la crisi e i conflitti dei paesi dell’africa saheliana. la
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CENTRO ALTI STUDI
PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE
DI STUDI STRATEGICI
Marco Massoni
La crisi e i conflitti dei Paesi dell’Africa Saheliana.
La priorità per un’eventuale azione nazionale ed europea
(Codice SMD AL-SA-10
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è un organismo istituito nel 1987 che gestisce,
nell’ambito e per conto della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico. Tale attività permette
di accedere, valorizzandoli, a strumenti di conoscenza ed a metodologie di analisi indispensabili
per dominare la complessità degli attuali scenari e necessari per il raggiungimento degli obiettivi
che le Forze Armate, e più in generale la collettività nazionale, si pongono in tema di sicurezza e
difesa.
La mission del Centro, infatti, nasce dalla ineludibile necessità del Ministero della Difesa di
svolgere un ruolo di soggetto attivo all’interno del mondo della cultura e della conoscenza
scientifica interagendo efficacemente con tale realtà, contribuendo quindi a plasmare un contesto
culturale favorevole, agevolando la conoscenza e la comprensione delle problematiche di difesa e
sicurezza, sia presso il vasto pubblico che verso opinion leader di riferimento.
Più in dettaglio, il Centro:
● effettua studi e ricerche di carattere strategico politico-militare;
● sviluppa la collaborazione tra le Forze Armate e le Università, centri di ricerca italiani, stranieri
ed Amministrazioni Pubbliche;
● forma ricercatori scientifici militari;
● promuove la specializzazione dei giovani nel settore della ricerca;
● pubblica e diffonde gli studi di maggiore interesse.
Le attività di studio e di ricerca sono prioritariamente orientate al soddisfacimento delle esigenze
conoscitive e decisionali dei Vertici istituzionali della Difesa, riferendosi principalmente a situazioni
il cui sviluppo può determinare significative conseguenze anche nella sfera della sicurezza e
difesa.
Il Ce.Mi.S.S. svolge la propria opera avvalendosi di esperti civili e militari, italiani e stranieri, che
sono lasciati liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati.
(Codice SMD AL-SA-10
CENTRO ALTI STUDI
PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE
DI STUDI STRATEGICI
Marco Massoni
La crisi e i conflitti dei Paesi dell’Africa Saheliana.
La priorità per un’eventuale azione nazionale ed europea
La crisi e i conflitti dei Paesi dell’Africa Saheliana. La priorità per un’eventuale azione
nazionale ed europea
NOTA DI SALVAGUARDIA
Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene.
NOTE Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte. Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici Direttore Amm. Div. Mario Caruso Vice Direttore - Capo Dipartimento Relazioni Internazionali Col. A.A.r.n.n. Pil. (AM) Marco Francesco D’Asta Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato Autore Angelo Socal Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa
Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Relazioni Internazionali
Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma
tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779 e-mail [email protected]
Chiusa a novembre 2016
ISBN 978-88-99468-58-3
5
INDICE
SOMMARIO ........................................................................................................................................ 7
ABSTRACT ....................................................................................................................................... 11
CAPITOLO 1 ..................................................................................................................................... 15
L’Africa Occidentale quale hub dei traffici illeciti verso l’Europa ......................................... 17
La polarizzazione della conflittualità lungo il 16°Parallelo Nord .......................................... 20
CAPITOLO 2 ..................................................................................................................................... 25
I principali Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) e al Daesh nel Sahel e in Africa Occidentale .................................................................................................................................. 25
o Al Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI) .............................................................................. 26
o Al-Mourabitun ......................................................................................................................... 27
o Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) ................................ 27
o Ansardine ................................................................................................................................ 28
o Boko Haram e l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU) .... 28
o Fronte di Liberazione di Macina (FLM) ............................................................................... 29
o Daesh o Al Qaida? ................................................................................................................. 30
CAPITOLO 3 ..................................................................................................................................... 32
Iniziative regionali ....................................................................................................................... 32
o Il Processo di Tamanrasset: ................................................................................................. 32
o Il G5 Sahel .............................................................................................................................. 33
CAPITOLO 4 ..................................................................................................................................... 37
Le Nazioni Unite e il Sahel ........................................................................................................ 37
o L’Inviato Speciale per il Sahel del Segretario Generale delle Nazioni Unite ................ 37
o La Strategia Integrata Regionale dell’ONU per il Sahel .................................................. 38
CAPITOLO 5 ..................................................................................................................................... 41
La crisi del Mali ........................................................................................................................... 41
o Il Colpo di Stato in Mali e l’irredentismo Tamashek dell’Azawad ................................... 42
o L’Azawad e i Tuareg .............................................................................................................. 42
o L’intervento internazionale: AFISMA, Servalo e Barkhane ............................................. 43
o La Missione Multidimensionale Integrata di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) ............................................................................................................................. 44
o Le conseguenze regionali e continentali della crisi maliana ........................................... 46
CAPITOLO 6 ..................................................................................................................................... 50
Gli orientamenti dell’Italia nella gestione delle crisi in Africa e nel Sahel .......................... 50
Un nuovo concetto strategico dell’Italia per l’Africa e il Sahel ............................................. 50
CAPITOLO 7 ..................................................................................................................................... 54
L’Unione Europea e il Sahel ..................................................................................................... 54
o La Strategia per la Sicurezza e lo Sviluppo nel Sahel dell’Unione Europea ................ 54
o Il Piano d’Azione Regionale dell’Unione Europea per il Sahel (2015-2020) ................ 56
6
o Il Processo di Khartoum ........................................................................................................ 57
o Forme di finanziamento della Strategia e del Piano d’Azione UE ................................. 59
o Le missioni europee nel Sahel nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) .................................................................................................................... 61
EUCAP SAHEL Niger ....................................................................................................... 61
EUCAP SAHEL MALI ....................................................................................................... 62
EUTM MALI ........................................................................................................................ 63
o Il Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel (RSUE) ................................................ 63
o Il Gruppo di Contatto per il Sahel (Piattaforma Bamako) ................................................ 64
o L’evoluzione dei rapporti dell’Unione Europea con Burkina Faso, Ciad, Mauritania e Niger ......................................................................................................................................... 65
Burkina Faso ...................................................................................................................... 65
Ciad ..................................................................................................................................... 66
Mauritania ........................................................................................................................... 68
Niger .................................................................................................................................... 71
o Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni e il Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa ............................................................................................................................... 73
CONCLUSIONI................................................................................................................................. 75
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................... 77
SITOGRAFIA .................................................................................................................................... 79
NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE .......................................................................... 82
7
SOMMARIO
Dopo una rigorosa definizione della regione del Sahel dal punto di vista geografico,
climatico, storico e antropologico, la ricerca mette in luce la preoccupante sovrapposizione
delle storiche criticità della regione con le nuove minacce che si sono venute sviluppando
nel corso dell’ultimo decennio. I cinque Stati saheliani oggetto di approfondimento sono
quelli del Sahel centro-occidentale: Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger.
La scelta è ricaduta intenzionalmente su questi Paesi, non soltanto perché rappresentano
l’embrione di una nuova organizzazione regionale – il G5-Sahel – con cui l’Unione
Europea ha deciso d’intrattenere un partenariato incoraggiante, ma anche perché la
presenza del terrorismo islamista, il massimo fattore destabilizzante dell’intero scacchiere,
si concentra esclusivamente in questa sub-regione, senza ledere, se non di riflesso, i
rimanenti Stati saheliani.
Al banditismo locale e ai traffici leciti e illeciti (stupefacenti, esseri umani, armi, ecc…), che
da sempre hanno caratterizzato le rotte del Sahara e del Sahel, da alcuni anni a questa
parte si è aggiunta l’introduzione del fondamentalismo islamico, mediato dall’arrivo
d’ideologie integraliste provenienti dal Medio Oriente in generale e dal Golfo Persico in
particolare, le quali mirano a radicalizzare un Islam invece tradizionalmente tollerante e
aperto presente in tutta la macroregione dell’Africa Occidentale e del Sahel, minando le
fondamenta di società fragili e d’istituzioni politiche deboli.
La conflittualità di matrice medio-orientale ha aperto un nuovo fronte, polarizzandosi lungo
il 16° Parallelo Nord, allo scopo di consolidare una zona franca terroristica tra Africa
Mediterranea e Africa Sub-Sahariana.
A partire dal 2007 lo scacchiere in oggetto ha visto agire quasi indisturbati una pletora di
Attori Non-Statali, denominati Movimenti Associati al Al Qaida (MAAQ) ossia: Al Qaida nel
Maghreb Islamico (AQMI), nota anche come Al Qaida in Africa Occidentale (AQWA), Al-
Mourabitun, Ansardine, Il Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale noto
anche come Movimento Monoteista per il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO), il Fronte di
Liberazione di Macina (FLM), Boko Haram, e l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in
Africa Nera (ANSARU).
Si tratta di sigle terroristiche legatesi in un primo momento ad Al Qaida e ora in parte più
prossime al Daesh. In realtà è in corso uno scontro intestino foriero di scissioni interne fra i
MAAQ tanto nel Sahel quanto fra gli Shebaab somali. Fa eccezione Boko Haram in
Nigeria, il quale invece chiese e ottenne nel 2015 il riconoscimento da parte del Daesh,
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divenendo così ufficialmente la prima e unica organizzazione terroristica africana che ne
faccia esplicito riferimento.
L’arco d’instabilità conseguente coincide interamente con il Sahel: parte dall’Oceano
Atlantico, passa per l’Africa Centrale e per il Golfo di Guinea, fino a congiungersi con il
Corno d’Africa Allargato ovvero fino all’Oceano Indiano, pressoché senza soluzione di
continuità.
Lo spillover della caduta del regime libico di Gheddafi ha provocato un’accelerazione delle
crisi prima latenti nei Paesi del Sahara e del Sahel, con il concreto rischio di trasformarsi
nell’epicentro dello scontro seppure con scopi localistici cioè più legati a dinamiche
politiche interne che latori di prospettive e aspirazioni globali. In questo senso si propone
la lettura della crisi maliana, che, antesignana di scenari geopolitici pericolosamente
ripetibili in tutto lo scacchiere, ha messo in scena tutti gli aspetti caratterizzanti le criticità
dell’area: sottosviluppo, disoccupazione giovanile, irredentismi e rivendicazioni territoriali
su base etnica e debolezza delle istituzioni. Il caso della dichiarazione d’indipendenza nel
2012 da parte dei movimenti di liberazione tuareg, alleatisi a tal proposito con i
fondamentalisti dei MAAQ, del sedicente Stato dell’Azawad, corrispondente alle regioni
settentrionali del Paese, il golpe, il conseguente conflitto intra-statale, l’intervento militare
francese con l’Operazione Servalo, il dispiegamento di una missione di peacekeeping
dell’ONU (MINUSMA), il rientro nell’alveo democratico per mezzo di elezioni libere con
osservatori internazionali, il difficile dialogo politico con gli indipendentisti del nord, il
debole accordo di pace, la perdurante situazione d’insicurezza che si diffonde a macchia
d’olio anche nelle regioni meridionali inizialmente non toccate dalla crisi, a causa del
diffondersi del terrorismo di matrice islamica, sono tutti elementi paradigmatici della
tipologia di rischio che anche gli altri Stati saheliani corrono, a meno di una risposta
concertata, di respiro regionale e multidimensionale alle rispettive crisi nazionali.
La seppur tarda reazione alla crisi sahelo-sahariana da parte della comunità
internazionale si sta comunque esprimendo attraverso iniziative di dimensione nazionale
(singoli Stati), regionale (organizzazioni regionali e iniziative ad hoc), continentale e
globale (organismi internazionali e intergovernativi competenti).
Agli inizi del Duemila due iniziative ebbero una buona riuscita – la Pan Sahel Initiative e la
Trans-Saharan Counter-Terrorism Initiative – finalizzate al rafforzamento delle capacità
delle forze di sicurezza di Mali, Mauritania, Ciad e Niger in una prima fase e in una
successiva anche di Algeria, Burkina Faso, Marocco, Nigeria, Senegal e Tunisia.
Un’altra interessante iniziativa di carattere regionale è stato il Processo di Tamanrasset,
voluto da Algeria, Mali, Mauritania e Niger, costituito da un Quartier Generale Operativo
9
Congiunto degli Stati Maggiori (Joint Military Command – JMC) e da un Centro di
Intelligence sul Sahel, al fine di coordinare la raccolta delle informazioni, per arginare il
terrorismo e il crimine transnazionale nella regione saheliana, ma le rivalità nazionali degli
Stati promotori non hanno prodotto ancora risultati soddisfacenti.
Nel secondo decennio del Duemila, a causa del rapido peggioramento della situazione,
una ulteriore pletora di attori si sono conseguentemente impegnati a seguirne sempre più
attentamente l’evoluzione, dando vita a iniziative nuove e a specifici ruoli, spesso
pianificando altrettante strategie per la gestione delle crisi, la stabilizzazione e lo sviluppo
socio-economico del Sahel: le Nazioni Unite, l’Unione Europea (UE), l’Unione Africana
(UA), il Gruppo di Contatto della Piattaforma Bamako, il Ministero degli Esteri italiano con
la figura dell’Inviato Speciale per il Sahel e l’apertura dell’Ambasciata in Niger, la Banca
Africana di Sviluppo, la Banca Islamica di Sviluppo, la Banca Mondiale, la Comunità
Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS), la Comunità degli
Stati del Sahel e del Sahara (CEN-SAD), il G5-Sahel, l’Organizzazione della
Cooperazione Islamica, l’Organizzazione Internazionale della Francofonia, l’Unione del
Maghreb Arabo (UMA-AMU), la Danimarca, gli Stati Uniti e la Francia. Il gran numero
esistente di strategie per il Sahel in sé però non necessariamente né immediatamente
conduce ai risultati attesi, poiché l’interazione e il coordinamento fra esse non sono ancora
ottimali.
L’Italia ha ricoperto un ruolo chiave durante il momento più acuto della crisi maliana,
allorché Romano Prodi fu nominato Inviato Speciale del Segretario Generale dell’ONU per
il Sahel (ottobre 2012 – gennaio 2014). La finalità era di raccogliere il consenso degli
stakeholder nella più ampia implementazione della strategia integrata regionale per il
Sahel dell’ONU, privilegiando gli aspetti legati alla sicurezza, alla governance, all’aiuto
umanitario e allo sviluppo. Durante il suo incarico Prodi si spese alacremente, affinché una
visione strategica di lungo periodo attecchisse presso la comunità internazionale sensibile
alla causa dello sviluppo sostenibile del Sahel attraverso l’implementazione della sua idea
di un Fondo Globale per il Sahel.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, la sua Strategia per il Sahel (2011) e il relativo
Piano d’Azione (2015-2020) sono la base di ogni altra azione intrapresa da Bruxelles nella
regione. La Strategia dell’Unione Europea si declina secondo quattro linee
programmatiche: sviluppo, buon governo e risoluzione dei conflitti interni; azioni politiche e
diplomatiche; sicurezza e Stato di diritto; contrasto dell’estremismo violento e dei fenomeni
di radicalizzazione.
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Parallelamente a questo l’UE nel 2013 ha istituito la figura del Rappresentante Speciale
dell’UE per il Sahel (RSUE), e avviato tre missioni nell’ambito della Politica di Sicurezza e
di Difesa Comune (PSDC) e cioè dal 2012 l’EUCAP Sahel Niger con l’obiettivo di
combattere il terrorismo e la criminalità organizzata; dal 2015 l’EUCAP Sahel Mali, allo
scopo di sostenere le forze di sicurezza interne del Mali nel garantire l’ordine
costituzionale e democratico, mettendo in atto le condizioni per una pace duratura e il
mantenimento del controllo territoriale da parte dello Stato; dal 2013 la missione di
formazione EUTM Mali finalizzata alla ricostruzione delle Forze Armate del Mali, così da
soddisfare le loro esigenze operative, di comando e controllo e di logistica.
L’annosa ricerca e la difficoltosa individuazione per Bruxelles di un interlocutore regionale
affidabile, con cui intessere un dialogo politico di alto livello, è finalmente sfociata
nell’identificazione del gruppo regionale G5-Sahel (formalizzatosi a dicembre 2014 e
composto da Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad), in breve tempo divenuto
l’attore principale per la realizzazione dei programmi strategici europei nel Sahel.
Il Partenariato rafforzato EU–G5-Sahel è destinato a essere per i prossimi anni il luogo
d’eccellenza per l’implementazione delle linee d’indirizzo euro-africane a proposito del
crisis management nel Sahel. Aver preferito il relazionarsi a un gruppo di Paesi, anziché
dedicarsi esclusivamente ai rapporti bilaterali con i singoli Stati coinvolti, dimostra
l’esigenza di un dialogo assai articolato sotto il profilo della sicurezza e dello sviluppo, che
solo una risposta di portata regionale può assicurare almeno nelle intenzioni.
È crescente l’interesse internazionale per un’area che fino a pochi anni fa era considerata
geopoliticamente marginale e strategicamente insignificante, che sta entrando sempre più
nell’agenda dei key player internazionali, fra cui l’Europa e l’Italia. La scommessa di lungo
termine è che lo scacchiere latore di crisi croniche più prossimo all’Europa, articolato da
nord a sud lungo l’asse strategico euro-africano che attraversa il Sahel, il Sahara, il
Maghreb e il Mediterraneo, grazie alle iniziative di stabilizzazione prima e di sviluppo poi,
possa trasformarsi presto in un asset strategico senza discontinuità ovvero in
un’opportunità reciproca per l’Italia, l’Africa e l’Europa.
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ABSTRACT
After a rigorous definition of the Sahel region from the geographical, climatic, historical and
anthropological point of view, the research highlights the worrying overlap of ancestral
criticalities of the region along with the new threats that have developed over the last
decade. The five Sahelian countries being examined are those of Central-Western Sahel:
Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania and Niger. The choice falls intentionally on these
States, not only because they represent a new regional organization in its early stages (i.e.
the G5-Sahel), which the European Union has decided to entertain a promising
partnership with, but also because the presence of Islamist terrorism that is the most
destabilizing factor across the whole area is exclusively concentrated in such sub-region,
without affecting, if not indirectly, the neighbouring Sahelian countries.
To local banditry and legal and illicit trafficking (drugs, human beings, weapons, etc.),
which have always characterized the routes of the Sahara and the Sahel, most recently
Islamist radicalization has been spreading all over, mediated by the arrival of hardliner
ideologies in general from the Middle East and in particular from the Persian Gulf, which
are intended to radicalize a rather traditionally open and tolerant Islam present throughout
the macro-region of West Africa and the Sahel, thus undermining the foundations of still
fragile societies and weak political institutions of the area.
Hence, the Middle East state of conflict has opened a new front, polarized along the 16th
Parallel North, in order to consolidate a terrorist enclave between Mediterranean Africa
and Sub-Saharan Africa.
Since 2007, a plethora of Non-State Actors (NSAs), labelled as Al Qaeda Associates
Movements (AQAM), has been going almost undisturbed across the Sahel, namely:
Al Qaida in the Islamic Maghreb (AQIM), also known as Al Qaeda in West Africa (AQWA),
Al-Mourabitoun, Ansar Dine, the Movement for Oneness and Jihad in West Africa
(MOJWA), also known as the Movement for Unity and Jihad in West Africa (MUJWA), the
Macina Liberation Front (FLM), Boko Haram, and the Vanguard for the Protection of
Muslims in Black Africa (ANSARU). All of them are terrorist groups that at first had linked
to Al Qaeda and now are partly closer to the Daesh. Actually, several inner divisions occur,
harbinger of further internal splits among the AQAMs in the Sahel and the Shebaab in
Somalia as well.
The only exception is that of Nigerian Boko Haram, which instead, in 2015, has officially
pledged allegiance with the Daesh, making it the first and only African terrorist
organization making explicit reference to it.
12
The resulting arc of instability coincides entirely with the Sahel strip, starting from the
Atlantic Ocean, through the Gulf of Guinea and Central Africa, until it joins with the Great
Horn of Africa, which means until the Indian Ocean’s shore, virtually seamless.
The spillover of the fall of Gaddafi’s Libyan regime has accelerated the break-up of the
until then only latent crisis in the Sahel-Saharan countries, with a real risk of becoming the
epicentre of the conflict although with localist purposes that is more related to internal
political dynamics, rather than portraying global aspirations. According to this reading, the
Malian crisis it is presented as the forerunner of dangerously repeatable geopolitical
scenarios throughout the zone, having performed all the factors of such critical area:
underdevelopment, youth unemployment, irredentism and territorial claims based on
ethnicity and weak institutions. The following circumstances have revealed the
paradigmatic risks that are likely to be run by other Sahelian countries, unless a
coordinated, regional and multi-dimensional response to their dormant and potential crisis
is not provided in due course: in 2012, some Tuareg liberation movements had self-
proclaimed the State of the Azawad, corresponding to the northern regions of Mali, having
allied in that regard with the fundamentalists to achieve their goal; the resulting intra-state
conflict together with the coup d’état, the consequent French military intervention by
means of the Operation Serval to stem the outbreak, the deployment of a UN
peacekeeping mission (MINUSMA), the return to democratic through free and fair
elections internationally monitored, the difficult political dialogue with the north separatists,
the later weak peace agreement, the continuing lack of security that is spreading like
wildfire in the southern regions not previously affected by the crisis provoked by the
terrorism.
The albeit late reaction to the Sahel-Saharan crisis by the international community is
carried out through a number of initiatives at national (States), regional (regional
organizations and ad hoc initiatives), continental and global (international and
intergovernmental organizations) levels.
During the first decade of the millennium, the more visible programmes were those of US
on the one hand, the Pan Sahel Initiative and the Trans-Saharan Counter-Terrorism
Initiative, and on the other a regional one, the Tamanrasset Process. The former were
aimed at strengthening the capacity of security forces of Mali, Mauritania, Chad and Niger
in the first phase and the second also of Algeria, Burkina Faso, Morocco, Nigeria, Senegal
and Tunisia.
