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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI 39 Introduzione 41 Lesioni tendinee 43 Trattamento chirurgico delle lesioni dell’apparato flessore della mano 57 Le lesioni degli estensori della mano 79 Terapia chirurgica delle lesioni della cuffia dei rotatori 95 Terapia chirurgica delle lesioni del capo lungo e del bicipite 107 Tendine di Achille 113 Trattamento chirurgico delle rotture del tendine tibiale anteriore 123 Lesioni dell’apparato estensore del ginocchio 127 Rotture rare: tibiale posteriore, adduttori della coscia e peronieri 139 Lussazioni tendinee 143 La chirurgia riparativa dei tendini

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

39

Introduzione 41

Lesioni tendinee 43

Trattamento chirurgico delle lesioni dell’apparato flessore della mano 57

Le lesioni degli estensori della mano 79

Terapia chirurgica delle lesioni della cuffia dei rotatori 95

Terapia chirurgica delle lesioni del capo lungo e del bicipite 107

Tendine di Achille 113

Trattamento chirurgico delle rotture del tendine tibiale anteriore 123

Lesioni dell’apparato estensore del ginocchio 127

Rotture rare: tibiale posteriore, adduttori della coscia e peronieri 139

Lussazioni tendinee 143

La chirurgiariparativa dei tendini

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Le lesioni tendinee possono essere atraumatiche o traumatiche. Le prime, meno frequenti, possono avere origine da patologie dismetaboliche (insuffi-

cienza renale cronica, gotta, diabete) oppure da patologie infiammatorie croniche (artrite reu-matoide, lupus eritematoso sistemico, etc.). Esse si differenziano, inoltre, tra rotture (complete,cioè di terzo grado, oppure parziali, cioè di primo e secondo grado) e tendinopatie ad ezio-logia meccanica (tendinopatie inserzionali, tenosinoviti stenosanti, tenosinoviti ipertrofico-essudative, peritendiniti, tendinosi,).

Le lesioni tendine traumatiche si distinguono in lesioni regolari, nelle quali i tessutimolli sono poco danneggiati e le componenti scheletriche sono indenni, come nel caso tipi-co di ferite da taglio provocate da strumenti taglienti o da vetri, e lesioni irregolari, che pre-sentano estesi danni dei tessuti e sono spesso associate a fratture, come capita sovente nellelesioni da schiacciamento.

Nelle ferite regolari può essere indicata la sutura tendinea immediata, mentre in quelleirregolari è indicato l’intervento chirurgico differito.

Il grado di contaminazione della ferita è un altro fattore importante assieme al tempo tra-scorso dalla lesione. Le lacerazioni provocate da attrezzi puliti in ambiente pulito possono es-sere trattate con sutura immediata, soprattutto quando non è trascorso troppo tempodall’evento traumatico. Il contrario deve essere fatto nelle ferite sicuramente contaminate edatanti da molto tempo. Bisogna sempre tener presente che i danni provocati dalla chiusuraaffrettata di una ferita sporca sono sempre più gravi delle eventuali complicanze di una sutu-ra differita.

Il fattore età è anche da prendere in considerazione. In genere più giovane è il paziente,migliori sono i risultati della sutura immediata.

Lesioni associate, quali estese perdite cutanee, fratture e lesioni nervose e vascolari, in-fluiscono sul tipo di trattamento. Il trattamento deve essere sempre differito quando la cutesovrastante il tendine è notevolmente danneggiata. In questi casi conviene sempre prima ri-parare la pelle con innesti cutanei o altri interventi di chirurgia plastica.

Nel caso di lesioni dei tendini della mano, la lesione di un solo nervo collaterale digita-le non interferisce eccessivamente con la funzione del dito e in questi casi si può praticare lasutura tendinea indipendentemente dalla riparazione del danno nervoso. Quando invece en-trambi nervi collaterali digitali sono lesi, la microchirurgia nervosa deve essere sempre ante-posta alla riparazione della lesione tendinea. Concetti simili valgono per le lesioni vascolari.

Il tipo di lesione è di notevole importanza nella valutazione clinica della lesione stessa,così lesioni da taglio nette hanno una prognosi notevolmente migliore di ferite lacero-con-tuse con estese necrosi tessutali e sfilacciamento o perdita di sostanza del ventre tendineo.

