la lettera a temistio di giuliano imper

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Lettera dell'imperatore Giuliano a Temistio

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Page 1: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

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Page 2: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

Studi sul Mondo Antico

STUSMA3

Serie diretta da Arnaldo Marcone

Il volume viene pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre.

Volume stampato con un contributo del Dipartimento di Scienze umane dell’Università Europea di Roma.

L’imperatore GiulianoRealtà storica e rappresentazione

a cura di Arnaldo Marcone

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Page 3: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

LE MONNIERu n i v e r s i t à

L’imperatore GiulianoRealtà storica e rappresentazione

a cura di Arnaldo Marcone

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Page 4: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

© 2015 Mondadori Education S.p.A., MilanoTutti i diritti riservati

ISBN 978-88-00-74586-4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per l’Italia. L’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre a mezzo fotocopie una porzione non superiore a un decimo del pre-sente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’ingegno (AIDRO), via delle Erbe 2, 20121 Milano, telefono e fax 02/809506.

Realizzazione editorialeCoordinamento redazionale Alessandro MongattiRedazione Alessandro MongattiImpaginazione Laura PanigaraProgetto grafico Walter Sardonini/SocialDesign Srl, FirenzeProgetto copertina Alfredo La Posta

Prima edizione Le Monnier Università Luglio 2015www.mondadorieducation.itRistampa

5 4 3 2 1 2015 2016 2017 2018 2019La realizzazione di un libro comporta per l’Autore e la redazione un attento lavoro di revisione e controllo sulle informazioni contenute nel testo, sull’iconografia e sul rapporto che intercorre tra testo e immagine. Nonostante il costante perfezionamento delle procedure di controllo, sappiamo che è quasi impossibile pubblicare un libro del tutto privo di errori o refusi. Per questa ragione ringraziamo fin d’ora i lettori che li vorranno indicare alla Casa Editrice.

Le Monnier UniversitàMondadori EducationViale Manfredo Fanti, 51/53 – 50137 FirenzeTel. 055.50.83.223 – Fax 055.50.83.240www.mondadorieducation.itMail [email protected]

Nell’eventualità che passi antologici, citazioni o illustrazioni di competenza altrui siano riprodotti in questo volume, l’editore è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire. L’editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segnalazione, a eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi.

Linea Grafica – Città di Castello (Perugia)Stampato in Italia – Printed in Italy – Luglio 2015

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Page 5: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

indice

Premessa VII

Capitolo 1. Per delle biografie dell’imperatore Giuliano, di Ignazio Tantillo 1

Capitolo 2. i ritratti dell’imperatore Giuliano, di Fabio Guidetti 12

Capitolo 3. Giuliano e la memoria politica della tetrarchia, di Umberto Roberto 50

Capitolo 4. Testimonianze di un’amicizia: il carteggio fra Libanio e Giuliano, di Andrea Pellizzari 63

Capitolo 5. Giuliano cesare panegirista di costanzo ii, di Alessandro Pagliara 87

Capitolo 6. Giuliano e l’arte della ‘nobile menzogna’ (Or. 7, Contro il Cinico Eraclio), di Maria Carmen De Vita 119

Capitolo 7. La Lettera a Temistio di Giuliano imperatore e il dibattito filosofico nel iV secolo, di Riccardo Chiaradonna 149

Capitolo 8. il principe Ormisda alla corte romana tra costantino e Giuliano, di Laura Mecella 172

Capitolo 9. Giuliano, la scuola, i cristiani: note sul dibattito recente, di Giovanni A. Cecconi 204

Capitolo 10. Paideia greca e religione in iscrizioni dell’età di Giuliano, di Gianfranco Agosti 223

Capitolo 11. «il nuovo empedocle». A proposito di Temistio Or. 5, 79b, di Augusto Guida 240

Capitolo 12. Giuliano: da apostata a l’Apostata (Sul buon uso dell’apostasia), di Osvalda Andrei 252

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Page 6: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

VI Indice

Capitolo 13. Ancora su Giuliano imperatore nella letteratura siriaca, di Riccardo Contini 284

Capitolo 14. Giuliano l’Apostata in Giovanni Antiocheno, di Stefano Trovato 306

Capitolo 15. ierone, Giuliano e la fine della storia nel dibattito tra Alexandre Kojève e Leo Strauss, di Arnaldo Marcone 325

Indice dei passi citati 337

Indice dei nomi 343

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Page 7: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

In questo volume sono raccolti quindici contributi che corrispondono ad altrettante lezioni che sono state tenute nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre nella primavera del 2014. Si tratta di un tentativo innovativo di rilettura, che si vorrebbe completa e articolata, dell’opera di Giuliano, una figura fondamentale e contro­versa di imperatore tardoantico che ha goduto di un intenso ritorno d’interesse da parte di storici e letterati negli ultimi decenni. Indagati in modo approfondito sono stati, in particolare, il suo pensiero filosofico, la sua cultura così come la sua tecnica retorica alla luce della concreta azione politica e religiosa da lui posta in atto. Si è cercato di spiegare la strategia perseguita da Giuliano nel corso del suo breve regno e la ragione del suo insuc­cesso finale. Un particolare significato ha avuto la riconsiderazione delle fonti iconografi­che. Si deve segnalare infine come nel volume trovi posto una valutazione originale della fortuna di Giuliano nella storiografia bizantina, nella letteratura siriaca e nel pensiero politico contemporaneo.

Questa iniziativa ha avuto il sostegno del Dipartimento di Studi Umanistici del­l’Università Roma Tre tanto nella fase preliminare di svolgimento delle lezioni quanto per la realizzazione della stampa del volume. Per questo un sentito ringraziamento va al Direttore, il professor Mario De Nonno, per quanto ha fatto per il successo dell’iniziativa, così come alla Segreteria del Dipartimento e al suo personale tecnico­amministrativo. Un ringraziamento è dovuto anche all’Università Europea di Roma per il sostegno dato alla stampa del libro e al professor Umberto Roberto che l’ha propiziato.

Una volta di più deve essere ringraziato il dr. Alessandro Mongatti, della Casa Editrice Le Monnier di Firenze, per la generosa disponibilità con cui ha accolto il libro.

Un ringraziamento merita infine la dr. Donatella Tamagno per la competente col­laborazione da lei fornita nella revisione dei testi e nell’allestimento degli indici.

Arnaldo Marcone

Premessa

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Page 8: La Lettera a Temistio Di Giuliano Imper

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La Lettera a Temistiodi Giuliano Imperatore

e il dibattito filosofico nel IV secolo

1 Ildibattitosulfilosofore

La composizione della Lettera a Temistio è stata situata dagli interpreti o nel 355/356 – poco dopo la nomina di Giuliano a Cesare – oppure poco dopo la mor-te di Costanzo avvenuta il 3 novembre 361 (sempre che non si ammetta, come pure è stato suggerito, una composizione in due fasi) 1. Nella Lettera Giuliano risponde a un testo precedente di Temistio che, purtroppo, non possediamo. Possiamo, tut-tavia, ricostruirne il contenuto generale. Le orazioni di Temistio contengono una ripetuta difesa della sua scelta di essere pienamente impegnato nella politica venen-do meno a quella che ad altri appariva come la corretta vita filosofica. Certamente Temistio si confrontava con alcuni oppositori i quali gli rimproveravano il successo politico. Notevole importanza hanno, a questo proposito, alcune Orazioni intorno al

1 Si possono trovare due dettagliati status quaestionis in Pagliara 2012, pp. 27-28 e Schramm 2013, p. 308 nota 32. In realtà, gli argomenti a favore di una datazione alta sono molto forti: cfr. Bouffartigue 2006, pp. 121-127. È particolarmente notevole che la lettera non contenga nessuna allusione alle campagne di Gallia e al pronunciamiento di Lutezia. Nel presente contribu-to si è usato il testo della Lettera a Temistio, con traduzione e commento, in Fontaine – Prato – Marcone 1987, pp. 7-39 e 255-268. Si veda anche Prato – Fornaro 1984. La bibliografia sulla Lettera è abbondante. Mi limito a segnalare Criscuolo 1983; Bouffartigue 2006; Watt 2012; Swain 2013 (gli ultimi due studi prendono in esame una Lettera a Giuliano di Temistio, trasmessa in arabo, che potrebbe identificarsi con la risposta di Temistio a Giuliano o con un’epi-tome della risposta). Ampie sezioni dedicate alla Lettera a Temistio si trovano in Elm 2012, pp. 71-106 e Schramm 2013, pp. 306-325. In generale, sul profilo intellettuale di Giuliano e il suo rapporto con la cultura filosofica del tempo, cfr. Athanassiadi 1992 e Bouffartigue 1992. Tra i contributi più recenti, cfr. Tanaseanu Döbler 2008, De Vita 2011 (la ricerca più completa sulla personalità filosofica di Giuliano e la sua relazione con il neoplatonismo), Pagliara 2012, Elm 2012, Swain 2013, Schramm 2013, nonché i saggi raccolti in Schäfer 2008. Per quanto riguarda la filosofia politica nel neoplatonismo, la discussione di riferimento è O’Meara 2003. Un panorama sintetico si trova in Chiaradonna 2013 e Chiaradonna 2014.

