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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012 NUMERO 403 CULT La copertina RECALCATI E TODOROV Individui contro istituzioni: quando la società diventa orizzontale Il libro GIORGIO VASTA Teorie, macchine e lingue bizzarre tutti i mattoidi grandi inventori All’interno Straparlando ANTONIO GNOLI Giorgio Albertazzi: “Il vero teatro è tradimento e io sono Re Lear” Cinema ROBERTO NEPOTI I “vecchietti” british di Dustin Hoffman animano la serata al Festival di Torino La lettura JAVIER MARÍAS Di che cosa parliamo quando parliamo di innamoramenti Da Lehman Brothers a Julian Assange, la realtà va in scena Spettacoli RODOLFO DI GIAMMARCO e LUCA RONCONI Carlos, il ragazzo che non voleva più sparare L’attualità ATTILIO BOLZONI T utto gioca, a questo mondo: il sangue nelle vene di un amante, il sole sull’acqua e il musicista con un violino. Tutte le cose buone nella vita — l’amore, la natura, le arti, o gli scherzi in famiglia — sono gioco. E in realtà, quando giochiamo — sia che buttiamo giù un batta- glione di stagno con un pisello, sia che ci affrontiamo davanti alla rete da tennis — ciò che sentiamo nei nostri muscoli è l’essenza di quel gioco che domina il meraviglioso giocoliere, che lancia da una mano all’altra in un’ininterrotta e scintillante para- bola i pianeti dell’universo. L’uomo gioca da quando esiste. Ci sono stati tempi — giorni di festa dell’umanità — in cui l’uomo era particolarmente appassio- nato ai giochi. Fu così nella Grecia antica, nell’antica Roma, ed è così nell’Europa dei nostri tempi. Un bambino sa che, per poter giocare in un modo soddisfacen- te, deve giocare con qualcun altro, o almeno immaginare un altro, deve diventare due. O, per dirla in altro modo, non c’è gioco senza VLADIMIR NABOKOV competizione; che è poi il motivo per cui un certo tipo di giochi, co- me quelle esibizioni di ginnastica in cui una cinquantina di uomi- ni e donne, muovendosi come una cosa sola, formano delle figure su un terreno da parate, ci sembra insipido, perché privo dell’uni- ca cosa che dà al gioco il suo incanto, il suo fascino eccitante. Ed è per questo che il sistema comunista è così ridicolo, perché con- danna ciascuno a fare gli stessi tediosi esercizi, non consentendo a nessuno di essere più in forma del proprio vicino. Non per nulla Nelson disse che la battaglia di Trafalgar fu vinta nei campi di calcio e da tennis di Eton [sic]. I tedeschi stessi hanno di recente capito che con il passo dell’oca non si va lontano, e che il pugilato, il calcio e l’hockey sono molto più utili di qualsiasi altro esercizio militare e non. Il pugilato poi è particolarmente prezioso, e pochi spettacoli sono sani e belli quanto un incontro di boxe. (segue nelle pagine successive) con un articolo di GABRIELE PANTUCCI VLADIMIR NABOKOV Cronache dal ring “Vi spiego perché un pugile vale più di un poeta” Il racconto inedito di un grande scrittore DISEGNO DI GIPI © LA REPUBBLICA DISEGNO DI MASSIMO JATOSTI

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 25NOVEMBRE 2012

NUMERO 403

CULT

La copertina

RECALCATI E TODOROV

Individuicontro istituzioni:quando la societàdiventa orizzontale

Il libro

GIORGIO VASTA

Teorie, macchinee lingue bizzarretutti i mattoidigrandi inventori

All’interno

Straparlando

ANTONIO GNOLI

Giorgio Albertazzi:“Il vero teatroè tradimentoe io sono Re Lear”

Cinema

ROBERTO NEPOTI

I “vecchietti” britishdi Dustin Hoffmananimano la serataal Festival di Torino

La lettura

JAVIER MARÍAS

Di che cosaparliamoquando parliamodi innamoramenti

Da Lehman Brothersa Julian Assange,la realtà va in scena

Spettacoli

RODOLFO DI GIAMMARCOe LUCA RONCONI

Carlos, il ragazzoche non volevapiù sparare

L’attualità

ATTILIO BOLZONIT

utto gioca, a questo mondo: il sangue nelle vene di unamante, il sole sull’acqua e il musicista con un violino.Tutte le cose buone nella vita — l’amore, la natura, learti, o gli scherzi in famiglia — sono gioco. E in realtà,quando giochiamo — sia che buttiamo giù un batta-glione di stagno con un pisello, sia che ci affrontiamo

davanti alla rete da tennis — ciò che sentiamo nei nostri muscoli èl’essenza di quel gioco che domina il meraviglioso giocoliere, chelancia da una mano all’altra in un’ininterrotta e scintillante para-bola i pianeti dell’universo.

L’uomo gioca da quando esiste. Ci sono stati tempi — giorni difesta dell’umanità — in cui l’uomo era particolarmente appassio-nato ai giochi. Fu così nella Grecia antica, nell’antica Roma, ed ècosì nell’Europa dei nostri tempi.

Un bambino sa che, per poter giocare in un modo soddisfacen-te, deve giocare con qualcun altro, o almeno immaginare un altro,deve diventare due. O, per dirla in altro modo, non c’è gioco senza

VLADIMIR NABOKOV

competizione; che è poi il motivo per cui un certo tipo di giochi, co-me quelle esibizioni di ginnastica in cui una cinquantina di uomi-ni e donne, muovendosi come una cosa sola, formano delle figuresu un terreno da parate, ci sembra insipido, perché privo dell’uni-ca cosa che dà al gioco il suo incanto, il suo fascino eccitante. Ed èper questo che il sistema comunista è così ridicolo, perché con-danna ciascuno a fare gli stessi tediosi esercizi, non consentendo anessuno di essere più in forma del proprio vicino.

Non per nulla Nelson disse che la battaglia di Trafalgar fu vintanei campi di calcio e da tennis di Eton [sic]. I tedeschi stessi hannodi recente capito che con il passo dell’oca non si va lontano, e cheil pugilato, il calcio e l’hockey sono molto più utili di qualsiasi altroesercizio militare e non. Il pugilato poi è particolarmente prezioso,e pochi spettacoli sono sani e belli quanto un incontro di boxe.

(segue nelle pagine successive)con un articolo di GABRIELE PANTUCCI

VLADIMIR NABOKOV

Cronache dal ring“Vi spiego perché un pugile vale più di un poeta”

Il racconto inedito di un grande scrittore

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(segue dalla copertina)

n rigido gentleman, a cui nonpiace lavarsi nudo al mattino, in-cline a mostrarsi sorpreso sco-prendo che un poeta che lavoraper due connaisseurs e mezzoguadagna meno di un pugile chelavora per una folla di diverse mi-gliaia di persone (una folla che,per inciso, non ha nulla a che ve-dere con le cosiddette masse edè trascinata da una passionemolto più pura, più sincera e be-nevola di quella della folla che dàil benvenuto agli eroi nazionaliche ritornano a casa), questostesso rigido gentleman proveràindignazione e disgusto nei con-fronti di un combattimento coni pugni, così come a Roma, mol-

to probabilmente, c’erano per-sone che si accigliavano alla vistadi due giganteschi gladiatori cheesibivano il meglio delle arti gla-diatorie, colpendosi a vicendacon tali mazzate d’acciaio darendere inutile il pollice verso,tanto si sarebbero finiti l’un l’al-tro comunque.

(...). L’importante è, innanzitutto, la bellezza dell’arte del pu-gilato, la precisione perfetta del-l’allungo, i salti laterali, i tuffi, lagamma dei colpi — i ganci, i di-retti, gli swipe — e, in secondoluogo, la fantastica emozione vi-rile che quest’arte suscita. Moltiscrittori hanno descritto la bel-lezza, il fascino del pugilato. (...).E ci sono rimasti dei ritratti deipugili professionisti del XVIII eXIX secolo. I famosi Figg, Cor-bett, Cribb combattevano senza

guanti e combattevano magi-stralmente, con tenacia ed ono-re — molto più spesso fino alcompleto sfinimento, più che fi-no al knock-out. Né fu un senso

di banale umanità che portò allacomparsa dei guantoni da boxeverso la metà del secolo scorso,piuttosto il desiderio di proteg-gere il pugno, che altrimenti po-teva troppo facilmente frattu-rarsi nel corso di un incontro del-la durata di un paio d’ore. Tuttiloro sono da tempo scesi dal ring— questi grandi pugili leggenda-ri — facendo vincere ai loro so-stenitori un bel po’ di sterline.Vissero fino a tarda età e di sera,nelle taverne, davanti a una pin-ta di birra, raccontarono con or-goglio le loro passate imprese.Furono seguiti da altri, i maestridei pugili di oggi: il massiccioSullivan, Burns, che assomiglia-va a un dandy londinese, e Jef-fries, il figlio di un maniscalco —«la speranza bianca», come ven-ne chiamato, da cui si compren-

de come i pugili neri stessero giàdiventando imbattibili.

Chi sperò che Jeffries avrebbebattuto Johnson, il gigante nero,perse i suoi soldi. Le due razze se-guirono da vicino questo incon-tro, ma nonostante la furiosaostilità tra il gruppo dei bianchi equello dei neri (l’incontro si svol-se venticinque o più anni fa), nonfu infranta una sola regola delpugilato, per quanto Jeffries, adogni colpo che portava, conti-nuasse a ripetere: «Yellow dog…yellow dog». Alla fine, dopo unlungo, splendido combattimen-to, l’enorme pugile nero colpì ilsuo avversario così forte che Jef-fries volò all’indietro fuori daltappeto, oltre le corde del ring e,si dice, «si addormentò».

