la questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’unione stessa avrebbe...

6

Upload: others

Post on 08-Sep-2019

7 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: La questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque
Page 2: La questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque

La questione referendaria

Quindici paesi europei – tra cui la Germania e la Francia – hanno già ratificato il Trattato di Lisbona attraverso l’approva-zione parlamentare1, mentre gli altri dodici si apprestano a farlo nei prossimi mesi. I numerosi “opt-out” ottenuti dal Regno Unito sembrano inoltre aver disinnescato (per stessa ammissione del leader Gordon Brown) il pericolo del temuto no britannico. L’inizio del prossimo anno dovrebbe dunque rappre-sentare il momento della defi-nitiva entrata in vigore del nuo-vo Trattato. Il più grande osta-colo che si frappone a questo importante risultato è costituito dal referendum irlandese che si terrà il prossimo 12 giugno. Questo referendum ha certa-mente una portata e un signi-ficato differente rispetto ai refe-rendum annunciati e in alcuni casi tenuti – con esiti diversi –sulla Costituzione europea. Questi ultimi erano infatti la conseguenza più o meno diretta della precisa volontà espressa dal presidente della Convenzione Giscard d’Estaing al momento del proprio insediamento nel 2001 di voler scrivere la Costituzione eu-ropea2. Infatti pur avendo una ampia partecipazione politica, la Convenzione non poteva in alcun modo essere considerata una assemblea costituente. Di

1 Si tratta di Ungheria, Slovenia, Malta, Romania, Bulgaria, Germa-nia, Polonia, Francia, Slovacchia, Portogallo, Danimarca, Austria, Lettonia, Lituania e Lussemburgo. 2 Il mandato della Convenzione ricevuto dal vertice di Laeken era piuttosto vago al riguardo, rife-rendosi alla riorganizzazione dei Trattati che solo eventualmente – e nel lungo periodo – avrebbe potuto portare alla scrittura di una Carta costituzionale. Giscard d’Estaing eliminò immediatamente qualsiasi dubbio rendendo chiaro il proprio obiettivo.

conseguenza al fine di – e in molti casi con il pretesto di – rispettare la volontà popolare su un testo di così fon-damentale importanza, molti paesi europei decisero di ri-correre al passaggio referen-dario. Si trattava evidentemente di una scelta legittima anche se profondamente criticabile. Anzi-tutto perché altri Trattati in pas-sato avevano avuto contenuti “costituzionali” anche più pro-fondi della nuova Carta, eppure non era stato necessario il passaggio referendario. Senza addentrarci in questioni giu-ridiche, la Costituzione rappre-sentava nella sostanza null’al-tro che un ulteriore Trattato internazionale per il quale molte Costituzioni nazionali – inclusa la nostra – non prevedono il passaggio referendario a causa delle difficoltà riscontrabili dai cittadini nella valutazione di testi così complessi3. Inoltre se proprio si fosse voluto rispet-tare il volere dei cittadini eu-ropei secondo un principio pie-

3 Un caso a parte è quello della Francia, obbligata ad indire il referendum per la ratifica della Costituzione europea a seguito di una pronuncia del “Conseil Constitutionnel”, adito dall’allora presidente della Repubblica Chirac. La Suprema Corte francese stabilì infatti che talune novità (tra cui la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale, l’esten-sione del voto a maggioranza qualifica a nuovi settori, l’amplia-mento dei poteri del Parlamento europeo) introdotte dal Trattato costituzionale “pregiudicassero le condizioni essenziali dell’esercizio della sovranità nazionale” e necessitassero pertanto di una legge di revisione della Costitu-zione nazionale da sottoporre a referendum popolare. Ironia della sorte è che, seppur bocciate dal referendum del maggio 2005, le stesse innovazioni oggetto della pronuncia della Corte rivivono ora nel Trattato di Lisbona già ratificato dalla Francia questa volta per via parlamentare.

namente democratico, si sareb-be dovuto avere il coraggio politico di un unico referendum europeo (anche se con dif-ficoltà giuridiche quasi insor-montabili) che avrebbe fatto emergere la volontà dell’intera cittadinanza europea.