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355 (anno della sua nomina a senatore da parte di Costanzo II). Esse costituiscono il retroterra della discussione con Giuliano. Rispondendo ai detrattori, e difendendo la sua scelta di vita come autenticamente filosofica, Temistio elabora un’articolata posi-zione sul rapporto tra politica e filosofia, secondo la quale non solo non vi è oppo-sizione tra le due, ma la politica è il naturale completamento della filosofia affinché i filosofi non siano tali solo a parole (cfr. Or. 20, 239a-d): da qui la critica, di ascen-denza platonica (Plato Resp. VI, 486b), rivolta ai filosofi non socievoli e selvaggi (cfr. Or. 21, 253c; Or. 22) 2. A questa concezione si associa una ben definita dottrina della regalità come intrinsecamente connessa alla filosofia e superiore al vincolo delle leggi (il sovrano non ne è dunque affatto un semplice guardiano), che Temistio certamen-te mutua da fonti tradizionali (la dottrina è ben attestata in fonti ellenistiche e impe-riali come le orazioni di Dione Crisostomo e i trattati pseudo-pitagorici sulla regali-tà), ma alla quale conferisce un rilievo peculiare. Il re filantropo, come Costanzo, è per Temistio «la legge in persona ed è al di sopra delle leggi» (Or. 1, 15b): egli rimedia così all’imperfezione delle leggi ed è capace di mitigarne la severità adattandole alle situazioni particolari 3. Per Temistio, pertanto, un sovrano deve essere un autentico filosofo-re, filantropo e pienamente impegnato nella pratica di governo, incarnazione vivente della legge e immagine del governo divino nel mondo 4.

Nell’Or. 2 in elogio di Costanzo – scritta in risposta alla sua nomina a senato-re il I settembre 355 e dopo l’elevazione di Giuliano al rango di Cesare – Temistio loda, d’altronde, Costanzo per aver nominato un filosofo come suo Cesare e aver così dimostrato di essere egli stesso un autentico filosofo. Ciò che Costanzo e Giuliano hanno in comune, secondo Temistio, non è tanto il genos, quanto il fatto di essere prossimi nella virtù: «Non ho dunque bisogno di pregare ancora per il genere uma-no, come il sapientissimo Platone, affinché la filosofia cammini insieme alla regalità e giammai ne sia separata. A noi invece è possibile godere appieno di questo spet-tacolo che non sazia mai» (Or. 2, 40a-b). È possibile che questo elogio piuttosto maldestro (che aveva tutti i requisiti per suscitare l’irritazione di Giuliano) sia tra gli antefatti della Lettera a Temistio 5. Vi si aggiungeva la lettera a cui risponde Giuliano, nella quale Temistio lo aveva certamente invitato a seguire il suo ideale di filoso-fo pienamente impegnato nella vita pratica e nel governo e ne aveva paragonato la

2 Si veda Elm 2012, pp. 96-106.3 Delle Orazioni di Temistio, si cita in questo contributo la traduzione di Maisano 1995. Sulla

concezione politica di Temistio e la differenza dal neoplatonismo, cfr. O’Meara 2003, pp. 206-208, da integrare con Schramm 2013, pp. 182-299, che fornisce la più approfondita discussione disponibile sul pensiero politico di Temistio e le sue implicazioni teoriche.

4 Questa concezione si trova pienamente esplicitata nell’Or. 5 Per il consolato dell’imperatore Gio-viano: «Vuoi sapere qual è il contributo che può venire dalla filosofia? Essa può dirti che ‘il prin-cipe è legge vivente’, legge divina scesa dall’alto nel nostro tempo, emanazione della natura divi-na che si è appressata alla terra, che si rivolge costantemente al bene ed è pronta a imitarlo [...]» (Or. 5, 64 b). I luoghi temistiani in cui viene formulata sono numerosi: cfr. Or. 1, 4b-6b, 8a-c; Or. 10, 132b-c; Or. 11, 146c-147b. Cfr. Downey 1955.

5 Così Swain 2013, p. 58.

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condizione a quella di Eracle e Dioniso, i quali furono allo stesso tempo filosofi e re (Ad Them. 253c) 6. Nella sua risposta, però, Giuliano appare ben poco lusingato e respinge l’esortazione di Temistio, distaccandosene in alcuni punti e prendendo le distanze dalla figura del re filosofo. Egli, d’altronde, distingue sé stesso da quan-ti sono in possesso di una piena formazione filosofica (Ad Them. 254b). La criti-ca dell’unione tra monarchia e filosofia passa attraverso il confronto tra le figure di Socrate e Alessandro, che Giuliano propone a tutto vantaggio del primo: anche se Socrate non è stato signore di nessuno, egli ha in realtà compiuto imprese più gran-di di Alessandro salvando molti uomini con la filosofia (Ad Them. 264c-d). Inoltre, Giuliano si richiama alle Leggi di Platone difendendo il primato delle leggi rispetto al monarca, che ne è guardiano restando sottoposto a esse (Ad Them. 257d-259b, cfr. anche 261a-d). Quindi argomenta che Aristotele (il filosofo di cui Temistio è inter-prete autorevole) non sostiene affatto l’unità di filosofia e vita politica, ma rivendica la priorità della prima sulla seconda (Ad Them. 263b-d).

Fatte salve tutte le convenzioni retoriche, il tono di Giuliano è assai poco cor-diale ed è plausibile che la Lettera a Temistio abbia raffreddato i rapporti tra i due 7. Durante il regno di Giuliano, Temistio non fu oggetto di persecuzione, ma con buo-na probabilità mantenne una posizione di riserbo rimanendo sostanzialmente in disparte 8. La sua attività pubblica riprese il I gennaio 364 con l’Or. 5 Per il consolato dell’Imperatore Gioviano, nella quale traspaiono allusioni critiche a Giuliano e al suo governo 9. Senza ripercorrere nel dettaglio le argomentazioni della Lettera, mi limito a sottolinearne alcuni punti salienti. In primo luogo, è notevole la professione di mode-

6 Su questo parallelo, cfr. Bouffartigue 2006, p. 121; Pagliara 2012, pp. 38-41. Si veda, inol-tre, lo studio di Maria Carmen De Vita nel presente volume.

7 In Ad Them. 257d e 259c, Giuliano lascia intendere di essere stato allievo di Temistio. Sulla que-stione, cfr. Vanderspoel 1995, p. 118; Elm 2012, p. 83 nota 88. La data più probabile sembra il 348/349, durante il breve soggiorno di Giuliano a Costantinopoli dopo Macellum. Scettici-smo in proposito è comunque espresso da Bouffartigue 2006, pp. 119-120.

8 Cfr. Heather – Moncur 2001, pp. 138-142. Vanderspoel 1995, p. 119 descrive efficacemen-te il tono della Lettera come caratterizzato da «respectful animosity». Su tutto questo dossier si veda adesso Swain 2013, pp. 83-91. È forse poco prudente affermare, con Bouffartigue 2006, p. 127, che «Nous n’avons pas trace d’une réponse de Thémistios à la Lettre de Julien, et il est compréhensible que le philosophe n’ait pas poursuivi le dialogue avec le jeune César». La Let-tera a Giuliano di Temistio trasmessa in arabo potrebbe infatti essere proprio la risposta scritta da Temistio allo scopo di raggiungere, nei limiti del possibile, una pacificazione dopo la Lettera di Giuliano: cfr. Swain 2013, pp. 87-91.

9 Cfr. Swain 2013, pp. 63-68. Swain fornisce una persuasiva discussione delle allusioni polemiche contro Giuliano in Or. 5, 63 c e Or. 7, 99 c-d (si veda anche Maisano 1995, p. 356 nota 83). L’esordio dell’Or. 5, nella quale Temistio esprime la sua gratitudine al nuovo imperatore per aver ricondotto a corte la filosofia, è efficacemente definito da Swain 2013, p. 66 «a strategic attack on Julian». È importante notare che il quadro polemico verso Giuliano dell’Or. 5 permane anche se si rifiuta la tesi di Cracco Ruggini 1972, pp. 224-234, secondo cui dietro l’allusione a Empedo-cle in Or. 5, 70b si celerebbe un polemico riferimento a Giuliano (si veda in proposito l’articolo di A. Guida in questo volume). Lo studio di Cracco Ruggini, per altro, offre un’analisi eccellente

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stia che apre la Lettera. Giuliano distingue accuratamente la sua condizione rispetto a quella del re-filosofo auspicato da Temistio. Egli, dunque si dichiara consapevole di non possedere alcuna dote eccezionale per natura: rispetto alla filosofia nutre soltanto un amore che le vicissitudini hanno conservato sterile (Ad Them. 254b). Il compito che gli prospetta Temistio appare pertanto a Giuliano superiore alle proprie capacità. Non è un passo isolato, perché altre volte Giuliano dichiara di non essere un vero e compiuto filosofo, ma solo di aspirare alla filosofia senza averla raggiunta pienamen-te 10. Filosofo a pieno titolo è per lui il maestro Massimo di Efeso – allievo di Edesio, a sua volta allievo di Giamblico, ed esponente di spicco del neoplatonismo teurgico proprio della cosiddetta ‘scuola di Pergamo’, che Giuliano venera tanto da suscitare la disapprovazione dei contemporanei (cfr. Amm. XXII, 7, 3-4) 11.

Talvolta si prende la professione di modestia di Giuliano alla lettera e la si addu-ce come prova della sua mediocre statura filosofica. In realtà, come vedremo meglio in seguito, la situazione è molto più complessa. Per adesso, basterà notare che nel-la Lettera l’iniziale professione di modestia si associa allo sforzo profuso da Giuliano per dimostrare la sua padronanza delle questioni filosofiche evocate da Temistio. Per questo motivo, è importante soffermarsi sul modo in cui Giuliano richiama le autorità filosofiche 12. In primo luogo, egli si confronta con Epicuro. Nelle Orazioni Temistio condanna il ‘Vivi nascosto’ di Epicuro considerandolo un precetto assolu-tamente negativo «per il quale non è naturale che l’uomo sia sociale e civile» (Or. 26, 324a; cfr. Or. 20, 236a) e rispetto a cui il filosofo autentico deve contrapporsi attra-verso l’impegno pubblico. Giuliano ne è consapevole e accuratamente differenzia la sua posizione da quella epicurea: egli non ritiene affatto che vada perseguita una vita contemplativa al completo riparo dalla politica (Ad Them. 255b; 259b) 13. D’altra parte, Giuliano precisa che non bisogna spingere alla vita politica qualsiasi uomo e anzi si deve tenerne lontani quelli meno dotati di qualità intrinseche e non ancora completamente formati: a conferma di questo, fa menzione dell’esempio di Socrate,

del clima intellettuale e filosofico intorno a Giuliano e Temistio, analisi che rimane del tutto convincente, indipendentemente dalle conclusioni raggiunte sul controverso passo empedocleo.

