la gioia di un sÌ a dio - barnabiti - ordine dei chierici ... · mondo, anime elette e fortunate...

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SPIRITUALITÀ BARNABITICA Eco dei Barnabiti 4/2014 18 il passo è compiuto Sono ormai trascorsi quasi tre anni da quando ho dato al mondo un eter- no addio. L’esperienza è fatta. I sogni del- l’adolescenza e le illusioni della gio- vinezza scomparvero interamente; ho cinquantatré anni e sono quindi in quello stadio della vita nel quale le cose si calcolano con ponderazione, nel quale la poesia ha ceduto il posto al ragionamento, lo spirito è meno baldanzoso, il corpo più pigro e la re- altà ci si mostra nella sua nudità ordi- nariamente così spaventevole e triste. L’esperienza è fatta e per me la real- tà è bella. Viaggiatore o pellegrino, giunto al termine, al vertice del mon- te, a quel santuario che vagheggiavo e desideravo da lontano, ora guardo con occhio sereno le profonde valli che si stendono ai miei piedi e che a poco a poco sì dileguano fra le ombre. Da ben diciassette anni sono salito di verità in verità, di chiarezza in chiarezza, e ho trovato il luogo del mio riposo nella vita claustrale, su quelle benedette sommità che si ele- vano al di sopra della regione delle tempeste, e dove ai raggi dell’eterno sole riscaldo l’anima mia. Per me la realtà è bella, e non domando più sogni: tutti i miei sogni si sono avve- rati, tutti i miei desideri si sono attua- ti. Contento del presente, pieno di speranza in un avvenire migliore, non mi perdo in sospiri per il passa- to. Ringrazio il Signore della felicità che godo e di cui mi sento indegno, e cogliendo in abbondanza i frutti dell’autunno non rimpiango i fiori della primavera. E come non mi reputerei felice? Come non mi reputerei felice, da quando sono stato scelto a far parte di una di quelle famiglie così poco numerose che Dio chiama a seguire i consigli evangelici? Quando io paragono la mia giovi- nezza così brillante e così vuota alla presente mia esistenza così modesta e così piena, quando confronto quello che godevo nella società del mondo e nelle sue sale dorate a quello che ora provo nella quiete della mia povera celletta, come l’anima mia si alza ver- so Dio con uno slancio di rico- noscenza e come io mi sento felice! Quando paragono i miei viaggi attra- verso l’Europa con le benedette pere- grinazioni che mi è stato dato di fare al presente, quando penso che invece dell’uniforme di ussaro, di cui nella mia giovinezza ero così orgoglioso, porto ora l’austera e umile tonaca di Barnabita; che, invece di assistere alle feste clamorose del secolo, prendo par- te alle feste delle nostre chiese, e che il quotidiano banchetto dell’Eucarestia ha preso per me il posto dei frivoli e colpevoli banchetti del mondo, quan- to, e lo ripeto, quanto mi sento felice! Allora bevevo a lunghi sorsi nella coppa del piacere, ed ero infelice. Il mondo mi chiamava ricco, e io mi sentivo povero; ero ritenuto come un uomo libero, e io mi sentivo schiavo; ma ora, pronunciati i tre voti solenni che mi hanno inchiodato per sempre alla croce, ora che nulla posseggo, ora che ho giurato di rinunciare a qualunque volontà – e a qualunque piacere, ho trovato la ricchezza, la li- bertà, la felicità; la ricchezza, in quel- la pienezza di sentimenti di cui il mio cuore sovrabbonda, e che mi innalza- no, mi uniscono al mio Dio; la liber- tà, nella conformità della mia volontà alla sua; la felicità infine, nella fuga dei piaceri, nel sacrificio degli istinti naturali alle ispirazioni della grazia, e in quella calma, che mi procura la LA GIOIA DI UN SÌ A DIO A chiusura dell’itinerario che ci ha portato nel cuore di Agostino Schouvaloff, vogliamo ascoltare dalle sue stesse confessioni ciò che ha significato per lui dire sì a Dio, rinunciando a tutto ciò che il mondo gli aveva dato e ancora poteva dargli, per vivere in povertà, castità e obbedienza in «una di quelle famiglie così poco numerose che Dio chiama a seguire i consigli evangelici» quale è quella dei Barnabiti. «Da ben diciassette anni sono salito di verità in verità, di chiarezza in chiarezza, e ho trovato il luogo del mio riposo nella vita claustrale, su quelle benedette sommità che si elevano al di sopra della regione delle tempeste...»

