesso e quindi nessuno che

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non sia coinvolto ed impegnato moralmente e spiritual-mente con Dio. Vivere secondo lo Spirito vuol dire essere coinvolti nella trasformazione personale operata dallo Spirito Santo. Una cosa è affermare di avere in sé lo Spiri-to di Dio, un'altra è manifestarlo nei fatti. Chi non lo ma-nifesta nei fatti, e pure dice di essere cristiano, è un bu-giardo che deve ancora ravvedersi davanti a Dio. In ter-mini teologici, la santificazione non è la base della giustifi-cazione, ma il risultato inevitabile della giustificazione. Coloro che Dio dichiara giusti sulla base della loro fede nell'opera di Cristo per loro, Dio pure rende giusti me-diante l'opera dello Spirito in loro. Coloro la cui vita è ca-ratterizzata solo dalle espressioni di una natura peccami-nosa, dimostrano di non essere stati rigenerati dallo Spi-rito.

È chiaro, così, che Paolo non considera la libertà in Cri-sto libertà da ogni obbligo morale. Al contrario, Cristo ci ha liberati per vivere per lo Spirito. Tutti coloro che vivo-no per lo Spirito e sono condotti dallo Spirito raccolgono una palese trasformazione morale, i frutti dello Spirito.

Preghiera. Signore Iddio, Ti ringrazio di avermi coinvolto nell'opera salvifica di Cristo attraverso l'azione efficace dello Spirito Santo. Che io dimostri sempre meglio come questo sia vero in ogni aspetto della mia vita. Per Gesù Cristo, mio Si-gnore e Salvatore. Amen.

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Il frutteto di Dio 22 "Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza,

benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; 23 con-tro queste cose non c'è legge" (Galati 5:22-23)

Vivere condotti dallo Spirito Santo equivale forse ad una vita che si permette facili licenze rispetto ai criteri morali che Dio ha stabilito nella Sua legge? Questo è ciò che il legalista contesta (etichettandolo come "liberale" a chi afferma che vivere secondo lo Spirito sia sufficiente). La risposta è: No, chi è condotto dallo Spirito di Cristo manifesta necessariamente il frutto dello Spirito. La descri-zione che qui ne dà l'Apostolo è esattamente l'aspetto che prende il carattere morale di una persona quando essa è realmente trasformata dalla potenza dello Spirito Santo.

Le nove caratteristiche che qui Paolo elenca, non sono una nuova lista di leggi o codici morali da seguire, ma il risultato di un'autentica conversione a Cristo. Lo prean-nuncia l'Antico Testamento: "...finché su di noi sia sparso lo Spirito dall'alto ... allora la rettitudine abiterà nel deserto, e la giustizia abiterà nel frutteto" (Isaia 32:15-17). Lo evidenzia Gesù: "Li riconoscerete dai loro frutti ... ogni albero buono fa frutti buoni" (Matteo 7:16-20). Quando il tralcio è innesta-to nella vite e ne assorbe la linfa, esso produce della buo-na uva: "Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me" (Giovanni 15:4).

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Il primo posto nella lista lo occupa l'amore, infatti: "...tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»" (5:14); "...quello che vale è la fede che opera per mezzo dell'amore" (5:6). L'amore è dimo-strato in modo tangibile nel sacrificio di Cristo "La vita che vivo ... la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me" (2:20), come pure nella prontezza del cristiano a servire gli altri: "Per mezzo del-l'amore servite gli uni agli altri" (5:13). Tutte le altre qualità morali di questo elenco definiscono e fluiscono a questo amore.

- La gioia è risultato di rapporti umani sani. Quando nella comunità cristiana si disattendono gli impegni della fraternità, scompare anche la gioia: "Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia?" (4:15). Dove vi sono conflitti ed amarezza, come fra i cristiani della Galazia, non c'è più gioia, perché essa è il risultato del vero amore.- La pace è pure il risultato dei rapporti in cui prevale il servizio reciproco. Al posto di "discordia, gelosia, ire, con-tese, divisioni, sètte, invidie" (20,21), i rapporti nella comu-nità cristiana sono impostati a pace.

- La pazienza si contrappone all'impazienza, all'ira, alla mancanza di amorevole tolleranza. È la qualità di coloro che sanno vivere con gli altri anche quando gli altri disat-tendono le nostre aspettative, ci irritano e ci fanno in va-rio modo soffrire.

- La benevolenza e la bontà sono congiunte alla pazienza per insegnare come una dolce disposizione d'animo e la

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costante disponibilità a fare del bene è il modo di stare con gli altri consono all'amore cristiano.

- La fedeltà è la qualità di coloro che mantengono gli impegni presi con gli altri. I cristiani della Galazia erano stati molto incostanti nel loro rapporto con Paolo (4:13-16). Solo lo Spirito di Cristo può produrre la qualità della fedeltà ad ogni costo.

- La mansuetudine è l'opposto del coltivare ambizioni egoistiche. I mansueti non sono "vanagloriosi, provocandosi e invidiandosi gli uni gli altri" (26). Mansuetudine è espres-sione di umiltà, quella che considera i bisogni e i senti-menti degli altri prima dei propri obiettivi personali.- L'autocontrollo è l'opposto della dissolutezza, dell'atteg-giamento di chi indulge ad ogni voglia. Coloro che sono condotti dallo Spirito di Cristo non vivono "secondo la carne", non soddisfano in modo sconsiderato i loro appe-titi, indulgendo in "fornicazione, impurità, dissolutezza". Hanno la forza di dire di no a sé stessi, ai desideri della loro natura peccaminosa.

A coloro che vorrebbero vivere sotto la supervisione della legge mosaica, Paolo afferma: "Contro queste cose non c'è legge". Egli, così, li assicura che se sono condotti dallo Spirito, essi non sono sottoposti alla legge (18) sem-plicemente perché è lo Spirito di Cristo a produrre in loro tutte le qualità che adempiono ai requisiti della legge (14,23). Non c'è regola alcuna nella legge mosaica che possa essere citata contro tali qualità del carattere. Una

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vita condotta dallo Spirito non è una vita che sia contra-ria alla legge, ma una vita che adempie alla legge. La leg-ge, quindi, può essere adempiuta non vivendo sottoposti ad essa come schiavi, ma mediante lo Spirito come figli di Dio che vivono in armonia con Lui.