10 Cfr. Ad Them. 266d, Ad Heraclium cynicum 235a-b; Misopogon 359a. Si veda la discussione in Pagliara 2012, pp. 28-33.

11 Si veda, su tutto questo, Elm 2012, pp. 90-96. La cosiddetta ‘scuola di Pergamo’, composta da Edesio e dai suoi allievi, tra cui Massimo di Efeso e Prisco, svolse un ruolo cruciale nella forma-zione di Giuliano. Per una discussione recente, cfr. Goulet 2012a.

12 In realtà, i richiami ai filosofi nella Lettera sono più numerosi di quelli discussi qui. Come osser-va Bouffartigue 2006, p. 133 «La Lettre est une sorte de lieu de rendez-vous pour tout ce qui compte en philosophie dans la Grèce du VIe au IIIe siècles de notre ère. Y sont convoqués [...] Platon, Aristote, Chrysippe et le stoïcisme, mais aussi Épicure, ainsi que des présocratiques com-me Pythagore, Anaxagore et Démocrite, et encore Socrate et un certain nombre de Socratiques, dont Antisthène, et enfin Diogène». La presente discussione è limitata ai luoghi più rilevanti per ricostruire la posizione filosofica di Giuliano.

13 Si veda anche, a questo proposito, la condanna dei monaci «rinunciatari» in Ad Heraclium cynicum 224b-c. Sulla ricezione del «Vivi nascosto» epicureo nel neoplatonismo, cfr. van den Berg 2005.

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che cercò di trattenere dalla politica il giovane Glaucone e Alcibiade – senza per altro riuscirvi con quest’ultimo (Ad Them. 255c). Questa visione dell’insegnamento socra-tico, nettamente contrapposto all’impegno politico, tornerà più oltre nella Lettera, nel parallelo già richiamato tra Socrate e Alessandro Magno.

Segue una sezione critica rispetto agli Stoici: nella politica non dominano solo la virtù e la retta intenzione, ma hanno un ruolo cruciale «la fortuna, il caso e le altre cause esterne di questo tipo che interferiscono nella vita pratica» (Ad Them. 255d). A torto Crisippo non ha riconosciuto l’importanza di simili fattori, che sfuggono al nostro controllo e rendono l’azione politica incerta. Lo dimostrano Catone e Dione di Sicilia, ai quali virtù e impegno politico non offrirono garanzia alcuna di succes-so e felicità. Inoltre, anche quando la fortuna arrechi i suoi benefici, non sempre le conseguenze sono positive: lo dimostra Alessandro il quale si lasciò sedurre e rovina-re dalla buona fortuna «mostrandosi più crudele e orgoglioso di Dario e Serse, dopo che divenne padrone del loro impero» (Ad Them. 257a).

Il confronto con Temistio diviene serrato quando Giuliano oppone al suo interlocutore proprio i modelli filosofici a cui quest’ultimo si richiamava: gli scritti di Platone e Aristotele, l’esempio di Socrate. Due citazioni dalle Leggi (IV, 709b e IV, 713c-714a) sono usate da Giuliano a conferma sia dell’importanza di caso e fortuna nelle vicende umane, sia dei limiti intrinseci al governo in questo mondo. Solo un re divino come Crono potrebbe arrestare questa situazione: egli infatti, conoscendo la debolezza degli uomini, mise a capo delle città non uomini, ma esseri di stirpe superiore, ossia dei demoni. Nel commentare la citazione platonica, Giuliano osser-va che nelle città dove non governa un dio, ma qualche mortale, non c’è tregua per i mali. Tuttavia, bisogna imitare con tutte le forze la vita dei tempi di Crono e affi-dare «a quanto c’è di immortale in noi l’amministrazione delle cose pubbliche e pri-vate, delle nostre case e città, chiamando legge il principio regolatore dell’intelletto» (Ad Them. 258c-d). In breve: l’unico rimedio per colmare l’insufficienza della nostra condizione è affidarsi alla legge come principio regolatore 14. Giuliano, dunque, non fa suo tanto il modello politico della Repubblica di Platone e non esalta la figura del re filosofo nella città ideale. Piuttosto, egli si fonda sulle Leggi per cercare una sor-ta di ‘second best’, ossia la migliore approssimazione possibile del governo ideale in un mondo imperfetto, dove il caso e la fortuna pongono limiti invalicabili all’azione umana 15. Il fondamento di questa buona approssimazione è dato dalle leggi, delle quali chi governa deve essere guardiano. Per Giuliano l’ideale del filosofo re è tal-mente alto da essere irrealizzabile per un uomo: solo un essere divino o un demone potrebbero conformarsi a questo compito. Ma questo, tiene a ribadire, non signifi-ca certo che egli cerchi rifugio in una vita contemplativa estranea al mondo: «non è mai avvenuto [...] che io sia stato visto preferire questo alle fatiche» (Ad Them. 259b).

È però soprattutto nella cruciale sezione dedicata ad Aristotele che emerge la «rispettosa animosità» (Vanderspoel) tipica della Lettera. Traspare qui la competizio-

14 Sul questo passo della Lettera si veda l’analisi in Bouffartigue 2006, pp. 128-129.15 Si veda O’Meara 2003, pp. 93-94.

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ne rispetto a Temistio. Giuliano sembra far uso dell’arma della dissimulazione. Se egli trascriverà dei passi di Aristotele a suo sostegno, non lo farà per portare «nottole agli Ateniesi», ma per dimostrare a Temistio che non trascura assolutamente gli scrit-ti di quel filosofo (Ad Them. 260c-d). In realtà, proprio richiamandosi ad Aristotele Giuliano contesta due tesi centrali di Temistio: la concezione della regalità e l’unione tra filosofia e attività politica. Fondandosi su Pol. III, 16, 1286b 22-1287a 29 Giuliano si oppone all’idea che la monarchia dinastica sia la forma migliore di governo, soste-nendo, ancora una volta, che il monarca sia servo e custode delle leggi. Inoltre, Giuliano contesta la lettura di Pol. VII, 3, 1325b 21-22 offerta da Temistio nella sua precedente missiva, rivendicando anche nell’interpretazione di quel passo il primato della vita contemplativa sulla vita attiva. Gli «architetti delle nobili azioni» menzionati da Aristotele non sono infatti i re, come proposto da Temistio, ma i legislatori e i filo-sofi politici, ossia «coloro che agiscono con l’intelletto e con la parola», non «quanti operano autonomamente e compiono azioni politiche» (Ad Them. 263d).

Infine, è l’esempio di Socrate a essere ricordato in un senso diametralmen-te opposto rispetto a Temistio. Se per l’oratore Socrate incarna l’unione di filosofia e impegno politico, per Giuliano la grandezza di Socrate risiede tutta nella filosofia contemplativa 16. È questo che ha permesso a Socrate di sopravanzare Alessandro, le cui imprese, secondo Giuliano, non hanno condotto nessuno a diventare più saggio:

Al contrario, quanti oggi si salvano grazie alla filosofia, si salvano attraverso Socrate. E non sono il solo a pensar questo: anche Aristotele, prima di me, sem-bra averlo pensato, quando dice che del suo trattato teologico [ἐπὶ τῇ θεολογικῇ συγγραφῇ] 17 gli conveniva esser fiero non meno di chi distrusse la potenza per-siana (Ad Them. 264d-265a).

Con questo nuovo richiamo ad Aristotele, si chiude la discussione vera e pro-pria delle autorità filosofiche nella Lettera 18. Il bilancio può essere riassunto come segue. Come Temistio, Giuliano respinge il ‘Vivi nascosto’ di Epicuro e rivendica il proprio impegno pratico. Il suo non è affatto un elogio della vita contemplati-va al riparo dall’azione. Né Temistio né Giuliano ritengono che filosofia e impe-gno politico vadano separati: per tutti e due, la filosofia deve incarnarsi in una vita filosofica attiva nel mondo 19. Mentre, però, Temistio proclama l’unione di filosofia e impegno pratico, Giuliano difende la priorità della prima a scapito del secondo. Mentre Temistio concepisce la regalità come un’immagine del governo divino del

16 Su Socrate in Temistio, cfr. De Vita 2006.17 L’identificazione di questo scritto è problematica. Forse si trattava di una raccolta di sezioni di

argomento teologico tratte da opere aristoteliche: cfr. Micalella 1987.18 I richiami, però, continuano fino quasi alla conclusione dello scritto: nel cap. 11 (265c-266c)

Giuliamo richiama gli esempi – già ricordati da Temistio – di Ario Didimo, Nicolao di Dama-sco, Trasillo e Musonio Rufo, per contestare che essi abbiano praticato con successo la vita poli-tica anteponendola alla vita contemplativa.

