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Foglio semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di Capodistria. #34 GIUGNO 2012. Anno 17°, numero 34

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La Città è il periodico semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di Capodistria. Viene pubblicato nell’ambito dell’attività editoriale prevista dal programma culturale della Comunità autogestita della nazionalità italiana di Capodistria cofinanziato dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Slovenia e dal Comune città di Capodistria, e con il contributo finanziario dell’Unione Italiana.

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F o g l i o s e m e s t r a l e d e l l a C o m u n i t à d e g l i I t a l i a n i S a n t o r i o S a n t o r i o d i C a p o d i s t r i a . # 3 4 G I U G N O 2 0 1 2 .

A n n o 1 7 ° , n u m e r o 3 4

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A) Turk - Nell’ambito della sua visita ufficiale a Capodistria, il Presidente della Repubblica, Danilo Türk, ha incontrato i rappresentanti della Comunità nazionale italiana. Nella foto di Claudio Chicco, il presidente Türk accolto dal presidente della Can costiera nonché vicesindaco Alberto Scheriani.B) Forum Tomizza - Il concerto dei Zuf de Žur all’estivo della CI.C) Emigrazione - L’emigrazione istriana tra storia e musica è stata un’iniziativa organizzata dalla CI in collaborazione con il Museo nazionale emigrazione italiana. Argomento affrontato con un monologo di Silvio Forza, la proiezione di un cortometraggio del regista Carlo Lizzani e musica dal vivo.D) Vacanze - Lo spettacolo di fine anno della scuola »Vergerio«.E) Nozze d’oro - Auguri ad Elvira e Mario Gandusio, sposi dal 24.3.1962.F) “Memorie veneziane” - è il titolo della mostra fotografica allestita a palazzo Gravisi il 21 febbraio. In esposizione le maschere veneziane realizzate del gruppo di lavori creativi della Comunità degli Italiani di Capodistria. Autore Matia Ščukovt, con protiezione delle foto di Vojko Rotar e Ubald Trnkotzy.

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CONTENUTI

Poster centraleAl centro della rivista pubblichiamo la riproduzione di una incisione in rame del 1710 dedicata al crocefi sso della chiesa capodistriana di San Basso. Realizzata a Venezia da suor Isabella Piccini, contiene un’orazione del vescovo Naldini e la descrizione di miracoli attri-buiti all’antica croce. Foto in copertina di Igor Opassi.

4 Premi CAN 2011: assegnati i riconoscimenti ai connazionali distintisi per l’attività a favore della Comunità Nazionale Italiana.

5 Un percorso della memoria e della riconciliazione per ricucire le ferite del passato e costruire un futuro comune migliore. Di Maurizio Tremul

6 Il Genio del Colore risplende a Capodistria con la mostra dedicata a Ottavio Missoni. Di Mario Steffé

18 Tatiana Petrazzi si racconta. Una vita da giornalista dedicata allo sviluppo dei programmi italiani. Di Gianni Katonar

22 Archivio di Libero Pizzarello. La testimonianza fotografi ca del recente passato di Capodistria. Di Alberto Cernaz

28 Il Cristo in croce della Chiesa di San Basso. Dalla pietà dell’antico Ospedale al culto del Crocifi sso.

36 Una fi nestra aperta sulla cultura e l’arte in Italia grazie alle escursioni di studio UI-UPT. Di Alberto Cernaz

38 Rinasce l’Accademia dei Risorti all’insegna della collaborazione tra esuli e rimasti capodistriani. Di Isabella Flego

40 Girolamo Muzio Giustinopolitano e la questione della lingua italiana. Di Ornella Rossetto

44 Il fondo antico della Biblioteca capodistriana si arricchisce di un prezioso libro di Pier Paolo Vergerio il Vecchio. Di Ivan Markovic

INDICE

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La Città è il periodico semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di Capodistria. Viene pubblicato nell’ambito dell’attività editoriale prevista dal programma culturale della Comunità autogestita della nazionalità italiana di Capodistria cofinanziato dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Slovenia e dal Comune città di Capodistria, e con il contributo finanziario dell’Unione Italiana. Redattore responsabile: Alberto Cernaz. Progetto grafico: www.davidfrancesconi.eu. Stampa: Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura: 1.100 copie. Distribuzione gratuita a mezzo posta riservata ai soci della Comunità. Indirizzo: Comunità degli italiani Santorio Santorio di Capodistria, Redazione de La Città , Via Fronte di Liberazione 10, 6000 Koper-Capodistria (SLO). E-mail: [email protected]

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Il riconoscimento a Gianfranco Vincoletto, nato nel 1943 a San Stino di Livenza, è supportato dalla motivazione fi rmata dalla Comunità degli Italiani di Bertocchi, di cui è presidente, che così ne sottolinea i meriti: “Per il suo costante lavoro teso al mantenimento, alla promozione e alla va-lorizzazione della CNI presente nella località di Bertocchi, sia nell’ambito del sodalizio sia della Comunità locale. Inoltre per il sostegno e l’aiuto offerti negli anni alle unità periferiche dell’asi-lo “Delfi no blu” e della scuola elementare “Pier Paolo Vergerio il Vecchio”, operanti a Bertocchi, nonché per l’impegno civile dimostrato nei con-fronti dei connazionali”. Il premiato ha fatto par-te del Consiglio della Comunità locale di Bertoc-chi come rappresentante della CNI, impegnandosi su diversi fronti e prendendo parte attiva in vari progetti, come quello di portare l’acqua potabile sul monte Sermino. Negli anni Settanta e Ottanta ha lavorato per la ricostituzione della CI di Ber-tocchi, supportato dal deputato Roberto Battelli, realizzando il progetto della nuova sede. Nel pe-riodo in cui è stato pure consigliere municipale, ha promosso, tra l’altro, l’iniziativa per la realiz-zazione della riserva naturale di Val Stagnon.

Adriana Kuštrin, proposta dalla Comunità de-gli Italiani di Crevatini, ha sempre lavorato per il bene della CNI della località. “Ruolo che ha svol-to con impegno e umiltà, quasi dietro le quinte, ma con grande senso di abnegazione e condivi-sione dell’impegno di volontariato nell’ambito del sodalizio di Crevatini”. La Kuštrin è stata sempre disponibile e pronta a sostenere con l’impegno personale le molteplici attività della CI, in particolare mostrando molta sensibilità nel sollecitare e promuovere il lavoro dei gruppi amatoriali e artistico - culturali, met-tendo a frutto la sua esperienza e il talento nei lavori manuali, decorativi e di artigianato. Si è così distinta in seno al gruppo di attivisti nella creazione di manufatti originali cercando di avvi-cinare l’arte soprattutto ai giovani.La cerimonia di conferimento dei premi è stata allietata dal riconosciuto pianista capodistriano, di origini bulgare, Milko Cocev, cha ha eseguito sia brani classici, come ad esempio »Mattinata« di Leoncavallo, che brani famosi di musica legge-ra come »Le colline sono in fi ore« o »Malafem-

mena«, immortale motivo composto dal popolare Totò, al secolo Antonio de Curtis, oppure il cele-berrimo tema dal fi lm »Il padrino« composto da Nino Rota.Nella seconda parte del programma musicale ad esibirsi sono stati la conduttrice Miriam Monica, voce e trombone, assieme al fi sarmonicista Mar-sell Marinšek che hanno presentato alcuni famosi brani dal repertorio della canzone italiana.

Premi Can 2011 a Adriana Kuštrine Gianfranco VincolettoIl 16 febbraio si è svolta a palazzo Gravisi la solenne cerimonia di conferimento dei premi della Comunità Autogestita della Nazionalità italiana di Capodistria, edizione 2011.

I premi sono stati consegnati dal presidente della Comunità autogestita della nazionalità italiana di Capodistria, Fulvio Richter (Foto Jana Belcijan).

Brevi AttualitàCronache degli avvenimenti nella C.N.I.

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Discorso pronunciato il 12.5.2012 al cimitero di San Canziano dal presidente della Giunta UI, Maurizio Tremul

Percorso della memoria e della riconciliazione

La Nostra Storia Rifl essioni tra Passato e Presente

È ancora ben vivo il ricordo dello storico 13 luglio 2010, quando i Presidenti della Repubblica Ita-liana, Giorgio Napolitano, della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk e della Repubblica di Cro-azia, Ivo Josipovic, hanno com-piuto, con gesti simbolici di alto valore morale, un percorso della memoria e della pace sui luoghi delle sofferenze, dei torti fatti e di quelli subiti dai nostri popoli nel corso del ‘900. Un percorso poi proseguito il 3 settembre 2011, alla Comunità degli Italiani e all’Arena di Pola quando i Presidenti croato e italiano hanno letto la dichia-razione congiunta relativa ai due popoli, ai rapporti passa-ti e a quelli comuni futuri. Le parole pronunciate in quell’oc-casione hanno illuminato una realtà spesso poco considerata: quella del grande apporto che abbiamo dato soprattutto in questi ultimi vent’anni a parti-re dal rinnovamento profondo della CNI, iniziando dall’Unio-ne Italiana e dalle sue Comu-nità degli Italiani e Istituzio-ni, per la crescita culturale e democratica di queste terre e di questi Paesi. Rifondando e democratizzando l’Unione Italiana, abbiamo contribu-ito a ridare dignità agli Italiani dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia e siamo grati ai due Capi di Stato per averlo sottoli-neato. Senza questo pluriennale impegno lo storico appuntamen-to di Pola non si sarebbe realiz-zato. Così oggi la presenza della Comunità Italiana in Slovenia e Croazia rappresenta indubbia-mente un qualifi cante fattore di coesione e integrazione e queste terre sarebbero certamente più povere senza il contributo dato

dagli Italiani alla costruzione di una secolare civiltà. Sulla scia di questi impulsi rien-tra il percorso della memoria e della riconciliazione, con gli oc-chi rivolti al comune futuro di cittadini europei, che l’Unione Italiana e il Libero Comune di Pola in esilio, con l’adesione del-la Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, hanno effettuato il 12 maggio 2012. Un percorso che

ha inteso rendere omaggio alle vittime degli opposti totalitari-smi scontratisi in modo cruento in queste terre nella prima metà del Secolo scorso. Ricordare quei tragici eventi abbiamo voluto di-venisse occasione di meditazione sulle offese e sulle ingiustizie che abbiamo subito e su quelle che abbiamo infl itto, di pietas per le sofferenze nostre e di quelle al-trui, di perdono e riconciliazione, di monito, affi nché mai più ab-biano a ripetersi.

Siamo convinti che per farlo do-vevamo iniziare un cammino di riconciliazione tra gli Italiani rimasti e quelli esodati che si è snodato in quattro momenti. Una rappresentanza di esuli e di ap-partenenti alla CNI ha deposto, con silenzioso raccoglimento, una corona di fi ori e, senza discorsi uffi ciali o proclami, ha pronun-ciato unicamente una preghiera di pace. Il primo riguardava il monumen-

to eretto pochi anni fa nel ci-mitero di Capodistria dalle Au-torità slovene in ricordo delle vittime del regime comunista jugoslavo. Il secondo è stato al monumento di Strugnano in ricordo delle giovanissime vittime innocenti del 19 mar-zo 1921 per mano di alcuni fascisti. Il terzo ha toccato la Foiba di Terli dove il 5 ottobre 1943 trovarono la morte molti civili innocenti tra cui alcuni antifascisti. L’ultimo è stato al Monumento di Montegrande eretto in ricordo degli antifa-scisti uccisi dai nazi-fascisti il 2 ottobre 1944. Con questa iniziativa ritenia-mo si possa chiudere, con di-gnità e raccoglimento, una fase storica. Siamo convinti che questo percorso, equilibra-

to e ragionato, abbia rappresen-tato la giusta via per ricucire le ferite del passato e proseguire con decisione nella costruzione di un comune futuro migliore invocato dalla popolazione di queste terre. Ritrovarsi assieme quindi, riuni-te fi nalmente le famiglie, in rac-coglimento spirituale sui luoghi degli orrori per suggellare il de-fi nitivo passaggio al “Noi – Noi” quando si parlerà in futuro de-gli Italiani di queste latitudini. Maurizio Tremul

Foto su una vecchia tomba del cimitero di Capodistria.

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Il vero protagonista dell’inaugurazione capodi-striana è stato Ottavio Missoni stesso, assieme alla moglie Rosita, una coppia carismatica nel-la vita e nel lavoro. L’allestimento si è snodato

attraverso tre diverse sedi espositive, valorizzando al meglio i pregiati materiali resi disponibili dal-

la Fondazione Ottavio e Rosita Missoni. Il percorso della mostra ha proposto rispettivamente il Misso-ni Sportivo, la produzione nel campo della grafi ca e il binomio arte-moda. A Palazzo Gravisi Otta-vio Missoni ha introdotto la sua esperienza di atleta, inaugurando la sezione della mostra intitolata “Un

La mostra “Ottavio Missoni. Il Genio del colore” è approdata a Capodistria, dopo aver inaugurato nel mese di aprile il programma dell’Ambasciata culturale italiana a Maribor, Capitale culturale d’Europa 2012. La mostra è stata organizzata dall’Unione italiana con il coordinamento dell’Am-basciata d’Italia a Lubiana e sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Ita-liana, S. E. Giorgio Napolitano. La Comunità degli Italiani di Capodistria ha avuto il privilegio di contribuire alla realizzazione della mostra, assieme ad altri importanti enti ed istituzioni. L’ambizioso progetto ha ripercorso la straordinaria parabola di vita di Ot-tavio Missoni, ambasciatore dell’eccellenza e dello stile italiano nel mondo. Un dalmata fi ero delle sue origini che ha dovuto reinventare se stesso, rimettersi in gioco e vivere a pieno il suo tempo, eccellendo in tutte le sue sfi de.

Missoni, il Genio del colore

a Capodistria

Foto di Igor Opassi

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mito in pista”. Talento precocissimo, Ot-tavio Missoni ha esaltato le doti naturali e la spontaneità del gesto sportivo. Nel 1935 vestì la maglia azzurra, nella specialità dei 400 metri piani e nei 400 metri ostacoli. In carriera ha conquistato otto titoli nazio-nali. Nel 1939 divenne campione mondia-le studentesco a Vienna. Dopo il secondo confl itto mondiale, che lo privò della pos-sibilità di confrontarsi in gara ai massimi livelli, partecipò alle Olimpiadi di Londra del 1948 correndo nella fi nale dei 400 m ostacoli.Come riportato dal grande giornalista Enzo Biagi, Ottavio Missoni non ha mai smesso di correre, metaforicamente par-lando, e di nutrire la sua profonda e innata passione per il gesto atletico. Nel 1990 Missoni assie-me ad altri importanti stilisti italia-ni inaugurò i campionati mondiali di calcio in Italia, presentando nel-la cerimonia inaugurale, trasfor-mata in una festa etnica dai colori intensi, il continente africano. Al-tre importanti collaborazioni della Maison con grandi ginnasti e dan-zatori esaltano l’espressione della fi sicità materica e del movimento vissuto nell’ottica del grande cre-atore di moda. Nel 2009 Luca Missoni, fi glio di Ottavio e Rosita, nell’ambito di una progettualità mirata ad abbinare

il marchio Missoni a grandi eventi culturali collaborò con il gotha della danza con-temporanea. In scena i ginnasti della federazione rumena, con-siderati ai massimi vertici del-la perfezione tecnica del gesto ginnico, abbinato al colore in movimento. I coreografi Daniel Ezralov, David Parson e Moses Pendelton fi rmarono questo spettacolo denominato“Aeros”, visibile in suggestive proiezioni in mostra. Il rapporto che da oltre 50 anni lega Ottavio alla

moda appare un intreccio unico tra arte e vita. Una

Il rapporto che da oltre 50 anni lega Ottavio alla moda appare un intreccio unico tra arte e vita.

L’allestimento della sezione espositiva “Un Mito in pista” a Palazzo Gravisi. In alto - Ottavio e Rosita Missoni per le vie della città in compagnia dei nostri rappresentanti istituzionali.

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continua ricerca di primati, di sfi de tecnologiche ed estetiche, di soluzioni inaspettate ed esclusive, con alle spalle una grande memoria artigianale, il valore dei particolari e la capacità unica di cogliere accosta-menti di colori. Un’alchimia attenta alle esigenze del vestire contemporaneo, che si basa su un sodalizio professionale unico tra i due coniugi Ottavio e Rosita Missoni. Un modo di immaginare i tessuti, che è as-sieme informale e ricercato, fortemente riconoscibile nei suoi temi iconografi ci: a righe, a onde e zig zag. La produzione grafi ca, visibile in mostra presso la Galleria Medusa assieme ai disegni originali, costi-tuisce in questo senso un passaggio naturale dalla moda e dal lavoro tessile all’uso del colore per ap-plicazioni d’arte. Un percorso evolutivo che riunisce in se’ tutti i momenti chiave del pensiero Missoni. Liberato dai vincoli del taglio e della funzionalità materiale del vestire o dell’arredare, il gioco di ab-binamento di forma e colore esalta la componente ludica del processo creativo.Ottavio Missoni è stato pure attratto dai tessuti po-polari e dalle ispirazioni etniche provenienti da ogni parte del mondo, proponendo l’abbinamento di accor-di cromatici puri e geometrie d’effetto nei patchwork composti da tessuti di lana, portati alla ribalta da Guido Ballo nei primi anni ‘80 in una mostra a Ve-nezia, che presentò per la prima volta Ottavio Mis-soni in veste di artista. Tali lavori furono denomina-ti “nuovi arrazzi”. Missoni avrebbe voluti chiamarli semplicemente “pezze” per il carattere apparente-mente dimesso, invece raffi natissimo. I Patchwork tessili, che costituiscono uno dei tratti più distintivi dell’artista Missoni, hanno dato vita al nucleo centra-

le della mostra, con un allestimento di grande sugge-stione e impatto presso la Galleria della Loggia. Mario Steff é

In cammino lungo la Calegaria verso la Galleria della Loggia. In basso - I coniugi Missoni ospiti d’eccezione all’inaugurazione della mostra allestita presso la sede della Comunità.

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La Divina Commedia nella fi latelia tematica

Rassegna Linea d’acqua

La mostra itinerante »Progetto Dante« ha fatto tappa a Capodistria dal 19 gennaio al 25 febbraio 2012 con un percorso espositivo dedicato alla Divina Commedia nella fi latelia tematica allestito presso la galleria del Museo regionale di Capodistria.

Brevi CulturaMostre ed esposizioni d’Arte

La mostra è stata promossa dal Centro Italiano Filatelia Tematica nell’ambito di un progetto che pro-pone una singolare lettura icono-grafi ca del Canto dell’Inferno della Divina Commedia attraverso una vasta e rappresentativa selezione di francobolli di diversi paesi con riferimento ad immagini e moti-vi estrapolati dall’opera letteraria dantesca. Il coordinamento ed al-lestimento della mostra sono stati a cura della fi lologa dantesca Valen-tina Petaros Jeromela, Chiara Si-mon del Museo Postale e Telegra-fi co della Mitteleuropa di Trieste e Vlasta Beltram del Museo regiona-le di Capodistria. La mostra è stata coorganizzata a livello locale dal Museo regionale di Capodistria,

In collaborazione con l’Associa-zione »Carpe diem« di Trieste la CI di Capodistria ha organiz-zato il 24 febbraio la rassegna d’arte contemporanea »Linea

dal Centro Italiano Carlo Combi di Capodistria e dalla Comunità de-gli Italiani »Santorio Santorio«, in collaborazione con le Poste slove-ne, il Club fi latelico di Capodistria e la Società Dante Alighieri - Co-mitato di Capodistria. Nell’ambito del progetto espositivo si è svolto un programma di eventi collatera-li alla mostra che fanno capo alla curatrice della mostra Valentina Petaros Jeromela, tra cui la con-ferenza »La Divina Commedia tra traduzione e versione« e una serie di visite guidate alla mostra. In occasione dell’inaugurazione della mostra sono state presentate inol-tre, quali realizzazioni di interesse fi latelico, un francobollo comme-morativo recante il ritratto di Dan-

D’acqua«. Le opere di questa col-lettiva transnazionale fi ssano il rapporto di 23 artisti di Slovenia e Italia con i luoghi e le memorie di appartenenza, culturali, stori-

te Alighieri ad opera del pittore capodistriano Bartolomeo Gianelli (1824-1894), una cartolina ma-ximum con il medesimo soggetto e una cartolina celebrativa con la rara immagine del cono dell’Infer-no dantesco (resa disponibile per gentile concessione della Casa di Dante in Roma) con annullo fi late-lico commemorativo.

che. La rassegna si è articolata in due esposizioni simultanee, a Palazzo Gravisi di Capodistria e presso la galleria di Via della Tesa 20 a Trieste.

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Per quanto ci sforziamo di avvicinarci all’es-senza della città, allo spirito del luogo, al genius loci, ecco che la sostanza sembra sfuggirci, riverberarsi in una moltitudine di

piccoli dettagli e microstorie che vanno a comporre la geografi a dell’immaginario collettivo di un luogo. La senzazione è che Capodistria, come ogni altra città, non possa essere che un superorganismo gene-

rato dalla mediazione e sovrapposizione tra le com-ponenti fi siche, geomorfi che, territoriali e le com-ponenti percettive, organiche, emotive e intellettive dei suoi abitanti. Un rapporto che si dipana nei due sensi: gli abitan-ti modifi cano e plasmano secondo i loro bisogni e ambizioni la città, e questa infl uisce sul carattere, percezione del luogo e abitudini di chi ci vive. Perseverando in tale ragionamento è legittimo chie-dersi in che misura le capodistrie di diverse epo-che avvicendatesi nel passato, continuino a rifl et-tere qualcosa di se’ nel presente, facendo persistere un’eco della loro immagine e carattere.La Capodistria che scopriamo avvicinandosi dalla via di mare o dal suo prossimo entroterra, sfron-data dal porto, dalla nuova viabilità, dalla cinta di nuove costruzioni del nuovo perimetro urbano che ne limitano la linea d’orizzonte, continua in sostan-za a essere la tranquilla, sonnacchiosa cittadina di

A Palazzo Belgramoni - Tacco, sede del Museo regionale di Capo-distria, è stata inaugurata in occasione della festa comunale la mostra »I volti di Capo-distria« del fotografo Zdenko Bombek. Si tratta di un’interessante operazione che con-fronta con gli spazi cittadini gli stessi personaggi ritratti, nello stesso luogo, a distanza di decenni dalla fotografi a originaria. Ne è emersa una galleria di volti e luoghi, che si confrontano con l’inesorabile passare del tempo, con uno spazio che muta nel nostro stesso divenire.