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SPIRITUALITÀ BARNABITICA

Eco dei Barnabiti 4/201418

il passo è compiuto

Sono ormai trascorsi quasi tre annida quando ho dato al mondo un eter-no addio.L’esperienza è fatta. I sogni del-

l’adolescenza e le illusioni della gio-vinezza scomparvero interamente; hocinquantatré anni e sono quindi inquello stadio della vita nel quale lecose si calcolano con ponderazione,nel quale la poesia ha ceduto il postoal ragionamento, lo spirito è menobaldanzoso, il corpo più pigro e la re-altà ci si mostra nella sua nudità ordi-nariamente così spavente vole e triste.L’esperienza è fatta e per me la real-

tà è bella. Viag giatore o pellegrino,giunto al termine, al vertice del mon-te, a quel santuario che vagheggiavo edesideravo da lontano, ora guardo conocchio sereno le profonde valli che si

stendono ai miei piedi e che a poco apoco sì dileguano fra le ombre.Da ben diciassette anni sono salito

di verità in verità, di chiarezza inchiarezza, e ho trovato il luogo delmio riposo nella vita claustrale, suquelle benedette sommità che si ele-vano al di sopra della regione delletempeste, e dove ai raggi dell’eternosole riscaldo l’anima mia. Per me larealtà è bella, e non domando piùsogni: tutti i miei sogni si sono avve-rati, tutti i miei desideri si sono attua-ti. Contento del presente, pieno disperanza in un avvenire migliore,non mi perdo in so spiri per il passa-to. Ringrazio il Signore della felicitàche godo e di cui mi sento indegno,e cogliendo in abbondanza i fruttidell’autunno non rimpiango i fioridella primavera.E come non mi reputerei felice?

Come non mi reputerei felice, daquando sono stato scelto a far partedi una di quelle famiglie così poconumerose che Dio chiama a seguire iconsigli evangelici?Quando io paragono la mia giovi-

nezza così brillante e così vuota allapresente mia esistenza così modesta ecosì piena, quando confronto quelloche godevo nella società del mondo enelle sue sale dorate a quello che oraprovo nella quiete della mia poveracelletta, come l’anima mia si alza ver-so Dio con uno slancio di rico -noscenza e come io mi sento felice!Quando paragono i miei viaggi attra-verso l’Europa con le benedette pere -grinazioni che mi è stato dato di fare alpresente, quando penso che invecedell’uniforme di ussaro, di cui nellamia giovinezza ero così orgoglioso,porto ora l’au stera e umile tonaca diBarnabita; che, invece di assi stere allefeste clamorose del secolo, prendo par-te alle feste delle nostre chiese, e che ilquotidiano banchetto dell’Eucarestiaha preso per me il posto dei frivoli ecolpevoli banchetti del mondo, quan-to, e lo ripeto, quanto mi sento felice!Allora bevevo a lunghi sorsi nella

coppa del piacere, ed ero infelice. Ilmondo mi chiamava ricco, e io misen tivo povero; ero ritenuto come unuomo libero, e io mi sentivo schiavo;ma ora, pronunciati i tre voti solenniche mi hanno inchiodato per semprealla croce, ora che nulla posseggo,ora che ho giurato di rinunciare aqua lunque volontà – e a qualunquepiacere, ho trovato la ricchezza, la li-bertà, la felicità; la ricchezza, in quel-la pienezza di sentimenti di cui il miocuore sovrabbonda, e che mi innalza-no, mi uniscono al mio Dio; la liber-tà, nella conformità della mia volontàalla sua; la felicità infine, nella fugadei piaceri, nel sacrificio degli istintinaturali alle ispirazioni della grazia, ein quella calma, che mi procura la

LA GIOIA DI UN SÌ A DIOA chiusura dell’itinerario che ci ha portato nel cuore di Agostino Schouvaloff, vogliamoascoltare dalle sue stesse confessioni ciò che ha significato per lui dire sì a Dio, rinunciandoa tutto ciò che il mondo gli aveva dato e ancora poteva dargli, per vivere in povertà, castitàe obbedienza in «una di quelle famiglie così poco numerose che Dio chiama a seguire i consiglievangelici» quale è quella dei Barnabiti.

«Da ben diciassette anni sono salito di verità in verità, di chiarezza inchiarezza, e ho trovato il luogo del mio riposo nella vita claustrale, su quellebenedette sommità che si elevano al di sopra della regione delle tempeste...»