(...). Ho avuto la fortuna di ve-dere Smith, e Bombardier Wells,

LA DOMENICA■ 26DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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Dicembre 1925, a Berlino si affrontano due pesi massimi, il tedescoHans Breitensträter e il basco Paolino Uzcudun. Tra la folla anche un giovane russo:con “Lolita” diventerà uno scrittore di fama mondiale, per ora si mantienedando lezioni di pugilato.Ecco, per la prima volta pubblicatoin Italia, lo straordinario racconto di quella serata

La copertinaVladimir Nabokov

Credetemi, non fa poi così male

Nel 1924 Vladimir Nabokovviveva a Berlino dandolezioni private di russo,

inglese, tennis. E pugilato. Ilpugilato l’aveva appreso daragazzo nell’augusta magionefamiliare di San Pietroburgodallo splendido MonsieurLoustatot («un francese diguttaperca»). Poi, come si sa, conla rivoluzione bolscevica lafamiglia di Nabokov lasciò laRussia per l’Inghilterra. Maprima di laurearsi a Cambridge,in zoologia e poi in lingue eletterature slave, il futuro autoredi Lolita partecipò a moltiincontri di pugilato. E al temadedicò anche una poesia, TheBoxer Girlfriend. Del restoquanto l’attività pugilistica fossepresente nella mente delloscrittore è dimostrato ora dairiferimenti letterari che ThomasKarshan ha rilevato nel drammaThe Tragedy of Mister Morn, unimportante lavoro teatraleapparso in pubblicazioni minorirusse negli anni Novanta, oltreun decennio dopo la morte diNabokov, e ora ritrovato etradotto dallo stesso Karshan (incollaborazione con AnastasiaTolstoj, pronipote di Leo) per ilTimes Literary Supplementinsieme alla cronacadell’incontro Breitensträter-Paolino che qui pubblichiamoper la prima volta in Italia. Quando Nabokov divenne unoscrittore famoso si compiacevad’affermare di non aver maipartecipato a nessun club ogruppo. Dimenticava però cheda emigrato a Berlino aveva fattoparte di vari club letterari. Primofra questi quello creatosi intornoal critico che dominava gliemigrati russi di allora: IuliiAikhenvald. E fu proprio aquesto gruppo che Nabokov offrìcome prima conferenza neldicembre 1925 il racconto di unincontro di boxe tra due pesimassimi che si era tenutoall’inizio di quel mese allo SportPalace di Berlino di fronte aquindicimila spettatori. Sul ringsi erano affrontati il tedescoHans Breitensträter e il bascoPaolino Uzcudun. Di qui il titoloscelto da Nabokov:Breitensträter-Paolino.

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La passioneritrovata

VLADIMIR NABOKOV

GABRIELE PANTUCCI

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■ 27DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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e Goddard, e Wilde, e Beckett, e ilmiracoloso Carpentier chesconfisse Beckett. Quel combat-timento, che fece vincere cin-quemila sterline al vincitore, etremila sterline allo sfidante,durò esattamente 56 secondi,tanto che chi aveva pagato ventisterline per sedersi ebbe solo iltempo di accendersi una sigaret-ta e quando alzò gli occhi al ringBeckett giaceva già al tappetonella commovente posa di unbambino che dorme.

Voglio subito dire che in uncolpo di quel genere, che com-porta un istantaneo black-out,non c’è nulla di grave. Al contra-rio. L’ho sperimentato io stesso,e posso testimoniare che quelsonno è piuttosto piacevole.Proprio sulla punta del mentoc’è un osso, come quello del go-

settimana, martedì sera. Facevada allenatore al peso massimoPaolino e sembrava che gli spet-tatori non riconoscessero subitoil recente campione del mondo

maturo sparsi su uno sfondo ne-ro — questo cubo d’argento nonsembrava illuminato dall’elet-tricità, ma dalla forza concen-trata di tutti gli sguardi che dalbuio lo fissavano. E quando l’av-versario del basco, il campionetedesco Breitensträter, è arriva-to sul ring, biondo, indossandoun accappatoio color grigio-to-po (e per qualche ragione deipantaloni grigi, che si è subitotolto) quell’enorme massaoscura ha tremato con un ruggi-to di gioia. Il ruggito non si èspento quando i fotografi, sal-tando sul bordo del ring, hannopuntato le loro «monkey-boxes»(così le chiamava il mio vicinotedesco) sui pugili, sull’arbitro,sui secondi, né quando i cam-pioni «si sono infilati i loro guan-toni da boxe». E quando i due

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PUGILINelle immagini d’epoca,in basso a destrail basco Paolino Uzcudune a sinistra il tedescoHans Breitensträter

A ogni colpo che il biondo subivail mio vicino faceva un fischio aspiratocome se i colpi li prendesse lui

Alla fine giaceva acciambellatocome un brezel. L’arbitro ha contatoi secondi fatali, ma lui non si è rialzato

mito che in Inghilterra vienechiamato “funny bone”, e inGermania “osso musicale”. Co-me tutti sanno, sbattendo forte ilgomito si sente immediatamen-te una lieve scossa nella mano eun momentaneo intorpidimen-to dei muscoli. La stessa cosa av-viene se si viene colpiti molto for-te sulla punta del mento.

Non c’è dolore. Solo lo scam-panellìo di un lieve ronzio e poiun istantaneo e piacevole sonno(il cosiddetto “knock-out”), chedura dai dieci secondi allamezz’ora. Un pugno al plesso so-lare è meno piacevole, ma unbuon pugile sa come tendere ilsuo addome, così da non batterciglio nemmeno se un cavallo glidesse un calcio alla bocca dellostomaco.

Ho visto Carpentier questa

in quel biondino dall’aria mode-sta. La sua gloria oggi si è offu-scata. Dicono che dopo il suo ter-ribile combattimento con Dem-psey singhiozzasse come unadonna.

Paolino si è presentato sulring per primo e, come di con-sueto, si è seduto sullo sgabellonell’angolo. Enorme, con unatesta quadrata e scura, indossa-va uno splendido accappatoioche gli arrivava alle caviglie: il ba-sco sembrava un idolo orientale.Solo il ring era illuminato e, nelcono bianco della luce che cala-va da sopra, la piattaforma sem-brava d’argento. Questo cuboargentato — inserito in mezzo aun gigantesco ovale oscuro incui le dense file di innumerevolifacce umane richiamavano allamente dei chicchi di granturco

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contendenti hanno fatto scivo-lare l’accappatoio (non «velluta-te pellicce») dalle loro spalle pos-senti e si sono lanciati l’uno con-tro l’altro nel bianco scintillantedel ring, un leggero gemito ha at-traversato quell’abisso oscuro,quelle file di chicchi di mais e levaghe tribune superiori — per-ché tutti hanno visto che il bascoera molto più grosso e massicciodel loro favorito.

Breitensträter si è lanciato perprimo all’attacco, trasformandoquel gemito in un rombo estati-co, ma Paolino, con la testa tra lespalle, gli ha risposto con deiganci corti da sotto e già dal pri-mo minuto o quasi la faccia deltedesco scintillava di sangue.

Ad ogni colpo che Breitensträ-ter subiva, il mio vicino faceva unfischio aspirato come se queicolpi li prendesse lui — e tutta lamassa oscura, tutte le gradinateemettevano una sorta di enor-me, soprannaturale, rauco la-mento. Al terzo round, si è fattoevidente che il tedesco si era in-debolito, che i suoi pugni nonpotevano tener lontana quellamontagna arancione protesa inavanti che avanzava verso di lui.Ha combattuto, tuttavia, constraordinario coraggio, cercan-do di rimediare, con la sua velo-cità, al maggior peso, circa settechili, del basco. Intorno al cuboluminoso, sul quale i pugili dan-zavano mentre l’arbitro serpeg-giava tra di loro, la massa oscurasi è raggelata e nel silenzio ilguantone, lucido di sudore, hacolpito con vigore il corpo nudo.All’inizio del settimo round,Breitensträter è caduto, ma do-po cinque-sei secondi, arran-cando in avanti come un cavallosul ghiaccio stradale, si è rialzato.Il basco si è gettato subito su dilui, sapendo che in queste situa-zioni devi agire in modo rapido erisoluto, mettendo nei tuoi pu-gni tutta la tua forza, perché avolte un colpo che punzecchiama non è deciso, invece di finireil tuo avversario indebolito, lorianima, lo risveglia. Il tedesco haschivato, poi si è aggrappato albasco, cercando di guadagnaretempo, di arrivare fino alla finedel round. E quando è andatonuovamente al tappeto, il gong èstato la sua salvezza: all’ottavosecondo, si è alzato con grandedifficoltà e si è trascinato fino alsuo sgabello. Per una sorta di mi-racolo, era sopravvissuto all’ot-tavo round, a un fragore crescen-te di applausi. Ma all’inizio delnono round, Paolino, colpendo-lo sotto la mascella, lo ha toccatoproprio dove voleva. Breiten-sträter è crollato. Infuriata escontenta, la massa oscura haruggito. Breitensträter giacevaacciambellato come un brezel.L’arbitro ha contato i secondi fa-tali, ma lui non si è rialzato.

Così, il match è giunto al ter-mine e quando siamo usciti tuttiper strada, nell’azzurro ghiac-ciato di una notte nevosa, hoavuto la certezza che nel più fiac-co padre di famiglia, nella gio-ventù più modesta, nelle animee nei muscoli di tutta la folla, cheall’indomani, al mattino presto,si sarebbe dispersa negli uffici,nei negozi, nelle fabbriche, ci sa-rebbe stato lo stesso bel senti-mento, per il quale era valsa lapena di far combattere due gran-di pugili: un sentimento intrepi-do, di forza ardente, di vitalità, divirilità, ispirato dal gioco del pu-gilato. E questo bel sentimento èforse più prezioso e più puro diciò che molti chiamano i “piace-ri elevati”.

Traduzionedi Luis E. Moriones

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ROMA

Si sente ancora uno di loro,uno della pandilla. La ban-da. E la sua casa è sempre là,fra le baracche sgangherate

e colorate del quartiere dove è nato, aiconfini dell’inferno, la colonia del RioBlanco. È uno di loro: è Carlos.

Non ha mai rinnegato le sue origini enel cuore porta il ricordo degli amiciche non ci sono più, ragazzini e anchebambini, morti a undici o a dodici an-ni, sgozzati o fucilati, uccisi per tutto eper niente sulle strade feroci di Città delMessico. «Eravamo ventitré all’inizio,siamo sopravvissuti solo in tre», ricor-da lui che dalla terrazza di un palazzodietro piazza Venezia sta guardando lecupole di Roma al tramonto.

