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LA LEZIONE La prima legge di Ohm generalizzata Un generatore variabile di tensione continua, due multimetri e un resistore sono la strumentazione necessaria per la verifica della prima legge di Ohm in corrente continua, nel caso R=costante. Se si sostituisce il resistore con una bobina e la corrente continua con quella alternata ancora il rapporto delle coppie di valori V e i misurati dai multimetri è costante, ma il suo valore in ohm è più elevato della resistenza della bobina. In altre parole i grafici della corrente in funzione della tensione sono due rette, entrambe passanti per l’origine, ma con una diversa pendenza (per queste alcuni libri ricordano che è più pericolosa per l’uomo una tensione di 20 V in continua che 20 V in alternata). Rimandando alla lezione sulla corrente alternata il significato dei valori misurati dagli strumenti (V eff , i eff ) per ora possiamo limitarci a dire che (per grandezze variabili secondo la funzione seno tutte aventi la stessa frequenza) esse rappresentano valori proporzionali alle ampiezze massime. Il rapporto tra tensione e corrente, generalizzando la prima legge di Ohm, è il modulo dell’impedenza della bobina (avente la stessa unità della resistenza). Se si esamina una bobina (di quelle classiche fornite ai laboratori per il modello di trasformatore), oltre al valore di R (nell’esempio in figura 3, R=2,5 ) viene riportata l’induttanza L della bobina (sempre nell’esempio citato L= 9mH, dove il simbolo mH sta per millesimi di Henry). L’impedenza in questo caso è uguale all’espressione Z=(R 2 +(2fL) 2 ) 1/2 , una sorta di somma quadratica tra due termini, quello puramente resistivo e quello induttivo dipendente anche dalla frequenza della tensione (e corrente) alternata. Il valore di f (50 Hz) è quello caratteristico della rete elettrica italiana e oltre a essere indicata su tutti gli elettrodomestici è misurabile con un multimetro digitale (figura 4). L’induttanza

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LA LEZIONELa prima legge di Ohm generalizzataUn generatore variabile di tensione continua, due multimetri e un resistore sono la strumentazione necessaria per la verifica della prima legge di Ohm in corrente continua, nel caso R=costante. Se si sostituisce il resistore con una bobina e la corrente continua con quella alternata ancora il rapporto delle coppie di valori V e i misurati dai multimetri è costante, ma il suo valore in ohm è più elevato della resistenza della bobina. In altre parole i grafici della corrente in funzione della tensione sono due rette, entrambe passanti per l’origine, ma con una diversa pendenza (per queste alcuni libri ricordano che è più pericolosa per l’uomo una tensione di 20 V in continua che 20 V in alternata).

Rimandando alla lezione sulla corrente alternata il significato dei valori misurati dagli strumenti (Veff, ieff) per ora possiamo limitarci a dire che (per grandezze variabili secondo la funzione seno tutte aventi la stessa frequenza) esse rappresentano valori proporzionali alle ampiezze massime. Il rapporto tra tensione e corrente, generalizzando la prima legge di Ohm, è il modulo dell’impedenza della bobina (avente la stessa unità della resistenza). Se si esamina una bobina (di quelle classiche fornite ai laboratori per il modello di trasformatore), oltre al valore di R (nell’esempio in figura 3, R=2,5 ) viene riportata l’induttanza L della bobina (sempre nell’esempio citato L= 9mH, dove il simbolo mH sta per millesimi di Henry). L’impedenza in questo caso è uguale all’espressione Z=(R2+(2fL)2)1/2, una sorta di somma quadratica tra due termini, quello puramente resistivo e quello induttivo dipendente anche dalla frequenza della tensione (e corrente) alternata.

Il valore di f (50 Hz) è quello caratteristico della rete elettrica italiana e oltre a essere indicata su tutti gli elettrodomestici è misurabile con un multimetro digitale (figura 4).

L’induttanza

Da cosa dipende l’induttanza, chiamata anche coefficiente di autoinduzione, e qual è il suo significato fisico? Confrontando due bobine che hanno le stesse caratteristiche geometriche (a parte lo spessore dei fili di rame), la prima con 500 spire con induttanza L=9 mH e la seconda da 1000 spire con L=36 mA è spontanea l’ipotesi di proporzionalità tra L e il quadrato del numero N di spire che compongono la bobina.

Un’altra deduzione possibile si ottiene inserendo all’interno della bobina collegata all’alimentatore un nucleo in materiale ferromagnetico (laminato e forato), l’intensità della corrente alternata subisce una forte riduzione, segno dell’aumento di Z e quindi di L. In effetti, per una bobina con N spire, di lunghezza l, area della singola spira S, al cui interno è disposto un materiale con permeabilità magnetica , vale approssimativamente la relazione: L≈N2S/l. Cambiando la geometria del nucleo all’interno della bobina (ad esempio disponendo il solo giogo a forma di I in modo simmetrico o asimmetrico rispetto ai bordi della bobina, oppure inserendo un nucleo a forma di U, utilizzando il ferro a U chiuso con il giogo) il modulo di Z assume valori diversi.

