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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012 NUMERO 365 CULT La copertina ROGER SCRUTON Nell’era del Dna della morale la genetica stravolge il concetto di cultura La recensione DARIA GALATERIA Gli ultimi giorni dell’umanità e di Stefan Zweig sono un romanzo All’interno L’intervista ANTONIO MONDA Malcolm Gladwell “Tintura di capelli, senape e ketchup: la scienza per tutti” Teatro RODOLFO DI GIAMMARCO Isabella Ragonese mette in commedia le fantasie androgine di Virginia Woolf Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: “Il discorso sul metodo del calcio” Dietro il successo della premiata ditta Fratelli Taviani Spettacoli MARIA PIA FUSCO Riaffiora in Vaticano l’ultimo segreto di Cristina di Svezia Il documento CORRADO AUGIAS Q ualunque cosa accada in Russia in futuro, qualsiasi presidente il paese elegga, il nome di Aleksandr Solge- nitsyn resterà scritto per sempre nella sua storia. Sol- genitsyn ha sempre trattato i temi più attuali, e le ma- lelingue lo definiscono già un grande cadavere lettera- rio. La sua vita è stata piena di svolte drammatiche: uf- ficiale di artiglieria durante la guerra, detenuto in un Gulag stali- niano dopo la fine del conflitto, malato di cancro, guarì e ottenne il premio Nobel per la letteratura, emigrò e divenne «l’eremita del Vermont», perché non riusciva a comprendere l’America. Scritto- re proibito in Unione Sovietica, all’estero ottenne un successo co- lossale sia morale che materiale. Solgenitsyn è stato un’icona del- la protesta antisovietica per tutti gli avversari del comunismo nel- l’Urss. Oggi in Russia viene studiato nelle scuole medie: il passo avanti è evidente. I suoi libri si vendono ovunque, ma sono poco letti. Ormai in Russia viene ricordato raramente, non più spesso di Karl Marx. Possibile che la sua epoca si sia conclusa? (segue nelle pagine successive) VIKTOR EROFEEV Q uando Gleb uscì dal portone, a oriente la bianca falce della luna calante irradiava ancora tutto il suo residuo splendore e aveva appena iniziato ad albeggiare. Nei suoi rozzi scarponi approntati da lungo tempo per quel giorno i passi di Nertsin echeggiavano sonori sul- la terra rappresa dal gelo mattutino. Il rumore delle proprie pedate lo rallegrava e rinvigoriva. Non calzava le solite scarpettine basse da intellettuale, ma fior di stivali in similpelle im- permeabilizzata con suole di solida para — fino a quando e fino a dove lo avrebbero portato? Ormai lontano da ogni rilassatezza coniugale si sentiva più leg- gero rispetto alle ultime ore passate nell’abbraccio di Nadja. Sul cielo punteggiato di rare stelle e illuminato dal chiarore della luna, Orione si era voltato a occidente e la freccia di tre stelle della sua cintura filava veloce verso Sirio, proprio in direzione del commis- sariato di leva dove stava andando Nertsin, che trasse dalla circo- stanza un lieto presagio. (segue nelle pagine successive) ALEKSANDR SOLGENITSYN Solgenitsyn Il soldato La guerra, gli ideali, la rivoluzione Poi il tradimento, la disillusione, la rabbia Inedito in Italia arriva ora il romanzo biografico dello scrittore del Gulag che la Russia non ha ancora perdonato © ALEKSANDR SOLGENITSYN Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

NUMERO 365

CULT

La copertina

ROGER SCRUTON

Nell’era del Dnadella moralela genetica stravolgeil concetto di cultura

La recensione

DARIA GALATERIA

Gli ultimi giornidell’umanitàe di Stefan Zweigsono un romanzo

All’interno

L’intervista

ANTONIO MONDA

Malcolm Gladwell“Tintura di capelli,senape e ketchup:la scienza per tutti”

Teatro

RODOLFO DI GIAMMARCO

Isabella Ragonesemette in commediale fantasie androginedi Virginia Woolf

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:“Il discorso sulmetodo del calcio”

Dietro il successodella premiata dittaFratelli Taviani

Spettacoli

MARIA PIA FUSCO

Riaffiora in Vaticanol’ultimo segretodi Cristina di Svezia

Il documento

CORRADO AUGIAS

Qualunque cosa accada in Russia in futuro, qualsiasipresidente il paese elegga, il nome di Aleksandr Solge-nitsyn resterà scritto per sempre nella sua storia. Sol-genitsyn ha sempre trattato i temi più attuali, e le ma-lelingue lo definiscono già un grande cadavere lettera-rio. La sua vita è stata piena di svolte drammatiche: uf-

ficiale di artiglieria durante la guerra, detenuto in un Gulag stali-niano dopo la fine del conflitto, malato di cancro, guarì e ottenne ilpremio Nobel per la letteratura, emigrò e divenne «l’eremita delVermont», perché non riusciva a comprendere l’America. Scritto-re proibito in Unione Sovietica, all’estero ottenne un successo co-lossale sia morale che materiale. Solgenitsyn è stato un’icona del-la protesta antisovietica per tutti gli avversari del comunismo nel-l’Urss. Oggi in Russia viene studiato nelle scuole medie: il passoavanti è evidente. I suoi libri si vendono ovunque, ma sono pocoletti. Ormai in Russia viene ricordato raramente, non più spesso diKarl Marx. Possibile che la sua epoca si sia conclusa?

(segue nelle pagine successive)

VIKTOR EROFEEV

Quando Gleb uscì dal portone, a oriente la bianca falcedella luna calante irradiava ancora tutto il suo residuosplendore e aveva appena iniziato ad albeggiare. Neisuoi rozzi scarponi approntati da lungo tempo perquel giorno i passi di Nertsin echeggiavano sonori sul-la terra rappresa dal gelo mattutino. Il rumore delle

proprie pedate lo rallegrava e rinvigoriva. Non calzava le solitescarpettine basse da intellettuale, ma fior di stivali in similpelle im-permeabilizzata con suole di solida para — fino a quando e fino adove lo avrebbero portato?

Ormai lontano da ogni rilassatezza coniugale si sentiva più leg-gero rispetto alle ultime ore passate nell’abbraccio di Nadja. Sulcielo punteggiato di rare stelle e illuminato dal chiarore della luna,Orione si era voltato a occidente e la freccia di tre stelle della suacintura filava veloce verso Sirio, proprio in direzione del commis-sariato di leva dove stava andando Nertsin, che trasse dalla circo-stanza un lieto presagio.

(segue nelle pagine successive)

ALEKSANDR SOLGENITSYN

SolgenitsynIl soldato

La guerra,gli ideali,la rivoluzionePoi il tradimento,la disillusione,la rabbiaInedito in Italiaarriva orail romanzobiograficodello scrittore

del Gulagche la Russianon ha ancoraperdonato

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sibilità di quel passo. Nel cortile c’erano moltissimiuomini, una quantità addirittura inimmaginabileper il solo distretto di Morozovsk. Il personale, mi-litare o paramilitare, correva da un ufficio all’altrobrandendo lunghi elenchi di nomi, alcuni manda-vano via i coscritti che si accalcavano nel corridoio,non perché avessero qualcosa da chiedere o da fa-re, ma per l’unica ragione che ci si stava al caldo. Ilsolo Nertsin era lì per un valido motivo, trovare unasoluzione al suo caso personale. Era stato cresciu-to nella convinzione che ogni uomo debba forgia-re da sé il proprio destino. E non sapeva che cosafosse l’inazione. Sentiva in modo acuto che stavaperdendo irripetibili minuti, ch’era il momento,quello o mai più, per tentare di rimediare ai guastiprodotti da quella ridicola «idoneità ridotta» che gliavevano affibbiato in primavera. Ma non riuscì acombinare niente: respinto da tutti i branditori dielenchi, messo alla porta, uno dopo l’altro, da tuttigli uffici, uscì sulla piazza d’armi, sempre con car-tella e zainetto. [...]

Dagli uffici uscirono alcuni militari coi loro elen-chi e ordinarono agli uomini di disporsi in fila perquattro, ma ne venne fuori un ammassamentoinforme: evidentemente non molti di loro avevanoricevuto un qualche addestramento militare. Ri-nunciando a farli schierare a dovere, procedetteroalla chiama per cognome e ogni interpellato, dopoaver declinato le generalità per intero, correva ver-so un autocarro e ci saliva. Avendo già perdutoun’ora a vuoto, Nertsin capiva che stava per succe-dere qualcosa di irrimediabile, che ormai si era la-sciato sfuggire l’occasione di migliorare la propriasorte e che stava per essere sbattuto in chissà qua-le posto, non comunque quello giusto, e che nonpoteva più farci niente. Quando chiamarono lui,uscì dalla fila e annunciò di voler fare una dichiara-zione, al che gli indicarono, con varie imprecazio-

ni, l’autocarro più vicino. Ci si arrampicò scalandola ruota e dentro era tutto un brulichio di uomini,molti provvisti di sacchi, intenti a sistemarsi di-rettamente sul fondo del cassone,con le gambe raccolte sotto disé e voltati in avanti, con ilsergente che li incitava astringersi ancora di più. Ilrisultato era una sorta diconglomerato umano e luic’era dentro senza rimedio.Sì, aveva sprecato stupida-mente tempo e occasioni.[...] Prendendo velocità gliautocarri si sottrassero allemani delle donne e i loro uo-mini silenziosi si lasciarono al-le spalle le loro grida — e la co-lonna cominciò la sua corsa.

[...]Nertsin non aveva punti diriferimento per determinare la di-rezione che avevano preso e di car-telli indicatori sulle nostre stradenon ce ne sono mai stati, ma quellidel posto intuirono subito che sta-vano andando verso Oblivy — la sta-nicaOblivskaja a sessanta chilometri,la prima più importante andando ver-so est e allontanandosi dal fronte. [...]Lì non c’era proprio modo di farsi sen-tire dalle autorità, visto che non eranopiù quelle di Morozovsk, e nessuno a cuirivolgersi per fargli presente la sua parti-colare situazione. E poi anche il tempovolgeva al brutto e minacciava pioggia e piuttostoche correre per il cortile gli conveniva cercarsi unposto al coperto nel salone del dopolavoro. [...]