19 A questo proposito, sono fondamentali le precisazioni di Elm 2012, p. 105.

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mondo, ritenendo il monarca superiore al vincolo delle leggi, Giuliano differenzia nettamente la condizione umana rispetto a quella divina, facendo propria la tesi che il monarca sia guardiano delle leggi. Certamente la Lettera a Temistio appare, a una prima lettura, come un elogio della speculazione filosofica al riparo dall’azione prati-ca. Tuttavia, a ben guardare, la situazione è più articolata. Per Giuliano la concezio-ne della filosofia difesa da Temistio è troppo ‘mondana’ e, di conseguenza, di rango inferiore rispetto all’autentica speculazione filosofica. Da qui l’enfatico richiamo ad Aristotele, che avrebbe giudicato il valore del suo trattato di teologia non inferiore alle vittorie di Alessandro. Scopo di Giuliano, però, non è rimuovere l’azione pratica dalla filosofia, ma, se mai, regolare l’azione a partire da una corretta visione della filo-sofia, che non l’abbassi alla posizione di un’attività umana soggetta ai limiti del mon-do sensibile e governata dalla fortuna (cfr. infra). Vi è certamente una differenza di tono tra la Lettera e gli scritti successivi in cui Giuliano appare sempre più cosciente di essere un filosofo e monarca scelto dagli dèi (si veda, in particolare il celebre mito autobiografico in Ad Heraclium cynicum 227c-234c) 20. Il suo scarto rispetto a Eracle e Dioniso, chiaramente enunciato in apertura della Lettera, tende ad attenuarsi. Egli continua a distinguere la sua condizione da quella del vero filosofo, ma la separazio-ne è meno marcata che nella Lettera a Temistio. Tuttavia, questa innegabile differenza di tono non deve indurre a porre un’inconciliabile contraddizione tra queste opere 21. Si può affermare che la Lettera a Temistio è la pars destruens di un discorso positiva-mente elaborato nelle orazioni successive. Nella Lettera, Giuliano si preoccupa di cri-ticare una concezione falsa della filosofia (o per meglio dire della vita filosofica), che ne misconosce l’autentico rango e finisce per abbassare la filosofia al governo delle contingenze umane, senza riguardo per la sua vera natura divina. Nelle orazioni suc-cessive (in particolare i discorsi teologici Alla Madre degli dèi e A Helios re), Giuliano presenta l’autentica concezione della filosofia ed elabora, a partire da essa, la propria visione teologica e politica, secondo la quale l’oikoumenê romana è stata creata nella sua universalità dalla provvidenza divina 22.

2 Ilcaratteredellafilosofia

Nell’Orazione funebre per il padre (Eugenio, anch’egli un filosofo, nel descrivere il quale Temistio illustra in realtà la propria posizione intellettuale) 23, Temistio descri-ve così il suo atteggiamento verso la filosofia:

20 Per l’analisi del quale rinvio senz’altro allo studio di Maria Carmen De Vita in questo volume.21 Schramm 2013, pp. 325-345, il quale opportunamente richiama il giudizio di Asmus secondo

cui il mito autobiografico nell’orazione Contro il cinico Eraclio andrebbe inteso come «positives Gegenstück zum Brief an Themistios» (cfr. Asmus 1908, p. 84).

22 Cfr., ancora, Elm 2012, pp. 286-321. Per maggiori dettagli, cfr. infra.23 L’elogio del padre è dunque concepito da Temistio come un vero e proprio «self-advertisement»,

come acutamente osservato da Penella 2000, pp. 194-208. Sull’Orazione funebre per il padre e

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Il volto dunque e l’aspetto intero di Aristotele erano presenti ai misteri, ma tut-ti insieme si aprivano i santuari dei sapienti ed egli ne contemplava le dottrine, quelle che Pitagora di Samo portò nell’Ellade dall’Egitto e poi quelle di Zenone di Cizio nel Portico. Egli infatti era sempre pronto a dimostrare che i riti del grande Platone si celebrano poco lontano, anzi nel recinto del medesimo tem-pio, e non cambiava i paramenti sacerdotali passando dal Liceo all’Accademia, anzi più volte, dopo aver cominciato la celebrazione sacrificando ad Aristotele, la completava sacrificando a Platone (Or. 20, 235c) 24.

Da queste linee traspare una visione armonica della tradizione filosofica elleni-ca (fatte salve le debite eccezioni, in particolare Epicuro che tuttavia non è condanna-to completamente), nella quale hanno una posizione eminente Platone e Aristotele. Temistio sottolinea il reciproco accordo delle loro dottrine. Il linguaggio dei misteri è usato, ma in un contesto esclusivamente filosofico (niente affatto inusuale e risalente, in ultima analisi, a Platone: cfr. Symp. 210a-211b). Pitagora è nominato, ma non ha una posizione privilegiata e non si ha certamente una lettura in senso pitagorico del-la tradizione filosofica. Nessun cenno è fatto alla teurgia e agli Oracoli caldaici 25. Può essere interessante mettere in parallelo questi aspetti della posizione di Temistio con la concezione concordistica della filosofia greca difesa da Porfirio e fondata sull’idea che vi sia un’armonia tra le filosofie di Platone e di Aristotele 26. Anche l’enfasi mode-rata posta su Pitagora è simile alla posizione porfiriana (in Porfirio non si ha una let-tura in senso pitagorizzante dell’intera filosofia greca simile a quella poi sviluppata da Giamblico) 27. Infine, può essere paragonata con il platonismo di Plotino e Porfirio

il suo significato per ricostruire la posizione filosofica di Temistio, cfr. Schramm 2013, pp. 194-197 e Coda 2010.

24 Per la sua importanza, è opportuno riportare il testo greco di questo passo: Τὸ μὲν οὖν πρό-σωπον καὶ τὸ σχῆμα ὅλον μονονοὺ δῆθεν ἐπῆν Ἀριστοτέλους τοῖς μυστηρίοις. ἅπαντα δὲ ὁμῶς συνανεῴγνυτο τῶν σοφῶν τὰ ἀνάκτορα, καὶ συνεπώπτευσε τὰ ἱερὰ καὶ ὅσα Πυθαγόρας ὁ Σάμιος ἐξ Αἰγύπτου ἐκόμισεν εἰς τὴν Ἑλλάδα καὶ ὅσα ὕστερον ἐν τῇ ποικίλῃ στοᾷ Ζήνων ὁ Κιτιεύς. τὰ μὲν γὰρ Πλάτωνος τοῦ μεγάλου ἀγχίθυρά τε ἀεὶ ἐπεδείκνυε καὶ ἐν τῷ αὐτῷ περιβόλῳ, καὶ οὐδὲ μετημφιέννυτο τὴν στολὴν μεταβαίνων εἰς τὴν Ἀκαδημίαν ἐκ τοῦ Λυκείου, ἀλλὰ πολλάκις Ἀρι-στοτέλει προθύσας εἰς τὴν Πλάτωνος ἔληγεν ἱερουργίαν.

25 Può essere utile ricordare che gli Oracoli caldaici consistevano probabilmente in una silloge di responsi oracolari in esametri (ora perduti e trasmessi parzialmente solo attraverso fonti posteriori). La loro composizione è usualmente fatta risalire al II secolo d.C. ed è associata alle due enigmatiche figure di Giuliano il Caldeo e Giuliano il Teurgo. Gli Oracoli, ispirati al Timeo di Platone e influen-zati dalla teologia medioplatonica, assunsero una posizione assolutamente centrale nel neoplatoni-smo a partire da Giamblico, diventando il fondamento della ‘rivelazione’ religiosa neoplatonica in accordo alla quale l’ascesa dell’uomo al divino non può essere conseguita mediante il solo intelletto, ma richiede l’adozione di precise pratiche rituali (Franz Cumont arrivò a definirli come la «Bibbia dei Neoplatonici»). La letteratura sull’argomento è molto vasta e non è questa la sede per fornirne un resoconto. Un’aggiornata ed equilibrata discussione può trovarsi in Tanaseanu Döbler 2013.

26 Tra i molti contributi su questo tema, mi limito a richiamare Karamanolis 2006, pp. 243-330.27 Si veda in proposito la discussione sintetica di Taormina 2012. Lo studio di riferimento è

O’Meara 1989.

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l’assenza di riferimenti, sopra richiamata, agli Oracoli caldaici e alla teurgia. Sebbene la questione sia controversa e le valutazioni degli specialisti non siano unanimi, Porfirio accordava un ruolo tutto sommato marginale agli Oracoli, non li metteva al centro del proprio progetto filosofico e teologico, e manteneva rispetto alle pratiche teurgiche un atteggiamento di relativo distacco, accordando invece un chiaro privi-legio a un tipo di purificazione intellettuale.

Il parallelo tra Temistio e Porfirio va considerato con molta prudenza, poiché manca uno studio approfondito delle Parafrasi temistiane in rapporto a ciò che pos-siamo ricostruire dell’esegesi aristotelica di Porfirio 28. È dunque opportuno sospen-dere il giudizio, anche se gli elementi prima richiamati rimangono interessanti. Maggiore sicurezza, invece, si può avere sull’atteggiamento ostile di Temistio verso Giamblico e i suoi seguaci. In effetti, nelle sue parafrasi di Aristotele, Temistio si attie-ne a un metodo esegetico sobrio, attento all’esegesi del testo aristotelico e fondato principalmente sui commenti peripatetici (in particolare Alessandro di Afrodisia) 29. Ciò ha portato alcuni interpreti a supporre che Temistio sia l’ultimo filosofo peri-patetico antico e che le sue tesi siano inassimilabili al platonismo 30. È un’interpreta-zione poco persuasiva: come si è appena osservato, l’ideale difeso da Temistio si fon-da, se mai, sull’armonia tra le dottrine di Aristotele e di Platone. Certamente, però, Temistio è ben lontano dal platonismo di Giamblico e dal suo metodo esegetico 31. In questa prospettiva, acquista notevole importanza la testimonianza di Boezio, secon-do cui Temistio riteneva inautentico il trattato di Archita sulle categorie (cfr. Boeth. In Cat. PL 64, 162a), a cui Giamblico aveva invece accordato una posizione centrale nell’interpretazione di Aristotele rivendicando l’origine pitagorica della dottrina (cfr. Simpl. In Cat. 2, 15-25 Kalbfleisch). Più che un improbabile scrupolo ‘filologico’ 32, la tesi di Temistio appare come una vera e propria critica dell’esegesi pitagorizzan-te di Giamblico, che era probabilmente sviluppata dai filosofi vicini a Giuliano (in

28 Mette in parallelo Temistio e Porfirio anche Schramm 2013, pp. 194-196 e 225 nota 136. Molto opportunamente Schramm sottolinea anche la distanza da Giamblico. Un’analisi supple-mentare è comunque indispensabile. Va notato che Temistio critica Porfirio in Dean. 16, 19-31 Heinze = Porph 439 F. Smith.