Preghiera. Signore Iddio, dammi di poter vivere sempre meglio la qualità di vita di chi è condotto dallo Spirito di Cri-sto. Per questo, o Signore, mi tengo stretto a Te affinché le vir-tù del Tuo amore fluiscano attraverso di me con una testimo-nianza cristiana irreprensibile. Amen.

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Una condanna a morte per poter rinascere a vita nuova

24 "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25 Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito. 26 Non siamo vanagloriosi, provocando-ci e invidiandoci gli uni gli altri" (Galati 5:24-26).

L'apostolo Paolo conclude la sua elencazione delle ope-re della carne e dei frutti dello Spirito con un'affermazione riassuntiva sulla mortificazione della natura peccamino-sa: "Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri" (24), come pure sulla vita vis-suta mediante lo Spirito: "Se viviamo dello Spirito, cammi-niamo anche guidati dallo Spirito" (25).

Perché nasca la vita nello Spirito di Cristo è necessario "far morire la carne", "crocifiggerla". Appartenere a Cristo vuol dire avere "crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri". Il tempo che Paolo qui usa è il passato, per indi-care qualcosa che già deve essere successo per il credente all'inizio del cammino della sua vita di fede, cioè aver preso la risoluzione netta e spietata, assoluta ed irreversi-bile come una crocifissione, di rinunciare al male. In un'antica liturgia battesimale si chiede al battezzando: "Rinunci al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio?", al che egli risponde: "Rinuncio". E poi: "Rinunci alle seduzioni del male per non lasciarvi dominare dal peccato?", "Rinuncio"; "Rinunci a Satana, origine e causa

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di ogni peccato?", "Rinuncio". Se il ravvedimento e la ri-nuncia al male sono decisive come la crocifissione, questo significa che il cristiano dice un no assoluto e senza con-dizioni a tutti i desideri peccaminosi ed alle passioni.

La rinuncia al male, però, non è solo un voto battesi-male, ma una disciplina pratica quotidiana. Ad ogni pro-posta o tentazione di cedere a ciò che Dio considera un male, il cristiano così dice: "Assolutamente no". Si tratta di una vera e propria guerra spirituale: "Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro" (17). La natura pec-caminosa, infatti, non sarà mai completamente sradicata in noi in questa vita. È quindi è necessario essere sempre impegnati in questa guerra. L'espressa rinuncia a ciò che Dio considera un male non è qualcosa di qualcosa di "ne-goziabile": deve essere chiaro e definito. Non vi può esse-re alcuna trattativa di pace con Satana.

Il perfezionista che parla come se la sua natura pecca-minosa fosse stata completamente sconfitta si inganna ed ha perduto di vista l'inevitabilità di questa lotta quotidia-na. Il pessimista che si scoraggia dicendo che "tanto è una guerra inutile perché perduta" cede troppo presto le armi e perde di vista il fatto che possiamo essere vittoriosi identificandoci attivamente con Cristo sulla croce.

L'esecuzione della "condanna a morte" della nostra na-tura peccaminosa è seguita dall'attiva espressione della nuova vita nello Spirito: "Se viviamo dello Spirito, cammi-

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niamo anche guidati dallo Spirito". I tempi dei verbi usati da Paolo nell'originale sono: indicativo ("Se viviamo"), e im-perativo: ("Camminiamo", letteralmente: state al passo!). È la stessa combinazione dei versetti 1 ["Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi"] e 13 ["Voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne"]. L'imperativo esprime la no-stra responsabilità di proteggere la nostra libertà dalla schiavitù sotto la legge, di far uso della nostra libertà per servire l'uno all'altro nell'amore e di "tenere il passo" con lo Spirito. È lo Spirito, infatti, che "batte il tempo della marcia": il che implica concentrazione e disciplina: non possiamo rallentare o andare troppo veloci.

L'esempio pratico di questo l'Apostolo lo fornisce al v. 26: "Non siamo vanagloriosi, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri". I cristiani della Galazia si erano infatti divisi fra di loro per orgoglio e vanagloria, il che dava origine a provocazioni ed invidia. Nella loro pretesa di osservare la legge mosaica, quei cristiani erano diventati molto competitivi nella loro vita spirituale, uno cercava di fare di più e di meglio dell'altro. Non era, però, una competi-zione sana, perché metteva l'uno contro l'altro come se avessero dovuto conquistare "il premio" sbaragliando gli altri. Nella vita cristiana, però, si cammina insieme, por-tando i pesi gli uni degli altri.

"Provocare" qui significa "lanciarsi una sfida in una competizione". Alcuni erano perciò così sicuri della loro superiorità spirituale da volerla provare in una sorta di

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gara. Altri si sentivano spiritualmente inferiori e prova-vano risentimento verso coloro che li facevano sentire in quel modo. La vanagloria è un cancro spirituale che divo-ra ogni possibilità di amore e persino di buon senso. L'u-nico rimedio per questo tipo di cancro è un'operazione chirurgica radicale: dobbiamo crocifiggere la vanagloria della nostra natura peccaminosa ed essere condotti dallo Spirito, il quale solo ha la potenza di spodestar la dittatu-ra della vanagloria.

Preghiera: Dammi, o Signore, di vedere la vita cristiana in modo molto serio ed impegnato come la rinuncia costante e la lotta contro tutto ciò che Tu, nella Tua Parola, ritieni un male, militando con Cristo ed avvalendomi della potenza del Suo Spirito messami a mia disposizione. Amen.

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I doveri di chi è condotto dallo Spirito "1 Fratelli, se uno viene sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. Bada bene a te stesso, che an-che tu non sia tentato. 2 Portate i pesi gli uni degli altri e adempire-te così la legge di Cristo" (Galati 6:1-2).

Fino a questo punto l'Apostolo ha condotto i cristiani della Galazia a comprendere lo sfondo storico e teologico della crisi in cui si trovano e ha esposto loro principi ge-nerali sulla "vita nello Spirito". Ora egli specifica quali siano le specifiche responsabilità che hanno coloro che sono condotti dallo Spirito di Cristo.