Nertsin non aveva mai provato in vita sua un ta-

LA DOMENICA■ 32

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

Si intitola “Ama la rivoluzione!”, è la storia di un uomoche prima combatte per Stalin e Lenin e poi, deluso, li ripudiaAnticipiamo il romanzo biograficodell’autore di “Arcipelago Gulag”,

inedito in Italiae pubblicato ora da Jaca Book

La copertinaIl soldato Solgenitsyn

L’icona del coraggioche la Russia ha dimenticato

VIKTOR EROFEEV

ALEKSANDR SOLGENITSYN

Come scrivere del mio popolo?

IL LIBRO

Uscirà il 5 marzo per Jaca Book Ama la rivoluzione!

di Aleksandr Solgenitsyn curato e tradotto

da Sergio Rapetti (320 pagine, 18 euro)

Il volume sarà presentato l’8 marzo

alle 18 alla Biblioteca Ambrosiana di Piazza Pio XII

a Milano con l’intervento di Ignat Solgenitsyn,

figlio dello scrittore

(segue dalla copertina)

Anche per me è stato un’icona del coraggio. Ancora adesso sul davanzale della mia finestra c’è unastatuetta di terracotta di Solgenitsyn con in capo una corona di filo spinato. Mia madre quando c’e-ra ancora l’Unione Sovietica mi aveva chiesto di portarla nella dacia, quasi in esilio, ma io mi op-

posi e in una riunione di famiglia decidemmo di dire a chi ce lo avesse chiesto, che la statua raffiguravaBeethoven. E così Solgenitsyn rimase al suo posto come Beethoven e con quel filo spinato in testa che peril compositore non aveva alcuna ragione d’essere. Solgenitsyn ora dorme tranquillo nella mia coscienza.Amo sempre il suo Arcipelago Gulag, come possente testimonianza di un’epoca terribile, dell’autodi-struzione russa, ma questo non mi impedisce di considerarlo uno scrittore dal talento mediocre e il suoamore per i proverbi e i modi di dire mi sembra un omaggio al cattivo gusto. È vero che a suo tempo mipiacque Una giornata di Ivan Denisovich non solo per il suo ardire, ma anche per l’idea vincente di rac-contare con spirito la giornata fortunata di un detenuto. Solgenitsyn è stato uno scrittore più coraggiosoche grande; eppure il coraggio è un fenomeno passeggero.

Il suo racconto Ama la rivoluzione!, che fa parte dei cinque libri sui danni della rivoluzione, ha un’im-portante componente autobiografica. Il dramma politico e personale di Solgenitsyn era che, prima di es-sere arrestato, aveva amato la rivoluzione russa, e dopo aveva smesso di amarla per diventarne un acerri-mo nemico. All’inizio lo scrittore sognava una rivoluzione mondiale che avrebbe voluto depurata dallapolitica di Stalin, e più vicina a Lenin. In seguito all’arresto nel 1945, per delle lettere politiche a un amicoche aveva ingenuamente affidato alla censura militare, giunse alla conclusione che Lenin non era statomeglio di Stalin. Se Solgenitsyn non fosse finito in un Gulag sarebbe potuto diventare una figura impor-tante e forse sarebbe stato messo a capo dell’Unione degli scrittori sovietici. Ma l’esperienza della reclu-sione, come era stato già per Dostoevskij, lo trasformò in un rivoluzionario pentito che abbracciò un’or-todossia conservatrice e nazionalistica.

Negli ultimi anni della sua vita Solgenitsyn invitò un paio di volte Putin a casa sua e tutti si meraviglia-rono della loro amicizia. Come poteva un ex detenuto essere amico di un ex cechista? Eppure non vi è nul-la di sorprendente: si sono trovati in quanto antirivoluzionari. Anche Putin è vicino al nazionalismo con-servatore e anche lui non ama le rivoluzioni. Soprattutto ora, dopo che la gente lo ha invitato ad andarse-ne in pensione con espressioni tutt’altro che lusinghiere. Uno sviluppo degli eventi in senso rivoluziona-rio metterebbe Putin in una situazione difficile. Accadde già all’ultimo zar Nicola II: gli avvenimenti rivo-luzionari, come scrisse lo stesso Solgenitsyn, lo misero in una situazione che ebbe per lui esiti tragici. Esi-ste comunque un futuro per l’ideologia antirivoluzionaria di Solgenitsyn, che a differenza di Sacharov nonè mai citato nelle manifestazioni di protesta, né negli slogan, né nei discorsi degli attivisti? Probabilmen-te, insieme al coraggio, è la sincerità il vero valore dell’autore di Ama la Rivoluzione! Quanto alla rivolu-zione, ormai è tutto chiaro.

Traduzione Mirella Meringolo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(segue dalla copertina)

Gleb immaginava che all’ufficio delcommissario avrebbe avuto mododi parlare con qualcuno non privodi buon senso che, sentite le sue ra-gioni, l’avrebbe destinato, sia purecome soldato semplice, all’artiglie-

ria. In prima linea, e preferibilmente — come erasuo ardente desiderio — dalle parti di Rostov. Perposizionare i pezzi nelle radure del parco del Tea-tro, dove ancora resistevano le fronde dorate diquel lungo autunno. Gli sembrava che se solo fos-se accaduto nella natia Rostov, in viale Tkaciov o inviale della Cattedrale, non avrebbe avuto paura négli sarebbe dispiaciuto cadere a faccia in giù, e ri-manere per terra, cadavere freddo e abbandonato.

Stava già albeggiando quando Nertsin giunse adestinazione. Il commissariato di leva era situatoall’interno di un vasto cortile in terra battuta, qua-si una piazza d’armi, delimitato da un’alta recin-zione in muratura nella quale era stato praticato unpassaggio senza munirlo di un portone o di un can-cello, vegliato da una sentinella che lasciava entra-re solo le persone provviste della cartolina precet-to e non lasciava uscire nessuno. Sulla via antistan-te c’era una piccola folla di donne, una settantina,che si affollavano attorno al piantone; ogni tantoun caporale tarchiato, con un solo triangolo giallodi latta all’occhiello, usciva dalla garitta e le facevaallontanare. Nel vano dell’ingresso, da un angolodel cortile, alcuni uomini, ancora in abiti civili mauniformemente bigi, cercavano di comunicare agesti e gridolini qualcosa alle donne.

Così Nertsin varcò la soglia quasi senza accor-gersene e ancor meno ebbe coscienza dell’irrever-

Repubblica Nazionale

a trovarsi in mezzo a una simile accolta, ai suoi oc-chi strana e insensata, di uomini con certe loro leg-gi primordiali ineludibili, una spietatezza irriden-te nei confronti di se stessi e di tutti e una dovizia disupposizioni una più cupa dell’altra. Nertsin potésentire, nell’ordine, che sarebbero rimasti lì ad am-muffire una settimana, dopo di che li avrebberomandati a piedi fino all’Ural; che la notte stessa li

avrebbero imbarcati sugli autocarri e scaricati,senza fucili, in prima linea; che avrebbero loro tol-to tutte le provviste (Nertsin ne aveva per un gior-no e non stette a preoccuparsi); e che avrebberoconfiscato gli stivali, dando loro in cambio scarpe efasce mollettiere. [...] E a Nertsin toccò sentire an-cora molte predizioni, tutte fosche e nessunaconfortante. Dopo ognuna di esse, è vero, si accen-

devano animate discussioni, e c’era chi confutavarabbiosamente la data congettura, ma solo per for-mularne un’altra ancora più spaventosa. Né que-sta né quella erano peraltro verificabili e la pena delgenerale scoramento lo stringeva come un anellodi ferro. Avrebbe voluto condividere con qualcunole proprie preoccupazioni riguardo all’artiglieria,ai modi per arrivarci, ma non diceva niente, ca-pendo che si sarebbe reso ancora più ridicolo dipoc’anzi con la storia degli stivali, e avrebberospiaccicato quella sua speranza come una lucerto-la. Passarono così lunghe, interminabili ore, conti-nuavano ad affluire coscritti. Nertsin era riuscito adallontanarsi dalla corrente d’aria intrufolandosi unpo’ più verso il centro del salone, aveva mangiatosenza appetito le uova sode ammaccate che avevacon sé; già si erano accese le fievoli luci delle lam-padine appese molto in alto, ma lui non solo nonaveva nessuna voglia di guardare che faccia aves-sero i propri vicini, ma aveva sempre meno voglia,e l’abulia gli fiaccava le ossa, di pensare e vivere.Dov’era quel giovane paese dalla rossa bandierach’egli aveva percorso fino allora con passo legge-ro? Se quella gente non avesse parlato russo, Nert-sin mai e poi mai avrebbe potuto crederli suoi con-nazionali. Come mai non una sola pagina della suacara letteratura gli aveva mai fatto sentire quellosguardo di migliaia, inflessibile, cupamente testar-do ma che senz’altro racchiudeva un segreto, unsegreto senza il quale vivere sarebbe stato impos-sibile? Osservatori da lontano, signorini! Si abbas-savano fino al popolo, loro, ma non venivano sca-raventati sullo stesso pavimento di pietra. Ah, co-me aveva osato solo pensare di poter scrivere la sto-ria di questo popolo?