The latter, commissioned by Algeria, Mali, Mauritania and Niger, was made of a Joint
Military Command (JMC) and an Intelligence Centre on the Sahel, in order to coordinate
13
the collection of information, to stem terrorism and transnational crime over the Sahelian
region, but national member States rivalries have not produced tangible nor effective
results so far.
In the second decade of the millennium, due to the rapid deterioration of the situation,
several actors have committed themselves to follow more closely its evolution, giving birth
to new initiatives and specific roles, through many strategies oriented to the crisis
management, the stabilization and the socio-economic development of the Sahel: the
United Nations (UN), the European Union (EU), the African Union (AU), the Contact Group
of the Bamako Platform, the Italian Ministry of Foreign Affairs with its Special Envoy for the
Sahel and the opening of the new Embassy in Niger, the African Development Bank, the
Islamic Development Bank, the World Bank, the Economic Community of West African
States (ECOWAS), the Community of Sahel-Saharan States (CEN-SAD), the G5-Sahel,
the Organization of Islamic Cooperation, the International Organisation of La
Francophonie, the Arab Maghreb Union (AMU), Denmark, the United States and France.
Yet, the large number of existing strategies dedicated to the Sahel, in itself does not
necessarily nor immediately leads to the expected results, since the interaction and the
coordination between them is not yet optimal.
Particularly, Italy has played a key role during the most acute moment of the Malian crisis,
when Romano Prodi was appointed Special Envoy of the UN Secretary-General for the
Sahel (October 2012 – January 2014). The purpose was to obtain the stakeholders
consent in the wider implementation of the United Nations regional integrated strategy for
the Sahel, mainly focusing on aspects related to security, governance, humanitarian aid
and development. During his assignment, Prodi promoted a strategic long-term vision take
root especially within that part of the international community more easily moved to the
cause of sustainable development in the Sahel through the implementation of his idea of a
Global Fund for the Sahel.
As for the European Union, the EU Strategy for the Sahel (2011) and its Regional Action
Plan (2015-2020) are the basis for all further actions undertaken by Brussels. Actually, the
European Union Strategy is declined according to four pillars: development, good
governance and internal conflict resolution; political and diplomatic actions; security and
rule of law; contrast of violent extremism and radicalization.
Parallel to this, the EU in 2013 has set up the position of the EU Special Representative
(EUSR) for the Sahel, and launched three missions under the Common Security and
Defence Policy (CSDP): since 2012, the EUCAP Sahel Niger, in order to combat terrorism
and organized crime; since 2015, the EUCAP Sahel Mali, in order to support the internal
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security forces of Mali by ensuring the constitutional and democratic order and putting in
place the conditions for a lasting peace and the maintenance of territorial control by the
State; since 2013, the training mission EUTM Mali, aimed at rebuilding the Armed Forces
of Mali, as well as to meet their operational needs, in terms of command and control and
logistics too.
The long-standing search for Brussels of a reliable regional partner in the Sahel, with
which to develop a high-level political dialogue, has finally resulted in the identification of
the regional group named G5-Sahel (born in December 2014 with Burkina Faso, Chad,
Mali, Mauritania and Niger) that has rapidly become the core regional actor for the
realization of the European strategic objectives in the area. The EU-G5-Sahel
strengthened partnership is meant to be for the next coming years the place of excellence
for the implementation of the Euro-African guidelines about the crisis management in the
Sahel. The choice of relating to a group of countries, rather than exclusively giving room to
bilateral relations with pertinent individual countries, demonstrates the need for the
establishment of a much more structured dialogue with an appropriate interlocutor in terms
of security and development that, at least in theory, only a region-wide response
stakeholder can ensure.
As a matter of fact, the international interest for the Sahel is growing, an area which until a
few years ago was considered geopolitically marginal and strategically insignificant. On the
contrary, it is entering more and more on key international players’ agenda, including
Europe and Italy. The long-term gamble for Europe to be taken is that the closest theatre
to its shore delivering chronic and persistent crisis, structured from north to south along the
Euro-African Strategic Axis – crossing the Sahel, the Sahara, the Maghreb and the
Mediterranean – through the necessary stabilization and development initiatives, with no
discontinuities or in a mutual opportunity for Italy, Africa and Europe will soon turn into a
Euro-African Strategic Asset.
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CAPITOLO 1
Il Sahel
Lungo oltre cinquemila chilometri e largo mille il Sahel è un territorio semi-arido di
transizione bio-geografica ed eco-climatico, delimitato a Nord dal deserto del Sahara e a
Sud dalla Savana. La parola araba sahil significa letteralmente costa, perché descrive per
analogia la vegetazione della savana in cui ci si imbatte subito a ridosso dei limiti delle
sabbie sahariane. La fascia saheliana, estendendosi dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso,
dove ha per estremi le Isole di Capo Verde ad Ovest e l’Eritrea ed il Sudan ad Est,
attraversa Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria e Ciad.
Il Sahel
16
Distante dall’Italia solamente duemila chilometri in linea d’aria, la fascia del Sahel è una
zona di confine fra il deserto settentrionale e la savana meridionale e coincide
simbolicamente e culturalmente con la African Belt, cioè con quell’incolmabile solco
identitario tra Africa Bianca e Africa Nera ovvero tra le popolazioni arabe e berbere
islamiche sunnite (pastori nomadi) da un lato e quelle africane nere islamiche sufi
(agricoltori stanziali) dall’altro.
L’economia saheliana è di sussistenza e si basa sull’allevamento e sull’agricoltura, ma la
desertificazione in atto condiziona la vita nella regione sovente stretta tra carestie,
ricorrenti crisi alimentari e malnutrizione. Sono notevoli le risorse minerarie a cavallo tra
Sahel e Sahara, come ad esempio le miniere del Air in Niger e del Adrar degli Ifoghas in
Mali, ambedue territori tuareg, lo sfruttamento delle quali è sempre stato cagione di
tensioni.
Storicamente il Sahel fu il centro dei grandi regni saheliani dell’Africa Occidentale, quali
l’Impero di Kanem, l’Impero del Ghana o Wagadou, l’Impero del Mali, l’Impero Wolof,
l’Impero Songhai, i Regni dei Mossi, il Sultananto del Darfur, l’Impero Wassalou o
Mandinka, il Sultanato di Sennar, l’Impero Wadai, l’Impero Kaabu, Il Regno Denanke,
l’Impero Bornu e l’Impero Bambara o Bamana o di Ségou.
Contribuiscono inoltre alla precarietà e all’impoverimento del Sahel dal punto di vista
politico-istituzionale la Fragility & Failure, poiché le regioni sahariane e saheliane sono
quelle dove minore è la capacità di controllo del territorio da parte delle autorità centrali.
In effetti le più recenti conflittualità africane manifestatesi nel resto del Continente
insistono sulla fragilità delle frontiere e sulla fatica di alcuni Governi centrali a esercitare la
propria sovranità su importanti fette di territorio, che, lasciate in balìa degli eventi,
diventano oggetto d’interesse di Attori Non Statali (Non-State Actors – NSAs) sempre più
interessati, per la propria sopravvivenza e agenda politica, a legarsi al terrorismo
internazionale. Proprio questa è stata l’astuzia dei qaidisti, i quali hanno saputo
approfittare della liminarità di queste regioni e del conseguente abbandono da parte dei
rispettivi Governi, per introdurvisi pervicacemente. Infatti dal 2007 nel Sahel e in
particolare nel Mali settentrionale è stabile la presenza di Al Qaeda nel Maghreb Islamico
(AQMI) e di altre sigle collegate, che, facendo dell’ubiquità in questa zona grigia la sua
migliore arma, è riuscita a trapiantarsi in luoghi che le sarebbero stati alieni, qualora fosse
stata posta per tempo, da parte della comunità internazionale, l’attenzione necessaria allo
sviluppo del Sahel mediante le opportune misure di Nation Building, in grado di garantire
una risposta multipla per la pace e la sicurezza a livello nazionale, regionale, continentale,
internazionale e transnazionale.
17
L’Europa e l’Italia temono a ragione la crescente insicurezza sviluppatasi nella banda
sahelo-sahariana mediante i tentativi di destabilizzazione nel Sahel soprattutto per mano
dei terroristi filoqaidisti o pro-Daesh. Questa subregione si è repentinamente trasformata
nell’epicentro delle crisi di tutta la macroregione comprendente l’Africa Settentrionale e
l’Africa Occidentale fino al Golfo di Guinea, a causa del diffondersi e del radicarsi del
terrorismo e dei traffici illeciti nonché della loro crescente interdipendenza, favorendo e
rendendo almeno inizialmente coese diverse organizzazioni criminali, molte delle quali
riconducibili ad Al Qaida nelle terre del Maghreb Islamico (AQMI), così da destabilizzare i
precari equilibri interni dei Paesi dell’area e le delicate, quanto decisive, transizioni
democratiche avviate in parte anche dalle primavere arabe come in Tunisia ad esempio.
L’Africa Occidentale quale hub dei traffici illeciti verso l’Europa
L’Africa Occidentale
L’Africa Occidentale e il Sahel sono aree geopoliticamente diverse, le quali tuttavia per
molta parte si sovrappongono strategicamente l’una con l’altra, evidenziando per un verso
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lo strettissimo rapporto tra la discontinuità insieme antropologico-culturale e ambientale e
per l’altro l’innegabile prossimità geografica esistente tra il Sahel e i restanti Paesi
dell’Africa Occidentale che si trovano al di sotto di questo. Inoltre occorre distinguere
l’Africa Occidentale geografica da quella economico-politica, che coincide con la Comunità
Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS-CEDEAO) 1 seppure con qualche
eccezione. Infatti se la Mauritania, pur avendo contribuito in un primo momento alla sua
costituzione, preferì poi ritirarsi dalla CEDEAO, in quanto si percepisce più come un Paese
arabo che come uno Stato africano strictu sensu, anche il Camerun, ubicato più in Africa
Occidentale che in Africa Centrale, non fa tuttavia parte della CEDEAO, bensì della
Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC-ECCAS). Ancora, gli Stati
Uniti da un punto di vista strategico usano distinguere la regione saheliana dell’Africa
Occidentale (Burkina Faso, Capo Verde, Ciad, Gambia, Mali, Mauritania, Niger e Senegal)
da quella dei Paesi rivieraschi del Golfo di Guinea a sud (Guinea-Bissau, Guinea, Sierra
Leone, Liberia, Costa D’Avorio, Ghana, Togo e Benin). Ad ogni modo non possono non
darsi sovrapposizioni d’appartenenza, principalmente a causa dell’arbitrarietà sottostante
la delimitazione dei confini e la demarcazione delle frontiere in Africa, sulle quali si sono
venuti edificando i successivi raggruppamenti sub-regionali, rappresentati dalle Comunità
Econcomche Regionali (RECs).
1 La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO-ECOWAS) è una delle otto Comunità
Economiche Regionali (RECs) riconosciute dall’Unione Africana (UA). È dotata di una piena capacità d’intervento politico e militare (vedasi in particolare la Commissione affari politici, pace e sicurezza), che potenzialmente ha le capacità per intervenire con il dispiegamento della propria forza d’intervento regionale, l’Ecowas Standby Force (ESF). Infatti ai sensi dell’Articolo 45 dei Protocolli Addizionali sulla Democrazia e la Good Governance, la CEDEAO
non può restare impassibile, ma deve sempre fornire una risposta adeguata alle crisi derivanti da cambiamenti non costituzionali dei governi degli Stati membri.
19
La CEDEAO
Ebbene durante gli ultimi quindici anni il Sahel e l’Africa Occidentale sono diventati il
centro di smistamento dei traffici clandestini e il cuore del network terroristico
fondamentalista. I proventi dei traffici illeciti (migranti, droga, armi, sostanze tossiche,
automobili rubate, sigarette, ecc…), sovente subappaltati al banditismo locale, e i generosi
riscatti elargiti dai Governi europei, per ottenere il rilascio dei loro cittadini vittime di
rapimenti, perlopiù concentrati nel Sahel centro-occidentale, costituiscono fondamentali
fonti di finanziamento per il terrorismo.
Le nuove rotte della droga che incrociano questi territori destano particolare
preoccupazione, anche perché accrescono il consumo e l’assuefazione alle sostanze
stupefacenti nei territori che attraversano, prima di giungere alla destinazione finale,
contribuendo così alla destrutturazione delle società del Sahel e dell’Africa Occidentale già
gravate dal sottosviluppo e dall’impoverimento endemico: l’eroina prodotta in Asia arriva in
Europa attraverso la Somalia e il Sahel, mentre la cocaina, proveniente dal Venezuela o
dalla Colombia, segue la rotta transatlantica occidentale, che, giungendo in Guinea-
20
Bissau, attraversa la Mauritania e il Marocco, prima di essere smerciata nei mercati
europei.
Parallelamente a questa traiettoria se ne è aperta una seconda, per cui piccoli aeroplani2
carichi di droga, sempre provenienti dal Sudamerica, atterrano oramai direttamente in
piste di fortuna nel Sahel, spesso in territorio maliano oppure a Nema, nella Mauritania
sud-orientale ai confini con lo stesso Mali.
La polarizzazione della conflittualità lungo il 16°Parallelo Nord
Il Sahara e il Sahel
I movimenti legati ad Al Qaida e al Daesh stanno concentrando la propria capacità di
proiezione tattica nel Sahara e nel Sahel, territori fra i più difficilmente gestibili del pianeta
per dimensioni e condizioni climatiche.
2 Molto noto fu il caso del cosiddetto Avion Cocaine, per cui nel novembre 2009 un Boeing 727-200, adoperato dai
narcotrafficanti, precipitò durante la fase di decollo nei pressi della città di Tarkint, nel Mali settentrionale. L’aeromobile, che effettuava voli tra la Colombia e il Mali con equipaggio nigeriano, era immatricolato in Arabia Saudita, ma noleggiato in Venezuela e con una licenza scaduta registrata a Bissau.
21
Il tentativo di polarizzazione in corso è l’apertura di un fronte meridionale della conflittualità
mediorientale lungo una direttrice sud-nord, che è particolarmente preoccupante per l’Italia
e l’Europa. Anche alla luce delle repentine trasformazioni avvenute nei Paesi arabi, è
auspicabile che l’Africa Occidentale, il Golfo di Guinea e il Sahel nelle loro rispettive
sovrapposizioni politiche e strategiche siano considerate in maniera più incisiva e con una
prospettiva di lungo periodo sia da Roma sia da Bruxelles. In questo senso occorre
assicurare una formazione continuativa e costante sotto forma di capacity building delle
forze messe in campo dagli Organismi subregionali, regionali e continentali – G5-Sahel3,
CEDEAO e Unione Africana – e del loro supporto e nello stesso tempo investire in
maniera nuova, autentica e trasformativa nei processi di democratizzazione dei Paesi
della subregione, approfittando del clima di cambiamento che le società civili africane
interessate intendono manifestare. Difatti non è più il tempo di portare avanti una desueta
politica del divide et impera, che poteva essere ancora concepibile ai tempi della Guerra
Fredda, che non intenda lasciare alcuno spazio all’ownership4 africana. Non è casuale che
il Coordinatore del Controterrorismo del Consiglio dell’Unione Europea, Gilles De
Kerchove 5 , sostenga che l’UE debba investire in formazione e nella creazione di
alternative praticabili alla crescente filiera criminale nel Sahel, la quale basa tra l’altro la
propria legittimazione nel risentimento inespresso degli abitanti e delle etnie locali.
La conflittualità d’origine mediorientale, spostandosi verso sud-ovest cioè dall’Asia
all’Africa, ha trovato un suo nuovo epicentro nel Sahel, dove l’apertura di un inedito fronte
di amplissimo raggio reca con sé conseguenze imprevedibili. Da tale inedita
polarizzazione della conflittualità lungo il 16° Parallelo Nord, che coincide con la fascia
saheliana, in un gioco di azione-reazione, è oramai in corso uno stravolgimento della
geopolitica regionale, allo scopo di evitare il consolidamento di una zona franca terroristica
tra Africa Mediterranea e Africa Sub-Sahariana.
Di fronte alla crescente influenza di Al Qaida nel Sahara e nel Sahel gli Stati Uniti hanno
inizialmente collaborato principalmente con Algeri, peraltro nettamente contraria alla
propensione dei Governi europei di cedere alle richieste qaidiste per la liberazione dei loro
ostaggi, e oggi sono più direttamente coinvolti con operazioni negli Stati saheliani.
È risaputo che l’Algeria, il vero convitato di pietra dello scacchiere, si percepisca sempre
più accerchiata dalle manovre della comunità internazionale, e quindi costretta a
intervenire nell’area.
3 Infra. 4 Ownership: spetta alle autorità degli Stati africani individuare le priorità d’intervento e le modalità secondo cui
conseguirle, esercitando così appieno la propria sovranità su tutto il territorio nazionale. 5 Nel 2007 Bruxelles ha nominato Coordinatore del Controterrorismo del Consiglio dell’Unione Europea il francese
Gilles De Kerchove.
22
La creazione nel 2007 del comando americano per il continente africano (AFRICOM)
dimostra il nuovo valore strategico dell’Africa per Washington, motivato dell’espansione
del terrorismo, della presenza cinese e della sicurezza per gli approvvigionamenti
energetici in Africa. Per quanto concerne il Sahel e il Sahara gli USA, aldilà delle attività
classificate, dei sorvoli e delle operazioni mirate con droni, realizzarono due specifici
programmi di grande visibilità: la Pan Sahel Initiative (PSI) e la Trans-Saharan Counter-
Terrorism Initiative (TSCTI), entrambe finalizzate al rafforzamento delle capacità delle
forze di sicurezza di Mali, Mauritania, Ciad e Niger in una prima fase e successivamente
anche di Algeria, Burkina Faso, Marocco, Nigeria, Senegal e Tunisia.
La lotta al terrorismo da parte di Washington nel Sahel e nel Sahara è realizzata quindi
attraverso operazioni militari dirette e l’addestramento delle forze di sicurezza, come nel
caso delle esercitazioni Flintlock 10 in Burkina Faso, con addestramenti tattici condotti
anche in Senegal, Mali, Mauritania e Nigeria.
23
La CEN-SAD
La spregiudicata autonomia finanziaria ed economica dell’ingombrante politica del regime
libico di Gheddafi e la sua disinvoltura mal si adattavano alle concorrenziali pretese
egemoniche sul resto dell’Africa di altri player. Prove dell’attivismo libico a livello
continentale sono state il robusto sostegno politico e finanziario a numerosi regimi africani
e, nel 2009, la Presidenza di turno dell’Unione Africana, Organizzazione che veniva
finanziata profusamente dalle casse libiche nonché l’inarrestabile ruolo di leadership
regionale esercitato mediante il controllo da parte di Gheddafi dell’organizzazione
regionale CEN-SAD – Comunità degli Stati Sahelo-Sahariani 6 – ruolo peraltro manifestato
6 Cfr. www.censad.org - La Comunità degli Stati Sahelo-Sahariani si propone come obiettivo di operare in piena
collaborazione con le altre organizzazioni economiche regionali e con l’Unione Africana, per rafforzare la pace, la stabilità e la sicurezza dell’area e promuovere lo sviluppo economico e sociale dei Paesi membri. La CEN-SAD è stata istituita nel febbraio 1998 a seguito di un’apposita Conferenza istitutiva tenutasi a Tripoli. Ne sono Stati parte: Benin, Burkina Faso, (Capo Verde), Ciad, Comore, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Gibuti, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, (Guinea Equatoriale), Kenya, Liberia, Libia, Mali, Marocco, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo (RDC), São Tomé e Príncipe, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Togo e Tunisia. Per raggiungere gli obiettivi di fondo, la Comunità (sarebbe meglio che la nota fosse tutta nella pagina precedente) intende creare un’unione economica molto stretta, attiva nei settori agricolo, industriale, culturale, sociale e dell’energia; eliminare tutti gli ostacoli che impediscono la libera circolazione di beni, capitali e persone, il commercio estero e gli investimenti e favorire invece le comunicazioni, i trasporti e la creazione di infrastrutture. Sono Organi della Comunità: la Conferenza dei Capi di Stato dei Paesi membri; il Consiglio Esecutivo; il Segretariato Generale; la Banca sahelo-sahariana (costituita con capitali libici) per l’investimento e il commercio e infine il Consiglio Economico, Sociale e Culturale. La CEN-SAD si riunisce una volta all’anno in seduta ordinaria o, straordinariamente, su richiesta del Presidente di turno della Conferenza dei Capi di Stato.
24
grazie anche alle sue mediazioni in diverse aree di crisi nel Sahel, come in Mali, in Ciad-
Sudan, in Mauritania e in Darfur negli Anni Novanta. Non sorprende pertanto la
destabilizzazione della Libia favorita da interessi esterni al Paese. Lo spillover della caduta
del regime libico di Gheddafi e la conseguente acquisizione di parte del suo arsenale dal
jihadismo globale, ha provocato un’accelerazione alle crisi prima latenti nei Paesi del
Sahara e del Sahel, trasformandosi in un nuovo santuario per l’internazionale islamista.
Una delle preoccupazioni maggiori della comunità internazionale è che prenda forma un
nuovo fronte unico lungo l’arco dell’instabilità della faglia sahelo-sahariana, in grado di
elevarne il livello della minaccia, soprattutto se l’ISIS libico7 si legasse alla setta islamista
di Boko Haram, con l’obiettivo teorico di creare una continuità territoriale fra il Nord-Est
nigeriano e il Sud libico gestita da attori non-statali jihadisti, sulla falsariga di quanto già
accaduto in Medio Oriente tra Siria e Iraq con il Daesh. Una delle principali minacce
provenienti dalla Libia meridionale è proprio il Fezzan in generale e il sud-ovest della Libia
in particolare, confinante con il Niger e il Ciad, una sorta di territorio solo in apparenza di
nessuno, dal momento che invece i traffici illeciti di quest’area sono oggetto della rivalità
fra i Tebou e i Tuareg. Peraltro dopo Boko Haram in Nigeria anche il Corno d’Africa vede
farsi avanti i primi accoliti pro Daesh: Al Shebaab non è stato sconfitto e continua a
finanziarsi attraverso il terrorismo internazionale, con esazioni e taglieggi locali non solo
nelle campagne, ma anche nelle città. In particolare dal 2016 è operativo un nuovo gruppo
jihadista somalo, con basi di addestramento probabilmente nel Puntland, che ha
commesso un primo attacco contro le truppe della Missione dell’Unione Africana in
Somalia (AMISOM): si tratta del Fronte dell’Africa Orientale (Jahba East Africa), un’ala
scissionista degli Shebaab somali contraria all’allineamento con Al Qaida e vicina al
Daesh.