"Voi che siete spirituali" (1) non è una speciale categoria di "super-credenti", ma cristiani autentici che vivono lo Spirito di Cristo! Essi hanno la responsabilità di risanare e ricostruire i rapporti pregiudicati all'interno della loro comunità, riportandovi l'unità. L'intensa opera di proseli-tismo portata avanti dai legalisti affinché i cristiani della Galazia si sottoponessero alle regole della legge mosaica, infatti, non aveva fatto altro che creare dispute e divisioni (5:15; 5:26). Le responsabilità dei credenti l'uno verso l'al-tro sono qui strettamente legate a quelle che essi hanno verso sé stessi.

La via del ricupero. "Fratelli, se uno viene sorpreso in col-pa". Ci si può ben attendere che in una comunità cristiana si facciano errori e si commettano peccati che causano problemi di vario tipo e arrecano danno sia ai singoli che

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alla vita comunitaria. Questo non deve sorprenderci: fa parte della nostra natura anche se siamo credenti. La cosa, però, non deve necessariamente essere considerata irreparabile: tutto sta in come vi si risponde. Il legalista dirà che chi sbaglia debba essere severamente condanna-to. Formalmente è giusto (le azioni disciplinari sono legit-time), ma c'è una via migliore e più costruttiva. Chi è condotto dallo Spirito, coglie questa come un'opportunità per manifestare il frutto dello Spirito di Cristo al fine di risanare, ricuperare e riconciliare il peccatore. Senza per questo giustificare il peccato, la via di Cristo è quella del-la compassione per chi ha sbagliato e l'aiuto a "riparare i danni". Il peccato, inoltre, "causa dipendenza" e chi sba-glia deve essere sostenuto affinché questo non accada. Il motto del cristiano deve così sempre essere ricupero, ri-stabilimento, riparazione, riconciliazione, rialzare chi è ca-duto, e non, quando è a terra, ...mettere il piede sulla sua schiena affinché vi rimanga! È soprattutto quanto mai ne-cessario farlo, poi, "con spirito di mansuetudine" (uno dei frutti dello Spirito), umilmente, non come chi si crede su-periore, ma consapevoli di essere passibili di sbagliare e cadere. Per questo Paolo passa al plurale al singolare: "bada bene a te stesso", perché potresti cadere in tentazione prima di quanto tu creda. La consapevolezza della nostra vulnerabilità non solo ci fa stare in guardia ma anche ci fa essere compassionevoli e umili. Dipendiamo tutti dalla grazia di Dio.

La via della condivisione. Nella comunità cristiana ab-biamo la responsabilità di condividere non solo i compiti

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ma anche di portare i fardelli (fisici, emotivi, mentali, mo-rali e spirituali) l'uno dell'altro in spirito di volenteroso ed amorevole servizio reciproco. Molti di questi fardelli sono nascosti: per questo il cristiano è particolarmente sensibile ed attento agli altri. Può anche essere il fardello delle conseguenze del peccato. Il cristiano, così, non dirà mai, "è affar suo, ben gli sta!" ma, senza per questo con-donare il peccato, sa stare accanto a chi ha sbagliato, con-fortarlo ed aiutarlo. Indubbiamente questo "adempie alla legge di Cristo" perché è esattamente lo spirito che Cristo aveva avuto nella Sua vita terrena, soprattutto quando sulla croce si fa carico Egli stesso dei peccati dei Suoi. Es-sere uniti a Cristo significa calcarne le orme. "Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io" (Giovanni 13:15).

Preghiera. Signore Iddio, ispirami sempre meglio, Te ne prego, lo Spirito di Cristo, affinché io, con umiltà, sappia aiuta-re chi sbaglia a tornare sulla retta via. Rendimi sempre meglio disponibile ad aiutare gli altri a portare i loro pesi. Dammi però anche la disponibilità ad essere corretto io stesso ed aiutato, piegando il mio orgoglio. Amen.

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La necessità dell'esame di noi stessi 3 “Infatti se uno pensa di essere qualcosa pur non essendo nulla, in-ganna se stesso. 4 Ciascuno esamini invece l'opera propria; così avrà modo di vantarsi in rapporto a se stesso e non perché si paragona agli altri. 5 Ciascuno infatti porterà il proprio fardello" (Galati 6:3-5).

Un altro dovere della persona autenticamente spiritua-le, cioè condotta dallo Spirito di Cristo, è quello dell'at-tento esame di sé stesso, l'esame di coscienza, ma anche la disponibilità costante a verificare la propria condizione spirituale e cammino nella fede.

Paolo, così, mette in rilievo il bisogno che tutti abbia-mo, come cristiani, di una valutare la nostra personale condizione spirituale. C'è infatti sempre la possibilità al riguardo, di ingannare noi stessi. La valutazione di noi stessi deve essere fatta in base ad un oggettivo esame del proprio lavoro, non sulla base del confronto con altri (4). La valutazione di noi stessi dovrebbe chiarire soprattutto quale sia la missione che Dio personalmente ci ha affida-to (5). Credersi indebitamente "profeta", "maestro" o "cen-sore" non è infrequente in diversi credenti. Lo sono vera-mente? Potrebbe essere la loro un'indebita presunzione? "Infatti se uno pensa di essere qualcosa pur non essendo nulla, inganna se stesso" (3). C'erano, fra i Galati, cristiani che avevano un'opinione così alta su sé stessi da impedire loro di assumere il ruolo di servitori e portare i fardelli

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degli altri. Gesù per primo aveva dato l'esempio di come si debba "lavare i piedi" l'uno dell'altro: "Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io" (Giovanni 13:12-15).

I legalisti erano così assorbiti dall'importanza della loro missione di imporre a tutti la legge mosaica che non ave-vano né tempo né interesse di "compatire" chi era afflitto dal peccato, né tolleranza alcuna per chi non riusciva a conformarsi alle loro regole. Si credevano importanti, mentre in realtà erano nulla. Paolo scrive: Se "non avessi amore, non sarei nulla" (1 Corinzi 13:2). Solo coloro che sono liberi dal senso della propria importanza sono in grado di servire gli altri con amore.