29 Un esame completo della presenza di Alessandro di Afrodisia nelle Parafrasi di Temistio deve ancora essere condotto. Per quanto riguarda la parafrasi del De caelo, si veda l’approfondita discussione in Coda 2012.

30 Cfr. Blumenthal 1979. Una sintetica trattazione recente è offerta da Kupreeva 2010. A mia conoscenza, la discussione più approfondita si trova in Schramm 2008.

31 L’ostilità verso Giamblico è ben attestata dall’aneddoto presente in Or. 23, 295a-b sul filosofo di Sicione che aveva seguito le lezioni del «vecchio di Calcide» (ossia di Giamblico) ma, seguace com’era non del «nuovo canto», ma «di quello antico dei nostri avi, dell’Accademia e del Liceo», si era recato a Costantinopoli presso Temistio, attratto dalle sue parafrasi aristoteliche. Si veda, ancora una volta, Schramm 2013, p. 196.

32 Simile a quello che, ad esempio, conduce un philologos (ossia un letterato) a giudicare come inau-tentica un’opera falsamente attribuita a Galeno e messa in vendita in una libreria nel Sandalario, in base allo stile e all’intestazione: l’aneddoto è riportato in Gal. De libris suis XIX, 8-9 Kühn.

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particolare Prisco, come si vedrà tra poco). Ancora una volta, è interessante osservare che l’esegesi aristotelica di Temistio è invece più simile a quella di Porfirio, il quale (per quanto possiamo ricostruire) si attenne sostanzialmente al metodo dei commen-tatori peripatetici introducendo solo dei riferimenti molto discreti al platonismo 33.

Ben diversa è la posizione di Giuliano rispetto alla filosofia del suo tempo. In un passo del discorso Alla Madre degli dèi, egli – prendendo le distanze dal peripatetico Senarco – descrive precisamente il suo atteggiamento rispetto alle autorità filosofiche:

Lasciamo pure ai Peripatetici più consumati di stabilire con sottigliezza se quanto dice [Senarco] sia giusto o no; tuttavia è chiaro a chiunque che le sue idee non mi stanno bene, poiché io ritengo che le teorie dello stesso Aristotele siano incom-plete, se non si integrano con quelle di Platone e, ancora di più, con gli oracoli resi dagli dèi (Ad Matrem deorum 162c-d) 34.

È, riassunto in poche parole, il programma filosofico e religioso di Giamblico 35. Lo studio di Aristotele non è affatto escluso, ma è subordinato a quello di Platone ed entrambi devono essere integrati da una rivelazione di tipo sopra-razionale, ossia «gli oracoli resi dagli dèi» 36. La differenza rispetto a Temistio è evidente ed è confermata dalla loro diversa concezione dei destinatari dell’insegnamento filosofico. Per Temistio, tut-ti possono godere dei benefici della filosofia a prescindere dalla rispettiva formazione e dalla provenienza sociale (cfr. Or. 20, 240b; Or. 22, 265a-d; Or. 26, 313d, 324b-325a; Or. 28, 341d); viceversa Giuliano, seguendo la linea pitagorico-giamblichea, insiste sul carattere rigidamente esoterico delle dottrine filosofiche più elevate, che non sono acces-sibili al volgo (cfr. Ad Heraclium cynicum 221c-d; Ad Matrem deorum 172d). Sarebbe però affrettato opporre in modo rigido Giuliano e Temistio. In realtà, gran parte del loro programma filosofico è identico ed è fondato sulla lettura e il commento dei testi nor-mativi della paideia ellenica, in particolare, Platone e Aristotele, nella convinzione che le loro tesi principali siano in reciproco accordo. La differenza sta nel modo in cui questa lettura è condotta. Mentre in Temistio l’esegesi filosofica è il vertice della paideia e non rinvia a una rivelazione superiore, in Giuliano è netta la subordinazione alla rivelazione ricevuta attraverso gli oracoli. Solo la teurgia permette all’anima di purificarsi e rendersi simile a dio: i ‘misteri’ della filosofia celebrati dal padre di Temistio, se non sono com-pletati da una rivelazione superiore, rimangono insufficienti 37.

33 Cfr. Chiaradonna 2007; Chiaradonna ‒ Rashed ‒ Sedley 2013.34 Εἰ μὲν οὖν ὀρθῶς ἢ μὴ ταῦτα ἐκεῖνος ἔφη, τοῖς ἄγαν ἐφείσθω Περιπατητικοῖς ὀνυχίζειν, ὅτι δὲ οὐ

προσηνῶς ἐμοὶ παντί που δῆλον, ὅπου γε καὶ τὰς Ἀριστοτελικὰς ὑποθέσεις ἐνδεεστέρως ἔχειν ὑπο-λαμβάνω, εἰ μή τις αὐτὰς ἐς ταὐτὸ τοῖς Πλάτωνος ἄγοι, μᾶλλον δὲ καὶ ταῦτα ταῖς ἐκ θεῶν δεδομέ-ναις προφητείαις. Si cita la traduzione di A. Marcone in Fontaine – Prato – Marcone 1987.

35 Così anche Schramm 2013, p. 305.36 Gli Oracoli caldaici sono citati più volte nel discorso Alla Madre degli dèi: cfr. Ad Matrem deorum

172d, 175b e 178c-d. Sul retroterra neoplatonico di Giuliano rinvio senz’altro a De Vita 2011.37 L’atteggiamento di Giuliano rispetto alla teurgia è comunque complesso e non può senz’altro

essere assimilato a quello di Giamblico: cfr. Tanaseanu Döbler 2013, pp. 144-148.

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Un passo particolarmente oscuro della Lettera a Temistio acquista nuova luce se letto sullo sfondo di queste considerazioni. Giuliano, come si è detto, obietta alla concezione stoica di aver trascurato l’impatto della tychê sulle vicende umane. La feli-cità che dipende dalla fortuna può difficilmente essere sicura. In questo contesto, si trovano alcune linee di difficile interpretazione (Ad Them. 256c):

Ἥκιστα δὲ φιλεῖ τῆς εὐδαιμονίας ἡ βεβαιότης τῇ Τύχῃ πιστεύειν, καὶ τοὺς ἐν πολιτείᾳ ζῶντας οὐκ ἔνεστιν ἄνευ ταύτης ἀναπνεῖν τὸ δὴ λεγόμενον, πλὴν εἴ τις τὸν βασιλέα καὶ στρατηγὸν λέγοι 38, καθάπερ οἱ τὰς ἰδέας εἴτε ἀληθῶς θεω-ροῦντες εἴτε καὶ ψευδῶς ξυντιθέντες ἐν τοῖς ἀσωμάτοις καὶ νοητοῖς, ἱδρῦσθαί που τῶν τυχαίων ὑπεράνω πάντων.

La traduzione più recente della Lettera, apprestata da Simon Swain, recita:

The assurance of happiness is very unlikely to depend on fortune. Yet men who live a public life cannot breathe without her, as the saying goes, unless one is going to assert, like people who study the Forms truthfully or who place them falsely among things incorporeal and intelligible, that the king and commander is located far above all matters of chance 39.

L’argomento è, a prima vista, piuttosto singolare. Giuliano, infatti, allude alla concezione che pone le Idee come realtà incorporee e intelligibili designandola come falsa. O, per meglio dire, Giuliano sembra opporre coloro che contemplano le forme in modo corretto a coloro che falsamente le collocano tra le realtà incorporee e intel-ligibili. Una simile traduzione – più volte proposta dagli interpreti – causa evidenti interrogativi 40. Per lo più gli interpreti non commentano il passo e, a mia conoscen-za, l’unico tentativo di soluzione è quello di Rostagni, il quale riscontra in queste linee una concessione di Giuliano a Temistio:

Pare che questo inciso non sia stato fin qui compreso dai traduttori. È evidente che l’A., nello scrivere a Temistio, seguace di Aristotele, non vuole dare senz’al-tro come vera la dottrina platonica secondo cui le idee appartengono al mondo incorporeo ed intelligibile, ma ammette anche la possibilità della critica aristote-lica, secondo la quale l’idea non esiste che nella cosa 41.

38 Sul testo di queste linee, si veda Bidez 1901. Dopo βασιλέα si trova inserito nel Ms. V un pas-so della Lettera a Teodoro (Ep. 89b, pp. 155-174 Bidez = 288a-305d), che termina prima delle parole καὶ στρατηγόν.

39 Swain 2013, p. 165.40 Cfr. Rochefort 1963, p. 16: «comme font ceux qui contemplent vraiment les idées, ou aussi

ceux qui les placent mensongèrement au sein du monde incorporel et intelligible».41 Rostagni 1920, p. 124 nota 1.