Tolto il nome e il rango di “Costituzione” al documento (pur preservandone quasi tutte le innovazioni), i leader europei avevano così potuto optare, non senza sollievo, sul più tranquillo passaggio parlamen-tare. Il più grande problema è dunque oggi rappresentato pro-prio dall’Irlanda che deve tenere un referendum su que-ste questioni. In realtà la Co-stituzione irlandese (Bunreacht na hEireann) non è così chiara4, ma fa testo quanto stabilito dalla Corte Suprema. Tale organo infatti nel 1987 rispose al ricorso dell’euro-scettico Raymond Crotty sull’Atto Unico Europeo (in particolare in merito alla difesa comune europea) stabilendo che qualsiasi trasferimento di sovranità dall’Irlanda all’Unione europea avente come fine l’alterazione dell’essential sco-pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque referendum riguardanti l’Atto Unico (sì al 69,9%), il Trattato di Maastricht (sì al 69,1% nel 1992), il Trattato di Nizza (no al 53,9% nel 2001) e poi ancora il Trattato di Nizza nel 2002 (con una vittoria del sì pari al 62,89%), che si aggiungono ad un primo referendum tenuto nel 1972 sull’adesione alla Co-munità europea (sostenuta dall’83,1% dei votanti). 4 Si vedano l’art. 46 che stabilisce che ogni modifica del testo costituzionale è soggetta a refe-rendum e l’art. 47 sulle modalità di svolgimento del referendum e sui quorum necessari.

Page 3: La questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque

L’incognita irlandese

È paradossale che l’eventuale blocco al processo di inte-grazione europea possa giun-gere da un paese che ha enor-memente beneficiato dell’a-desione al progetto comu-nitario. Quando l’Irlanda infatti aderì alla Cee rappresentava uno dei paesi europei più poveri, mentre adesso in ter-mini di Pil pro capite si colloca tra i più ricchi (il 10% in più rispetto alla media europea), alle spalle del Lussemburgo. L’Irlanda è ormai una tra le economie più dinamiche dell’area Euro, con un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Europa (4,6% nel 2007), un bilancio in sostanziale equilibrio (anzi in surplus del 2,2% nel 2007) e un debito pubblico quasi inesistente (24,7% sul Pil)5. Questo radicale cam-biamento dell’economia irlan-dese ha fatto sì che il paese non rappresenti più il maggiore beneficiario netto del bilancio comunitario (come è stato per decenni grazie soprattutto agli introiti del Fondo di Coesione) e si appresti a divenire un contributore netto. Le incognite maggiori sull’esito del re-ferendum irlandese non riguar-dano dunque gli innegabili successi che l’Irlanda ha conseguito in campo econo-mico anche grazie all’adesione europea (che buona parte del fronte del no peraltro non nega), ma sono invece più probabilmente legate al sistema politico che caratterizza il paese. Al riguardo va infatti ricordata la particolare legge elettorale (basata sul “Single Transferable Vote”) che viene utilizzata per le elezioni parlamentari. Si tratta di un sistema di voto “preferenziale” – applicato in diversi paesi di 5 Fonte: Economist Intelligence Unit, Ireland Country Report, maggio 2008.

tradizione anglosassone6 – che inizialmente imputa il voto al candidato che l’elettore indi-vidua come proprio preferito e in seguito trasferisce il voto non necessario (perchè il candidato ha già raggiunto i voti sufficienti per l’elezione) o inutile (perchè il candidato non è stato eletto) agli altri candidati, secondo l’ordine di preferenza espresso dall’elettore stesso. Tale si-stema fa sì che il legame tra il candidato e la sua circo-scrizione sia molto forte, con la conseguenza che la contrap-posizione tra i candidati dello stesso partito risulti spesso accesa almeno quanto quella con i candidati degli altri partiti. Il rischio di cadere nel popu-lismo o, quanto meno, di sostenere posizioni o politiche che soddisfino i diretti desideri e gli umori della circoscrizione di riferimento (la cosiddetta “pork-barrel politics”) è dunque molto alto. Questo è il pericolo più grande che si corre in merito al referendum irlandese. Non deve infatti trarre in inganno che tutti i partiti politici presenti nel Parlamento ir-landese (con la significativa eccezione del Sinn Féin, l’ex braccio politico dell’Ira, capeg-giato da Gerry Adams) abbiano espresso il proprio appoggio alla campagna per il sì. Il legame che unisce i parlamen-tari alla propria circoscrizione potrebbe neutralizzare l’appog-gio formale che il partito di appartenenza garantisce al Trattato di Lisbona con un esito che è particolarmente difficile da prevedere7. La buona vo- 6 Sistemi simili vengono applicati per l’elezione del senato austra-liano, nelle elezioni locali scozzesi e in Nuova Zelanda, ma anche nelle elezioni in città americane come Cambridge nel Massa-chusetts e Minneapolis nel Min-nesota (a partire dal 2009). 7 L’ultimo sondaggio del Sunday Business Post, pubblicato il 25 maggio, mostra che il 41% degli