Dopo la sezione, tranne rari casi di particolarità anatomiche locali, il moncone di tendi-ne unito al muscolo tende a retrarsi seguendo la retrazione muscolare e tale fenomeno è piùaccentuato quanto più il muscolo era contratto al momento della lesione traumatica; la man-cata sutura termino-terminale farà, pertanto, riparare il tendine in allungamento, con grandesvantaggio per l’attività funzionale dell’unità muscolo-tendinea.

La presenza di contemporanee lesioni traumatiche di strutture vascolo-nervose od oste-oarticolari contigue generalmente complica la prognosi di una lacerazione tendinea, infatti unagrave rigidità articolare post-traumatica rende inutile il migliore dei risultati chirurgici otte-nuto sul tendine di un muscolo motore di quell’articolazione.

INTRODUZIONE

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Introduzione

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Per quanto riguarda i principi diagnostici generali, una ferita in corrispondenza della sedeanatomica di un tendine, seguita dalla perdita dell’attività specifica del muscolo corrispondente,fanno porre facilmente la diagnosi di rottura tendinea. Essa potrà essere suc ces sivamente con-fermata dall’esplorazione diretta della ferita. Spesso, però, la perdita della funzione motoria nonè così evidente per la presenza di muscoli vicarianti. In questi casi, il solo sospetto derivantedalla sede della ferita e dalla diminuzione della forza muscolare impone l’esplorazione chi-rurgica.

Tutti i tendini del corpo possono essere teoricamente sede di lesioni traumatiche aper-te, ma quelli più frequentemente interessati sono i tendini della mano, per evidenti ragionidi carattere occupazionale.

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Tenosinoviti stenosanti

Si tratta di affezioni diventate molto diffuse nella nostra società, la cui eziopatogenesi non èstata ancora completamente chiarita, sebbene un fattore microtraumatico o francamente trauma-tico spesso ricorra nell’anamnesi di questi pazienti. Colpisce soprattutto atleti, operai, tastieristi, ca-salinghe, lavoratori in catene di montaggio e perfino appassionati di giochi al computer(1,2).

Le tenosinoviti stenosanti colpiscono tendini muniti di guaina sinoviale nei punti in cuiessi decorrono in tunnel osteo-fibrosi o al di sotto di bendellette fibrose. I tendini interessatisono quelli distali dei muscoli attivatori della mano e del piede, a livello del polso, delle me-tacarpo-falangee e del collo piede. La caratteristica fisiopatologica comune a tutte queste af-fezioni è la difficoltà allo scorrimento del tendine nella propria guaina che all’inizio causaesclusivamente dolore locale, ma successivamente può dare luogo a fenomeni di scatto finoal blocco completo del tendine.

Tenosinovite stenosante dell’estensore breve del pollice (EBP) e dell’abdutto-re lungo del pollice (ALP) o malattia di De Quervain.

La malattia di De Quervain è una tenosinovite stenosante dei tendini abduttore lungoed estensore breve del pollice della mano, nel punto di passaggio sul processo stiloideio delradio, a livello del primo compartimento estensore dorsale; prende nome da Fritz De Quervain,un ortopedico svizzero che la descrisse nel 1895.

I due tendini interessati decorrono molto vicini e formano uno dei margini della fossettavisibile alla radice del pollice, detta “tabacchiera anatomica”.

L’affezione è più comune nella donna che nel maschio e si manifesta fra la terza e laquinta decade di vita, molto spesso compare a carico della mano dominante, quella che in re-altà si usa di più nelle attività lavorative o sportive, con i movimenti o le posizioni del polsofavorenti la sua insorgenza. Si riscontra molto spesso in soggetti che eseguono ripetuti mo-vimenti di pinza con il pollice o trascorrono lungo tempo con il polso in posizione flessa.Frequentemente, coloro che ne sono colpiti, hanno eseguito di continuo movimenti che nonsono abituali per il proprio polso in corso di attività lavorative o più spesso per hobby (peresempio la tinteggiatura o la lucidatura). Questo determina la frizione tra tendini, guaina eprocesso stiloideo del radio responsabile della sinovite. Fra le attività più esposte, ricordiamole ricamatrici, le dattilografe e gli addetti ai videoterminali (negli U.S.A. spesso la malattiaviene indicata come “malattia da mouse”). Una menzione particolare va fatta per le giovanimamme che tengono a lungo il neonato in braccio: infatti spesso si recano dal medico per-ché, inspiegabilmente a loro modo di vedere, hanno sviluppato questa fastidiosa sintomato-logia dopo la nascita del neonato. Fra gli sportivi occorre ricordare quanti facciano uso diracchette come i tennisti, i pongisti o i golfisti; ma anche i pianisti che, pur non adoperandoalcun utensile, effettuano per suonare i ripetuti movimenti indicati a carico del polso. Talimovimenti distendono i tendini interessati determinando l’infiammazione ricordata da cui,solitamente, risulta dolore e difficoltà nei movimenti del polso.