Come si può, però, "vantarsi in rapporto a sé stessi"? Ci sono due tipi di vanto: uno è l'ipocrita vanagloria rispetto ai criteri di questo mondo o alle regole di una religiosità egocentrica e carnale, l'altro è il vantarsi "della croce di Cristo" (14). Paolo si vantava della croce perché essa è la manifestazione ultima dell'amore di Dio per i peccatori coscienti della gravità dei loro peccati. Il Fariseo del rac-conto di Gesù così pregava "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano" (Luca 18:11).Il Fariseo non era tor-nato a casa giustificato, il pubblicano penitente, però, sì. Il vanto dei cristiani è paradossale perché è vantarsi di

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qualcosa (la croce) che, agli occhi del mondo, era qualco-sa di vergognoso. I cristiani, però, celebrano la compas-sione che Dio ha avuto per loro in Cristo.

"Ciascuno infatti porterà il proprio fardello" (5). Non c'è contraddizione fra questa frase e quella del v. 2. "Portate i pesi gli uni degli altri". Il termine "peso" e "fardello" si equivalgono in altri contesti, ma qui "fardello" si riferisce ai compiti affidatici dal nostro Maestro, di fronte al quale dovremo rendere conto di come abbiamo usato le oppor-tunità ed i talenti che Dio ci ha affidato. È proprio di adempiere la missione che Dio ci ha affidato nella vita che impariamo a portare i pesi gli uni degli altri. I cristia-ni esaminano il proprio operato per vedere se riflette l'a-more di Cristo, quanto essi servano gli altri con amore.

Preghiera. Signore Iddio, guidami, Te ne prego, ad esami-nare diligentemente la mia vita, affinché io mi conformi sempre meglio all'esempio del Tuo Figlio Gesù Cristo. Che io non mi vanti d'altro che di essere un peccatore salvato dalla Tua stu-pefacente grazia.

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Sosteniamo chi ci istruisce nella Parola 6 "Chi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i suoi beni

a chi lo istruisce" (Galati 6:6).

La sfida dell'Apostolo ai cristiani della Galazia di adempiere senza ritardo la missione che Dio ha loro affi-dato ["Ciascuno porterà il proprio fardello" (5)] è ora contro-bilanciata dal riconoscimento che alcuni che stanno por-tando avanti la missione che Dio ha loro affidato nella chiesa di insegnare la Parola di Dio, devono essere soste-nuti dall'intera chiesa. Si tratta di un'applicazione molto pratica del frutto dello Spirito. Lo Spirito che ispira "bon-tà" nel cristiano è lo stesso che ci chiama a condividere i nostri beni [pasin agathois (ogni cosa buona)] con chi lo istruisce.

Nella chiesa antica le comunità cristiane erano impe-gnate nello studio della dottrina biblica, in particolare chi si preparava al battesimo, il katēchoumenos (la parola qui usata, tradotta "chi viene istruito", da cui il nostro "cate-cumeno"), istruito da un insegnante (o catechista) sulla base di un insieme di insegnamenti (la catechesi). La chie-sa antica possedeva un catechismo, un'istruzione formale nella teologia cristiana di base. La crescita nella fede di ogni singolo credente dipende, infatti, dal ricevere, in modo regolare e sistematico, l'insegnamento biblico.

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In secondo luogo, la funzione dell'insegnante, o catechi-sta, nella chiesa antica era spesso un'occupazione che im-pegnava a pieno tempo, il che implicava la necessità di considerarla un lavoro che la chiesa aveva il dovere di re-tribuire. Il fatto che Paolo, per alcuni periodi della sua vita, si guadagnasse da vivere attraverso un lavoro "seco-lare", era un'eccezione dovuta a cause contingenti, non la regola. Paolo presuppone che chi si impegna nella chiesa all'insegnamento biblico debba essere retribuito (1 Co-rinzi 9:14; 1 Timoteo 5:17). Paolo attribuisce grande importanza e dignità a chi insegna la parola e questo non può essere un hobby da praticare "quando si ha tempo".

In terzo luogo, quando i catechisti insegnano fedelmen-te la Parola di Dio e le chiese li ricambiano sostenendoli, v'è unità nella chiesa. Quando qui il testo parla della ne-cessità di "far parte" dei nostri beni, di condividerli, con chi ci istruisce, l'originale usa la parola koinōneitō da cui deriva il termine koinonia (comunione, partenariato). La crisi delle chiese nella Galazia avrebbe potuto essere su-perata quando esse avessero pure preso molto seriamen-te la necessità di un'istruzione regolare e strutturata nel loro interno, coinvolgente tutti e con tanto di insegnanti retribuiti. Solo l'istruzione diligente nella dottrina cristia-na trasmessa dagli apostoli avrebbe potuto proteggerli dall'infiltrazione di dottrine eversive e consolidare le loro comunità. Lo stesso vale oggi.

Preghiera. Signore Iddio, intendo prendere molto seriamen-te l'appello che rivolgi anche a me tramite il testo biblico di

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oggi di studiare in modo diligente e regolare la dottrina biblica. Ti ringrazio per coloro che Tu hai chiamato e preparato alla predicazione ed all'insegnamento della Parola e di cui io mi av-valgo. Desidero esprimere la mia riconoscenza verso di Te e di loro contribuendo responsabilmente al loro sostentamento eco-nomico. Nel nome di Cristo. Amen.

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Una logica imprescindibile 7 "Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l'uomo avrà seminato, quello pure mieterà. 8 Perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna" (Galati 6:7-8).

Le responsabilità che competono ai cristiani, come sono state elencate fin ora, presentano due modi di vivere opposti fra di loro: la via dello Spirito e quella della "car-ne" (o natura peccaminosa). Per i cristiani della Galazia è tempo ora di decidere: quel che sceglieranno conseguirà dei risultati, avrà inevitabili conseguenze. Non possono rimanere neutrali: o si lasciano condurre dallo Spirito di Cristo, oppure dalla gratificazione dei desideri della loro natura peccaminosa. Ognuno, a livello personale, deve scegliere.