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convinzione intima, ferma e inaltera -bile di avere compiuto il mio dovere.O calma del cuore, che solo Dio

può dare, convinzione, pace, felicità,tesoro, godimenti dell’anima, io nonvi avevo mai conosciuti!

la vera felicità

Vi sono dei momenti, molto rarisenza dubbio, in cui si vive conl’anima più del normale, in cui l’ani-ma si fa sentire con più forza, in cuisi conosce meglio la tri stezza o lagioia, dalla quale siamo presi. Si saallora perfettamente quello che siprova e ce ne rendiamo conto. Laconvinzione ne è intima e completa,e siamo o profondamente infelici, onella pienezza della felicità Ma sic-come per il cristiano l’infelicità nonesiste realmente se non a motivo delpeccato, ed è sempre libero di pen-tirsi e di sperare, e conseguentemen-te di essere felice, così è chiaro chedipende da lui non solamente di nongiungere mai al colmo della disgra-zia, ma di aumentare al contrariosempre più la pienezza della vera fe-licità, la quale non è altro che l’inte-ra adesione alla volontà divina.L’intima felicità, di cui parlo, con-

siste, d’ordinario, in una calma, inuna sicurezza e in una pace che in-vano tenteremmo di esprimere o didescrivere. L’uomo allora è, senzadubbio, più vicino a te, mio Dio!Io feci esperienza di questa verità

dal giorno che seguì la mia entrata nelnoviziato. Era di buon mattino; avevoabbandonata la mia celletta e mi re-cavo silenziosamente al coro per reci-tarvi il divino ufficio con i miei fra -telli, fratelli sconosciuti, ma che giàamavo! Il lungo corridoio era rischia-rato debolmente da una piccola lam-pada e attraverso i vetri delle finestresi vedeva la neve che copriva la cam-pagna. Faceva freddo e tutto all’intor-no era oscurità e grigiore. Ebbene, ioattesto che allora nella mia animabrillò improvvisamente un raggio chevi sparse la luce e il calore. Ero con-tento, né la mia contentezza era ungioco dell’immaginazione ma era in-vece precisamente l’effetto di quellacalma e di quella pace di cui ho par-lato. Il sacrificio era compiuto; misentivo felice, e sapevo di esserlo.O voi tutti, che Dio chiama fuori dal

mondo, anime elette e fortunate chemi ispirate una pia simpatia una santa

tenerezza, vi scongiuro,non resistete, obbedite eperseverate. Voi pure co-noscerete certamente gio-ie spirituali, conoscereteanche il dono di Dio. Visono dei dolori, certa-mente, anche nella vitareligiosa, perché vi sonodei sacrifici; ma solo permezzo del sacrificio voisarete felici. Il sacrificio èla misura del l’amore, è lacondizione della felicità.E nel mondo non avetepure le vostre pene? Sì! Esono più numerose, piùcrudeli e anche inutili.Nulla è più triste deidolo ri inutili. Mentre pernoi i sacrifici sono consi-derati e ogni lacrima èpesata sulla bilancia dellamisericordia divina.Sì, nella vita religiosa vi

sono dei dolori, ma non vi si pecca, osi pecca meno; Dio è meno offeso:dunque noi siamo più felici. E poi, lamorte. Il pensiero della morte! Non ècosa consolante il sapere che quandoessa verrà a bussare alla nostra portaci troverà tra le braccia del Signore?Ma dove, al contrario, troverà i mon-dani? Nei teatri, durante un ballo, inmezzo a un’orgia e forse sul letto delpeccato... Questo pensiero mi fortifi-cava e ne benedicevo Iddio.Nel Noviziato… in quella dolce

scuola dell’anima mia, mai fui tentatoper un solo istante di tornare al secolo.La sua felicità mi sembrava cosa cosìmeschina, così miserabile! Invece misentivo al mio posto, sapevo, compren-devo che mi trovavo dove Dio mi vole-va, e se talvolta mi assaliva un poco dinoia o di tri stezza, bastava un solo mo-mento di riflessione per ritro vare la cal-ma: sursum corda, esclamavo dentro dime, ed ero di nuovo pienamente felice.E come non essere felice in mezzo