Da qualche giorno è rifugiato qui,lontano dal suo barrio e lontanissimodalle paure che l’inseguono dall’altra

parte del mondo, minacce, avverti-menti, pedinamenti. I suoi nemici so-no poliziotti corrotti e criminali di variarisma, quelli che una volta lo conside-ravano un capo, il più sfrontato, il piùtemerario, il più duro dei pandilleros.Non è un traditore e non è un pentitoCarlos Alberto Cruz Santiago, ultimo dicinque figli cresciuti nelle miserabiliperiferie di una metropoli dove spa-droneggiano fra le settecento e le millegang, uno sterminato esercito di assas-sini adolescenti che un giorno ammaz-zano e il giorno dopo vengono ammaz-zati, che rubano, trafficano, fanno se-questri di persona, vendono e compra-no armi, vendono e comprano vite.

Questo messicano di trentotto anni,corpulento, i capelli color pece, unafaccia da indio e una malinconia che isuoi occhi non riescono a nascondere,oggi è un altro uomo che richiama il suopassato per spiegare che si può e che sideve cambiare. Da fuorilegge è diven-tato il più famoso «educatore di strada»

del suo Paese, senza avere mai dimen-ticato da dove viene e come ha consu-mato la sua prima esistenza. È in Italiaprotetto dalla rete Alas di don TonioDell’Olio, un network latino-america-no contro il narcotraffico. Nei prossimigiorni Carlos scenderà a Napoli per av-venturarsi nei labirinti di Scampia eparlare del suo Messico — dal 2006 cisono stati 136 mila omicidi, ventimiladi delinquenza comune e tutti gli altricollegati ai cartelesdella droga e alla cri-minalità organizzata — ai ragazzi del“paradiso dello spaccio”. E rivelare an-che l’altro volto che sta scoprendo lasua Rio Blanco. «Se si trasforma il miobarrio, ce la può fare anche Scampia»,sussurra mentre guarda le foto dei pa-lazzi «tutti grigi e tutti uguali» del quar-tiere napoletano in mezzo alla putrefa-zione di uomini e cose.

A Scampia racconterà la mattanzamessicana. E se stesso. La rivoluzionedi Carlos.

Tepito, Vaje Gomez, Bondojito, tut-

te le altre infelici colonie che confinanocon le costruzioni a forma di cubo do-ve sono intrappolati i quarantamilaabitanti del Rio Blanco. In fondo a unpolveroso viottolo abita Carlos. Il pa-dre Adulfo, ragioniere in un’impresa dicostruzioni, non c’è mai. Lavora giornoe notte per sfamare la famiglia. La ma-dre Hermilla s’arrangia con qualche la-voretto. Carlos non ha niente. Cinquepesos al giorno gli sembrano una fortu-na. Ha appena sei anni quando glielimettono in mano per correre su una bi-ci da una parte all’altra del quartiere. Eportare un «sacchettino» a qualcuno. Ègià un corriere. Marijuana. È già segna-to Carlos Alberto Cruz Santiago.

A tredici anni il bautizo, il battesimo.Il giro del perimetro di un campo, inse-guito da una trentina di ragazzi piùgrandi che lo prendono a bastonatecon le canne di bambù. «Se resistevi perun giro intero entravi, se non resistevinon ti prendevano nella banda…io digiri ne ho fatti due», dice Carlo che in-

LA DOMENICA■ 28DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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A sei anni iniziò la sua carriera criminale a Rio Blanco,Città del Messico. A quindici aveva una banda e una pistolaQuando si accorse che i suoi amici erano quasi tutti mortidecise di salvare quelli ancora vivi. Ora è in Italia,per raccontare la sua seconda vitaai ragazzi di Scampia

L’attualitàAndata & ritorno

ATTILIO BOLZONI

Carlos che un giorno disseio non voglio più sparare

IL PROTAGONISTACarlos Alberto Cruz Santiago, 38 anni,fotografato a Roma. Le altre immaginifanno parte di un fotoreportagedi Javier Arcenillas sulla violenzadelle gang nelle metropoli sudamericane

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i bambini mortiammazzati in variecittà del Messiconegli ultimi quattro anni

4mila

tanto spiega cosa significava «entrare»là dentro. Baci. Abbracci. Promesse so-lenni: «Non eri più uno in più ma eriparte, si parlava di lealtà. Degli amiciche dovevano essere considerati comefratelli, che dovevi rispettare tua madree le donne degli altri».

A tredici anni nel primo cerchio, aquattordici nel secondo, a quindici an-ni in quello più alto, il terzo. È ormai uncapo della pandilla Carlos. In tasca hasempre una pistola automatica marcaAstra. La usa «per difendere il territo-rio» dalle altre bande. Il suo quartieregenerale è nell’Escuela Vocacional nu-mero 10, un impasto di politica e di vio-lenza, delegati governativi in contattocon i pandilleros studenti per control-lare potere e voti. In cambio libertà discorribanda per Carlos e i suoi amici:«Rubavamo, rapinavamo banche, as-saltavamo per strada i poliziotti perportare via le loro armi e poi rivender-le, alla fine ci siamo anche conquistatiel derecho de pizo in tutto il quartiere».

La rentacome la chiamano in Messico,la quota che tutti i negozianti devonopagare al racket. La rata ogni settima-na, una speciale a Pasqua e a Natale. ACittà del Messico come nelle borgate diPalermo. È la seconda metà degli AnniOttanta. I cartelli della droga non sonoancora forti e ricchi come lo sarannodieci anni dopo, la guerra nella capita-le messicana è affare delle pandillasper il controllo dei commerci illegalidelle zone di appartenenza. È nel 1987— Carlos è da quasi due anni nella ban-da — che comincia a vedere morire isuoi compagni. Gli tornano in mente imomenti più dolorosi: «Dal 1987 al1991 sono stati uccisi quei venti, ma perme sono ancora tutti vivi, non passamese che non vado a casa dei loro fa-miliari». Scontri a fuoco. Agguati. Finoa quando si muove qualcosa dentro ilragazzo del Rio Blanco. Si rompe qual-cosa anche con i delegati governatividell’Escuela Vocacional numero 10 («Iloro figli non venivano ammazzati co-

me noi, non andavano mai in carcerecome noi…»), ma è un viaggio sullemontagne del Guerrero che divide persempre in due la vita di Carlos.

Con lo zaino in spalla decide di pas-sare qualche mese in una comunità in-digena e si accorge che là, nella foresta,uomini e donne e bambini muoionoanche senza le fucilate o le coltellate.Ricorda ancora lui: «Morivano di ma-lattia, morivano anche di fame. E quan-do un bambino soffriva perché era ma-lato non sentivo mai dire “C’è un bam-bino malato”, ma tutti dicevano “Lanostra comunità è malata”. Quel mododi pensare ha modificato il mio mododi pensare, ho capito che non era piùimportante vivere meglio, avere unabella macchina o tanti soldi, ma era piùimportante vivere da giusti».

Carlos torna a Città del Messico eparla con i superstiti della sua pandilla.Molti lo seguono, alcuni non capisco-no, altri cominciano a odiarlo. Lo accu-sano di voler abbandonare i compagni

della banda, che sta venendo meno algiuramento di fedeltà. Ci ripensa Car-los a quei giorni e dice: «Io non ho la-sciato e ripudiato nessuno, ho soltantoabbandonato la vendetta per diventa-re un pandillero costruttore di pace».Rimane a Rio Blanco, nella casa dellavecchia nonna in Calle Oriente 85 nu-mero 2822. Lì vicino apre Cuace Ciuda-dano, che significa “Canale cittadino”,un’associazione per strappare i ragaz-zi alle bande e che ha ormai volontari insessantasei municipi di Città del Mes-sico e in più di settecento scuole. Inda-ga sui crimini governativi, sui traffici dicoca, sulle crudeltà contro gli immigra-ti. Carlos comincia a denunciare lescorrerie della polizia, le uccisioni dimassa di ragazzi. Come quella del 2008nella discoteca New Divine di Città delMessico, nove adolescenti scambiatiper trafficanti e massacrati. O comequella del 2010 a Ciudad Juarez in loca-lità Villas De Salbarca, quattordicimorti e ventisette feriti, tutti minoren-

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‘‘ IeriIo e tutti quelli della mia pandilla rubavamo, rapinavamobanche, assaltavamo per strada i poliziotti per portare viale loro armi e per poi rivenderle, alla fine ci siamo ancheconquistati el derecho de pizo in tutto il nostro quartiere:la quota che tutti i negozianti devono pagare al racket

‘‘ OggiIo non ho tradito nessuno, non ho ripudiato nessuno,non ho abbandonato nessuno. Io ho soltanto rinunciatoalla vendetta. E ho deciso di fare il possibile per strapparei ragazzi alle bande. Se le cose possono cambiarein un quartiere come il mio, possono cambiare ovunque

ni. Mattanze governative.Con gli altri 144 volontari di Cuace

Ciudadano Carlo Alberto Cruz Santia-go è diventato bersaglio di reparti spe-ciali polizieschi e boss mafiosi. Telefo-nate nel cuore della notte: «Carlos sap-piamo dove sei», «Carlos strappiamo ilcuore a te e ai figli dei tuoi amici», «Car-los, sei condannato a morte».

Lui, che era entrato nella pandillanel 1985 e ne è uscito quindici anni do-po, l’altro mese è andato a parlare inuna caserma di polizia di Città del Mes-sico, un corso di formazione sulla lega-lità. In prima fila ha riconosciuto unvecchio capitano. «Era là che mi fissa-va, all’inizio non era sicuro che fossidavvero io. Si è avvicinato e mi ha det-to: “Non sono riuscito ad arrestarti eadesso ti ritrovo pure mio maestro...”».

La sua prossima lezione è fra i più di-sperati ragazzi di Napoli. Carlos è pron-to per il suo nuovo viaggio. Andata e ri-torno Rio Blanco-Scampia.