L’etiologia rimane incerta anche se pare correlata ai ricordati fenomeni di frizione fra i ten-dini, la guaina fibrosa e il sottostante solco osseo creato dai movimenti del pollice e del polso.I ripetuti microtraumatismi danno luogo a quello che viene descritto dagli autori anglosassonicome “chronic trauma”, sono proprio loro a far sì che s’instauri la flogosi e la loro continua pre-senza ne perpetua i procedimenti dando luogo alla caratteristica stenosi della guaina tendinea.

Con il tempo e il ripetersi degli episodi infiammatori, lo spazio per lo scorrimento dei ten-

LESIONI TENDINEE

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Lesioni tendinee

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dini diventa via via più ristretto; infatti l’infiammazione che ne consegue provoca ispessimen-to e stenosi della guaina sinoviale del primo compartimento dei reticula estensori (ligamentocarpale dorsale). È stato dimostrato che forti sollecitazioni meccaniche sono trasmesse dai ten-dini ALP e EBP alle guaine quando il polso si estende con il primo dito abdotto, come suc-cede durante un atteggiamento di presa. In questo caso il cambiamento di decorso dei tendinirispetto al canale osteofibroso determina un notevole attrito dei ventri tendinei contro le pa-reti del condotto. Molte attività lavorative in cui il De Quervain è particolarmente frequentecomportano tali movimenti. Per un certo tempo si era data molta importanza nella genesi del-l’affezione alle anomalie di numero e di decorso dei tendini del primo tunnel osteofibrosodorsale del carpo; tuttavia il comune riscontro di queste anomalie in individui sani, ha fattoescludere o ha ridotto il possibile rapporto casuale diretto con la malattia (3,4,5). Altro punto nonancora chiarito è quello della particolare diffusione del De Quervain nel sesso femminile. Si èpensato alla possibile influenza di fattori di carattere anatomico locale caratteristici della don-na, quali una naturale relativa sproporzione fra il calibro dei tendini e il diametro del canaleosteofibroso, oppure al maggior valore che nel sesso femminile può raggiungere l’angolo fral’asse longitudinale del radio e i tendini dell’ALP e dell’EBP nei movimenti di abduzione-estensione del pollice(6). D’altra parte potrebbero essere chiamati in causa anche fattori di ca-rattere esclusivamente statistico dovuti alla maggiore partecipazione del sesso femminile a quelleattività manuali che facilitano l’insorgenza dell’affezione.

Accanto alle cause locali, bisogna tuttavia prendere in considerazione anche fattori di caratte-re generale di tipo diatesico, soprattutto in considerazione del fatto che possono essere colpiti dallamalattia anche soggetti che non esplicano particolari attività manuali. Questi elementi di ordinecostituzionale potrebbero rientrare in una particolare disreattività tissutale di fronte a stimoli di na-tura meccanica, responsabile di fenomeni di tipo prevalentemente infiammatorio o degenerativo.

Questa malattia provoca la comparsa di dolore al di sopra del processo stiloideo del ra-dio, dolore che s’irradia prossimalmente all’avambraccio e distalmente al pollice.

Per evidenziare la presenza di una tendinite a questo livello bisogna invitare il pazientead assumere con la mano la posizione dell’autostoppista, con pollice rivolto lateralmente.Quando il paziente assume tale posizione i tendini che passano attraverso il primo compar-timento dorsale divengono chiaramente visibili; tali tendini sono responsabili dell’estensionedel pollice e della deviazione radiale del polso. In alcuni casi il dolore compare improvvisa-mente dopo uno strappo a carico del polso. Il dolore esacerbato dall’utilizzo della mano gra-dualmente s’intensifica e può, talvolta, essere causa di una considerevole disabilità. I doloriinfatti possono essere così accentuati dai movimenti del polso e del dito, tanto che frequen-temente è difficile eseguire gesti banali quali il girare una chiave in una serratura “dura”.