Così come in agricoltura si raccoglie quel che si semina, così c'è un'imprescindibile logica anche nelle decisioni che facciamo a livello esistenziale: Illudersi di raccogliere cose diverse da quelle che si sono seminate è da stupidi. Crederlo significa ingannare sé stessi. Altrettanto da stu-

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pidi è pensare di potersi beffare di Dio e farla franca. C'è forse qualcuno che pensa di riuscirci? Povero illuso... Ep-pure c'è sempre qualcuno che pensa che per lui vi sia un'eccezione: "Sebbene questo possa essere vero per tutti gli altri, non è vero per me. Io posso seminare tutto ciò che voglio e, ciononostante, aspettarmi un buon raccolto". Davvero vale qui il detto di Geremia: "Il cuore è inganne-vole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?" (Geremia 17:9). La capacità che abbiamo di ingannare noi stessi è veramente stupefacente, fino a sfi-dare ogni logica e buon senso. Ciò che Dio afferma nella Sua Parola è davanti a noi chiaro ed inequivocabile, ep-pure riusciamo sempre a razionalizzare ed a giustificare le nostre scelte ed opinioni e credere che sarà, invece, come diciamo noi. Quel che facciamo è però solo ingan-nare noi stessi e presumere di poterci nascondere da Dio, come Adamo ed Eva che si erano nascosti dietro un ce-spuglio ritenendo ...di non essere visti da Dio. Davvero ridicolo, come ridicole sono spesso le giustificazioni che diamo a certo nostro operato. L'ammonimento di Paolo, allora lo dobbiamo riascoltare spesso per metterci in guardia contro anche le nostre più brillanti patetiche giu-stificazioni: "...chi semina per la sua carne, mieterà corruzio-ne dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spiri-to vita eterna" (8).

Siamo di fronte, così, ad una decisione che determinerà il nostro destino. Non siamo vittima del fato o della sfor-tuna. Se "seminiamo" secondo la nostra natura peccami-nosa, quale ne sarà il risultato inevitabile, e quale pure

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sarà se seguiamo la via indicata dallo Spirito di Dio? Co-loro che vivono avendo per obiettivo solo quello di sod-disfare i loro istinti naturali, di fatto distruggono i loro rapporti con gli altri: si mordono, si divorano e si consu-mano a vicenda, provocandosi ed invidiandosi l'un l'altro (5:15,26).

"Seminare per lo Spirito" significa "servire gli uni gli al-tri per mezzo dell'amore" (5:13), rialzare chi viene sorpre-so in colpa (6:1), portare i pesi gli uni degli altri (6:2), dare generosamente a coloro che nella chiesa ci ammae-strano (6:6) e non scoraggiarsi a fare del bene a tutti (6:9). "Seminare per lo Spirito" significa edificare rapporti amo-revoli con gli altri. Portare i fardelli gli uni degli altri si-gnifica partecipare intensamente ai loro dolori ed afflizio-ni. "Seminare per lo Spirito" significa fare il bene degli al-tri. Se seminare per la carne significa indulgere egoistica-mente a compiacere sé stessi, seminare per lo Spirito si-gnifica servire amorevolmente gli altri senza nulla rispar-miare."Seminare per lo Spirito" significa "mietere vita eterna". Dalla prospettiva di Paolo, cristiani sono coloro che già "sono stati sottratti al presente secolo malvagio" (1:4) e già sono "nuove creature" (6:15). La lotta fra lo Spi-rito e la carne (la natura peccaminosa), però, non è ancora terminata (5:17). In Cristo già abbiamo un nuovo rappor-to con Dio e l'uno con l'altro. Non ci rapportiamo più con Dio come servi, ma come figli che si rivolgono a Lui come Padre (4:6-7), come pure ci rapportiamo l'uno con l'altro superando qualsiasi distinzione razziale, sociale e di ge-nere, trovando in Cristo il nostro comune punto di riferi-

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mento. Dato, però, che la lotta fra lo Spirito e la carne continua, noi viviamo fra incoerenze e contraddizioni. Coloro che, però, continuano a crescere in questi rapporti mediante la potenza dello Spirito Santo, alla fine godran-no la pienezza della vita eterna - armonia perfetta in rap-porto con Dio e con gli altri.

Preghiera. Signore, giustifico fin troppo facilmente le mie scelte illudendomi che alla fine tutto andrà comunque bene. Non considero così la ferrea logica della causa e dell'effetto e, quel che più conta, la tua volontà rivelata. Perdonami. Fa sì che, mortificando le mie "tendenze naturali" e seguendo lo Spi-rito di Cristo io mi avvii verso un certe e ricco raccolto alla Tua gloria. Amen.

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Ne vale sempre la pena! 9 "Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stan-

chiamo, mieteremo a suo tempo. 10 Così dunque, finché ne abbia-mo l'opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fra-telli in fede" (Galati 6:9-10).

Crescere nella qualità dei nostri rapporti con i nostri fratelli e sorelle in fede, non è cosa che accada automati-camente: è necessario sforzo e determinazione, soprattut-to quando questi rapporti sono stati rovinati da compor-tamenti pregiudizievoli. È per questo che l'Apostolo inco-raggia qui i cristiani della Galazia nella perseveranza a fare il bene e ad edificare comunione anche se talvolta può essere un compito ingrato od apparire impossibile.

Lo "sforzo" e l'impegno nel fare il bene i cui qui si par-la, non è in contraddizione alla prospettiva della "sola fede" né la pregiudica. Qui, infatti, non si sta parlando della nostra salvezza eterna (che è opera e merito soltanto di Cristo e che la si riceve per fede). Qui si parla del cre-dente che, riconciliato con Dio, esprime la propria ricono-scenza verso di Lui, vivendo in mondo a Lui gradito ma-nifestando i frutti dello Spirito, fra i quali vi è la benevo-lenza e la bontà. Il credente fa uso di questi "frutti" e "li condivide" con gioia affinché la loro bontà sia sempre meglio apprezzata e possano nutrire i singoli e la comu-nità. In ogni caso, la fede è autentica quando opera per

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mezzo dell'amore (5:6) e nell'impegno di servirsi recipro-camente (5:13) e di portare i fardelli l'uno dell'altro (6:2).