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gli omicidi in Messicodal 2006: la maggiorparte legati a drogae crimine organizzato

136milagli sfollati per motivilegati al narcotraffico,ai quali si aggiungono10mila desaparecidos

230milai giovani messicanitra i 15 e i 19 anni,detti ninis, che nonstudiano né lavorano

7 milioniil numero di gangdi Città del MessicoAltre stime parlanodi mille bande

700

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LA DOMENICA■ 30DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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Lei sartina, lui operaio. Si sposano nel ’26, ma appena un anno dopola favola finisce: per lui iniziano sedici anni di carcere fascistae di confino, per lei altrettanti di straziante lontananzaOra un libro raccoglie ciò che restadi quella passione: un diario e tante lettere

Il documentoCoppie non celebri

SIMONETTA FIORI

Emma ha continuato ascrivergli per anni, comese le sue lettere potesserooltrepassare ogni barrie-ra, anche quelle impossi-bili. Prima la galera, poi il

confino, ora perfino la morte. Così erastato nella loro giovinezza, i sedici an-ni vissuti nella separazione, tra il 1927e il 1943, Giulio prigioniero del fasci-smo ed Emma costretta a lunghe pere-grinazioni pur di vederlo venti minutisu una panca. Fu allora che Emma im-parò a riempire i vuoti con le parolescritte, a tradurre la danza degli occhiin pezzi di carta vistati dal censore. Ilcodice verbale aveva le sue regole in-derogabili, gli scatti in avanti e le fre-nate, le accensioni e le pause, propriocome il linguaggio del cuore. E a quel-lo Emma non rinunciò neppure dopoil 1974, l’anno della scomparsa di Giu-lio Turchi, l’operaio metallurgico di-venuto nel dopoguerra deputato delPci. Una lettera quasi quotidiana, persentirselo ancora vicino. Finché ungiorno accade un fatto incredibile, chenessuno poteva presagire.

Nel marzo del 1981 arriva ad Emmauna lunga «lettera d’amore». L’hascritta Giulio quasi mezzo secolo pri-ma. Un diario annotato a Ponza tra ildicembre del 1938 e il marzo del 1939,forse il periodo più difficile della sua vi-ta di detenuto: alle spalle già undici an-ni di carcere, e in avanti solo prospetti-ve confuse. Ma adesso da confinatopoteva disporre d’un quadernino, do-ve mettere ordine tra i sentimenti, so-

prattutto confessare liberamente leproprie emozioni senza timore di unosguardo estraneo. Per lui Emma eratutto, fonte di vitalità e bussola mora-le. Emma così estroversa e appassio-nata, lunarmente distante dal suotemperamento schivo, a tratti brusco.La sua dedizione lo smuoveva nelprofondo. Era disposta a tutto, pur disostenere il compagno in galera, an-che a far da cameriera alle signore del-l’ambasciata sovietica. Quel brevescritto voleva essere un risarcimento,un ripagarla per il suo affannarsi senzamai un lamento. Ottanta pagine ver-gate con grafìa fitta e minuta, un gestod’amore per la moglie bruscamenteinterrotto dal sequestro del quaderno,mai più restituito e per mezzo secolorimasto sepolto negli archivi. Nessunoin famiglia ne sapeva niente. A ritro-varlo sarà l’Associazione dei persegui-tati politici, che nell’81 ne fece dono aEmma. Ma l’unica a non sorprendersifu ancora una volta lei. Come se in fon-do l’aspettasse da sempre.

Ora questo diario è diventato un li-

bro, con la postfazione di Gioia Turchi,la figlia di Emma e Giulio che su solleci-tazione della sua secondogenita ha re-so pubbliche le carte (Emma. Diariod’amore di un comunista al confino, acura di Gianfranco Porta, Donzelli).Quello di Giulio Turchi è un memoria-le che s’aggiunge alle tantissime testi-monianze sulla galera fascista, ma di-stanziandosene per la sua intonazioneesclusivamente sentimentale. Non èun trattato di «psicologia carceraria»,come Vittorio Foa amava definire i suoiscritti, né un affresco di quella condi-zione che Massimo Mila efficacemen-te sintetizzò come «un sipario calatosulla vita». La politica scivola sul fondo,anche la solidarietà tra detenuti non èpreoccupazione urgente. Ciò che pre-vale è la pulsione del cuore, viaggio an-che spericolato dentro le caverne inti-me della passione. Il turbamento co-stante di una «vita non vissuta» ma so-lo pensata. L’attesa febbrile di lei. Latensione erotica durante i colloqui ingalera. Il maremoto procurato dagli in-contri mancati. E poi l’emozione nel ri-

trovarsi, la felicità procurata dalla con-vivenza alle Tremiti, la paura di speri-mentare il sogno lungamente insegui-to e l’esplosione sessuale che siglaquell’unione. Infine lo strazio della se-parazione. Frammenti di un discorsoamoroso che il detenuto ricomponenella solitudine del suo confino, per ri-compensare la sua compagna e trarnelinfa per un futuro incerto.

S’erano conosciuti nel 1925, Giulioed Emma, lui un operaio comunista diventitré anni che aveva partecipato al-l’occupazione delle fabbriche e oraguidava la federazione romana, lei unasarta appena diciottenne, però già vi-gorosa e piena di vita. Per lui fu amorea prima vista, la desiderava come «ami-ca e amante» — già uniti dal comuneimpegno nel partito — e da subito par-tirono le lettere, cerimoniose al princi-pio, poi sempre più confidenziali. Unapassione di carta destinata a durarequasi vent’anni, oltre mille le letterescritte da Giulio per la sua Emma dettaanche “Mina” o “Emmina”. Nel mag-gio del ’26 le nozze, solo pochi mesi di

vita in comune, forse non abbastanzaper conoscersi a fondo. Poi l’arresto diGiulio e la condanna del TribunaleSpeciale a ventuno anni di reclusione.Lui la prega di «riprendere tutta interala sua libertà», la vita con lui era «unpunto interrogativo» e il tribunale leavrebbe accordato «l’annullamentodel matrimonio». Lei lo ringrazia perl’offerta, che respinge tra le lacrime. Laloro storia era stata interrotta quandoforse doveva ancora cominciare.

Per misurare il loro amore dovran-no aspettare ancora dieci anni. Accad-de alle Tremiti, dove Giulio venne con-finato nel maggio del 1937. Emma ot-tiene il permesso di stare con lui qual-che giorno. Il suo arrivo nell’isola èpreceduto da grande trepidazione, in-sonnia e rabbia verso il chiacchiericciodegli altri confinati. Giulio non sop-porta che i suoi compagni riducanotutto a «orgia sessuale» dopo prolun-gata astinenza. Lui sa — e lo sa più di lei— che quell’incontro è una prova defi-nitiva della loro unione. La mattinadell’11 giugno va ad aspettarla sul mo-

letto del porto,poi sale sulla barcache s’accosta al piro-scafo. Un lungo silenzio, so-lo occhi che si cercano. Poiquella «fusione» che non c’era maistata prima, «l’abbandono totale delcorpo e dell’anima, senza reticenze esenza scrupoli», «la libertà che nonavevamo mai avuta». È la svolta inte-riore che segnerà le loro vite. Ed è que-sto incontro la scena-chiave del diariometicolosamente annotato da Giulio,che Emma sfoglierà quasi cin-quant’anni più tardi.

«Giulio caro, ieri ho avuto una gran-de sorpresa e se è possibile dirlo ancheuna grande gioia», gli scrive Emma il 4

Storiaamorecomunismod’

eEmma e Giulio,una vita quasi solo di carta

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■ 35DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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Quando la barca si portò dall’altra partedel piroscafo, vidi che Emma c’era. In-dossava il suo abito blu che mi era sem-

pre piaciuto. Stava appoggiata al parapetto, inprossimità della scaletta dalla quale sarebbediscesa: non un gesto, non una parola. Immo-bile, pareva attaccata al parapetto, pallida,guardava giù verso la barca, guardava me e nonpoteva articolare una parola.

In principio non capii. Salii la scaletta e leistava sempre immobile, sentii un marinaioche le diceva che c’ero io, senza che neancheallora Emma si muovesse. Le fui vicino, mi ba-ciò, anche allora senza una parola. Poi con unamano mi indicò le valigie.

E io non capivo ancora. La guardai e le chie-si qualcosa; mi rispose con una parola sola:«dopo».

Allora capii: l’emozione le impediva di muo-versi e di parlare.

Sulla barca tentai ancora di farla parlare; in-vano. Per tutta la strada ripetei i tentativi, manon riuscii ad averne che una parola: «dopo».

Andammo direttamente a casa, gli agentivennero con noi e in casa guardarono le vali-gie. Un’operazione molto semplice e moltobreve. Poi ci salutarono e ci lasciarono.

Restammo soli. Erano passati dieci anni edue mesi da che non eravamo stati soli senzatestimoni. Tutte le effusioni che per tutto queltempo ci eravamo rigorosamente proibite, pernon mettere in mostra i nostri sentimenti piùcari, dando a quelli una forma materiale ac-cessibile agli altri, tutte quelle effusioni pote-vano finalmente e liberamente estrinsecarsi.

Passarono parecchi minuti, un quarto d’o-ra, forse più, senza che nessuno dei due artico-lasse una parola. Non ne eravamo consci, maanche se lo fossimo stati, avremmo avuto lacertezza che il silenzio era il solo modo che per-mettesse di esprimere quello che accadeva ne-gli animi nostri. Nessuna parola, nessun ac-cento avrebbe potuto avvicinarsi a ciò cheavremmo voluto dirci. Capivamo meglio ta-cendo e guardandoci.

Fummo riscossi da un colpo discreto allaporta. Portavano la cena che non mangiam-mo.

Riconquistammo la calma necessaria perparlare; ma era estremamente difficile pensa-re a una conversazione ordinata. Si affollava-no nella nostra mente i ricordi di dieci anni do-lorosi, tutti quei momenti nei quali l’impossi-bilità di dirci l’amarezza dell’animo nostro lacentuplicava. Adesso volevamo dire tutto in-sieme senza ordine, senza coerenza. E non cene accorgevamo.