In alto - L’autore della mostra Zdenko Bombek.A lato - L’esposizione ha riscontrato uno straordinario successo di pubblico.

Volti di Capodistriain mostra

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provincia di un tempo. Per nulla turbata dai rit-mi frenetici del circondario e dalle peregrinazioni di pendolari che l’abbandonano a fi ne lavoro, dal-le frotte chiassose di studenti che sfollano ai fi ne settimana, dalle comitive organizzate di crocieristi che la riscoprono porto di mare. Entro il perimetro storico della città si consumano i ritmi più nascosti e segreti tra vie, vicoli e piazzette che si rivelano solo ai suoi abitanti e ai curiosi. Quasi che l’assalto dall’esterno del traffi co, del tran tran metropolita-no sia protetto da barriere invisibili, ma ancora più impenetrabili di quelle cinte murarie che un tempo la circondavano.Dopo un lungo periodo di stasi e decadenza provin-ciale, Capodistria è stata per tutta la seconda metà del ‘900 al centro di trasfor-mazioni radicali, che hanno mutato profondamente il ca-rattere della città. Innanzi-tutto l’esodo di buona parte della popolazione italiana e la ripopolazione degli anni ‘50, con i nuovi arrivati ad assimilare e reinventare un nuovo spazio urbano e i ri-masti impegnati a metaboliz-zare uno spazio diversamen-te percepito. Quindi, in rapida successio-ne, gli interventi degli anni ‘60 e ‘70 che sviluppano ul-teriormente un’identità di città di frontiera, anteposta alla vicina realtà d’oltrecon-fi ne e che rispondono all’e-sigenza di modernizzazione forzata, inurbamento, indu-strializzazione pianifi cata se-condo i dettami del costrut-tivismo proletario dell’epoca. L’espansione urbana e le grandi opere di viabilità ed edifi cazione degli anni ‘80 e ‘90, sostenute dal clima di relativa espansione econo-mica e crescenti investimenti immobiliari. Per fi nire con i recenti make-up ed interven-ti a sostegno di una nuova vocazione turistica, universi-taria, voglia di protagonismo e affrancamento da una pre-sunta sciattezza di provincia. Sbagliano coloro che non ri-escono ad affrancarsi da una percezione mitica di un pas-sato ideale e non riescono a rivolgersi al futuro. Sbagliano gli strenui asser-tori dello sterile credo con-temporaneo, incurante della

memoria e della vocazione del luogo. La vera con-quista è quella di riconoscere l’esistenza di molte-plici città ideali, che ogni capodistriano porta nel suo animo, nella sua storia personale. Tante storie che vanno a comporre un’unica grande narrazione, confl uiscono in una grande casa comu-ne, che è la nostra città. Con la giusta attenzione e riconoscenza per le storie che ci hanno preceduto, con il dovuto rispetto per preservare le storie che hanno ancora a venire. Una città non è solo un luogo sulla carta geografi ca. E’ l’insieme delle persone che la abitano. Un grande cuore che pulsa, tanti sguardi che vi si specchiano e hanno la fortuna e l’orgoglio di riconoscersi parte di quel tutto. Mario Steff é

In alto - 1961 Molo delle Galere - Nadia Scheriani, Rosanna Tarallo, Ada Soldatich, Maria Rosa Lojk e Graziella PonisIn basso - 2011 Molo principale - Nadia Bonifacio, Rosanna Tarallo, Ada Soldatich Roesch, Maria Rosa Lojk Francesconi e Graziella Ponis Sodnikar.

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Nuova rappresentazione della fi lodrammatica ‘Cademia Castel Leon

Una »Commedia degli equivoci in 8 quadri«

Brevi Cultura di Sergio Settomini

Attività dei Gruppi Artistico-Culturali

»Il trionfo degli equivoci«: così ha titolato la Voce del Popolo il resoconto dello spettacolo che la ‘Cademia Castel Leon ha allesti-to mercoledì, 4 luglio, per augu-rare ai nostri connazionali una bella e riposante estate. Un titolo che sintetizza l’evento ed il giu-dizio sull’ultimo impegno della fi lodrammatica della Comunità »Santorio Santorio«, un pop show che ha divertito oltre ogni modo il numeroso pubblico. I nostri attori dilettanti hanno con-dotto gli spettatori attraverso una sequenza di scene sempre più esi-laranti e coinvolgenti, ripetendo il successo dei precedenti lavori. La compagnia - formata da Corrado Cimador, Franka Kovacic, Ketty Kovacic-Poldrugovac, Sergio Set-tomini, Ambra Valencic e Sandra Vitoševic, con la partecipazione del cantante Stefano Hering, il contributo della suggeritrice Ma-

rina Gregoric e la regia di Bruna Alessio Klemenc - è caratterizza-ta da un ottimo affi atamento ed è diventata ormai una garanzia di spettacolo ben riuscito. La »Commedia degli equivoci in otto quadri«, questo il titolo del

lavoro di quest’anno, ha visto pure l’apporto del giovane fi uma-no Martino Šesnic, autore della scenografi a e delle luci, che hanno dato al tutto dimensione, profon-dità e colore.E’ stata una serata di serenità, trascorsa con il sorriso sulle lab-bra, lontana dai problemi che ci assillano in questo periodo di cri-si economica e dal futuro incerto. Gli applausi che hanno salutato l’esibizione dimostrano il sincero gradimento per occasioni di que-sto tenore e rappresentano il giu-sto premio per l’impegno profuso dalla compagnia.

In alto Sandra Vitoševič e Franca Kovačič.In basso Corrado Cimador.A lato Bruna Alessio.

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Il debutto della Mandolinistica CapodistrianaGemellati con il Munchener Mandolinen-Zirkel

Brevi Cultura di Mario Steffé

Attività dei Gruppi artistico-culturali

Dopo un primo periodo di as-sestamento e affi namento della compagine musicale, la neonata camerata di strumenti a plettro,erede della storica mandolinisti-ca operante per circa un trenten-nio presso la Comunità degli Ita-liani di Capodistria, ha vissuto il suo attesissimo debutto capo-distriano.Un folto pubblico ha applaudito il 10 febbraio il concerto d’esordio della Mandolinistica Capodistria-na nel salone del Museo Regionale di Capodistria, seguendo con at-tenzione e un pizzico di nostalgia il ricco programma, probabilmen-te per il vivo ricordo e l’emozione suscitata dai tanti rimandi allo »storico« repertorio dell’ensemble musicale.Successo di pubblico e di critica bissati nel corso del recente con-certo tenutosi il 15 giugno presso il lapidario del Museo capodistriano assieme al Circolo mandolinistico di Monaco, nelle cui fi le milita la capodistriana Ada Soldatich, pro-ponente del riuscito gemellaggio artistico tra le due orchestre.La mandolinistica capodistriana

secondi mandolini (Alenka Orel, Marinel-la Tentor, Martina Žerjal), mandole (Vili Kuzman, Giuliano Orlando), chitarre (Irena Glavina, Nevio Miklavcic) e basso (Bruno Or-lando). Il repertorio comprende brani origi-nali e arrangiamenti di compositori italiani e internazionali, con un programma che abbi-na melodie classiche a temi musicali contem-poranei e di derivazione folcloristica.

sorse nel 1950 e dopo l’esodo venne ristrut-turata con giovani leve della scuola elementare italiana di Capodistria sotto la guida del Mae-stro Matteo Scocir. Ini-zialmente operò come orchestra capodistriana e più tardi come orche-stra congiunta dei tre comuni costrieri. Dopo aver riscosse mol-ti successi in svariate esibizioni, alla scom-parsa del Maestro Sco-cir nel 1983 l’orchestra cessò di funzionare, ri-prendendo l’attività so-lamente nel 2010 sotto il mentorato di Marino Orlando. La compongono 11 mu-sicisti, nove dei quali ex membri dell’orche-stra diretta dal Maestro Scocir, nella formazione classica di primi man-dolini (Marino Orlan-do, Flavio Dessardo, Gianfranco Riccobon),

Debutto - Locandina della mandolinistica con richiamo retrò.

Primi mandolini - Orlando, Riccobon e Dessardo. Gemellaggio - Gli amici bavaresi a Capodistria.

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L’associazione POEM e la socie-tà culturale “Dante Alighieri” di Capodistria, in collaborazione con la CI “Santorio Santorio” hanno organizzato una conferenza dal titolo “La canzone del merletto”. A parlarci di questa delicata arte è stata la dott. Alessandra Caputo che con in maniera simpatica ma allo stesso tempo approfondita ci ha parlato della storia, delle tecni-che e delle migrazioni del merletto da Venezia, Vienna, Idria, Pago ecc. La dott. Caputo ha effettua-to anche una accurata ricerca di immagini e di citazioni, poesie e detti che durante la serata sono stati interpretati magistralmente da Anna Apollonio. Il soggiorno a Capodistria è stato per la dot-toressa Caputo anche l’occasione di rivivere atmosfere della sua in-fanzia, dato che la sua mamma è nata a Sesana e le vacanze estive della sua fanciullezza sono legate alle immagini delle nostre terre, Portorose, Pirano, Capodistria...Ecco quanto ci ha dichiarato:

Qual’ è stato il tuo »primo in-contro« con il fantastico mondo del merletto, è una tradizione della tua famiglia?Ho imparato a giocare con il fi lo da bambina, facendo vestitini a

maglia per le bam-bole e qualche qua-dretto a punto croce, come si usava una volta. Poi, più nul-la fi no all’età adulta, quando, passeggian-do tra le bancarelle di una sagra di paese in un tardo pomeriggio d’estate vidi un’an-ziana signora seduta davanti ad una specie di grosso rullo inten-ta a muovere vortico-

samente un numero che a me sem-brò spropositato di fuselli. Quelle mani creavano un piccolo capola-voro... fu una folgorazione. Non trovai pace fi nché, proprio grazie a quella gentile signora, non capii il segreto di quel movimento; e da lì è partita quella che oggi è una grande, grandissima passione.I tuoi interessi si limitano al pizzo e al merletto oppure spa-ziano anche nel ricamo?Amo molto anche il ricamo, la cui tecnica e storia va spesso di pari passo con quella del merletto. Poi-chè nella vita non si può preten-dere di saper fare proprio tutto, ho fatto una scelta di campo e ho deciso di dedicarmi al merletto, nell’accezione più am-pia del termine: quindi non solo il tombolo ma anche il merletto ad ago, il chiacchierino, il macramè, certe forme di lavorazione ad un-cinetto; ed è un campo già vastissimo!Come abbiamo avuto modo di sentire nel corso della bellissi-ma conferenza, il fi lo del merletto non crea soltanto opere prezio-se e uniche, ma intrec-

cia anche gli animi della gente, unisce. Ne sono testimonianza i »passaggi« di quest’ arte?Sì, certamente, si tratta di due ele-menti che nella storia del merlet-to convivono e che sono presenti anche ai nostri giorni. Da un lato, il merletto, a mano o a macchina, ha a che fare con il lusso e con la moda, come dimostrano anche le collezioni di quest’anno di mol-ti stilisti e dunque, per così dire, gira il mondo suscitando ovunque interesse per la sua innata elegan-za e raffi natezza. Dall’altro lato, il merletto tradizionale fatto a mano ha rappresentato per molte donne, per molte famiglie, per intere cit-tà, non solo una fonte di guada-gno ma anche un forte elemento di identità culturale attorno a cui costruire relazioni forti, innanzi tutto familiari ma non solo. Era quel lavorare insieme nei cortili o nelle piazze dopo il duro lavo-ro nei campi di cui parlavano le nostre nonne... e di cui oggi mol-te donne emancipate sentono una certa nostalgia, almeno a giudica-re dal proliferare di associazioni che propongono corsi nelle più svariate tecniche di ricamo, mer-letto e non solo.

L’arte del merletto in Comunità Incontro nell’ambito della Festa internazionale della donna

Brevi Cultura di Vanja Vitoševič

Conferenze d’argomento culturale

8 marzo - Alessandra Caputo, Anna Apollonio e Vanja Vitoševič.

8 marzo - I merletti in esposizione alla CI.

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Giugno 2012, n.34, 17° anno 15

I capodistriani premiati a Istria Nobilissima 2012Ennesimo riconoscimento alla giornalista Argenti Tremul

Brevi CulturaRassegne e Concorsi d’Arte e Cultura

PRIMO PREMIO:Alessandra Argenti Tremul, Pre-mio giornalistico »Paolo Lettis« per il documentario televisivo »L’Unità tra Venezia e l’Istria«. Motivazione: Nella ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia il la-voro di Alessandra Argenti Tremul fi ssa con chiara analisi storico-so-ciale, l’evoluzione dei rapporti tra l’Istria e Venezia. L’excursus tocca il radicamento della Serenissima nel tessuto sociale istriano giun-gendo ad una defi nizione dei trat-ti caratterizzanti che ancor oggi confermano le comuni radici cul-turali. Il lavoro inoltre dimostra pregevoli qualità tecniche nella composizione delle immagini e nei ritmi di montaggio. La sintesi esprime in termini giornalistico-televisivi un compendio dei valori nazionali cui la Comunità Italiana da sempre si richiama«.

SECONDI PREMI:Claudio Geissa, Categoria lettera-tura – Poesia in lingua italiana per l’opera »Sprizzi di ombre«. Moti-vazione: Per la pregnanza emozio-nale e la stimolante irrequietudine rifl essiva che scaturiscono da uno stile oscillante fra tratti di auten-

tico espressionismo e verso di bril-lante descrittivismo per procedere analogico«. Crt Brajnik, Categoria Arte cinematografi ca per il video »Eppur si muove«. Motivazione: »L’opera è un pregevole ed one-sto ritratto di vita istriana minore, ispirato ad un naturalismo mini-malista ed assolutamente esen-te da cadute retoriche, reso con un linguaggio scarno e rivelatore

dell’appartenenza dell’autore ad una nuova generazione registica”.

MENZIONI ONOREVOLI: Isabella Flego, Categoria lette-ratura – Poesia in lingua italia-na, per il componimento “Senza nome”. Graziella Ponis, Catego-ria Prosa in lingua italiana per lo scritto “Un’esperienza di scuola e di vita”.

Istria Nobilissima - due dei premiati, Graziella Ponis e Črt Brajnik.

T R A D I Z I O N I

Quella di quest’anno è tata l’ultima Semedela da vescovo titolare della Diocesi di Capodistria per Mons. Metod Pirih. Da giugno infatti gli è subentra-to, Mons. Jurij Bizjak. Alla funzione ha partecipato con viva emozione anche don Giuliano Vattovani (dei Burlini de San Marco). Lo vediamo nella foto di Luciano Ramani, mentre legge la prima Lettura. Ex amministratore della parrocchia di San Luca Evangelista a Melara (Trieste), don Giuliano è nato a Capodistria nel 1935. Ad accompagnare la messa è stato il coro Cittanova Vocal Ensamble.

Semedella 2012

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RECITAL CON MUSICHE “BORA” A PALAZZO GRAVISI

Presentato il 2 febbraio a palaz-zo Gravisi dal Dramma Italiano, il recital con musiche “Bora” è stato ideato quale contributo per il 150esimo anniversario dell’Uni-tà d’Italia. Si tratta di una lettu-ra del libro “Bora”, scritto a due mani dall’esule Anna Maria Mori e dalla rimasta Nelida Milani, en-trambe scrittrici nate a Pola. Nel-la rappresentazione teatrale è sta-ta rivisitata una pagina dolorosa della storia istriana e italiana nei ricordi e rifl essioni tra due anime simili che hanno vissuto destini speculari nel secondo dopoguerra: entrambe considerate altre, stra-niere, entrambe rinchiuse nel loro doloroso “esilio interno”. Accanto a Laura Marchig, che ha curato anche la riduzione scenica, l’attri-ce Leonora Surian si è esibita in veste di cantante, accompagnata dalla pianista Maja Dobrila.

NUOVA AFFERMAZIONE DEL PIC-COLO TEATRO DI CAPODISTRIA

Nel solco di una consolidata tradi-zione nell’allestimento di spettaco-li teatrali da camera di buon livel-lo, il Piccolo teatro di Capodistria ha portato in scena il 4 aprile al Teatro di Capodistria lo spettacolo “Destìs” di Corrado Premuda con la regia di Livio Crevatin. Nell’al-lestimento scenico volutamente essenziale e scarnifi cato, è emersa prepotentemente la fi gura centrale di Destìs, prototipo di tutte le dive che nasconde le proprie debolezze nella vita reale, è stata magistral-mente interpretata dall’attrice Sara Alzetta. A Destis, prototipo della diva al centro di un com-plesso rappporto tra immagine autentica e creatura rifl essa, si è affi ancato sul palco un misterioso interlocutore (l’attore Mirko Sol-

dano), la cui narrazione ha fi nito con l’accompagnare la protago-nista nel vortice di un complessa e struggente ricerca della propria

identità. Lo spettacolo “Destìs” è in programma a luglio al Festival internazionale del teatro da came-ra di Umago.

Teatro da camera a CapodistriaTrasposizione del romanzo di Anna Maria Mori e Nelida Milani

Brevi SpettacoloCinema e Teatro

Le interpreti di “Bora” Laura Marchig e Leonora Surian con la pianesta Maja Dobrila.

Gli attori Sara Alzetta e Mirko Soldano nell’allestimento capodistriano di “Destìs”.

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Giugno 2012, n.34, 17° anno 17

Vent’anni di Folkest a Capodistria

Folkest - Ospite della ventesima edizione a Capodistria il cantautore Roberto Vecchioni.

Roberto Vecchioni in Piazza Carpaccio

Brevi Spettacolo di Sergio Settomini

Concerti ed eventi musicali

Anche quest’anno la carovana di Folkest farà tappa a Capodistria. È un evento che si ripeterà per la ventesima volta e questo ci riem-pie d’orgoglio, per tanti motivi: è la più longeva manifestazione del-la nostra città, organizzata sotto l’egida della Comunità italiana. La più grande manifestazione di musica etnica dell’Alto Adriatico si fermerà a Capodistria per due serate di grande impatto. La ma-nifestazione è patrocinata come sempre dalla Comunità Autoge-stita della Nazionalità Italiana. Il calendario completo di Folkest è ricchissimo e si articola, per tutto il mese di luglio, in una lunga se-rie di concerti nel Friuli - Venezia Giulia e in Slovenia. Avremo l’oc-casione di ascoltare come sempre dei bravissimi e prestigiosi inter-preti della musica della loro terra, sempre viva e coinvolgente.

VENERDÌ 20 LUGLIO Avremo i Klezmatics di New York. L’album del 2007 “Won-der Wheel” ha fatto vincere loro il Grammy Award per il miglior

disco di world music contempora-nea. La band conduce un proprio percorso di approfondimento del linguaggio espressivo della musi-ca tradizionale delle feste ebraiche dell’Est Europa, conosciuta come klezmer, apportandovi sensibili-

tà contemporanee, combinando identità e misticismo ebraico con lo spirito del nostro tempo.

SABATO 21 LUGLIOPiazza Carpaccio farà da cornice al concerto di Roberto Vecchioni, uno dei nomi più prestigiosi del-la scena cantautorale italiana. È una presenza fortemente voluta, per celebrare questa edizione e coronare vent’anni di impegno nel campo della musica etno-culturale e d’autore. Nato nel 1943, non è solamente uno dei più grandi can-tautori che l’Italia musicale possa annoverare, ma anche un paroliere e uno scrittore raffi nato, pervaso da una sottile e intelligente ironia.

Invitandovi calorosamente a par-tecipare alle due serate, vi augu-riamo una meravigliosa estate in musica e vi segnaliamo che in au-tunno uscirà un nuovo volume, il secondo, sui concerti organizzati da Folkest a Capodistria.

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La Radiotelevisione di Slovenia ha conferito i premi dell’en-te per il 2011. Uno dei più prestigiosi, quello per i meriti eccezionali nel lavoro in un ampio lasso di tempo, è stato assegnato alla giornalista e redattrice di Tv Capodistria, Tatiana Petrazzi. Nella motivazione viene rimarcato il suo grande contributo allo sviluppo dei programmi italiani

dell’emittente, dove ha svolto con competenza tutti gli incarichi giorna-listici sino a ricoprire il ruolo di redattore responsabile.

Tatiana Petrazzi, una vita da giornalista

Dalla RTV slovena un Premio per il contri-buto allo sviluppo dei programmi italiani Gianni Katonar

I N F O R M A Z I O N E E AT T U A L I T À

Intervista d’autore

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coloro che non vengono menzio-nati e hanno dato un contributo signifi cativo alla buona riuscita e alla qualità del prodotto. Ce ne furono alcuni che lasciarono davvero il segno per personali-tà, carattere, arte e umanità, e non erano dei politici”.

Hai avuto modo di svolgere, come detto nella motivazio-ne del premio, tutti i compiti giornalistici in TV. Quale incarico però ti ha particolar-mente appassionato?“Sono una persona che si ap-passiona a tutte le cose che fa. È l’incarico stesso che mi infonde passione, se per incarico inten-diamo una produzione. Mol-to spesso l’iniziativa è nata da me, non ricordo che ne sia stata bocciata alcuna. Devo, natural-mente avere una forte motiva-zione, un interesse che emerga dalle particolari condizioni del momento in un certo settore, devono avermi colpito l’opinio-ne o le parole di qualcuno. For-se l’incarico, o gli incarichi, che meno mi hanno reso felice sono stati proprio quelli non giorna-listici nel senso del mestiere e della professione come tale, alla televisione e fuori di essa. Ten-do a prendermi molto a cuore le cose, a farmi carico piena-mente di tutte le responsabilità, persino quando non dipendono esclusivamente da me, ma me ne sento investita, se non altro per solidarietà o in parte per funzione. Questo modo di essere mi ha procurato grossi problemi e disagi a livello emotivo ed é anche la ragione per la quale in certi frangenti non ho resistito. È più facile spiegare ciò che non è piuttosto che ciò che è. D’al-tronde, mi hanno appassionato le interviste di un’ora in diretta di Confabulazioni ed il Bersa-glio, dove di settimana in setti-mana “mettevo a nudo” l’ospite di turno. Con garbo, ha detto qualcuno, ma senza tacere nul-la e con un accento particolare sulla personalità e sul carattere,

l’era del computer e quindi di In-ternet. Ora c’è il digitale terrestre. Al di là della tecnologia, le tra-sformazioni storiche che ci hanno accompagnato in questi decenni sono state anche più sconvolgen-ti, traumatiche e drammatiche. E nondimeno adrenaliniche e piene di aspettative. E speranze. Non a tutti, fortunatamente, è dato di vivere una guerra, nascere in un Paese e ritrovarsi in uno Stato di nascita e uno di appartenenza e cittadinanza diversa”.