Uno dei più grandi ostacoli nel ricostruire rapporti compromessi è semplicemente la fatica: è facile perdersi di coraggio e credere che, in alcune circostanze, non ne valga la pena! Paolo stesso era stato tentato, proprio in questa circostanza, dallo scoraggiamento: "Io temo di es-sermi affaticato invano per voi" (4:11). Dovremmo gettare la spugna? No.

In primo luogo egli ci assicura che "se non ci stanchia-mo, mieteremo a suo tempo" (6:9). In agricoltura il raccolto avviene molto tempo dopo la semina! Il bene che faccia-mo non è mai sprecato. Potrebbe portare frutto anche dopo la nostra stessa scomparsa e certamente l'avrà al ri-torno di Cristo, quando il bene trionferà incontrastato ed i Suoi servitori ne avranno la ricompensa.

In secondo luogo, Paolo motiva la perseveranza ram-mentandoci che siamo parte di una grande famiglia, quella dei "fratelli in fede".(10). Sebbene non vi sia limite nel raggio d'azione del cristiano quando è chiamato a fare il bene, cioè a tutti indistintamente, la nostra priorità è certamente quella di servire la famiglia dei credenti, la comunità cristiana, "avamposto" della nuova creazione.-Tutti i cristiani sono "figli di Abraamo" per fede in Cristo, progenie di Abraamo (3:6-29). Tutti i cristiani godono pienamente dei diritti che appartengono ai figli di Dio (4:4-7). Tutti i cristiani sono veri figli della "donna libera",

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la Gerusalemme celeste, "nostra madre" (4:21-31). Queste grandi verità sulla famiglia dei credenti dovrebbero spro-narci a non scoraggiarci a fare del bene ai nostri fratelli e sorelle in fede. In quanto famiglia, noi apparteniamo l'u-no all'altro perché apparteniamo a Cristo.

Preghiera. Che il mio impegno a fare ciò che davanti a Dio è bene sia incrollabile. In questo, aiutami, o Signore. Che io non mi scoraggi anche quando sembra che per questo io non sia apprezzato. Dammi la ferma persuasione che il bene che faccio non è mai sprecato e che prima o poi sarà ricompensato dal suc-cesso. Amen.

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Le motivazioni carnali e mondane dei legalisti 11 "Guardate con che grossi caratteri vi ho scritto di mia pro-

pria mano! 12 Tutti coloro che vogliono far bella figura nella car-ne, vi costringono a farvi circoncidere e ciò al solo fine di non esse-re perseguitati a causa della croce di Cristo. 13 Poiché neppure loro, che sono circoncisi, osservano la legge; ma vogliono che siate circoncisi per potersi vantare della vostra carne" (Galati 6:11-13).

Come si usava al tempo dell'Apostolo Paolo, le lettere di una certa importanza erano dettate dall'autore ad uno scrivano. L'autore, poi, aggiungeva di sua propria mano, al termine della lettera, alcune righe in cui tornava ad evidenziare ciò che riteneva di particolare importanza. Le cose che qui Paolo desidera mettere in grande evidenza egli le scrive persino con grossi caratteri (noi le scrive-remmo magari in grassetto o con doppia sottolineatura)

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affinché nessuno possa giustificarsi dicendo di non averle intese o di essersele lasciate sfuggire.

Ecco così come i punti sui quali Paolo vuole particolar-mente attirare l'attenzione è il contrasto esistente fra lui e coloro che, insegnando dottrine eversive rispetto all'E-vangelo, avevano sviato molti cristiani della Galazia. Per chiarire questi punti di contrasto Paolo prima riassume la posizione di questi maestri (12-13). Paolo identifica tre motivazioni di base per cui questi falsi maestri sono giunti presso di loro.

In primo luogo afferma che essi sono motivati dall'os-sessione con l'uniformità esteriore (12). La loro insistenza a che tutti fossero circoncisi rivelava come essi fossero solo interessati a far sì che tutti apparissero esteriormente ("nella carne") simili (in questo caso agli ebrei). Per loro tutti i cristiano avrebbero dovuto essere "allineati e coper-ti" compattamente come dei militari in uniforme inqua-drati in una caserma e che marciano tutti al passo. Indub-biamente, così, farebbero "bella figura" e potrebbero esse-re riconoscibili chiaramente, ma... Questa ambizione al-l'uniformità continua ad essere oggi soprattutto da grup-pi religiosi settari e dirigisti che impongono ai loro mem-bri una stretta disciplina, precise regole di comportamen-to e magari anche uno stesso modo di vestire. Indubbia-mente questo fa "una bella impressione" di ordine e puli-zia, ma si tratta di un bisogno psicologico al quale rispon-dono in modo illusorio e non sostanziale, interiore. Quel-la che realizzano, praticamente sempre si rivela un'uni-

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formità del tutto ingannevole ed artificiosa e spesso ipo-crita e non raramente disumana. In ogni caso, tutto que-sto non ha a che fare con la libertà, spontaneità e spiritua-lità che è frutto dell'Evangelo di Cristo e che i legalisti te-mono e considerano intollerabile. Il loro è un ricorso "alla carne": imponendo l'uniformità esteriore, dimostrano di non credere all'opera interiore dello Spirito Santo e, di fatto, rinnegano Cristo.

Il secondo motivo che Paolo rileva in questi falsi mae-stri è garantire la loro sicurezza personale: vogliono non correre il rischio di essere perseguitati (12). L'Evangelo della croce di Cristo e le sue "idee rivoluzionarie", la li-bertà che promuove con una vita condotta dallo Spirito è "roba rischiosa" che attirerebbe troppa attenzione per il suo anticonformismo... Queste "novità" sarebbero ritenu-te pericolose dalle autorità. Tutto, così, deve essere ricon-dotto nelle forme delle religioni ufficialmente tollerate e protette come, bene o male, era considerato allora il Giu-daismo insieme ad altre religioni. L'Evangelo di Cristo, per questi falsi maestri, proponeva idee troppo sovversi-ve che dovevano essere in qualche modo "moderate" o al-meno nascoste, non proclamate troppo esplicitamente. Nel corso della storia, quando il cristianesimo (o una sua forma) è stato reso "chiesa di stato" o fatto rientrare nella categoria dei "culti ammessi" equivaleva al tentativo di "addomesticarlo", di "normalizzarlo", di "spuntare i suoi tratti taglienti", di "tenerlo sotto controllo" e, in fondo neutralizzarlo alterandolo. L'Apostolo ne è cosciente e per questo contesta con forza i falsi maestri.