lontà delle Istituzioni irlandesi verso il nuovo Trattato è comunque confermata dalla recente decisione del primo ministro (Taioseach) Bertie Ahern di rassegnare le dimis-sioni dopo 11 anni per non al-terare l’esito referendario a se-guito di uno scandalo su pre-sunti episodi di corruzione. Si correva infatti il rischio che i cit-tadini usassero il referendum per sanzionare la condotta dell’intero governo. Oltre 5 milioni di euro sono stati inoltre impiegati per organizzare una campagna informativa che in-clude una guida al Trattato in-viata a tutte le case irlandesi e un sito web dedicato (www.lisbontreaty2008.ie).

I motivi avanzati dal variegato mondo che sostiene il no (oltre al già citato Sinn Féin, partiti di sinistra ed estrema sinistra non presenti in Parlamento, asso-ciazioni pacifiste, ecc.) sono molto diversi e, in taluni casi, del tutto infondati (come chi paventa ripercussioni sul di-vieto di aborto). Spicca in particolare il tema della neu-tralità irlandese (stabilita dalla Costituzione del 1937) in base alla quale il paese si astiene dall’intervento militare (al mo-mento l’Irlanda è impegnata solo in missioni di peace-keeping sotto egida Onu come in Ciad dove, con 400 soldati, Dublino è il secondo contri-butore di forze europee). Altro tema particolarmente sensibile per gli irlandesi è quello della politica fiscale e, in particolare,

irlandesi voterà in favore del Trattato di Lisbona. Aumenta tuttavia la quota di quanti voteranno no (33%) mentre l’attenzione è sempre più rivolta al rimanente 26% di indecisi che molto probabilmente sanno poco del Trattato di Lisbona (un sondaggio dello scorso aprile ha segnalato che ben 4 irlandesi su 5 non sapevano neanche cosa fosse il Trattato di Lisbona).

Page 4: La questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque

quello della tassazione delle imprese per le quali il paese applica l’aliquota del 12,5%, tra le più basse d’Europa. Si tratta invero di paure poco giusti-ficabili dal momento che nes-sun articolo del Trattato pre-vede l’abbandono della neu-tralità da parte di uno stato membro e, sul piano fiscale, rimane sempre valido il vincolo dell’unanimità. Altri dubbi si incentrano invece sulla Carta dei diritti fondamentali che pur non essendo stata inserita all’interno del Trattato di Lisbona (al contrario di quanto avveniva con la Costituzione europea), fa parte di un allegato che ha lo stesso valore giuridico del Trattato. In questo caso i timori riguardano temi scottanti quali l’immigrazione, l’asilo politico, i diritti dei lavoratori. Infine va menzionata la critica mossa al riequilibrio di potere operato dal Trattato per tenere conto dell’ingresso dei 12 nuovi paesi membri. Al riguardo si critica la prevista perdita del proprio Com-missario e il nuovo sistema di voto in Consiglio che si baserà – a partire dal 20148 – sulla po-polazione (oltre che sul numero degli stati che appoggiano una proposta) e che dunque pena-lizzerebbe i paesi più piccoli. In realtà misurando il potere attraverso opportuni indici (come l’indice normalizzato di Banzhaf) si ricava che nel passaggio dai criteri di Nizza a quelli di Lisbona l’Irlanda perde potere ma in misura deci-samente minore rispetto a paesi come la Spagna, la Polonia, l’Olanda, la Grecia, il Portogallo, ecc.9 Un altro

