la drammaturgia dei chatbot

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La Drammaturgia nei Chatbots Antonio Pizzo Docente di Drammaturgia (DAMS di Torino) Direttore Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Multimedialità e l’Audiovisivo (CIRMA)

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La Drammaturgia nei Chatbots

Antonio Pizzo Docente di Drammaturgia (DAMS di Torino)

Direttore Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Multimedialità e l’Audiovisivo (CIRMA)

• Con il termine “drammaturgia” intendo “il lavoro per la produzione del dramma”. Quindi il dramma è il prodotto (dati) e la drammaturgia è il lavoro (processo).

• Il mio intervento intende fornire una sintesi metodologica sui contributi che i processi di drammaturgia hanno dato (o possono dare) alla creazione di chatbot.

• Che differenza c’è tra una conversazione e un dialogo drammatico?

• La prima fornisce informazioni e stabilisce legami sociali; il secondo fa queste due cose e in più ci emoziona.

• Il nostro comportamento digitale è ormai una costante conversazione in cui la controparte è rappresentata (in modo indistinto) da individui, gruppi, applicazioni, aziende, in modo indistinto.

• Perché in questa continua conversazione dovrebbe essere più interessante ricevere una risposta in linguaggio naturale invece di una grafica?

• Perché è utile simulare un’interazione inter-soggettiva al tempo presente?

• Perché investire tempo e risorse per rappresentare l’informazione come un evento qui ed ora?

• Vogliamo creare una partecipazione emotiva; vogliamo che il cliente, lo user, il giocatore, senta quell’evento come qualcosa che sia connesso al momento presente, qualcosa che sta accadendo a lui, in quel preciso momento.

• In questo modo la risposta ottenuta lo indurrà fare un’altra domanda; in quella linea di testo, in quella clip audio o video sarà possibile riconoscere uno sviluppo.

• E ciò accade se le informazioni sono fuse con le emozioni, e quindi se abbiamo l’impressione che lì con noi ci sia un carattere, una personalità.

• Le emozioni (in particolare modo quelle prototipiche) sono sempre suscitate dall’apprezzamento di un evento, di un’azione.

• Quindi affinché un dialogo susciti emozioni deve scandirsi come una serie di azioni agite da un agente con obiettivi e valori.  

• La drammaturgia ha molto da insegnare in questo campo.

• L’intuizione di Joseph Weizenbaum a mio avviso è ancora significativa. Weizenbaum nel 1966 chiamò Eliza il suo chatbot prendendo il nome dal personaggio nel Pigmalion di G. B. Shaw. Ma soprattutto ha scritto che una gran parte di responsabilità nella creazione di un chatbot è dello scrittore, quindi “drammaturgico”.

• Aveva capito che, al di là dei problemi tecnologici (non banali in quegli anni in cui le macchine da calcolo funzionavano ancora con le schede perforate) bisognava tener presente tecniche di scrittura che, a partire dalle specifiche dell’ambiente (lo spazio tecnologico in cui il chatbot agisce) sviluppino una personalità e quindi un comportamento credibile.

• Eliza “interpretava” un ruolo specifico (la psicoterapeuta) perché questo rendeva credibile la sua “ottusità”.

• I “limiti” dello spazio tecnologico in cui operava erano contenuti nei “limiti” del ruolo che impersonava.

• Questi “limiti” possono essere tradotti (nella tecnica drammatica) in tre condizioni da tener presente.

• Innanzitutto si tratta di una relazione dialogica che avviene in un determinato tempo e luogo.

• Il dialogo tra Amleto e lo Spettro di suo padre avviene di notte sui freddi spalti del castello. Avrebbe avuto un altro tono se fosse ambientata a mezzogiorno in cucina.

• Il dialogo deve simulare la relazione tra due o più individui.

• Questa relazione rientra nel campo dell’imitazione dell’azione. La drammaturgia è esperta nel creare dialoghi che simulano una situazione reale.

• Nel dialogo al balcone di Romeo e Giulietta non ci sono due persone che parlano d’amore, ma due ragazzi innamorati, nascosti e impauriti che si confessano l’uno con l’altra.

• I personaggi che dialogano hanno obiettivi e conoscenza del mondo.

• La drammaturgia ha sviluppato tecniche retoriche per simulare volontà e opinioni sul mondo solo ed esclusivamente mediante il dialogo. Cioè ha incorporato i modelli della psicologia comportamentale per produrre azioni dialogiche che appaiano dense di contenuto. Si badi bene che la drammaturgia non crea modelli psicologici, ma simula azioni (verbali e fisiche) che inducono nell’osservatore l’impressione di un modello psicologico.

• Jago desidera la disgrazia di Otello, agisce la propria malvagità, la persegue, non la dichiara

• (“Quel che sapete, sapete; ed è chiuso. D’ora innanzi non profferirò verbo”)

• Il punto che ci interessa è che la combinazione di questi tre elementi induce una partecipazione emotiva non solo di chi osserva ma anche di coloro che eseguono il dialogo.

• Se accettiamo che la drammaturgia è rilevante nella creazione di Chatbot, bisogna poi verificare in quale modulo del workflow produttivo si inserisce.

• Qui proverò a fare esempi sulla base di un progetto di guida museale interattiva e localizzata che abbiamo realizzato, come CIRMA, nel 2005 a Torino.

http://www.dramatour.unito.it/home.php

• Gestione Agency Globale

• il dialogo nella sua durata complessiva (una sorta di dramatic dialog manager)

• Il dialogo deve dare l’impressione di avere una unità, una organicità (quello che potremmo definire inizio, mezzo e fine). Il chatbot deve dare l’impressione di avere una personalità e obiettivi che ispirano l’intera interazione. Negli anni in cui le limitazioni tecniche pesavano ancora molto, i pionieri di questo genere utilizzavano le cosiddette “risposte di default” per far emergere personalità e obiettivi di alto livello.