7 Lo Stato Islamico in Libia è una formazione capeggiata da Abu al-Mughirah al-Qahtani, che disporrebbe di circa
cinquemila uomini.
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CAPITOLO 2
I principali Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ)8 e al Daesh nel Sahel e in Africa
Occidentale
Il radicalismo o fondamentalismo islamico affonda le sue radici tanto nel salafismo, con la
pretesa di ritornare all’autenticità originaria dell’Islam, quanto nel wahabismo saudita,
espressione anch’esso di una lettura ispirata alla purezza delle origini islamiche. Ambedue
le letture dell’Islam sono in contrasto con l’Islam moderato come pure con
l’occidentalizzazione delle culture e del mondo, di cui la globalizzazione è soltanto l’ultima
delle sue molteplici manifestazioni. Il wahabismo e il salafismo sono però completamente
estranei ai Paesi del Sahel, dove è in atto un tentativo di proselitismo, fondato su una
lenta penetrazione nel tessuto sociale delle popolazioni locali, volto alla legittimazione
della sua presenza altrimenti esogena, giacché l’Islam saheliano è di tipo sufi, dunque
particolarmente moderato. Relativamente agli obiettivi di Al Qaida in Africa i
fondamentalisti affermano che nessuna ideologia occidentale, di destra o di sinistra, potrà
mai consentire all’Islam di ritrovare la perduta grandezza e che il rinascimento arabo dovrà
necessariamente passare attraverso il ritorno all’identità religiosa delle origini ed alla
creazione di un’unica Umma dei fedeli, capace di federare un’unione panaraba senza
confini che non siano quelli della fede.
Nella regione sahelo-sahariana è stato fatale non aver prestato attenzione per tempo alle
latenti tensioni preesistenti, che rischiano sempre più di diventare il pretesto per
rivendicazioni separatiste il più delle volte velleitarie, con il pericolo della replicabilità in
Paesi vicini caratterizzati da somiglianze geopolitiche strutturali di questi fenomeni, tali da
assumere la forma di potenziali criticità regionali, quali ad esempio la frammentazione
sociale lungo l’asse del tribalismo e dell’opposizione fra laici/secolari e religiosi/fanatici da
un lato e il collasso dell’idea di Stato-Nazione dall’altro lato. In aggiunta è opportuno
riflettere sulla rilevante frammentazione politica e sociale esistente in tutto il Sahel tra le
popolazioni arabo-berbere del nord e quelle nere del sud lungo l’asse del tribalismo,
dell’etnicismo e dell’alienamento etnico reciproco.
In questa fase, pur mantenendo ai propri vertici solo algerini e mauritani, le varie sigle dei
Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) tendono a reclutare sempre più a sud presso
etnie musulmane non arabe, bensì africane, prima non incluse nel processo di
radicalizzazione, quali Peul, Songhai, Mossi e Bambara, solitamente in competizione fra
loro, ovverosia gruppi umani abitanti il Mali meridionale, il Niger, la Nigeria settentrionale e 8 AQ-Associated Movements (AQAM) / Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) è una sigla ombrello dei gruppi
affiliati ad Al Qaida e al Daesh operanti nel Sahara-Sahel.
26
il Burkina Faso. Si osserva un irradiamento delle ideologie provenienti dal Golfo Persico
attraverso il reclutamento che avviene senza particolari difficoltà presso chi, non avendo
nulla da perdere, è alla ricerca di alternative all’impoverimento e allo stato di abbandono in
cui è stato lasciato sopravvivere per colpa dell’assenza di adeguate politiche di sviluppo.
La diffusione a macchia d’olio di queste filiali a sud del Sahel nella savana tropicale, un
fatto nuovo e allarmante al tempo stesso, corrisponderebbe a una globalizzazione del
jihadismo africano, che però pare mantenere fermi i propri scopi di tipo locale secondo la
maggior parte degli analisti.
Al Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI)
Lo scopo finale di Al Qaida nel(le terre del) Maghreb Islamico (AQMI) o Al Qaeda in West
Africa (AQWA)9 è instaurare un califfato islamico dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso,
approfittando dell’inospitalità del Sahel e dall’inabitabilità del Sahara. AQMI è sorta come
emanazione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) algerino,
allorché tra la fine del 2006 e il 2007 l’emiro Abdelmalek Droukdel proclamò che avrebbe
inteso estendere il campo d’azione all’intero Maghreb, così da minacciare l’Europa e i suoi
interessi. Adesso in carcere in Algeria, Amari Saifi, altrimenti noto come Abderrazak El-
Parà, era stato l’anello di congiunzione tra il GSPC e Al Qaida. L’algerino Mokhtar
Belmokhtar, detto “Mister Marlboro” (dato per morto in un bombardamento nel novembre
2016 nella Libia meridionale), ha in seguito abbandonato AQMI, per diventare il leader di
Al- Mourabitun. Un altro importante capo di AQMI, Abou Zeid, rimase ucciso in uno
scontro con le forze militari francesi e ciadiane nel 2013 nel Mali settentrionale.
L’attuale leadership con circa duecento effettivi è esercitata dall’Emiro del Grande Sahara,
Yahya Abou Al Hammam. I componenti di AQMI contraggono matrimonio con le
popolazioni tuareg – berbere e non arabe – del Sahel, con la finalità ben precisa di
mescolarsi indissolubilmente ad esse, operando così una trasformazione ideologica e
antropologica ai propri fini. Questa strategia di lungo periodo sta cominciando a
dimostrarsi efficace, dal momento che il terrorismo trova terreno fertile, là dove non vi
siano alternative valide alle aspettative di libertà, futuro e sviluppo, che notoriamente nel
Sahel sono sempre state disattese. Si tratta della medesima situazione di quanto avviene
nella Nigeria settentrionale, dove sta imperversando Boko Haram.
AQMI nel Sahel è presente in Niger, Ciad, Mali e Mauritania, ma la rete terroristica sta
prendendo facilmente piede anche in Senegal. Più precisamente AQMI, che può compiere
9 Al Qaeda in West Africa (AQWA) è un’etichetta alternativa con cui talora AQMI si fa chiamare a sud del Maghreb.
L’attuale leadership con circa duecento effettivi è esercitata dall’Emiro del Grande Sahara, Yahya Abu al-Hammam.
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spostamenti rapidi per azioni mirate di sabotaggio, facendo peraltro uso di campi
d’addestramento mobili, suddivide le linee di comando, la logistica e il reclutamento in
quattro regioni: Algeria (regione centrale), Tunisia (regione orientale), Sahel/Mali
settentrionale (regione meridionale) e Mauritania (regione occidentale). L’espansione di
AQMI e del relativo proselitismo persegue una strategia articolata in due fasi: innanzitutto
un progressivo radicamento nel Sahel centro-occidentale e a seguire una graduale
estensione verso i Paesi immediatamente limitrofi, attraendovi flussi finanziari e attenzione
mediatica internazionale per la polarizzazione della conflittualità, destinata a crescere
anche in virtù degli sforzi operati da alcuni Paesi occidentali per la stabilizzazione
dell’area.
Al-Mourabitun
Al- Mourabitun (Le Sentinelle) è una sigla terroristica di circa duecento uomini, guidata da
Abu Bakr al-Masri e dal terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar, ex leader di AQMI,
risultato della fusione nel 2013 tra il MUJAO e la “Brigata dei Firmatari col Sangue” (Katiba
al Mulathamin), che, come AQMI del resto, si prefigge l’obiettivo di unire tutti i musulmani
dall’Atlantico al Nilo. Il loro santuario si trova nel nord-est del Mali al confine con il Niger.
Nel 2015 ha avuto luogo una singolare spaccatura interna al gruppo, poiché l’ala
scissionista guidata da Adnan Abou Walid Al Sahrawi, attiva nella regione di Menaka nel
grande nord maliano, ha sancito un’alleanza con il Daesh, mentre quella principale di
Belmokhtar ha mantenuto fede ad Al Qaida. Difatti Mokhtar Belmokhtar, noto anche come
l’emiro della IX regione, non ha mai inteso riconoscere alcuna autorità al sedicente califfo
Al Baghdadi.
Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO)
Il Movimento per l’Unicità e il Jihad in Africa Occidentale ovvero Movimento Monoteista
per il Jihad in Africa Occidentale – Jamat Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya – è una
costola dissidente di AQMI, nato nell’autunno 2011 e guidato dal mauritano Mohammed
Ould Kheirou. È composto anche da ciadiani, tuareg e nigerini. Per il sequestro di
Rossella Urru, la cooperante italiana rapita presso i campi sahrawi di Tindouf in Algeria,
avrebbe chiesto un riscatto di trenta milioni di Euro.
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Ansardine
Ansardine, o Ansar (al) Dine o Ansar Eddine (“I Difensori della Fede”), è un gruppo
radicale tuareg con circa cinquecento miliziani diffuso a macchia di leopardo in tutto il Mali,
ma con una maggiore concentrazione nella regione di Kidal. È nato agli inizi del 2012 ed è
guidato da Iyad Ag Ghali, storico leader tuareg, poi radicalizzatosi. Ha inoltre il sostegno
della potente tribù tuareg degli Iforas. Fu abile negoziatore per il Governo maliano anche
per il rilascio di stranieri sequestrati da AQMI. Nel 2007 era stato nominato console a
Jedda, da dove cominciò a tessere legami con alcune frange pakistane, arrivando perfino
a incontrare di persona Al-Zahawiri. Ag Ghali, dopo aver boicottato l’accordo di pace di
Algeri del giugno 2015 fra la piattaforma dei gruppi filogovernativi maliani e i tuareg del
Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) per il difficile processo di pacificazione
del Mali, ha esplicitamente invocato la guerra contro la Francia. Secondo la visione
strategica di Ag Ghali occorre pervenire alla suddivisione del Mali centro-settentrionale in
tre aree territorialmente ed etnicamente distinte e cioè: Kidal ai tuareg, Timbuctù agli arabi,
Mopti-Sevaré ai peul.
Boko Haram e l’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU)
Boko Haram è una setta islamista, fondata da Ustaz Mohammed Yusuf nel 2002 a
Maiduguri, capitale dello Stato di Borno nel Nord-Est della Nigeria al confine con
Camerun, Ciad e Niger. Dopo aver condotto azioni terroristiche in affiliazione con i MAAQ,
da marzo 2015 si è affiliato al Daesh, divenendone il primo rappresentante ufficiale in
Africa Sub-Sahariana sotto forma di sedicente Stato Islamico dell’Africa Occidentale.
Il nome di Boko Haram in arabo è “Jamà atu Ahlis Sunna Lidda’ awati wal-Jihad” (gente
dedita alla propagazione degli insegnamenti del Profeta e al Jihad): in lingua Hausa “boko”
significa non-islamico, mentre “haram” in arabo vuol dire vietato, sicché la locuzione Boko
Haram è convenzionalmente tradotta come “l’educazione occidentale è peccato”.
Scopo della setta è bandire il sistema educativo occidentale, per favorire il radicamento
del fondamentalismo islamico, creando le condizioni necessarie agli scopi di Al Qaida
prima, come dimostrato dalla presenza di una cellula operativa di Boko Haram a fianco dei
secessionisti dell’Azawad, e del Daesh ora con presenza in Libia accanto all’ISIL.
Infatti Boko Haram, avendo già aderito (bay’a) all’ISIS, nell’autunno del 2015 sembrerebbe
aver mosso centinaia di suoi miliziani in territorio libico, allo scopo di contribuire alla
creazione di un’armata jiahdista per il controllo della Libia, prima di un qualsivoglia
intervento internazionale di stabilizzazione nell’ex colonia italiana. Il jihadismo globale,
mantenendo aperto il canale della minaccia asimmetrica nelle sue declinazioni di attacchi
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terroristici senza confini, ha tentato nei mesi scorsi di aprire un nuovo fronte di conflittualità
diretta in termini di minaccia simmetrica in vista di uno scontro militare in Libia, senza
comunque riuscirvi. Si osserva infatti che il radicalismo islamista da eterogenee e
discontinue rivendicazioni localistiche, nel tentativo di istituzionalizzarsi, cerca di evolversi
verso un’omogeneità geopolitica, provando a dare forma e confini territoriali alle proprie
aspettative strategiche, ossia alla propria statualizzazione, come dimostra lo “Stato”
islamico, in quanto tale, in Medio Oriente. Per combattere Boko Haram, l’Unione Africana
ha dispiegato la Multinational Joint Task Force (MNJTF), con truppe di Benin, Camerun,
Ciad, Niger, Nigeria, cioè di Stati membri della CEDEAO e della Commissione del Bacino
del Lago Ciad (CBLT-LCBC) 10.
L’Avanguardia per l’Aiuto dei Musulmani in Africa Nera (ANSARU) è un’ala scissionista di
Boko Haram, giacché filoqaidista, particolarmente attiva in Camerun.
Fronte di Liberazione di Macina (FLM)
Il Fronte di Liberazione di Macina è un gruppo salafista-jihadista affiliato ad Al Qaida. Ne è
capo il predicatore Hammadoun Kouffa, un marabutto che ha aderito alla Dawa, una setta
rigorista d’origine pakistana, instauratasi in Mali per mezzo dell’arrivo di alcune ONG
finanziate dai Paesi del Golfo. Il FLM si è palesato agli inizi del 2015, strutturandosi in
movimento terrorista, a causa della radicalizzazione di alcune milizie di autodifesa dei Peul
(Fulbe o Fulani), etnia di pastori nomadi dell’Africa Occidentale, allo scopo di riscattarsi dal
predominio di altre etnie maliane, che li avrebbero emarginati, dietro il velleitario intento di
ristabilire l’Impero teocratico Peul di Macina, noto con il nome di “Dina” (fede nell’Islam),
che era sorto nel XIX Secolo in Mali. I principali centri furono oltre Hamdallaye, la capitale,
Timbuctù, Mopti, Djabali, Djenné e Segou. Fondato sulla sharia, la legge islamica, l’impero
di Macina fu un vero Stato islamico ante litteram nel Sahel. Il FLM, che agisce in una zona
franca posta fra le regioni settentrionali del Mali e la capitale, Bamako, intende estendere
l’insurrezione jihadista nelle regioni meridionali maliane, stringendo alleanze con gruppi di
fulani radicalizzatisi, specialmente in Burkina Faso, in virtù della prossimità di scopi con la
Katiba Khalid Ibn Walid, conosciuta anche con il nome di Ansar Eddine Sud, capeggiata
da Suleiman Keita dell’etnia dei malinke. I circa duecento membri del FLM provengono
dalle fila del MUJAO e altri da Ansardine.
10 Cfr. www.cblt.org - Sono Stati membri della Commissione del Bacino del Lago Ciad: Camerun, Ciad, Libia, Niger,
Nigeria e Repubblica Centroafricana (RCA). Ne sono Stati osservatori Egitto, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo (RDC) e Sudan.
30
Daesh o Al Qaida?
Esistono due interpretazioni circa la presunta competizione o complicità fra Al Qaida e il
Daesh nel Sahel e in Africa Occidentale. La prima ipotizza che fra i differenti gruppi
terroristici attivi nel Sahel vi sia l’esplicita volontà di ripartire le alleanze con il terrorismo
transnazionale secondo una geometria variabile, unendosi quando al Daesh quando ad Al
Qaida, così da dividersi i compiti e gli obiettivi. La seconda interpretazione, più verosimile,
immagina che nel Sahel si stia consumando uno scontro tra gli affiliati di Al Qaida contro
coloro che sono disposti ad associarsi al Daesh, a dimostrazione che il qaidismo africano
stia cercando di non soccombere di fronte alla maggiore attrazione esercitata da parte
dello Stato Islamico nei confronti del crescente multipolarismo dell’internazionale terrorista
di matrice islamista. In effetti la maggiore attrazione esercitata dal Daesh rispetto ad Al
Qaida in Africa si deve alla capacità intrinseca che ha di risvegliare latenti forze endogene
di ribellione locali, sovente connotate dal comune sentimento religioso islamico che
amalgama gruppi fra loro in prima battuta eterogenei. Su tutte queste forze incombe
l’opzione jiahdista che lancia una doppia sfida agli Stati-Nazione, dall’alto imponendo la
fedeltà al Califfato sovranazionale, mentre dal basso appoggia la spinta dei movimenti
separatisti, che si vedono sostenuti nei loro scopi regionali. Ciò spiegherebbe la maggiore
frequenza degli attacchi occorsi negli ultimi mesi, in maniera tale da dimostrare al mondo
che i Movimenti Associati ad Al Qaida (MAAQ) nel Sahel sono pienamente operativi, come
i due attentati perpetrati in Mali (il 20 novembre 2015 all’hotel Radisson Blu di Bamako,
rivendicato dal Fronte di Liberazione di Macina) e in Burkina Faso (il 15 gennaio 2016 a
Ouagadougou, rivendicato da Al Mourabitun). Altri drammatici episodi furono l’assalto il 13
marzo 2016 di Grand-Bassam11 in Costa d’Avorio, quelli in Mali l’8 agosto 2015 a Sevare
e il 6 marzo 2015 a Bamako presso il ristorante La Terrasse, e il più recente di Gao a
gennaio 2017. Ancorché le azioni conseguenti all’ampliamento del raggio d’azione di
AQMI e di Al-Mourabitun, che dal Sahel si spingono a colpire sempre più a sud in altri Stati
dell’Africa Occidentale (Burkina Faso e Costa d’Avorio) non ancora toccati dal fenomeno,
fino a lambire le coste del Golfo di Guinea, siano normalmente lette come atti volti a
colpire i certamente non pochi interessi francesi nello scacchiere, tuttavia sembra
un’interpretazione insufficiente a spiegarne i veri propositi. Infatti in primo luogo il vero
obiettivo semmai sono gli europei, lì maggiormente rappresentati dalla Francia, e in
secondo luogo il target dei qaidisti è di mostrare la propria vasta capacità di proiezione
tattica, riuscendo a colpire anche in Nazioni finora impensate, così da destabilizzarne le
11 In Costa d’Avorio la sicurezza nell’importante Stato francofono è stata messa a repentaglio dall’attacco del 13 marzo
2016 sul litorale di Grand Bassam, località balneare di Abidjan, per opera di cellule legate al jihadismo internazionale, che ad ogni modo conservano ambizioni regionali.
31
autorità locali e, in terzo luogo, comunicare chiaramente la propria “pertinenza territoriale”
della subregione agli scissionisti pro Daesh presenti anche nelle loro fila oltre che presso
altre sigle terroristiche dei MAAQ.
32
CAPITOLO 3
Iniziative regionali
Come risposta al diffondersi del terrorismo nel Sahel due iniziative regionali sono state
intraprese: il Processo di Tamanrasset e il G5-Sahel.
Il Processo di Tamanrasset:
Nel 2009 Algeria, Mali, Mauritania e Niger hanno avviato il cosiddetto Processo di
Tamanrasset, per cui nel 2010 è stata decisa la costituzione presso Tamanrasset (Algeria
meridionale) di un Quartier Generale Operativo Congiunto degli Stati Maggiori (Joint
Military Command – JMC), espressamente formato per affrontare con una strategia
comune le minacce poste dal terrorismo e dal crimine transnazionale nella regione
saheliana. Inoltre i direttori dei servizi di sicurezza di Algeri, Bamako, Nouackchott e
Niamey a settembre 2010 hanno dato vita a un apposito centro congiunto d’intelligence
per seguire le attività di AQMI: il Centro d’Informazioni sul Sahel (Centre De
Renseignement sur le Sahel – CRS), basato ad Algeri. Scopo del CRS, che si coordina
con il centro antiterrorismo dell’Unione Africana, il Centro Africano di Studi e di Ricerca sul
Terrorismo (Centre Africain d’Etudes et de Recherche sur le Terrorism – CAERT),
anch’esso con sede ad Algeri, è di raccogliere le informazioni sul terrorismo nella regione
saheliana, e metterle a disposizione del JMC. Il CAERT12 è il centro antiterrorismo posto
sotto l’ombrello del Consiglio Pace e Sicurezza dell’Unione Africana. Tuttavia accuse di
doppiogiochismo e di lassismo che avrebbero favorito AQMI furono rivolte alle autorità del
Mali da parte di Algeria e Mauritania. Questa regione, tanto remota quanto trascurata, era
stata già demilitarizzata dal Governo maliano per timore di nuove insurrezioni tuareg.
In effetti sembrava accreditata la tesi di un tacito patto di non-aggressione reciproca tra
AQMI e almeno una parte dell’amministrazione civile e militare del Mali, la cui connivenza
mirava all’indebolimento delle rivendicazioni delle popolazioni del Nord del Paese,
obiettivo vicendevolmente vantaggioso sia per Bamako sia per AQMI. In questo modo la
cooperazione militare tra il Mali e l’Algeria risultò però compromessa, specialmente per
quanto riguarda il pattugliamento delle frontiere comuni e lo scambio delle informazioni.
12 Il G8 Counter Terrorism Action Group (CTAG), nato sotto Presidenza francese del G8 nel 2003, ha negli ultimi tempi
sollevato critiche circa l’efficacia e l’efficienza del CAERT, tra l’altro perché ancora sprovvisto di una prospettiva di lungo respiro per quanto attiene ai programmi di formazione e di un adeguato management.