8 Si ricordi al riguardo la strenua opposizione della Polonia che ha ottenuto di posticipare fino al 2014 l’introduzione del nuovo sistema di voto in Consiglio. 9Al riguardo si veda R. BALDWIN, E. BERGLÖF, F. GIAVAZZI, Widgrén, Quale Europa. Usi e

argomento avanzato dal fronte del no è quello degli agricoltori irlandesi che in realtà non esprimono dissenso sul Trat-tato in quanto tale, ma cercano di utilizzare il referendum come strumento di pressione sulla Commissione europea per le recenti posizioni in sede Wto ritenute troppo morbide su temi quali le importazioni di carne e la produzione di latte.

Nel caso in cui le ragioni del no prevalessero rimane da sta-bilire cosa accadrebbe al Trat-tato di Lisbona. Come evi-denziato sopra appare impro-babile l’ipotesi della riapertura del negoziato multilaterale, mentre sembra più verosimile ripetere – come già accaduto in passato – il referendum dopo aver concesso un Protocollo aggiuntivo contenente alcuni “opt-out”. Al riguardo va ricor-dato che l’Irlanda ha già otte-nuto diverse concessioni sul Trattato di Lisbona10. Malgrado dunque gli spazi per ulteriori “opt-out” siano ristretti, ci sa-rebbe eventualmente ancora margine per avvicinarsi alle posizioni del fronte del no, ad esempio abbandonando anche la Carta dei diritti fondamentali (da cui peraltro la Gran Bretagna e la Polonia hanno già voluto tirarsi fuori11). Va tuttavia sottolineato che se anche questo secondo abusi del Trattato di Nizza, Milano, 2002 (i calcoli sono svolti sul testo di Costituzione europea che presenta comunque criteri simili a quelli del Trattato di Lisbona). 10 Si ricordino al riguardo il Protocollo n. 19 sull’acquis di Schengen (firmato anche dalla Gran Bretagna), il Protocollo n. 21 sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (anch’esso ottenuto dalla Gran Bretagna). 11 Il nuovo primo ministro polacco, Donald Tusk, ha però recente-mente affermato che non si servirà dell’”opt-out” sulla Carta dei diritti fondamentali (ottenuto dal suo predecessore Jaroslaw Kaczynski).

referendum passasse, si ri-schierebbe uno slittamento del-l’entrata in vigore del Trattato con conseguenze rilevanti in merito alle prossime scadenze che aspettano l’Unione.

I prossimi passi dell’Unione

Gli appuntamenti più importanti che segneranno il futuro prossimo dell’Unione sono il semestre di presidenza fran-cese e le elezioni del Par-lamento europeo (a cui farà seguito anche il rinnovo della Commissione). Durante la presidenza francese dovreb-bero essere individuate le due figure istituzionali più innovative del Trattato di Lisbona: il presidente dell’Unione e l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza (che sarà a capo del nuovo Servizio europeo per l’azione esterna). L’eventuale stallo nella ratifica del Trattato di Lisbona non solo renderebbe impossibile l’en-trata in carica di queste figure nel 2009, ma soprattutto im-porrebbe di formare il prossimo Parlamento e la prossima Com-missione secondo le regole del Trattato di Nizza. Non è però pensabile che queste Istituzioni vengano rinnovate secondo le vecchie regole e che queste ultime siano cambiate durante il nuovo mandato. È quindi necessario procedere alla ratifica del Trattato entro le elezioni parlamentari della prossima primavera, even-tualmente facendo ripetere il referendum irlandese. In ogni caso l’eventuale no irlandese il prossimo 12 giugno avrebbe conseguenze non solo sulle questioni istituzionali e pro-cedurali ma anche sulle stesse politiche dell’Unione. Il rischio che si corre è lo “svuotamento” del semestre di presidenza francese. Molte delle decisioni che auspicabilmente verranno prese durante la presidenza