Traduzione Sergio Rapetti© 2012 Editoriale Jaca Book Spa

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

le senso di impotenza e prostrazione come duran-te quella giornata passata a intirizzire sul pavimen-to poltiglioso, tra alcune centinaia di sconosciutiperò tra loro conoscenti e conterranei. Dopo ven-titré anni vissuti prima con la madre e poi con lamoglie o ancora nella cerchia di condiscepoli, sco-lari e poi compagni di facoltà, dove tutto gli era fa-miliare e comprensibile, per la prima volta veniva

LE IMMAGINI

Da sinistra, Solgenitsyn

ventenne, studente

di fisica e matematica

dell’università

di Rostov sul Don

nel ’38; Tashkent 1954:

lo scrittore nel parco

dell’ospedale locale

dove venne curato

per un tumore

In basso da sinistra,

foto scattata

l’11 dicembre 1948,

il giorno del trentesimo

compleanno

di Solgenitsyn

a Marfino, un istituto

segreto di ricerca

del sistema

penitenziario vicino

a Mosca

in cui lavoravano

ricercatori detenuti;

lo scrittore al lavoro

a Rjazan’ nel 1958

mentre trascrive

i capitoli di Ama

la rivoluzione! scritti

clandestinamente

in prigionia

In copertina,

Solgenitsyn

a Kostroma nel 1942,

allievo della Scuola

di artiglieria

di Leningrado

Il documento a fianco

è una pagina

del manoscritto

di Ama la rivoluzione!

redatta su un foglio

di modulistica

di una ditta tedesca;

quello in basso

è il manoscritto

completo. Porta

sul foglio iniziale

la scritta, dettata

dallo stesso autore:

“Scritto alla šaraška

Prima stesura

di Ljubi revoljuciju,

1948”

‘‘I signorini

Osservatori da lontano,signorini! Si abbassavanofino al popolo, loro,ma non venivanoscaraventati sullo stessopavimento di pietra

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Repubblica Nazionale

A Londra, Atene e in val SusaTra gli indignados di Puerta del Solo tra gli Anonymous di Zuccotti Park Sui muri e nelle piazze dell’Occidente in crisi più che la falce e il martellorispunta l’antico simbolodell’anarchia

Ecco perché un idealenato più di un secolo faancora infiamma

L’attualitàFiaccole

LA DOMENICA■ 34

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

Dal re a Wall Streetil cerchio che si chiude

FUOCO

Scontri tra manifestanti

e polizia a Atene:

la capitale greca

è diventata teatro

di proteste popolari

e contestazioni radicali

Repubblica Nazionale

MICHAIL BAKUNIN

(1814-1876). Il filosofo russo è uno

dei fondatori dell’anarchismo moderno

Tra i suoi scritti, Stato e anarchia

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DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

PËTR KROPOTKIN

(1842-1921). Scienziato, filosofo

e geografo russo, è stato uno dei primi

sostenitori dell’anarco-comunismo

SACCO E VANZETTI

I due anarchici italiani giustiziati innocenti

negli Usa sulla sedia elettrica nel 1927

per l’omicidio di South Braintree

MARIO BUDA

(1884-1963). Inventore del carro-bomba,

nel 1920 viene incriminato per l’attentato

di Wall Street che causò trentatré morti

GAETANO BRESCI

(1869-1901). Uccide a Monza

con tre colpi di pistola il re Umberto I

di Savoia il 29 luglio del 1900

ERRICO MALATESTA

(1853-1932). Amico di Bakunin,

era convinto dell’avvento imminente

di una rivoluzione anarchica

«Smontiamoloil mito black bloc, chi se ne frega delmito?», mi dice Uckmar, che si presenta con ilsolo pseudonimo, giovane donna dall’aria mi-te, rigorosamente in nero. «Siamo una mino-ranza. A Genova 2001 non eravamo più di tren-ta. Non ci si organizza, non ci si conosce nean-

che, ci si incontra già mascherati. E non è la violenza che interessa, in-teressa il gesto simbolico». E gli altri? «Guarda, c’è di tutto, anche chinon è arrabbiato», non spiega che cosa intende dire, ma precisa: «Nonha senso mettere paletti, la nostra forza è proprio nella permeabilitàdei confini, tutto ciò che è limitrofo è fertile, sono le contaminazioniche rompono la gabbia». Ma tu che cos’è che vuoi dalla vita? Mi guar-da. «Cavarmela. Tu cosa sai fare con le tue mani?» Sorride, si congedadal luogo neutro dove mi ha concesso cinque minuti.

Titoli fiammeggianti, immagini di un’Europa “che brucia” — Ate-ne, Londra e forse fra poco Berlino, la val Susa — ipotesi di cospira-zione, sortite come quella del capo della polizia Manganelli: «Gli anar-chici sono pronti a uccidere». Le agenzie di formazione dell’immagi-nario ritrovano toni antichi e l’uso della parola «terrore» si ritrae daldemanio inflazionato dell’islamofobia per tornare a connotare quel-lo che molti considerano il suo territorio naturale: la regione — sfug-gente ma saldamente presente nel repertorio degli allarmisti — del-l’anarchia. Del resto quando il ministro degli Interni inglese Blunkett,dopo il 2001 spiegava la «Guerra al terrore», citava come precedentegli attentati di fine ’800 e — come ricorda lo storico Alex Butterworth— a proposito di Al Qaeda si parlò di «islamo-anarchismo» sottoline-neando le letture bakuniniane dello sceicco Al Zawahiri. La minacciasovversiva, dopo le grandi ideologie novecentesche e i fondamenta-lismi religiosi, sembra tornare alle origini, un cerchio che si chiude. Idanni alle reti del tav, le scritte sui muri, i disordini nelle piazze euro-pee come prodromi di una nuova «onda di terrore anarchica», i blackbloc come evoluzione di una cultura bicentenaria. Sarà vero? «Ri-spetto alla tradizione anarchica — spiega Mauro De Cortes, libraiodell’“Utopia” di Milano e militante del Ponte della Ghisolfa, il circolodi Pinelli e Valpreda — una discontinuità sta nella logica di avanguar-dia. Fra noi non c’è spazio per l’assalto al Palazzo d’Inverno. L’anar-chia non è mai stata un movimento nel senso strutturato del marxi-smo, ma sempre un punto di incontro fra individualità differenti. E ilnodo è il primato della responsabilità personale. Che non escludescontro, anche duro ma sempre finalizzato a forgiare l’immaginario,a far pensare, a unire menti critiche». Oggi molte azioni di piazza tol-gono consenso anziché crearlo, ma non era così anche per i regicidiottocenteschi? «Direi di no. In chi attentava alla vita di un tiranno c’e-ra la volontà di isolare un elemento simbolico e porlo alla riflessioneuniversale. L’orizzonte dell’oppressione allora era militare e non, co-me oggi, economico. L’anarchico che sparava al re assomigliava piùal no global che oggi boicotta la Cocacola che a un terrorista contem-poraneo». Mentre mi parla il suo cellulare squilla di continuo: «Scusa,è che stiamo cercando di sistemare un vecchio compagno non auto-sufficiente che è rimasto solo». Sogghigna: «Puoi batterti per i diritti,ma il compito quotidiano è rattoppare quello che una volta si chia-mava “stato sociale”». Welfare in diretta, cioè responsabilità perso-nale, cooperazione, solidarietà: niente di più anarchico. «Mentre nonc’è niente di meno anarchico che bruciare una biblioteca, come è av-venuto ad Atene», nota De Cortes. È vero che l’anarchia trova uno deisuoi principali nuclei concettuali e ideologici nel campo della peda-gogia, nel pensiero e nell’azione educativa di personaggi come ColinWard, Marcello Bernardi, Bertrand Russell, Ivan Illich. Ed è del restofra i nomi che affollano il catalogo di una biblioteca che l’Idea ha vis-suto la sua parabola: fra gente come Coleridge, Tolstoj, Wilde, Orwell,Camus, Pissarro, Breton, Vigo, Bunuel, fino a Marc Augé, Paul Feye-rabend, Henri Laborit, per fare solo qualche nome. Eppure dopo la

stagione anarcosindacalista e la guerra di Spagna non sembra più averdato vita a movimenti di massa: «Probabilmente — dice De Cortes —perché schiacciata dalla concretezza simbolica dell’Urss. Ma corren-ti libertarie sono sempre riaffiorate come nella Carrara del dopoguer-ra. E forse se Adriano Olivetti fosse vissuto più a lungo...». Ma ha sen-so chiamare «anarchiche» le piazze di oggi, che cosa hanno in comu-ne Syntagma e Zuccotti Park? «Sono piazze diverse: in Germania e inGrecia domina qualcosa di simile alla nostra Autonomia Operaia cheha adottato le bandiere rossonere per simboleggiare l’unità dellecomponenti marxiste e anarchiche nella lotta al regime dei colonnel-li e al nazismo. In Spagna i militanti della Cnt (il sindacato anarchico)si mescolano agli Indignados, mentre in Inghilterra una ridotta pre-senza legata a figure come Russell, Ward, Illich, resa radicale dall’op-posizione alla Thatcher, è cosa diversa dagli incendi dell’estate 2011nati con la chiusura dei centri sociali: lì i saccheggiatori non eranoanarchici, ma ex utenti del welfare, anche figli della buona borghesia».

Stefano Laffi, sociologo che ha studiato la composizione dei movi-menti antagonisti mi parla della galassia italiana delle case occupate:«Fra i più giovani non c’è formazione ideologica, non esiste un deca-logo condiviso su che cosa voglia dire essere anarchici. Non c’è un In-dignatevi!(il manifesto di Stephan Hessel, ndr) dell’anarchia». Ma for-se qualcuno di quei ragazzi si è letto scaricandolo dalla rete L’insur-rection qui vient, il pamphlet uscito per la prima volta in Francia nel2007 e firmato da un fantomatico “Comitato invisibile” — invisibileproprio come le facce che nelle manifestazioni di Madrid o New Yorksi celano dietro il sorriso di Anonymous. «Il legame sta comunque nel-l’insoddisfazione per le condizioni materiali di esistenza e nella con-sapevolezza che il sistema di opportunità proposto è una fregatura:non c’è lavoro, molti vivono per strada, non hanno accesso a un siste-ma di diritti di cittadinanza». Niente in comune con i benestanti del’68 insofferenti del modello borghese, ma qual è il tratto «anarchico»di queste vite? «L’etica dell’autonomia responsabile. Il voler essere ar-tefici della propria esistenza. È gente che ha rifiutato la dipendenza dallavoro, ha accettato la mobilità nell’abitare, ha scelto tratti di margi-nalità, ma che sa come campare, che cosa fare durante il giorno, checosa volere. Che cosa vogliono? Differenziarsi da chi, come noi, non èabituato a ragionare in termini di autosufficienza. Aspettano il peggioe sono attrezzati a sopravvivere, più di qualunque cittadino delle me-tropoli postmoderne». Ognuno per sé? «No, in una forma di comunitàautosufficiente itinerante, abituata a scambiarsi saperi e mestieri, e adividere momenti di festa. In qualche modo la cultura del rave li rap-presenta: è l’opposto di un immaginario verticale di spettacolo. Nonc’è star, non c’è staff, ci sono regole solidali: non si fa commercio, siaiuta chi sta male, non c’è spazio per molestie sessuali». È davvero co-sì? «È così che nasce, almeno. Poi le cose cambiano: troppe sostanze,troppa indifferenza. Cresce la dimensione commerciale. Internet hacorrotto i meccanismi di riconoscimento della comunità: ora arrivachiunque possa accedere alle informazioni in rete». I «limitrofi», an-che qui. Anarchici, raver, ultras, indignati: si assomigliano questi po-poli? «Hanno questo in comune: sei incazzato con il mondo e semprepiù ti accorgi che hai ragione di esserlo. Ogni giorno rinnova il reper-torio di elementi oggettivi che dimostrano che la vita che ti è offertanon ha speranze né prospettive».