Puoi riassumere la carriera citando gli avvenimenti più signifi cativi dei quali sei stata interprete?“Abbiamo trascorso un’era di mutamenti profondi che hanno assegnato al mondo un’altra fac-cia, un’altra società. Senza paura di apparire presuntuosa, penso di aver calcato professionalmente ad una ad una tutte le tappe de-scritte senza eccezioni, sul piano gerarchico e sul piano professio-nale giornalistico: da responsa-bile del programma informativo, a caporedattore responsabile del programma di TV Capodistria e in seguito del programma ita-liano dell’emittente; da cronista e reporter, ad autrice di dossier televisivi sull’Islam in Slovenia, sulle donne nell’Islam in Slove-nia e Croazia, sui porti dell’Alto Adriatico, sul dramma dei profu-ghi durante la guerra di Bosnia, sugli immigrati clandestini in Slo-venia e Italia, fi no a commentato-re e conduttore di trasmissioni in diretta con personaggi prestigiosi della politica, dell’economia, della cultura e della società di Slovenia, Croazia e Italia. Non per ultime, le numerose trasmissioni speciali di carattere tematico in occasioni particolari o le telecronache in di-retta delle visite di Papa Giovanni Paolo II in Slovenia, dei suoi fune-rali in Vaticano o ancora della più recente visita di Papa Benedetto XVI ad Aquileia. Una vita giorna-listica è ardua da riassumere, e ci-tare personaggi potrebbe risultare persino riduttivo nei confronti di

Quale signifi cato attribuisci al premio che ti è stato conferito?“Il signifi cato l’hanno attribuito coloro che mi hanno candidato al riconoscimento e al premio della Radiotelevisione di Slovenia, fi n dal momento che hanno scelto, tra le tante, la categoria entro la qua-le sarei potuta rientrare, poiché ce ne sono molte e la concorrenza è “agguerrita”. Personalmente mi sento onorata e orgogliosa e ancor di più, se così fosse, per la valenza che questo rinascimento potreb-be avere per il programma della nazionalità italiana. L’Ente è una grande organizzazione e un cor-poso e articolato organismo, che si sviluppa in tutti quei segmenti che costituiscono il complesso delle at-tività proprie a radio e televisioni d’Europa e del mondo, a livello nazionale, regionale e locale. Mi pare di poterlo identifi care come un premio alla carriera, anche se formalmente non lo è. Tuttavia, il 2012 segnerà i miei trentott’anni di lavoro a TV Capodistria”.

Come furono i primi passi?“Quando, nel settembre 1974, arrivai a Capodistria da Pola, al termine del biennio di studi su-periori a Fiume, la televisione era in fasce. Eravamo in pochi e tra i pochi – io, unica esemplare del genere femminile tra gli altri giornalisti uomini. Le attrezzature erano scarse e spesso scassate, la tecnologia pressoché assente e le maestranze tecniche – esigue. Si lavorava ancora su pellicola ed era sempre un’enorme incognita, la scoperta di quanto avevamo por-tato a casa come materiale grezzo fi lmato, una volta sviluppata. Poi c’era il montaggio sulla moviola e - neanche a dirlo – due volte su tre il registrato sonoro era fuori sincronismo, cioé le labbra nelle immagini erano o più veloci o più lente del parlato sonoro registrato. Dopo di che fummo invasi dall’e-lettronica. E fu uno shock, nulla era più come l’avevamo imparato. Per alcuni, fortunatamente po-chissimi, la novità rappresentò un vero e proprio dramma. Subentrò

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Intervista d’autore

oltre che un’escursione nel pri-vato. Ho fatto ovviamente an-che tante cose che dovevo fare per funzione, per dovere profes-sionale, per la natura dell’istitu-zione che siamo e rappresentia-mo e continuo a farle”.

Come è cambiata la TV dagli inizi del tuo lavoro a oggi - non soltanto dal punto di vista tecnico, ma soprattutto per quanto riguarda i contenuti?“Sulla tecnologia ho già avuto modo di dire sopra, basti osser-vare ancora che le innovazioni si sono accavallate con sorpren-dente velocità. Va rilevato poi che, analogamente alla situa-zione anagrafi ca nazionale, e mi riferisco allo stato d’invecchia-mento demografi co della popo-lazione, neanche in televisione si scherza. Siamo di fronte ad uno staff in rapido deperimento biologico, soprattutto nei luoghi che sono del giornalismo e delle redazioni, senza per altro intra-vedere un adeguato ricambio – oggi piace molto l’espressione turnover. Le assunzioni a tempo

indeterminato (e anche quelle a tempo determinato) sono blocca-te, la schiera di persone giovani, in primo luogo tra gli operatori tec-nici, sono a rischio a scapito della formazione e dell’educazione pro-

fessionale. Vuoi perché non hanno garanzie per il futuro, vuoi perché i valori, gli obiettivi e le aspettative sono diverse come espressione dei tempi che stiamo vivendo. È inevi-tabile che tutto ciò si rifl etta incisi-vamente nel campo dei contenuti in conseguenza delle condizioni ma-teriali e di possibilità economiche. La parola d’ordine è investire in quelle che sono le peculiarità del-la funzione della nostra istituzione e, nello specifi co, del nostro pro-

gramma – la Comunità Nazionale Italiana. Ma la CNI non sussiste come soggetto a sé stante, isolato e fuori contesto- sia esso nazionale, geografi co, storico o culturale e so-ciale. Rischiamo di perdere le “in-frastrutture” per far sopravvivere unicamente la “struttura” base. Sarebbe un grave danno e avrebbe conseguenze di lunga durata, forse addirittura irreversibili. Sotto un altro aspetto, i contenuti nel corso degli anni sono differiti per forza, dettati dall’evolversi degli eventi che hanno marcato per sempre la nostra storia, le nostre esistenze e il nostro territorio. La disgregazione dell’Europa orientale e sud-orien-tale, la fi ne della guerra fredda, il crollo della Jugoslavia, la nascita degli Stati indipendenti di Slove-nia e Croazia, entità entro le qua-li la comunità nazionale italiana vive, la divisione della comunità stessa, separata da un confi ne di stato, la guerra, i rapporti tra i due Stati, i rapporti della minoranza italiana con la Nazione madre e tra Slovenia e Italia, l’entrata della Slovenia nell’Unione Europea, il suo ingresso nell’area Schengen, l’adozione dell’euro come moneta unica... E, con la Croazia – 28.esi-mo paese dell’UE, si chiude un’era

e se ne apre un’altra. Ce ne sono di contenuti che sono cambiati”.

Quali sono stati i momenti più gratifi canti del tuo lavoro e qua-le, invece, il periodo più diffi cile?“Noi giornalisti dovremmo essere coloro che per eccellenza rappre-sentano l’opinione pubblica, e le autorità, a tutti i livelli, coloro che rendono conto del proprio opera-to all’opinione pubblica. Purtrop-po, non sempre i confi ni tra le due

“Noi giornalisti dovremmo essere coloro che per eccellenza

rappresentano l’opinione pubblica, e le autorità,

a tutti i livelli”

Conduttrice - Tatiana Petrazzi al timone di Meridiani, trasmissione di approfondimento di Tv Capodistria.

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studiosi e personalità illustri so-stenere che le situazioni di crisi stimolano la creatività e l’inge-gno. Non sono in grado di assen-tire o negarne la veridicità, ma è senz’altro plausibile, e so che la capacità di adattamento e la strenua lotta per sopravvivere è nei geni dell’essere umano. Ma, senza dover ricorrere a grandi pensieri e parole, sarei modera-tamente ottimista. Se mi volto indietro a guardare i nostri qua-rant’anni di vita, vedo che sia-mo stati capaci di reinventarci via via in ruoli diversi, sempre legati alla minoranza italiana e al corollario di relazioni con-nesse alla sua esistenza, alla sua storia, al territorio nel quale vive e alla sua natura”.Tratto da La Voce del Popolo del 1.2.2012

investita di incarichi di responsa-bilità a livello gerarchico. Vi sono stati periodi che mi hanno vista prendere provvedimenti e attuare soluzioni impopolari. Vi sono state situazioni di grande travaglio, che mi hanno letteralmente scaraven-tato in condizioni non create e non decise da me. Le ho accettate in quanto parte del ruolo”.

Come vedi il futuro dei pro-grammi televisivi riservati alla Comunità Nazionale Italiana?“Mi piacerebbe poter prospettare un futuro radioso dei programmi italiani. Stiamo però attraversan-do un momento di restrizioni, a livello macro e micro, pertanto le previsioni non possono che esse-re di maggior rigore, impegno e lavoro, e meno gratifi cazioni. Ho sentito e letto spesso opinioni di

parti sono resi evidenti e le distin-zioni separate e nette. Talvolta per opportunismo, altre per ingenuità o per malinteso senso del dovere su quale parte dobbiamo o non dob-biamo prendere. E’ chiaro che noi non dobbiamo prendere le parti di nessuno. Il nostro compito è in pri-mo luogo quello di informare e di comportarci con tutti, chiunque sia il nostro interlocutore, con tatto e distacco. Serve innanzitutto a sal-vaguardare la nostra autonomia e persino l’indipendenza, a prescin-dere da qualsiasi legge in vigore o a venire. L’opinione pubblica non va sottovalutata, riconosce l’one-stà intellettuale e professionale del giornalista. Checché ne dicano i ci-nici, gli smaliziati e i disincantati. Sulle lunghe distanze è così. I mo-menti più gratifi canti della mia vita professionale sono stati proprio quelli che hanno visto confermati tali pensieri e considerazioni, da parte di gente comune e da parte di persone che hanno voluto anche argomentare le mie, diciamo così, prestazioni. Ho provato piacere nel constatare che, salvo singole ecce-zioni, nessuno ha mai respinto la mia “chiamata”: ho intervistato in studio a Capodistria presidenti di Stato, di governo, ministri, l’intero establishment della Slovenia, an-che durante la guerra, personalità politiche di spicco e futuri presi-denti della Croazia, le massime autorità del Friuli Venezia Giulia, il Capo dello stato italiano (all’am-basciata di Lubiana), il capo del governo italiano (all’ambasciata di Lubiana) e si trattò di interviste di quaranta-sessanta minuti, non di dichiarazioni di un minuto, due. Bisogna tener conto di un fatto non trascurabile: la televisione di Capodistria è un centro dislocato e, a differenza della televisione na-zionale, nessuno di costoro aveva l’obbligo istituzionale di interve-nire di persona nello studio di TV Capodistria alle nove di sera, dopo una giornata di impegni e di lavo-ro. Di questo sono grata. Ho già avuto modo di dire che i momen-ti nei quali mi sono sentita meno felice nel corso della mia carriera coincidono con gli anni in cui ero

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Figlia del fotografo capodistriano, Libero Pizzarello, Ga-briella vive in un paese del sud-Italia, in Basilicata. A Can-cellara custodisce il grande archivio del padre – cinque-mila foto istriane in bianco e nero – e gestisce un’impresa agrituristica. Abbiamo contattato la signora Gabriella per chiederle un’intervista e lei ha gentilmente accettato.

»Le foto di mio padre diventino patrimonio

dell’umanità«Intervista a Gabriella Pizzarello Alberto Cernaz

Intervista d’autore

L A N O S T R A S TO R I A

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che cos’erano, cosa rappresen-tavano, tant’è che quando 25 anni fa ho voluto rimettere a posto l’archivio, ho potuto farlo tutto in base alle sue indicazio-ni e alle sue didascalie.

Libero Pizzarello ha fatto un grande lavoro, probabilmente pensando al futuro…Io credo proprio di sì. Cioè io penso che papà abbia voluto portare con se le immagini del-la sua terra e di quello che sta-va lasciando. L’archivio di papà comprende foto che vanno da paesaggi a località, foto stori-che…

Ma, mentre altri fotografi – come Dandri ad esempio – si limitavano a fare foto per do-cumenti, tuo padre andava fuori dallo studio per immor-talare artigiani al lavoro, pe-scatori in barca…Guarda, adesso sono qui nel mio studio in Basilicata, e ho appese due foto di papà degli anni ‘30 dove ci sono pescatori capodi-striani che stanno aggiustando le reti. Sì è vero, andava proprio a fotografare la gente. In quale lasso di tempo ha fo-tografato?Ho anche delle foto del ‘18, ma penso che non le abbia po-tute fare lui. Dandri era stato suo maestro. Ho per esempio la foto dello sbarco degli italiani a Trieste. Le foto vanno dal ‘20 in avanti con anche una raccol-ta di giornali che pubblicavano qualche sua foto in relazione a qualche evento accaduto. Io ho conosciuto la mia terra soprat-tutto attraverso questo.

Quanti anni avevi quando hai lasciato Capodistria?Cinque anni e mezzo. Mi ricor-do delle cose tipo…el bagno de San Nicolò che era la mia gioia grandissima perchè c’era la sab-bia ed io potevo entrare in ac-qua per conto mio, mentre non mi piaceva andare a Semedella

tografi co in Piazza Daponte, quella che oggi chiamiamo più comunemente la Muda. Che ri-cordo ne hai?Io del negozio mi ricordo una cosa meravigliosa: tutta una serie di vasi pieni di caramelle di tutti i colori e io quando andavo a tro-vare papà in camera oscura mi dava queste caramelle…non tan-te, una o due al massimo, se no mi facevano male…e per me era una gioia grandissima andarlo a tro-vare soprattutto per questa cosa. Era una gioia stare con lui perchè lavorava, era spesso impegnato in

negozio, quindi non è che stessimo tantissimo insieme.

Era una lavoro che lo prendeva molto…Certo. Un lavoro che io ho rivis-suto ricostruendo tutto l’archivio che lui, quando siamo andati via, minuziosamente ha voluto portar-si dietro. Pensa che aveva messo in bustine di carta vari negativi con scritto

Buon giorno Gabriella, come sta?Buon giorno Alberto, puoi darmi del tu. Sto benissimo.

Finalmente posso sentirti dopo un mese di corrispondenza email. Beh, in genere è diffi cile trovarmi a casa perchè sono presa col lavo-ro in agriturismo. Poi vado spesso a trovare anche la mia famigliola in Spagna, c’è mia fi glia Anita che vive a Barcellona.

Ma non si chiamava Anita anche tua madre?No, la mamma delle mie due so-relle, la prima moglie del mio papà era Anita. Anche mia nonna era Anita, anche mia zia….è un nome di famiglia.

C’erano tante Anite una volta a Capodistria…Eh sì, è vero…

Spieghiamo ai nostri lettori dove ti trovi esattamente.Io mi trovo sull’Appennino luca-no, a 17 chilometri da Potenza, nello splendido paesaggio di una regione che mi ha accolto e che è diventata la mia terza patria: la prima era l’Istria, la seconda la Bergamasca e adesso sono immi-grata qui.

In un paese che si chiama Can-cellara.Cancellara sì. Un paesino di 1400 abitanti, un paese presepe, famo-sissimo per la sua salsiccia…infat-ti la luganiga si chiama così pro-prio perchè è stata inventata qua in Lucania.

Il dialetto istro-veneto lo ricordi ancora?Un po’ sì. Penso in veneto, solo che non lo parlo spesso perchè non ho con chi parlarlo. Lo parlo quando mi arrabbio o quando son felice.

Ma i tuoi genitori lo parlavano poi a casa?Sempre.

Tuo padre, Libero Pizzarello, aveva un negozio e studio fo-

Foto-Radio Pizzarello - »In questa foto c’è mio padre a destra, zio Giordano (suo fratello) e mio cugino Ugo Pizzarello sulla sinistra (il piccolino biondo). Gli altri non li conosco, forse qualcuno sarà in grado di identificarli e sarebbe una bella sorpresa per i familiari«.

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Intervista d’autore

perchè c’erano le rocce. Era un po’ una sofferenza andare lì perchè dovevo stare vicino ai grandi. Poi mi ricordo i panini meravigliosi con le melanzane impanate!

Ti ho mandato la foto di mia fi glia davanti alla fontana Da Ponte. Scommetto che anche tuo padre te ne avrà scattata qualcuna nello stesso punto…Certo, ho un sacco di foto di quella fontana. La prima im-pressione che ho avuto veden-do la tua foto mi son detta »Ma come è piccola!«. Io avevo l’im-pressione che fosse una fontana grandissima e invece non è tan-to grande. Devo proprio tornare a Capodistria per rivederla.

Tuo padre è stato quello che oggi chiameremmo un foto-cronista o un fotoreporter. Ha ripreso anche manifestazioni politiche sia durante il fasci-smo che dopo la guerra. Lui politicamente che idee aveva?Lui era e si è sempre sentito ita-liano e quindi a lui è dispiaciuto tanto che la sua terra diventasse una terra straniera. Io ho tutto questo pezzo di settore che lui ha chiamato »Era fascista« ed »Era partigiana«, che sono fra virgolette le foto politiche e do-cumentano tutto quello che è stato il passaggio da un regime all’altro: ad esempio, prima lo sposalizio di un capetto fasci-sta con tutte le presentazioni delle armi e quello che passava sotto con la moglie eccetera…e poi dopo la guerra quando an-davano a tirare giù le insegne fasciste, i vari comizi, le feste popolari e via dicendo.

Mi racconti l’esodo della tua famiglia?Per anni e anni non sono mai riuscita a focalizzare quei mo-menti perchè, quando pensavo a sta cosa mi veniva sempre da piangere. Perchè l’ho vissu-to proprio come un momento di dolore della mia famiglia e quindi l’ho proprio interioriz-

zato questo dolore. Quello che ri-cordo è una notte, buio, al bloc-co, con un sacco di luci intorno a noi…e questa tristezza infi nita da parte di tutti.

Dove siete andati?Papà non ha voluto farci fare il campo profughi per cui ci ha di-stribuiti, fi nchè papà non si è tra-ferito a Milano a far l’insegnante, e ci ha messo da parenti. L’uni-ca cosa, che io ho scoperto pochi anni fa dopo che è morta la mia mamma leggendo le lettere che si erano mandati: io avevo vissuto questa cosa come se mi avessero abbandonato, come se mi avesse-ro lasciato per mesi…invece il di-stacco non c’è mai stato fra me e la mia famiglia, perchè papà era sempre con noi, solo che io non lo vedevo perchè aveva preso servi-zio a scuola e andava avanti indie-tro, da Milano a Cividate al Piano dove eravamo ospiti di una sorella di mamma, per cui la sera non lo vedevo. Ma questo è durato una settimana e io l’ho vissuto come se fosse stato chissà quanti anni. E mi ha un po’ rovinato la vita questa cosa…

Che anno era quando siete anda-ti via da Capodistria?Era l’inverno del 1956. Papà ha cercato di star lì fi no alla fi ne, solo che non è stato più possibile. Non ce la faceva. Sai che cosa penso? Che nei popoli di frontiera xe chi le ciapa e chi le dà. Prima le dà un popolo poi le dà l’altro popolo. C’è il popolo che subisce anghe-rie per scelte fatte a livelli più alti di noi, insomma. Perchè io so che tanti italiani prima non si erano comportati bene con le minoran-

ze slovene, e poi naturalmente gli sloveni diventati maggioranza non si sono comportati bene con gli italiani. Peccato che a soffrire di queste situazioni è sempre gen-

te che non centra, bambini come me. Poi penso che le mie sorelle più grandi abbiano sofferto molto più di me, perchè erano già delle adolescenti.

Per cui vivono in maniera diver-sa questo ricordo?Credo di sì. Ma sai, per noi è un po’ un tabù parlare di Capodi-stria…anche perchè di solito si evita di parlare di cose che han-no procurato sofferenza. Cerchi di non parlarne.

Se non sbaglio, una delle tue so-relle è diventata suora.Grazia! E’ una persona eccezio-nale e le voglio molto bene. Sono molto legata anche alle altre due mie sorelle: Gioia che è la più grande ed Aurora che è la più pic-cola; peccato che viviamo lontane.

Mi racconti Gabriella, come vi siete inseriti nell’ambiente ber-gamasco?L’ambiente bergamasco è un am-biente abbastanza duro. Non so se tu hai visto »L’albero degli zocco-li« di Ermanno Olmi…è un fi lm splendido che racconta appunto come si viveva in un paese del-la bergamasca a fi ne ottocento. Anch’io ho vissuto le sere nella stalla, il momento comunitario so-cietario di allora era quello di tro-varsi in stalla nel posto più caldo che c’era, dove si diceva il rosario e poi raccontavano tutte le storie, la tradizione. Io a sei anni d’età,

“Io penso che internet sia l’unico modo perchè queste foto possano raggiungere tutti i nostri connazionali sparsi per il mondo.”

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che in questa grande casa dove viviamo – che è la foresteria del castello, una casa di 30 stanze e di 30 metri quadrati per stan-za – c’è una laurea assegnata al capostipite della famiglia di mio marito che, anche lui, si chiama Gian Battista (Ianniello, ndr).

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di vivere in Basili-cata rispetto alla Lombardia?Ci sono solo vantaggi. Perchè qui siamo ancora in un posto dove la natura grossomodo è incontaminata. Siccome non ci sono stati mai tanti soldi, non è stata fatta cementifi cazione a raffi ca; la tradizione, culina-ria e non, è ancora sentita: io per esempio, quando facciamo scuola in fattoria, ho due non-ne ottantenni che assieme a noi fanno il pane, la pasta, fi lano la

coincidenza non è un caso, capi-sci? E’ che son tornata perchè pro-babilmente dovevo fare qualcosa in questo posto. Questo cognome è a Capodistria da secoli, ma suona meridionaleInfatti, papà aveva fatto fare delle ricerche. Sembra che noi siamo di

origini appulo-lucane, tarantine. Tutti i nomi che terminano in –ello e –iello sono dei nomi di ori-gine appulo-lucana. E quando siete venuti a Capodi-stria?C’e’ stato qualcuno gentilissimo da Capodistria, che io ho interpel-lato ma non so più chi è, che mi ha mandato tutto l’albero genealogi-co dei miei fi no al 1718. Per cui siamo lì almeno da quell’anno. I capostipiti sarebbero Marianna Barbaz e Giovan Battista Pizza-rello. L’altra strana coincidenza è

mi sono abituata subito, giocando con gli altri bambini, con gli ani-mali. Non immagino però come possa essere stato per mia mam-ma e per mio papà, come possa-no aver vissuto quell’ambiente. Immagina: dentro il paese le case avevano un cortile, in basso la

stanza del giorno e sopra la stanza della notte, con un unico gabinet-to in cortile, vicino alla concima-ia, per tutti. Quindi non posso im-maginare come loro due, abituati a Capodistria, possano aver subito questa cosa, poveretti.