Eravamo felici; tanto felici.Il decennio era passato, lontano, dimenti-

cato.(da Emma. Diario d’amore di un comunista al confino

Il brano tratto dal diario racconta l’incontro tra Giulio ed Emma Turchi

alle Tremiti l’11 giugno 1937)

Eravamo felici,tanto felici

GIULIO TURCHI

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IL LIBRO

Emma. Diario d’amore di un comunista al confinodi Giulio Turchia cura di Gianfranco Porta(Donzelli, 15 euro, 104 pagine) è ora in libreriaLa postfazione è di Gioia Turchi, figliadi Emma e Giulio,che ha deciso di rendere pubbliche le memorie dei suoi genitori

marzo dell’81, tra le mani il quaderni-no ritrovato. «La tua rievocazione miha molto commosso e ho capito —benché lo sapessi — di averti reso feli-ce. Adesso prendo il tuo scritto e vadoa letto a rileggermelo, vicino a te. Saiche ancora ti porgo la mano, ti cerco eti do la buona notte». Emma conti-nuerà a scrivergli fino al suo ultimogiorno, nel febbraio del 1994. Giulionon poteva rispondergli, ma in fondonon aveva importanza.

LE LETTEREQui sopra una cartolinadalle isole Tremitiinviata da Giulioil 7 giugno 1937Al centro, alcune letteredi Giulio nella bustadi stoffa in cui Emma le conservava. In bassoa sinistra: una letteradi Emma a Giuliodel 30 gennaio 1938Accanto, una di Giuliodel 28 luglio 1937

LE IMMAGININella pagina accantoda sinistra, la schedasegnaletica di Giulioe una sua fotoda giovane. In basso, una foto di Emmada ragazza. Qui in altoa sinistra cartolinedalle Tremiti e accantola copertina del diario di Giulio; in basso Emma e sotto la coppia nel 1943:finalmente insieme

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LA DOMENICA■ 36DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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La “Lehman Trilogy”, insieme a tanti altri lavori di autori e registidi ultima generazione, segna il ritorno dell’attualità sul palcoscenicoDall’omicidio di Julian Assange alle morti bianche,viaggio nel cartellone dell’Europa indignada

SpettacoliJ’accuse

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Se stasera va in scenail crack della finanza

pari). Dei decessi a causa dell’amianto parla Laura Curino inMalapolvere, e lo fa Ulderico Pesce in A come... amianto, conin repertorio anche Asso di monnezzae Fiat-o sul collo. Seriala testimonianza su Falcone e Borsellino interpretata daGiuseppe Ayala in Chi ha paura muore ogni giorno. E s’a-scoltano echi di inferni stranieri in Ribellioni possibili sugliindignados spagnoli con la compagnia Atir. E farà sicuro cla-more il Pantani del Teatro delle Albe.

Intanto la Lehman Trilogy parla di una disfatta che toccatutti, nessuno escluso. «La gente oggi odia l’economia e lebanche, e il teatro deve suonare la nota stonata» dice Massi-ni. «Il primo testo, Tre fratelli, è una leggenda con tre omonicon barba che dal 1844 in poi sbarcano a New York e fonda-no una merceria di stoffe di cotone in Alabama, creando unafiliale a New York». Ogni copione è un pezzo di saga. «Nel se-condo, Padri e figli, il primo erede trasforma nel 1879 l’im-presa di mediazione in banca. E s’arriva al 1929. Il testo con-clusivo, L’immortale, focalizza quarant’anni di leadership diRobert Lehman, fino al 1969. È l’ultimo della famiglia al ver-tice della banca, e da manager illuminato finanzia Via colvento e King Kong, gestisce teatri di Broadway, favorisce ladiffusione dei pc tra la gente...». Al termine c’è il tonfo del2008. «Dopo un ad greco e uno ungherese, il testo si risolvecon un Satyricon di Petronio in chiave economica, e con unasorta di shivà, di rito funebre ebraico per la morte della ban-ca». La Lehman Trilogy ha alimentato reading a Salisburgo eLos Angeles, e sarà inscenata a St. Etienne e poi nell’autun-no 2013 al Théâtre du Rond Point a Parigi. Domani sera neviene messa in onda su Rai Radio3 (nel ciclo “Tutto esauri-to!”) una sintesi realizzata alla Sala A di via Asiago a Roma conRusso Alesi-Bini-Paiato-Piazza-Reale-Valmorin, a cura del-l’autore. La trilogia sarà pubblicata da Einaudi tra un annocon prefazione di Luca Ronconi, molto interessato alla ma-teria scritta, tanto da ripromettersi di lavorarci in una ses-sione estiva al Centro Teatrale Santa Cristina di Gubbio. Haragione Ronconi, a funzionare è un teatro che scomoda leragioni che non conosciamo, e non i fatti che conosciamo.

Il 15settembre 2008 un gigante della finanza america-na, la Lehman Brothers Bank, annuncia la bancarot-ta. È l’inizio della crisi che sta cambiando il mondo.Ora anche il teatro parlerà di quell’epopea, delle ra-dici di quel colosso, della parabola umana e impren-ditoriale che ha portato allo sfacelo: la Lehman Tri-

logy di Stefano Massini, fiorentino, classe 1975 (autore an-che di Donna non rieducabile sulla Politkovskaja, de Loschifo su Ilaria Alpi e di Balkan Burger sugli integralismi reli-giosi), scandisce 160 anni di eventi economici e sociali in 38quadri-capitoli, con oltre cinquanta personaggi. Di per sé,non è nuovo il rapporto tra cronaca e teatro. Dai drammi sto-rici di Shakespeare al ritratto di Maria Stuarda che ci dà Schil-ler, a qualche testo di j’accuse civile di Ibsen, alle questionioperaie di Gas di Georg Kaiser nel 1918, fino ai vari apologhispietati di Brecht sull’ingiustizia. E a fare clamore sono lecommedie di denuncia etica di Eduardo e di Fo, e Il vicariodi Rolf Hochhuth su Pio XII, L’istruttoria di Peter Weiss sulnazismo, fino agli atti unici anti-regime di Pinter, alle più re-centi biografie politiche di drammaturghi inglesi. Ma se og-gi il legame tra realtà e scena s’infittisce è anche per con-trapporre un racconto umano a un’ottica mediatica e “vir-tuale”, e perché certi teatranti giovani di adesso hanno unavocazione più radicale nel leggere gli avvenimenti pubblici.All’estero, in Germania, ha per esempio debuttato Breivik’sExplanation che lo svizzero Milo Rau ha ricavato dalle paro-le usate dal norvegese Anders Behring Breivik, responsabiledi 77 morti, mentre a Vienna s’è visto da poco Assassinate As-sange di e con Angela Richter, e al Fringe Festival di Edim-burgo (dove ha commosso la coreografia di corpi in discesalibera l’11 settembre dalle Torri in Falling Man) è apparsoPresidential Suite: a Modern Fairy Tale su DominiqueStrauss Kahn. Da noi l’eloquenza del Potere ha ispirato il Discorso grigio diFanny&Alexander, e sta alimentando i Discorsi alla nazionedi Ascanio Celestini. Sugli incidenti sul lavoro circola Giornirubati di e con Gianmarco Mereu, che ha gli arti inferiorischiacciati da un cancello di 600 chili. Sull’eutanasia sta peresserci A nome tuodal romanzo di Covacich, dopo Vita di An-gelo Longoni. Suicidi? sulle scomparse di Gardini, Cagliari eCastellani è un grottesco spettacolo di e con Bebo Storti e Fa-brizio Coniglio (artefice anche de Il viaggio di Nicola Cali-

RODOLFO DI GIAMMARCO

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“... È fuggito Teddyse l’è data a gambeappena ha capitoche di làin sala contrattazioniall’improvvisotutti vendonovendono vendonoVedere i soldii soldi verinon il valore titolii soldi. PuntoI soldi...”

FALCONEBORSELLINOJULIAN

ASSANGE

TORTURE

MORTIBIANCHE

POTERE

TWINTOWERS

STRAUSS KAHNDOMINIQUE

LEHMANBROTHERS

POLITKOVSKAJA

GLI SPETTACOLI1. Scena tratta da uno degli studiteatrali realizzati in Europasulla Lehman Trilogy2. Falling man3. Presidential Suite:a Modern Fairy Tale4. Donna non rieducabile5. Assasinate Assange6. Chi ha paura muoreogni giorno7. Discorsi alla nazione8. Discorso grigio9. Penelope in Groznyj10. Giorni rubati

ANNA

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LUCA RONCONI

Perogni drammaturgia in stretto rapportocon la propria epoca devono coesisteresempre tre contraenti: la committenza,

l’artista, il pubblico. Il contributo degli ultimidue elementi c’è, lo possiamo constatare. Ilproblema sorge in merito all’impulso, all’o-rientamento. Oggi (e non solo da oggi) la com-mittenza politica è latitante: non mi riferisco aun potere politico, ma all’interesse che dall’al-to si manifesta per il “fatto teatrale”. Uno deifiorenti correttivi a questo mancato indirizzodi cultura è la coscienza, in Italia, di autori-at-tori, e basterebbe citare (per difetto) i nomi diEduardo, di Fo, di Scimone, di Enia, ben sa-pendo che le opere di alcuni di loro sono por-tate in scena anche da altri. Accanto, poi, allacategoria dei cosiddetti commediografi puri,che lavorano in disparte, io lamenterei l’as-senza, da noi, di letterati che scrivono per il tea-tro, come hanno fatto Hofmannsthal e Sartre.