Nessun complotto globale, quindi, e l’analogia con il passato è for-se solo nella percezione ostile: già un secolo fa il controllo, lo schiac-ciamento e la demonizzazione della «setta scellerata» creò — anzichéchiudere — lo spazio per l’azione violenta di quelli che Uckmar chia-ma «limitrofi», e stese un velo di piombo su una cultura che concent’anni di anticipo si batteva per alcuni capisaldi della società aper-ta, come scrive Butterworth: «Emancipazione femminile, sostegnostatale per la cura e l’educazione, previdenza, localismo, sostenibilità,federalismo». A proposito, De Cortes ha trovato la casa che cercava peril compagno infermo.

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LUCA RASTELLO

Repubblica Nazionale

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Il documentoConversioni

Il segreto della reginache rinunciò al trono

giunse ponte Milvio dove si formò un fastoso cor-teo composto da nobili, alti prelati, uomini d’arme,carrozze e cavalli, che la scortarono fino a San Pie-tro. Per lei il papa aveva fatto allestire una specialevettura, ma la giovane donna (aveva appena com-piuto ventinove anni) preferì montare la sua bian-ca cavalcatura e così entrò nella Città Eterna per-correndo le strade fitte di gente incuriosita chel’applaudiva: vestita di velluto verde, la spada alfianco, un gran cappello piumato, ornamento e ri-paro dal tempo grigio con il quale Roma l’accoglie-va. Per la cronaca, un cappello di quel tipo fe-cero indossare a Greta Garbo quando nel1933 girò il film La regina Cristina.

La riforma protestante era ormai cosavecchia. Un secolo e mezzo prima, nel 1517,Martin Lutero aveva spaccato la cristianità stac-cando da Roma buona parte dell’Europa setten-trionale compresi i paesi scandinavi. Poi c’erastato il Concilio di Trento, ovvero la rispostacattolica alla Riforma, che s’era protratto connumerose interruzioni fino al 1563. Nemmenoquel concilio e la Controriforma che ne era segui-ta, le cui conseguenze sono ancora avvertibili an-che nel pontificato di Benedetto XVI, era bastato ariparare il danno e l’offesa provocati da Lutero. Laconversione di una regina luterana al cattolicesi-mo sembrava dunque un dono della provvidenza,un gesto clamoroso che coronava il tentativo di ar-ginare il disastro provocato dal monaco agostinia-no ribelle.

Che cosa aveva spinto Cristina ad abdicare? Eche cosa l’aveva spinta a farsi cattolica e a stabilirsinella città dei papi? Ambigui presagi avevano ac-compagnato la sua nascita l’8 dicembre 1626. Sinotò subito che aveva voce forte, molta vitalità eprobabilmente un’ipertrofia clitoridea per cui lelevatrici, confuse, la presero per un maschio. Soloil giorno dopo, a un più attento esame dei genitali,si scoprì il suo vero sesso. Pare che il re suo padre,Gustavo II Adolfo il Grande, se ne dispiacesse mol-to perché un figlio maschio avrebbe meglio assi-curato la continuità della dinastia. Comunque, siriprese commentando con un sorriso: «Sarà abile,poiché ci ha ingannato tutti».

Salita al trono a sei anni, a diciotto assunse il go-verno del paese; quando abdicò a favore del cugi-no Carlo Gustavo ne aveva ventotto: aveva regna-to per dieci anni, non del tutto scontenta del suostato se dobbiamo credere a queste parole: «Il tro-no mi ha fatto da culla, ero appena nata che fu ne-cessario salirvi. Io ero così bambina da non capirené la mia sventura né la mia fortuna: ricordo tutta-via di essere stata felice nel vedere tutte quelle per-sone, ai miei piedi, che mi baciavano la mano».

Tra gli eventi memorabili del suo regno, ci fu l’ar-rivo a corte di René Descartes (Cartesio) dal qualevoleva imparare la filosofia e la matematica. Il po-ver’uomo, che era arrivato a Stoccolma di malavo-glia, fu costretto a fare lezione alle cinque del mat-tino, per di più a capo scoperto di fronte alla sovra-na. Non resse al gelido inverno scandinavo, morì(febbraio 1650) pare di polmonite oppure, secon-

CORRADO AUGIAS

Era indipendente, colta, curiosa, spietata. Eppure la sovranadel Nord, campionessa della Riforma luterana, a ventotto annidecise di abdicare e poi di abbracciare il cattolicesimoDietro l’atto ufficiale dell’Archivio vaticano,una fitta rete di amori traditi, matrimoniimpossibili e la realpolitik della Chiesa

Ma tutte le cose che nell’atto ufficiale — conte-nuto insieme ad altri documenti, missive, mano-scritti e bolle nell’Archivio segreto vaticano che sa-ranno esposti nella mostra Lux in Arcana dal 29febbraio — non sono scritte rappresentano gliaspetti che, a distanza di tanti anni, interessano dipiù. Si tratta di circostanze aggiuntive, dello spes-sore dei retroscena, di aspetti del carattere, che ac-compagnarono e seguirono l’abbandono del tro-no, ragioni assai varie, in parte intuibili dall’estre-mo favore con il quale il papa e le gerarchie accol-sero l’ex sovrana a Roma.

Cristina vi arrivò dopo un tortuoso viaggio nel-l’anno del Signore 1655; lo ricorda una vistosa tar-ga in marmo alla sommità di Porta del Popolo. Sultrono era appena salito Fabio Chigi col nome diAlessandro VII, l’ex regina venne ricevuta con ono-ri regali. Anzi, per la precisione storica, il suo in-gresso a Roma fu per così dire doppio. Il primo av-venne quasi di soppiatto all’imbrunire del 10 di-cembre poi, dopo qualche giorno di riposo, Cristi-na uscì sempre in modo riservato dalla città, rag-

L’atto di abdicazione, riprodot-to in queste pagine, dice tuttoquello che un documento uffi-ciale può dire, ed è molto. Perònon è tutto, poiché la storia diCristina va molto al di là delle

prerogative che le vennero conservate in base allaconsiderazione che «i privilegi e i diritti di un so-vrano sono conferiti da Dio e dalla natura», e cheper conseguenza non possano essergli sottrattinemmeno dopo che abbia cessato la sua funzione.Rex in aeternum, si potrebbe dire parafrasando lacondizione dello status sacerdotale. Altrettantoimpressionante il paragrafo che rende l’ex sovranaresponsabile delle proprie azioni unicamente alcospetto di Dio concedendole dunque la facoltà dicontinuare «a far ricorso al diritto alla libertà e allaindipendenza che sono nostre secondo natura».Una facoltà di cui l’irrequieta Cristina certamenteapprofittò spesso.

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registri papali e atti

dei tribunali ecclesiastici

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DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

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LA DICHIARAZIONE

A destra l’atto ufficiale

di abdicazione

di Cristina di Svezia

(con un particolare ingrandito)

Il primo articolo

della dichiarazione dispone

che Cristina avrebbe

conservato anche dopo

l’abdicazione lo status

di sovrana: “...Che noi

saremmo esentati da ogni

sudditanza e obbedienza

e non dovremo rendere conto

delle nostre azioni

che a Dio in persona...”

Nell’illustrazione un ritratto

della sovrana svedese

do altre fonti, di veleno. L’episodio che allontanòper sempre Cristina dal trono fu l’ennesima richie-sta dei dignitari di Stato di trovarsi un marito perdare al regno un erede. «Mi è impossibile sposar-mi, esclamò. Non intendo spiegarne i motivi, sisappia che il matrimonio suscita in me una forte ri-pugnanza». In un’altra occasione dichiarò: «Nonsopporto l’idea di essere usata da un uomo nel mo-do in cui un contadino usa i suoi campi». La veritàè che il suo lesbismo era ormai dichiarato. Uno deisuoi amori più lunghi fu con la bellissima contessasvedese Ebba Sparre, che presentò un giorno al-

l’ambasciatore inglese definendola con spregiudi-catezza: «L’amata compagna del mio letto». Dopoparecchi anni da Roma le inviava ancora lettere diquesto tenore: «Ti appartengo, non potrai mai per-dermi, cesserò di amarti solo alla mia morte».

Non era bella, lo dicono i suoi numerosi ritratti emolti testimoni. Il viaggiatore inglese EdwardBrowne in una lettera del 1665 scrive: «È piccola,grassa e un po’ storta; di solito indossa una giaccaviola, la cravatta larga e una parrucca da uomo; èsempre allegra, ha un atteggiamento libero». Unaltro avvenimento capitale ne descrive il carattere.