E in Basilicata come ci sei capi-tata, Gabriella?La cosa strana è che io sono »tor-nata« a vivere in una casa che sor-ge in località Pizzariello, che era il cognome dei miei avi prima di trasformarsi in Pizzarello. Questa

Barche - Il porticciolo di Bossedraga in una foto di Libero Pizzarello.

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Intervista d’autore

lana, insegnano a fare un sac-co di cose e, praticamente è una cosa normale qui nelle famiglie, tramandare queste conoscenze.

Che cosa avete organizzato, una sorta di agri-turismo?E’ un agriturismo, una fattoria didattica: abbiamo gli anima-li, i cavalli, un laboratorio di autoproduzione…è importan-tissimo secondo me insegnare alla gente a non perdere i sa-peri che avevamo una volta. Io ad esempio mi faccio il sapone, tutte le marmellate, ho impa-rato a fare il formaggio, mio fi glio fa un pane eccezionale. Cerchiamo di produrre il più possibile cose con quello che la natura ci dà. Facciamo un sacco di riciclo per esempio: fra poco avremo un’iniziativa molto bel-la dove insegneremo a creare giocattoli con materiale ricicla-to e avremo la pizzeria delle fate in cui mio fi glio Emiliano farà

tutte le pizze, focacce, torte sala-te con fi ori e verdure che vi sono adesso. Anche qua ghe xe i dàmi (dàmeni=varietà di asparago spontaneo, ndr), che non qui co-noscono, quindi me li posso rac-cogliere tutti io!

Ma devi avere molto spazio lì per tutti questi prodotti della terra e l’archivio di tuo padre.Te l’ho detto che vivo in una casa di trenta stanze. Adesso abbiamo due ospiti della California, per-chè siamo anche iscritti al WWO-OF, non so se c’è anche dai voi: è un’associazione internazionale di scambio…in cambio di vitto e al-loggio vengono da noi, imparano a fare le cose che facciamo noi da tutto il mondo. C’è una ragazza che è il terzo anno che arriva da Buffalo, ho avuto ragazzi giappo-nesi, dall’Australia…

Se vengono da così lontano, vuol dire che si sta bene a Cancellara

Ma infatti, io vi invito a venire a trovarci. Tra l’altro i costi qui in agriturismo sono bassissimi. L’a-zienda si chiama »BioAgriSalute«, abbiamo un sito www.bioagri-salute.it, che così potete vedere le immagini, le fotografi e, tutto quello che facciamo.

Vorrei concludere con le foto ca-podistriane. Qualche anno fa vennero da voi l’ex direttore del Museo regionale Salvator Žitko e lo storico dell’arte Edvilijo Gar-dina. Ricordo che rimasero stu-pefatti dal materiale fotografi co che videro. Ci sarebbe secondo te un modo per valorizzarlo? Io, da capodistriano, non le nascon-do che mi piacerebbe tantissimo poter vedere queste foto…A me piacerebbe tanto…e penso che vorrei farlo prima di lasciare questa terra…mi piacerebbe tan-tissimo che diventasse patrimonio europeo. In che modo? Pubblicarle su

Cancellara - Il pittoresco borgo di Cancellara in provincia di Potenzaendis.

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da Cicerone per spiegarti come è cambiata la città in questi anni…Ma poi facciamo in modo che anche un po’ di istriani venga-no a passare le vacanze in que-sto posto che assomiglia peral-tro parecchio all’Istria. L’unica cosa che non c’è il mare. Tan-tissime cose sono simili: persino la pasta, i gnocheti che fasseva mia nona. Ho addirittura delle fotografi e di cerimonie religio-se fatte qui a Cancellara negli anni ‘30 – che le fotografava mio suocero – e cerimonie reli-giose fatte a Capodistria nello stesso periodo dove si possono notare abiti quasi identici! Poi tante robe che mi raccontava mia nonna che le ritrovo qua in Basilicata…

Gabriella Pizzarello, grazie di averci concesso questa intervista.Grazie anche a voi di avermi dato questa opportunità.

quello dove la gente moriva dopo i 90 anni. Ti giuro nel paesino in cui vivo ci sono parecchi ultracentena-ri. Vedi, ho scelto bene. Ma posso fare io una domanda a te?

Certo.Io quando vedo o sento qualcuno che è della mia terra – qui ne ho trovati alcuni nati qua, ma con i genitori istriani – quando sento che c’è qualcuno della mia terra mi si allarga il cuore, non hai idea che bella sensazione che provo. Hai una mappa di dove siamo fi -niti, almeno qua in Italia…state mappando questa cosa, il nostro esodo?

C’è una mappa dei 109 campi profughi giuliano-dalmati che vennero allestiti in tutta Italia sul sito del Centro documenta-zione multimediale (arcipelago-adriatico.it). Gabriella, quando ci vieni a trovare?Io spero presto. L’unica cosa è che quando vengo lì non mi ci trovo. Siccome io ho le foto degli anni ‘30, io mi imma-gino Capodistria com’era in quel periodo. Quan-do arrivo trovo tutte le macchi-ne…una città »normale« come tutte le altre e dico »Oddio che roba!«. Senza’al-tro voglio venire perchè vorrei ve-dere tanto anche il professor Žitko che non vedo più da allora. E’ sta-to gentilissimo e mi piacerebbe proprio venirvi a trovare. Siccome giro spessissimo, adesso vado a ve-dere per un volo Bari-Ronchi…e poi ci sentiamo.

Bene. Ti farò io

qualche libro, in versione digita-le su internet?Io penso che internet sia l’unico modo perchè queste foto possano raggiungere tutti i nostri conna-zionali sparsi per il mondo.

Quante sono queste foto?Sono 4800, quasi cinquemila, tutte catalogate. Stavo pensando a una roba di questo tipo, però io vorrei che anche le mie sorelle fossero daccordo. Tutto il lavoro di catalogazione e archiviazione l’ho fatto io, però sono cose che appar-tengono a tutte e quattro.

Il prof. Žitko propose pure l’i-stituzione di un premio interna-zionale di fotografi a intitolato a Libero Pizzarello.Questa era una cosa eccezionale che mi era piaciuta tantissimo, solo che allora non abbiamo potu-to proseguire su questa cosa qui. Il mio obiettivo è quello di riuscire a fare in modo che questo archi-vio diventi davvero un patrimonio dell’umanità, perchè potrebbe es-sere l’unico modo per valorizzare mio papà, per quello che ha fatto e per fare in modo che la mag-gior parte delle persone che sono in giro per il mondo, come me e come tanti altri, possano vedere in internet tutti questi luoghi, queste cose, queste ricchezze. Una cosa che mi era parsa un po’ strana sono tutti i cognomi sul-le tombe. Ci sono tantissime foto con le tombe e con i cognomi. Un ricercatore m’ha detto che sono importanti queste cose, perchè da lì si riusciva a capire il passaggio delle popolazioni, cioè gli italiani, i sloveni...fotografare i nomi sulle tombe era proprio dare l’idea della popolazione presente sul confi ne. Infatti, quando vado a vistare un villaggio passo spesso per il cimi-tero, perchè è un luogo che raccon-ta molto. A Briz, presso Momiano, oltre a Vigini trovi i cognomi Fer-mo, Stanco e Malattia… O Signùr!! Non so quale poeta francese per stabilire dove passare i suoi ultimi anni, è andato a visi-tare tanti cimiteri e si è fermato in

Gabriella - Gabriella Pizzarello con il marito Mariano Ianniello sulla cattedrale di Acerenza.

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IL RICONOSCIMENTO DEL SANTUARIOLa devozione più volte centenaria verso il miracoloso Crocifi sso, a cui la pietà dei fedeli si rivolgeva sin dal secolo decimoterzo, ebbe il suo degno suggello: la chiesa si S. Basso, dove il Crocifi sso ha pubblico culto, fu rico-nosciuta uffi cialmente dall’autorità ecclesiastica come Santuario, il quale in omaggio alla tradizione popolare fu denominato del SS.mo Crocifi sso dell’Ospedale (…).

LA STORIA DEL MIRACOLOSO CROCIFISSOLa storia del miracoloso Crocifi sso che diede origine al nostro Santuario si ricollega alla storia dell’antico ospedale della città, detto di S. Nazario, dal nome del santo patrono del luogo.

L’OSPEDALE DI S. NAZARIONell’anno 1262 i consoli di Capodistria deliberarono di erigere “iuxta Pontem lapideum et viam publicam super mare, cioè sulla piazza del Ponte, presso la Porta della Muda, un ospizio che accogliesse i poveri della città e i pellegrini forestieri. Per impegnare più facil-mente la pietà dei cittadini a contribuire all’opera con abbondanti soccorsi, fu presentata supplica al vescovo Corrado e al Capitolo, perché l’erigendo pio luogo fosse esonerato da ogni servitù e dipendenza dalla Chiesa. La richiesta dei consoli venne esaudita, e il 7 febbraio 1262 nella Chiesa Cattedrale con apparato di grande pompa fu steso l’atto con cui si concedeva il privilegio desiderato in questi termini: “Nos memoratus Episcopo

Continuiamo la riproduzione di vecchi testi riguardanti le chiese della nostra città. In questo numero vi proponiamo quello pubblicato nel 1933 dallo Stabilimento tipografi co Giuliano sul Santuario di S. Basso.

Il Santuario del Santissimo Crocifi sso dell’Ospedale in Capodistria

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set Canonici supradicti per Nos, nostrosque Successo-res in refrigerium Pauperum proprie duximus confe-rendam cum omnibus Bonis, Possessionibus praesen-tibus et futuris liberalem exemptionem ad omni Eccle-siae, nostrae Iugo, Famulatibusque, et Servitute”. In breve tempo, grazie all’appoggio del clero, alle cure del pubblico Consiglio e alle elargizioni di persone private, l’ospedale che dapprima si chiamò Casa di Dio e più tardi fu detto di S. Nazario, potè aprire i suoi battenti ai bisognosi della città. Col trascorrere degli anni l’opera andò prendendo sempre maggiore sviluppo soprattutto per le larghe sovvenzioni e i cospicui legati di ricchi e caritatevoli cittadini. A reggere il pio luogo e a vigilar-ne il patrimonio furono eletti due provveditori, mentre la cura interna e la direzione dell’istituto fu data a un prio-re, la cui nomina seguiva per scrutinio nel Consiglio e dove-va essere confermata dal vesco-vo. Più tardi con ducale apposita il Serenissimo Principe e il veneto senato davano la loro sanzione alla pia opera che veniva in seguito munita di municipali statuti.Nel 1454, dopo quasi due secoli di esistenza e di varie vicende, l’ospedale di S. Nazario venne a trovarsi in condizioni alquanto critiche causa le malversazioni dei provveditori. Fu allora che il Maggiore Consiglio con l’approvazione del se-nato della Serenissima Repubblica affi dò l’ospe-dale alla Confraternita di Sant’Antonio Abate.

LA CONFRATERNITA DI SAN’ANTONIO ABATEQuesta Confraternita, come afferma anche il Naldini nella sua Corografi a ecclesiastica stam-pata nel 1700, fu una delle più antiche e delle più importanti della città. Dalla sua “Mariegola” o statuto compilato da un certo presbiter Fran-ciscus al principio del ‘400, si rileva che il soda-lizio aveva tutte quelle fi nalità che erano proprie delle confraternite medievali. Difatti oltre l’incre-mento del culto pubblico e gli esercizi di pietà e di religione, essa promove-va anche la concordia fra le varie classi di cittadi-ni, l’affratellamento degli iscritti per la tutela e gli aiuti reciproci e le opere di carità e di assistenza verso i bisognosi e gli infermi. A queste provvedeva con le rendite del ricco patrimonio che era costituito dai generosi lasciti di persone pie e veniva amministrato con la massima scrupolosità dal gastaldo della Confraternita e da tre provveditori, due popolani e un nobile, eletti annualmente nella festa di Sant’Antonio Abate. Data l’esemplare organizzazione del sodalizio e la correttezza sempre dimostrata dai suoi reggitori, il Maggior Consiglio commise ad esso anche l’amministrazione delle altre opere di pubblica benefi cenza. Così tanto queste quanto l’ospedale di S. Nazario rimasero alle dipendenze della Confraternita sino a quando questa fu soppressa e i suoi beni furono assorbiti dalla Congregazione di carità, istituita dal go-

verno napoleonico nel 1808.

IL CROCIFISSO MIRACOLOSO Assunta nel 1454 l’amministrazione e la direzione dell’ospedale di S. Nazario, la Confraternita riuscì in breve a sollevare le sorti della pia istituzione con saggi provvedimenti che valsero ad eliminare tutte le mal-versazioni del passato. Intorno a questo tempo, resosi necessario un ampliamento dell’edifi cio, i locali desti-nati in origine al ricovero dei poveri vennero in parte rifatti e ingranditi.Fu appunto in tale occasione che nella sala maggiore del pio luogo, adibita a dormitorio, fu appeso a una parete un Crocifi sso di legno che sin dalla fondazione dell’ospedale si trovava in altra stanza. A

questo Crocifi sso comin-ciarono a rivolgersi i poveri

ammalati languenti nel loro letto di dolore e ben presto la

fama delle grazie ottenute si sparse per la città e i luoghi vicini. Per cura

della Confraternita che coltivava in modo speciale la devozione al Crocifi sso e poneva ogni cura anche nell’assistenza sprirituale dei ricoverati, fu posto sotto la miracolosa effi gie un altare di legno con la pietra sacra per la ce-lebrazione della santa messa a comodità degli infermi. Un documento del 9 marzo 1539 ci attesta la grande devozione che si aveva verso il Crocifi sso, dinanzi al quale ardeva giorno e notte una lampada ad olio. L’atto è un ver-bale di seduta della Confraternita di S. Anto-nio e contiene, fra le altre cose, la decisione di dare al priore dell’ospedale, oltre allo stipendio, “un’orna e mezza d’oglio col quale abia alumi-nar zorno e note il Cisendel nella Cappella da-vanti il Corpo del nostro Signor Gesù Cristo et il Crocifi sso quale è nella sala”. Tale devozione andò sempre più aumentando e diffondendosi a mano a mano che si facevano più frequenti

le grazie ottenute. Il dormi-torio intanto dopo il 1660 venne trasformato in cap-pella interna dell’istituto e per devozione dei fedeli, che vi accorrevano nume-rosi, all’altare del Crocifi sso venne celebrata la s. messa

dal cappellano dell’ospedale tutti i venerdì di marzo e nelle due festività della Croce.Nel 1700 il Crocifi sso fu collocato nella chiesa di S. Basso, che faceva parte dell’ampliato Ospedale di S. Nazario. Numerosi documenti di questo tempo fanno menzione del così detto “Miracoloso Crocifi sso dell’Ho-spitale”, e di diverse guarigioni prodigiose fa fede una incisione di rame eseguita a Venezia nell’anno 1710 (vedi poster centrale, ndR). Speciale importanza assu-me in tale riguardo un documento del 30 luglio 1713 in cui don Giorgio Marsia, da dieci anni cappellano dell’Ospedale, dice di avere atteso “non solo alla cura spirituale degli Infermi, ma ancora al culto et onore-volezza maggiore della Chiesa, in cui i molti e continui

S.Basso-Cristo in croce - Analisi al radiocarbonio fissano la realizzazione di questo Crocifisso tra gli anni 1060 e 1180. Recentemente l’opera è stata restaurata. In San Basso ne è stata collocata una copia, mentre l’originale si trova ora nella Rotonda del Carmine, accanto al Duomo.A sinistra - la chiesa di San Basso, detta anche del Cristo in Ponte.

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Giugno 2012, n.34, 17° anno 31GiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiuGiGii gnognognognognognognognognognognognognognognoggnogno 2020202020020202020202020202020202012,12,1212,12,12,1212,12,2,12,12,12,12,1211212 n.n.nn.nn.n.n.n.n.n.n.nnnnn 34,34,34,34,34,34,34,34,34,3434,34,34,34,34,3434,34 171717171717171717171717171717177° a° a° a° a° aa° a° a° a° aaaaaaaaannonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonnonno 3131313131313131313131313131313131311

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Miracoli dell’adorata Imagine del Salvatore chiamano affollati i Devoti a frequentar li Sacramenti”.La fama del miracoloso Crocifi sso e la devozione verso di esso passò i confi ni della città e del contado, e arrivò sino a Venezia, da dove un certo Giovanni Giuriati nel 1716 in ringraziamento per una grazia ricevuta, faceva costruire a sue spese l’attuale altare di marmo, che con bolla del 12 settembre 1716 veniva dichiarato dal pon-tefi ce Clemente XI altare privilegiato in perpetuo. Nel-lo stesso anno il vescovo di Capodistria Antonio Borro-meo, per soddisfare la pietà dei fedeli, curava l’erezione canonica della Confraternita del SS.mo Crocifi sso, che dal medesimo pontefi ce veniva arricchita di speciali indulgenze. D’allora in poi la devozione verso il Croci-fi sso continuò ininterrotta sino ai nostri giorni e conti-nuarono pure le grazie ottenute dai fedeli invocando la miracolosa effi gie, come lo attestano i numerosi ex voto di cui si fregiano le pareti del Santuario.

CENNI STORICI SULLA CHIESA DI S. BASSO La chiesa di S. Basso, dove dal 1700 in poi ha pubbli-co culto il miracoloso Crocifi sso, è detta comunemente dal popolo “Chiesa dell’Ospedale”. Tale denominazio-ne ricorda appunto la dipendenza del sacro luogo da quell’istituto e il servizio speciale a cui sino al principio dell’ottocento la chiesa era destinata.Originariamente al posto dell’attuale Santuario sor-geva una modesta chiesa dedicata a S. Basso, della quale non è possibile determinare l’anno di erezione. Il Pusterla nel suo libro “I Rettori di Egida” parla di un monastero di S. Basso fondato nel 1550 e abitato da Misericorditi che avevano la cura dell’Ospedale. La no-tizia però non ha alcun fondamento storico, perché sta in pieno contrasto con quanto si rileva dai documen-ti della Confraternita di S.Antonio Abate e con quello che scrive in proposito il Naldini, che è di due secoli anteriore al suddetto autore. La cura dell’Ospedale fu sempre affi data a persone laiche della città, per cui l’e-sistenza del monastero non può essere che una delle so-lite supposizioni del Pusterla, spiegabile probabilmente col fatto che l’ordine dei Misericorditi aveva per scopo precipuo la cura ospedaliera. È certo invece che la chie-sa primitiva esisteva già verso la metà del cinquecento e che sin dal principio del secolo susseguente veniva uffi ciata dal cappellano dell’Ospedale di S. Nazario.Nel corso degli essa subì vari restauri e nel 1593 per cura del provveditore Pietro Zarotti fu ampliata al-quanto, in modo da comunicare direttamente con l’e-difi cio dell’Ospedale. Difatti dal corridoio superiore di questo, i ricoverati potevano assistere alle sacre funzio-ni attraverso le grate di due fi nestroni, che davano sulla chiesa verso la parete di destra.L’importanza del sacro luogo crebbe dall’anno 1700 in poi, quando il miracoloso Crocifi sso dalla cappella interna dell’Ospedale fu trasportato nel pubblico tem-pio e posto sull’altare laterale di sinistra, dove si trova tuttora. Il merito di questa iniziativa spetta tutto a don Giorgio Marsia che fu cappellano per oltre un venten-nio. Al suo zelo infaticabile si deve pure un successivo ampliamento della chiesa, fatto nel 1713 in parte a spese dell’Ospedale e in parte con le offerte dei cittadi-ni. Il 24 marzo dello stesso anno il vescovo Paolo Nal-

dini consacrava, a lavori compiuti, l’ampliato tempio e fi ssava l’anniversario della consacrazione alla quarta domenica di quaresima, che d’allora in poi fu sempre solennizzata dal popolo come “festa del Cristo in Pon-te”. L’avvenimento è ricordato dalla seguente iscrizione di una lapide che fu levata, non si sa perché, dal suo posto primitivo ed ora giace nel corridoio dietro l’altar maggiore:

CROCIFIXO DEI FILIOCVIVS VEL. SACRA EFFIGIES NOS BEAT

TEMPLV HOC AD NOME S. BASSI OLIM ERECTVET AVXILIO FIDELV LATIVS CONSTRVCT

PAVLUS NALDINI EPORVM OPTIMVSXXIV MARTY. MDCCXIII CONSECRAVIT

ANIVERS. AD IV. DOMIN. QVADRAG. FIXOAVSPICE MARCO MAGNO PRAETOR

BENEFICENTISSIMO

La forma attuale fu data alla Chiesa nel 1731 coll’ul-timo ampliamento dovuto alle cure del provveditore conte Luigi de Tarsia e del già ricordato don Giorgio Marsia, come si rileva da altra epigrafe visibile nella sa-crestia del Santuario. Nel 1742 il provveditore Giacomo de Belli, a cui si deve anche un ulteriore ampliamento dell’Ospedale, dotò la Chiesa di varia e ricca suppel-lettile necessaria ai bisogni del culto. L’atto munifi co è ricordato dal cappellano Biagio Riccobon in una lapide che si trova immurata, pure nella sacrestia, accanto a quella precedentemente menzionata. Come già fu detto più sopra, all’uffi ciatura ordinaria della chiesa prov-vedeva il cappellano dell’Ospedale che attendeva alla cura spirituale dei ricoverati e a tutte le funzioni pub-bliche, meno quella in onore del santo titolare, riser-vata al Capitolo della Cattedrale. Dagli ultimi anni del 1600 fi no alla soppressione dell’Ospedale avvenuta nel 1810, la chiesa, per concessione del vescovo Naldini, aveva anche il privilegio del “Sacro Fonte”, e qui ve-nivano battezzati i bambini esposti che da tutta l’Istria veneta erano mandati prima a Capodistria e poi a Ve-nezia per essere accolti in speciali ospizi di carità. Fa-cendosi forti di questo privilegio e più ancora di quello concesso all’Ospedale nel 1262 dal vescovo Corrado, i cappellani con l’andare del tempo si arrogarono addi-rittura diritti parrocchiali, tanto da provocare nel 1739 una controversia tra il Capitolo della Cattedrale e la Confraternita di Sant’Antonio Abate. Tale controversia che si protrasse fi no al 1790, venne fi nalmente defi nita dal vescovo Bonifacio da Ponte, il quale con una sen-tenza promulgata il 20 maggio di quell’anno in sede di tribunale ecclesiastico, fi ssò i diritti giurisdizionali spettanti al cappellano e quelli riservati al Capitolo. Propagatasi sempre più la divozione verso il Crocifi sso, la chiesa di S. Basso fu, in tutto il secolo XVIII, una delle più frequentate della città. Grandissimo era spe-cialmente il concorso dei fedeli della città e del contado alle funzioni solenni che con pompa particolare si cele-bravano nelle festività di S. Basso, di S. Antonio Abate, di S. Gaetano, di S. Valentino e in quelle del SS.mo Crocifi sso. La miracolosa effi gie di quest’ultimo, rac-chiusa in una nicchia protetta da cristallo, come si vede ancor oggi, era velata quasi sempre da un prezioso velo

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e si soleva scoprire solennemente due volte all’anno, il giorno di S. Mattia Apostolo e la quarta domenica di quaresima. Altre “scoverte” straordinarie si facevano anche negli altri giorni dell’anno durante le messe fatte celebrare dalla pietà dei fedeli per impetrare qualche grazia o per suffragare le anime dei defunti. Nel 1869, per ordine del vescovo Bartolomeo Legat, il velo che toglieva il Crocifi sso allo sguardo dei devoti, fu levato, e con ciò venne conseguentemente a cessare anche l’u-so delle cosiddette “scoverte”. La parola continuò però a vivere sempre presso il popolo, conservatore tenace delle vecchie tradizioni e delle antiche usanze; e ancor oggi “scoverta” è detta la messa speciale che i fedeli fanno celebrare, secondo la loro pia intenzione, all’al-tare del Crocifi sso.