E ci sono differenze, in una drammaturgiacontemporanea che prenda spunto dallarealtà. Un conto è la scrittura teatrale che sifonda su fenomeni e avvenimenti conosciuti,e un conto è la stesura di testi che prendonospunto dalla comunicazione dei giornali. Lavera realtà, in termini di teatro, è vista ed ela-borata dall’esperienza, e non è desumibile dal-

la pura informazione. Voglio dire che i mediasono fondamentali per diffondere notizie cheperò, in quanto tali, generano clamore e poi in-differenza. Si può fare l’esempio della LehmanTrilogy di Stefano Massini: è un testo che inne-gabilmente s’ispira a ciò che è accaduto e cheha dato luogo a un ciclone di articoli e com-menti giornalistici, ma la sua trilogia va a cer-care radici e modalità lontane nel tempo. Mas-sini lo conosco, so che procede andando a fon-do. Mi sono altrettanto confrontato con Giu-liano Scabia, che non è un autore giovane. Al-largando il discorso, io riadotto quest’annol’argentino Rafael Spregelburd, il suo testo Ilpanico, e lui ha una percezione acuta dell’uo-mo contemporaneo anche prescindendo datemi odierni, senza sentire in modo didascali-co ciò che succede. Perché ciò che è attualissi-mo sui quotidiani arriva alla drammaturgiaquando non è più attuale, e una cosa è l’in-stant-book e un’altra cosa è l’elaborazione perla scena. Il giornale di ieri, se lo sfogliamo, nonè più interessante, ma un approfondimento sì.Anche in Shakespeare ci sono cronache, ma iltema non esaurisce mai in sé l’importanza. Ilteatro non gratifica se fa vedere ciò che esatta-mente già sappiamo.

Attenti alle fotocopie della realtà

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NextVoi siete qui

“Consenti di localizzare la tua posizione?”. È la domanda che sempre piùci rivolgono smartphone e tablet. Ecco perché per un’umanità in retee in continuo movimento la location sta diventando la cosa più importanteMa soprattutto: ecco come fare a non perdersi

LA DOMENICA■ 38DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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Prima internet era sedu-ta, adesso cammina.Un passaggio evoluti-vo, quello alla stazioneeretta, carico di conse-guenze. E di altrettanti

contrordini. Nel ’95 il futurologo George Gilderaveva decretato la fine delle città, «avanzi dell’e-ra industriale». Grazie ai computer connessi gliumani avrebbero trovato nuove forme di aggre-gazione, indifferenti allo spazio urbano. In quel-lo stesso anno — data di nascita della new eco-nomy, con Amazon, eBay e la miliardaria quota-zione di Netscape — l’Economist riprendeva ilconcetto con un memorabile speciale, La mortedella distanza. Vivere in un luogo anziché in un

altro avrebbe significato sempre me-no, grazie all’universale accessibilitàai servizi che il web prometteva. Larealtà si è presa la briga di smentirel’uno (che aveva contestualmenteprofetizzato la morte della televisio-

ne) e gli altri. E il settimanale britannico, che nonè solito far finta di niente, ha appena rivisto il tirocon un nuovo dossier dal titolo Il senso di un po-sto. Il web 3.0, quello mobile degli smartphone edei tablet, vuole sapere prima di tutto dove ci tro-viamo. «La app vuole utilizzare la tua posizione.Consenti o rifiuti?» è la richiesta che sempre piùspesso ci sentiamo ripetere dalle macchine. Lati-tudine e longitudine, prima numeri esoterici perspecialisti, sono diventati lessico familiare. Se

non per noi, almeno per i nostri telefonini.Perché, alla faccia di ogni virtualizzazione,

www e altri indirizzi elettronici, siamo prima ditutto uomini sulla Terra. E le nostre coordinate fi-siche diventano un parametro essenziale per lapersonalizzazione, quando non il funzionamen-to stesso dei nuovi servizi online. Non a caso quel-lo delle mappe digitali è diventato uno dei princi-pali terreni di scontro tra i titani tecnologici, co-me testimonia anche l’ultimo assalto di Apple aGoogle Maps, respinto con perdite. Tranne in Ci-na dove, in brevissimo tempo, la quota di merca-to del secondo ne è uscita dimezzata. Mentre nel-le ultime settimane Nokia, tanto in difficoltà daconsiderare di vendere persino il suo quartier ge-nerale finlandese, ha presentato Here, la sua ar-

Social network che permette di condividere con gli amici le notiziesul luogo in cui siamo

Foursquare

Sui dispositivi mobilile informazioni sul luogo

nel quale ci troviamo sono diventate

un parametro essenziale per la personalizzazione

e spesso anche per il funzionamento

stesso del servizio

LOCATION

Volete un passaggioin auto? Con questaapp si può sapere se ce ne sono vicinoal posto in cui siamo

Lyft

Utile per conoscere i posti miglioridi ogni città. Sonogli stessi utenti a recensire le attività

Yelp

App con la qualepotrete trovaresempre tutto ciò che vi interessa e chesi trova attorno a voi

Around meTrulia

Bussolea formadi appRICCARDO STAGLIANÒ

Sito di inserzioniimmobiliari in cui è possibile localizzaregli annunci della zonain cui ci troviamo

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ma cartografica per un’ardua rimonta.La location conta come non mai. Per gli utenti

comunicarla può rivelarsi un risparmio di tem-po. Se Instagram, un programma che gestisce lefoto, sa dove vi trovate può taggarle in automati-co ordinandole per località. Non ci sarà bisognodi scriverci «lavoro», basterà andare a vederequelle scattate dall’indirizzo dell’ufficio. Lo stes-so vale per Evernote, una specie di taccuino mul-timediale dove prendere appunti. In alcuni casiperò quest’automazione diventa una gabbia. Invarie app per la ricerca di case (Casa.it, Idealista)o di programmazione cinematografica (MyMo-vies), il software assume che tu voglia solo cerca-re appartamenti o sale in un certo raggio da doveti trovi. E chi l’ha detto? Peccato che programma-

tori poco flessibili non abbiano previsto una viad’uscita dalla camicia di forza topografica. La tar-ga degli utenti può essere usata anche per esclu-derli da alcuni servizi. Il caso di Netflix, che affit-ta dvd o li mostra in streaming ai suoi abbonati, èesemplare: per motivi di diritti, non funziona conchi ha un IP, indirizzo internettiano, al di fuori de-gli Stati Uniti. Le discriminazioni commercialisono il meno. L’aver concesso a Facebook o Twit-ter di marchiare con i vostri paraggi i messaggipostati può essere usato contro di voi. Anche sen-za essere rivoluzionari iraniani o della primaveraaraba, un datore di lavoro occhiuto o un fidanza-to sospettoso potranno avvantaggiarsi di quel-l’informazione.

La verità è che nello scambio tra narcisismo e

privacy vince quasi sempre il primo. Foursqua-re, per dire, è un social network in movimentoche consente di condividere con gli amici i postidove andate. Non c’è bisogno di essere unhacker o un ex-segugio della Stasi per ricostrui-re su una mappa la vostra giornata, un check inalla volta. Altrimenti la riservatezza si sacrificaalla comodità. Lyft serve per trovare un passag-gio in auto da altri che usano la stessa applica-zione, una specie di Napster del car-sharing traprivati. Tu sai dove sono loro, loro sanno dovesei tu, in un piccolo panopticon in movimento.Per non dire della nuova frontiera delle reti so-ciali, la «social discovery» (di cui la Domenica diRepubblicasi è già occupata). Highlight, Sonar eBanjo vi avvertono quando nelle vicinanze si

trova qualche amico di un vostro amico, qual-cuno con cui potreste avere qualcosa in comu-ne. Glancee, inventato dall’italiano Andrea Vac-cari, è stato comprato a peso d’oro da Facebookche vi ha intravisto il futuro. Non serve una pal-la di cristallo speciale. Basta strologare il rap-porto Ericsson sulla crescita stimata del nume-ro di abbonamenti all’internet mobile: i 900 mi-lioni dell’anno scorso diventeranno 5 miliardinel 2017. Quasi tutto il pianeta, praticamentedomani. Se ognuno avrà un Gps in tasca, i servi-zi che vorranno vendergli qualcosa hic et nunc— sia un panino scontato che un potenzialenuovo amico — seguiranno la stessa esponen-ziale accelerazione.

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GoogleIl servizio di mappe del celebre motore di ricerca è uno dei piùutilizzati anche dagli smartphone

AppleCon l’ultimo iPhoneha abbandonatole mappe di Google Il nuovo sistemasi è rivelato difettoso

NokiaSi chiama Here ed è il nuovo servizio di mappe su cui l’azienda punta per il rilancio

MAPPE

MOBILE

La localizzazioneapre grandiopportunitàe offrenuovi strumentiai professionistidel marketingCristina ColomboResponsabile TNS Italia

‘‘

GLOSSARIO

Il grafico che vedete qui sotto mostra la quantità di fotografiee informazioni relative inserite dagli utenti su Google Mapsnel maggio 2011. Le zone più “indicizzate” sono coloratein verde scuro: Nord America, Europa e Australia

TRAFFICO

INFO

GR

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SA

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TTA

Nel 2011 erano novecento milioni gli abbonamentiall’internet mobile tra smartphone e tabletNel 2017 il loro numero dovrebbe passare a cinque miliardi(fonte: Ericsson)

Indica la capacità dei dispositivi mobili di ultima generazione di identificare le nostrecoordinate e tracciare i nostri spostamenti

LocalizzazioneIl Global Positioning Systemè un sistema di navigazioneche utilizza la triangolazionesatellitare per collocarei nostri smartphone e tabletall’interno delle mappe

GpsLa “registrazione”necessaria per condividerela nostra posizionecon altri utentiche utilizzano la stessa applicazione

Check inCon un dispositivo mobile è possibilesovrapporre a una mappa o a un edificio un livello ulteriore di informazioni multimediali

Realtà aumentataÈ una modalità utile a scoprire se qualcuno della vostra cerchia di conoscenti all’interno dei social network si trova nelle vicinanze

Social discovery

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LA DOMENICA■ 40DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012

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Di maiale o pecora, con finocchiettoo senza, arrosto o in umido.Dalla Lucaniaal Piemonte non esiste pezzo d’Italia che non abbiainterpretato a modo suo l’insaccato più popolareUn’ottima scusa per assaggiarne tutte le versioni