• Un dialogo naturale lascerà sempre emergere pezzi della personalità del personaggio. Se il nostro interlocutore risponderà sempre ed esattamente alle nostre domande sembrerà che è lì solo perché lo vogliamo noi.

• Inoltre è molto dispendioso sviluppare moduli di comprensione in grado di elaborare qualsiasi domanda.

Anche Siri risponde “non ho capito” qualche volta.

• Invece queste potrebbero essere le occasioni per far emergere la personalità e gli obiettivi del personaggio.

• Carletto (il ragnetto virtuale) aveva momenti in cui dichiarava il timore di venir scoperto dagli addetti alla pulizia del palazzo e quindi spazzato via. Oppure ribadiva il suo orgoglio sabaudo.

• Bisogna anche dare il senso di durata mediante l’implementazione di un andamento ad archi drammatici.

• Vuol dire che un dialogo non è mai infinito e in genere ha sempre un punto in cui si raggiunge il climax per poi concludersi.

• Nella gestione di un dialogo interattivo questo effetto può essere raggiunto mediante l’impostazione di un ciclo di archi in cui il chatbot sembra volgere alla chiusura del discorso se non ci sono altri segnali da parte dell’utente.

• In Carletto gli input del visitatore erano rappresentati solo dalla sua location.

• Carletto continuava ad approfondire contenuti storici e dettagli biografici, fino al pettegolezzo mentre un visitatore restava nella stanza, fino a invitarlo a muoversi o addirittura ad entrare in una sorta di stand by dedicandosi ai propri interessi.

• Se il visitatore cambiava luogo Carletto ritornava ad appassionarsi e approfondire i contenuti, creando così un altro arco del dialogo.

• la gestione locale

• gli obiettivi di ciascuna azione verbale del chatbot.

• Ogni dialogo è diviso in “beat”, coppie di azione e reazione.

• Ogni beat deve assolvere il proprio compito (ad esempio, informativo) e spingere verso il successivo.

goal supergoal

mood

• Il chatbot deve sempre dare la sensazione che la propria reazione sia un’azione che spinge l’interlocutore a reagire.

• Ogni azione deve avere un goal specifico, un supergoal e un mood. Il goal è in normalmente molto locale (risponde alla richiesta), il supergoal è ispirato alla personalità del personaggio (potremmo dire il suo ruolo in quella situazione); il mood è il colore emotivo, o il sentimento, dell’azione (felice per essere utile, orgoglio per l’efficienza, ironia e sarcasmo, ecc.).

• Carletto forniva informazioni sul luogo in cui si trovava il visitatore (goal), perseguiva una volontà di tramandare i fasti della famiglia alla quale apparteneva (supergoal), era entusiasta di coinvolgere il visitatore nella propria storia).

• Questi due task possono essere completati solo se l’autore dei contenuti ha competenze sullo spazio tecnologico in cui deve elaborare il dialogo.

• Io sono stato ideatore del personaggio e autore dei testi, ma ho partecipato a tutte le riunioni di progettazione dell’architettura informatica sviluppata ad hoc e dell’interaction design.

• Tutti gli obiettivi di design devono essere espliciti

• General features implemented (for Carletto)

• Space-time consistency. The character must be related to the current space and time (avoiding the “ghost-from-the-past” effect).

• Historical character link. The character must have a clear-cut link with some historical figure that has lived in the historical site.

• Explicit-external motivations. The character must have a will to tell a story, a sense of duty that pushes it to be there with the visitor.

• Implicit-inner motivation. The character must have a personality consistent with her/his wills and duties. For example, the character is an enthusiastic full of energy teen who has a friendly attitude and enjoys talking with people.

• Conflict. The character must have some sort of obstacle to intentions (an external obstacle is better) and avoid the conflict with the visitor (they rather must be allied against something or someone).

• Change. The character must show a little change during the interaction. In our situation, given constrains better to move from formal to very friendly attitude.

• Qualsiasi siano le scelte di implementazione, questi task resteranno sempre validi. Potremo sviluppare un chatbot scegliendo software che gestiscono linguaggio naturale; potremmo utilizzare un sistema di tagging di contenuti testuali e un parser che seleziona la risposta più appropriata. Potremo invece utilizzare rappresentazioni ontologiche di conoscenza, utilizzare un’ontologia informatica per codificare conoscenze di dominio specifiche. Potremo utilizzare una linea di testo o una clip video.

• In ogni caso, l’utilizzo di metodologie drammatiche aiuterà a ottenere la partecipazione emotiva.

• Se pensiamo che sia utile utilizzare linee di testo che simulano un dialogo allora questo dialogo deve produrre un effetto che l’immagine non potrebbe produrre. Se utilizziamo un personaggio deve esserci un motivo, un plus che vogliamo ottenere e che non è raggiungibile in altro modo.

• A mio avviso l’effetto drammatico (o meglio l’effetto di virtual storytelling drammatico) è quello che giustifica l’utilizzo di un personaggio.

• Questo effetto si fonda sulla capacità di creare un bonding emotivo tra lo user e chi gli risponde.

• Vogliamo un personaggio che stabilisca una forte connessione con noi.

• Perché la cosa che tutti vogliamo evitare è di trovarci difronte a un personaggio al quale non importa nulla di ciò che accade, insomma vogliamo evitare l’effetto “Computer says no”.

The End