a quei giovani fra telli, le cui azioni miedificavano, ogni parola dei quali mistimolava al bene? E i loro consigli edi loro fraterni avvertimenti così franchie allo stesso tempo così rispet tosi esemplici, quegli avvertimenti dettatidall’amore innocente, da quell’amoreche solo la vita religiosa cono sce,amore santificato dal pensiero di Dio!Questo amore non si permette mai

una critica, ben ché innocente, non ilminimo giudizio temerario, non la mi-

nima derisione, ma considera somma-mente colpevo le il desiderio di brillarea spese del prossimo, odia l’ambizio-ne e la rivalità. Questo amore ci fasempre emuli, mai rivali. È paziente edolce, ci aiuta in tutti i bisogni moralie fisici, respinge l’egoismo, immola ipiccoli interessi particolari ai bisognigenerali, ignora la freddezza e il ca-priccio, cerca ed attiva l’unione, tutti igiorni e in tutti gli istanti della giornatasi dedica al bene altrui, perché non te-me il sacrificio, ignora il tuo e il mio,fa che ciascuno viva per tutti, e chetutti viva no per ciascuno […].Io sperimentavo nel noviziato un’esi-

stenza nuova, sconosciuta; nuovi senti-menti mi nascevano nell’anima; eronell’adolescenza del mio cuore.«Mi credo in paradiso – scrivevo

un giorno al Padre de Ravignan, – imiei Padri sono altrettanto santi, i no-vizi altrettanto angeli. Mi vergogno ditrovarmi fra loro ...».Giorni fortunati del noviziato, pri-

mavera della mia anima, troppo tardivi ho conosciuto!

la follia del sì a Dio

«Mi sono riscaldato la testa, – han-no detto alcuni – mi sono esaltato».Ma, domando io, è alla mia età chela testa si riscalda per rinunciare atutto ciò che solletica la natura, e perabbracciare una vita austera? Si puòresistere per lungo tempo alle prove

SPIRITUALITÀ BARNABITICA

Eco dei Barnabiti 4/2014 19

Duccio di Buoninsegna - Vocazione di Pietro eAndrea. « O voi tutti, che giudicate la vocazionereligiosa e che vi permettete di biasimarla, di condannarla, ditemi: ne siete voi giudicicompetenti?»

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della vocazione, quando non sia ilSignore colui che ci chiama?«Sei un fanatico, un folle». Ma il

fanatismo preserva dal peccato? Lafollia ci avvicina a Dio?«Ha voluto far parlare di sé. È un

ambizioso, desidera dignità ecclesia-stiche». Ma se ciò fosse, avrei ioscelto una Congregazione religiosa,nella quale si giura solen nemente dinon accettare mai alcuna dignitàecclesia stica, se non dietro un co-mando espresso del Sommo Pontefi-ce? Oppure voi, che mi condannate,temete di essere nel numero di quellidi cui S. Paolo ha detto:L’uomo terreno non è capace delle

cose che appartengo no allo spirito diDio. Gli sembrano queste follia e nonpuò comprenderle, perché possiamogiudicare di esse sola mente confortatida una luce spirituale (cfr. 1 Cor 2,14).Questa risposta è sufficiente per

l’uomo retto di cuore. Se è cristianoin spirito e verità, mi comprenderà,altrimenti non voglia giudicare coseche sono superiori ai sensi e alla ra-gione umana. No, le illusioni non

consolano definitivamente, il fanati-smo non ci può rendere felici.Mi si opporranno forse i sacrifici e

le ispirazioni delle false religioni. Checosa provano? Nient’altro se non il bi-sogno che l’uomo ha di espiare, di sa-crificarsi, di sof frire; verità che ricevela sua applicazione nel seno stessodei più grossolani e più brutali errori.Se si trattasse solo di me, certamentenon mi curerei di provare la realtàdella mia vocazione, e forte della te-stimonianza della mia coscienza, miaccontenterei di tacere e di esse reignorato; ma si tratta invece di queisacerdoti vene randi che mi hanno ri-cevuto fra loro con tanta confiden za ebontà, si tratta dell’Ordine religioso,al quale ho la fortuna di apparteneree che il dovere e l’amore mi impon-gono di difendere. E affermo che que-ste parole non mi sono state né detta-te, né consigliate, né in alcuna manie-ra ispirate; esse provengono, invece,dalla mia ragione e dal mio cuore.O voi tutti, che giudicate la vocazio-