33
In effetti proprio a causa degli Accordi di Algeri del 2006, ai sensi dei quali l’esercito
maliano si ritirò dai territori settentrionali, avvantaggiando in questo modo i Tuareg, il Nord
del Mali divenne ancor più agevolmente il santuario di AQMI, a motivo per l’appunto di una
sovranità statale non più ivi adeguatamente esercitata da parte di Bamako.
Il G5 Sahel
Il G5-Sahel
Il G5-Sahel (G5-S) 13 è stato istituito il 16 febbraio 2014 nella capitale mauritana,
Nouakchott, dove ha il suo quartier generale, e ufficializzato il 19 Dicembre dello stesso
anno. Ne sono Stati membri cinque Nazioni del Sahel: Burkina Faso, Ciad, Mali,
Mauritania e Niger. Il G5-S si propone di assicurare le condizioni per lo sviluppo e la
sicurezza nell’area dei Paesi membri, di fornire un quadro strategico d’azione, per
migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, di associare lo sviluppo e la sicurezza,
sostenuti dalla democrazia e il buon governo in un quadro regionale per la cooperazione
internazionale e, infine, di promuovere lo sviluppo regionale inclusivo e sostenibile.
L’Organismo mette in pratica una congerie d’azioni, per conseguire i suddetti fini ovvero: il
rafforzamento della pace e della sicurezza nello spazio G-5 Sahel; lo sviluppo delle
infrastrutture di trasporto, d’ingegneria idrica, dell’energia e delle telecomunicazioni; il
13 Cfr. www.g5sahel.org
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consolidamento della resilienza14 delle popolazioni nel garantire la sicurezza alimentare in
modo sostenibile, lo sviluppo umano e la pastorizia.
Gli organi istituzionali del G5-Sahel sono quattro: la Conferenza dei Capi di Stato e di
Governo; il Consiglio dei Ministri; il Segretariato Permanente; la Commissione Difesa e
Sicurezza (che rappresenta i Capi di Stato Maggiore degli Stati membri); i Comitati
Nazionali di Coordinamento delle Azioni del G5-Sahel. Il Segretariato permanente del G5-
S è l’organo responsabile per l’attuazione delle decisioni del Consiglio dei Ministri e opera
sotto le sue indicazioni. Finalità ultima del G5-Sahel, secondo le parole del suo Segretario,
il nigerino Najim Elhadj Mohamed, è di “ (…) rendere i suoi Stati membri una zona
economicamente integrata, socialmente prospera, dove la sicurezza e la pace regnano in
modo permanente, basata sullo Stato di diritto, il buon governo e la democrazia,
attraverso la creazione di una comunità moderna, aperta all’innovazione e alla tecnologia,
unita, solidale e tollerante, contribuendo efficacemente al costante miglioramento della
qualità della vita di tutti i suoi popoli a tutti i livelli (…)”. Il G5-Sahel intrattiene rapporti e
convenzioni con un crescente numero di key player internazionali: Unione Europea, Stati
Uniti, Francia, Giappone, Nazioni Unite, Banca Mondiale e Fondo Monetario
Internazionale. Il più recente Vertice straordinario dei Capi di Stato e di Governo del G5-S,
dedicato alla situazione della sicurezza in Mali e al suo impatto sul Sahel, ha avuto luogo
dal 6 al 7 febbraio 2017 nella capitale maliana, Bamako, cui hanno preso parte i leader dei
rispettivi Stati membri: Roch Christian Kaboré (Burkina Faso), Mohamed Ould Abdel Aziz
(Mauritania), Mahamadou Issoufou (Niger), e Idriss Deby Itno (Ciad). Il G5-Sahel ha
annunciato la volontà di creare una Forza Regionale Congiunta, con finalità anti-
terroristiche. Evidentemente il drammatico attentato suicida nella città di Gao in Mali del 18
gennaio 2017, che ha provocato ottanta morti, rivendicato da Al Mourabitun, ha accelerato
i tempi dell’intesa, in attesa del semaforo verde dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite. Testa di ponte della futura forza regionale comune sarà la componente del Liptako-
Gourma, una regione omogenea situata a cavallo fra Niger, Burkina Faso e Mali. Oltre a
ciò sono in programma la realizzazione di una scuola regionale di guerra in Mauritania, il
lancio di una compagnia aerea regionale, la costruzione di una ferrovia regionale e la
soppressione dei visti tra i cinque Stati, aggiungendovi di fatto il Ciad, dato che gli altri ne
beneficiano in quanto già membri della CEDEAO.
14 Resilienza significa essere in grado di resistere a lungo, senza rompersi, cosicché per estensione è divenuta
sinonimo della capacità di un essere umano o di gruppi umani di sapersi adattare a un ambiente ostile, senza soccombervi, grazie allo sviluppo di opportune strategie di sopravvivenza e di resistenza ambientale, dimostrandosi capaci di affrontare le avversità peculiari dell’area e di riuscire a sormontarle, adattandovisi, in modo da uscirne persino rafforzati.
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Evidentemente tutti questi sono i prodromi di una nuova organizzazione sub-regionale
africana, che colmi i vuoti di potere nel Sahel. Se ne presenta effettivamente la necessità
e l’opportunità, giacché non tutti gli Stati del Sahel fanno parte della CEDEAO, mentre
l’altra Organizzazione competente, la CEN-SAD, pur facendone tutti e cinque gli Stati del
G5-S parte, è in realtà in stallo e poco funzionante dallo scoppio della crisi libica.
La CEN-SAD era stata creata nel 1998 a Tripoli per volontà di Gheddafi e a seguito della
sua caduta le attività dell’Organismo si sono affossate, e ora rischiano di venire del tutto
soppiantate da quelle intraprese dal G5-Sahel. Negli ultimi mesi tuttavia la CEN-SAD ha
deciso di istituire una nuova unità antiterrorismo, costituita da rappresentanti di 28 Stati
membri. Avrà sede in Egitto e avvierà consultazioni costanti per la condivisione delle
informazioni d’intelligence e si prefigge lo scopo di compiere controlli congiunti alle
frontiere, al fine di arginare il terrorismo e le altre attività transfrontaliere illecite lungo il
Sahel.
Il G5-S
Con il gruppo G5-Sahel l’Unione Europea (UE) ha sviluppato un partenariato rafforzato.
Federica Mogherini 15 , Alto Rappresentante dell’Unione per la Politica Estera e di
Sicurezza ha incontrato i rispettivi Ministri degli Esteri del G5-Sahel a Bruxelles il 17
giugno 2015, recandosi poi al Summit nella capitale ciadiana N’Djamena il 20 novembre
2015, nel corso del quale è stata adottata la Roadmap UE-G5-Sahel. La più recente
riunione ministeriale ha avuto luogo il 17 giugno 2016 a Bruxelles, dove il 20 giugno dalle
conclusioni sul Sahel del Consiglio dell’Unione Europea è emerso distintamente come il
G5-Sahel sia divenuto l’interlocutore privilegiato della regione saheliana per l’Europa.
15 L’ex Ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, è l’Alto Rappresentante dell’Unione per la Politica Estera e di
Sicurezza nonché Vice-Presidente della Commissione dell’Unione Europea (HRVP).
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Di conseguenza il partenariato EU–G5-Sahel sarà oggetto di un notevole potenziamento
in termini di dialogo politico e di profusione di aiuti da parte europea in favore degli
stakeholder locali, un’azione che va in parallelo con la trilaterale che Bruxelles intrattiene
con i Ministri degli Esteri di Libia, Niger e Ciad. Europa e Africa hanno bisogno di
un’alleanza globale e di un autentico partenariato strategico. La prossimità geografica, la
storia, le interdipendenze economiche, sociali e umane, gli intensi legami culturali devono
spingere i due continenti verso un futuro e un destino comuni, basati sull’impegno
condiviso di una rinnovata cooperazione multilaterale, che a sua volta deve fondarsi su
un’analoga volontà di cooperazione a carattere regionale anche mediante una maggiore
cooperazione interafricana in materia di sicurezza. La determinazione di lottare contro una
minaccia comune deve essere colta come un’opportunità per spingere i Paesi della
regione a superare le impasse determinate da annosi contenziosi o contrasti politici,
trovando su questo specifico argomento un punto di partenza per un nuovo equilibrio
regionale, come ad esempio reso evidente dalla volontà di Burkina Faso, Ciad, Mali, e
Mauritania. Pertanto alla crisi nel Sahel e nel Sahara, che è al tempo stesso nazionale,
regionale, continentale, internazionale e transnazionale, potrà essere fornita una risposta
adeguata, solo a condizione che le due parti, UE e G5-Sahel, sappiano tenere conto in
maniera integrata di tutti questi livelli.
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CAPITOLO 4
Le Nazioni Unite e il Sahel
L’Inviato Speciale per il Sahel del Segretario Generale delle Nazioni Unite
Nell’ottobre 2012 Romano Prodi fu nominato Inviato Speciale per il Sahel del Segretario
Generale delle Nazioni Unite, allo scopo di raccogliere il consenso dei vari stakeholder
nella più ampia implementazione della Strategia Integrata Regionale dell’ONU per il Sahel.
Gli obiettivi a breve, medio e lungo termine del mandato di Prodi riguardarono quattro
aspetti sostanziali: la sicurezza, la governance, gli aiuti umanitari, per rispondere alle
esigenze immediate, e gli aiuti allo sviluppo concernenti quelle di medio e lungo termine
attraverso l’implementazione della sua idea di un Fondo Globale per il Sahel16.
Agli inizi del mandato Prodi si espresse chiaramente, affermando: “Non dimenticate il
Sahel o avrete altri Mali!”. Secondo l’ex Presidente del Consiglio italiano le spinte
indipendentiste di tutta la regione non devono prendere il sopravvento con il concorso del
jihadismo internazionale, come invece è accaduto in Mali, costringendo alla pericolosa
identificazione tra il rivoltoso e il terrorista.
Prodi, che nel 2009 aveva già coordinato per conto di Palazzo di Vetro un Panel di esperti
per rendere più efficienti le operazioni di supporto alla pace in Africa, è Presidente della
Fondazione per la Collaborazione dei Popoli di Bologna e insegna negli Stati Uniti (Brown
University) e in Cina (China-Europe International Business School). In particolare egli è
profondamente persuaso dell’importanza strategica di un dialogo fecondo tra Stati Uniti e
Cina in cooperazione con l’Unione Europea e l’Unione Africana, affinché si pongano le
basi per uno sviluppo armonico e non conflittuale in Africa e per l’Africa. Nel corso del suo
mandato l’ex Premier italiano ed ex Presidente della Commissione Europea seppe
raccogliere il consenso dei maggiorenti internazionali per l’implementazione della Strategia
per il Sahel dell’ONU, con particolare riferimento al Mali e alla sua crisi istituzionale oltre
che alle altre questioni trasversali della sicurezza e della stabilità, dei diritti umani e
dell’insicurezza alimentare dei Paesi del Sahel.
Il mandato di Prodi poggiava sui seguenti quattro pilastri: coadiuvare il Segretario generale
delle Nazioni Unite a favorire il dialogo e il coordinamento fra le diverse strutture
internazionali operanti nel Sahel; preparare il terreno per le riforme che sono state poi
avviate in Mali; reperire risorse, per intervenire efficacemente sull’emergenza umanitaria
nonché avviare un’azione internazionale di sviluppo per il Sahel, che realizzi le
16 A fine mandato Prodi ha informato il CdS circa i risultati conseguiti, presentando un rapporto in cui indicava come
poter impostare seriamente uno sviluppo sostenibile della regione attraverso l’implementazione del Fondo Globale per il Sahel in collaborazione con la Banca Africana di Sviluppo di Abidjan.
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infrastrutture e avvii effettivamente lo sviluppo sinora ben lungi dall’essere stato
conseguito. La risposta principale che Prodi suggerì alla comunità internazionale
consisteva nel facilitare il fund-raising per costituire un fondo ad hoc – il Fondo Globale
per il Sahel – espressamente e principalmente focalizzato su cinque Stati saheliani: Mali,
Burkina Faso, Mauritania, Niger e Ciad. Secondo Prodi era necessario fare in modo di
instradare una fase di crescita sostenibile e integrata per questi cinque Paesi del Sahel
centro-occidentale, che pur dotati di un’enorme estensione territoriale, ma fragili dal punto
di vista economico politico, erano rimasti fino a quel momento separati l’uno dall’altro circa
qualsiasi strategia di sviluppo regionale.
La Strategia Integrata Regionale dell’ONU per il Sahel
La Strategia Integrata delle Nazioni Unite per il Sahel 17 divulgata dal Consiglio di
Sicurezza (CdS) nel giugno 2013 ha tre scopi strategici: consolidare una governance
inclusiva, dare luogo ad un capacity building finalizzato a gestire le minacce
transfrontaliere e la sicurezza regionale ed infine integrare lo sviluppo e gli interventi
umanitari, in modo da favorire la resilienza. A proposito del primo scopo le Nazioni Unite
intendono rafforzare le pratiche democratiche, includendo il dialogo politico ed elezioni
libere e trasparenti con la più ampia partecipazione possibile, migliorando la governance
lungo tutto il territorio di ciascuno di questi cinque Stati, i quali, com’è noto, non si sono
dimostrati in grado di esercitare pienamente la sovranità statale entro i propri confini.
Sempre in questo ambito Palazzo di Vetro è intenzionato ad avallare azioni di sostegno
per la coesione sociale e per la sicurezza delle comunità locali, anche e soprattutto verso
quelle maggiormente emarginate. In questo senso si vuole assistere le Nazioni
beneficiarie a creare meccanismi di crisis management tanto nazionali quanto regionali
mediante sistemi di allerta precoce (Early Warning Systems), in grado di anticipare le crisi
e rispondere alle minacce alla sicurezza per tempo. Limitatamente al secondo scopo
l’ONU ambisce a rendere più fluido lo scambio d’informazioni sulle questioni
transfrontaliere fra tre blocchi di Paesi (Maghreb, Africa Occidentale, Sahel), così da
arginare il terrorismo e la criminalità organizzata. Per il terzo scopo l’idea è individuare con
il metodo bottom-up, cioè dal basso e in maniera partecipativa, gli ambiti d’azione nei
settori maggiormente vulnerabili. In aggiunta i nodi cardine della strategia per lo sviluppo
del Sahel dovranno tenere conto dell’agricoltura e dell’irrigazione; delle carenze
infrastrutturali, dato che i suddetti cinque Paesi non sono collegati fra loro da ferrovie né
17 Cfr. https://oses.unmissions.org/sites/default/files/united_nations_integrated_strategy_for_the_sahel_s-2013-354.pdf
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tantomeno da un sistema stradale adeguato; dell’energia pulita; della formazione
professionale e della sanità pubblica. Le Nazioni Unite dovranno quindi coordinarne gli
sviluppi secondo un metodo innovativo, quello del “four-by-four approach”, che significa
porre le fondamenta per una risposta collettiva alle sfide regionali, accrescendo
sensibilmente la governance e lo Stato di diritto, elevando la sicurezza, migliorando gli
aspetti umanitari e dello sviluppo per mezzo di azioni coordinate tra i Governi delle cinque
Nazioni saheliane coinvolte, la comunità internazionale e le popolazioni locali.
Con tali propositi Romano Prodi prese contatto con numerosi interlocutori quali la Cina,
l’Egitto, la Francia, la Germania, la Russia, l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti, l’Unione
Europea, la Banca Mondiale, la Banca Africana di Sviluppo, la Banca di Islamica di
Sviluppo, la Banca Europea degli Investimenti, l’Organizzazione per la Cooperazione
Islamica e con tutte le agenzie specializzate dell’ONU competenti. Presentò poi due fora di
lavoro: una piattaforma di coordinamento (Coordination Platfrom) e una piattaforma
operativa (Action Fund Platform). La prima, che ha in agenda un processo di costante
aggiornamento circa le priorità regionali identificate dai maggiori esperti mondiali della
regione, si riunisce con cadenza semestrale a New York, mentre la seconda funge da
clearinghouse, cioè da camera di compensazione per l’effettiva mobilitazione delle risorse
e per la successiva implementazione in progetti concreti. Proprio per evitare le duplicazioni
degli sforzi volti allo sviluppo economico e sociale dello scacchiere in esame e
massimizzarne al tempo stesso le sinergie, per mezzo di un meccanismo di monitoraggio
e di verifica delle azioni intraprese, il Fondo Globale per il Sahel potrà essere finanziato o
in modo tradizionale, cioè versando il denaro nel trust fund oppure direttamente attraverso
l’esecuzione da parte del Paese donatore di turno di opere di sviluppo tangibili nel Sahel,
ottenendo anche il vantaggio di una specifica visibilità. Questa seconda soluzione
permetterà peraltro un maggiore controllo dei costi di realizzazione, grazie ad un modello
di concorrenza virtuosa, che eviterà le lungaggini che sovente ritardano gli interventi
internazionali a favore dello sviluppo. L’alto incarico onusiano affidato a un italiano di alta
caratura come Prodi denota che l’Italia dispone di personalità di profilo internazionale da
spendere ai massimi livelli, ma la breve durata di tale mandato indica allo stesso tempo
l’intermittenza della messa a fuoco dell’interesse nazionale nello scacchiere.
Dopo Romano Prodi, l’incarico di Inviato Speciale del Segretario Generale dell’ONU per il
Sahel è stato affidato a maggio 2014 alla diplomatica etiope Hiroute Guebre Selassie, la
quale è anche Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite
per l’Africa Occidentale e il Sahel. A capo del suo ufficio è stato nominato l’ex Presidente
della Commissione della CEDEAO, Mohamed Ibn Chambas, che assomma le cariche di
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Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU e Capo dell’Ufficio delle
Nazioni Unite per l’Africa Occidentale e il Sahel (UNOWAS)18.
Infine giova rilevare che diversi enti e istituzioni internazionali hanno prodotto nel tempo
altrettante strategie o linee guida sul Sahel: la Banca Africana di Sviluppo, la Banca
Islamica di Sviluppo19, la Banca Mondiale20, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa
Occidentale (CEDEAO-ECOWAS)21, la Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara (CEN-
SAD), il G5-Sahel, le Nazioni Unite, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica,
l’Organizzazione Internazionale della Francofonia, l’Unione Africana, l’Unione Europea,
l’Unione del Maghreb Arabo (UMA-AMU), la Danimarca, gli Stati Uniti e la Francia.
A margine di tutto ciò è opportuno richiamare anche altre linee d’indirizzo eventualmente
perseguibili come quella del dialogo tripartito tra Unione Europea, Unione Africana e
Nazioni Unite (UE-UA-ONU). La fluidità delle sollecitazioni multipolari favorite dalla g-
localizzazione sta potenziando il ruolo delle organizzazioni internazionali e sovranazionali,
aumentandone le occasioni di protagonismo, di spazio e d’intervento sullo scenario
internazionale. Ai fini della sicurezza e del co-sviluppo22, sarebbe utile stimolare un più
coerente dialogo politico tra Nazioni Unite, Unione Europea e Unione Africana, che sono
tre organizzazioni in realtà molto eterogenee fra loro per obiettivi, efficacia e
funzionamento. Poiché l’Italia e l’UE supportano l’UA politicamente, istituzionalmente,
finanziariamente e tecnicamente per quanto attiene al rafforzamento delle capacità dirette
alla stabilizzazione del Continente, l’istituzione dell’Ufficio delle Nazioni Unite presso
l’Unione Africana (UNOAU)23, potrebbe essere il volano per intensificare la triangolazione
del loro dialogo istituzionale UN–UE–UA, in modo da essere bilanciarne i rapporti di forza
che lo costituiscono.
18 Cfr. https://unowas.unmissions.org/ 19 Cfr. Islamic Development Bank Cooperation with West Africa Sahel Countries (2014), www.isdb.org 20 Cfr. The Sahel toward a Regional Approach (World Bank, 2013), http://www.worldbank.org/en/region/afr/brief/world-
bank-group-sahel-and-great-lakes-initiatives 21 Cfr. Sahel Strategy of the Economic Community of West Afrcan States (2014), www.ecowas.int 22 Secondo The European-House Ambrosetti esistono tre macro-scenari possibili per l’Africa e le sue relazioni con
l’Europa. Il primo – Africa come Failing Continent – contempla una loose-loose strategy, secondo cui prevalgono instabilità geopolitica, migrazioni incontrollate e involuzione economica. Il secondo – Sviluppo senza Europa – immagina una win-loose strategy, secondo la quale l’Europa perde il suo mercato naturale di sbocco e d’approvvigionamento, venendo scalzata dai nuovi attori globali, perlopiù asiatici e arabi. Il terzo, quello più auspicabile, rappresenta invece un co-sviluppo tra Africa ed Europa, secondo una win-win strategy, per cui le migrazioni saranno reciproche e controllate e il Mediterraneo recupererà la sua centralità prima perduta, determinando una continuità geopolitica dell’estensione lineare tra Europa e Africa. Cfr. http://www.ambrosetti.eu/
23 Istituito nel luglio 2010 dall’Assemblea Generale dalle Nazioni Unite, l’Ufficio - Integrato - delle Nazioni Unite presso l’Unione Africana (UNOAU), con sede ad Addis Abeba, si prefigge di intensificare il livello di cooperazione e di dialogo politico con l’UA e con le RECs. Il mandato dell’UNOAU è duplice: intende da un lato, in termini di sostenibilità e di flessibilità, rafforzare il partenariato strategico tra l’ONU e l’UA in materia di pace e sicurezza in merito alla gestione diretta nell’arco di un decennio da parte di Addis Abeba delle risorse previste dal fondo ONU per il peacekeeping in Africa, promosse dal ‘Panel Prodi’ e, dall’altro lato, facilitare lo sviluppo del capacity building, coordinato e coerente, di breve e di lungo termine delle operazioni di supporto alla pace in Africa.