Obiettivamente si riscontra la presenza di una zona edematosa, alla palpazione si rilevauna marcata iperestesia al di sopra del processo stiloideo del radio ed è possibile evidenziareun ispessimento della guaina fibrosa con un crepitio che possono essere rilevati lungo la guai-na tendinea. L’abduzione contro resistenza può indurre ad esacerbare il dolore. Il test diFinkelstein, aumento del dolore alla flessione ulnare passiva del polso, è positivo.

Per eseguire tale test il pollice del paziente è tenuto a stretto contatto con il palmo del-la mano e il polso è deviato ulnarmente. Se presente l’infiammazione tendinea, la manovradetermina la comparsa di un dolore intenso a livello della regione dello stiloide radiale e delprimo compartimento estensore del polso.

Il trattamento consiste, innanzi tutto, nella sospensione delle attività che possano favori-re l’infiammazione e far insorgere il dolore. L’applicazione di una borsa di ghiaccio sul pro-cesso stiloideo del radio (l’eminenza ossea del polso dove passano i tendini interessati), puòaltresì ridurre la flogosi diminuendo la sintomatologia dolorosa. Può essere utile l’applicazio-ne di uno splint removibile allo scopo di immobilizzare il polso e prevenire l’insorgenza diuna ulteriore irritazione e infiammazione. È indicato sottoporre il paziente, nella prima fase,a trattamento fisioterapico mediante ultrasuoni e/o elettroanalgesia con ionoforesi, diadina-miche o TENS. I farmaci antiflogistici, somministrati per via generale, avranno qualche pos-

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sibilità di successo soltanto in questa fase iniziale. Nei casi più importanti, invece, il dolore po-trà essere alleviato, ad opera dello specialista, solo dalla somministrazione per via topica dicocktails di anestetici e farmaci antiflogistici mediante mesoterapia mirata con FANS oppu-re da farmaci corticosteroidei che dovranno essere iniettati all’interno della guaina tendineaper via infiltrativa. In dipendenza del grado di flogosi, se importante, è poi possibile confe-zionare un apparecchio gessato di avambraccio, polso e pollice per un mese circa, lasciando,eventualmente, una finestrella per il trattamento infiltrativo.

L’intervento chirurgico si esegue soltanto in caso di fallimento del trattamento medicoo fisioterapico, nelle forme croniche o recidivanti oppure per controindicazioni varie. Esso consiste nel decomprimere l’area di stenosi. Il retinacolo degli estensori ispessito è se-zionato completamente, preservando parte della guaina palmare come mensola per bloccarela sublussazione dei tendini.

Il chirurgo può essere sicuro che vi sia stata un’adeguata decompressione del comparti-mento quando una trazione sul tendine più dorsale nel primo com par timento estende l’ar-ticolazione metacarpofalangea (MF) del pollice. Sia che l’incisione sia longitudinale, trasversaleo angolata, bisogna ricercare e proteggere accuratamente il nervo radiale superficiale e i suoirami. Le complicanze a tale procedura chirurgica saranno: assenza di completa liberazionetendinea, neuromi o la nevrite del nervo radiale, aderenze tendinee, cicatrici cheloidi. Se lapatologia non è curata, è stata notata un’evoluzione in rizoartrosi (artrosi della base del pol-lice). La prognosi è generalmente buona.

Tenosinovite stenosante dei flessori delle dita della mano: dito a scattoIl dito a scatto è un’affezione di riscontro molto frequente, che consiste nella comparsa

di una sensazione dolorosa di scatto durante i movimenti di un dito. Lo scatto è il risultatofinale del ripetersi di episodi infiammatori che colpiscono i tendini flessori del dito e le guai-ne che li avvolgono.