ne religiosa e che vi permettete di bia-simarla, di condannarla, ditemi: ne sie-

te voi giudici competenti? Conoscetevoi tutte le rela zioni di un’anima con ilsuo Dio? Conoscete i suoi biso gni, neavete indagato le profondità, studiato imisteri? Sapete voi quali siano a suo ri-guardo le esigenze della grazia? No,nulla sapete; ma voi non amate la vitacon sacrata, la decisione che quell’ani-ma ha preso, non la capite, e quindiessa ha torto, è debole, si è lasciataammaliare. Con quale leggerezza pro-nunciate i vostri giudizi! Ma voi, ripe-terò, conoscete i bisogni dell’animache condannate? E se quest’anima hala piena convin zione di essere statachiamata da Dio a quella vita; se hachiesto al Signore di essere illuminataa non intrapren dere nulla contro l’eter-na sua volontà; se finalmente, dopoavere pregato, consultato, atteso, hapotuto con vincersi in tutta libertà dellasua ragione, che la propria salvezza di-pende dall’attuazione di quel grandepensie ro, ditemi, non rinuncerete voial vostro primo giudizio?Che mai! La vocazione religiosa è

dunque una cosa mostruosa, inaudi-ta? Ma forse che da quando esiste ilcristianesimo, non vi furono anacore-ti, monaci, sacerdo ti? Non si sono vi-sti principi e principesse, re e reginecambiare le loro dorate vesti con il sa-io claustrale? La Chiesa, quel tribuna-le che giudica in ultimo appello ilmondo, non chiama il nostro unostato di perfezione? Il Vangelo non ciraccomanda la castità, la povertà,l’obbedienza volontaria? Gesù Cristonon ci consiglia di abbandonare tuttoper seguire lui? S. Paolo non esalta lafollia della croce? Il cuore finalmente,lo stesso nostro cuore, non ci dice tal-volta che è cosa utile fuggire il mondoper cercare la quiete nella solitudine enelle buone opere? Voi non siete piùcristiani, o avete dimen ticato il lin-guaggio della vostra infanzia? Che iosia stato biasimato per il fatto di esser-mi fatto cattolico, lo comprendo; l’er-rore deve biasimare la verità; ma chedei cristiani se la prendano con uncattolico perché ha abbracciato la vitareligiosa, ciò mi è incomprensibile.

al bene per mezzo del bene

Nella mia intelligenza e nel miocuore, la convinzione dell’immortali-tà dell’anima e l’amore della virtùavevano fatto nascere l’idea dell’infi-nito. Ebbene, da allora in poi questaidea non mi abbandonò più; que sta

SPIRITUALITÀ BARNABITICA

Eco dei Barnabiti 4/201420

Giusto De Menabuoi - Battistero, Padova - Il paradiso. «Mi credo in paradiso...i miei Padri sono altrettanto santi, i novizi altrettanto angeli. Mi vergognodi trovarmi fra loro ...»

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idea dell’infinito, della perfezione diDio, diventò la compagna necessariae costante della mia esistenza. Ellaentrò nell’anima mia, ne fece parte, emi stava incessantemente dinanzi agliocchi come uno scopo che dovevoraggiungere nel cielo, e al quale pote-vo avvici narmi sempre più sulla terra.No, non era un miraggio, era la re-

altà e quantunque non potessi dareuna forma esatta al mio pensiero, miera costantemente presente, e ripete-vo sempre a me stesso: «Là bisognaarrivare». Ebbene, credo proprio chedi questo pensiero Dio si sia servitoper farmi perseve rare nella praticareligiosa e per distaccarmi a poco apoco dal mondo.Vero è che questo germe di voca-

zione che nacque in me sotto l’in-flusso dei primi splendori della veri-tà, è rimasto molto tempo nascosto,pure a misura che nell’a nima mia laverità cresceva, essa lo riscaldavaprepa randolo a svilupparsi e a pro-durre i suoi frutti. Ma solo quando imiei doveri di padre non misero piùostacolo alcuno alle attrattive dellaverità, solo quando fui inte ramentelibero, la divina luce della verità sfol-gorò in modo tale, che il germe di-ventò un albero, e allora la mia vo-cazione si concretizzò. L’idea dell’in-finito, l’idea del bene, del perfettoera nella mia anima; io la vedevo inme, come ho detto sopra eciò mi rendeva felice.Tuttavia ciò non mi ba-