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Paolo smaschera l'ipocrisia dei falsi maestri rilevando una terza motivazione della loro campagna in favore del-la circoncisione: erano motivati dall'orgoglio per la loro identità nazionale (13). Non erano veramente interessati alla trasformazione morale dei cristiani della Galazia e neanche nelle loro conquiste spirituali. Erano interessati a vantarsi con i loro correligionari israeliti che in Galazia sorgessero "belle comunità" che promuovessero l'identità, la cultura, le tradizioni, la politica e l'influenza dell'ebrai-smo. Avrebbero voluto poter dire, sfruttando il messag-gio cristiano: "Guardate, persino di pagani ne abbiamo fatto dei buoni israeliti. La circoncisione alla quale li ab-biamo fatto sottoporre ne è testimonianza!". Certamente non era questo lo spirito del Signore Gesù Cristo né il messaggio dei Suoi apostoli. Nel versetto successivo Pao-lo riassume la sua posizione al riguardo.

Preghiera. Signore Iddio, veglia, te ne prego, sulle motiva-zioni del mio essere cristiano, affinché non siano pretesti per promuovere valori carnali e mondani, ma che siano fedeli all'E-vangelo annunziato dal Nuovo Testamento. Amen.

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Su che cosa si fonda il mio vanto 14 "Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo. 15 Infatti, tanto la circoncisione che l'incirconcisione non sono nulla; quello che importa è l'essere una nuova creatura" (Galati 6:14-15)..

In netta contrapposizione con le orgogliose (e monda-ne) pretese dei maestri del legalismo, l'Apostolo riaffer-ma con queste sue parole la sua fondamentale dedizione al significato della croce di Cristo (14) ed alla nuova crea-zione che Cristo rende possibile, per l'opera dello Spirito Santo, in tutti coloro che si affidano a Lui come Signore e Salvatore (15).

Attenersi al significato ultimo della croce di Cristo si-gnifica eliminare dalla nostra vita ogni ragione per van-tarsi di ciò che siamo in noi stessi o realizziamo. Chi si identifica con Cristo, associandosi alla Sua morte in croce, di fatto muore a sé stesso, squalifica quel che è in sé stes-so e le sue opere, rinnega sé stesso, vanifica ogni umana vanagloria. Quanti sono davvero pronti a farlo? Eppure su di questo si gioca il nostro essere cristiani, la nostra stessa salvezza. Nel mondo tanti si vantano orgogliosa-mente della loro identità nazionale, della loro condizione sociale e religione, delle loro imprese, cultura, potenza, opere, bontà... Tutto questo è solo empia vanità: "Poi con-siderai tutte le opere che le mie mani avevano fatte, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità, un

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correre dietro al vento, e che non se ne trae alcun profitto sotto il sole" (Ecclesiaste 2:11). Vivere secondo lo spirito di que-sto mondo conduce inevitabilmente a queste futili vana-glorie. Quando a tutto questo io muoio, però, lo spirito di questo mondo non governa più la mia vita. La mia fede nel significato della croce di Cristo include non solo la consapevolezza che Egli sia morto per me, al mio posto, per salvarmi dal giudizio di condanna che la legge di Dio rende inevitabile, ma anche la costante consapevolezza che io debbo considerarmi morto con Lui. Non ho più mo-tivo alcuno di vantarmi perché il mio vecchio io, caratte-rizzato dai valori di questo mondo e dal peccato che mi rende sgradito a Dio e condannato, è morto. Questa ri-nuncia assoluta ad ogni possibile vanto, a causa della mia totale identificazione con il Messia crocifisso è l'aspirazio-ne di ogni autentico cristiano.

La fede in Cristo non conduce solo a morire ai valori fallaci di questo mondo, ma conduce anche alla vita, quella vera, e ad un nuovo stile di vita: "Infatti, tanto la circoncisione che l'incirconcisione non sono nulla; quello che importa è l'essere una nuova creatura" (15). Vivere la realtà della nuova creazione può essere considerato il tema di quest'intera lettera. Abbiamo con Dio un nuovo rapporto, non siamo più servi, ma figli, liberi di rivolgerci a Lui come Padre, papà (4:6). Abbiamo un nuovo rapporto l'u-no con l'altro: non siamo più imprigionati e divisi da bar-riere razziali, sociali o sessuali: siamo ora liberi ed uno in Cristo (3:28). Regola della vita di Paolo, e regola di ogni autentico cristiano è l'Evangelo: esso determina le dimen-

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sioni spirituali e sociali della sua vita. Paolo non si rap-porta più con Dio sulla base della sua identità israelita (e noi sulla base di qualsiasi cosa che riteniamo importante secondo i criteri di questo mondo), ma sulla base della sua unione con Cristo nella Sua morte e risurrezione.

Preghiera. Signore, appartengo a Te, ho fiducia in Te e vo-glio seguirti. Quant'è vero, però, che ancora io debbo ravveder-mi da molo di ciò che in questo mondo è motivo di fallace orgo-glio! Aiutami a prenderne coscienza e a rinnegarlo, affinché sempre meglio io possa trovare in Cristo e nella Sua opera mi-sericordiosa verso di me, il solo motivo del mio vanto. Amen.

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Quanti sono disposti a seguire la regola di Cristo?

16 "Su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull'Israele di Dio. 17 Da ora in poi nessu-no mi dia molestia, perché io porto nel mio corpo il marchio di Gesù. 18 La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen" (Galati 6:16-18).