Page 5: La questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque

francese non potrebbero infatti essere implementate – o po-trebbero esserlo solo in parte – durante l’anno successivo. Al riguardo si ricordi che dalle prime indicazioni sul contenuto del programma della prossima presidenza emerge un tema – come quello dell’immigrazione – particolarmente dibattuto in questo momento. Dovrebbero essere affrontate delicate questioni legate alla rego-larizzazione di massa degli immigrati, all’armonizzazione del diritto d’asilo, agli accordi di riammissione, ecc. Questi pro-blemi andranno inseriti nell’am-bito di una collaborazione tra i paesi del Sud dell’Europa che inevitabilmente si intreccerà con un altro progetto lanciato dai francesi, ovvero l’Unione per il Mediterraneo (che do-vrebbe sostanziarsi in una conferenza dei capi di stato e di governo che elaborerà e met-terà in pratica politiche co-muni12). È evidente che per la implementazione di questi pro-getti un ruolo fondamentale dovrà essere assegnato alla nuova figura dell’Alto Rap-presentante previsto dal Trat-tato di Lisbona, tanto più che il nuovo Servizio europeo per l’azione esterna potrebbe assi-curare il necessario colle-gamento con i paesi del Medi-terraneo che saranno coinvolti in questi accordi. La Carta dei diritti fondamentali dovrà inoltre fungere da guida nella for-mulazione dei principi e nell’in-dividuazione delle linee d’azio-ne in questi ambiti13. Ugual-mente importanti saranno le

12 Il prossimo 13 e 14 luglio Parigi ospiterà il Vertice inaugurale dell’Unione per il Mediterraneo a livello di capi di stato e di governo dell’Ue e dei paesi rivieraschi. 13 In particolare nella Carta si vedano l’art. 18 sul diritto di asilo, l’art. 19 sul divieto di espulsioni collettive e l’art. 21 sulla non discriminazione.

prerogative dell’Alto rappresen-tante su un altro punto presente nell’agenda francese, ovvero il rafforzamento della difesa euro-pea e i rapporti con la Nato. Per procedere a tale rafforzamento viene suggerito un adegua-mento delle risorse di bilancio (pari a un modesto 0,3%), an-che alla luce della attuale revisione delle Prospettive Finanziarie 2007-2013. È pe-raltro evidente che tale revi-sione sarà tanto più efficace quanto più risulterà in linea con le politiche che il Trattato di Lisbona permetterà di imple-mentare con maggiore incisività rispetto al Trattato di Nizza. Tra queste rientrano anche le politiche energetiche ed am-bientali (che saranno certa-mente incluse nel programma della presidenza francese). Su queste politiche i punti aperti sono ancora numerosi. An-zitutto i Pacchetti energia ed ambiente presentati dalla Commissione europea14 hanno raccolto reazioni diverse da parte dei singoli paesi membri.

14 Il “pacchetto energia”, presentato nel settembre 2007, include una proposta di Direttiva che modifica la Direttiva 2003/54/EC (sulle regole comuni nel mercato interno dell’elettricità); la proposta di Regolamento che modifica il Regolamento 1228/2003 (sugli scambi transfrontalieri di elettricità); la proposta di Direttiva che modifica la Direttiva 2003/55/EC (sulle regole comuni nel mercato interno del gas naturale); la proposta di Regolamento che modifica il Regolamento 1775/2005 (sulle condizioni di accesso alla rete di distribuzione del gas). Il “pacchetto ambiente”, presentato lo scorso gennaio, include la Direttiva che modifica la Direttiva 2003/87/EC (sul sistema di scambio delle emissioni di gas a effetto serra); la Direttiva sulla promozione dell’uso delle fonti di energia rinnovabili; la Decisione sul contributo degli stati membri alla riduzione delle emissioni per raggiungere gli obiettivi del 2020.