L’ARTE NEL SANTUARIOSeppure la nostra chiesa non costituisca un cospicuo museo d’arte, né possieda dei lavori di straordinario interesse, tuttavia riuscirà gradito ai devoti del San-tuario conoscere quanto l’interno di questo racchiude. Trattasi d’opere in parte anteriori e in parte posteriori all’ampliamento della vecchia Chiesa di S. Basso; al-cune, anzi, non è improbabile siano uscite dalle mani di artisti locali. È ad ogni modo evidente l’intento, da parte dei committenti, di completare con pezzi nuovi l’ornamentazione maggiore, della quale, dopo le tra-sformazioni, il nuovo tempio abbisognava.

L’ESTERNOLa facciata, assai sobria di linee, ebbe l’attuale forma, a quanto si può ragionevolmente dedurre, non prima delle ricordate mutazioni, che valsero ad ampliare la primitiva chiesa bassiana. La porta si trova tra due alte fi nestre, che servono ad una suffi ciente ma non felice

illuminazione dell’interno, - data anche la loro posizio-ne verso occidente, - in mancanza d’un rosone meglio adatto all’uopo. Nel timpano del frontone triangolare, che sormonta la facciata, fu collocato un orologio, al tempo del cappellano dell’Ospedale don Giovanni Ga-vardo (1738). Sopra il tetto, verso il fondo della chiesa, vedesi il campanile con cinque vani per le campane.

L’INTERNOL’interno è a una sola navata rivestita lateralmente in basso con lignei dorsali di panche, e in alto con qua-dri, che formano coi loro soggetti un armonico insieme. Come in varie altre chiese sono illustrati in diversi di-pinti i miracoli del Santo titolare, così nel nostro San-tuario sono rappresentati i momenti più salienti della vita e della passione del Redentore. Per questa unità d’argomento fra i quadri ornamentali, - di cui alcuni appaiono del Sei, altri del Settecento, - si può formu-lare l’ipotesi, ch’essi, se anche compiuti in due epoche diverse, siano stati ideati fi n da principio come ciclo completo. Salendo a mano destra vediamo dapprima due grandi tele; quella superiore rappresenta la Ca-duta di Gesù sotto la croce, quella inferiore, di stile e sapore alquanto diversi, l’Ultima cena. Segue l’altare di San Gaetano, con pala d’autore sconosciuto, dove, sotto alla Vergine, è raffi gurato il giovane Santo, ac-compagnato dal vescovo San Basso; davanti alle due fi gure si scorge un giglio, simbolo della purezza del Be-ato. Oltrepassato l’altare, vedonsi altre due tele: nella soprastante appare Gesù deposto dalla croce, nella sot-tostante Gesù mostrato alla folla, quando da questa fu gridato reo e degno di morte. Giungiamo così al piccolo presbiterio, con l’altare maggiore, riccamente lavorato in marmo, secondo gli ultimi dettami del tardo barocco. La pala rappresenta San Nazario, che colla destra reg-

L’interno della chiesa con, alla sinistra, l’altare del Crocifisso.

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ge uno sviluppato modello di Capodistria, la città sot-to la sua protezione, e San Basso, l’antico titolare della chiesa, i quali innalzano preci alla Santissima Trinità, raffi gurata in alto. Ai piedi della tela, a destra, leggesi questa scritta:

Aloysius Comesde Tarsia Xenodo

chy Prouisor Eleemosynis Emendicatis Hanc

Divis Nazario etBasso Dicauit

Un’altra scritta minore, a sinistra, completa così la prima:

et Natalis Bertolini pinxitAno Dni MDCCXXXII

Risulta dai libri della Confraternita di Sant’Antonio Abate che l’esecuzione della pala dell’altare maggiore doveva essere commessa al noto pittore capodistriano Francesco Trevisani, detto dal suo luogo di abituale di-mora il “Romano”. Andata in discussione la proposta nel Capitolo della Confraternita, e fatto il ballottaggio, con 57 voti contrari, il progetto fu respinto. In seguito, il lavoro fu affi dato al Bertolini, artista non certo ec-cellente e di cui non possediamo notizia; il suo lavoro ci darebbe ragione, se volessimo qualifi carlo dilettante.Proseguendo la visita alla chiesa, scendiamo lungo l’al-tra parete e troviamo i due quadri di Gesù coronato di spine e del Redentore davanti a Caifa, che continuano la serie incominciata nella parete opposta.

L’ALTARE DEL SS.MO CROCIFISSO Segue l’altare del Santissimo Crocifi sso. Di questo devesi ricercare il nucleo primigenio nella Cappella dell’Ospedale, dove veneravasi il miracoloso Crocifi s-so, oggi qui esposto alla pietà dei fedeli. Ed è proprio questo Crocifi sso anche l’oggetto più interessante della chiesa dal lato artistico.Esso nella testa sproporzionata alle rimanenti membra, nelle braccia eccessivamente piccole, nel costato righet-tato a solchi centrali, nello sguardo vivamente gotico, si palesa per opera della seconda metà del Duecento. Non può essere considerato invece nell’esame stilistico il particolare, che attrae l’attenzione dei meno esperti, dei piedi uniti, a punte chiuse, non sovrapposti, per-ché tale elemento è comune a opere consimili dei primi secoli fi no al decimo quarto compreso, né mancò d’ap-parire anche più tardi, ed è ripreso dall’arte moderna. Nel 1716 in ringraziamento per grazia ricevuta il vene-ziano Giovanni Giuriati sostenne le spese per l’erezione dell’altare, conservatosi nella forma tuttora esistente. Infi ne, ecco le due ultime tele della serie della Passione, rappresentanti la Flagellazione del Signore e il Bacio di Giuda Iscariota. Lungo le pareti ed intorno agli altari, vedonsi appesi molti quadretti “ex voto”, attestanti i prodigi opera-ti dal taumaturgico simulacro di Gesù; fra questi doni trovasi uno veramente apprezzabile, costituito da un ricamo antico di notevole valore. Sul soffi tto, tre gran-di dipinti continuano la narrazione pittorica della vita

di Gesù, due dei quali rappresentano gli avvenimenti più importanti succeduti alla Passione. Nel centro ve-desi, a colori vivaci, la Resurrezione di Cristo, lavoro di buon effetto e con apparenza di grandiosità. Verso la porta poi, in un altro dipinto, ecco la Trasfi gurazione di Gesù, e, infi ne, verso il presbiterio, l’Ascensione di nostro Signore al Cielo. Tutti e tre questi lavori sem-brano opere di mano esperta di decoratore e s’impon-gono all’osservatore colla loro forza cromatica e colla robustezza delle forme.

LA SACRESTIAResta a dire ancora della sacrestia la quale, di per sé, nulla ha di rimarchevole. Ma essa ospita, oltre alle due lapidi che ci parlano dell’ampliamento settecentesco della chiesetta di San Basso e oltre a due armadi del secolo decimottavo, un Crocifi sso, in argilla opera no-tevole del secolo decimo quinto, che, insieme al lavoro consimile di cui si è parlato prima, costituisce quan-to di artisticamente più prezioso si conservi nel nostro Santuario, se anche nel corso dei secoli siasi guastato non poco e non ci sia possibile ammirarlo nella sua pri-mitiva bellezza.

LA CONFRATERNITA DEL SS.MO CROCIFISSONel nostro Santuario ha sede presentemente la Con-fraternita del SS.mo Crocifi sso, detta dal popolo anche “delle Anime”, perché, oltre a promuovere il culto e la devozione del Crocifi sso venerato nella chiesa, ha lo scopo di suffragare le anime sante del Purgatorio.

L’ANTICA CONFRATERNITAL’origine prima di questa associazione risale al 1716. In questo anno per cura del vescovo di Capodistria An-tonio Borromeo, che come il suo predecessore Naldini zelò in ogni modo la devozione del Crocifi sso dell’Ospe-dale, fu istituita canonicamente nella chiesa di S. Basso la Confraternita del Crocifi sso, avente scopi identici a quelli della presente. Con Breve Apostolico del 12 settembre dello stesso anno il Pontefi ce Clemente XI arricchiva il sodalizio di speciali indulgenze plenarie e parziali, e dichiarava privilegiato in perpetuo l’altare della confraternita che era, come è anche oggidì, quel-lo del nostro Crocifi sso. La pia unione in progresso di tempo andò sempre più sviluppandosi sì da diventare una delle più fi orenti confraternite della città. Nel 1726 il suddetto vescovo Borromeo, che mostrava una parti-colare benevolenza verso la confraternita da lui eretta, concesse all’istituzione il privilegio di costruire sepolcri per i confratelli defunti nella chiesa di S. Basso. Il pri-mo che usufruì di questo privilegio fu, secondo i docu-menti, un certo Giuseppe Bianchi, morto in quell’anno. La Confraternita continuò a sussistere rigogliosa per tutto il settecento ed anche nella prima metà dell’otto-cento. Nella seconda metà del secolo scorso, per mol-teplici ragioni, dovute in parte all’incuria degli stessi dirigenti, l’associazione andò a mano a mano decaden-do fi nchè poi venne a cessare completamente ogni sua attività. Continuarono però sempre ad essere celebrate nella chiesa di S. Basso quelle funzioni pubbliche che in suffragio dei defunti erano state introdotte dalla con-fraternita stessa e ormai erano divenute tradizionali.

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Machnich, prima di tutto, come le è sembrata la gita a Firenze?È stata un’esperienza veramente bella, anche perchè ho incontrato nuovamente alcune persone che non vedevo da anni. Ho avuto an-che tanto piacere perchè sono ri-masti tutti soddifatti.

Quante volte è stato a Firenze?A parte le volte che ci sono stato in forma privata, ci sono stato una novantina di volte.

Visitare tante volte lo stesso posto non è che ci si stufa?Per me assolutamente no. Firen-ze rimane una delle città più belle

sia per cultura che per arte, e c’è sempre qualcosa da scoprire. Visi-tando i luoghi danteschi mi capi-ta di recitare qualche strofa della Divina commedia e provo sempre una certa emozione.

Quando cominciarono queste gite d’istruzione? Il primo viaggio in assoluto ven-ne organizzato il 29-30 maggio del 1965. A quei tempi era pre-sidente dell’UIIF, il professor An-tonio Borme. L’escursione venne organizzata in collaborazione con l’UPT proprio in occasione del settimo centenario della nascita di Dante Alighieri.

All’epoca queste escursioni du-ravano più a lungo.Sì, però erano circoscritte ai fun-zionari, ai direttori delle scuole. Poi si sono allargate agli alunni delle scuole e duravano abbastan-za. Nel luglio del 1972 ad esempio ricordo che ho fatto una gita con le scuole ottennali di Pola e Rovi-gno che durò 12 giorni. Era inti-tolata »Dalle Alpi occidentali alla riviera dei fi ori«, dove si visitava la Val d’Aosta e una parte della Riviera ligure.

Poi si è passati a escursioni di una settimana e infi ne a un fi ne settimana. Questo perchè evidentemente una volta le Comunità, anzi i Circoli Italiani di Cultura, erano pochi…una ventina. Adesso il loro nume-ro è più che raddoppiato.

Comunque che importanza hanno avuto queste escursioni per i connazionali?Guardi, secondo me un’importan-za enorme. A parte perchè prima dell’escursione venivano fatte del-le lezioni di preparazione con dia-

A colloquio con l’accompagnatore Alessandro MachnichAlberto Cernaz

uella che si è svolta dal 27 al 29 aprile a Firenze è stata probabilmente l’ultima gita in collabora-zione tra Unione italiana e Università popolare di Trieste che ha visto coinvolta la nostra Comunità.

Le ristrettezze fi nanziarie delle due istituzioni hanno reso neces-sari provvedimenti volti al risparmio, tra cui appunto anche l’e-liminazione delle escursioni guidate in Italia a scadenza annuale. Ne parliamo con Alessandro Machnich, triestino ma con lontane origini di Pivka, che per decenni ha seguito le varie comitive, compresa quella di capodistriani e isolani che hanno visitato il capoluogo toscano.

Q

Firenze, forse l’ultima escursione UI-UPT

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positive. Si apprendeva la storia e l’arte delle città che si andava a visitare. Le persone che partecipa-vano a questi corsi erano in gene-re molto interessate. Io vedevo in queste persone un enorme deside-rio di vedere l’Italia. Sia i giovani che gli anziani.

Sono esperienze che hanno dato molto ai connazionali, ma a voi che ci avete lavorato, a lei per-sonalmente, che cosa ha dato il rapporto instaurato con gli escursionisti provenienti dall’I-stria e da Fiume?In quel viaggio del luglio ‘72 trat-tanevo i ragazzi la sera…imitando Mike Bongiorno facevo con loro »Lascia o raddoppia«. I premi per le risposte giuste erano gelati o ca-ramelle. Ancora adesso, 40 anni dopo, ricevo lettere da quegli ex ragazzi. Ancora mi ringraziano. Sono esperienze che hanno arric-chito anche noi che le organizza-vamo.

Qualche aneddoto particolare?Una delle gite col professor Mole-si a Ferrara. Eravamo a visitare il castello estense, siamo andati giù a visitare l’imbarcadero e mi ricordo che andai per primo per vedere se questo imbarcadero te-neva. Son caduto nell’acqua e ne sono uscito…tra fragorosi applau-

si. Questo episodio il prof. Molesi lo raccontava a tutte le Comunità che andavano a Ferrara, come fos-si io il responsabile della caduta di questo ponte che per anni non è stato riparato.

C’e’ qualche ricordo della sua lunga carriera che la lega a Capodistria?

Tanti. Conservo ad esempio una cartolina mandatami dai conna-zionali di Capodistria nel 1978. Dice: »A Machnich Alessandro poeta delle Dolomiti«, perchè in questa gita non avevo una guida tecnica o scientifi ca e avevo spie-gato qualcosa io. »A piè veloce e gamba lesta, un ringraziamento dai Tori seduti«. E tutte le fi rme

dei partecipanti alla gita Rosanna, Roberta, Mari-na eccetera.

Le circostanze sono tali per cui le gite UI-UPT non si potranno più fare. Che ne pensa? Adesso non sono più all’UPT perchè sono an-dato via nel 2000, ma parlando con soci di va-rie Comunità ho sentito dire »Noi, facendo anche qualche sforzo potremmo contribuire a coprire parte delle spese, pur di vedere la Nazione madre«. Perchè queste gite, non solo sono organizzate molto bene, ma ci danno il modo di ve-dere in modo tangente la nostra Nazione d’origine. Quindi io auspico che in seguito qualcosa si faccia.

In alto - Firenze, San Miniato.In Basso - La comitiva della CI »Santorio« di Capodistria e della »Alighieri« di Isola a Firenze. Al centro, con il libro in mano, Alessandro Machnich.

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Rinasce l’Accademia dei RisortiPrima associazione nata in collaborazione tra esuli e rimasti capodistriani

Cultura e Società di Isabella Flego

Tradizioni e Patrimonio locale

Conservare la memoria di chi si è, da dove si viene è molto importante per mantenere la propria identità. L’Associazio-ne Accademia dei Risorti è nata non perché tutto è ancora da dire e fare o da ricominciare, bensì come espressione di una nuova stagione, quasi un atto di fede verso Capodistria.

Sin dai primi incontri preparato-ri alla registrazione della stessa, avvenuta nel novembre del 2011, analizzando il presente, favore-vole a tali iniziative, e le possibili implicazioni nel futuro in forza di una importante eredità culturale, esodati e capodistriani rimasti, con le stesse memorie trasparenti e in egual misura alla nostra ter-ra, con la tenacia delle radici di quercia, abbiamo capito di poter diventare la stessa cosa.I ri-fondatori dell’Accademia dei Risorti e coloro che hanno già manifestato la volontà di associar visi non intendono cristallizzarsi nei ricordi di tempi tristi e lon-tani, ma collocarsi nella nuova storia europea che ha imboccato perco0rsi che portano ad un pen-siero aperto e cosciente, il quale identifi ca nella libertà e nell’unio-ne l’aspirazione dei suoi cittadini.Con umiltà, semplicità e pienez-za vitale vogliamo impostare un rapporto attraverso la memoria e avere un ruolo rispetto all’dentità nazionale a fi anco della CNI, per rafforzarla e per aiutarla nel cam-mino del recupero della Storia di Capodistria e dei suoi illustri cit-tadini, nonché delle tradizioni.Ho accettato di presiederla per-ché ho in me una forza aliena da pregiudizi di parte. Sono legata alle esperienze con-crete, quelle che le parole non

possono smentire e che portano la speranza verso un domani mi-gliore, anche nei più piccoli ango-li di vita.Tra i nomi che contribuirono a fare grande la Storia di Capodi-stria abbiamo scelto e messo in programma da portare a cono-scenza dei cittadini:1) Carlo Nobile (abitava a Pra-de): antifascista, amico di Turati, cittadino italiano e svizzero, uno

dei promotori della Prima mostra provinciale (1910).2) Umberto Urbanaz: slavista, traduttore e poeta.3) Bruno Maier: letterato e critico.4) Pino Corradini: scultore (pos-sibile mostra).5) Don Edoardo Marzari: presiden-te del CLN della Venezia Giulia.

Inoltre si cercherà di ripristinare la processione di S. Anna.

Isabella Flego - durante la presentazione del suo libro »Oltre le pupille«.

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GIOVANI ATTORI IN ERBAI giovani attori del grup-po fi lodrammatico della SE “Pier Paolo Vergerio il Vecchio” sezione peri-ferica di Bertocchi si sono esibiti per la Festa della donna. In scena “Arriva la primavera”. La com-media è stata riproposta il 12 aprile presso il ridot-to del Teatro cittadino di Capodistria.

Concerti e recite alla Comunità di BertocchiLe iniziative dell’ultimo semestre

La Città... e DintorniNotizie dalle Comunità periferiche

In scena i giovani attori della Pier Paolo Vergerio. Il gruppo “Giovani speranze” della CI di S. Lorenzo-Babici.

SALUTO ALLA PRIMAVERA

In aprile la CI di Bertocchi ha organizzato il tradizionale “Saluto alla primavera”. Alla rassegna di quest’anno han-no partecipato: il coro misto di casa Brnistra-Ginestra, il gruppo vocale Ad libitum e la Filodrammatica giovani della Comunità degli Italiani di Ver-teneglio, il Coro della Comuni-tà degli Italiani di Villanova ed il Gruppo corale Ars Musica di Poggio Terza Armata in provin-cia di Gorizia.

IN VISITA LA CI DI S. LORENZO-BABICI

Sabato, 26 maggio il so-dalizio di Bertocchi ha ospitato la Comunità de-gli Italiani di San Loren-zo-Babici per una serata culturale in loro compa-gnia. Per l’occasione si sono esibiti tre gruppi at-tivi presso tale Comunità, vale a dire i minicantanti guidati da Roberto Grassi, il gruppo di fi lodramma-tica ed il gruppo strumen-tale “Giovani speranze.Il coro della Comunità degli italiani di Villanova.

UN NUOVO PALCOSCENICO Da diversi anni la Comunità de-gli Italiani di Bertocchi, con il supporto della Comunità locale di Bertocchi, ha sostenuto la ne-cessità di attrezzare la sala nella locale Casa di cultura in modo tale da renderla idonea per eventi culturali e grazie al fi nanziamen-to della Comunità Autogestita della nazionalità Italiana di Ca-podistria e della sensibilità del Comune città di Capodistria, tra il 2011 ed 2012 è stato possibile realizzare tutto ciò. Per celebra-re l’evento è stato organizzato un concerto dell’Orchestra da came-ra del Litorale diretta dal maestro Patrik Greblo. L’Orchestra da camera del Litorale sul nuovo palcoscenico.

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Un protagonista se non proprio di primissimo piano, certamente di rilievo nelle discussioni lin-guistiche del ‘500 questo nostro antico e illustre concittadino che fu letterato, cortigiano presso varie corti italiane ed europee. Conferma professor Scavuzzo?Senz’altro. Un dei principali rap-presentanti della cosiddetta cor-rente italiana che ebbe il prin-cipale esponente nel vicentino Giangiorgio Trissino.

Sua, professore, è un’edizione critica degli scritti linguistici di Girolamo Muzio. Sono le »Bat-taglie per diffesa dell’italica lingua«. Possiamo partire da questo titolo per tracciare un po’ i contorni, di quella che fu nel ‘500 la questione della lingua?Sì. La questione della lingua nel ‘500 si origina dall’incertezza della norma linguistica. Essen-zialmente si possono individuare tre correnti fondamentali: quella

arcaizzante, destinata a prevale-re, che fa capo a Pietro Bembo; una toscana che ebbe a modello il fi orentino moderno e una ecletti-ca che guardava prevalentemente alla koiné delle corti, e che viene defi nita anche »italiana«, nel-la quale possiamo far rientrare tranquillamente Girolamo Muzio.