. L’anello di ThomsonUna delle esperienze classiche dell’induzione è quella dell’anello di Elihu Thomson. L’apparato di base consiste in una bobina inserita nel nucleo a U. Prolungando la U, grazie al giogo, si viene a formare una sorta di J di materiale ferromagnetico, al cui interno, al di sopra della bobina, si dispone un anello di alluminio. La bobina, tramite una presa di sicurezza dotata di un interruttore, è infine collegata alla rete elettrica (si veda la figura successiva).

Facendo circolare corrente elettrica alternata nella bobina, l’anello schizza via (lo stesso effetto si avrebbe con una corrente continua dovuta alla batteria di un’auto). Fermando l’anello con una mano a una certa altezza è possibile sospenderlo in una posizione di

equilibrio, quasi all’estremo superiore del ferro. Il riscaldamento dell’anello di alluminio, tanto più grande al trascorrere del tempo, giustifica l’ipotesi di correnti elettriche al suo interno. Queste non avendo origine dal collegamento diretto con un generatore sono dette correnti indotte. La forza repulsiva tra anello e bobina è normalmente utilizzata per giustificare il verso della corrente indotta nel circuito secondario che crea un campo magnetico che si oppone alla variazione di flusso del primario (la legge di Lenz). Bobina e anello sono schematizzabili, secondo la versione ingenua della spiegazione del fenomeno, come due magneti che hanno poli opposti (in realtà in un certo istante il campo indotto ha lo stesso verso del campo della bobina se il flusso sta diminuendo, versi opposti se il flusso va aumentando). La corrente di rete nella bobina (che determina la corrente indotta nell’anello sospeso) è variabile con una frequenza di 50 Hz e anche nell’anello, esaurito il transitorio iniziale, la sinusoide con ampiezza costante ha la stessa pulsazione. Tra le due funzioni c’è però una differenza di fase che è la causa della forza media d’interazione diversa da zero. Se si esamina l’esperimento di Thomson secondo la forza di Lorentz, solo nel caso di un vettore B (figura 12) diverso da zero, l’intensità di corrente determina una forza verso l’alto. Lo stesso effetto si ha invertendo ovviamente la coppia dei versi di i e B. La corrente indotta ha un ritardo di fase rispetto al campo inducente e la forza media dipende dal seno dell’angolo di fase.

Ripetendo l’esperienza con due anelli di alluminio (uno dei quali tagliato) si dimostra l’assenza di correnti indotte in grado di sollevare il circuito secondario aperto e si può così giustificare la lavorazione del nucleo della bobina, laminato e forato proprio per evitare la formazione al suo interno di correnti indotte.

I filmati degli esperimenti, proposti dai laboratori famosi come il MIT, puntano su salti spettacolari dell’anello ottenuti dopo aver immerso l’alluminio in azoto liquido per ridurne la resistività. Anche senza l’ausilio dell’azoto, si può far raggiungere all’anello il soffitto del laboratorio inserendo sopra la bobina tre o quattro anelli identici.

Le correnti di FoucaultIl riscaldamento dei metalli nelle vicinanze di flussi d’induzione magnetica variabili nel tempo è attribuibile all’effetto Joule dovuto alle correnti indotte. Proprio per la

dissipazione di energia, non voluta, spesso le correnti indotte sono chiamate parassite. La letteratura fisica italiana si riferisce a esse come correnti di Foucault, mentre gli anglosassoni preferiscono il termine Eddy currents (correnti di vortice). A dispetto del nome, esse hanno varie applicazioni, dai freni elettromagnetici ai piani di cottura a induzione. In laboratorio è facile mostrare il frenamento che subisce un pendolo di alluminio quando oscilla tra le espansioni polari di un magnete. Viceversa, allo stesso modo dell’anello di Thomson tagliato, è possibile, con la sagoma di alluminio del pendolo lavorata in modo opportuno, far vedere che le correnti indotte nel metallo non sono più sufficienti per rallentare in modo apprezzabile il pendolo.

Sempre classica è l’esperienza in cui si fonde un metallo a forma di sottile anello a causa delle intense correnti che si sviluppano in un modello di trasformatore in cui il secondario è composto da una sola spira.Infine negli odierni sistemi domestici di riscaldamento a induzione realizzati con bobine poste al di sotto del piano di lavoro in vetroceramica, circola una corrente alternata di elevata frequenza proveniente da un circuito elettronico. la corrente alternata causa una corrente indotta nelle pentole (realizzate con materiali ferromagnetici) di cottura dei cibi. Le correnti indotte penetrano all’interno del metallo per una profondità pari a: (/f)1/2; con resistività del metallo; f, frequenza della corrente inducente; permeabilità magnetica. Dunque per sviluppare la conduzione sulla superficie delle pentole (l’aumento della densità delle correnti superficiali è chiamato effetto pelle) si innalza il valore del prodotto della permeabilità magnetica per la frequenza. Per lo stesso motivo padelle in alluminio o altri materiali senza proprietà magnetiche forti, non sono utilizzate sui piani di cottura a induzione. Il rendimento di questa tecnologia è in genere superiore al 90%.