stava; bisognava tradurre inatto questo mio pensiero.E come? L’ignoravo. Nullasa pevo: tutto era vago econfuso nel mio spirito, losapeva solo Dio! Nulla sa-pevo; tuttavia sapevo di es-sere catto lico, quindi sape-vo tutto ciò che bisogna sapere. Sapevo che il per-fetto, l’infinito, l’assolutoesiste e che questo infini-to è Dio. Sapevo che iovengo da lui e che devotornare a lui. Sapevo cheDio è la Santissima Trinitàche crea e conserva; che ilVerbo si è fatto carne, chemi ha redento e che ha la-sciato alla sua Chiesa quel-la verità che sola può sal-varmi; che lo Spirito Santoè amore e che questo amo-re santifica. Sapevo di do-

vere amare il mio dolce Gesù e chenon potevo giungere sino a lui se nonper mezzo del bene, cioè per mezzodi lui stesso, poiché egli non è solo loscopo, ma anche la via. Sapevo chequesta via è al tempo stesso la verità ela vita; la ve rità, che senza dubbiopossedevo, ma di cui avevo anco ra se-te, di cui sempre avrò sete, esattamen-te, perché quella verità è l’infinito, va-le a dire la vita, la vita rea le che è Dio.Io dovevo giungere al bene per mez-

zo del bene, al per fetto per mezzo del-la perfezione, all’infinito elevando eprolungando il finito. Ma questo infini-to, questo bene è Gesù e dunque biso -gnava andare a Gesù, camminare conGesù, fare vivere Gesù in me stesso.Ciò non poteva effettuarsi, che moltoalla lontana, quanta è la distanza chesepara l’uomo dalla divinità; ma inqualunque modo, bisognava che ciòavvenisse. Sì, bisognava tradurre in attofinito il pen siero dell’infinito; bisogna-va dunque sforzarsi di diven tare puro eumile, povero e obbediente; bisognavarinunciare a se stesso, espiare, soffrire,portare ogni giorno la propria croce;bisognava, in una parola, segui re Gesùe realizzare in una maniera terrestrel’ideale celeste.Mio Dio! sono ancora ben lontano

dall’avere appagato questi miei desi-deri; compi tu l’opera tua!

E quest’opera progrediva in me, sen-za avvedersene, poiché durante il lavo-ro della grazia non se ne possono ap-prezzare i progressi. Io non vedevonulla, non sapevo dove andassi; soloIddio lo sapeva. La sua voce, la segre tasua voce parlava incessantemente allamia coscienza e al mio cuore; e io, oraresistendo, ora abbandonandomi deli-ziosamente a lei, mi lasciavo guidare.E come avveniva ciò?Io lo ignoro. Ciò è avvenuto e non

occorre dire di più. Da una parte Diosi serviva, senza dubbio, delle circo -stanze esteriori, alle quali la mia vitasi trovava lega ta; dall’altra si servivadel male che è in me e del bene cheè lo stesso Dio. Per trasformare lapianta selvatica Dio vi si è in qual-che modo innestato per mezzo delladottrina della verità e per mezzo deisacramenti; vi si è innestato nutren-dola della sua carne, innaffiandoladel suo sangue prezioso.

per concludere… una preghiera!

È ormai terminata questa storiadelle grazie di cui mi hai colmato,mio Dio, e non posso che ripeterti diessere riconoscente e felice.Signore, ti chiedo ancora una grazia,

una grazia che certo tu desideri conce-dermi. Io amo la mia patria, amo imiei fratelli e tu lo sai, ma l’amore non

è felice se non quando lasua felicità è condivisa.Fa dunque, o mio Dio,

che altre anime provino es-se pure quella felicità, dellaquale io sono ripieno – mol-te altre anime – quel le prin-cipalmente che mi sono ca-re. Tu le conosci, sono sepa-rate dalla Chiesa ... PadreSanto, tu puoi toccarle conla tua grazia; divino Pastore,tu puoi portarle all’ovile;Amore, tu puoi infiammarledel tuo fuoco! Apri loro,mio Dio, le tue braccia, po-nile sul tuo seno, e così pos-sano, consumate di amorenella tua santa unità, gode-re la felicità che io godo esperare quella che io spero.Maria, rifugio dei pecca-

tori, speranza di chi è sen-za speranza, prega per lo-ro! Alleluia.

Mauro Regazzoni

SPIRITUALITÀ BARNABITICA

Eco dei Barnabiti 4/2014 21

«No, non era un miraggio, era la realtà e quantunquenon potessi dare una forma esatta al mio pensiero, miera costantemente presente, e ripetevo sempre a mestesso: “Là bisogna arrivare”»

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