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È però impensabile che Giuliano possa aver concesso a Temistio che sia fal-so considerare le Idee come sostanze incorporee e intelligibili, e questo anche pre-scindendo dal fatto che Temistio, in realtà, non fu un aristotelico ostile a Platone 42. D’altronde, un dettaglio terminologico dovrebbe rendere consapevoli della possibili-tà di una traduzione alternativa: ξυντιθέντες non può essere reso con ‘pongono / pla-ce’. Il verbo indica, infatti, la composizione / sintesi e non la collocazione / posizione di qualcosa. È un termine comune nel vocabolario filosofico in riferimento ai proce-dimenti dialettici del pensiero che compone e divide contenuti traendo inferenze 43.

Se le cose stanno così, si può ipotizzare che l’opposizione tracciata da Giuliano divida coloro che correttamente contemplano le Idee da coloro che falsamente le ‘compongono’ in giudizi, compromettendo così la loro semplicità. In breve: l’oppo-sizione è tra due modi di cogliere le Idee. Uno è quello corretto e più alto, e ha luo-go mediante la contemplazione teoretica; l’altro è inferiore e ‘falso’, poiché ha luogo mediante la composizione e il giudizio. In ogni caso, anche (καί!) colui che attin-gesse questo modo di comprensione inferiore sarebbe pur sempre al di sopra della tychê, come invece non è colui che non coglie gli intelligibili e regola la sua condotta rivolgendosi al mondo della prassi. La frase, in effetti, va costruita diversamente da come si fa di solito. Le parole ἐν τοῖς ἀσωμάτοις καὶ νοητοῖς devono essere collegate a entrambi i participi, sia a θεωροῦντες sia a ξυντιθέντες, oggetto dei quali è l’accusati-vo τὰς ἰδέας. La costruzione corretta è: «come fanno coloro che le idee negli incorpo-rei e negli intelligibili o veramente contemplano o anche [καὶ, la cui presenza rimane non spiegata dall’interpretazione tradizionale del passo] falsamente compongono» 44. Spetta a M. Schramm aver chiarito in modo brillante questo punto e aver messo in rapporto l’affermazione di Giuliano con la dottrina neoplatonica dei gradi di virtù (virtù catartiche vs virtù teoretiche) e dei gradi di conoscenza (ragione discorsiva vs contemplazione intellettuale) 45. Il re ‘platonico’ a cui si allude in queste linee conduce la vita puramente contemplativa dell’Intelletto o, almeno, si trova sulla via che porta a essa, nella misura in cui compone le Idee in giudizi mediante la ragione discorsi-

42 L’atteggiamento di Temistio riguardo alla dottrina delle Idee è per altro controverso: le Idee non compaiono nel suo resoconto astrazionistico della conoscenza (In An. Post. 4, 27-33 Wallies cfr. Schramm 2008, pp. 188-189), ma sembrerebbero comunque ammesse per spiegare la riprodu-zione biologica (si veda Sorabji 2005, pp. 8 e 42-43 [§ 1(b) 16]).

43 Cfr. ad esempio Plot. I, 3 [20] 5, 1-4: Ἢ νοῦς δίδωσιν ἐναργεῖς ἀρχάς, εἴ τις λαβεῖν δύναιτο ψυχῇ· εἶτα τὰ ἑξῆς καὶ συντίθησι καὶ συμπλέκει καὶ διαιρεῖ, ἕως εἰς τέλεον νοῦν ἥκῃ.

44 La costruzione era stata giustamente interpretata da Asmus 1908, p. 29 «welche die Ideen im Reiche des Unkörperlichen und Intelligibeln entweder wahrhaft schauen oder auch nur fäl-schlich erdichten» (si noti, comunque, la traduzione, certamente scorretta, di ξυντιθέντες con «welche [...] erdichten»). Tra le altre traduzioni consultate, quella di Prato ‒ Fornaro 1984, p. 8 si avvicina di più alla costruzione corretta: «a meno che qualcuno non sostenga (come coloro che collocano le idee – sia speculando secondo verità sia secondo fallaci deduzioni – nel mondo degli essere incorporei e intelligibili». In ogni caso, anche i due interpreti accolgono l’interpreta-zione di Rostagni (cfr. Prato ‒ Fornaro 1984, p. 43 ad loc.).

45 Cfr. Schramm 2013, p. 313.

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va, trattandole come concetti. La sua condizione è di possedere le virtù catartiche o teoretiche. Per questo, egli è libero dalla fortuna e dalle avversità esterne. In questo senso, osserva acutamente Schramm, Giuliano accoglie la dottrina stoica per cui il saggio è, in quanto virtuoso, anche felice: tuttavia, egli trasferisce questo ideale alla vita contemplativa che culmina nella contemplazione delle Idee, mentre non lo ritie-ne raggiungibile nella vita pratica.

Per Giuliano, in sintesi, potrebbero sfuggire alla fortuna solo un re o un generale che raggiungessero la condizione di coloro i quali colgono le Idee incorporee e intel-ligibili: o in modo autentico, attraverso la contemplazione, oppure anche in modo inadeguato, mediante il giudizio. A integrazione dell’analisi di Schramm, si deve però notare che nella Lettera a Temistio, una simile situazione non è considerata come attingibile per il governante: Giuliano osserva infatti che un simile re o generale capa-ce di conseguire la conoscenza delle Idee e superiore alla tychê sarebbe «come l’uomo di Diogene cinico ‘senza città, senza casa, privo di patria [Ἄπολιν, ἄοικον, πατρίδος ἐστερημένον]’» (Ad Them. 256c-d) 46. L’alternativa formulata da Giuliano divide colui che è capace di cogliere le Idee, è superiore alla fortuna ma perciò stesso è estraneo alla polis, dal governante impegnato nella vita pratica, che è inevitabilmente sogget-to alla tychê. È la tesi generale propria della Lettera a Temistio, nella quale vita attiva e vita contemplativa sono ripetutamente contrapposte a tutto vantaggio della seconda.

Certamente, le circostanze in cui Giuliano compose lo scritto (con ogni proba-bilità, intorno alla sua elevazione al cesarato) e il suo atteggiamento personale influi-rono sul tono della Lettera. Non è un caso che vi abbondino le espressioni che indi-cano angoscia e timore associati all’assunzione della regalità nel modo prospettato da Temistio: φρίκη («brivido»), δέος («timore») (Ad Them. 253b), ἐξεπλάγην («traseco-lai») (Ad Them. 254b), τρέμειν («tremare») (Ad Them. 263b) 47. Tuttavia, alcune pre-cisazioni supplementari sono necessarie e non ha molto senso liquidare il complesso e raffinato argomento della Lettera come una semplice «momentary aberration» 48. A ben guardare, l’argomentazione della Lettera non rivela tanto le paure di un animo angosciato dall’assunzione del potere, ma un’argomentazione sottile e solidamente costruita che mira a scardinare una ben definita concezione del potere politico: quel-la, per l’appunto, difesa e promossa da Temistio. È, in effetti, di cruciale importan-za osservare che, tanto nel passo citato sopra quanto negli altri luoghi centrali della Lettera (si veda in particolare il parallelo tra Socrate e Alessandro Magno in Ad Them. 264c-265a) l’opposizione tra contemplazione e azione è sviluppata da Giuliano assu-mendo come punto di partenza la tesi di Temistio sul carattere della filosofia e la superiorità della vita pratica associata all’impegno politico. Agli occhi di Giuliano, il re-filosofo teorizzato da Temistio è incapace di raggiungere la vera filosofia fon-data sulla contemplazione teoretica. Temistio ha abbassato la filosofia al rango delle vicende umane. Per questo, se valutato a partire dalla sua posizione, il governante non

46 Diog. Laert. VI, 38; cfr. Ælian. Hist. Div. III, 29.47 Cfr. Bouffartigue 2006, p. 113 nota 1.48 È il celebre giudizio di Athanassiadi 1992, p. 94.

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può che rimanere vittima della fortuna e votato all’insuccesso (o, come Alessandro Magno, essere incapace di trarre profitto dal successo conseguito) 49. Rispetto a una visione siffatta del rapporto tra filosofia e prassi, il giudizio di Giuliano è netto: alla vita politica va anteposta la teoresi e, d’altra parte, la teoresi è tale da rendere l’uomo fondamentalmente estraneo alla politica (potremmo chiosare: alla politica così come concepita da Temistio). Tuttavia, questa è solo una parte della posizione di Giuliano, il cui fine è in realtà unire teoresi e prassi, vita attiva e vita contemplativa, ma in modo inverso a Temistio. Per Giuliano si tratta di elevare l’azione umana individuando come criterio d’azione del governante la contemplazione autentica della realtà – non di abbassare la vera filosofia al livello delle contingenze umane.

In questo senso, la Lettera può essere considerata come la pars destruens di un discorso che Giuliano svilupperà altrove, particolarmente nelle Orazioni scrit-te in qualità di Augusto 50. Qui il suo retroterra neoplatonico viene più esplicita-mente in luce e lo conduce a una diversa valutazione dell’azione politica, fondata su altri presupposti rispetto a quelli esplicitati nella Lettera a Temistio. È interessante che la Lettera non contenga nessuna allusione ai maestri neoplatonici prediletti da Giuliano. Il neoplatonismo è in realtà ben presente nell’argomentazione, ma rima-ne, per così dire, in trasparenza: se ne riconoscono i contorni soprattutto attraverso le critiche che Giuliano indirizza al suo avversario. Le opere successive, in particolare l’orazione Contro il Cinico Eraclio e gli Inni teologici, offrono invece la ‘controparte positiva’ dell’argomentazione svolta nella Lettera, per riprendere l’efficace formula di Asmus 51. Nell’esporre la sua teologia politica, Giuliano completa, infatti, il proget-to abbozzato nella Lettera: egli mantiene ferma la superiorità della vita teoretica, ma perviene a una valutazione più positiva dell’azione politica, una volta che ne siano stati garantiti gli autentici presupposti sul piano teologico. Soprattutto, Giuliano si sente pienamente investito del ruolo di monarca scelto dal dio Helios:

Io invidio la fortuna dell’uomo al quale il dio ha concesso un corpo generato da un seme santo e profetico e che può scoprire così i tesori della sapienza; non disconosco tuttavia la sorte di cui mi ha ritenuto degno il dio Helios, facendomi nascere nella famiglia che ai miei tempi domina e regna sulla terra (Ad Helium regem, 131b; cfr. anche 157c-d) 52.