Sono particolarmente esposti a questa patologia i soggetti che esercitano prevalente-mente attività di tipo manuale e i soggetti affetti da malattie di natura reumatica (ad esempiol’artrite reumatoide). In corrispondenza della piega trasversale del palmo i tendini flessori pe-netrano in un canale fibroso (il canale digitale) che ha la funzione di mantenere il tendine stes-so a contatto con lo scheletro delle falangi. Il dito a scatto si manifesta quando il tendine,divenuto di volume superiore alla norma a causa delle ripetute infiammazioni, trova un osta-colo all’ingresso nel suo canale fibroso, il cui diametro è invece ridotto. Il complesso di que-ste alterazioni va sotto il nome di tenosinovite (infiammazione della guaina del tendine)stenosante (che è causa di riduzione del diametro del canale digitale).

I disturbi consistono inizialmente in dolori episodici, che compaiono durante i movi-menti del dito. Successivamente si manifesta il vero e proprio scatto, fenomeno che di solitospinge a consultare il medico. Spesso il paziente si sveglia con il dito bloccato in posizione fles-sa; il dito può essere sbloccato solo con una manovra forzata e piuttosto dolorosa.

Nei casi a lungo trascurati il blocco diviene persistente; la radiografia in questi casi è inu-tile; essa, infatti, non permette la visione dei tessuti non calcificati, quali appunto i tendini e ilcanale digitale. L’ecografia invece può documentare l’ispessimento del tendine e il conflitto esi-stente tra questo e il punto d’ingresso del canale digitale. Quando i fenomeni di scatto sonofrequenti e dolorosi l’unico trattamento in grado di risolvere radicalmente l’inconvenienteconsiste nell’intervento chirurgico. Viene praticata una piccola incisione trasversale sopra lapiega palmare distale che offre la giusta esposizione per la divisione della puleggia A1. Per evi-tare di danneggiare i nervi e i vasi digitali si deve restare nella linea mediana, entro l’asse deldito. La dissezione viene eseguita in via smussa continua in linea con il dito, per separare il tes-suto sottocutaneo e la fascia palmare. Il margine ispessito della guaina del flessore viene iden-tificato e inciso. La puleggia A1 viene incisa longitudinalmente al centro, a circa 1 cm di distanzanegli adulti e 0.5 nei bambini. Per accertarsi che l’intervento di liberazione abbia avuto esitopositivo, si invita il paziente a muovere attivamente il dito. Talvolta lo scatto persiste dopo la li-

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berazione della puleggia A1. Si può altresì incorrere in una qualche perdita di flessione com-pleta del dito, dovuta a un ingrossamento del tendine flessore distale alla puleggia A2. Seradgee Kleinert(7) raccomandano una tenoplastica riduttiva per ridurre il tendine flessore distale al-la puleggia A2, a livello dell’articolazione prossimale, per correggere lo scatto. Rayan(8) ha de-scritto anche per questo caso l’intervento di liberazione della terza puleggia anulare (A3).

L’operazione consiste nell’aprire la guaina del tendine flessore a livello dell’articolazioneinterfalangea prossimale, tagliando la puleggia crociata con un’incisone cutanea medioassiale.È possibile che si debba incidere anche la puleggia A3 per esporre il rigonfiamento del tendi-ne. La tenotomia eseguita nel tendine viene chiusa con sottili suture riassorbibili. Esiste ancheuna variante congenita, che riguarda per lo più il pollice. Dopo i primi mesi di vita, quandoil bimbo inizia a utilizzare le manine per afferrare, i genitori notano che il pollice è strana-mente poco mobile. Il bambino non accenna a muovere l’ultima falange e, toccando la basedel ditino, si può chiaramente percepire la presenza di un nodulo ingrossato. Il problema è do-vuto a un tendine congenitamente “troppo largo” per potere scorrere nella sua guaina.