I saporiRuspanti

«Giovanotto qui c’èun quiproquo. Ioho detto che vo-levo birra e sal-cicce...». Gene-razioni di cinefili

hanno riso alla gag di Totò e lo sceicco, conil nome del piatto pronunciato a mo’ dimessaggio in codice. Dagli anni ’50 a oggi,poco o nulla è cambiato nell’allure ru-spante dell’insaccato più fresco e mangia-bile che esista. Una popolarità resistente amode e diete, pietra miliare dell’alimenta-zione contadina, in bilico tra obblighi dipovertà e piacere semplice, diretto, in-contaminato. Si dice salsiccia, con varian-ti minime da una parte all’altra d’Italia(sarsiccia, salciccia, sautizza....), ma an-che luganega, adattamento lessicale di lu-canica, della Lucania. Nei testi degli anti-chi Romani, da Marziale a Cicerone, i rife-rimenti golosi alla lucanica abbondano.Arrivato a Roma insieme agli schiavi luca-ni, l’insaccato di maiale forgiato in lunghecatene e appeso su pertiche di legno ven-ne battezzato con il nome dei suoi consu-

matori originari. Il nome si diffuse finoai confini dell’Impero, tanto che la

regina Teodolinda ne incoraggiòil consumo. Solo nel tardo Me-

dioevo si affermò il nome chemeglio lo descrive (da salsusinsicia, carne sminuzzata esalata). Da lì in poi, facilità diproduzione e trasversalità dei

consumi hanno dilatato l’elenco degli in-gredienti e quindi delle varianti possibili.Non esiste area rurale che non vanti unasua originale interpretazione con i soli,vaghi, paletti della proporzione tra carnemagra (70 per cento) e parte grassa (30 percento). Tale è la popolarità, che pochi chi-lometri bastano a cambiare speziature elavorazione, tipologia di carne e tempi distagionatura (quando prevista). Se i ritaglidi lavorazione del maiale dominano lagran parte delle ricette, dalle terre del Poalla Sicilia, le carni cosiddette alternative— montone, bue, cavallo, pollo — sosti-tuiscono quella suina per questioni di re-strizioni religiose o per tradizione locale,come nel caso della pugliese che annove-

ra tra gli ingredienti anche la pecora. Inquanto alle preparazioni, lo scontro ideo-logico tra fautori della griglia e difensoridell’umido (con o senza vino) lascia indif-ferenti gli appassionati della salsiccia diBra, piccolo capolavoro della macelleriada gustare crudo, spremendolo dall’invo-lucro di budello naturale direttamente suuna fetta di pane appena abbrustolita.

Modesta e gustosa, la salsiccia dismet-te facilmente i panni della protagonistaper diventare ingrediente gourmand, dal-lo storico riso e luganeghe agli involtini di

Perché il pluraleè d’obbligo

LICIA GRANELLO

Salsiccia di BraPIEMONTEProdotta un tempoda sola carne bovinaper la comunità ebraicadi Cherasco, oggi vienearricchita con grasso suinoSi gusta non stagionata,cruda

Salsicciamilanese anticaLOMBARDIAMacinato di ritagli di carnedi maiale ripuliti dai nervetti,con aggiunta di lardo rosae spezie. Si consuma fresca,perfetta per la minestradi verze

LuganegatrevisanaVENETOCollo e guanciale di maialetritati, speziati e insaccatinel budello diviso in quattrospicchi. Due versioni:magra per la bracee grassa per l’umido

ZambudelEMILIA ROMAGNAPer la salsiccia mattaromagnola, si utilizzasolo carne di maiale:spalla, punta delle costolee rifilature. Nella ricettamoderna, niente più frattaglie

SarsicciaTOSCANAParti nobili del maialecome spalla e cosciaimpastate con aromidiversi secondo le zone:salvia, rosmarino, ma anche aglio,finocchietto e peperoncino

Salsicce

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verza, su su fino ai ripieni delle verdure alforno. Se siete dei puristi delle cotture allabrace, regalatevi una giornata di lezioneall’Accademia dei Signori del Barbecue, aCasalecchio sul Reno, Bologna, doveGianni Guizzardi e i migliori cuochi italia-ni ospiti a turno vi sveleranno i segreti del-la cottura nel barbecue coperto, dal divie-to di fumo e fiamme, (che annichilisconola carne e fanno malissimo alla salute), al-la conservazione delle salsicce integre,senza forarle, per buona parte della cottu-ra, così da permettere al grasso di conferi-re aroma e gusto alle carni magre, prima diessere eliminato nei minuti finali. Abbina-mento con birra a scelta, of course.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SalsicciaMonte San BiagioLAZIOPeperoncino, Moscatodi Terracina e semi di coriandolo(eredità dei Saraceni)per profumare l’impastodi maiale. Affumicaturacon legno di lentisco

Sauciccia’nda la ’nzognaCAMPANIACarne di maiale e lardoconciati con sale, puparole(peperoncino) e finocchioselvatico. Venti giornidi asciugatura,poi sotto grasso (’nzogna)

Lucanicadi PipernoBASILICATASolo maiali locali,di cui si utilizzano ritaglidi spalla, filetto e cosciaRiposo per un mesesu pertiche di legnoSi conserva in olio o grasso

CervellataPUGLIAPer la tradizionale crvllet,carni dell’anteriore di bue,capra e pecora, lavoratecon aglio, basilico (o prezzemolo), pecorino romanosale e pepe

SaltizzaSARDEGNACarne suina tagliata in cubetti, lavoratacon sale, pepe e finocchio,insaccata in budellonaturale a forma di ferro di cavallo Ideale per lo spiedo

Gli indirizzi

LAZIOBottega LiberatiVia Flavio Stilicone 278 RomaTel. 06-7101156

CAMPANIAMacelleria MarioCarrabsVia Campo S.Leonardo 1Gesualdo (AV)Tel. 0825-401624

BASILICATAMacelleria PettiCorso VittorioEmanuele 35 Viggiano (PZ)Tel. 0975-61849

PUGLIAMacelleria TamborrinoVia Roma 58Laterza (TA)Tel. 099-8216192

SARDEGNAMacelleria VivarelliVia Bosco Cappuccio, 61CagliariTel. 070-272949

LA RICETTA

L’emiliano Igles Corelliè uno dei cuochi che meglioassocia cucina di territorioe tecnica culinariaAl ristorante Atman di Pescia,Pistoia, offre una cucinaallegra e piena di sapori,come la ricetta ideataper i lettori di Repubblica

Ingredienti per 4 persone4 salsicce di maiale mora romagnola Zivieri4 filoncini di pane integrale1 cipolla di Tropea tagliata a rondelle sottili1 cipolla bianca tritata50 g. di zenzero fresco tritato2 bottiglie di birra cruda Dab (da 0,33 l)1 bicchiere di aceto di vino1 cucchiaio di olio extravergine di oliva1 avocado maturo1 pomodoro a cubettisucco filtrato di 1/2 limone1 cucchiaino di coriandolo fresco tritatosale e pepe

Appartengo alla generazione che ha imparato ascrivere – più correttamente, forse – salsiccia,ma che conserva una malcelata nostalgia per

quel vocabolo che sposava inequivocabilmente il sa-lato alla carne: salciccia. A salciccia avveniva infatti losvezzamento dei bambini, almeno sulle colline bolo-gnesi. La balia, ormai a corto di latte, prelevava dallafilza, la tradizionale “gavetta”, un cilindretto di carnesuina ben pestata, se lo teneva in bocca per qualcheminuto in modo da intenerirlo del tutto e poi lo spiac-cicava sulle gengive dell’infante, che finiva di assapo-rarlo a mo’ di caramella. Qualche succhiotto e l’ini-ziazione era fatta. Il bambino cominciava la sua car-riera di uomo.

Erano i tempi in cui conosceva le sue ultime gloriela salciccia gialla, non priva di zafferano: probabileerede di quella salciccia fina che Alessandro Tassoni,cantore della Secchia rapita, attribuisce a un mitico

Brunello. Andando ancora più su nei tempi, i Romanisi ingozzavano di salcicce che spesso, ripiene di uovacom’erano, finivano per digradare a polpettone. Se nefacevano con le varie parti dell’intestino, in particola-re con l’intestino cieco, chiamato fondulum perchésenza fondo, aperto da una parte sola. Stando a Var-rone, le più vicine alle nostre versioni contemporaneeerano le luganighe, che i soldati romani avevano im-parato a fare dagli abitanti dell’attuale Basilicata (e lu-ganighe si trovano anche in Trentino o in Piemonte).Che poi fossero conservabili o da consumare doponon molti giorni, è uno dei più affascinanti quesiti diarcheologia alimentare. Senza dubbio è invece che sitratti, in giro per il mondo, di una delle glorie del Ma-de in Italy: tanto è vero che a New York, dove qualsia-si imbudellato/pestato è detto sausage, le nostre ven-gono definite italian sausages.

CORRADO BARBERIS

A tavola

Quando c’era una “c” al posto della “s”

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PIEMONTELa Bottegadelle Carni MartiniVia Roma 7 Boves (CN) Tel. 0171-380207

LOMBARDIA Pregiate CarniPiemontesi Ercole VillaVia Montepulciano 8MilanoTel. 02-6693118

VENETOMacelleria DaminiVia Cadorna 31 Arzignano (VI)Tel. 0444-452914

EMILIA ROMAGNAMacelleria ZivieriPiazza XXIV Maggio 9 Monzuno (BO)Tel. 051-6771533

TOSCANAMacelleria FracassiPiazza Mazzini 23 Castel Focognano (AR) Tel. 0575-591480

Tagliare a metà l’avocado, estrarre la polpa con un cucchiaio. Schiacciare con unaforchetta in una ciotola unendo limone e sale. Incorporare all’avocado cipolla bianca,pomodoro e coriandolo. Coprire con la pellicola e conservare al fresco. Immergerein acqua fredda e aceto la cipolla di Tropea. Dopo 10’, scolare e condire con olio, salee pepe. Punzecchiare le salsicce con una forchetta, spennellare con olio e grigliarea temperatura medio-alta per 12-16’, girandole per dorarle uniformementeIn una teglia versare la birra e insaporire con lo zenzero tritato. Immergervi le salsicce,lasciandole per mezz’ora, voltandole di tanto in tanto. Farcire i panini con guacamole,rondelle di cipolla cruda e una salsiccia tagliata nel senso della lunghezza