41
CAPITOLO 5
La crisi del Mali
Il Mali è un’ex colonia francese strategicamente rilevante anche in ragione delle sue
ingenti risorse naturali. Per quanto riguarda l’industria estrattiva oro (Syama, Sadiola,
Loulo, Gao e Kalana), ferro (Kita e Kayes), bauxite, uranio, fosfati (Gao e Bouren),
diamanti (Kenieba), gesso, manganese, sale, petrolio e gas; per l’agricoltura batata,
miglio, sorgo, mais, riso, cotone e arachidi; quanto agli allevamenti, che sono estensivi,
bovini, ovini, caprini e cammelli; infine per la pesca è decisivo il Fiume Niger che lo
attraversa.
Il Mali
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Il Colpo di Stato in Mali e l’irredentismo Tamashek dell’Azawad
Il 22 marzo 2012 in Mali fu portato a segno un colpo di stato, cui seguì la secessione del
nord del Paese con la dichiarazione d’indipendenza dell’Azawad, dove si contesero la
supremazia e il controllo da un lato i tuareg laici del Movimento Nazionale di Liberazione
dell’Azawad (MNLA) e dall’altro lato invece i tuareg radicali Ansardine, i quali, dotati di
maggiori mezzi e migliori armi, si erano legati al doppio filo con i fondamentalisti non-
tuareg del Movimento Monoteista per il Jihad in Africa Occidentale (MUJAO) e di Al Qaida
nel Maghreb Islamico (AQMI), partecipandovi anche alcune cellule di Boko Haram.
Malgrado un fallito tentativo di contro-golpe da parte dei lealisti del deposto Presidente
maliano, Amadou Toumani Touré (ATT), fu poi raggiunto un accordo per un Governo di
transizione che condusse a nuove elezioni monitorate da osservatori internazionali.
L’amnistia generale che era stata assicurata alla giunta putschista non la dissuase dal
continuare a ricoprire un ruolo di primo piano, nonostante il formale passaggio dei poteri
dai militari ai civili. Per preservare l’integrità territoriale del Mali, l’Unione Africana sollecitò
urgentemente l’intervento di una forza militare, allo scopo primario di evitare il rischio di
allargare il conflitto alle altre comunità tuareg presenti in Algeria, Burkina Faso, Libia, Mali,
Mauritania e Niger.
L’Azawad e i Tuareg
L’Azawad – pari a circa ottocentomila chilometri quadrati – significa “la terra dove c’è
pascolo” e rappresenta culturalmente e storicamente il “temust n imajaghen”, cioè il
territorio dei soli Tuareg, coincidente con le tre regioni settentrionali del Mali (Gao, Kidal e
Timbuctù), che da sole corrispondono al 65 percento dell’intero territorio maliano. Tuareg,
plurale della parola araba targhi, significa “gli abbandonati”. Anche chiamati Imuhag, i
tuareg sono un’etnia berbera discendente dei fenici di poco più di cinque milioni di
persone. Sono diffusi nei Monti Tassili e nell’Ahaggar in Algeria (825.000 persone), nell’Air
in Niger (1.790.000 persone), in Burkina Faso (330.000), nell’Adrar in Mali (1.450.000), in
Libia (erano 620.000 prima del ritorno in Mali) e anche in Mauritania. La loro lingua è il
tamarshak e conservano una scrittura pittorica che si chiama Tifinag, che proviene dalle
lingue berbere dell’alto Atlante. Il sistema sociale è di tipo matrilineare24 cioè la donna
mantiene il suo status sociale originario anche dopo il matrimonio e il figlio eredita lo status
e i beni materni. Tradizionalmente musulmani, sovente affiliati a confraternite, sono
24 La discendenza unilineare di tipo matrilineare traccia il legame di parentele ascendente e discendente tra individui
ricorrendo alla linea femminile o materna.
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organizzati in nove confederazioni di tribù: Kel-Ajjer, Kel-Ahaggar, Kel-Air, Kel-Gress, Kel-
Dinnik, Jullemiden, Iforas, Tenghereghif e Kel-Antassar.
La visione del mondo dei tuareg, che si riflette nella suddivisione della propria società in
quattro classi (nobili o guerrieri; vassalli cioè pastori, allevatori e commercianti; schiavi o
contadini; artigiani), mette in luce quanto si auto-percepiscano come superiori a chiunque
altro a livello tanto intra-etnico quanto inter-etnico. Avendo mantenuto inalterata una
precisa identità culturale, da centinaia di anni hanno svolto la funzione di cuscinetto tra
Maghreb-arabo e Sahel-africano, sapendo trarre vantaggio del loro ruolo mediano sia dai
più diversi commerci transahariani, fino a quello degli schiavi, sia pure dalle razzie ai danni
delle popolazioni stanziali circostanti, dalle quali hanno sempre inteso distanziarsi.
Durante l’occupazione francese, alla quale furono tra gli ultimi a sottomettersi, i tuareg
erano stati tenuti lontani dall’amministrazione pubblica, aumentando in questo modo il
divario che li separa ancor oggi dagli altri gruppi etnici africani presenti in Mali, come i
Bambara, i Malinke, i Fulbe (Peul o Fulani), i Soninke (o Sarakole) e i Songhai, popoli
considerati inferiori e con i quali difficilmente accettano di scendere a patti. A causa di
riforme mai realizzate o promesse fuori tempo massimo25 dal Governo del Mali, dunque in
assenza di una soluzione durevole e sostenibile, la minoranza tuareg negletta ha
alimentato nei decenni il suo spirito separatista, rivendicando l’esigenza di una nazione
tuareg. Numerose e cicliche insurrezioni contro le autorità centrali dei nuovi Stati nazionali
del Mali e del Niger ebbero luogo a più riprese dalle indipendenze africane dal
colonialismo europeo. Dopo la caduta del loro maggiore fiancheggiatore, Gheddafi, i
tuareg hanno utilizzato gli armamenti libici, nel tentativo d’imporre la loro volontà con la
secessione che diede breve vita al sedicente Stato dell’Azawad.
L’intervento internazionale: AFISMA, Servalo e Barkhane
Dietro esplicita richiesta d’aiuto alla Francia e all’ONU da parte delle autorità transitorie
maliane fu dato avvio all’Opération Serval26, per il recupero dei territori settentrionali del
Mali. Il rapido deterioramento della situazione era stato sua volta causato dall’improvviso
25 Nel 2011 era stato proposto un progetto di riforma che prevedeva la creazione del Senato in sostituzione dell’attuale
Alto Consiglio delle Collettività Territoriali e il rafforzamento del ruolo del Presidente della Repubblica rispetto a quello del Premier. Nel nord sono state istituite due nuove province, Touadeni e Menaka, ed entro cinque anni sarebbero state create undici nuove regioni, con la finalità di rafforzare il controllo amministrativo delle fragili aree del nord del Mali.
26 A seguito della conclusione dell’Operazione Servalo (11 gennaio 2013 – 31 luglio 2014) Parigi ha avviato la Missione Barkhane, allo scopo di rendere quanto prima autonome le Forze Armate degli Stati del G5-Sahel nel garantire la sicurezza della regione. Il carattere transfrontaliero della minaccia terroristica lungo la banda sahelo-sahariana esige un approccio regionale, per delimitare le ramificazioni delle organizzazioni islamiste, in modo tale da permettere di sostenere le Forze Armate del G5-Sahel, rafforzare il coordinamento delle operazioni militari, al fine di impedire che i terroristi trovino rifugio in zone sicure.
44
sfondamento a sud lungo la linea di frontiera virtuale fra Mali e Azawad da parte dei
qaidisti, che li avrebbe facilmente condotti alle porte della capitale, Bamako, qualora non
fossero stati fermati tempestivamente. L’offensiva qaidista, che aveva portato alla presa
della cittadina di Konna, lasciava presagire l’intenzione dei secessionisti di conquistare
anche Sévaré, nei pressi di Mopti, dove ha sede la base regionale delle forze di terra
maliane. Tutto ciò creò i presupposti per la controffensiva francese, prima che le forze del
contingente multinazionale africano (African-led International Support Mission in Mali –
AFISMA) 27 fossero pronte per essere dispiegate nel teatro operativo. Benché la
Risoluzione n° 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 20 dicembre 2012
avesse autorizzato il dispiegamento per un periodo iniziale di un anno di una missione
internazionale a gestione africana, AFISMA appunto, tuttavia il precipitarsi degli eventi
mutò radicalmente il quadro tattico, spingendo Parigi a intervenire in forza e
sollecitamente, dimostrando in questo caso l’importanza per l’Europa che la Francia28
preservi il proprio pre-carré maghrebino-sahariano-saheliano. Le operazioni militari della
Francia (Serval prima e Barkhane 29 ora) negli anni seguenti hanno contribuito a
disperdere i terroristi nel Niger settentrionale, nella Libia meridionale e in alcune zone
impervie dello stesso Mali.
La Missione Multidimensionale Integrata di Stabilizzazione delle Nazioni Unite in
Mali (MINUSMA)
Il 25 aprile del 2013 il Consiglio di Sicurezza (CdS) dell’ONU approvò con la Risoluzione
n°2100 la creazione di una forza di mantenimento della pace per il Mali – la United
Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali (MINUSMA)30.
Primo compito della Missione è stato quello di sostenere le autorità di transitorie del Mali
nella stabilizzazione del Paese e l’attuazione delle varie tappe della delicata transizione
politica. In seguito, grazie all’adozione all’unanimità della Risoluzione n°2164 del 25
giugno 2014, il CdS ha inoltre deciso di estenderne il mandato, occupandosi pure di
garantire la sicurezza, l’incolumità e la protezione dei civili, di sostenere il dialogo politico e
la riconciliazione nazionale, di contribuire alla ricostruzione del martoriato Paese non
soltanto nel settore della sicurezza, ma anche nella promozione e nella tutela dei diritti
27 AFISMA sarebbe stata finanziata da uno specifico Fondo Fiduciario e per parte europea dall’African Peace Facility
(APF).
28 Vedasi il ricorrente Summit Africa-Francia, la cui XXVII edizione si è svolta nella capitale del Mali, Bamako, nel gennaio 2017. In Africa permane ancora l’idea di un’eccezione francese, per spiegare la costante attenzione transalpina per tutto quello che avviene nelle sue ex colonie, specie nella Cintura del Sahel.
29 Cfr. http://www.defense.gouv.fr/operations/operations/sahel/dossier-de-presentation-de-l-operation-barkhane/operation-barkhane
30 Cfr. https://minusma.unmissions.org/en
45
umani. Oggi in Mali la situazione securitaria è di logoramento: da un lato il Governo
centrale di Bamako, dall’altro le regioni centrali, le quali quanto a insicurezza stanno
sostituendosi a quelle settentrionali, dove invece gli accordi di pace con le varie sigle
armate del nord, sebbene deboli, sembrano reggere per il momento. Tuttavia Taoudeni, la
regione più grande ma meno abitata del Mali, all’estremo nord del Paese, è
completamente sotto il controllo di Al Qaida d’intesa con il Coordinamento dei Movimenti
dell’Azawad (CMA), impedendo di fatto alle autorità maliane e alla missione dell’ONU di
esercitarvi le loro prerogative. In verità la conflittualità saheliana in Mali si sta spostando
verso sud, attecchendo nelle regioni centrali, così da destabilizzare aree finora mai
considerate a rischio. In particolare da alcuni mesi la città di Mopti è stata presa di mira,
divenendo bersaglio di numerosi attentati terroristici. La MINSUMA probabilmente non era
pronta a fronteggiare rivolte e assalti nel centro-sud del Paese, dunque dovrà dotarsi al
più presto delle risorse necessarie per questa nuova sfida.
La MINUSMA
46
Le conseguenze regionali e continentali della crisi maliana
Divenendo paradigmatica rispetto ai latenti irredentismi presenti ovunque nella regione, la
crisi del Mali ha acceso i riflettori sulle minacce che incombono sul Sahel, evidenziando tre
rischi maggiori.
Il primo rischio è di un allargamento del conflitto alle altre comunità tuareg presenti con
l’apporto di temporanee alleanze con i vari fondamentalismi espressione del sempre meno
latente risentimento diffuso nei Paesi della regione. Ciò porterebbe a un ulteriore
confinamento delle popolazioni tuareg con il conseguente contenimento delle loro
rivendicazioni e aspettative di autonomia future.
Il secondo rischio riguarda la confusione che la zona grigia costituita dal connubio fra
tuareg e i MAAQ potrebbe comportare, individuando involontariamente un’inesatta e
perniciosa associazione dei tuareg con gli islamisti. Non sarebbe saggio, se i tuareg
uscissero mortificati e umiliati dalla crisi maliana, in quanto la loro alleanza per la causa
dell’Awazad con i fondamentalisti è stata di natura tattica e di breve periodo, cioè
finalizzata al mero raggiungimento dello scopo immediato grazie ai migliori armamenti di
cui erano dotati gli jiahdisti, ma intesa come strategica e di lunga durata da questi ultimi.
Onde evitare il ripetersi in futuro di scenari simili, è stato indispensabile assicurare ai
tuareg che hanno preso le distanze dai qaidisti il diritto a prendere parte al dialogo
nazionale inter-maliano e al negoziato interregionale, che è seguito al conflitto con il
sostegno dalla comunità internazionale nel suo complesso.
Il terzo rischio, di ben più ampia portata, è quello della frammentazione delle Nazioni
africane. Anziché favorire l’idea di una maggiore integrazione interculturale all’interno dei
confini nazionali di ciascuno Stato dell’Africa, vi è il pericolo di lasciare spazio indebito a
richieste d’indipendenze su base etnica, favorendo l’idea di Stati sempre più
antropologicamente omogenei rispetto all’assetto corrispondente alle indipendenze
africane 31 . I nuovi assetti geopolitici globali in corso cagionano immancabilmente
ripercussioni continentali e regionali anche in Africa, rendendo sempre più evidenti le
contraddizioni di cui alcuni Stati post-coloniali sono forieri, probabilmente perché frutto di
un compromesso storico e politico oggi di fatto inattuale. Questo ultimo punto apre la
questione dell’intangibilità delle frontiere in Africa. L’Unione Africana (UA) è l’“upgrade”
dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA). Nel 2002 infatti l’Organismo si è dotato di
un’architettura assai articolata, più efficace e ambiziosa rispetto alla versione originaria.
31 La divisione in più realtà indipendenti di uno Stato prima unitario è diventato nella prassi un tentativo di risposta
all’esigenza di contenimento del livello d’instabilità.
47
Fra i principi cardine stabiliti dall’OUA rimasto in eredità all’UA vi è quello dell’intangibilità
delle frontiere, come sancito nel suo Atto Costitutivo 32 . Sin dell’arbitraria divisione
coloniale imposta all’Africa dal Congresso di Berlino (1884-1885) prima e dal
congelamento dei confini al momento della decolonizzazione poi, le frontiere africane sono
sempre state considerate immutabili. Dalla fine della Guerra Fredda però tale principio è
nei fatti venuto sempre più stemperandosi, fino alla tendenza attuale, caratterizzata dalla
possibilità di intervento nelle questioni interne di un singolo Stato, qualora richiesto da
superiori interessi di pace, sicurezza, grave e continuata violazione dei fondamentali diritti
umani e in caso di genocidio. Questa evoluzione recente del diritto internazionale si basa
sul principio di non indifferenza, che si sovrapporrebbe in alcune situazioni a quello di non
interferenza, fino a pochi anni fa considerato assolutamente inviolabile. Le indipendenze
dell’Eritrea nel 1993 e del Sud Sudan nel 2011 costituiscono due precedenti. La divisione
avvenuta nel 2011 in due Stati del Sudan, fino a quel momento il più grande Paese
africano, con la nascita del Sud Sudan, fu il riflesso dell’esigenza internazionale di tentare
di contenere il livello d’instabilità dell’intero Corno d’Africa allargato, del quale il Sudan è
parte. L’obiettivo che la comunità internazionale si era con quella mossa prefisso tuttavia
non è stato ancora conseguito, dato che oggi la guerra civile infiamma il Sud Sudan e la
politica sudanese è a rischio d’infiltrazioni fondamentaliste, motivo per cui l’UE intrattiene
un serrato dialogo politico con il Governo e le opposizioni sudanesi. In effetti l’espansione
a macchia d’olio dello spazio conflittuale mediorientale è perfino giunta a toccare da vicino
Stati sicuri come l’Uganda o il Kenya. In particolare quest’ultimo, che fino a pochi anni or
sono era l’asse portante della stabilità dell’Africa Orientale, oramai soffre profondamente
della sua prossimità geografica non solo alla Somalia, ma anche alla faglia divisoria tra
Africa e Medio Oriente. Tale regola del precedente non può che legittimare le pretese e le
esigenze finora disattese dei moti indipendentisti, soprattutto nel momento in cui trovano
sponsor disposti ad assecondarli, con agende che però nel medio e lungo periodo
potrebbero rivelarsi molto diverse dalle speranze degli irredentisti, proprio come nel caso
delle sigle terroristiche che hanno fiancheggiato gli indipendentisti tuareg nel Mali
settentrionale. Le ambizioni dell’irredentismo dei Tuareg sono state usate e poi sacrificate
dalla strategia degli islamisti, con cui si erano alleati, con la velleitaria speranza di ottenere
32 Cfr. i Principi dell’Art. 4 dell’Atto Costituivo dell’Unione Africana (adottato al Vertice di Lomé del 2000 ed entrato in
vigore nel 2001): [omissis] (b) rispetto dei confini esistenti al momento dell’ottenimento dell’indipendenza; [omissis] (g) non interferenza di nessuno Stato Membro negli affari interni di un altro; [omissis] (h) il diritto dell’Unione di intervenire in uno Stato Membro a seguito di una decisione dell’Assemblea [l’Organo decisionale supremo costituito dal Vertice dei Capi di Stato e di Governo (N.d.R.)] riguardanti gravi circostanze quali: crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità; [omissis] (j) il diritto di uno Stato Membro di richiedere l’intervento dell’Unione al fine di ripristinare la pace e la sicurezza; [omissis] condanna e rifiuto dei cambiamenti incostituzionali dei Governi.
48
uno Stato indipendente, l’Azawad, con le conseguenze umanitarie, militari politiche del
collasso che ne è poi derivato.
Sempre meno gli Stati post-coloniali africani potranno resistere alle scosse telluriche dei
nuovi assetti geopolitici mondiali, proprio perché espressione artificiale di un retaggio
coloniale inadatto alle sfide dei nostri tempi. È giunto forse il momento di domandarsi se
non sia diventato troppo pericoloso non tenere più conto delle rivendicazioni di popolazioni
marginalizzate da poteri centrali che non riconoscono alle minoranze un adeguato diritto di
cittadinanza. L’attuale crisi saheliana mostra che, a fronte dei rischi di destabilizzazione
che ciò comporta, ma anche delle lezioni apprese che ne derivano, occorre avviare un
dibattito circa l’ipotesi di poter rimodellare le frontiere nazionali africane, caso per caso,
secondo un approccio internazionale differente. Sebbene le frontiere ereditate dal
colonialismo possano essere modificate solo con il consenso di tutte le parti interessate, è
impensabile che la comunità internazionale continui a differire sine die l’esame delle
rivendicazioni di popolazioni che si vedono marginalizzate da poteri centrali e che non
riconoscono loro diritto di cittadinanza né di espressione, soprattutto in un’epoca come la
nostra in cui le spinte centrifughe sono frequentemente assecondate dai processi di
decentramento amministrativo in atto ovunque nel mondo e ancora più in Africa.
Nel Mali già prima del colpo di stato del 2012 e del tentativo d’indipendenza dell’Azawad si
registravano insanabili tensioni sociali tra comunità del nord a prevalenza Tuareg e le
autorità del Governo centrale. Proprio l’assenza di politiche di sviluppo ad hoc in favore
delle regioni settentrionali aveva condotto l’irredentismo camitico-berbero dei Tamashek –
il vero nome delle popolazioni Tuareg – alla micidiale alleanza tattica con i qaidisti, nella
speranza di cambiare definitivamente le cose, seppure invano. Dopo l’intervento franco-
africano e il recupero della sovranità nazionale su buona parte del territorio maliano, oggi
permangono tensioni lancinanti tra Governo e i Tuareg, quasi che gli accadimenti del
2012-2013 siano stati solamente una breve parentesi del lungo braccio di ferro fra le parti.
Ciò che preoccupa è il rischio della replicabilità del fenomeno in Paesi o in contesti vicini,
caratterizzati da analogie geopolitiche. Onde evitare il ripetersi in futuro di scenari simili, è
stato molto importante aver assicurato ai tuareg che hanno preso le distanze dai qaidisti il
diritto a prendere parte al dialogo nazionale e al negoziato interregionale grazie agli sforzi
profusi dalla comunità internazionale.
Quanto ai rapporti con Bruxelles l’Unione Europea è un attore decisivo per la stabilità del
Mali, a maggior ragione dopo il golpe e la crisi del 2012, mediante una fruttifera
combinazione di politiche di sicurezza (missioni PSDC), di sviluppo e l’azione umanitaria.
49
Gli Stati membri e l’UE insieme forniscono ogni anno circa 660 milioni di Euro, pari al
cinquanta per cento degli aiuti internazionali ricevuti.
Attraverso il XI Fondo Europeo di Sviluppo (FES) per il periodo 2014-2020 il Programma
Indicativo Nazionale (Indicative National Programme – INP), dotato di 615 milioni di Euro,
declina la propria azione secondo le seguenti quattro aree focali di cooperazione allo
sviluppo: il consolidamento della pace e la riforma dello Stato, lo sviluppo rurale e la
sicurezza alimentare, istruzione e infrastrutture. In totale la programmazione congiunta
dell’UE per la cooperazione allo sviluppo prevede di mobilitare circa 1,7 miliardi di Euro
per il periodo 2014-2018. Nell’ambito del Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per
l’Africa (Emergency Trust Fund for Africa – EUTF)33 già sei progetti sono stati attivati in
favore di Bamako per un totale di 91,7 milioni di Euro. Dal 2011 Bruxelles mobilita circa
quaranta milioni di Euro annui in aiuti umanitari in favore del Mali. L’UE è parallelamente
impegnata in un dialogo politico di Alto livello sulle migrazioni con il Mali.