LA MOSTRA

L’atto di abdicazione di Cristina di Svezia

fa parte, con altri documenti, della mostra

Lux in Arcana (29 febbraio al 9 settembre)

ai Musei Capitolini di Roma per il IV centenario

dalla fondazione dell’Archivio segreto vaticano

L’esposizione è stata ideata da Roma Capitale,

Assessorato alle politiche culturali -

Sovraintendenza ai beni culturali e Zètema

Progetto Cultura. Catalogo Palombi Editori

I SIGILLI

Il documento conservato nell’Archivio

segreto vaticano (foto in basso) si compone

di due bifogli. Uniti da un cordone di fili

intrecciati di seta gialla e azzurra (i colori

della bandiera reale) che fuoriesce

dal documento, formano 18 trecce cui sono

appese 307 teche di legno tornite destinate

ai sigilli di cera di altrettanti sottoscrittori

Nel novembre 1657 Cristina era a Fontainebleauospite di Luigi XIV re di Francia. Scopo della visitaera scoprire se il futuro Roi Soleil l’avrebbe aiutataa conquistare il trono di Napoli al quale con note-vole ingenuità puntava. Quando capì che il pro-getto stava crollando, la stizza, o forse ragioni piùconcrete, la spinsero ad attribuire la responsabilitàdello smacco al marchese Gian Rinaldo Monalde-schi, scudiero di corte. Il 10 novembre la regina loaccusò di tradimento. L’uomo si gettò ai suoi piediimplorando il perdono tra i singhiozzi. Lei ascoltòimpassibile, poi disse gelidamente: «Preparatequest’uomo a morire». Ciò detto lasciò la galleriadei Cervi dove tuttora si conserva in una teca la cot-ta di ferro che Monaldeschi, presagendo il peggio,aveva inutilmente indossato. Furono necessarimolti colpi per ucciderlo. Finalmente uno dei trecarnefici ci riuscì trapassandogli la gola da parte aparte. Papa Alessandro VII fu contento del suo ar-rivo. Fabio Chigi, papa severo e pio, aveva vissuto alungo nei paesi tedeschi apprezzandone la religio-sità austera, la silenziosa capacità di raccoglimen-to così diversa dalla fede chiassosa e paganeggian-te di Roma. Considerava la conversione di una lu-terana, e di quel rango, una grande vittoria. Certore Gustavo, morto da tempo, strenuo difensoredella Riforma, avrebbe disapprovato. Cristinaperò aveva scelto Roma, il sole del Mediterraneo,una luce meno fredda capace di riscaldare perfinomiseria e sporcizia che certo a Roma non manca-vano. Tale fu l’apprezzamento che Cristina è unadelle poche donne che abbiano in San Pietro un fa-stoso mausoleo (opera di Carlo Fontana) e, nellecripte, una sepoltura che si viene a trovare, per unacoincidenza che non le sarebbe dispiaciuta, ac-canto a quella di Giovanni Paolo II. Sulla sua vita di-sordinata, sulle sue preferenze sessuali, ancora og-gi condannate dalla Chiesa, prevalse l’interessepolitico di averla strappata al luteranesimo.

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Vittorio e Paolo: l’infanzia a San Miniato, la rottura, la guerra, l’antifascismo,la Quinta di Beethoven, uno al pianoforte e l’altro al violino, le vacanze insieme,“ma mai la stessa donna”. Ecco cosa c’è dietro a quella sintonia,sul set come nella vita, che ha portato la strana coppiadel cinema all’ultimo successo:l’Orso d’oro a Berlino

TavianiPremiata Ditta

Fratelli

SpettacoliMaestri artigiani

ROMA

icono i Taviani. La richiesta è di non precisa-re se a parlare sia Vittorio, il meno giovane,classe 1929, o Paolo (1931), e nel ripercorre-re momenti di vita — da San Miniato a Berli-no, dove con l’Orso d’oro a Cesare deve mori-rehanno regalato una bella vittoria al cinemaitaliano — si alternano di continuo e si com-pletano in perfetta sintonia, la stessa che è al-la base del lavoro sul set. «Partiamo da unasceneggiatura d’acciaio, anche se assecon-diamo con gioia le modificazioni che arriva-no dagli attori, dalle intuizioni capricciose einaspettate sul set. A girare comincia uno,l’altro è in disparte, in silenzio, chi dirige è ilboss del momento. Se l’altro vede qualcosache non va tossisce, fa un segnale e chi gira siferma. Meeting tra noi, Ugo Tognazzi dicevache sembravamo due giocatori di rubgy inmischia. Ripartono le riprese, cambio del re-gista e si va avanti. All’inizio gli attori sono unpo’ perplessi, poi tutto procede bene. Trop-

po bene, secondo gli operai, che dopo unalunga scena magari vorrebbero un attimo direspiro, poveracci, ma il nostro ritmo non loconsente».

A proposito della sintonia un ricordo è le-gato a Mastroianni. «Quando lesse Allonsan-fan disse “bella, wagneriana”. Noi zitti, sia-mo per Verdi. Il primo giorno, comincia a re-citare aulico come mai nella sua vita, wagne-riano. Alla pausa ci consultiamo, preoccupa-ti. Marcello capisce che qualcosa non va.Marcello, diciamo, la scena che abbiamo gi-rato è veramente bella. Forse possiamo far-ne un’altra. Siamo nell’Ottocento, ma faiconto di essere in Piazza del Popolo oggi, in-contri un amico e gli dici le stesse battute. Fuperfetto e quando durante il film sentiva diaver esagerato nei toni, si fermava. “Ho capi-to, Piazza del Popolo”. A Cannes gli chiesero“Come si lavora con due fratelli”. Fu meravi-glioso: “Erano due?”».

Così il detenuto di Rebibbia, interprete diCassio in Cesare deve morire,alla fine delle ri-prese li salutò con un grido commosso: «Pao-lo Vittorio tu te ne vai, da domani qui nientesarà più come prima». La sintonia è una con-quista che viene da lontano. Infanzia mera-vigliosa, «poi — è Vittorio a parlare — dabambino io sono diventato subito come so-no adesso, bruttino, lui è rimasto giovane. Sicreò una rottura che negli anni dell’adole-scenza avanzata diventò inimicizia, ciascu-no di noi sperava che l’altro morisse, io scri-vevo commedie con il buono e il cattivo, cheera sempre Paolo».

Poi la guerra, che Paolo ricorda con un epi-sodio personale. «Vittorio e mio padre, anti-fascista, erano nei boschi. Vennero i tedeschia perquisire la nostra bella casa del Settecen-to. Scesi per andare ad aprire, mia madre mifermò. Ero scalzo. Mi disse “Di fronte al ne-mico tu non vai scalzo. Mettiti le scarpe e vaiad aprire ”. I tedeschi entrarono, fecero unalunga perquisizione, erano giovanissimi, esiccome c’era la cera sul pavimento, uno sci-volò e cominciò a ridere come un bambino,

sembrava che fosse un bravo ragazzo. Poi an-darono sul terrazzo da cui si vedeva la strada,e laggiù c’era un uomo che camminava. Il ra-gazzo che rideva diventò serissimo, puntòl’arma, mia madre gli saltò addosso gridan-do no!, spostò il tiro e il colpo finì in aria».

Il racconto torna comune. «La guerra ci fe-ce sentire più vicini, poi fu l’amore comuneper la Quinta di Beethoven, uno suonava ilpianoforte, l’altro il violino, e infine il cinema.Ci eravamo trasferiti a Pisa, a san Miniato lanostra casa non c’era più, era la casa di un an-tifascista, la prima fatta saltare in aria dai fa-scisti. A Pisa una mattina vedemmo per laprima volta Renée Falconetti, Giovannad’Arco. Rimanemmo senza fiato. Poi PaisàdiRossellini. Molti uscivano indignati, altribrontolavano. Noi eravamo emozionati, ve-devamo sullo schermo quelle stesse veritàtragiche che avevamo vissuto. Uscendo ci di-cemmo: “Ma se il cinema ha questa forza di

Una poltrona per due

1962Un uomo da bruciare

1967I sovversivi

1971San Michele aveva un gallo

1974Allosanfan

1977Padre padrone

MARIA PIA FUSCO

D

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A girare comincia uno, l’altro è in disparte,in silenzio, chi dirige è il boss del momentoSe l’altro vede qualcosa che non va tossisce,fa un segnale e chi gira si ferma. Ci consultiamo,cambio del regista e si va avanti. Tognazzi dicevache sembravamo due giocatori di rugby

farci capire la nostra stessa verità, allora noifaremo il cinema”. Decidemmo da lì e insie-me. Uniti si è più forti».

E di forza avevano bisogno. Non tanto perconvincere il padre Ermanno che, avvocatostimatissimo, «avrebbe desiderato che se-guissimo la sua strada. Ma la nostra era unafamiglia democratica. Fate quello che vi sen-tite di fare, ci dissero. Il problema era che al-lora il cinema era considerato una cosa se-condaria, scandalosa, il parroco di san Mi-niato girava per il paese dicendo “povero av-vocato Taviani, così in gamba. E i figli an-dranno a Roma al suono del Can Can”, gliamici ci guardavano con una punta di di-sprezzo. Un giorno finalmente leggemmo suBianco e Nero una paginetta scritta da Crocein cui diceva: “Devo testimoniare che ancheil cinema è, può essere arte”. Noi l’abbiamosventolata per tutte le strade di Pisa e a chiosava parlare male del cinema». A Pisa il pri-mo degli incontri fondamentali, oltre a quel-lo, più tardi a Roma, con Giuliani De Negri,grande produttore del loro cinema. Fu l’in-contro con Valentino Orsini. «Aveva sette an-ni più di noi, amava il cinema come noi, di-ventammo subito amici, facemmo un collet-tivo di lavoro e i primi documentari, uno su-gli scioperi a rovescio nelle campagne tosca-ne, poi San Miniato luglio 44, con fatica, chie-dendo soldi ad amici e parenti e abbiamoperso molti amici. Valentino ci raggiunse aRoma e facemmo i primi due film insieme.Era un uomo straordinario, faceva il marmi-sta. Ci portò la grande problematica del mo-vimento operaio dell’epoca, scoprimmo unmondo legato alla classe operaia e contadi-na. Uno scambio. “Voi mi date la ricchezzadella borghesia, io vi do la ricchezza dellaclasse nemica”, diceva».

C’era un patto tra i fratelli: «Se in diecianni non riusciamo a fare i film che voglia-no, ci ammazziamo. E si discuteva su chil’avrebbe fatto per primo. Ora ne ridiamo,ma eravamo serissimi». A Roma, tra ri-strettezze, una mozzarella in due e gran-di insalate in una trattoria compiacente— i Taviani poi “sedussero” il padrone,che lasciò trattoria e famiglia per fare ilproduttore — fecero tre documentari,vinsero premi, arrivarono i primi soldi. Eil primo film, Un uomo da bruciare, natodurante un documentario in Sicilia dal-l’incontro con la madre del sindacalistaSalvatore Carnevale, la prima a denun-

ciare gli assassini, interprete Gian Maria Vo-lonté. «L’avevamo visto a teatro in Sacco eVanzetti. Il provino andò male, il più bruttodella nostra vita, ma vedendo il filmato inproiezione ci colpì la potenza grande del vol-to, la forza dello sguardo, il modo di voltarsiimprovviso. Il protagonista ideale».