Ha lasciato scritto Girolamo Muzio della sua arte poetica »La beltà, la nettezza della lingua si

Intervista con il prof. Carmelo Scavuzzo dell’Università di Messina

di Ornella Rossetto

i sono recentemente concluse le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. E quan-to alla lingua nazionale sappiamo quanta strada abbia compiuto l’italiano in questo secolo e mezzo di storia comune; da lingua prevalentemente scritta e letteraria, lingua anche parlata dalla quasi totalità della popolazione italiana, usata nelle diverse situa-

zioni della vita quotidiana. L’esistenza fi nalmente di questa lingua viva e vera, per usare un’espres-sione cara ad Alessandro Manzoni, ha posto fi ne a quel dibattito durato secoli sulla norma gram-maticale d’italiano che va sotto il nome di »questione della lingua«. Disputa che nel Cinquecento, quando le discussioni intorno alla lingua letteraria furono particolarmente vivaci, ebbe tra i suoi partecipanti anche un letterato istriano: Girolamo Muzio detto Giustinopolitano, cioè di Capodistria. Benchè nato a Padova nel 1496, benchè vissuto quasi sempre lontano da quella che era la città di origine del padre, Girolamo Muzio volle considerare sempre Capodistria la sua patria ideale, tanto da aggiungere al cognome quell’aggettivo che appunto rimanda l’antico nome della nostra città. E’ della fi gura di Girolamo Muzio e del suo ruolo nel dibattito linguistico del ‘500 che vogliamo qui ricordare assieme ad uno storico che se ne è occupato nel corso della sua carriera di studioso: il pro-fessor Carmelo Scavuzzo, Ordinario di Storia della lingua italiana all’Università di Messina.

S

Girolamo Muzio Justinopolitano e la questione della lingua

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conosce tra i libri e da scrittori scriver si impara e non dal vul-go errante«. C’era quindi anche questa polemica contro i soste-nitori del fi orentino o più gene-ricamente del toscano vivo e mo-derno.Sì. La tesi di Muzio ha come pun-to di riferimento Pietro Bembo: la lingua si impara soltanto dai libri e non dal volgo, una posizione che oggi potremmo defi nire puristica

tant’è vero che contesta addidittu-ra al Petrarca alcune trasgressioni grammaticali, non risparmiando neanche Dante e i plebeismi, ov-vero sia quelle forme idiomatiche che Dante qua e là inserisce nel-la Divina commedia. Sostanzial-mente la fede di Muzio è solo nella lingua letteraria e le regole sono ricavabili soltanto da quella lin-gua. Pur dimostrandosi Muzio, in parecchie occasioni, consapevole

dei vari livelli di uso della lingua. Va precisato tuttavia che alla lin-gua viva, all’uso vivo non assegna valore normativo.

Vale la pena sottolineare che l’interesse di questi letterati, anche di Muzio, è rivolto pre-valentemente alla lingua da scrivere, da usare nelle opere letterarie. La sua è un’ottica essenzialmente

Muzio - Portale di Via Kette (ex Via Muzio).

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erudita, com’è piuttosto comune nel ‘500. A suo parere sono degne di accogliemento solo quelle pa-role che abbiano documentazio-ne letteraria. In questo senso è in linea con le posizioni del Bembo, perchè intravede le opere da pren-dere a modello esclusivamente nel Canzoniere petrarchesco e nel De-cameron boccacciano.

Va detto in questo senso che sarà proprio la proposta del dotto veneziano Pietro Bembo, che aveva appunto proposto una norma basata sul fi orentino antico trecentesco quella che si rivelerà vincente e defi nitiva. Il modello che da quel momento in poi avrebbe esercitato la sua forza unifi catrice sulla lingua degli scrittori.Sì. In questo senso Girolamo Mu-zio appare, ripeto, in linea con Pietro Bembo. Dimostra qua e là forse anche una certa sudditanza all’autorità bembesca. Aggiun-ge, come ho notato anche nel mio volume, qua e là qualche pedan-teria sottoponendo a critiche ser-rate addirittura il Petrarca. Cioè l’autore che lo stesso Muzio aveva eletto a canone.

Come teorico della lingua, che ruolo attribuirebbe al Muzio, professor Scavuzzo?Attribuirei una funzione positiva per il grande rispetto che nutri-va verso la lingua e soprattutto per avere difeso l’italianità della lingua; dando una spinta ulterio-re alle posizioni bembiane, per esempio, dimostrando una note-vole insofferenza per tutto ciò che gli suonava popolare o dialettale. E che il Muzio addebitava unica-mente ai fi orentini, soprattutto ai fi orentini del suo tempo.

Quando si proporrà invece una lingua anche parlata, che superasse la frammentazione dialettale, l’uso dei dialetti che erano poi lo strumento di comu-nicazione normale e quotidiano per la grandissima maggioran-za degli italiani fi no a non molti decenni fa?Mi accennava lei in esordio del-la nostra chiacchierata…la lingua italiana è stata fondamentalmente

una lingua che è esistita nei libri. Più scritta che parlata. Per questa ragione è stata una lingua essen-zialmente stabile e poco esposta ai mutamenti. Questo ha provocato a lungo l’esistenza di un’abbon-dantissima polimorfi a. L’italiano si caratterizzava per la coesistenza di molte forme sostanzialmente equi-valenti. Il processo di semplifi cazio-ne è stato messo in moto prepoten-temente da Alessandro Manzoni.

E oggi, professore, esiste ancora una questione della lingua, ma-gari in termini diversi da quelli tradizionali che attraversano tutta la storia linguistica italia-na da Dante a Manzoni e anche oltre forse?Oggi non esiste più il problema della norma linguistica da cui sca-turiva la vecchia questione della lingua. Forse l’ultimo intervento signifi cativo si deve a Pier Paolo Pasolini, ma in ogni caso le tesi esposte nel ‘900 in molti casi non hanno un carattere normativo, appaiono piuttosto degli esami socio-linguistici.

Pier Paolo Pasolini nel 1973, se non erro, aprì una discussione di-cendo che il tramonto del dialetto equivaleva all’abbandono dell’età dell’innocenza, l’entrata nella ci-viltà dei consumi e in quella della corruzione. E gli fu risposto che la conquista dell’italiano da par-te delle classi subalterne, come si diceva allora, era piuttosto la premessa e la promessa della loro promozione sociale… Pasolini in realtà delineava alcu-ne caratteristiche che si sarebbero imposte nell’italiano successivo. Per esempio notava un processo di semplifi cazione sintattica, notava un ridimensionamento delle for-me idiomatiche, una diminuzione sensibile dei latinismi. In sostanza intravedeva quello che poi si sa-rebbe imposto più fortemente, la prevalenza di un linguaggio tecni-co rispetto al linguaggio letterario. Aveva previsto una minore lette-rarietà nel nostro italiano.

Rimanendo in argomento, qual è il suo giudizio sull’italiano con-temporaneo, su quest’italiano medio che comunemente parlia-

mo e scriviamo?L’italiano dell’uso medio a cui al-lude lei è una nozione che si deve ad un illustre storico della lingua italiana, Francesco Sabatini. Si caratterizza per la presenza di al-cuni tratti morfosintattici ma an-che lessicali che in realtà non sono nuovi ma che sono stati banditi dalle nostre grammatiche. Feno-meni che in realtà sono oggi dif-fusi sia nel parlato sia anche in qualche tipo di scritto. Alludo ad esempio a lui o lei soggetto, op-pure alla cosiddetta frase scissa…fenomeni che a lungo sono stati messi al bando dalla tradizione grammatico-grafi ca, che oggi in-vece circolano sia nel parlato co-mune e sia anche in qualche tipo di scritto magari non formale.

Parliamo di semplifi cazione o sciatteria? L’italiano è davvero impoverito, come si dice, o è un allarme sproporzionato quello che arriva pressochè quotidia-namente da più parti?No, direi che l’italiano non è im-poverito. Direi che si è imposta una nuova varietà di italiano. Ab-biamo oggi una gamma di varie-tà superiore a quella esistente nel passato. In altri termini, oggi non basta il riferimento alla cosiddet-ta lingua standard, ovvero sia alla lingua corretta. Abbiamo la possi-bilità di riferirci a una gamma di varietà più ampia.

E i dati allarmanti dell’anal-fabetismo di ritorno, quel 70 per cento di italiani che riesce a decifrare – leggo - soltanto testi elementari. Cosa ne pensa?Non condivido un certo allarmi-smo. Credo che all’italiano stan-dard si contrappongano, oltre ai dialetti, altre varietà che sono tutto sommato una ricchezza. Dall’italiano regionale, all’italiano popolare all’italiano colloquiale…credo che la preferenza del par-lante vada in molti casi a feno-meni che mettono in risalto il suo egocentrismo, di conseguenza pre-ferisce giri sintattici che trova più comodi. Non condivido l’allarmi-smo di alcuni sulla scomparsa del congiuntivo e altri. Ritengo che la lingua abbia gli anticorpi per di-fendersi abbondantemente.

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Questi i temi al centro, il 16 marzo scorso a Capodistria, di un incontro organizzato dalla Biblioteca centrale che ha visto protagonisti due autori-tradut-tori che operano in città, l’uno di lingua italiana, l’altro di lin-gua slovena.

Oscuri cottimisti della mediazione culturale, “autori invisibili”. Sono i traduttori, “coloro che ci han-no permesso di comprendere - ha scritto l’americano Paul Auster - che tutti noi, in ogni luogo della terra, viviamo in un unico mondo”. Opera, la loro, tanto più preziosa quando serve ad incrementare l’ interesse - a volte modesto - che riscuotono in Slovenia gli autori italiani. E’ il caso di Gašper Malej, sloveno di Capodistria, apprezza-to traduttore di scrittori come Pier Paolo Pasolini e Dario Fo, Cesare Pavese e Antonio Tabucchi ma an-che del friulano Pierluigi Cappello. Da anni Malej, autore in proprio di alcune raccolte di versi, ha in-staurato una felice collaborazione con Marco Apollonio, scrittore ca-podistriano di lingua italiana e a sua volta traduttore, ma in primis, com’egli stesso dichiara, gran let-tore, che fi rma la prefazione delle traduzioni. Da qui l’occasione of-

ferta dalla Biblioteca centrale di conoscere più da vicino il loro lavoro e la loro attivi-tà creativa, i progetti già realizzati e quelli in corso, come la tra-duzione - supportata dall’Unione Italiana - della polese Nelida Milani, di prossima uscita. L’attrice Jessi-ca Acquavita ha letto alcuni testi di Marco Apollonio; Elis De-

ghenghi Olujic, dell’Università di

Pola, ne ha tracciato un profi lo critico, ricordando in particolare i racconti gialli riuniti nel volume Edit “L’altra parte del cielo”, che, insieme alle prove precedenti, col-locano Apollonio fra i nuovi autori della letteratura italiana dell’Istria. Gašper Malej ha proposto un saggio delle sue traduzioni di poesia ed ha affermato che i traduttori sono un po’ come i musicisti, degli interpre-ti dei loro autori, condividendo con Elis Deghenghi Olujic l’idea che la traduzione sia un fatto empirico e non teorico, essenzialmente perché “la lingua è una questione viva”.

Scrittura e traduzione nel segno del dialogo fra la cultura italiana e slovena Gašper Malej e Marco Apollonio presentati alla sezione italiana della Biblioteca centrale

Belle LettereEventi letterari e attività bibliotecaria

Gašpar Malej, Elis Deghenghi Olujić e Marco Apollonio.

La Biblioteca centrale “Srecko Vilhar” di Capodistria ha stipulato un contratto con la società italiana “Media library” che consente ai suoi utenti di accedere a un vasto assortimento di libri diffusi nella versione e-book dalle principale case editrici in Italia. Attraverso il portale della “Vilhar” è possibile scaricare gratuitamente la versio-ne digitale delle opere, per un periodo di due settimane. Il servizio di prestito è fruibile comodamente dal proprio PC senza presentar-si fi sicamente in biblioteca. Basta rivolgersi al Settore italiano della biblioteca - per telefono o email ([email protected]) - dan-do i propri dati per ricevere una password con la quale si accede al sistema. Nella foto Amalia Petronio.

Il servizio e-book

I N C A L E G A R I A

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Come ricercatore, bibliotecario e, non per ulti-mo, cittadino “interessato”, trovo tale stato di cose inaccettabile oltreché indecoroso per la Biblioteca. Per questo, forte dell’autorità data-

mi, ho istituito, nell’ambito di un documento uffi ciale dell’ente pubblico a cui sono attualmente preposto, la cosiddetta “Carta delle collezioni della Biblioteca”, una nuova raccolta che ho intitolato “Memoria patriae”, con lo scopo precipuo di ovviare alla lacuna appena indicata. La raccolta Memoria patriae infatti, si pro-pone di curare l’acquisizione, la tutela e la promozione delle opere che più hanno distinto il passato lettera-rio e culturale della Città. Il materiale per formare la raccolta verrà acquistato soprattutto agli antiquariati, fi ere ecc. Per l’acquisizione di tali cimeli la Bibliote-

ca metterà annualmente a disposizione fi no al 3% dei mezzi per l’acquisto libri stanziati dal suo fondatore, il Comune città di Capodistria. Il materiale verrà ela-borato e conservato in un’apposita raccolta, Memoria patriae appunto, entro appositi armadi ubicati nel Re-parto di storia patria della biblioteca. Della raccolta fa-ranno parte, in un secondo momento, anche eventuali facsimili nonché scannerizzazioni digitali delle opere (soprattutto manoscritti, ma anche edizioni rare e im-portanti e quant’altro) dei libri che la Biblioteca non sarà in grado o non avrà modo di reperire sul mercato. Desidero ribadire, che la raccolta si fi nanzia con una percentuale variabile (fi no 3%) dei fi nanziamenti stan-ziati pre l’acquisto libri dal fondatore, il Comune città di Capodistria, proprio per garantire un fi nanziamento

Acquistato il De ingenuis moribus di Pier Paolo Ver-gerio il Seniore. La Biblioteca civica di Capodistria possiede un ricco fondo di libri rari e pregiati ordinati in varie raccolte e gelosamente custodite nel Reparto di storia patria. Antifonari provenienti da ex biblioteche conventuali, manoscritti, codici greci, lasciti di famiglie nobiliari ecc. Manca però qualcosa. Manca la polpa, mancano le opere dei capodistriani più illustri, mancano i loro libri, i loro manoscritti, le prime edizioni, mancano insomma in biblioteca i documenti del prestigioso passato letterario e culturale della città. C’è naturalmente qualcosa, un’edizione settecentesca della Medicina statica del Santorio, l’edizione in opera omnia di Gian Rinaldo Carli curata dallo stesso, alcune opere di Girolamo Muzio e siamo quasi alla fi ne. Nessuna opera del Vergerio, nè del Se-niore nè dello Iuniore, nessun loro manoscritto, e lo stesso vale per tanti altri autori. Non è in questa occasione che voglio ricercare la causa di tale situazione, per il momento mi basta prenderne atto e ripartire da zero.

Il libro più prezioso in biblioteca

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duraturo e sicuro nel tempo e soprassedere all’annoso problema della ricerca di fondi straordinari per libri altrettanto “straordinari”. Sbrigate le formalità burocratiche, mi sono dedicato poi alla parte più bella, la parte più prettamente bi-bliotecaria del mio lavoro, alla quale purtroppo nel mio ruolo attuale, non riesco a dedicare il tempo che vorrei. Naturalmente volevo iniziare con qualcosa di veramen-te importante. La ricerca si limitava quindi alle opere, prime edizioni manoscritti ecc. di autori rigorosamente capodistriani di calibro europeo e precisamente: Santo-rio Santorio, Pier Paolo Vergerio il Vecchio, Pier Paolo Vergerio il Giovane, Girolamo Muzio e Gian Rinaldo Carli, gli altri, con tutto il dovuto rispetto, verranno a turno in un secondo momento; direte ma ci vorranno anni, naturalmente, ma le biblioteche sono istituzioni fatte per “durare nel tempo” e quindi non c’è fretta alcuna. Non c’era che l’imbarazzo della scelta. Poi la scoperta, straordinaria: un Vergerio, un incunabolo, il De ingenuis moribus, la sua opera maggiore, in vendita presso la libreria Ex Libris s.r.l. di Roma al “modico” prezzo di 11.500,00 euro. Peccato, cerchiamo avanti. Ci sono tante altre cose a prezzi più umani. Ma ormai la pulce era entrata nell’orecchio, e dopo qualche notte insonne, era maturata la decisione: il Vergerio a tut-ti i costi! Quando mai si ripresenterà un’occasione del genere? Per la raccolta dei fondi, rimando il lettore al capitolo dei ringraziamenti agli sponsor.

L’INCUNABULO DE INGENUIS MORIBUS ET LIBERALI-BUS STUDIIS DI PIER PAOLO VERGERIO IL SENIOREL’incunabolo De ingenuis moribus et liberalibus stu-diis di Pier Paolo Vergerio il Seniore, è importante es-senzialmente per due motivi: in primo luogo perché si tratta dell’opera principale del Vergerio e in secondo luogo perché è un incunabolo. Il De ingenuis moribus et liberalibus studiis adulescentiae (Il comportamento corretto e l’educazione liberale degli adolescenti, 1400-1402), è in pratica il manifesto della nuova educazio-ne umanistica italiana, le humanae litterae sostiene il

Vergerio, che consentono non solo di arricchire l’anima ma anche di apprendere il rispetto del valore altrui e l’aspirazione a costruire una società più nobile e giusta. Il Vergerio in pratica esprime i nuovi valori educativi degli umanisti fi orentini, che consideravano gli studia humanitatis come i soli degni di un uomo libero e della sua vocazione mondana e civile. Il suo libro ha avuto da subito un grande successo editoriale, come direm-mo oggi. Il Vergerio è insomma ritenuto il padre della pedagogia umanistica italiana ed europea, è menzio-nato in ogni antologia della letteratura italiana che si rispetti, è insomma uno degli “grandi” della letteratura italiana. E scusatemi se è poco. E in più, la nostra edi-zione è un incunabolo.

GLI INCUNABOLIIl termine incunaboli è il plurale della parola latina in-cunabulum e signifi ca “fasce del neonato” oggi direm-mo pannolino. Il termine si è evoluto dal suo signifi cato originale e oggi generalmente indica “il luogo di nascita o l’inizio”. Nel mondo dei libri, il termine incunabolo indica i libri che sono stati stampati con caratteri mo-bili e di metallo fi no all’anno 1500. L’anno 1500 è più una demarcazione di comodo che indica la transizione da un secolo all’altro che non un signifi cativo e defi nitivo cambiamento dell’apparenza del libro dal 1501 in poi. È infatti appena attorno al 1530 che la trasformazione dell’apparenza dei libri può ritenersi completata. L’invenzione della tecnologia della stampa a caratteri mobili in metallo è attribuita a Johann Gutenberg (c.1400 - 1468). Al mondo vi sono circa 450.000 incunaboli (di molti testi esistono svaria-te copie), di questi circa 110.000 si trovano in Italia e un migliaio in Slovenia. Gli incunaboli, i primi libri prodotti grazie all’intro-duzione della stampa a caratteri mobili, sono i più preziosi tra i libri non solo perché prodotti ancora in numero relativamente ridotto rispetto alla più ampia produzione seriale che si afferma a partire dal secolo seguente, ma perché ogni esemplare ha caratteristiche peculiari, derivanti dallo stretto legame che conservano con i manoscritti.

IDENTIFICAZIONE DEL DE INGENUIS MORIBUSLa raccolta non contiene note tipografi che, ma si ritie-ne che sia stata curata dall’umanista bresciano Giovan-ni Calfurnio e stampata a Padova nel 1475 ca. dallo stampatore mantovano Domenico Siliprandi. L’opera è stata da noi acquistata dalla Libreria antiquaria Ex Libris di Roma. L’antiquario ha a sua volta acquistato il libro ad un’asta organizzata in seguito alla chiusura della Biblioteca Orano nel rione romano di Testaccio. Il libro è in ottimo stato di conservazione. Rilegato in piatti di legno con dorso rifatto in pelle scura. RingraziamentiDesidero ringraziare sentitamente gli sponsor e gli amici che hanno reso possibile l’acquisto del volume: l’Unione italiana, le aziende KIG d.d. e 3M nonché la Società di assicurazioni Adriatic Slovenica unità di Ca-podistria.

Ivan Markovič

In alto - La presentazione dell’incunabolo vergeriano a palazzo Pretorio. Peter Štoka, Alessandra Favero, Andrej Bertok, Adriano Papo e Ivan Markovič.A lato - La facciata di palazzo Brutti a Capodistria, attuale sede della Biblioteca centrale »Srečko Vilhar«.

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Deborah Rogoznica ha con-seguito in dottorato in storia, lavora all’Archivio regionale di Capodistria e ci svela con il libro »Dal capitalismo al so-cialismo. L’economia nel ter-ritorio della Zona B del Terri-torio libero di Trieste, dal 1947 al 1954« un aspetto nuovo nel-la storiografi a del dopoguerra: molto si è parlato di aspetti etnici, di spostamenti di popo-lazioni, di cambio di struttura sociale, ma poco ci si è occupa-ti dell’aspetto puramente eco-nomico.

Tra il 1947 e il 1954 in questo territorio che andava da Ca-podistria a Cittanova furono introdotte misure che portavano quelli che erano i valori del-la »rivoluzione socialista« che allora aveva corso in Jugoslavia e si cercava di attuare in Zona B anche se questa formalmente non ne faceva ancora parte. De-borah Rogoznica, cosa cambia in questi anni?I vari provvedimenti introdotti all’interno dello stato jugoslavo a partire dal ‘45 venivano mutuati poi in questo territorio, ma con una

certa prudenza. Venivano emanati degli Atti di legge, non Leggi vere e proprie, che prevedevano una se-rie di misure restrittive soprattutto per quel che riguarda la proprietà privata che però, al contrario della Jugoslavia dove venivano attuate in massa e con conseguenze nell’e-conomia dello stato che portavano poi alla statalizzazione, alla nazio-nalizzazione di tutta la proprietà privata praticamente fra il ‘46 e il ‘58 - in questo territorio queste misure furono adottate, come di-cevo con più prudenza, pur attra-verso tutta una serie di sequestri e confi sche.Questo per ragioni anche di po-litica internazionale…Per ragioni di politica internazio-nale, poichè almeno formalmente venivano rispettati i vari trattati internazionali, specialmente quello dell’Aja che non prevedeva la pos-sibilità di espropiare i beni privati, ma solo di requisire quelli pubblici o di interesse pubblico per scopi di interesse dell’amministrazione.

Quali furono i provvedimenti che incisero maggiormente sulla popolazione in quel periodo?Sicuramente la Riforma agraria fu uno di quei provvedimenti che an-che in questo territorio fu attuato in modo esteso e quindi ebbe ri-percussioni su tutta l’economia, perchè questo territorio non aveva grandi risorse di materie prime o altro che potesse venir sfruttato nell’economia, ma era soprattutto la produzione agricola quella che caratterizzava tutta la zona.