In conclusione a distanza di cinque anni dallo scoppio delle ostilità le priorità immediate
restano l’effettiva stabilizzazione del nord, il proseguimento del dialogo politico inter-
maliano e il contenimento della diffusione del terrorismo che sta proliferando anche nelle
regioni del sud e oltre confine fino al Burkina Faso e alla Costa d’Avorio.
33 Infra.
50
CAPITOLO 6
Gli orientamenti dell’Italia nella gestione delle crisi in Africa e nel Sahel
In merito alle relazioni diplomatiche italiane con la regione del Sahel, il 3 marzo 2016 l’ex
Ambasciatore italiano in Senegal, Arturo Luzzi, è stato nominato Inviato Speciale del
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) per il Sahel.
Inoltre il 29 dicembre 2016 il Consiglio dei Ministri ha approvato l’apertura di due nuove
Rappresentanza diplomatiche italiane in Africa: a Niamey (Niger) e a Conakry (Guinea).
Il 21 ottobre 2016 l’allora Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ricevette alla Farnesina il
Presidente del Burkina Faso, Roch Marc Christian Kaboré, per poi recarsi in visita il 10
novembre 2016 in Niger, Mali e Senegal con una delegazione dell’Unione Europea. Roma
sta esprimendo in ambito europeo le proprie capacità d’indirizzo politico e militare rispetto
a un’area altamente sensibile quanto alla propria proiezione a sud del Mediterraneo, luogo
di confine e di transito delle migrazioni dirette dal sud al nord del mondo. L’Italia, forte
della propria consolidata e internazionalmente apprezzata esperienza nelle Operazioni di
Supporto alla Pace, potrà sempre valorizzare il proprio know-how nei processi di capacity
building e di institution building in Africa34 quanto alla prospettiva di formare le Forze
Armate del Mali, per far fronte alla crisi del Sahel. In preparazione al Vertice di Taormina
(26-27 maggio 2017) la Presidenza Italiana del G7 2017 35 ha presentato il proprio
programma intorno a tre grandi cluster tematici, il primo dei quali riguarda la “Sicurezza
per i Cittadini”, per rispondere alle preoccupazioni derivanti dall’instabilità geopolitica, dal
terrorismo e dall’immigrazione incontrollata con particolare attenzione rivolta proprio
all’Africa Sub-Sahariana.
Un nuovo concetto strategico dell’Italia per l’Africa e il Sahel
Oltre al Corno d’Africa e al Golfo di Aden, le aree d’interesse strategico italiano in Africa36
riguardano l’Africa Settentrionale, il Sahel, l’Africa Occidentale e il Golfo di Guinea, tutte
regioni che sono rapidamente diventate de facto il nostro confine meridionale, sicché
cooperare con esse è una condizione per la nostra stessa sicurezza.
34 A fronte dell’impegno italiano nelle missioni internazionali, nell’ottica di una progressiva integrazione degli strumenti
militari europei, l’Italia è nelle condizioni di svolgere un rinnovato ruolo in seno alla Politica di Sicurezza e di Difesa Comune Europea (PSDC), avviando progetti di cooperazione tecnico-militare, che tengano anche conto delle
componenti civili e di polizia nei confronti di quelle iniziative che s’incentrano sulle nuove aree di crisi coincidenti con le aree di priorità strategica italiane, come nel caso dell’Africa Occidentale.
35 Cfr. http://www.g7italy.it/ 36 Il Sahel e l’Africa Occidentale fino al Golfo di Guinea andrebbero a ragione considerate come vicinato strategico per
l’Italia e per l’Europa, non solo perché centri di smistamento dei traffici illeciti e polo terroristico, ma anche a motivo delle enormi opportunità economiche che queste regioni riserveranno in futuro, nonostante la perdurante crisi attuale.
51
Da alcuni anni a questa parte si parla non del tutto propriamente di Mediterraneo
Allargato, riferendosi a uno scacchiere fluido e in via di costante definizione, il cui spettro
si espande sempre più in profondità verso sud oltre i confini del deserto del Sahara,
motivo per cui sarebbe più opportuno chiamarlo interesse strategico italiano in Africa tout
court.
In ambito bilaterale sarebbe auspicabile che l’Italia concepisca una politica africana
indipendente che salvaguardi l’interesse nazionale, ma è difficile realizzarla in assenza di
grandi approfondite strategie, che siano state pianificate e discusse per tempo, mentre a
livello multilaterale sarebbe necessario pretendere di far valere la posizione nazionale in
modo più marcato, come del resto sono abituati a fare gli altri maggiorenti europei, Francia
e Germania in primis.
Specialmente in campo europeo, allo scopo di condividere i costi (burden sharing & cost-
cutting), si assiste sempre più frequentemente al fenomeno del Controllo Strategico del
Multilateralismo sotto forma di silenzio assenso o con la delega in bianco ad attori più
disinvolti di altri, i quali ripartiscono attraverso le istituzioni sovranazionali e internazionali i
costi della propria agenda politica in Africa, altrimenti non più sostenibili per le singole
finanze a livello nazionale. Questo tuttavia, a ben vedere, non comporta affatto una
condivisione dei dividendi complessivi delle singole missioni dispiegate nelle aree di crisi.
Così ad esempio Francia e Germania, oltre al Regno Unito, sono gli unici a saper sfruttare
efficacemente in Africa la Politica di Sicurezza e di Difesa Comune Europea (PSDC) quale
moltiplicatore di potenza e di proiezione nazionale.
Un nuovo concetto strategico italiano verso l’Africa in generale ed il Sahel in particolare
dovrebbe riuscire a immaginare una geopolitica euro-africana altra rispetto a quelle sinora
perseguite dagli altri competitori internazionali, incentrandosi su un dialogo effettivamente
alla pari, così da superare il desueto approccio donatore-beneficiario, che invece resta
ancorato a un’impropria gerarchia di potere fra le parti. Pertanto l’Italia dovrebbe elevare il
livello del dialogo politico con i Paesi africani attraverso le seguenti misure:
– Realizzare una trasversale identificazione dell’interesse nazionale italiano, mappando le
ridondanze della politica estera e di difesa italiane verso l’Africa.
– Istituire due Organi (a livello nazionale presso la Farnesina, la Presidenza del Consiglio
o la Presidenza della Repubblica o il Parlamento, relazionandosi al Comitato
Permanente sull’Africa e le Questioni Globali presso la Camera dei Deputati in seno alla
III Commissione Esteri):
o Una Cellula/Centro di Collegamento Italia – Africa capace di assicurare continuità
all’azione esterna italiana verso l’Africa;
52
o La figura dell’Alto Rappresentante per l’Africa (oppure Inviato Speciale per l’Africa).
– Rafforzare l’influenza e la presenza italiane mediante il capillare ampliamento delle
Rappresentanze diplomatiche in Africa in generale e nel Sahel in particolare.
– Rafforzare il mandato dell’Inviato Speciale del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale (MAECI) per il Sahel.
– Sostenere l’integrazione regionale africana, finanziando bilateralmente l’Unione
Africana e le Organizzazioni Regionali africane (RECs)37, in particolare il G5-Sahel per
il Sahel.
– Istituire Commissioni Paritetiche Bilaterali ad hoc tra Roma e un selezionato gruppo di
capitali africane, attraverso l’upgrading del dialogo politico con gli otto Paesi individuati
dal Governo (Angola, Etiopia, Ghana, Kenya, Mozambico, Nigeria, Senegal e
Sudafrica), allargandolo ad altri Stati considerati d’interesse strategico. A ciò
seguirebbe una serie di partenariati insieme politici, economici e di difesa, rimarcando
dunque la centralità politica che le potenze emergenti del Continente africano
rappresentano per l’interesse nazionale italiano, capofila di quello dell’Unione Europea
nel suo insieme.
– Pianificare una strategia di maggiore incisività politica, economica e di sicurezza in
Africa, che potrà giovare significativamente anche alla fuoriuscita dalla crisi economica
di lungo periodo dell’Italia, contribuendo allo stesso tempo al rafforzamento delle
capacità di finanziamento delle economie africane secondo le seguenti azioni:
o Indirizzare la nuova politica italiana verso l’Africa alla Co-localizzazione. Ciò significa
favorire lo sviluppo d’innovativi partenariati industriali italo-africani, in grado di
permettere un’integrazione delle capacità di produzione locali per mezzo di catene
produttive inizialmente a carattere regionale e poi globale. Lo scopo è di concentrare
i processi trasformativi della produzione per mezzo di apposite filiere, determinando
così un particolare valore aggiunto dei prodotti finali, tale proprio perché questi sono
realizzati in loco.
o Proporre la creazione di una Fondazione Italo-Africana per la Crescita, allo scopo di
raccogliere interessi pubblici e privati italiani e africani, mediante la quale sviluppare
37 In Africa si registra la moltiplicazione d’iniziative regionali promosse sia da blocchi economici sia da singoli Stati,
sovente in sovrapposizione e competizione le une con le altre, da cui appare chiara un’accresciuta funzione interlocutrice delle Comunità Economiche Regionali (RECs) africane per l’Europa e per l’Italia. Dal punto di vista economico, politico e militare, l’Europa dovrebbe accrescere il numero di accordi con gruppi ristretti di Stati africani attraverso un multilateralismo per gruppi regionali (Sahel, Corno d’Africa, Golfo di Guinea, Processo di Rabat, Processo di Khartoum, ecc…), non solo per arginare il rischio che le criticità del Sahel si allaccino con l’instabilità dell’Africa Orientale e della Regione dei Grandi Laghi, ma anche per razionalizzare l’efficacia auspicata dell’impegno profusovi. Di norma i movimenti radicali africani sono espressione di radici locali, ma, per ampliare la propria capacità operativa e ottenere maggiori finanziamenti, è concreta la minaccia che tentino in maniera crescente d’integrarsi fra loro oltre che a legarsi alle centrali mediorientali.
53
una Visione di Co-Sviluppo Strategico (VCSS), volta all’internazionalizzazione e alla
delocalizzazione delle PMI italiane e al rilancio delle relazioni economiche tra l’Italia e
l’Africa.
o Generare alleanze italo-africane in settori industriali chiave per le economie italiane e
africane: agricoltura, energia, trasporti, sviluppo urbano, beni di largo consumo,
digitali, industrie culturali, sanità, turismo e sicurezza.
– Aumentare le capacità d’intervento dell’Unione Europea a favore dell’Africa attraverso
l’attivazione di un Fondo Permanente Europeo per le Crisi Africane, in maniera tale da
ricavarsi un ruolo maggiore nei futuri interventi nel Sahel, che sarebbero pagati sul
canale multilaterale, con ricadute inferiori sul budget nazionale italiano secondo la
modalità del Multilateralismo Controllato.
– Promuovere da un lato Alleanze Trasversali con Paesi extra-UE (ATPeUE), già latori di
proprie visioni strategiche verso l’Africa, e dall’altro lato Alleanze Tattiche con Paesi
intra-UE (ATPiUE) con minore tradizione e conoscenza dell’Africa, eppure intenzionati a
ritagliarsi un ruolo di rilievo nello scacchiere.
– Valorizzare il ruolo della Diaspora e dell’Immigrazione qualificata, attraendo talenti con
borse di studio come pontieri, ad esempio con un progetto Erasmus mediterraneo e
africano. Sarebbe opportuno infatti rilanciare e potenziare la formazione del capitale
umano, la cooperazione universitaria e della ricerca, e gli scambi intellettuali.
– Ottimizzare e utilizzare al meglio la presenza di personale italiano presso le
Organizzazioni Internazionali e Intergovernative, le ONG e le PMI in Africa, così da
attivare antenne di Soft-Intelligence sul canale multilaterale pubblico e nel settore
privato.
In conclusione l’Italia, nel concepire e portare avanti il suo concetto strategico verso
l’Africa in generale e per il Sahel in particolare, dovrà tenere conto che la politica
dell’Unione Europea sinora attuata con l’Africa, rischia l’inefficacia, finché le iniziative delle
singole agende nazionali degli Stati Membri dell’Unione continueranno a condizionarne
l’unità d’intenti, malgrado l’enorme potenziale che l’azione esterna comune potrebbe
sprigionare.
54
CAPITOLO 7
L’Unione Europea e il Sahel
La Strategia per la Sicurezza e lo Sviluppo nel Sahel dell’Unione Europea
La regione del Sahel è una delle più povere del mondo. Le Nazioni della fascia saheliana
devono affrontare condizioni di estrema povertà, tensioni interne, debolezze istituzionali,
elevati tassi di crescita demografica nonché una considerevole esposizione tanto ai
cambiamenti climatici quanto a frequenti crisi alimentari. La faticosa gestione della
sovranità statale su importanti territori dovuta a profonde carenze istituzionali – Failed e
Failing States – asseconda i traffici illeciti, la radicalizzazione violenta e l’estremismo
islamista. Di conseguenza nel marzo 2011 l’UE ha adottato un approccio globale per la
regione del Sahel, utilizzando come riferimento una specifica strategia omnicomprensiva
per la sicurezza e lo sviluppo regionali – la Strategia per la Sicurezza e lo Sviluppo nel
Sahel dell’Unione Europea38 – fondata sia sul principio per cui lo sviluppo e la sicurezza si
rafforzano a vicenda sia sulla stringente necessità di una risposta regionale alla stretta
interconnessione tra loro di tutti questi problemi. In dettaglio la Strategia UE per il Sahel
comprende quattro linee di azione: sviluppo, buon governo e risoluzione dei conflitti
interni; azioni politiche e diplomatiche; sicurezza e Stato di diritto; contrasto
dell’estremismo violento e dei fenomeni di radicalizzazione. Questa strategia rimane il
quadro di riferimento per l’azione dell’UE per sostenere i Paesi della più ampia regione
sahelo-sahariana. Infatti a marzo 2014 il Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri dell’UE ne
ha esteso la competenza a Burkina Faso e Ciad, oltre a Mali, Mauritania e Niger.
La Strategia UE per il Sahel si articola in progetti concreti realizzati attraverso il Piano
d’Azione Regionale39. Il bilancio indicativo del XI Fondo Europeo di Sviluppo (FES) per i
cinque Stati del Sahel (Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger, Mauritania) qui considerati per il
periodo 2014-2020 è pari a 2,47 miliardi di Euro. La distribuzione dei finanziamenti europei
per ciascuno di questi Paesi secondo il National Indicative Programme (NIP) è la
seguente: Burkina Faso (€623 milioni), Ciad (€442 milioni), Mali (€615 milioni), Niger
(€596 milioni), Mauritania (€195 milioni). Le condizioni di sicurezza nella regione del Sahel
rimangono tutt’oggi estremamente aleatorie, con una situazione particolarmente precaria
nel nord del Mali e intorno al Lago Ciad con ricadute nel sud della Libia e nel nord della
38 Cfr. https://eeas.europa.eu/sites/eeas/files/strategy_for_security_and_development_in_the_sahel_en_0.pdf 39 Infra.
55
Nigeria, mentre il Niger è un importante nodo di transito e Paesi per i movimenti migratori
attraverso il Sahel.
Il Piano d’Azione Regionale (RAP) dell’UE cercherà di rendersi complementare con tutte le
altre strategie comunitarie pertinenti e con i relativi Piani d’Azione quali la Strategia
Congiunta Africa-UE e la Strategia dell’UE sul Golfo di Guinea, oltre evidentemente a una
più stretta cooperazione con i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA), con un
focus particolare rivolto al dialogo con Algeria, Egitto, Libia, Marocco, e Tunisia. Ai sensi
dei Trattati europei in vigore quattro aree di azione (Action Areas) sono state identificate,
per dare impulso alla Strategia UE per il Sahel e al RAP quanto all’impatto del radicalismo
islamista sotto forma di salafismo e di wahabismo nello scacchiere, in maniera tale da
fornire opportunità di lavoro e concrete possibilità alla gioventù saheliana rispetto
all’attrazione offerta da parte di tali visioni del mondo fondamentaliste, così da
rapidamente favorire l’integrazione della gioventù, anziché consentirne la dispersione.
Un altro aspetto particolarmente rilevante quanto alle azioni sinergiche portate avanti da
Bruxelles nella regione riguarda la risposta alle ricorrenti crisi alimentari e più in generale
all’insicurezza alimentare a lungo termine nel Sahel. Secondo i dati del sistema di allerta
precoce europeo (EU Conflict Early Warning System) la situazione generale nel Sahel è in
netto peggioramento o, nella migliore delle ipotesi, stagnante: ben oltre cinque milioni di
bambini soffrono di patologie facilmente estirpabili come il rachitismo (circa il quaranta
percento dei bambini sotto i cinque anni di età). Aldilà dei drammatici aspetti umani e
sociali della questione il costo economico della malnutrizione è stimato tra il due e l’otto
percento del PIL delle Nazioni saheliane più colpite. Inutile dire che la debolezza delle
finanze pubbliche e delle istituzioni nazionali in molti di questi Stati rende particolarmente
difficoltoso rispondere adeguatamente alle frequenti crisi che interessano la regione,
dovendo dunque ricorrere ad aiuti esterni. La risposta di Bruxelles di lungo termine alla
crisi alimentare nel Sahel può essere sintetizzata con il concetto di Building Resilience. In
questo senso l’UE sta attuando programmi di sviluppo volti a rafforzare la resilienza,
affrontando le cause profonde della malnutrizione, migliorando il funzionamento dei
mercati regionali, così da aumentarne la capacità a livello regionale e nazionale e di
conseguenza tentare di ridurre i rischi di disastri correlati. L’UE opera in questo modo in
stretta cooperazione con l’ONU, l’UA, la CEDEAO, l’Unione Economica e Monetaria
dell’Africa Occidentale (UEMOA), il G5 Sahel, e con la Banca Mondiale. Tale stretto
coordinamento insieme internazionale e regionale vede agire in parallelo il
Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel40, il Rappresentante Speciale del Segretario
40 Infra.
56
Generale delle Nazioni Unite per il Mali (Mongi Hamdi) e l’Alto Rappresentante dell’Unione
Africana per il Mali e il Sahel (Pierre Buyoya), così da creare sinergie nell’attuazione delle
rispettive strategie. Altre iniziative sono state istituite ex novo oppure rivitalizzate: è il caso
dell’Alleanza Globale per l’Iniziativa Resilienza (AGIR)41, lanciata a Ouagadougou nel
dicembre 2012; il Processo di Nouakchott, sorto nel 2013 al fine di promuovere la
sicurezza collettiva nella regione sotto l’egida dell’UA; la Commissione del Bacino del
Lago Ciad, riattivata onde affrontare questioni di confine comune, in considerazione della
maggiore minaccia per la regione del Sahel dalle azioni di Boko Haram, che da problema
nazionale interno della Nigeria è divenuto una minaccia regionale, coinvolgendo Niger,
Ciad e Camerun.
Il Piano d’Azione Regionale dell’Unione Europea per il Sahel (2015-2020)
Il collegato Piano d’Azione Regionale (Regional Action Plan – RAP) dell’Unione Europea
per il Sahel (2015-2020)42 dell’omonima strategia è stato adottato dai Ministri degli Esteri il
20 aprile 2015 ed è stato aggiornato a giugno 2016. Con lo slogan di pensare e agire a
livello regionale – Think and Act Regionally – il Piano d’Azione si concentra su quattro
priorità fondamentali per i prossimi cinque anni destinata a cinque specifici Stati saheliani
(Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger, Mauritania), vale a dire: prevenzione e contrasto della
radicalizzazione; creazione di condizioni adeguate per i giovani; migrazione e mobilità;
gestione delle frontiere e lotta contro il traffico illecito e la criminalità organizzata
transnazionale. Il RAP è attuato d’accordo con le parti interessate ovvero gli Stati saheliani
beneficiari dei programmi di sostegno e con le organizzazioni regionali competenti,
fondendo i contributi dei singoli Stati membri dell’Unione Europea ad essi destinati con le
risorse più generali di cui gode l’UE in quanto istituzione.
Altro obiettivo di Bruxelles è la prevenzione delle migrazioni irregolari, il contrabbando e la
tratta di esseri umani, rivolgendo un’enfasi al Niger – nelle città settentrionali di Agadez e
di Arlit – in quanto principali luoghi di transito delle rotte migratorie verso la Libia e il
Mediterraneo e a Diffa, località del Niger meridionale soggetta a ripetuti assalti da parte di
Boko Haram, lungo il poroso confine con la Nigeria nei pressi del Lago Ciad. Alla luce di
tutto ciò il RAP indica le linee guida, cui specifici progetti e azioni nel Sahel dei singoli Stati
membri dell’UE, compresa l’Italia, dovranno ispirarsi per i prossimi anni: concentrarsi su
specifiche aree geografiche o comunità, dove la radicalizzazione e il reclutamento si
concentrano maggiormente; integrare le azioni rivolte ai fenomeni migratori attraverso
41 Infra. 42 Cfr. http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2015/04/20-council-conclusions-sahel-regional-plan/
57
l’identificazione d’indicatori, così da monitorarne i progressi compiuti nel settore,
basandosi sull’esperienza maturata con il Processo di Rabat43. l’Italia, a beneficio dei
cinque Stati del Sahel destinatari di azioni bilaterali e multi-bilaterali nell’ambito del RAP,
ha versato i seguenti fondi così destinati: per il Sahel nel suo insieme cinque milioni di
Euro, per il Burkina Faso oltre otto milioni di Euro, per il Mali quindici milioni di Euro – oltre
al personale italiano impiegato nell’EUCAP Sahel Mali 44 e a quello dislocato presso
l’EUTM Mali45 – per la Mauritania dieci milioni di Euro e a favore del Niger trenta milioni,
oltre al personale impiegato nell’EUCAP Sahel Niger46 . L’attuazione politica del RAP
spetta non solo al capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ma anche ai singoli
Stati membri dell’UE, così da consentire anche all’Italia di esprimere le proprie capacità
d’indirizzo in un’area altamente sensibile e volatile per la propria proiezione a sud del
Mediterraneo, luogo di confine e di transito delle migrazioni provenienti dal sud del mondo,
che tanta preoccupazione destano nelle opinioni pubbliche del nord del Mare Nostrum.