Il cinema bello, poetico e politico dei Ta-viani — negli schedari della questura di Pisarisultano come «esistenzialisti sovversivi» —non incassava, i problemi economici sem-pre in agguato. «Come campavamo? Graziealla pubblicità, a cui destinavamo un tempopreciso, tra un film e l’altro. Eravamo diven-tati esperti», e ricordano Caroselli famosi, daPlasmon ad Algida con Patty Pravo. La svoltafu grazie a Padre padrone, Palma d’oro a Can-nes, presidente di giuria Roberto Rossellini.«Noi non volevamo mandarlo. Un film sen-za uomini e con tante pecore non ci sembra-va adatto al tappeto rosso. Prima della finaleRossellini ci chiamò nella sua stanza. Nonparlò del film, parlò d’altro, scienza, teologia,e alla fine gli facemmo la domanda che ci pre-meva da anni. Germania anno zero, un no-stro mito, era stato insultato e maltrattato.“Come si rimargina una ferita così doloro-sa?”, chiedemmo. “Non posso rispondervi. Èancora aperta”».

Anche i Taviani hanno avuto le loro ferite.Come quando Sotto il segno dello Scorpionefu fischiato a Venezia o con Il pratosempre aVenezia: titoli sui giornali tipo «Il festival è de-collato ed è atterrato rovinosamente sul Pra-to». «Ma poi c’erano i Cahiers du Cinéma cheinserivano i nostri film tra i capolavori, inGermania venimmo a sapere che per co-stringere una sala a proiettare Padre padro-neHerzog, Fassbinder, e quelli del Nuovo ci-nema tedesco si incatenarono davanti allasala. Siamo andati avanti, sostenendoci a vi-cenda».

Tanta unione — «vacanze insieme a Sali-na finché i figli erano piccoli, ora un mese atesta. Ma mai la stessa donna» — ha modifi-cato perfino i caratteri. «C’è stato un periodoin cui ci siamo molto interessati all’orosco-po, perché avevamo letto che Goethe ne par-lava nella sua biografia, era della Vergine,ascendente Scorpione. Vittorio è della Vergi-ne, io, Paolo, dello Scorpione. Segni opposti,ma se si integrano si alimentano a vicenda.Ora Vittorio è un po’ più Scorpione e io un po’più Vergine: in due facciamo un Goethe».

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INSEPARABILI

A sinistra, Paolo e Vittorio Taviani. Accanto, una vignetta

che li ritrae disegnata da Ettore Scola

I fratelli Taviani hanno vinto la Palma d’oro a Cannes

nel 1977 per Padre padrone; il David di Donatello

per il miglior film nel 1983 con La notte di San Lorenzo;

il Leone d’oro alla carriera nel 1986; l’Efebo d’oro

per La Masseria delle Allodole nel 2007 e l’Orso d’oro

a Berlino per Cesare deve morire la settimana scorsa

1982La notte di San Lorenzo

1987Good morning Babilonia

1990Il sole anche di notte

1996Le affinità elettive

1996Tu Ridi

2007La Masseria delle Allodole

2012Cesare deve morire

‘‘

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Alcune aziende la usano già per realizzare prototipi da testare sul mercatoMadai pezzi di ricambio per la lavatrice alle viti di una porta, da un fischietto a un violino,

con la stampante 3D tra pochi anni sarà possibile realizzare qualsiasi cosa da soli in casa propria. Sneaker comprese

NextReplicanti

uante volte vi sarà capitato di avereun oggetto che, a causa del malfun-zionamento di una delle sue parti, èdiventato inutile. E quante volteavete pensato che se fosse stato pos-sibile cambiare solo la parte rottanon avreste gettato l’oggetto intero?Ma non avevate scelta: non per tuttii prodotti di uso quotidiano esisto-no i ricambi, al giorno d’oggi. Algiorno d’oggi, appunto. Perché inun domani molto prossimo le partidi ricambio per qualsiasi cosa po-tremmo produrle direttamente noi,in casa. Potremmo “stamparle” conuna stampante 3D.

Benvenuti nel nuovo mondo incui ognuno, tra le mura domestiche,potrà produrre ciò che desidera: daun pezzo di ricambio della lavatricea una vite per la porta dell’armadio,da un violino a un giocattolo, qual-cosa che già esiste sul mercato o ad-dirittura qualcosa di completa-mente nuovo. Basterà disegnarlosul computer e stamparlo senzacarta né inchiostro, ma con una del-le nuove stampanti 3D in grado di ri-produrre oggetti tridimensionali.Gli oggetti sono replicati uno strato

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alla volta e possono essere utilizzatidiversi materiali come zolfati, resi-ne o plastiche. Gli strati vengono so-vrapposti l’uno sull’altro fino a otte-nere l’oggetto solido.

Può sembrare incredibile, ma lastampa tridimensionale, o additiva,è già in circolazione da parecchi an-ni. Le grandi industrie la usano dadecenni per realizzare dei prototipiche servono ai designer per fare del-le prove, verificare teorie e, nel caso,ristampare un nuovo oggetto, in unprocesso definito di «prototipazio-ne rapida». Le prime industrie a usa-re questa tecnologia sono statequelle aerospaziali, fin dalla metàdegli anni Ottanta, ma anche nel

campo della Formula Uno ha trova-to parecchie applicazioni. Con il mi-glioramento costante delle tecnolo-gie e la conseguente riduzione deicosti, quello che prima era possibilesoltanto a grandi aziende in grado difare investimenti sostenuti, oggi èpossibile invece a basso costo. Sonogià in tanti a usare la stampa 3D emolti degli oggetti che usiamo sononati in questo modo. La Converse,ad esempio, le usa dal 2004, e questogli consente di portare più rapida-mente sul mercato i nuovi modelli

di scarpe; la Alessi con l’aiuto dellenuove stampanti ha migliorato lasua celebre macchina per il caffè, LaCupola, risparmiando moltissimotempo e il 70 per cento dei costi.

Le applicazioni sono moltissime.Ad esempio nel campo della medi-cina, dove sta trovando spazio nellacreazione di parti del corpo umano:Usa Today riportava qualche setti-mana fa la storia di una signoraamericana di ottantatré anni che,avendo perso a causa di una malat-tia ossea gran parte della mandibo-la e non potendo più mangiare néparlare correttamente, è stata la pri-ma a ricevere una nuova protesi rea-lizzata con una stampante 3D, fattadi strati di polvere di titanio sinteriz-zato. Ma anche molti dei giocattolidella MakieLab, una azienda ingle-se di successo, sono prodotti utiliz-zando questa nuova tecnologia.

Ma la vera novità è che anche lepersone normali possono usufruiredi questa nuova tecnologia. Per co-minciare ci vuole relativamente po-co: una stampante professionale,come la Markerbot Thing-O-Maticad esempio, ha un prezzo di pocosuperiore ai mille euro. E per i pro-getti non c’è più bisogno di softwa-re sofisticati o di una grande cono-scenza tecnica, perché online ci so-no sia i software (come Schetchup!di Google, facile da usare e soprat-tutto gratuito) sia i progetti già rea-lizzati da altri, più di undicimila di-sponibili in rete in una comunità didesigner che cresce di giorno ingiorno.

Che il fenomeno stia crescendo lotestimonia anche l’entrata in cam-po della pirateria. «Noi crediamoche il prossimo passo delle copiesarà quello dalla forma digitale allaforma fisica» hanno scritto i respon-

sabili di The Pirate Bay, i “nemicipubblici n.1” del copyright, annun-ciando l’apertura di un’area dedica-ta alla stampa 3D nel loro sito, dovesono disponibili al momento solosette oggetti dimostrativi, come unmodellino di una Chevrolet del1970, un fischietto e ovviamenteuna nave pirata. È evidente che seogni oggetto può essere rappresen-tato in un file digitale, diventa estre-mamente facile poterlo copiare,scaricarlo attraverso la rete e pro-durlo con una stampante tridimen-sionale. La possibilità di scaricareoggetti — i physibles, come li hannosoprannominati su The Pirate Bay— dalla rete apre uno scenariopreoccupante per le aziende: quan-do il design di un oggetto diventa di-sponibile a tutti, difendere la pro-prietà intellettuale è difficile, comeinsegna la storia dell’industria di-scografica.

Ma ci sono ulteriori implicazioniche possono rendere rivoluzionariol’avvento della stampa 3D, come hasottolineato qualche tempo fa l’E-conomist che ha dedicato ampiospazio al fenomeno: «La stampa tri-dimensionale rende economicocreare singoli oggetti tanto quantocrearne migliaia e quindi mina leeconomie di scala. Essa potrebbeavere sul mondo un impatto cosìprofondo come lo ebbe l’avventodella fabbrica. Proprio come nessu-no avrebbe potuto predire l’impat-to del motore a vapore nel 1750 — odella macchina da stampa nel 1450,o del transistor nel 1950 — è impos-sibile prevedere l’impatto a lungotermine della stampa 3D. Ma la tec-nologia sta arrivando, ed è probabi-le che sovvertirà ogni campo chetoccherà».

ERNESTO ASSANTE

Maker Bot - Thingh- o Matic

‘‘La scarpa da ginnasticaIl prossimo passo delle copie sarà quello dalla forma digitalealla forma fisica. Nel prossimo futuro, le persone saranno in gradodi produrre da sole i pezzi di ricambio per la propria automobileEntro vent’anni, potrete fare il download delle scarpe da ginnastica

The Pirate BayIl più grande sito di condivisione di file

Q

Né inchiostro né parole, solo oggetti

■ Prezzo orientativo 800 euro

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

Può essere lo starter, accompagnare il pasto fino alla fine oppureaiutare nelle degustazioni. Può finire nella pasta, nelle salse,negli arrosti.Ma bisogna scegliere la varietà giusta

LICIA GRANELLO

Cosìbuona che un solo morsoè bastato alla Apple per con-quistare il pianeta hi-tech.Così bella da scatenare guer-re di dei e di uomini. Così uni-versale da diventare il sim-

bolo della città-mondo. Dici mela e tutti laconoscono nelle sue infinite varietà, mille-narie e nuovissime, dalla Cina alla Scandi-navia, ognuno amando a suo modo il frut-to, il profumo, i suoi estremi che la scom-pongono in una miriade di aggettivi: mor-bida o croccante, acerba o matura, succu-lenta o farinosa, verde, gialla, rossa, scre-ziata, rugginosa, minuscola o gigante,raggrinzita o trionfante, dolcissima oasperrima. Soprattutto, non c’è frutto chesi lasci manipolare con altrettanto gioiosamalleabilità in cucina, dalla colazione allacena, dal dolce al salato, dalla semplicitàbambina della mela grattugiata (con goccedi limone, altrimenti la vitamina C si ossi-da) alla complessità barocca delle farcitureper volatili.