Dal suo punto di vista, questi provvedimenti vennero accolti dalla popolazione con riluttan-za, fastidio, oppure ci fu anche un certo consenso?Diciamo che le autorità mirava-

no ad ottenere il consenso, spe-cialmente con la riforma agraria. Però non ci fu questo consenso. Chi avrà modo di leggere il libro, specialmente nella parte dedicata alla Riforma agraria, vedrà che le autorità si sforzarono in ogni modo di ottenere il consenso, ma la popolazione era riluttante per-chè si trattava di cambiamenti che incidevano su quelle che era-no tradizioni molto radicate nella società.

Un altro provvedimento colpì anche i pescatori. I proprietari di barche, a un certo punto ce ne furono sempre di meno e spari-rono…Fu un provvedimento adottato dall’Amministrazione militare alla vigilia dell’entrata in vigore del Trattato di pace. Fu confi scata e portata fuori dalla Zona B la gran parte della fl otta pescherecci del-le principali aziende isolane, che poi rappresentava la gran parte di tutta la fl otta presente su questo territorio. Ciò colpì notevolmente le industrie e praticamente an-che la popolazione di Isola che in gran parte era occupata in queste industrie e sulla quale le autorità contavano fortemente, poichè rap-presentava un nucleo operaio sul quale le autorità contavano per un consenso alla nuova politica socia-lista o sociale.

Operai che si videro espropria-ti dei mezzi con cui poter poi produrre…Si videro in una situazione per cui la loro vita divenne precaria, poi-chè videro portar via quelli che erano i mezzi di lavoro, del loro sostentamento e quindi ci fu una determinata presa di posizione. Si può parlare di prima rottura, spe-cialmente per quella che era la po-

Freschi di Stampa di Stefano Lusa

Novità editoriali e recensioni librarie

L’economia della Zona B in un libro A cura di Deborah Rogoznica dell’Archivio Regionale di Capodistria

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polazione di Isola nei confronti dei »poteri popolari«. Provvedimenti economici in Zona B, diceva lei, applicati coi guanti e non con lo stesso fervore rivoluzionario che questi giova-notti che avevano preso il po-tere applicarono nel resto della Jugoslavia, ma che – almeno dal punto di vista di una certa sto-riografi a italiana, anche mag-gioritaria – ebbero i connotati di colpire la popolazione italiana.Chi ha studiato la nazionalizzazio-ne dei beni all’interno della Slo-venia, della Jugoslavia o l’attua-zione della Riforma agraria saprà perfettamente che questi vennero applicati nei confronti di tutta la popolazione. Logicamente in que-sto territorio l’economia era con-centrata nelle mani di imprendito-ri italiani. Quindi questi interventi

furono subiti da loro in modo più diretto.

Se noi guardiamo la storia da un’ottica nazionale italiana possiamo leggere questi prov-vedimenti come anti-italiani, perchè andarono a colpire soprattutto la popolazione ita-liana di questo territorio. Se la guardiamo da un’ottica jugo-slava vediamo invece che erano applicati su vasta scala in tutta la Jugoslavia. Possiamo forse concludere che per capire la complessa storia di questi ter-ritori, oggettivamente le storio-grafi e nazionali non sono chiavi di lettura suffi cienti?Certo. Perchè il fenomeno va con-testualizzato e quindi per riuscire a porre una contestualizzazione è necessario conoscere la storia, non

solamente di una parte nazionale, ma anche la storia degli stati e del-le istituzioni che in quel periodo venivano coinvolte da vari cam-biamenti sia a livello nazionale che internazionale. Perchè poi va interpretata non solo dal punti di vista della storia nazionale slove-na, ma forse anche di tutto quello che stava accadendo all’interno di quello che in quel periodo veniva chiamato »blocco socialista«.

Il titolo originale del libro è »Iz kapitalizma v socijalizem. Gospodarstvo Cone B Tržaškega svobodnega ozemlja«. A quando l’edizione italiana?Beh, vediamo. Il libro nasce come tesi di dottorato presso la Facoltà di fi losofi a di Lubiana e quindi è stato scritto in sloveno. Ma ci fa-remo un pensierino.

Freschi di Stampa di Stefano Lusa

Novità editoriali e recensioni librarie

Deborah Rogoznica con la sua collega dell’Archivio regionale capodistriano Zdenka Bonin. Quest’ultima ha pubblicato recentemente il libro dal titolo » Le Confraternite dell’Istria nord-occidentale ai tempi della Repubblica di Venezia«. Si tratta dello studio più approfondito su questo argomento che avremo certamente modo di trattare in uno dei prossimi numeri del giornalino. (Foto Maja Pertič Gombač – Primorske novice).A lato - Manifestazione dei primi anni ‘50. Archivio regionale Capodistria (SI PAK KP. 344, te 5).

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Tra gli enti coinvolti nell’attività didattica del Progetto Strategico »JEZIKLINGUA« del Program-ma di Cooperazione Transfron-taliera Italia-Slovenia 2007-2013 sono gli asili con lingua di insegnamento italiana del Capodistriano, più precisamen-te La Coccinella di Pirano, L’A-quilone di Isola e Il Delfi no Blu di Capodistria, con le rispettive sezioni periferiche (Bertocchi, Crevatini, Semedella, Lucia, Sicciole, Strugnano, Pirano).

Il fi lo conduttore degli incontri didattici, tenuti dalla pedagoga Katja Dellore, è il racconto fanta-stico di »Lina la fatina nel magico mondo di Alfabetolandia«, attivi-tà promossa dall’Unione Italiana, in qualità di partner del soprac-citato progetto. Lina coinvolge i bambini con la magia delle letteri-ne, stimolando la creatività e con-tribuendo all’apprendimento di vocaboli nuovi. Familiarizzando e giocando con le lettere i bambini sperimentano esperienze nuove e innovative sia sul piano dello sviluppo psicofi sico, sia su quello intellettuale. Il progetto prevede alcuni incontri durante i quali si svolgono attività ludico-didattiche

mirate e specifi che, programmate e adatte allo sviluppo psico-mo-torio e cognitivo di bimbi dell’età di 4 -6 anni. L’obiettivo generale del progetto è la collaborazione e lo scambio di contenuti pedagogi-ci ed esperienze professionali tra gli educatori dell’asilo e l’esperto pedagogista. Si tratta, più preci-samente, di una cooperazione in team durante la quale si sono pro-

grammate e progettate le attività didattiche in maniera tale da offrire agli educatori l’oppor-tunità di sperimentare in prima persona nuo-ve tecniche, metodolo-gie e strategie di inse-gnamento della lingua italiana, mettendole in seguito in pratica in un contesto multicultu-rale particolare e spe-cifi co come quello del territorio transfronta-liero nel quale viviamo

e operiamo, dove due lingue con-vivono in simbiosi in un continuo scambio sinergico. Accanto a tale importante obiettivo si aggiunge quello di contribuire in maniera costruttiva e interattiva all’ap-prendimento della lingua italiana, dando la possibilità ai bambini di esprimersi in tutto il loro essere creativo. Ciò è reso possibile grazie all’in-clusione di attività di supporto che oltre al campo linguistico ricopro-no anche altri settori e contenuti, quali ad esempio l’attività moto-ria, la sfera logico-matematica, il campo artistico. Si tratta infatti di un progetto linguistico che attra-verso il linguaggio, l’espressione verbale, la creazione e l’appren-dimento della parola mira allo sviluppo psico-fi sico globale del bambino. I riscontri sia dei piccoli partecipanti, sia delle stesse edu-catrici è stato ottimo e si auspica di poter continuare anche in futu-ro con attività affi ni.

»JEZIKLINGUA« negli asili del CapodistrianoAttività didattica del progetto di cooperazione transfrontaliera

Brevi Scuola di Katja Dellore

Notizie dagli Asili Infantili

Jeziklingua - Katja Dellore con i bambini dell’asilo.

Jezik lingua - Giochi bilingui con le lettere dell’alfabeto.

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La SEI Pier Paolo Verge-rio il Vecchio di Capodi-stria ha aderito alla re-alizzazione del progetto “Pasavšek-Armadillo” per conoscere e appro-fondire le regole del corretto trasporto dei bambini ed evitare gravi conseguenze in caso di incidenti.

Per la realizzazione del progetto si sono impe-gnati gli alunni del primo triennio della sede cen-trale di Capodistria, delle succursali di Semedella, Bertoc-chi e la prima classe di Creva-tini. Nell’ambito del progetto abbiamo fatto richiesta di avere in dotazione i cosiddetti “demo” seggiolini al fi ne di dare una di-mostrazione pratica del loro uso e per sensibilizzare soprattutto i genitori all’acquisto di seggio-lini adeguati per un corretto e più sicuro trasporto dei bambini. Abbiamo avuto in gestione i seg-giolini per praticarne l’utilizzo e capire l’importanza di allacciar-si le cinture di sicurezza in modo adeguato. Le statistiche rivelano che la maggior parte degli inci-denti, con il coinvolgimento dei bambini, avviene in strada du-rante i tragitti locali, ad esempio casa-scuola. Nella fretta spesso si tende a sottovalutare le regole del viaggiare sicuro. In merito è intervenuto l’Auto

Moto Club i cui rappresentanti, i sign.Trbižan specializzati nel-la prevenzione stradale, hanno presentato ai genitori il progetto nonchè l’uso corretto dei seggio-lini e delle cinture di sicurezza. A loro va un ringraziamento per la disponibilità e professionalità nella sensibilizzazione dei pre-senti all’importanza della sicu-rezza in strada durante il viaggio. Infatti i seggiolini rappresentano un aspetto fondamentale nel tra-sporto sicuro dei viaggiatori più piccoli. L’iniziativa ci ha visti at-tivi nei laboratori creativi, nella realizzazione di questionari per alunni e genitori nonchè la pre-sentazione della mascotte l’Ar-madillo. Da rilevare che il pro-getto è proseguito sino al mese di aprile con lavori di ricerca, di ap-profondimento e con la creazione di oggetti relativi all’argomento.

Nel mese di aprile, alla conclusio-ne del progetto, gli alunni hanno presentato ai genitori tutto il la-voro svolto durante la realizza-zione del progetto. All’incontro è intervenuto pure il poliziotto sig.Diego Samsa che con estrema professionalità ha illustrato ai ge-nitori l’importanza dell’uso delle cinture di sicurezza e dei seggio-lini adeguati durante i tragitti in macchina.L’auspicio è che il messaggio ven-ga recepito soprattutto dagli adul-ti perchè in base al sondaggio non tutti usano regolarmente i seggio-lini omologati e le cinture di sicu-rezza. Già a soli 30 km all’ora in caso di impatto, le conseguenze possono essere gravi. Siamo certi della consapevolezza di ogni adul-to l’importanza di dover garantire ai nostri viaggiatori più piccoli un trasporto sicuro e adeguato.

Progetto “Pasavcek-Armadillo”Viaggiate sempre sicuri, allacciati!Iniziativa ospitata dalla »Pier Paolo Vergerio il Vecchio«

Brevi ScuolaNotizie dalle Scuole Elementari

Progetto Armadillo - L’agente di polizia Diego Samsa spiega ad alunni e genitori l’uso corretto delle cinture di sicurezza.

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Il 29 gennaio è scomparso l’ex pre-sidente italiano Oscar Luigi Scal-faro. Da sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel biennio ‘54-’55 si ado-però per l’accoglienza dei profughi istriani. Da Capo dello Stato nel ’97 pose la prima pietra per la costru-zione della SMSI a Pola, mentre a giugno dello stesso anno si incon-trò con i rappresentanti della CNI di Slovenia, presso la CI »Giuseppe Tartini« di Pirano. Nel ‘98, insieme al presidente sloveno Milan Kucan, inaugura a Isola la nuova sede del-la SEI “Dante Alighieri”. Nel suo discorso Scalfaro invitò gli italia-ni che vivono in Slovenia a »esse-re cittadini fedeli di questo Stato, mantenendo vive le radici della cultura italiana, sapendo in questo modo rispettare gli altri«.

Nei primi anni Novanta la Scuo-la elementare italiana di Capodi-stria ospitò un gruppo di bambini profughi dalla Bosnia. La preside Isabella Flego mise a disposizione alcune aule in cui poterono con-tinuare a frequentare le lezioni. E si organizzò anche uno spetta-colo dal titolo »Inno alla vita«, in cui gli alunni della »Vergerio« e i bimbi bosniaci si esibirono insie-me con canti e recite. Venutone a conoscenza, il presidente Scalfaro inviò alla nostra scuola il seguente messaggio autografo:

Cari bambini delle Scuole Italiane del Capodistriano,

sono con voi alla bellissima manife-stazione di frater-

nità con i vostri coetanei della Bo-snia Erzegovina. Sono con voi per partecipare a questa bella solida-rietà con chi soffre gli orrori della

guerra, della violenza, dell’odio.Questi vostri amici, conosciuti o no, hanno bisogno di tutto, ma hanno soprattutto bisogno di amore.E’ l’amore che si è spento nel cuore di tanti uomini e ha portato soffe-renza e desolazione in tante case,

in tante famiglie. Solo ritornando ad amarsi tra di loro, gli uomini riprenderanno la via della pace.Voi bambini date il via a questa ripresa. Vi dico grazie con tutto il cuore.

Oscar Luigi Scalfaro

Brevi ScuolaIstruzione ed Educazione Civica

Quando il Presidente scrisse ai nostri alunniOscar Luigi Scalfaro (1918-2012)

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Sono trascorsi 40 anni dal giugno 1972 quando abbiamo terminato la scuola elementare. Ci siamo ri-trovati per ricordare innumerevoli eventi degli anni trascorsi insieme. Abbiamo iniziato nel 1964 in undici ed abbiamo terminato in venti, con gli alunni delle periferiche di Se-medella, Bertocchi e Crevatini uniti a tutti i ripetenti. Una capoclasse meravigliosa, Lidia Molassi, che è stata per noi non solamente »LA maestra« ma anche una mamma che ci ha educati porgendoci i primi insegnamenti per affrontare con più sicurezza e serenità la vita. Tra un aneddoto e l’altro il pensiero è an-dato pure agli altri insegnanti: Nives Mandic, Ljudmila Bevk, Gianfranco Siljan, Isabella Flego, Graziella Po-nis, Nerone Olivieri, sign. Kolenc, Eda Hocevar, il nostro capoclasse Giulio Bonifacio ed il direttore Leo Fusilli che con tanta fatica e pazien-za ci hanno portato verso il primo importante traguardo della nostra vita.Un pensiero particolare è andato ad

Aredo Bertok che ci ha lasciato gio-vanissimo ma è rimasto sempre nei nostri cuori.

DEDICATO AI MIEI COMPAGNI DI CLASSE

Quaranta ani ga pasa,no ve gave dismentega?So che xe tanti ani fama noi no vemo mai cesade ricordar quei giorni beico ierimo putele e putei.Iera altri tempi, tempi che no xe più, tempi de alegria, de gioventù.E si, perchè adeso diventemo veci,none e noni de sti nostri pici,e anca se ne par de eser in gamba asai no semo come quando i maestri vemo lasai. Ma dixe quel che volexe bel vederse co el tempo ga pasa;veder i segni che la vita ga lasae ritrovarse duti ancora qua. E i segni dela vita no xe pochi,basta saverli veder, leger, indovinar:un cavel grigio qua e là, do sotooci per vardar e no dismentegar,

veder ‘sta nostra amicizia che ne liga che el bel e el bruto dela vita sfi da. E alora, fra altri diese se vedemofra scolari se ritrovemo,per star ancora un fi a in compagnia per un’altra festa in alegria.

da Silvia

Quant’è bello ritrovarsiRimpatriate di ex alunni della Scuola elementare italiana di Capodistria

Brevi ScuolaCome eravamo

VIII classe del 1972 - In piedi da sinistra a destra: Tanit Vovk, Ondina Auber- Viler, Silvia Fusilli – Skok, Silveria Sudoli, Silvia Vidmar – Furlanič, Lorena Pacor – Vadnav, Laura Auber – Cah, Giulio Bonifacio, Fulvia Bordon, Onorina Riosa – Rušnjak, Aredo Bertok, Edi Krmac, Pino Marković.In basso da sinistra a destra: Emanuela Revere, Edo Zanco, Nevio Brainich, Mario Chersicla, Alberto Zetto, Aldo Jurman, Giuliano Vivoda. Assente Giordano Rovina.

Venerdì, 1 giugno ritrovatisi per una bella ed emozionante rimpatriata, le alunne e gli alunni dei primi anni Settanta non hanno mancato di fare una puntata alla loro vecchia scuola. In posa, da sinistra: Ornella Rossetto, Ada Božič, Rita Riosa, Luciana Vivoda, Gianni Katonar, Paolo Onorati (giunto appositamente da Camerino), Marina Benčič e Arianna Markučič.

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Riconoscimenti a livello internazionale per gli allievi

Allievi eccellenti - Stefania Strain, Teo Sirotič e Urška Frančula.

News dal Ginnasio Gian Rinaldo Carli

Brevi ScuolaNotizie dalle Scuole Medie

Da anni gli allievi della nostra scuola partecipano a gare organiz-zate a livello nazionale ed interna-zionale. Annualmente partecipia-mo a gare scientifi che organizzate dal gruppo DMFA (matematica, fi sica), ZOTKS (logica, chimica, biologia) e, dal 2010, alle olim-piadi di neuroscienze organizza-te dall’università di Trieste. Nel campo linguistico-umanistico le terze classi possono accedere alle competizioni di lingua italiana, inglese, francese e spagnolo non-ché alle gare di storia. In più, sempre dal 2010, tutte le classi possono partecipare alle Olimpia-di di italiano organizzate dall’Ac-cademia della Crusca. A queste si aggiungono altre competizioni, come il concorso internazionale di poesia organizzato dal Collegio

del mondo unito dell’Adriatico e altre ancora. Quest’anno, essendo in terza, ho partecipato alle gare di inglese organizzate dall’asso-ciazione IATEFL Slovenia, otte-nendo il riconoscimento d’oro con il terzo miglior punteggio in Slo-venia. Teo Sirotić

Olimpiadi di Italiano 2012. Mi sono ritrovata a Firenze il 4 e il 5 maggio per le »fi nalissime« co-noscendo persone stupende unite dall’amore per la lingua italiana. Abbiamo passato due giornate in-tense, con presentazioni al Palaz-zo Vecchio di Firenze, dove in se-guito il 5 maggio abbiamo anche svolto la gara uffi ciale. Non mi sa-rei mai aspettata il secondo posto. Sono esperienze importanti: fanno conoscere persone, luoghi e cultu-

re differenti. Rappresentano un’ apertura mentale che ci aiuta a capire pensieri differenti, ci arric-chiscono e mettere alla prova noi stessi e le nostre capacità. Un’esperienza che non la dimenti-cherò mai. Urška Frančula

Il francese è una lingua che mi è piaciuta fi n da quando ero piccola. Ho fatto diversi viaggi in Francia, un paese che mi è sempre sembrato affascinante, forse anche a causa della sua storia travagliata. Sono molto lieta di aver ottenuto que-sto risultato, soprattutto perché ho affrontato la competizione serena-mente e tranquillamente ed è que-sto che mi ha fatto capire che con maggiore consapevolezza e sicu-rezza in se stessi, si affronta meglio qualsiasi cosa. Stefania Strain

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Tra le prime iniziative, un torneo di calcetto.

La Juve al Bonifica - Roberto Siljan, telecronista di Tele capodistria, con Alessandro del Piero, storico capitano della Juventus, in allenamento di rifinitura allo stadio Bonifica di Capodistria alla vigilia della partita di Trieste con il Cagliari, che ha poi sancito la conquista del 28esimo scudetto dei bianconeri.

Nuova stagione per l’Associazione Sportiva Comunità Italiana

Brevi Sport di Roberto Richter

Attività sportivo-ricreativa della C.N.I.

Dopo anni di buio e incertezze, fi -nalmente con il 9 novembre 2011 l’Associazione Sportiva Comuni-tà Italiana di Capodistria ha ri-strutturato la sua dirigenza con l’intento di ritornare agli antichi splendori o almeno avvicinarcisi.Da novembre ad oggi sono sta-ti fatti passi da gigante. Già con la nomina del nuovo direttivo si sono presi i primi provvedimenti: si sono ridotti i membri della pre-sidenza da 5 a 3, il mandato della presidenza è stato prolungato da 2 a 4 anni e agli accordi presi con la dirigenza della Comunità auto-gestita della nazionalità italiana di Capodistria hanno permesso di ottenere i fi nanziamenti necessari allo sviluppo delle infrastrutture e alla crescita delle attività sportive programmate.Dapprima si sono saldati i conti arretrati ancora aperti, poi si sono sviluppate le attività già avviate ed infi ne si sono aperti nuovi pro-getti per il coinvolgimento di un sempre maggior numero di soci dell’A.S.C.I. La tribolata stagione calcistica si è conclusa con affanno, ponendo però le basi per un ringiovanimen-to della rosa. A tal proposito, a maggio si è organizzato il torneo internazionale di futsal, con lo scopo di riallacciare i rapporti con le al-tre Comunità degli Italiani dell’I-

stria, che si erano persi negli ulti-mi anni. All’invito hanno risposto con entusiasmo le squadre di Isola Dante Alighieri, Buie e Jagodje. A maggio poi abbiamo avviato il tennis presso l’impianto sporti-vo di Strugnano. Quest’anno tale attività è ancora in fase embrio-nale anche perchè dobbiamo pri-ma verifi care quale possa essere l’interesse dei soci a mantenere tale sport fra quelli offerti, ma contiamo di renderla una costan-te con gli anni a venire, conforta-ti anche dalla presenza crescente di soci negli ultimi mesi. A luglio contiamo di organizzare una gita in rafting sulle rapide dell’Ison-zo, ma dipenderà dalla richiesta e dall’interesse che riscontreremo.

A settembre riprenderemo con la pallavolo nella palestra di Livade e con il tennis tavolo presso la pa-lestra della scuola elementare Pier Paolo Vergerio il Vecchio di Capo-distria. Con questi propositi, non possiamo che ritenerci soddisfatti per il lavoro svolto. Molto abbia-mo ancora da fare e ci rendiamo conto che a livello organizzativo presentiamo ancora qualche la-cuna, ma con l’aiuto ed i sugge-rimenti di tutti i soci, cresceremo e ci evolveremo. Per ora gli avvisi vengono trasmessi solo nella ba-checa della C.I. di Capodistria, ma a breve ripristineremo il database dei soci in forma elettronica e ren-deremo più accessibile la comuni-cazione tra la presidenza e i soci.