49 L’atteggiamento di Giuliano verso Alessandro è stato fatto oggetto di numerose discussioni. Per uno status quaestionis, cfr. Pagliara 2012, p. 70 nota 4.

50 Ma anche, anche esempio, nel secondo Panegirico a Costanzo, sulla cui teologia politica si veda Schramm 2013, pp. 375-383. Schramm parla di una «neuplatonische Weiterentwicklung der politischen Philosophie Dions». Sul secondo Panegirico a Costanzo, si veda lo studio di A. Paglia-ra in questo volume.

51 Cfr. supra, n. 21.52 Ζηλῶ μὲν οὖν ἔγωγε τῆς εὐποτμίας καὶ εἴ τῳ τὸ σῶμα παρέσχε θεὸς ἐξ ἱεροῦ καὶ προφητικοῦ

συμπαγὲν σπέρματος ἀναλαβόντι σοφίας ἀνοῖξαι θησαυρούς· οὐκ ἀτιμάζω δὲ ταύτην, ἧς ἠξιώ-θην αὐτὸς παρὰ τοῦ θεοῦ τοῦδε μερίδος, ἐν τῷ κρατοῦντι καὶ βασιλεύοντι τῆς γῆς γένει τοῖς κατ’ ἐμαυτὸν χρόνοις γενόμενος. Si cita la traduzione di A. Marcone in Fontaine – Prato – Mar-

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Certamente, tutta questa discussione conduce molto lontano dall’immagine, ancora piuttosto diffusa, di Giuliano come dilettante della filosofia e imbevuto di un confuso neoplatonismo religioso. Senza dubbio, Giuliano non fu un filosofo cre-ativo e ‘professionale’, ma aveva ciò nonostante un’ottima cultura filosofica (decisa-mente superiore a quella di alcuni suoi interpreti moderni) garantita dalla sua for-mazione scolastica. Un documento interessante è, a questo proposito, la Lettera 12 Bidez indirizzata da Giuliano a Prisco (discepolo di Edesio – a sua volta discepolo di Giamblico – maestro di Giuliano ad Atene e influente membro della sua cerchia). La datazione è dibattuta, ma R. Goulet ha proposto con buoni argomenti che vada col-locata dopo il pronunciamiento di Lutezia nel 360 53. Giuliano invita Prisco a raggiun-gerlo e, nel farlo, lo prega di cercargli una copia di «tutte le opere di Giamblico sul mio omonimo» (Ep. 12, p. 19, 2-3 Bidez), ossia, con ogni probabilità, il commento di Giamblico agli Oracoli caldaici, del quale il genero della sorella di Prisco possie-de una copia corretta 54. Gli specialisti si sono soffermati su queste linee, ponendo in luce il legame di Giuliano rispetto a Giamblico e la sua dipendenza dal platonismo teurgico. L’atteggiamento di Giuliano è confermato dalla sua affermazione per cui proprio mentre sta scrivendo gli si è manifestato un «segno meraviglioso» (Ep. 12, p. 19, 5-6 Bidez). Poco dopo, infine, Giuliano afferma di essere un ammiratore fanatico di Giamblico in filosofia e «del mio omonimo [ossia Giuliano il teurgo] in teosofia» (Ep. 12, p. 19, 12-13 Bidez).

La lettera, però, non fornisce solo queste indicazioni e non è soltanto una appassionata dichiarazione di entusiasmo per il platonismo teurgico. Giuliano offre importanti informazioni sul dibattito nelle scuole neoplatoniche posterio-ri a Giamblico. Egli invita, infatti, Prisco a non seguire i seguaci di Teodoro (οἱ Θεοδώρειοι), i quali affermavano che Giamblico era un ambizioso (Ep. 12, p. 19, 8  Bidez). Sappiamo, in effetti, che Teodoro di Asine, pur essendo probabilmen-te allievo di Giamblico, si distaccò nettamente dalle posizioni del proprio mae-stro tornando al platonismo intellettualistico di matrice plotiniana e porfiriana 55. Evidentemente, Teodoro non era rimasto affatto isolato nel suo atteggiamento, se Giuliano si preoccupa così tanto della possibile influenza dei suoi discepoli (pro-babilimente attivi ad Atene) su Prisco. A questa importante indicazione sulla pri-

cone 1987. Sugli elementi di continutà, cfr. Schramm 2013, p. 336. Neanche nei discorsi suc-cessivi alla Lettera a Temistio Giuliano accetta senz’altro il principio dinastico. L’imperatore è scel-to dal Dio in ragione della sua disposizione per la virtù e della sua capacità di ricoprire l’ufficio del comando.

53 Della lettera 12 si cita, con alcune piccole modifiche, la traduzione di Caltabiano 1991, p. 147. A questo testo ha recentemente dedicato due importanti contributi Richard Goulet: cfr. Goulet 2012a; Goulet 2012b.

54 L’identificazione di questo oscuro personaggio è molto difficile. Con argomenti interessanti, Goulet 2012a suggerisce che si tratti di Giamblico II (da non confondere con il più famoso Giamblico di Calcide), nipote di Sopatro di Apamea e, a sua volta, filosofo neoplatonico, al quale si deve probabilmente l’introduzione ad Atene del platonismo di Giamblico.

55 Un’ottima presentazione sintetica di questo intricato dossier si trova in Goulet 2012a, pp. 42-43.

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ma posterità di Giamblico, sulla quale si tornerà tra poco, se ne aggiunge un’altra. La lettera si chiude con un elogio delle «sillogi» (συναγωγαί) di Aristotele apprestate da Prisco. Ancora una volta, Giuliano associa l’elogio di un platonico (Prisco, come prima aveva celebrato Giamblico) alla presa di distanza rispetto a un suo concorren-te: se prima era Teodoro di Asine, ora è il caso di Porfirio, sui cui lavori aristotelici Giuliano si esprime in modo apertamente critico:

Lo scrittore di Tiro ha saputo inserire solo pochi elementi di logica in numerosi libri, tu, invece, con un solo libro, hai fatto forse di me un baccante nella filo-sofia aristotelica, e non un semplice nartecoforo (Ep. 12, p. 19, 17-20 Bidez) 56.

Giamblico e Prisco sono dunque entrambi esponenti di una filosofia ispira-ta e veramente divina rispetto a cui Giuliano proclama il suo entusiasmo. Dall’altra parte stanno Teodoro di Asine e Porfirio, esponenti di un platonismo al quale egli guarda con diffidenza 57. Gli studiosi dibattono sull’effettiva conoscenza delle opere aristoteliche posseduta da Giuliano 58. Certamente non si può provare che Giuliano le avesse lette estesamente (ma neppure che non le conoscesse affatto) ed è possibile che egli si fondasse in gran parte su sintesi o compendi come quelli di Prisco. D’altra parte, i riferimenti ad Aristotele sono piuttosto numerosi nelle sue opere. Si è visto che nella Lettera a Temistio Giuliano critica il suo interlocutore e antico maestro per aver male interpretato passi della Politica. Inoltre, una tradizione ben attestata infor-ma che Giuliano si interessò a questioni di logica aristotelica intervenendo in una controversia sulla dottrina del sillogismo 59.

In tutto questo non c’è a ben guardare niente di sorprendente. Giamblico e la sua scuola non rinnegarono minimamente gli aspetti tecnici e scolastici della for-mazione filosofica: essi si proposero invece di integrarli in un contesto più ampio, pitagorico in filosofia e coronato dalla rivelazione degli Oracoli. Quando, d’altron-de, Temistio delinea il ritratto caricaturale del filosofo impostore e vanaglorioso,

56 Ὁ μὲν γὰρ Τύριος [Μάξιμος] εἰς βιβλία [μὲν] πλείονα τῆς λογικῆς ὀλίγα † δυεῖν εἶπε †, σὺ δέ με δι’ ἑνὸς βιβλίου τῆς Ἀριστοτελικῆς φιλοσοφίας ἐποίησας ἴσως δὴ καὶ βάκχον, ἀλλ’ οὔ τι ναρ-θηκοφόρον. Sul testo di queste linee, cfr. Goulet 2012a, p. 1531. Va difesa, seguendo Bidez, l’espunzione di Μάξιμος. Con ogni probabilità, un copista ha aggiunto il nome di Massimo per precisare l’etnico Τύριος. Non è evidentemente possibile supporre che Giuliano si riferisse qui a Massimo di Tiro né (contra Bouffartigue 1992, p. 320) è plausibile che Giuliano associasse nella sua critica Porfirio a Massimo di Efeso.

57 È significativo che anche nel discorso Alla Madre degli dèi Giuliano sembri guardare con una certa distanza all’esegesi porfiriana del mito di Attis, che egli dichiara di non aver letto: cfr. Ad Matrem deorum 161c.