Lo status di frutto ad alto tasso gour-mand è scritto nel suo dna, come ben te-stimoniano i ricettari di tutte le epoche,abitando senza soggezioni tutte le sezioni— antipasti, primi, secondi, contorni, des-sert — dei menù. Basta decidere quale del-le sue tante virtù esaltare e voilà, il gioco èfatto, a partire dalla fettina (o sorbetto)raccomandati per “resettare” il palato pri-ma che tutto cominci a tavola, compagniagraditissima e molto professionale lungol’intero dipanarsi del percorso: un menùarticolato, una degustazione, perfino un

panel di assaggio degli extravergini.Freschezza, ma anche consistenza, co-

me nei composti delle paste ripiene o in cu-betti come elemento croccante nel risottomantecato. A supportare la scelta della va-rietà giusta, quel poco di sapienza contadi-na che un tempo era di tutti e che abbiamotristemente quasi del tutto smarrito. Per-ché non è la stessa cosa fare un purè con legolden o le renette, o una tatin con la gala ol’annurca. E siccome non di sole fuji vivel’uomo, cuochi e appassionati si sforzanodi riportare alla luce vecchie tipologie qua-si estinte, sacrificate in nome di monocul-tura e iperproduttività che stanno facendograndi danni in aree storicamente vocatecome Trentino e Alto Adige. Eppure baste-rebbe annusare una mela limoncella —piccola, bruttina, infinitamente buona —o addentare la polpa rosa di una carla, perscoprire un incredibile universo di aromi esapori, tutti riconducibili in qualche misu-ra al pomo dell’albero della conoscenza.

Non c’è frutto più adatto per «pensarelocale e agire globale». Dopo aver fatto spe-sa in uno dei benemeriti giardini dei fruttidimenticati, recuperate la ricetta dell’insa-lata Waldorf, ideata a fine Ottocento daOscar Tschirky per il glorioso Waldorf Ho-tel di New York: sedano, mela croccante (ti-po stark), maionese al limone e foglie di lat-tuga su cui adagiare cubetti e rondelleamalgamati con la salsa. Se chiudete gli oc-chi vi sembrerà di stare lì, sui morbidi sofàdel bar, mentre Cole Porter canta: «You’rethe top, you’re a Waldorf salad...», canzonededicata dal grande compositore america-no all’amata Linda Lee.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

TarteTatinPer la tarte

des Demoiselles

Tatin uno strato

sottile di pasta

brisée a coprire

la teglia con mele

a spicchi cotte

in burro e zucchero

Con panna acida

Ashmead’s kernel

Senshu

Honeycrisp

Rhode island greening

Akane

Spartan

Macoun

Elstar

Suncrisp

Winter banana

Golden supreme

Smith

Gala

StrudelSottilissima,

la sfoglia

del vortice

(in tedesco),

avvolta su se

stessa con un mix

di mele, limone,

uvetta, zucchero,

rum, cannella

e pangrattato

RisottoBrillatura in burro

e cipolla, poi tirato

col brodo

Dopo dieci minuti,

mela acidulata

e gherigli di noci

a tocchetti

Alla fine, fontina

ammollata

in poca panna

BollitovienneseCottura tradizionale

di scamone

e ossobuchi,

nella ricetta

del wiener tafelspitz

Accanto, mele

e rafano grattugiati,

insieme a zucchero

e panna acida

I sapori

LA RICETTA

Primo, secondo e frutta

TempoIl

meledelle

Ingredienti per 4 persone300 gr. di farina manitoba1 uovo intero200 gr. di tuorli d’uovo200 gr. di formaggio Montasiostagionato150 gr. di crema di lattebucce di 2 mele bio

Impastare la farina con le uovae un pizzico di sale. Lavorare beneper idratare l’impasto e chiuderloin un sacchetto plastico per un’oraMettere il Montasio a cubettiin un pentolino con la crema di lattee far fondere a bagnomaria. Lasciareraffreddare, poi inserire la fondutaottenuta in un sac a poche,con cui farcire i dischi di pasta stesasottile. Disidratare le bucce di melaal forno a 160 gradi per 8 minutie metterle in un’infusiera. Bollirel’acqua per i ravioli, salarePrelevare una piccola quantitàe versarla nell’infusiera con le buccedi mela. Cuocere i ravioli, scolarlie disporli in una fondina con un tritodi nocciole tostate e un pizzicodi cannella. Davanti all’ospite,aggiungere l’infuso di bucce di mela

Ravioli di Montasioin fusione di mele

Il friulano Emanuele

Scarello è il presidente

italiano dei Jre, giovani

ristoratori europei

Nel suo locale “Agli amici”

di Godia, Udine, mescola

tradizione e ricerca,

come nella ricetta

per i lettori di Repubblica

Annurca Stark delicious

Repubblica Nazionale

■ 43

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

Gli indirizzi

Sulla strada

Le riviere di montagnadel Trentino Alto Adige

GIAMPAOLO VISETTI

Il Trentino, per il resto d’Italia, rappresenta il Grande Nord. Per il re-sto d’Europa è già Profondo Sud. Alpi e Mediterraneo si fondono, co-me cultura austroungarica e civiltà romana. Gli italiani salgono in

montagna per camminare e andare a sciare. I tedeschi scendono sul la-go di Garda per prendere il sole e andare in barca a vela. Questa fusionestorica di mondi, climi e scenari diversi costituisce l’identità profondadi un territorio misto, arricchito da secolari passaggi di uomini e merci.Il paesaggio è la sintesi della doppia anima trentina, sospesa tra ghiac-ciai del Sudtirolo e pianura del Veneto, a cui è collegata dal corso dell’A-dige. Nel giro di un’ora si passa dalla dolcezza della riviera gardesana,segnata dagli ulivi, alla maestosità delle Dolomiti di Brenta e di Fassa,nobilitate dagli alti pascoli e dagli alpeggi. Tra laghi e vette si stendonole città e le campagne più fertili, culla di grandi prodotti. L’arte si con-centra a Rovereto, che ospita il Mart e la Casa di Depero. Storia, archi-tettura e scienza formano la vocazione di Trento, cresciuta con l’im-pronta del Concilio, con la sua eccellente università e oggi pronta allasfida del museo progettato da Renzo Piano. È indubbio però che il Tren-tino debba buona parte della sua fama, oltre che alle piste da sci e allepareti per l’arrampicata, ai due prodotti che ne sono divenuti il simbo-lo: mele e vino. La valle dell’Adige, la piana Rotaliana e le valli di Non edi Sole, esprimono l’incanto dell’incontro tra la sapienza contadina e labellezza dell’ambiente, dominato dai castelli. Frutta croccante e viniraffinati, tra cui primeggiano gli spumanti. E dopo giornate all’aperto,in totale libertà, ci si può concedere qualche eccesso: burro e formaggidi malga, salumi genuini, pane di segale e olio del Garda, una fetta distrudel. Nord e Sud, eterne stelle polari del Trentino.

ILLU

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DI C

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GA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Calville blanc d’hiver

Jonagold

Eve’s delight

FujiBraeburn

Northern spy

Arlet

Rubinette

Hidden rose

Newtown pippin

Winesap

Fortune

Golden russet

Renetta

Apple PieDalla torta

di Nonna Papera

alla crostata,

base di frolla,

sfoglia o brisée

Farcitura con mele

e, a piacere,

biscotti sbriciolati,

scorze candite,

cioccolato

CotognataMele cotogne

cotte, infornate

con la loro acqua,

aggiungendo

zucchero e limone,

ridotta sul fuoco

Una volta passate,

nuova cottura

con limone

per mezz’ora

Faraonain tegliaCarne marinata

in pepe, sale e olio,

in forno contornata

di rosmarino,

alloro, olive

e bagnata col sidro

Dieci minuti prima

di spegnere,

pezzi di mela e uva

PurèA contorno

delle carni

di maiale, mele

a cubetti, cotte

con poca acqua

e burro. A fuoco

spento, ancora

un pezzetto

di burro. Si frulla

dopo averlo salato

Ny 428

Arkansas black

DOVE DORMIRE

HOTEL PAGANELLA

GOURMET&RELAX

Piazza Unità d’Italia 9

Località Fai Della Paganella

Mezzolombardo (Trento)Tel. 0461-583116

Mezza pensione 71 euro a persona

LOCANDA IN BORGO

GARNÌ&WELLNESS

Corso Ausugum 90

Borgo Valsugana (Trento)Tel. 0461-757103

Doppia 90 euro, colazione inclusa

PENSION DIETL

Hans-Pegger-Str 6

Laces (Bolzano)Tel. 0473-721039

Doppia 65 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARE

PER BACCO

Via De Varda 28

Mezzolombardo (Trento)Tel. 0461-600353

Chiuso martedì

Menù da 35 euro

VAL VENOSTA

Vecchia strada Val Venosta 1

Località Vezzano, Laces (Trento)Tel. 0473-742113

Chiuso lunedì

Menù da 30 euro

BOIVIN

Via Garibaldi 9

Levico Terme (Trento)Tel. 0461701670

Chiuso lunedì

Menù da 30 euro

DOVE COMPRARE

AZIENDA AGRICOLA

ANNA BONETTI

Via Rancon 1

Località Sporminore

Mezzolombardo (Trento)Tel. 0461-641125

COOPERATIVA

ORTOFRUTTICOLA V. I. P.

Via Centrale 1/c

Laces (Bolzano)Tel. 0473-723300

COOPERATIVA

EOFRUT

Via Stazione 7

Termeno (Bolzano)Tel. 0471-860155

Repubblica Nazionale

LA DOMENICA■ 44

DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

“Detesto essere chiamatopittore”. Il padre nobile dell’Arte povera ama ancoraprovocare e a settantaquattro annilavora al ritmo di tre mostre all’anno

L’ultima in Cina: “Ero curioso di vederequanto fosse diversauna culturache faceva riferimentoa un filosofo, Confucio,

da quella occidentale che veneravaun uomo morto sulla croceE invece ho scoperto il colore”

ROMA

Vado a trovare JannisKounellis, ritornato daqualche giorno dallaCina, nella sua bella ca-

sa nel quartiere Prati a Roma, circon-data da alberi con foglie dal colore del-l’indian summer americana. Il patriar-ca dell’Arte povera ha inaugurato a Pe-chino in una galleria pubblica una mo-stra intitolata “Tradurre la Cina”. Co-me corrente e invenzione dei critici,l’Arte povera è sparita da molto tempodopo aver contaminato buona partedell’arte contemporanea internazio-nale. Una fine precoce, annunciatadalla rapidità del consumo, che haportato a un prematuro invecchia-mento dei prodotti artistici considera-ti fino a ieri d’avanguardia. Ma gli arti-sti che a essa si richiamano, piuttostoblandamente, sono quasi tutti vivi epresenti. Una generazione altamentedistruttiva e iconoclasta, dedita aglislittamenti oltre i confini o agli attra-versamenti della terra di nessuno, dadove non c’era ritorno, ma nello stessotempo, estremamente dotata e mossada un vitalismo mercuriale, tanto piùefficace quanto più lontano era daiteoremi dei suoi cantori.