Difatti data la vicinanza del Sahel per l’UE e per l’Italia cresce la necessità, al fine di
affrontare meglio le questioni transfrontaliere, di esplorare uno spazio comune per il
dialogo e la cooperazione tra il Sahel, il Maghreb e l’Europa quanto a sicurezza e
migrazioni nel più ampio quadro dei meccanismi esistenti quali il Processo di Rabat e dello
EU-Horn of Africa Migration Route Initiative (HoAMRI), altrimenti noto come Processo di
Khartoum su migrazione e sviluppo.
Il Processo di Khartoum
In Africa in generale e nel Sahel in particolare le principali cause delle migrazioni sono
l’instabilità politica, i conflitti, le violazioni dei diritti umani, lo stato di povertà e l’assenza di
prospettive credibili per il futuro. Poiché la protezione internazionale e l’assistenza
umanitarie vanno garantite a tutti coloro ne abbiano diritto, nel pieno rispetto del principio
del non respingimento (non-refoulement), come sancito dalla Convenzione di Ginevra
sullo Statuto dei Rifugiati del 1951, l’UE ha deciso di intervenire sulla questione migratoria,
condividendo fra gli Stati membri non soltanto il tracciamento dei movimenti delle
popolazioni, ma soprattutto una valutazione obiettiva delle ragioni intrinseche, che
spingono le persone a migrare nonostante ostacoli insormontabili, anche attraverso un
dialogo aperto con le Nazioni, dalle quali maggiormente si generano i flussi migratori.
43 Infra. 44 Infra. 45 Infra. 46 Infra.
58
Le azioni dell’UE a livello continentale, regionale e nazionale riguarderanno sempre più
direttamente le tre aree geografiche che subiscono l’attraversamento dei flussi dei
migranti, vale a dire i Paesi d’origine, i Paesi di transito (sia in Africa sia in Europa) e i
Paesi di destinazione finale. Il quadro generale mediante il qual l’UE guarda alle
migrazioni, alla mobilità e alla politica d’asilo è descritto nello EU Global Approach to
Migration and Mobility (GAMM) del 2005, strutturato secondo forme di dialogo
approfondito con l’Africa a livello appunto continentale, regionale e bilaterale. Con un
maggiore protagonismo dell’Italia nel corso degli ultimi anni si sono succedute alcune
iniziative bilaterali e multilaterali riguardanti non solo il Sahel, ma anche il Grande Corno
d’Africa o Corno d’Africa Allargato (Sudan, Sud Sudan, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Somalia,
Kenya e Uganda). Infatti il già noto Processo di Rabat o Dialogo Euro-Africano su
Migrazione e Sviluppo, istituito nel 2006, riguardante il rapporto fra UE e Stati dell’Africa
Occidentale Allargata, è stato affiancato, anche per volontà del Governo italiano, dal
cosiddetto Processo di Khartoum (PK) ovvero EU-Horn of Africa Migration Route Initiative
(HoAMRI)47 concernente invece l’Africa Orientale.
La Rotta Migratoria Occidentale fa capo al Processo di Rabat, avviato nel 2006 durante la
prima Conferenza Ministeriale Euro-Africana su Migrazioni e Sviluppo proprio a Rabat
(Marocco), riunendo cinquantacinque Nazioni europee e africane. Il Processo di Rabat,
che interessa tre regioni specifiche – l’Africa Settentrionale, l’Africa Occidentale e l’Africa
Centrale – nel corso degli anni è stato in grado di avviare un proficuo dialogo mediante
l’implementazione di alcune iniziative di rilievo, quali ad esempio il Seahorse Atlantic
Network, operativo sin dal 2006 fra Spagna, Portogallo, Senegal, Mauritania, Capo Verde,
Marocco, Gambia e Guinea-Bissau, il quale ha permesso lo scambio d’informazioni, al fine
di impedire l’immigrazione irregolare nell’area.
La Rotta Migratoria Orientale invece fa capo al Processo di Khartoum (PK), alias EU-Horn
of Africa Migration Route Initiative (HoAMRI), il quale riguarda l’Africa Orientale per
l’appunto. Istituito con una conferenza ministeriale a Roma a novembre 2014, sotto
l’impulso della Presidenza italiana dell’Unione Europea, esso è retto da un comitato
permanente, che opera secondo la regola del consenso, costituito da cinque Nazioni
europee (Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Malta), cinque africane (Egitto, Eritrea,
Etiopia Sud Sudan e Sudan), la Commissione Europea, il Servizio Europeo di Azione
Esterna (SEAE) e la Commissione dell’Unione Africana (AUC). Il rinnovato impegno di
Italia e Germania verso un’azione multidimensionale congiunta nel Corno d’Africa è
47 Tanto la Strategia UE per il Sahel quanto il Processo di Khartoum ambiscono ad avere una valenza di stabilizzazione
nelle rispettive subregioni.
59
sfociato nella Dichiarazione di Roma, secondo una strategia imperniata sui seguenti
quattro pilastri: migrazione legale e mobilita; migrazione irregolare e contrasto al crimine
organizzato; nesso tra migrazione e sviluppo; protezione internazionale. In quell’occasione
l’allora Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, e quello tedesco, Frank-Walter
Steinmeier, descrissero il PK come un impegno strategico di lungo termine, per affrontare
alla radice il problema dell’immigrazione, che comporta diverse azioni politiche, tra le quali
la lotta contro il traffico dei migranti (smuggling) e contro la tratta (trafficking) degli esseri
umani. Con il Piano d’Azione di Sharm El Sheikh (23-24 aprile 2015) sono state approvate
alcune indicazioni pratiche sulla tipologia di progetti da predisporre: il rafforzamento delle
capacità istituzionali e delle risorse umane di quei Paesi in prima linea contro il traffico di
esseri umani anche per mezzo della creazione di centri di formazione regionali; capacity
building in ambito giuridico; sviluppo della consapevolezza del potenziale migrante intorno
ai rischi connessi; potenziamento delle capacità di controllo frontaliero; campagne
informative con mezzi tradizionali e innovativi; punti informativi per i migranti; sviluppo di
un modello di strategia nazionale volto a implementare la “Convenzione di Palermo”, ossia
la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale
(UNTOC). In questi ultimi mesi sono stati avallati rilevanti programmi espressamente
dedicati al dialogo politico con l’Eritrea e il Sudan, a dimostrazione dell’importanza per
Bruxelles della stabilizzazione del Corno d’Africa.
Forme di finanziamento della Strategia e del Piano d’Azione UE
La Strategia UE per il Sahel non gode di una sola fonte di finanziamento, poiché sono
diversi gli stanziamenti utilizzati per contribuire ai suoi obiettivi e cioè:
Aiuto allo sviluppo per il periodo 2014-2020: 5 miliardi di Euro provenienti in parte dallo
XI FES (2,5 miliardi per i cinque Paesi obiettivi della strategia).
Aiuti umanitari: 358 milioni di euro per il periodo 2014-2015.
Risposta alla crisi alimentare e rinforzo della resilienza: assegnazione per il periodo
2014-2020 di 1,5 miliardi per l’Alleanza Globale per l’Iniziativa Resilienza (Global
Alliance for Resilience Initiative – AGIR)48.
I fondi per i costi operativi annuali delle missioni civili della Politica Europea di
Sicurezza e di Difesa (PESD) EUCAP Sahel Niger (9,16 milioni di Euro tra luglio 2014 e
luglio 2015), EUCAP Sahel Mali (11,4 milioni di Euro tra gennaio 2015 e gennaio 2016),
EUTM Mali (11,1 milioni di Euro all’anno per il periodo 2016-2018).
48 Cfr. http://ec.europa.eu/echo/what/humanitarian-aid/resilience/sahel-agir_en
60
La possibilità di utilizzare i fondi sia del Programma Indicativo Regionale (Indicative
Regional Programme – RNP) per l’Africa Occidentale sia pure dello strumento di
cooperazione allo sviluppo (programma panafricano).
Le sovvenzioni del Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa (Emergency
Trust Fund for Africa – EUTF).
L’uso dello strumento finanziario della politica di vicinato proposta dal Piano Regionale
2015-2020 per la realizzazione di progetti comuni nel Paesi del Maghreb e del Sahel.
A ciò occorre aggiungere anche i fondi dello Strumento di Stabilità (Instrument
Contributing to Stability and Peace – IcSP)49 per il crisis management e per le misure di
stabilizzazione a lungo termine. Infatti tra il 2007 e il 2014 la strategia antiterrorismo nel
Sahel ha ricevuto 58,3 milioni di Euro provenienti dall’IcSP, mentre tra il 2014 e il 2020 vi
saranno riservati altri 18 milioni di Euro. Negli ultimi anni infatti l’IcSP è stato ampiamente
utilizzato in tutta la regione del Sahel sia per fare fronte a crisi di breve termine sia a quelle
di lungo termine. Nel campo della sicurezza le attività includono il supporto alle istituzioni
degli Stati saheliani, con un’attenzione particolare rivolta al rafforzamento delle capacità di
gestione delle frontiere in Mauritania, Niger e Nigeria, e a livello di comunità locali con la
creazione di corpi di polizia municipali in Niger, così come la messa in sicurezza della
popolazione civile in Mali. Lo Strumento di Stabilità è stato inoltre utilizzato nel quadro
d’iniziative di lotta al terrorismo e contro-radicalizzazione grazie alla creazione del “Sahel
Security College” (attualmente composto da rappresentanti di Mali, Mauritania, Niger), che
ha lo scopo di promuovere la tolleranza, il dialogo fra fedi differenti (inter-religioso) e fra
credi diversi (intra-religioso), oltre a fornire supporto didattico alle scuole coraniche
maliane, nigeriane e nigerine. Altre azioni nello stesso contesto interessano da un lato il
contrasto dell’estremismo violento attraverso la creazione di opportunità socio-economiche
soprattutto per i giovani in Ciad, Niger, e Nigeria e dall’altro alto specifici programmi di
disarmo, smobilitazione e reinserimento che promuovono il reintegro sociale ed
economico degli ex combattenti in Nigeria e in Ciad.
49 Cfr. https://www.insightonconflict.org/icsp/ – Lo Strumento di Stabilità europeo, istituito nel 2007, con una dotazione
di oltre duemila miliardi di Euro, consente alla Commissione Europea di agire prontamente per la prevenzione e la gestione delle crisi nei Paesi terzi, contribuendo così al crisis management. I principali strumenti orizzontali dell’UE sono: lo Strumento per la Stabilità, lo Strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo; lo Strumento per la cooperazione in materia di sicurezza nucleare, e gli Strumenti per l’Aiuto Umanitario e per l’Assistenza Macro-Finanziaria.
61
Le missioni europee nel Sahel nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa
Comune (PSDC)
A integrazione della Strategia e del Piano d’Azione l’approccio globale dell’UE per la
sicurezza e lo sviluppo nel Sahel comprende tre missioni nell’ambito della Politica di
Sicurezza e Difesa Comune (PSDC): l’EUCAP Sahel Niger dal 2012, l’EUCAP Sahel Mali
dal 201 e l’EUTM Mali dal 2013.
EUCAP SAHEL Niger
L’UE ha lanciato la missione civile EUCAP (European Union Capacity Building) Sahel
Niger 50 nel 2012 con l’obiettivo di sostenere il Paese nella lotta al terrorismo e alla
criminalità organizzata. EUCAP Sahel Niger fornisce consulenza e formazione, per
sostenere le istituzioni di sicurezza nigerine (polizia, gendarmeria, guardia nazionale) nel
rafforzamento delle loro capacità di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata, in
linea con la strategia dell’UE per la sicurezza e lo sviluppo. La missione promuove
l’interoperabilità delle forze di sicurezza nigerine, aiuta a sviluppare le capacità d’indagine
penale e a facilitare il coordinamento nella lotta contro il terrorismo e la criminalità
organizzata e a migliorare la sostenibilità delle forze di sicurezza. Il 26 luglio 2016 la
diplomatica finlandese Kirsi Henriksson è stata nominata capo della missione in
sostituzione di Filip de Ceuninck. È importante osservare come il 18 luglio 2016 il mandato
della missione sia stato modificato, integrandolo con una nuova competenza, quella di
assistere le autorità nigerine nella gestione dell’immigrazione irregolare. Più precisamente
è stato attivato un Centro Polifunzionale dell’UE ad Agadez, località del nord nigerino
divenuta lo hub delle rotte migratorie, che conducono poi attraverso il deserto libico alle
rive del Mar Mediterraneo. Questo centro operativo è un esperimento pilota, volto a fornire
ai migranti lungo le rotte migratorie principali un facile e continuo accesso a informazioni
credibili circa le opportunità della migrazione legale rispetto ai pericoli di quella illegale,
offrendo nello stesso tempo agli interessati un’immagine realistica delle vere condizioni di
vita in Europa che sono normalmente loro riservate. Tale assistenza diretta consentirà ai
migranti non solo di registrarsi, ma anche di usufruire, se lo desiderano, del rimpatrio
volontario assistito, in virtù di accordi siglati con i Paesi d’origine.
50 Cfr. https://eeas.europa.eu/csdp-missions-operations/eucap-sahel-niger_en
62
EUCAP SAHEL MALI
Nel gennaio 2015, il Consiglio dell’Unione Europea ha avviato la missione civile EUCAP
Sahel Mali51, guidata dal diplomatico tedesco Albrecht Conze52, allo scopo di sostenere le
forze di sicurezza interne del Mali nel garantire l’ordine costituzionale e democratico,
mettendo in atto le condizioni per una pace duratura nonché il mantenimento del controllo
territoriale da parte delle autorità maliane. Sulla falsariga dell’analoga missione in Niger,
l’EUCAP Sahel Mali fornisce consulenza tecnica, addestrando le tre forze di sicurezza
locali, vale a dire la polizia, la gendarmeria e la guardia nazionale, al fine di migliorare
l’efficienza operativa complessiva. La missione si adopera per ripristinare le rispettive
catene di comando, rafforzando il ruolo delle autorità amministrative e giudiziarie per la
gestione e il controllo delle loro missioni, così da facilitare un regolare ripristino della
normalità amministrativa nel nord del Paese.
L’EUTM Mali
51 Cfr. http://eucap-sahel-mali.eu/ 52 Cfr. http://eeas.europa.eu/archives/docs/csdp/missions-and-operations/eucap-sahel-
mali/docs/cv_hom_eucap_sahel_mali.pdf
63
EUTM MALI
Su richiesta delle autorità maliane e in linea con le decisioni internazionali, tra cui la
risoluzione del Consiglio di Sicurezza (CdS) n°2085 del 2012, l’UE nel 2013 ha iniziato
una missione di formazione militare dell’UE in Mali (European Union Training Mission) –
l’EUTM Mali53 – in programma fino al 2018. Il Comando della missione dal 19 dicembre
2016 è stato affidato al Brigadier Generale belga Peter Devogelaere. La missione sostiene
la ricostruzione delle Forze Armate del Mali, così da soddisfare le loro esigenze operative,
fornendo assistenza tecnica e dottrinale, in particolare per quanto riguarda il comando e
controllo (C2), la logistica, le risorse umane e il diritto umanitario internazionale, oltre ad
addestrare le unità di combattimento, pur non essendo la missione coinvolta in operazioni
di combattimento. L’EUTM Mali contribuisce anche, in coordinamento con la locale
missione di peacekeeping delle Nazioni Unite, la MINUSMA, al processo di smobilitazione,
reinserimento e disarmo secondo quanto previsto dagli accordi di pace. Per di più la
missione prevede la piena collaborazione con tutti quanti gli altri Paesi facenti parte del
G5-Sahel quanto all’interoperabilità delle rispettive Forze Armate. Fino a questo momento
l’EUTM Mali ha formato ed equipaggiato otto battaglioni maliani; nel complesso sono stati
addestrati ben ottomila soldati, pari a quasi due terzi dell’intero Esercito del Mali.
La preparazione dei militari avviene in maniera decentrata ovvero per mezzo di Combined
Mobile Advisory and Training Team (CMATT) dislocati in aree critiche del Paese; il
secondo CMATT è stato completato a metà dicembre 2016 a Kati nella regione di
Koulikoro nel sud-ovest del Paese.
Il Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel (RSUE)54
Più di ogni altra cosa è essenziale elevare il livello del dialogo politico dell’Europa con gli
attori in campo a sud del Mediterraneo. Un altro aspetto decisivo dell’azione esterna
dell’UE nel Sahel è costituito dal Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel (RSUE).
Il nuovo RSUE per il Sahel, lo spagnolo Angel Losada Fernandez, è stato nominato il
primo dicembre 2015 in sostituzione di Michel Reveyrand-de Menthon, in carica dal 18
marzo 2013. Tra il 2014 e il 2015 Losada Fernandez era stato Ambasciatore per il Sahel e
Inviato Speciale per la Libia di Madrid e in precedenza in Nigeria. Potendosi avvalere di
quasi due milioni di Euro, tra i suoi compiti istituzionali si annoverano il coordinamento e
53 Cfr. http://www.eutmmali.eu/ 54 Rappresentanti Speciali dell’Unione Europea (RSUE): vi sono oggi nove EU Special Representative (EUSR) in
altrettante aree del mondo. Gli EUSR, nominati dall’Alto Rappresentante, sono parte integrante del SEAE. Essi hanno il compito di promuovere le politiche e gli interessi dell’Unione in queste regioni e di operare attivamente, per stabilizzare la situazione politica, sostenere la pacificazione e la legalità.
64
l’implementazione della Strategia dell’UE per la Sicurezza e lo Sviluppo del Sahel, il
relativo Piano d’Azione Regionale nonché il raccordo di crescente rilevanza con gli Stati
del Bacino del Lago Ciad e con gli attori regionali concernenti il Golfo di Guinea e
dell’Africa Occidentale più in generale. Al mandato del RSUE pertiene il coinvolgimento
nel dialogo politico con tutti gli interlocutori della regione, in particolare G5-Sahel, quale
vera e unica organizzazione regionale di riferimento, ma anche i Governi, le organizzazioni
internazionali, la società civile e le diaspore, oltre ai Paesi del Maghreb. Il RSUE
rappresenta anche l’UE nelle sedi regionali e internazionali, come nel caso della
partecipazione al Comitato di Follow-Up degli Accordi di Pace del Mali55, siglati a giugno
2015. Losada ha anche l’incombenza di assicurare la visibilità del supporto fornito dall’UE
al crisis management e alla conflict prevention, ben evidente attraverso le missioni CSDP.
Il Gruppo di Contatto per il Sahel (Piattaforma Bamako)
Il Rappresentante Speciale dell’UE per il Sahel ha costituito assieme con i suoi omologhi
delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, della Banca Mondiale e della Banca Africano di
Sviluppo un Gruppo di Contatto per il Sahel, che ha preso il nome di Piattafroma
Ministeriale di Bamako, finalizzato allo scambio d’informazioni sugli sviluppi della
situazione regionale e alla definizione delle future priorità strategiche. La Piattaforma
Bamako è stata reputata indispensabile dopo la visita congiunta di alto livello nella regione
del Sahel nel 2013 di ONU, UA, Banca Mondiale e UE. Anche l’Ufficio dell’Inviato Speciale
delle Nazioni Unite per il Sahel ha il compito del coordinamento politico delle tante
strategie per il Sahel mediante il supporto di una specifica piattaforma ministeriale di
coordinamento ancora in nuce.
55 Negli scorsi mesi è venuto rafforzandosi il ruolo di mediazione del Groupe Consultatif Sahel, costituito nell’ottobre
2014, che ha coordinato l’attività diplomatica sui negoziati di pace per il Mali ad Algeri in stretta collaborazione con l’AU-UN-ECOWAS led international Support and Follow-Up Group on Mali.
65
L’evoluzione dei rapporti dell’Unione Europea con Burkina Faso, Ciad, Mauritania e
Niger
Burkina Faso
Gli Stati membri e l’UE insieme forniscono ogni anno circa 400 milioni di Euro e il 40 per
cento di tutta l’assistenza internazionale al Burkina Faso. Attraverso il XI Fondo Europeo
di Sviluppo (FES) per il periodo 2014-2020 il Programma Indicativo Nazionale (Indicative
National Programme – INP) dotato di 623 milioni di Euro si articola secondo le seguenti
aree focali di cooperazione allo sviluppo: governance, salute, e sicurezza alimentare,
agricoltura sostenibile, acqua.
L’obiettivo strategico delle relazioni dell’UE con il Burkina Faso è sostenere la crescita
economica inclusiva e sostenibile, per migliorare la qualità della vita della popolazione,
diminuire le disuguaglianze e ridurre la povertà e la malnutrizione. Essa mira inoltre a
contribuire al miglioramento della governance, della resilienza delle popolazioni più
vulnerabili ovvero della loro capacità di recupero, del reddito e del benessere, così che la
società civile pervenga a vigilare sull’attuazione e la reale applicazione delle politiche
pubbliche. Della dotazione totale, 120 milioni di Euro sono stati allocati per il rafforzamento
della transizione politica. Inoltre circa 400 milioni di Euro sono stati impegnati nel 2016
principalmente attraverso il sostegno diretto al bilancio statale (budget support).
Nell’ambito dell’EUTF56 già tre progetti sono stati finora approvati per il Burkina Faso per
un totale di 55,2 milioni di Euro. A proposito dell’aiuto umanitario Ouagadougou ha
beneficiato nel corso del 2016 di 20,3 milioni di Euro, perlopiù destinati alle fasce più
vulnerabili della popolazione burkinabé a rischio di malnutrizione.