58 Scetticismo (forse eccessivo) in proposito è espresso da Bouffartigue 1992, pp. 197-214.59 Riferimenti in Goulet 2012a, p. 44 nota 73. La notizia è riportata da Ammon. in An. Pr. 31,

11-23 Wallies e dallo scritto di Temistio In risposta a Massimo sulla riduzione dei sillogismi di seconda e terza figura a quelli di prima, conservato in arabo ed edito (ancorché in modo insoddi-sfacente) in Badawi 19872. Una nuova edizione è in preparazione per opera di Marwan Rashed.

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al quale egli si contrappone e in cui alcuni hanno riconosciuto Massimo di Efeso, egli ne mette in luce proprio l’ostentazione della tecnica filosofica (Or. 21, 247c) 60. Certamente questi autori non erano filosofi professionali e accademici; sicuramente lo studio della filosofia, anche nei suoi aspetti più astratti e tecnici, era indissociabi-le dallo sforzo di purificazione. Tuttavia, non si trattava neanche di «guru» e non ha alcun senso ridurre la loro posizione filosofica a una specie di ideologia identitaria o «religione del libro» 61. Figure carismatiche e «pagan holy men» 62 potevano disporre di un’ottima e tecnica preparazione filosofica: i due aspetti sono inscindibili ed è del tutto fuorviante privilegiare l’uno a scapito dell’altro 63.

Giuliano prosegue, a suo modo, anche questo punto del loro programma filo-sofico. Non è dunque corretto opporre rigidamente una corrente ispirata e religiosa del neoplatonismo a una corrente ‘analitica’, scolastica e incline ai tecnicismi filoso-fici. La differenza di Giamblico e dei suoi seguaci rispetto a Porfirio e ai suoi seguaci non sta nel fatto di leggere e interpretare Aristotele, confrontandosi con aspetti tecni-ci del suo pensiero, ma nella maniera di leggere Aristotele. Per Porfirio, l’esegesi rima-ne confinata al pensiero aristotelico (del quale si sostiene comunque la compatibilità rispetto alla filosofia di Platone), i punti dottrinali tipicamente platonici sono intro-dotti, ma in modo per lo più discreto e riservando l’approfondimento di essi a una fase successiva del curriculum. Il riferimento alla filosofia di Pitagora non ha un ruolo privilegiato. La situazione è del tutto diversa in Giamblico, come possiamo evincere soprattutto dalle testimonianze sul suo commento perduto alle Categorie conservate in Simplicio. Come attesta Simplicio, Giamblico, pur seguendo spesso Porfirio alla lettera, si distingueva da lui per l’esegesi pitagorizzante (riteneva infatti che il trattato pitagorico sulle categorie attribuito ad Archita fosse stata la fonte a cui si era ispirato Aristotele) e per l’introduzione di una «dottrina intellettuale» (νοερὰ θεωρία), ossia di una dottrina che faceva riferimento agli intelligibili (cfr. Simpl. In Cat. 2, 13-14 Kalbfleisch) 64. Forse Prisco aveva composto le sue sillogi seguendo lo stesso metodo di Giamblico: da qui l’apprezzamento di Giuliano.

Si ritiene talora che Giamblico abbia segnato una svolta irreversibile nel plato-nismo tardoantico e che il suo platonismo teurgico sia stato accettato ben presto nei circoli filosofici pagani diventando una specie di ortodossia 65. Le Lettere di Giuliano

60 Sappiamo da Simplicio che Massimo fu autore di un commento alle Categorie: cfr. Simpl. In Cat. 1, 15 Kalbfleisch.

61 È la tesi avanzata in Athanassiadi 2006. Per una critica, cfr. Chiaradonna 2014.62 Secondo la celebre definizione di Fowden 1982.63 Sono in netto disaccordo con Athanassiadi 2006, la cui analisi è caratterizzata da ripetute sva-

lutazioni della «tecnica» filosofica (cfr. Athanassiadi 2006, pp. 126, 206-207, ecc.) e dall’enfa-tica affermazione (riferita a Giamblico e Damascio) per cui «le fondement de la philosophie est la religion» (Athanassiadi 2006, p. 189). Tutta la lettura del platonismo tardoantico fornita da Athanassiadi è, sostanzialmente, a-filosofica.

64 Sulla differenza tra i metodi di Porfirio e Giamblico, cfr. Taormina 1999.65 Tesi sostenuta, ancora una volta, in Athanassiadi 2006, p. 172: «sa [scil. di Giamblico] métho-

de d’enseignement, ses règles et son interprétation furent religieusement observées pendant

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e le Orazioni di Temistio dimostrano che ciò non è vero. Per quanto possiamo rico-struire, le resistenze non mancarono tra gli stessi seguaci di Giamblico, se è vero che Teodoro ritornò a posizioni plotiniane e Dessippo, la cui opera sulle Categorie di Aristotele è parzialmente conservata, passò quasi del tutto sotto silenzio l’interpre-tazione pitagorica del proprio maestro 66. Come si è osservato sopra, Temistio reagi-sce a sua volta con scarsissimo entusiasmo alla svolta di Giamblico. D’altra parte, lo stesso rapporto di Giuliano rispetto a Giamblico è tutt’altro che semplice da definire. Certamente, Giuliano subisce profondamente l’influenza del programma filosofico e religioso giamblicheo, ma sarebbe affrettato ritenere che la restaurazione pagana di Giuliano sia una diretta applicazione del platonismo teurgico di Giamblico. La real-tà è molto più sfaccettata e, se mai, si deve proprio a Giuliano (è il tratto principa-le della sua originalità filosofica) l’aver costruito una versione specificamente politica della teurgia, tanto da configurarla come una sorta di ‘religione di stato’ 67. È solo con Giuliano che la teurgia di Giamblico si innesta in una vera e propria teologia politica. Gli aspetti più difficili delle elaborazioni metafisiche sono abbandonati, mentre si dà pieno risalto a una dimensione politica che invano si cercherebbe, almeno in queste proporzioni, nel pensiero dei maestri neoplatonici 68.

3 Conclusione

Il dibattito su filosofia e regalità nella Lettera a Temistio può acquistare un sen-so più ricco e storicamente fondato se valutato in questa prospettiva. Come si è già osservato, le professioni di modestia di Giuliano vanno considerate con prudenza. Certamente egli afferma di non avere una completa formazione filosofica, ma ciò non gli impedisce di contestare l’esegesi aristotelica di Temistio. È altrettanto indub-bio che Giuliano separi nettamente la propria condizione rispetto a quella del re filo-sofo, e si dichiari incapace di accogliere su di sé un carico tanto pesante. Tuttavia, anche queste parole vanno accolte con cautela. Senza disconoscerne la sincerità, si è però giustamente notato che Giuliano fa proprio un preciso schema argomentativo

plusieurs siècles: le carcan de Jamblique dispensait de l’obligation de penser par soi-même»). Va detto, però, che la valutazione di Giamblico negli studi recenti è decisamente più articolata e si tende a mettere sempre maggiormente in luce la portata filosofica e argomentativa delle sue con-cezioni. Si vedano, ad esempio, gli studi raccolti in Afonasin – Dillon – Finamore 2012.

66 Su Dessippo, si veda ora Barnes 2009.67 Così De Vita 2011, pp. 247-252; si veda, nel medesimo senso, Tanaseanu Döbler 2013,

pp. 136-148. Sul rapporto tra platonismo e pensiero politico in Giuliano, cfr. gli studi di Elm 2012 e Schramm 2013, più volte richiamati. L’importanza del condizionamento cristiano in Giuliano è stata recentemente ben illustrata da De Vita secondo la quale il progetto di restaura-zione pagana può essere compreso sotto certi aspetti come un tentativo di emulazione della reli-gione combattuta. Nel programma teurgico di Giuliano sarebbe così percepibile la «volontà di riorganizzare la liturgia pagana sul modello di questa cristiana» (De Vita 2011, p. 241).

68 Per maggiori dettagli, cfr. Chiaradonna 2014.

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di origine platonica (Plato Resp. VI, 489c), secondo il quale coloro meglio dotati per governare non lo fanno spontaneamente, ma devono essere convinti e persuasi ad accettare il loro incarico 69. Meno si è qualificati a governare, tanto più si è disposti a prendere il potere. Considerate in questa prospettiva, le professioni di modestia filo-sofica di Giuliano appaiono, in realtà, rivendicazioni di una reale competenza fon-data su una filosofia divina e ispirata (ma non per questo meno precisa e rigorosa), che egli riteneva superiore a quella dei suoi avversari (Porfirio, Teodoro, Temistio). Parimenti, dietro la sua concezione modesta della sovranità si può leggere, in real-tà, la rivendicazione di una regalità ben superiore rispetto a quella teorizzata da Temistio, perché fondata su una concezione divina del governo della quale Giuliano si riteneva portatore 70.

Riccardo ChiaradonnaUniversità Roma Tre

69 Seguo l’analisi illuminante di Elm 2012, p. 74: «The greater the reluctance to accept public offi-ce, the higher the leadership potential [...] Julian’s declaration to his friends and confidants of his desire for the philosophical life thus complemented rather than contradicted his activities as Caesar and military commander»; si veda anche Elm 2012, pp. 160-161.

70 Una prima e parziale versione di questo articolo si trova pubblicata in «Aitia: Regards sur la cul-ture hellénistique au XXIe siècle», V (2015) (http://aitia.revues.org). Desidero ringraziare Elisa Coda, Maria Carmen De Vita, Susanna Elm, Augusto Guida, Dominic O’Meara, Alessandro Pagliara, che hanno letto il presente contributo in fasi diverse della sua stesura. Un ringraziamen-to speciale va ad Arnaldo Marcone, per l’incoraggiamento e i preziosi suggerimenti.

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