L'Apostolo termina la sua lettera con una benedizione: "Su quanti cammineranno secondo questa regola siano pace e misericordia, e così siano sull'Israele di Dio" (16). Attraverso tutta la sua lettera, Paolo si è appellato all'Evangelo come la sola regola da seguire nei nostri rapporti con Dio e l'u-no con l'altro, la via maestra. Tutti coloro che seguono questa regola certamente faranno l'esperienza della pace e della misericordia nei loro rapporti con Dio e l'uno con

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l'altro perché "...è grazie a lui [e solo a Lui] che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giusti-zia, santificazione e redenzione" (1 Corinzi 1:30). L'Evange-lo, infatti, ci pone in pace con Dio sulla base della miseri-cordia che Egli ci ha manifestato in Cristo. Allo stesso modo, tutti coloro che hanno fatto l'esperienza dell'Evan-gelo operano per promuovere la pace con altri esprimen-do verso gli altri la stessa compassione che hanno ricevu-to da Dio in Cristo.

Il contesto della lettera mostra come per Israele di Dio qui siano da intendersi i cristiani della Galazia, ogni cri-stiano. L'Apostolo riassume in questo modo la tesi secon-do la quale ogni credente in Cristo è indubbiamente vero figlio di Abraamo (3:6-29), figlio della "donna libera" pro-prio come Isacco (4:21-31). I falsi maestri asserivano che solo coloro che si sottopongono alla legge mosaica appar-tengono ad Israele. Ora Paolo afferma che tutti coloro che seguono l'Evangelo sono il vero Israele di Dio.

Dopo la benedizione su tutti i cristiani, Paolo aggiunge un chiaro e fermo ammonimento contro tutti coloro che hanno arrecato molestia alle chiese della Galazia con le loro pretese ed il loro legalismo. Il loro attacco alle chiese Paolo lo prende come un affronto personale e lo respinge fornendo la base della sua autorità: "Io porto nel mio corpo il marchio di Gesù" (17). Il "marchio di Gesù" sono le cica-trici lasciate su di lui dalle dure persecuzioni subite a causa di Cristo. Queste cicatrici dimostrano la sua "osti-nata" fedeltà all'Evangelo di Cristo. I falsi maestri erano

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interessati al segno lasciato sul corpo dalla circoncisione rituale. Paolo attira l'attenzione sulle cicatrici che riman-gono sul suo corpo per aver servito Cristo: una bella dif-ferenza! Quel che conta non sono i riti, le cerimonie e le formalità esteriori, ma una vita autenticamente vissuta secondo Cristo. Questa vita deve necessariamente "lascia-re un segno" su di noi. Magari non saranno ferite visibili, ma chiediamoci davvero in che modo Cristo ci ha portato al sangue, al sudore ed alle lacrime di un autentico disce-polato. Non quindi tanto simboli esteriori, ma vita vissu-ta! Tale prova di devozione a Cristo dovrebbe essere suf-ficiente per mettere a tacere i suoi critici. Lo è anche per i nostri critici? Vedono in noi "i segni" tangibili ed inequi-vocabili della nostra professione di fede?

La benedizione finale riassume il messaggio della lette-ra: "La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen" (18). La grazia di Gesù Cristo nel loro spirito, nel loro essere ed identità profonda, rende tutti i veri cristiani fratelli e sorelle nella famiglia di Dio.

Preghiera. Signore, non parole, ma fatti ispirati da Te: ecco ciò che desidero possa essere visibile attraverso tutta la mia vita. Non formalità, ma sostanza. Non cerimonie ma concrete espressioni d'amore, quelle che tu ci hai manifestato in Cristo. Amen.

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Indice1. Galati 1:1-5 - Inviato speciale. 2. Galati 1:6-9 - Diffidate dalle imitazioni.3. Galati 1:10 - Il favore ed il compiacimento di Dio. 4. Galati 1:11-12 - L'origine divina dell'Evangelo di

Paolo. 5. Galati 1:13-17 - L'opera imprevedibile dello Spirito

Santo.6. Galati 1:18-24 - Quali credenziali per il ministero.7. Galati 2:1-5 - Una questione di principio.8. Galati 2:6-10 - I rischi di adattarci al nostro

uditorio.9. Galati 2:11-14 - Adattamento o compromesso? 10.Galati 2:15-19 - Nient'altro che Cristo. 11.Galati 2:20-21 - Morti e viventi con Cristo. 12.Galati 3:1-4 - Dopo aver scoperto il nuovo ritornare

al vecchio?13.Galati 3:5-14 - Un rapporto non con un libro ma

con una persona.14.Galati 3:15-18 - Un dono incondizionato.15.Galati 3:19-20 - Comprendere la funzione della

legge (1).16.Galati 3:21-22 - Comprendere la funzione della

legge (2). 17.Galati 3:23-25 - Comprendere la funzione della

legge (3).18.Galati 3:26-29 - Le benedizioni d'essere in Cristo. 19.Galati 4:1-5 - Dalla schiavitù della legge alla lbertà

in Cristo20.Galati 4:6,7 - Siamo figli, non più servi!21.Galati:4:8-11 - Tentativi di normalizzare l'Evangelo

(15 . 22.Galati 4:12-20 - Le sofferenze di un ministro di Dio.

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23.Galati 4:21-31 - Leggere l'Antico Testamento nella prospettiva di Cristo.

24.Galati 5:1-15 - Libertà dalla religione. 25.Galati 5:16-18 - La determinazione a vivere secondo

lo Spirito di Cristo. 26.Galati 5:19-21 - L'evidenza dell'opera dello Spirito in

noi.27.Galati 5:22,23 - Il frutteto di Dio. 28.Galati 5:24-26 - Una condanna a morte per poter

rinascere a nuova vita.29.Galati 6:1-2 - I doveri di chi è condotto dallo Spirito.30.Galati 6:3-5 - La necessità dell'esamedi noi stessi.31.Galati 6:6 - Sosteniamo chi ci istruisce nella Parola. 32.Galati 6:7-8 - Una logica imprescindibile. 33.Galati 6:9-10 - Ne vale sempre la pena.34.Galati 6:11-13 - Le motivazioni carnali e mondane

dei legalisti. 35.Galati 6:14-15 - Su che cosa si fonda il mio vanto.36.Galati 6:16-18 - Quanti sono disposti a seguire la

regola di Cristo?

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