Il Burkina Faso
56 Infra.
66
Ciad
Il Nord Ovest del Ciad è l’area che maggiormente corre il rischio di trasformarsi a breve in
un’area saheliana di gravissima instabilità, dove l’estremismo religioso, le rivolte e il
traffico di droga potrebbero trovare ulteriormente terreno fertile, soprattutto se N’Djamena
dovesse continuare a trascurare questa regione particolarmente plagiata, che svolse in
passato il ruolo critico di cerniera tra la cultura arabo-islamica del nord e quella negro-
africana del sud. Oggi più di prima la sua posizione strategica la rende target prioritario per
le reti criminali e terroristiche57. Gli Stati membri e l’UE insieme forniscono ogni anno circa
200 milioni di Euro a N’Djamena e il 50 per cento dell’intera assistenza internazionale del
Ciad. Attraverso il XI Fondo Europeo di Sviluppo (FES) per il periodo 2014-2020 il
Programma Indicativo Nazionale (Indicative National Programme – INP) dotato di 442
milioni di Euro si articola secondo le seguenti aree focali di cooperazione allo sviluppo: la
sicurezza alimentare, la nutrizione e lo sviluppo rurale; la gestione delle risorse naturali; il
rafforzamento dello Stato di diritto. Nell’ambito dell’Emergency Trust Fund for Africa58 già
tre azioni sono state finora approvate per il Ciad per un totale di 55,3 milioni di Euro, volte
prima di tutto a contribuire alla stabilità del Bacino del Lago Ciad. Lo Strumento di Stabilità
57 È auspicabile che Governo ciadiano si lasci urgentemente alle spalle le inadeguate modalità coloniali di governance,
basate su uno stretto controllo regionale per tramite dei capi tradizionali e delle forze di sicurezza, garantendo invece una politica di sviluppo sostenibile tanto preventiva quanto necessaria.
58 Infra.
67
finanzia diverse azioni volte a promuovere la stabilizzazione, la sicurezza e la convivenza
pacifica, per un importo complessivo di circa 21 milioni di Euro. Quanto all’aiuto umanitario
della Commissione Europea nel 2016 il Ciad ha potuto beneficiare di 50,2 milioni di Euro.
I fondi sono stati devoluti a quei bambini affetti da malnutrizione acuta, all’assistenza
multisettoriale per gli sfollati interni e per i rifugiati provenienti dalla confinante Repubblica
Centroafricana (RCA).
68
Il Ciad
Mauritania
L’evoluzione della crisi per mano di AQMI è stata alacre anche in Mauritania, fintanto che
l’attuale dirigenza non ha preso serie contromisure securitarie come la nuova legge anti-
terrorismo del 2010. Il 23 giugno 2009 fu assassinato da AQMI un dirigente di una ONG
americana a Nouakchott. L’8 settembre 2009 vi fu un attentato suicida contro l’Ambasciata
francese, anch’esso rivendicato da AQMI. Il 29 novembre furono rapiti tre cooperanti
spagnoli della ONG Acción Solidaria. Condizione del rilascio fu la liberazione proprio
dell’autore del sequestro, il maliano Omar Sid’Ahmed Ould Hamma, noto come “Omar le
Sahraoui”, che venne estradato in Mali. Il 16 aprile 2010 furono liberati in Mali i due
69
coniugi italiani, Sergio Cicala e Philomène Kaboré, costei di origini burkinabé, i quali erano
sequestrati da AQMI in Mauritania il 18 dicembre 2009; il Governo italiano negò che fosse
stato pagato un riscatto e non è noto se la liberazione degli ostaggi fosse seguita al
soddisfacimento delle richieste dei sequestratori, i quali avrebbero chiesto a Roma di
adoperarsi per il rilascio di alcuni qaidisti detenuti in Mauritania. Di cinque anni di lavori
forzati fu la condanna comminata dalla corte di Nouakchott nei confronti di un cittadino
mauritano, Taleb Ould Ahmednah, e di un maliano, Aberrahmane Ould Meddou,
riconosciuti colpevoli di appartenenza e sostegno ad AQMI per il rapimento della coppia
italiana. Successivamente il presunto capo della branca mauritana di AQMI, Al Khadim
Ould Semane, in una lettera redatta in carcere, esortava i musulmani a non riconoscere il
regime miscredente del Generale Abdel Aziz, in quanto a suo avviso appoggiato da
Francia, Israele e USA. A causa del nomadismo, praticato tanto dai mauri quanto dai
sahrawi, con cui condividono la medesima cultura e lingua – l’Hassaniya – in Mauritania e
nel Sahara Occidentale la fede islamica è sempre stata tradizionalmente aperta e
tollerante. Malgrado ciò si riscontra a partire dalla fine degli Anni Novanta una
radicalizzazione del discorso politico fra i giovani mauri urbanizzatisi prevalentemente
nelle periferie della capitale, dove si sta concentrando una nuova classe di emarginati
urbani, facili prede per il reclutamento da parte dei fondamentalisti. Dal punto di vista
culturale e sociale, assistiamo allo stallo mai seriamente affrontato né evidentemente
superato di una visione conflittuale e ambigua dell’identità nazionale59 costituita da un lato
dai mauri, al loro interno suddivisi tra mauri bianchi (Beidane) e mauri neri (Harratin),
arabofoni e musulmani, e dall’altro lato dagli africani neri, perlopiù francofoni, i quali, a
dispetto delle apparenze e della fede musulmana formalmente professata, sono in realtà
profondamente distanti dai precetti islamici, e invece legati alle religioni tradizionali
africane e alle rispettive culture più profonde. Di fronte alla vulnerabilità delle istituzioni
politiche civili, come ad esempio le difficoltà per i partiti d’opposizione di raggiungere e
mobilitare potenziali fette di elettorato, le redini del potere sono sempre e comunque in
mano alle Forze Armate: in trent’anni si sono succeduti ben dieci golpe e nessun
Presidente ha mai terminato il proprio mandato, senza essere stato defenestrato manu
militari.
59 In Mauritania il regionalismo, il nepotismo, l’oligopolio familistico circa il modo di fare impresa, la sproporzionata
divisione tra settore formale e informale nel mondo del lavoro e dell’economia, la corruzione, il classismo clanico e il tribalismo, il razzismo, la schiavitù, l’immobilismo sociale e politico, l’inerzia delle classi dominanti nell’modificare lo status quo assieme con l’autoritarismo della leadership impediscono ogni forma di ascensore sociale per i giovani e per i non mauri bianchi.
70
L’UE è il primo partner commerciale della Mauritania e il suo maggiore donatore.
L’Accordo di Partenariato per la Pesca è il più importante in termini di volume e finanziari
che l’UE abbia finora concluso.
Numerosi interessi comuni e una stretta e proficua collaborazione nella lotta contro
l’immigrazione irregolare verso l’Europa, contro il terrorismo e il traffico nel Sahel hanno
negli ultimi anni effettivamente rafforzato la collaborazione reciproca, facendo della
Mauritania un partner chiave e affidabile della Strategia dell’UE per il Sahel.
Gli Stati membri e l’UE insieme forniscono ogni anno circa cento milioni di Euro
corrispondente al 36 per cento dell’assistenza internazionale complessiva alla Mauritania.
Attraverso il XI Fondo Europeo di Sviluppo (FES) per il periodo 2014-2020 il Programma
Indicativo Nazionale (Indicative National Programme – INP) dotato di 195 milioni di Euro si
articola secondo le seguenti aree focali di cooperazione allo sviluppo: sviluppo rurale,
buon governo e miglioramento del sistema sanitario. Circa 300 milioni di Euro sono stati
allocati per una congerie di progetti ora in fase di esecuzione. In particolare Nouakchott è
stata scelta per la realizzazione di due progetti pilota di lotta alla radicalizzazione,
sottolineando così il ruolo del Paese come uno dei principali interlocutori della sicurezza
nella regione del Sahel. Per mezzo del Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per
l’Africa60 sono state avviate due iniziative per un totale di 6,2 milioni di Euro, allo scopo di
favorire la creazione di posti di lavoro per i giovani mauritani nel settore delle infrastrutture
oltre che per il contrasto del traffico di minori e dell’immigrazione irregolare. Relativamente
all’aiuto umanitario la Mauritania ha beneficiato nel corso del 2016 di dieci milioni di Euro,
destinati alle fasce più vulnerabili della popolazione, tra cui i profughi maliani assistiti in
territorio mauritano.
60 Infra.
71
La Mauritania
Niger
L’UE resta un interlocutore politico chiave e un partner di sviluppo principale di Niamey,
soprattutto per il ruolo del Niger come Paese di transito fondamentale per i migranti
irregolari provenienti da tutta l’Africa Occidentale. Pertanto Bruxelles nutre un particolare
interesse per il dialogo e la cooperazione in materia di migrazione e per quanto riguarda
l’attuazione del Piano d’Azione della Valletta61. Un dialogo di Alto Livello con le autorità
nazionali è stato avviato dalla HRVP, Mogherini, quando visitò il Niger a settembre 2015.
Gli Stati membri e l’UE insieme forniscono ogni anno circa 420 milioni di Euro pari al 44
per cento dell’aiuto internazionale totale del Niger, che è davvero il destinatario del
61 Infra.
72
quantitativo maggiore di assistenza internazionale pro capite dal XI Fondo Europeo di
Sviluppo (FES) per il periodo 2014-2020 con 596 milioni di Euro in totale. Infatti il Fondo
Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa si integra con i preesistenti sforzi europei per
una migliore gestione del fenomeno migratorio irregolare, delle sue cause e di quelle della
destabilizzazione del Sahel, promuovendo azioni mirate. Dal Trust Fund Niamey beneficia
di 105 milioni di Euro per sei progetti specifici. Lo Strumento di Stabilità finanzia un’azione
per lo sviluppo della sicurezza nelle regioni nigerine settentrionali con oltre 21 milioni di
Euro e un’altra espressamente dedicata alla resilienza delle popolazioni residenti nella
regione sud-orientale di Diffa con 16 milioni di Euro. L’aiuto umanitario europeo nel 2016 è
stato di 41 milioni di Euro, prevalentemente adoperati per arginare la malnutrizione acuta
infantile, il recupero delle vittime di violenza provocata dagli sconfinamenti di Boko Haram.
Il Niger
73
Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni e il Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza
per l’Africa
Il Vertice della Valletta sulle Migrazioni (11-12 novembre 2015) si svolse a Malta,
costituendo il Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa (Emergency Trust Fund
for Africa – EUTF)62. Presenti delegati della Commissione dell’Unione Africana (AUC),
della CEDEAO, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e
dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), scopo del Vertice è stato
quello di tradurre in pratica gli impegni politici presi dai leader europei per quanto riguarda
la sicurezza, la resilienza nonché le opportunità economiche e lo sviluppo fra Africa ed
Europa. Il dibattito tra i partecipanti si è soffermato su cinque aree tematiche: le cause
profonde delle migrazioni; la promozione di canali legali per le migrazioni; la protezione dei
migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei loro gruppi vulnerabili, come donne e
minori non accompagnati; il contrasto effettivo dello sfruttamento e del traffico di chi migra;
infine l’ottimizzazione delle procedure per i rientri e per le riammissioni. Sebbene l’Unione
Europea e l’Unione Africana63 abbiano presentato distinte letture del fenomeno migratorio
africano, in funzione delle rispettive reali priorità e agende politiche, è tuttavia stato
accettato da ambo le parti il principio guida per cui le migrazioni, siano esse intese come
sfide sia come opportunità, devono diventare una responsabilità condivisa. Infatti nella
Dichiarazione Politica del Vertice della Valletta sulle Migrazioni si afferma che, in ragione
dell’elevato livello di reciproca interdipendenza fra Europa e Africa, occorre adoperarsi, per
salvaguardare e proteggere i migranti durante tutte le fasi delle loro rotte migratorie.
Nello specifico il Presidente del Consiglio dell’UE, Donald Tusk, ha fatto riferimento ad
alcune azioni concrete che sono state avviate tanto nei Paesi d’origine quanto in quelli di
transito, al raddoppio del numero di borse di studio, destinate a studenti e ricercatori
africani per mezzo del Programma Erasmus +, così da promuovere la mobilità
accademica tra Africa ed Europa e, all’istituzione di programmi regionali per la protezione
e per lo sviluppo da attuarsi in Africa. L’iniziativa principale del Vertice della Valletta
consiste nel nuovo Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa (Emergency Trust
Fund for Africa – EUTF) – letteralmente “Fondo Europeo d’Emergenza per la stabilità
concernente le cause intrinseche delle migrazioni irregolari e degli sfollati in Africa” –
dotato di 1,8 miliardi di Euro, resi disponibili dai bilanci dei singoli Stati membri 64
62 Infra. 63 Se l’approccio europeo al fenomeno migratorio proveniente dall’Africa non tiene per nulla conto delle migrazioni
interne al Continente africano (migrazione interregionale), e vede il fenomeno come un attentato alla propria identità culturale, è pur vero che i Governi africani non reputano le migrazioni una priorità, cui dedicare la medesima attenzione pretesa dalle cancellerie europee.
64 L’Italia (con dieci milioni di euro), il Belgio e i Paesi Bassi sono i maggiori donatori.
74
dell’Unione, dal Fondo Europeo di Sviluppo (FES) oltre che dai contributi di altri donatori,
come la Norvegia e la Svizzera. I diretti beneficiari dell’EUTF fondo saranno: la regione del
Sahel e l’area del Lago Ciad (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Gambia, Mali, Mauritania,
Niger, Nigeria e Senegal); il Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya, Somalia, Sud
Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda); l’Africa Settentrionale (Algeria, Libia, Egitto, Marocco
e Tunisia). Più dettagliatamente il Piano d’Azione del Vertice della Valletta è stato costruito
su cinque ambiti essenziali e strutturati su sedici iniziative prioritarie, fra cui i benefici
apportati dalle migrazioni, le conseguenze degli allontanamenti coatti e l’opportunità di
investire nello sviluppo e nello sradicamento della povertà, l’utilità di predisporre mezzi più
rapidi ed efficaci per il trasferimento delle rimesse. Ne discende l’opportunità di
promuovere il coinvolgimento fattivo della diaspora anche nei Paesi d’origine attraverso
l’Istituto Africano per le Rimesse; contemporaneamente resta vitale confrontarsi con le
conseguenze dell’instabilità e delle crisi, fino a pervenire a prevenire i nuovi conflitti o
arrestarli in tempo. A proposito delle migrazioni legali e della mobilità due aspetti hanno
destato più attenzione di altri e cioè la promozione di canali regolari per le migrazioni
dall’Africa all’Europa mediante anche l’elaborazione e la successiva implementazione di
opportune strategie sia nazionali sia pure regionali su migrazione e mobilità umana. A fine
2015 la Presidenza lussemburghese del Consiglio Europeo ha attivato uno strumento
nuovo per la condivisione delle informazioni, la Risposta Politica Integrata alle Crisi
(IPCR)65, al fine di monitorare l’evoluzione dei flussi migratori, in modo tale da supportare i
decisori politici in proposito.
65 Le disposizioni dell’EU Integrated Political Crisis Response (IPCR), approvate il 25 giugno 2013 dal Consiglio
dell’Unione Europea, contribuiscono a rafforzare la capacità europea di prendere decisioni rapide in occasione di crisi maggiori, che richiedano una risposta politica a livello europeo.
75
CONCLUSIONI
La conflittualità medio-orientale si sta muovendo da est verso ovest – dall’Asia all’Africa –
trasformando il Sahara e il Sahel, un enorme territorio a cavallo tra Africa Settentrionale e
Africa Occidentale, nel principale epicentro delle criticità del Continente africano con
ricadute non circoscritte alle sole regioni interessate, bensì di ben più ampia magnitudine
con ripercussioni fino al Golfo di Guinea e al Grande Corno d’Africa.
Il terrorismo islamico, approfittando della destabilizzazione della Libia, ha avviato una
capillare e incessante espansione, che prevede sia il radicamento nel Sahel centro-
occidentale sia l’ulteriore destabilizzazione dei Paesi sahelo-sahariani, caratterizzati da
una particolare debolezza istituzionale, attraendovi flussi finanziari e attenzione mediatica
internazionale per la polarizzazione dello scontro, in virtù della crescente interdipendenza
di terrorismo e traffici illeciti in quest’area.
A causa di tale nuova focalizzazione, lungo il 16° Parallelo Nord è già in corso uno
stravolgimento della geopolitica regionale, volto ad evitare che si consolidi una zona
franca terroristica tra Africa Mediterranea e Africa Sub-Sahariana. Assistiamo così a un
riassestamento dello scacchiere con vecchi e nuovi attori sia continentali sia extra-
continentali, alcuni dei quali però intenderebbero approfittare del caos, per esercitare la
propria egemonia sul Sahel e sul Sahara.
Tale ristrutturazione geopolitica avviene lungo l’Africa Belt, quell’ineffabile linea divisoria
tra sunnismo e sufismo, tra Sahara e Savana, che ha sempre fatto da cuscinetto fra le due
sponde, segnando in termini etnici la divisione tra un Nord arabo-berbero e un Sud
africano ossia tra Africa Bianca e Africa Nera. In realtà i rapporti tra arabi musulmani e neri
africani – siano essi musulmani, cristiani o appartenenti alle Religioni Tradizionali Africane
(RTA) – per centinaia di anni si sono vicendevolmente nutriti di atavici pregiudizi,
xenofobia, forme di razzismo, incomprensioni e timori reciproci.
La fragilità di tale faglia freatica che attraversa l’Africa Belt lungo il 16° Parallelo Nord ha
concorso a rendere evidenti tali pregresse divisioni politiche e antropologiche, mettendo in
discussione l’idea dei confini coloniali africani. Le conseguenze della caduta del regime
libico di Gheddafi nel 2011 e l’acquisizione di parte del suo arsenale da parte di Attori Non
Statali, legati al jihadismo globale, ha determinato un’accelerazione di tutte queste criticità,
prima solo latenti, trasformando repentinamente porzioni degli Stati saheliani più fragili,
come in Mali, nel santuario dei Movimenti Associati ad Al Qaida e delle loro ali scissioniste
che hanno abbracciato il nuovo corso ispirato al Daesh. La crisi del Mali ha visto
protagonisti alcuni movimenti indipendentisti tuareg che, alleatisi provvisoriamente con i
76
fondamentalisti islamici, hanno cercato di approfittare proprio di tale impercettibile iato,
determinando il collasso dello Stato di diritto nelle regioni settentrionali del Paese, del
resto da sempre abbandonate a se stesse da parte delle autorità centrali.
Sebbene in questi ultimi anni il numero dei conflitti inter-statali nel Continente africano sia
drasticamente diminuito, tuttavia un più trasversale arco d’instabilità, foriero di conflitti
intra-statali con ripercussioni regionali, inizialmente sorto lungo la fascia saheliana, si sta
facendo sempre più spazio secondo due direttrici opposte e speculari lungo l’asse nord-
sud: da una parte la massa migratoria che dal meridione spinge verso il settentrione,
attraversando il Mediterraneo, fino a giungere sulle coste europee e dall’altra parte la
propagazione dell’integralismo in quei territori africani islamici passibili di radicalizzazione,
in funzione del fermento sunnita in corso nel mondo, la cui polarizzazione nel Sahel a
favore del Daesh è in diretta concorrenza con quella protesa verso Al Qaida.
Al fine di contenere il fondamentalismo, di prevenire la radicalizzazione della gioventù
mediante la creazione delle opportune condizioni di sviluppo e di occupazione, di gestire
le migrazioni, di controllare le frontiere e di contrastare i traffici illeciti della criminalità
organizzata transnazionale, l’approccio globale dell’Unione Europea per il crisis
management nella regione del Sahel si fonda su un’apposita Strategia, da implementarsi
attraverso il suo Piano d’Azione. Pertanto le linee d’indirizzo promosse dall’Europa nello
scacchiere riguardano lo sviluppo sostenibile, la good governance la gestione e la
risoluzione dei conflitti, l’incremento delle misure politiche e diplomatiche, lo Stato di diritto
e la sicurezza, la quale è ancor oggi particolarmente aleatoria e volatile, ancor più precario
nel Mali settentrionale e intorno al Lago Ciad, con effetti che vanno dalla Libia meridionale
alla Nigeria settentrionale, mentre il Niger è diventato il principale punto di congiunzione di
tutti i moti migratori che attraversano il Sahel, per raggiungere le coste mediterranee.
Infine l’elezione il 30 gennaio 2017 del Ministro degli Esteri del Ciad, Moussa Faki
Mahamat, a Presidente della Commissione dell’Unione Africana (AUC) per il prossimo
quinquennio dimostra l’attenzione che anche la più autorevole istituzione africana intende
prestare alla regione del Sahel, dove è inderogabile che tanto l’Unione Europea quanto
l’Unione Africana facciano convergere tutti gli sforzi politici e diplomatici per una più
incisiva e più responsabile politica estera e di sicurezza comune.
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NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE
Ce.Mi.S.S.66
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e
per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.
Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria
opera valendosi si esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di
pensiero.
Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del
Ricercatore e non quella del Ministero della Difesa.
Marco Massoni
Marco Massoni - PhD (Roma 1972) - è un esperto di relazioni
internazionali, specialista di studi africani e di filosofie extra-
occidentali. È incaricato per l’area Sahel e Africa Sub-
Sahariana al Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS)
presso il Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), dove è anche
docente dei corsi dell’Istituto Superiore di Stato Maggiore
Interforze (ISSMI) e dell’Istituto Alti Studi per la Difesa (IASD).
È stato Diplomatic Senior Advisor per la Presidenza Italiana del
G8 2009 presso la Direzione Generale per l’Africa Sub-
Sahariana del Ministero degli Affari Esteri e consulente dell’Unione Europea, Nazioni Unite
(FAO e ACNUR), OSCE nonché di numerose ONG e think-tank.
È docente a contratto di Relazioni Internazionali presso l’American University of Rome
(AUR) e Professore di International Law and Peace Processes presso il Dipartimento di
Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre.
66 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx
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