Sulla questione dell’unbundling proprietario delle reti di distri-buzione del gas Francia e Germania si già sono espresse negativamente e nei prossimi mesi presenteranno proposte alternative. Anche in campo ambientale diversi paesi (tra cui ancora una volta la Francia) hanno espresso forti dubbi sugli sforzi da compiere a livello nazionale per perseguire gli ambiziosi obiettivi fissati per il 202015. Sempre in quest’ambito va ricordata la necessità di una ferma posizione comune dei paesi europei nell’ambito del prossimo negoziato sul dopo Kyoto in cui bisognerà fron-teggiare le resistenze statuni-tensi e cinesi. Aver inserito all’art. 4 del Trattato di Lisbona la politica energetica tra le competenze concorrenti del-l’Unione non permetterà di risolvere tutte queste questioni (che richiedono invece una precisa volontà politica) ma renderà certamente possibile una più incisiva azione europea che dia finalmente sostanza ad una politica energetica (ed ambientale) comune finora più presente nella retorica comu-nitaria che nella realtà.

Conclusioni

Bruxelles in questo momento guarda con apprensione a Du-blino domandandosi cosa po-trebbe accadere se l’esito del referendum irlandese fosse ne-gativo. L’eventuale blocco del 15 Gli obiettivi comunitari, impostati sulla base della formula del “20, 20 e 20 entro il 2020” riguardano la riduzione del 20% delle emissioni di CO2, l’aumento del 20% dell’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti rinnovabili per almeno il 20% dei consumi di energia. Su questo tema si veda A. VILLAFRANCA, Energia e am-biente: il “coraggio” della Com-missione europea, «ISPI Policy Brief», n. 73, febbraio 2008.

Page 6: La questione referendaria - ispionline.it · pe or objectives dell’Unione stessa avrebbe richiesto il passaggio referendario. A se-guito di tale sentenza l’Irlanda ha tenuto cinque

processo di ratifica del Trattato di Lisbona avrebbe profonde conseguenze non solo sulla tempistica delle previste riforme istituzionali ma anche sull’immi-nente presidenza francese del Consiglio. Quest’ultima si tro-verebbe infatti costretta a pren-dere delle decisioni in un clima di grande incertezza con l’ine-vitabile conseguenza di un ridimensionamento degli obiet-tivi previsti in agenda o comun-que con la prospettiva di una loro difficile (se non impos-sibile) implementazione nei mesi successivi. Probabili con-seguenze potrebbero anche presentarsi in merito all’attuale processo di revisione delle Pro-spettive Finanziarie 2007-2013. Le decisioni più importanti potrebbero infatti essere rin-viate alla discussione sulle prossime Prospettive Finan-ziarie.

L’Unione europea ha già impiegato troppo tempo per dotarsi di una struttura istitu-zionale più efficiente e non può certo permettersi un altro “periodo di riflessione”. Le ele-zioni del Parlamento europeo del giugno 2009 rappresentano una data improcrastinabile per la piena ratifica del Trattato di Lisbona. La questione irlandese deve pertanto essere risolta prima di tale data, even-tualmente ricorrendo ad un secondo referendum. La turbo-lenza dei mercati finanziari, il rallentamento dell’economia statunitense, la crescita dei prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari concorrono a dise-gnare un quadro a tinte fosche che necessita di risposte forti ed immediate da parte del-l’Unione. Il vero rischio che si corre non è tanto il no irlandese al Trattato di Lisbona ma l’ulteriore allontanamento dei cittadini europei nel loro com-plesso da una Europa bloccata nella palude dei propri Trattati e

incapace di fornire risposte adeguate e tempestive.

La ricerca ISPI analizza le dinamiche politiche, strategiche ed economiche del sistema internazionale con il duplice obiettivo di informare e di orientare le scelte di policy. I risultati della ricerca vengono divulgati attraverso pubblicazioni ed eventi, focalizzati su tematiche di particolare interesse per l’Italia e le sue relazioni internazionali e articolati in:

Osservatorio Caucaso e Asia centrale

Osservatorio Europa Osservatorio Mediterraneo

e Medio Oriente Osservatorio Russia e

vicini orientali Osservatorio Sicurezza e

studi strategici

Programma Asia meridionale e Iran

Programma Argentina Programma Diritti umani Programma Disarmo Programma Emergenze e

Affari umanitari Programma

Internazionalizzazione della Pubblica amministrazione

ISPI Palazzo Clerici Via Clerici, 5 I - 20121 Milano www.ispionline.it Per informazioni: [email protected] [email protected] © ISPI 2008