In particolare Kounellis sembra piùforte e gagliardo che prima. A settanta-quattro anni mantiene l’aspetto e il vi-gore di un marinaio greco di lungo cor-so, con il maglione blu e i capelli mossidal meltemi, appena sbarcato dal Pireo.Uno si aspetta che scompaia da un mo-mento all’altro per andare a sistemare icordami sul caicco. Non è un artista chesi è consumato nei dubbi, e quando hapreso le scorciatoie, sapeva dove anda-va a parare. Adesso è un signore bene-stante, approdato alla tranquillità, che

fa finta di non rendersi conto della suaagiatezza, mantenendo alcuni innocuicomportamenti e slogan da reduce delSessantotto. Ma continua a lavorare co-me un dannato alla media di tre mostrel’anno, forse col timore non dichiaratoche una pausa più lunga possa farlo di-menticare. Nessuno degli artisti cono-sciuti ha un’attività che si possa para-gonare alla sua.

«Detesto essere chiamato pittore»,dice, «è un termine che ricorda l’artigia-nato, il lavoro a tombolo. In greco pitto-re equivale a “creatore di vita”». Diceanche che il suo rispetto per la tradizio-ne pittorica è sempre stato molto forteed è capace di tenerti un’ora a parlaredella Madonna del Tiziano, dell’arteitaliana vista come un’arte di ombre e dichiaroscuri e facendo arditi paralleli traCaravaggio e Jasper Johns. Ma ancorapiù forte del rispetto è stata la sua deter-minazione volta a sbarazzarsene. «Lastoria della pittura è divisa in due epo-che: prima delle Demoiselles d’Avignone dopo. E anche se contigue, una non haa che fare con l’altra».

Kounellis non rappresenta, presen-ta. Una possibile, assolutamente in-completa, lista di oggetti adoperatidall’artista greco, come caratteri performare una scrittura capace di impa-dronirsi del mondo reale, potrebbe es-sere questa: pappagallo, uccelli, cac-tus, uova, cavalli, carcasse di carne,zanzare, farfalle, fiori per quanto ri-guarda gli oggetti organici. Quelli inor-ganici sono ancora più numerosi: ca-tene, bottiglie di benzina, soprabiti,scarpe, macchine da cucire, lampadea cherosene, brocche, tavole, treni inminiatura, coltelli e via enumerando.Tutti gli oggetti che compongono lesue opere non sono stati scelti in ma-niera casuale. Questa estrema moder-nità è interpretata paradossalmenteda un uomo dal carattere romantico.«Uno dei periodi della storia per mepiù congeniale è il duro, ferrigno Otto-cento del vapore, dei treni, delle ac-ciaierie e del carbone, del fuoco dellecaldaie e delle fusioni dei metalli, deiromanzi di Victor Hugo e dei feuillet-ton. La manìa di disseminare ovunquepezzi di carbone viene da qui».

Con il passare degli anni certe sueinstallazioni, come nel 1969 l’arrivodei dodici cavalli vivi nella galleria ro-mana di Fabio Sargentini, in uno spa-zio dedicato all’arte, rimangono tra imomenti più significativi di quegli an-ni irripetibili. Questa installazione

non era solo messa a confronto coi ca-valli della tradizione classica, comeappaiono nelle cavalcate delle metopedel Partenone oggi al British Museum.Era semplicemente un modo per con-testare tutta l’arte basata sulla ripro-duzione visiva mettendo al centro del-l’installazione the real thing, il cavalloin carne e ossa, vivo e scalpitante.

Kounellis non era mai stato in Cina eforse non gli interessava molto. L’ideadi andare in Estremo Oriente a sfidare laglaciale altezzosità degli abitanti del-l’Impero di Mezzo è di Giuseppe Mari-no, un noto gallerista romano. «DellaCina sapevo quello che sapevano tutti,e cioè quasi nulla. Ero curioso di vederequanto fosse diversa una cultura che fa-ceva riferimento a un filosofo, Confu-cio, da quella occidentale che veneravaun uomo morto sulla croce. Prima di or-ganizzare la mostra abbiamo deciso diandare in avanscoperta, come si fa nelcinema con le location. Con Marino ho

viaggiato non solo con la testa e gli oc-chi ma con tutti i sensi, mettendo il na-so ovunque, annusando in cerca d’ispi-razione».

«La prima cosa che ci ha colpito del-la Cina è stato l’odore. Se fossi portatoin un paese bendato e senza saperenulla lo riconoscerei con l’olfatto. L’o-dore della Cina è un misto tra gli efflu-vi della cucina e il risciacquo di piattiportato da nuvolette bianche cheescono dai locali dove tutto è cucinatoa vapore». Credo che Kounellis sia sta-to tentato di trasformare l’odore nellachiave interpretativa delle sue opere,negli anni scorsi fece qualcosa a Napo-li basata sul profumo del caffè.

L’anno successivo gallerista e artistasono partiti di nuovo per organizzarel’esposizione nel museo pubblico“Today Art Museum” di Pechino. «E,come spesso mi è successo, all’inizionon avevo la più pallida idea di quelloche avrei fatto. L’idea buona o il colpodi genio, insomma quello che fa di-stinguere immediatamente la cazzatadall’opera riuscita, due momenti di-versi ma estremamente vicini tra loro,tardava a venire». Kounellis, un carat-tere di solito molto controllato, ha co-minciato ad agitarsi. Il suo desiderio dipiacere, la sua determinazione a rag-giungere il successo sono sempre statimolto grandi e un eventuale flop dellamostra lo avrebbe portato alla depres-sione. «Poi, un giorno, in un mercatoall’aperto di Pechino ho notato pira-midi di porcellane frantumate. Ce n’e-rano di bellissime, molto antiche. Conquella meravigliosa trasparenza cosìdifficile da raggiungere. Io non riusci-vo a capire le ragioni di tutti quei pezzie a che cosa servissero. Poi un artistamio amico mi ha raccontato che du-rante il periodo maoista, al tempo del-la famigerata Banda dei Quattro, leguardie rosse entravano nelle case del-le persone considerate borghesi e setrovavano delle porcellane le gettava-no in terra finendole di fare a pezzi coni calci dei fucili in quanto simboli dete-stati della Cina dei Mandarini». Il gior-no dopo Kounellis è andato al mercatoe ha comprato tutte le porcellane sucui riusciva a mettere le mani, pagan-dole una cifra irrisoria. Poi le ha diviseper forma, dimensione e colore e le haattaccate una dietro l’altra, come fa-rebbe un collezionista di francobolli odi farfalle con estrema precisione, sulastre di ferro grandi quanto un letto adue piazze e pesanti quattrocento chi-

li ciascuna. Infine ha allineato le lastrefino a formare una muraglia, la cuipianta disegna una greca sormontatada pezzi di carbone. Quando l’artistanella sua casa di Roma ha tirato fuori lefotografie che riprendevano dall’altol’installazione ho trattenuto per un at-timo il respiro. Raramente avevo vistouna simile, sorprendente fusione didue materiali così eterogenei come ilferro e la porcellana.

Dopo pochi giorni da questa instal-lazione ne ha fatto un’altra per lui rivo-luzionaria: «Nel passato ho semprecercato di evitare i colori. Li ritenevofutili e controproducenti rispetto allamia concezione dell’arte come teatrodei drammi». Ma nei giorni in cui si tro-vava a Pechino è andato in giro a com-prare vestiti da bambina coloratissimiche ha disteso sulle lastre. Un gesto diriconciliazione con il mondo dei colo-ri che ha lasciato stupefatto Marino,abituato ai toni cupi senza speranzadelle sue opere.

L’accoglienza della mostra è stataspettacolare: «Credo che quello che haattirato i visitatori siano state propriole schegge, il modo con cui un artistaoccidentale ha valorizzato l’impor-tanza del prodotto più famoso della Ci-na. Per secoli gli europei hanno cerca-to di imitare, senza riuscirci, l’impastotenuto segreto che permetteva queimeravigliosi manufatti e ora arrivavain Cina un artista straniero che nontentava di copiare, ma che con le sueopere rendeva omaggio alle porcella-ne, anche se maltrattate dagli stessi ci-nesi». Nei giorni successivi all’inaugu-razione della mostra Kounellis è statotrattato non come un artista ma comeun eroe per aver vendicato l’onore del-le porcellane. Sensibile ai riconosci-menti dei personaggi importanti chesono stati numerosi, ha vissuto in queigiorni il suo trionfo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’incontroPionieri

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La storia è divisain due epoche:prima e dopole “Demoiselles

d’Avignon”E una non haa che farecon l’altra

Jannis Kounellis

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Repubblica Nazionale

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DOMENICA 26 FEBBRAIO 2012

Stampante che consente di stampare e assemblareparti composte da materiali diversi in un singolo processo di costruzione

Sono file scaricabili dalla Rete che contengono al loro interno dati per realizzare oggetti realitridimensionali utilizzandouna stampante 3D

È un processo di compattazione che permette di ottenerecorpi solidi di forma definita a partire da polveridi materiali diversi

È una tecnica di produzionea strati che unisce materialiper fabbricare oggetti da modelli 3Dcomputerizzati, di solito una sopra l’altro

Di solito abbreviato TPB,è il principale sito di downloaddi file e di filesharing europeoLo scorso annoè stato condannatoper violazione del copyrightG

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GLI ESEMPI

Qui a lato, alcuni prodotti realizzati da una stampante in 3D: oggettidi plastica come giocattoli (Mario Kart),fischietti, calchi di parti meccaniche,tazze, sandali in gomma, guaineper cellulari e bici da assemblare

Stampante 3D Physibles Sinterizzazione The Pirate BayProduzione additiva

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