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Son sta a vendemar in TailandiaCaro Alberto,come l’ano passà, in aprile, e come za te vevo scrito, son sta a vendemar. Sì, perché anca in Tailandia se vendema. La stessa frase che te vevo scrito, la vevo scrita, a la mia amiga Vitoria, che insegna a Firenze. Naturalmente per inquadrar ben la risposta de la mia amiga Vitoria, bisogna anca saver che la organizza mostre, la xe spesso in Tailandia e la ospita artisti tailandesi che ven a espor in Italia. Con queste premesse se pol dir che la conossi quindi ben no solo la Tailandia, ma anca i Tailandesi. Ben, bon, la sua risposta xe stada de pura maraveja: “C’è uva in Tailandia? Fanno anche il vino?”

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La esprimeva maraveja, ma a mi, le sue dimande no me ga sorpreso par gnente. Perché in questo campo perfi n i tailandesi, serte robe che capita, dixemo, a casa de lori, no i le sa. Tanto xe lontan la cultura e la mentalità de lori, dala cultura de l’ua e del vin. Epur!! La Vitoria se maravejava, apunto, perché, in Tailandia, no i li vedeva mai che i beveva vin, ma quando che i andava in Italia, i beveva come pirie. Oviamente la coltivasion de la vide, no la xe estesa, come de noi. El clima, ma anca le teren, no i xe sem-pre adati a far cresser ben l’ua e a darghe le oportune carateristiche perché da quela ua se tiri fora un vin bevibile. Ma ga dei grandi vantagi: Intanto se vende-ma tre volte a l’ano! El prezo de vendita xe piutosto alto e anca sensa una granda produsion, el guadagno no xe indiferente. No cori conservar el fruto a lungo, se pol tirarla su, volendo, anca praticamente duto l’ano. La coltivassion dell’ua ga anca svantagi: intanto la difi densa dei thai ver-so prodoti che no ven de la cultura locale, po’ el clima che, essendo cal-do per squasi duto l’ano, nol xe adato, ma in serti posti, verso le montagne, dove le noti le xe piutosto fresche, serti tipi de ua (esclusivamente da ta-vola) le ven ben. In una de queste son sta a ven-demar. Oviamente, vista la rarità del prodoto, le vigne le xe cintade con alte redi de sbaramen-to e come se no bastassi ghe xe de ogni parte car-tei che i te ‘verti che le xe stade apena irorade con anticritogamici, per pau-ra che qualchidun meti in boca qualche gran. Natu-ralmente no xe vero, ma xe un bon dissuasor. Devo dir che me ga sorpreso sia el modo come le vigne le xe curade, la belessa dei graspi e, no per ultimo, anca la bontà del fruto. Lori no i riva a capir perché noi, la ua, la ciamemo “bianca” o “nera”. E per el vin qualche volta “rosso”. Lori la ciama “ver-de” e “viola” E forsi no i ga duti i torti. La produssion xe sempre però in quantità limitade. Anca la racolta la xe fata con metodi “famigliari”, no come da noi che duti partecipa al racolto. La se fa in genere coi famigliari, con quei che lavora stabilmen-te ne la vigna e con pochi amighi (come mi) che se fa vivi, più per magnar l’ua che per dar una man. Ma con questa ua, no se fa vin. No ga el contenuto zuc-cherino necessario e alora la resta come ua da tavola, de alta qualità, ma solo per magnar.

Per andar a parlar del vin, dovemo trasferirse verso nord. E se pol parlar de vin tailandese solo da poco tempo. Cioè i lo fasseva anca prima, ma con metodi diletantistici e el risultato jera che, una volta, andai co la scola in una tenuda, dove i veva scominsià a produr vin, i ne ga oferto el pranzo (bon) ma “ba-gnà” col vin fato de lori. Sa quanta gente ga optà per la “coca cola”? Mi, prudentemente me son dichiarà astemio. Go gustà un jozzo dal bicier de una colega... imbevibile! Ma questo jera tanti ani fa. Desso xe sai diverso ma, come sempre, ghe vol l’ini-ziativa de un che vol e assolutamente al vol (e che comunque ga anca i mezi) de far qualcossa che al s’à messo in testa. I lo ciapava, infati, per mato, que-sto sior Chaijudh Karnasuta. Ma lu al parlava sem-pre (un poco come el “eppur si muove” de Galilei) che: “epur in serte zone de la Tailandia el vin, al dovaria vignir ben”. Naturalmente no jera queste le

precise parole (lu, nol parlava cavresan e nol veva gnanca mai bevù la malvasia istriana - pecà), ma in compenso l’andava spesso in Francia e in Califor-nia, dove el vin xe sai aprezzà e prodotto in grandi quantità. No vojo dir che al andava in Francia per bever el vin, ma ghe piaxeva l’ambiente, la campa-gna, specie quela de l’Ovest de la Francia, e al ga fi nì per inamorarse de un vin meraviglioso che cressi de quele parti, verso el fi ume Loira: el “chenin blanc”. Po’ un’altra volta, andando in California al ga visto che sto vin (el chenin blanc, apunto) al jera coltivà in grandi quantità anca in California. El ga po anca savesto che in California, sto vin francese al vigniva prodoto in quantità ancora più grandi che in Fran-cia. Al ga visto che quel tipo de teren che se trovava sia in California che in quela zona de la Francia, che

In alto - nela Monsoon Valley, se vendema in barca.A lato - mi a vendemar in compagnia de una bela “vignaiuola”.

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lu al conosseva ben, jera sai simile a serte zone de la Tailandia del Nord-Est, al confi n col Laos. Xe l’unica zona de la Tailandia dove, in inverno, se pol trovar la brina. Ricordo un ano, particolarmente fredo che la brina de quele parti se ga formà in abondansa e la television la ga mostrada per giorni e giorni: una vera e propria rarità, in quele quantità. Ma, magari poca, la rivava duti i ani. E alora el sior Chaijudh se ga deciso: provo qua coi vitigni del “chenin blanc”. Xe una storia interessante, che me piasaria contar nei particolari, ma el spazio (dixi el diretor, un vero tiranno) xe quel che xe e alora bisogna “stringere”. La sua convinsion (del signor Chaijudh, no del di-retor) ga portà fruti, sia in senso reale (bei graspi de ua) sia in senso metaforico (risultati tangibili). Za nel 1995 el primo vin tailandese de qualità se ga afermà sul mercato. Al lo ga ciamà “Chateau de Loei”. Qua in Tailandia, no ghe xe Castei (Chateau), ma al lo ga ciamà cussì in omagio ai chateaux (castei) che xe ne la zona de la Loira, la patria apunto del chenin blanc, mentre Loei xe el nome de la provincia dove lu al ga piantà i vigneti. Come emblema al ga mes-so un galo, dato che lu al xe nato ne l’ano che, secondo el zodiaco ci-nese, i ciama l’ano del gallo. Cus-sì, solo a titolo de curiosità, i nati nell’anno del gallo i xe particolar-mente testardi e par proprio che lu al sia un de quei e al fassa massi-mo onor al suo “segno zodiacale”. Tanto che el suo vin xe sta el primo vin tailandese esportado con suc-cesso in Europa. Qua in Tailandia oramai se lo trova in duti i risto-ranti de nome e comunque in duti i alberghi a 5 stelle.Quanto a la testardagine dei im-prenditori tailandesi, la xe veramente proverbiale. Per inciso ve conto che la birra “Singha”, una bira veramente bona (de tipo lager, col 6% de gradasion alcoolica), i tailandesi i xe rivadi a produrla anca in Germania (in Sassonia per la precision) e, far la bira in Germania (no solo venderla), no xe roba de duti i giorni.Tornemo al vin: ‘desso a Loei, ma anca in altre loca-lità de la Tailandia, i ga introdoto anche altre qualità che fa vin rosso e rosé ma, restando sul bianco ori-ginale, i tipi prodoti xe tre: quel normale (gradasion alcoolica 12 - 12.5), l’extra seco e quel de dessert, amabile. El sior Chaijudh xe sta l’iniziatore, ma po’ lo ga seguì vari altri, e adesso le grandi cantine a li-vello internazionale, le xe ben sette. In una de queste xe andà a lavorar, come enologo, perfi n un francese, un certo Laurent-Metge Toppin (de la Scuola Nazio-nale Superiore di Agronomia de Montpellier), che al conta che, quando che al ga scominsià a dir in giro

che al saria andà a far el vin in Tailandia, duti la cia-pava come una barzeleta. Invesse adesso la produs-sion xe rivada oltre un milion de botiglie con 1200 dipendenti fi ssi. Questo Monsieur Laurent, che i amighi ciapava per mato, ga fato de le robe incredibili e visto che i tereni che pareva più adati i jera stai ocupai da altri, al ga fato un altro passo da mato. Invesse de trovar tere-ni adati ai vitigni esistenti, ga creà atraverso incrosi de vitigni locali, una pianta che fasseva vin speciale, anca in tereni e climi che nissun gavessi scomesso gnanca una lira sbusada. E la scomessa al la ga vinta. A bù anca fortuna (come sempre capita ai omini de successo, altrimenti ti pol esser bravo fi n che ti vol, ma…), la fortuna de incontrar el sior Chalerm Yoovidhya, un omo che se interessava da tempo ai vitigni autoctoni tailande-

si, ma che al ga una gran nomea nel mondo, no proprio per i vitigni. No lo conossé? Xe qualchidun de voi che se interessa de automobili e in parti-colare de la Formula 1? Nissun se ga dimandà perché quela scuderia, vin-cente da un per de ani, se ciama “Red Bull”? Xe el nome de una bevanda energetica, a base de taurina (un aminoacido che servi specialmente per aiutar contro la depression) e el sior Chalerm, o mejo so pare, xe l’in-ventor de sta bevanda energetica, che se ciamava Krating Daeng (che vol dir apunto “toro rosso”). I xe andai a produrla, per l’Europa, in Austria, in cubia con l’impresario austriaco Dietrich Mateschitz, e là i ga messo su la scuderia de automobili (quela del campion del mondo Vettel, per intenderse).In Tailandia, invese, Chalerm al s’à messo insieme con sto enologo fran-

cese e i ga tirà fora una roba straordinaria, che duti va a vederla, oltre che a gustarla.I ga fato una infi nità de incrosi, tentativi andadi a mal, fi n che i ga intivà un vitigno (el Pakdum) che perfi n nele zone sempre calde del delta del fi ume (quindi con tre vendemie a l’ano) riva a dar un vin ecezionale. I lo ga lancià per la prima volta a Lon-dra e, za dopo una decina de ani, la produssion veva ragiunto le 300.000 botiglie. La roba de “veder”, xe che ste vigne le cressi su l’acqua del delta del Chao Phaya (che in Europa al xe conossu come Menam), un poco come su quei isoloti che se trova in laguna de Grado o de Venessia, ma sai più fi ssi, e se se movi in barca. La zona i la ciama infati “la valle dei mon-soni” e produsi vini sia bianchi che rossi, ma ricchi e secchi che va perfetamente d’acordo co le pietanze picanti de la cusina tailandese. La racolta se fa de preferenza a l’alba, giusto prima che spunti el sol, perchè l’ua possi restar fresca fi n a

In alto - Una botiglia de Chateau de LoeiA lato - L’ua bianca pronta per esser ingrumada

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l’arivo sul logo de produssion. Vin esotico in duti i sensi, sia per el gusto che per el modo de coltivassion. Lassemo spiegar a Monsieur Laurent: «Quando per la prima volta, go visto le vigne su l’acqua, go subito capì che me trovavo de fronte a una sfi da professio-nal no de poco conto. El nostro obietivo jera quel de far un vin diferente per esaltar una cusina esotica e speziata, come la tailandese. Credo che, a quel obie-tivo, ghe semo perfetamente arivai».Interessante el vin rosso, ma el “malaga bianco” par che al convinsi de più per acompagnar una cusina speziada. Al xe seco e no tropo acido, dà come una senssasion de fresco al palato. E dopo, al sviluppa come un profumo de persighi e armelini che a un certo punto fa sentir meno in boca el fogo dele spe-zie. Al se compagna perfettamente anca coi piatti a base de curry e de nose de cocco. Ma xe probabil-

mente con la famosa zuppa “Tom Yam Gung” (zup-pa piccante a base de gamberoni e le fragranze de la citronella e de la galanga) che il bianco malaga se armonizza nel mejo dei modi. In ogni caso, a scanso de equivoci, xe vini che se devi consumar zovini, no i xe per l’inveciamento.Ma no xe fi nì. La ricerca de altre ue che podaria esser coltivade in Tailandia la continua con boni risultati. A la stassion de ricerca agricola Reale de Hua Hin sta vignindo testade una ventina de nove varietà de ua, in modo che el vecio Pokdum podaria trovar compa-gnia de altri fradei su le tavole nei ani che ven. I xe in un giro de ricerche ormai inarrestabile e, adesso, quando Laurent torna in Francia e parla de vin tai-lendese nissun dei suoi amighi ridi soto i mostaci o lo ciapa per mato. Lucio Nalesini

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Il 12 maggio scorso una delegazione dell’Unione italiana e di esuli giuliano-dalmati ha reso omaggio a alcuni monumenti ai ca-duti. Un percorso che ha inteso rendere omaggio alle vittime degli opposti totalitarismi scontratisi in modo cruento in queste terre nella prima metà del Secolo scorso. A Capodi-stria le delegazioni hanno sostato di fronte alla tomba che racchiude i resti uma-ni raccolti in alcune grotte del Capodistriano e ivi se-polte nel 2005. Nella pa-gina precedente il discorso pronunciato nell’occasione dal presidente della Giun-ta Ui, Tremul.

In memoriam

Francesco Sponza (1937)Nato a Rovigno nel 1937. Soprannome di famiglia “Vantaso”. La moglie Elena, pure rovignese, viene a Capodistria per lavoro nel 1959. Cesco la segue un anno dopo. Il loro amore ed affetto durerà una vita, sempre insieme e sempre a braccetto. Ha lavorato come elettrauto presso l’Intereuropa, formando al-cuni dei più bravi meccanici del capodistriano. La pallanuoto, sua grande passione fi n dai primi anni, lo vede tra i fondatori del club di pallanuoto di Ro-vigno. In seguito, trasferitosi a Capodistria, contri-buisce alla fondaazione del club di pallanuoto capo-distriano. Amava lo sci, che ha praticato fi no a un paio d’anni fa con passione e grande divertimento.

Capodistria lo ricorderà sempre in bicicletta, in maniche corte pratica-mente in tutte le stagio-ni, con un sorriso disar-mante che metteva tutti di buon umore. Gran-de padre di famiglia, schietto e severo, ma sincero, positivo e bona-rio all’inverosimile, con un grande ascendente sui fi gli Patrizia e San-di e sui nipoti Manuel, Tea, Mattia e Marco, cui manca tanto.

Lucilla Pizzarello Gravisi (1911) Nell’ultimo numero de La Città avevamo pubblicato la notizia del suo centesimo compleanno compiuto il 28 agosto 2011. Lucilla Pizzarello Gravisi è mancata lo scorso febbraio all’ospizio di Isola. Discendente di una delle più antiche famiglie capodistriane, quella dei Gravisi, era tra l’altro anche cugina del fotografo Libero Pizzarello.

Guido Argenti (1934)Quest’anno ci ha lasciati anche Guido Argenti di Val-marin. Nato e vissuto nella cosiddetta »casa del vesco-vo« al Bivio, il signor Argenti ha sempre lavorato come agricoltore sui suoi campi nella bassa valle del Risano. Lascia la moglie Graziella e la fi glia Marinella.

In ricordo dei nostri cari

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Sposa (-a) – novisso (-a)Spossare – scunìr, descunìrSpostare – moverSpranga – stangaSprangaio – consapignateSpremere – strucar, torciarSprigionare – mandar foraSprizzare – chissàSprizzo – schisso, schisson, schissadaSprofondare – fondarse, andar a fondiSpronare – insitar, sburtarSpropositare – stranbotarSproposito – stranboto, falo, falopaSpruzzare – schissar, sbruffarSpruzzo – sbrufada, schissadaSpudoratezza – musorotoSpugna – spongaSpuma – spiumaSpuntare – zimàr; nasser; cucar; vegnir foraSpuntino – marenda, rebechinSquadra – squaraSquallido – misero Squama – s’ciamaSquarcio – sbregoSquassamento – scorladaSquattrinato – cistaSquilla (artrop.) – canòciaSquillare – sonàrSquincio (di s.) – per tresso, per sbiegoSquisito – ‘sai bonSragionare – bassilàrSrotolare – disvoltisàrStaccare – destacàrStacciare – tamisàrStaccio – tamiso, crielStaccionata – seraioStaffi le – scuria, nervoStagione – stajonStagnaio – bandèrStagno (sost.) – busa, palùStaio – ster (plur. –i e –a)Stamane – stamatina Stamberga – tiguor, balivernaStanca (di marea) – feleStancare – stracarStanchezza – fi acaStantio – rispio, ranzidoStanza – (da letto) camara, (da pranzo) tinèl(o)Starna (ucc.) – pernìsaStarnutire – stranudarStelo – ganba, manego, fustoStorno (ucc.) – stornelStorpiare – rovinarStorpio – stropià, despossenteStoviglia – crèpo (i crepi)Strabico – lùscoStrabigliare – incantarStracciare – sbregarStracciatella – sansarelaStraccio – strassa, canevassa, (se logoro) zundroStrada – strada, stradon, stradelaStrage – straieStramazzare – cascarStraniero – forestoStrascicare – remenarStrascico – coda; strassinoStrazio – dolorStrega – strigaStregare – insinganàrStrepitare – sigalarStrepito – confusion, ciasso, strepedoStrepitoso – che fa sbregoStretta (sost.) – strenta, strucon, strucadaStridente – che siga, che cricaStringato – curto, strento

Sostegno – sopontaSostentare – mantegnirSostituire – ganbiarSottacere – no dirSottana – cotolaSottile – sutìl, fi nSottocoda – crocoSottrarre – cior, cavar, rubarSottrazione – ladrarìaSovrano – paronSpaghetto (alim.) – bigoloSpago – spago, (ritorto) sforsìnSpalmare – destirar, onzerSpanciata – magnada, incoconadaSpappolare – mandar in paparela o in sansarèleSparare – sbarar, tirarSparlare – parlar malSparo – tiroSparviere (ucc.) – sparavièr, falconètoSpassarsi – bagolar, blangiarseSpassoso – che diverti, maciaSpatola – mescolaSpauracchio – babàuSpaventato – stremìSpavento – pauraSpayioso – grando, largo, ‘vertoSpazzare – scovarSpazzatura – scovassa (al plur.)Spazzino – scovassinSpazzola – scartassa, (dura) bruschin)Spazzolare – scartassàrSpedito – sveltoSpegnere – distudarSpelonca – cavernaSpendere male – danarSpennare – spelarSpento – destudàSpenzolante – a pindolònSpenzolare – pindolàrSperduto – perso Spericolato – matoSpettare – patrigniSpezzare – ronper, spacarSpezzatino – sguassetoSpia – spion, portapetiSpiacevole – brutoSpiaggia – spiaza, riva, marinaSpianare – drissar, lissarSpiantare – cavarSpiattellare – ciacolar, contar dutoSpicchio – spigo, spigaSpiccicare – despetolarSpicciolo – monedaSpiffero – fi l de ariaSpigo – lavandaSpigola (itt.) – bransinSpigolo – cantonSpillare – cavar, (dalla botte) trarSpillo – ago de pomolaSpilorcio – tegna, tegnoso, caìaSpilungone – stangonSpina – spinSpinarolo (itt.) – asiàSpintone – sburtònSpinta – sprenta, sburtadaSplendente – che lusiSplendido – (a)sai belSponda – banda, or(l)oSpontaneo – s’cietoSporadicamente – oni quel tanto, de ciaroSporcizia – cragna, rafaSporco – sporco, cragnoso, ontoSportello – portela, lantaSporto (di fi nestra) – sburtoSposalizio – nòsseSposare – maridar

Smembrare – desfar, far in tochiSmettere – no far piùSmilzo – magrolinSmorfi a – smorfi essoSmorto – crepalinSmorzare – calmar; destuarSmulto – suto, scalmo, scarmoSobbarcarsi – ciorse ‘dossoSobillare – stussegarSobrio - sinsièrSocchiudere – meter (verzer, serar) a dunSoccorrere – jutarSodalizio – conpaniaSoddisfare – contentarSodo – duroSofferente – sbasìSofferenza – patimento, pena, dolorSoffi are – sufi ar, supiarSoffi ce – tenero, molisinSoffi tta – sufi taSoffi tto – plafonSoffocare – sofegarSoffriggere – desfriserSoggiogare – meter soto (la savata)Soggiornare – starSoggiorno (stanza) – tineloSoglia – soièr, scalinSogliola (pesce) – sfoiaSognare – insognar(se)Solaio – sufi taSolatio – in batuda de solSolatura – sioladuraSolcare – taiarSolco – taio, aguar, (dell’aratro) brasdaSoldo – soldo, boro, bessoSoldoni – borassiSolerte – pronto, (a)tentoSollazzo – divertimento, bàgoloSollecitamente – presto, in furiaSollecitudine – furiaSolleone – bresèraSolleticare – far grìssoleSolletico – grìssoliSollevare – alsar, issar, levarSoltanto – solo, noma cheSomaro – aseno, mùss(o)Sommaco (veg.) – foiaròla, scòdenoSommariamente – a la bonaSommergere – subissàr, fi car soto aquaSommergibile – sotomarinSommità – sima, colmo Sonda – scandàioSonnolenza – guàgneraSoppiatto (di s.) – (de) scondònSopportare – soportar, guantarSopprimere – copàrSopra – soraSopracoperta – covertòrSoqquadro – sotosòra, sbratavèroSorbire – sorbir, bever, ciuciarSorbo (veg.) – sorbolerSorcio – sorzoSorgere – nasser, alsarseSornione – bronsa covertaSorprendere – becar, ciapar; far colpoSorpresa – improvisàdaSorreggere – tegnir drito, suSorsata – sorsada, gorgadaSorta – sorteSorteggio – lotarìaSortilegio – strigariaSorvegliar – tegnir de ocio, far la sguàita, badar, vardarSorvolare – lassar de bandoSospendere – picar, inpicarSospingere – sburtarSosta – fermada

Repertorio italiano di corrispondenza alle voci dialettali capodistrianeTratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico etimologico del dialetto di Capodistria di Giulio Manzini

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