Pane, salsiccia e guacamole

ILLUSTRAZIONE DI CARLO STANGA

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Voleva fare il pittore, è stato folgoratodall’amore per la musica, con gli spote i video-clip è approdato al cinemafirmando la regia dell’incancellabile“Se mi lasci ti cancello”. Qui racconta

come fa a tenere insiemelinguaggi tanto diversi:“Non è tutto merito mio,nella vita non ho fattoaltro che inventarequello che esiste già

È la quotidianità a offrirecombinazioni paradossaliBasta saperle cogliere”

PARIGI

«Nella mia vitanon ho fattoaltro che in-ventare quel

che esiste già», si annuncia con la con-sueta autoironia Michel Gondry, pas-sando dalle parole ai fatti: «Posso farleun ritrattino a china? Da giovane so-gnavo di diventare pittore. O invento-re. Il periodo più importante per la miaformazione è stato probabilmente tra isedici e i diciott’anni, al liceo pilota diSèvres, da cui sono rimbalzato in unascuola d’arti applicate, Olivier-de-Ser-res, che mi ha immediatamente espul-so: non ero quasi mai in classe, tuttopreso da un altro “io”, quello musicale.Trascorrevo la maggior parte del tem-po a provare con una band, un grup-petto di saranno famosi, di cui sonostato il batterista, gli Oui-Oui. È stato al-lora che mi sono comprato una cine-presa 16mm Bolex, per girare qualcheclip del gruppo. Ma i miei compagninon volevano comparirvi, al contrariodi me: quando ci si dà al pop, è il mo-mento di fare la corte alle ragazze o difarsi assediare dalle fans. È vero che neiclip finivamo per essere irriconoscibi-li, perché ci travestivamo da marionet-te, da insetti, da personaggi dei cartonianimati...». Il suo cinema nasce quindiper caso, da un’urgenza di promozio-ne-seduzione musicale? «Cosette, al-l’inizio. Più la fabbrica di pensierini, edi trovate per alcuni spot di successo,

che l’emergere d’una filosofia. Nonriuscivo proprio a vedermi come ci-neasta: il cinema in Francia mi parevamolto letterario e io sentivo d’averepiuttosto uno spirito scientifico. Ma èfinita che, di clip in spot, sono arrivatoa confrontarmi con autentiche stardella scena musicale, come i RollingStones o Kylie Minogue per Come IntoMy Worldo Björk, per ben otto volte, daHuman Behavior a Joga, a Bacheloret-te, Army of Me. Venendo però dal clip, ilmondo del cinema ha subito comin-ciato a guardarmi con una certa condi-scendenza».

In una galleria d’arte di Parigi, doves’è appena incontrato con un suo“omologo” nella videoarte e nellaperformance, Pierrick Sorin (cui si de-ve la recente Pop’pea, versione video-pop dell’opera di Monteverdi messa inscena allo Châtelet con Giorgio Barbe-rio Corsetti), Gondry, gioviale ricciolo-ne quarantanovenne, finisce prestoper capitolare, raccontandosi anchecome regista: d’un cinema col retrogu-sto dei clip ma pure di sfida visionariaal mondo, storie-limite d’intrigantetensione onirica e disinvolta misceladi stili e linguaggi, da Human Nature,del 2001, sui tentennamenti del mon-do civilizzato davanti alla natura allostato puro, a L’arte del sogno del 2006,con Charlotte Gainsbourg, love storypriva dei freni della realtà, a, natural-mente, Se mi lasci ti cancello (EternalSunshine of the Spotless Mind) con JimCarrey e Kate Winslet, Oscar 2005 perla sceneggiatura, sugli andirivienimentali dell’innamoramento, e BeKind Rewind — Gli acchiappafilm, suclassici dello schermo come Re Leoneo Robocop (il prediletto di Gondry) ri-fatti alla casereccia da un paio d’in-ventivi pasticcioni.

Ormai terminato il montaggio delsettimo lungometraggio di fiction, for-se in lizza alla prossima Berlinale, L’é-cume des jours (Mood Indigo) con Ro-main Duris e Audrey Tautou — «un mioadattamento, fedelmente personale,del romanzo del 1947 di Boris Vian, coni suoi comici fanatismi per il filosofoJean-Sol Partre e la storia d’amore sur-reale d’un giovane idealista per una ra-gazza che pare l’incarnazione d’unblues di Duke Ellington» — il registacontinua a moltiplicarsi i fans con TheWe and the I, che dopo gli applausi allaQuinzaine e alla Festa del Cinema a Pa-rigi arriva in Italia in anteprima, l’8 di-cembre, al Sottodiciotto di Torino: «Un

concentrato di plot e di location. Ungruppo di liceali torna a casa in autobusl’ultimo giorno di scuola. Pretesto perstudiare i comportamenti di gruppo el’evolversi dei rapporti man mano ches’assottiglia la pattuglia. Tutto girato suun autobus, d’estate, nel Bronx».

Perché il Bronx? «Per un senso di col-pa. Sono nato a Versailles, periferia for-se non borghese ma comunque agiatadi Parigi. La maggior parte della popo-lazione planetaria sbuca in ambientitutt’altro che zuccherosi, cui dovrà farfronte fino alla morte: senza che se li siascelti. È questo senso di colpa che mi hafatto interessare alle comunità, datoche per definizione io ero la non-co-munità: bianco, paracattolico, genera-zione Sessanta. Ma c’è anche un’altraragione: il Bronx è il rap, la sua primaculla. Mi ha dato la possibilità di intes-sere il film di hip-hop». Di nuovo la mu-sica. La musica nel suo cinema: «Quan-do preparo un film, mi barrico tra le

canzoni. Se voglio esprimere un’inco-sciente positività, metto Michael Jack-son. All’opposto, per suggerire il miste-ro, ascolto Stravinsky. Altra bella fonted’ispirazione è la musica astratta diMorton Feldman. Con la musica arrivoad avere il controllo del mio lavoro, mipermette d’isolarmi. Per L’écume desjours, ho chiesto al mio amico EtienneCharry di comporre via via che giravo,senza mostrargli una sola immagine.Gli dicevo: “Fammi qualcosa per unafabbrica”. Lui è un mago nel bricolagedi suoni che trovano ogni volta il tonovoluto».

Del bricolage è considerato un cam-pione. In Francia l’hanno sopranno-minato il regista «touche-à-tout»:«Non è che mi entusiasmino questeetichette, hanno sempre l’aria di voler-ti sminuire. Mi hanno appioppato ilnomignolo, credo, per colpa dei bonusnei dvd. I ragazzi li guardano e subitohanno l’illuminazione: “Dai, facciamoun Gondry!”. Orrore: alla fine il mio ci-nema è ridotto a caricatura. Vorrei ve-derli, alle prese con un vero bricolage,come se la caverebbero tra viti e cac-ciaviti, con tutti i tipi di viti cruciformisul mercato, magari quando vi rifilanoquelle proibite». Ci sono viti proibite?«Sì, per gli effetti inquinanti. Non lo sa-peva? Io sì. Ma io sono il re del bricola-ge...». Il suo immaginario riavvita la vi-ta in un magico fai da te: «La quotidia-nità offre combinazioni paradossali achi le sa cogliere. Maestro dell’osserva-zione è Jacques Tati. Mi ricordo d’avervisto un autobus fermarsi con il carat-teristico pshhh: mi ha fatto pensare co-me sarebbe buffo che in quel momen-to un passeggero avesse starnutito e cifosse un raccordo con il pshhh dell’au-tobus. Una sequenza alla Tati! Ma ideedel genere diventano vincenti quandofiniscono per impregnare la vita di tut-ti i giorni, cambiando la prospettiva delquotidiano». L’immaginazione checontamina la realtà, l’effetto specialenato da un elementare gioco combina-torio: «In Tati tutto è calato nell’inadat-tamento dell’individuo al mondo mo-derno: come nei romanzi di MichelHouellebecq. Non ci avevo pensatoprima, ma esistono tra i due molti pun-ti in comune. Oggi, bisogna essere soli-damente attrezzati per non soccom-bere in quest’inadattabiltà progressi-va: pensi alla complessità delle con-nessioni che il nostro cervello devemettere in azione perché riusciamo asopportarci davanti allo specchio.

Prenda il Musée Grévin, dove sono sta-to per una scena di L’écume des jours.Vedendo gli specchi deformanti, misono detto che sarebbe ancor meglioche l’ambiente riflesso fosse deforma-to all’inverso: così uno si vedrebbe ri-gonfio o affilato ma in un ambiente ap-parentemente normale. Che choc».Qui siamo nei Monty Python più che inTati: «Gli altri miei idoli. Mi ricordo leloro trasmissioni tv dove si divertivanoa mescolare i formati, il 16 mm con im-magini sgranate per gli esterni e il vi-deo, più contrastato, per gli interni. Inuno sketch Eric Idle guardava fuori dal-la finestra e vedeva un paesaggio gira-to in pellicola. Si voltava, preso dal pa-nico: “Siamo circondati dal cinema!”».

Anche lei si balocca tra pellicola, vi-deo e digitale: «Sì, ma all’era delle vi-deocassette è legato un giovanile trau-ma d’“autore”: una giornata con i com-pagni a registrare con il Betamax di miopadre false pubblicità e clip immagina-ri su una cassetta, dove un amico di miofratello ha poi registrato una partita dicalcio. È da lì, forse, che mi è nata l’ideadi Be Kind Rewind e, sicuramente, la fi-lantropia della mia “Fabbrica di filmamatoriali”, varata con successo l’an-no scorso al Centre Pompidou e per-manente dall’anno prossimo a Auber-villiers. A tutti quelli che imbraccianoper la prima volta una cinepresa ripetodi non sentirsi complessati se non han-no ancora ben chiara in testa un’ideadell’arte o del cinema: non si è sempreobbligati a intellettualizzare se stessi.Ci pensano gli altri a farlo per noi».

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L’incontroVisionari

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Lo dico sempreagli aspiranti artistiNon siete obbligatia intellettualizzarevoi stessiCi penserannogli altria farlo per voi

Michel Gondry

MARIO SERENELLINI

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