Peritendiniti

Si tratta di affezioni a impronta tipicamente infiammatoria che colpiscono tendini sprovvi-sti di guaina sinoviale oppure tendini con guaina sinoviale nei tratti in cui ne sono privi. In basealla localizzazione, al substrato anatomo-patologico, e all’evoluzione clinica, si distinguono:

Peritendiniti acute crepitanti

Peritendiniti croniche

Le peritendiniti acute crepitanti interessano i foglietti peritendinei e ampi tratti di pe-rimisio, a livello delle giunzioni muscolo-tendinee. Esse si manifestano con una caratteristicacrepitazione, sia spontanea con i movimenti che il tendine compie, sia provocata palpatoria-mente. I tendini maggiormente interessati sono gli estensori della mano e del piede e il lun-go abduttore del pollice. Localizzazioni più rare sono rappresentate dal tendine d’Achille, daiperonieri, dai flessori ulnare e radiale del carpo, dal tibiale posteriore, e dal bicipite femorale.In campo sportivo, la localizzazione più tipica è a livello degli estensori della mano che si ve-rifica nei rematori (canoa, canottaggio, kajak). Secondo Thompson e coll.(9) i fattori eziolo-gici più importanti nel determinismo dell’affezione sono rappresentati da:

Cambiamento di occupazione con esecuzione di attività manuali inconsuete.

Ripresa dell’attività dopo un periodo più o meno lungo di assenza.

Forti sollecitazioni funzionali dell’unità muscolo-tendinea.

Traumi locali diretti.

Ripetizione di movimenti stereotipati compiuti con notevole intensità e velocità.

Si manifestano soggettivamente con dolore locale esacerbato dai movimenti, netta limi-tazione funzionale e rilievo del fenomeno della crepitazione. Obiettivamente si apprezza tu-mefazione locale diffusa, qualche volta anche iperemia cutanea. L’elemento caratteristico è lacrepitazione, essa viene provocata facendo compiere delle contrazioni muscolari, oppure com-primendo la regione tumefatta. La diagnosi è generalmente semplice, soprattutto quando lacrepitazione è bene evidente ed è presente il dato anamnestico dell’ipersollecitazione fun-zionale. Le terapie che danno i migliori risultati sono:

Immobilizzazione.

Trattamento medico antiflogistico.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Nei casi resistenti alla terapia incruenta si può procedere alla terapia chirurgica che con-siste nell’apertura dei foglietti peritendinei e perimisiali e nell’asportazione dell’essudato sie-roso e fibrinoso.

Le peritendiniti croniche aderenziali si localizzano a livello del ventre tendineo e han-no una prognosi meno buona, in quanto tendono frequentemente alla recidiva. La più fre-quente è la peritendinite dell’achilleo, è particolarmente frequente fra i corridori di fondo,colpisce tipicamente soggetti fra i 25 e i 30 anni. Il paziente riferisce abitualmente dolore altendine d’Achille o, più frequentemente, a carico del polpaccio. All’inizio la sintomatologiaalgica si manifesta solo sotto sforzo, limitando l’attività del soggetto. Successivamente essa puòpeggiorare, insorgendo anche durante la normale deambulazione. All’esame obiettivo si ap-prezza tumefazione più o meno diffusa della regione achillea con scomparsa delle fossettepara-achillee. Alla palpazione il tendine assume una consistenza molle-elastica e il dolore pres-sorio è risvegliato elettivamente sul ventre tendineo, mentre non dolenti sono le giunzionimuscolo-tendinea e osteo-tendinea. Dolorose sono la flessione dorsale e plantare del piede,soprattutto quando fatte eseguire contro resistenza. Quando sono associati fenomeni dege-nerativi del tendine, la rottura sottocutanea è la complicanza più temibile. In fase iniziale iltrattamento di elezione è rappresentato dall’immobilizzazione. Nei casi resistenti e nei casi or-mai cronicizzati è indicato l’intervento chirurgico, consistente in un’ampia tenolisi e nelle sca-rificazioni a tutto spessore del ventre tendineo.

La peritendinite del tendine rotuleo si manifesta soprattutto in soggetti praticanti attività spor-tive con dolore che insorge gradualmente a livello della superficie anteriore del ginocchio, al-l’inizio sotto sforzo e poi anche con la deambulazione normale. Obiettivamente si può rilevaremodesta tumefazione diffusa intorno e lungo il ventre tendineo che appare di consistenzapastosa e dolente alla pressione.

La peritendinite del bicipite femorale è una forma alquanto rara, essa è caratterizzata da do-lore riferito al cavo popliteo con irradiazione alla superficie esterna del ginocchio, obiettiva-mente si rileva tumefazione peritendinea e dolore pressorio sul tendine stesso.

Tendinopatie inserzionali

Sono affezioni caratterizzate dall’interessamento delle giunzioni osteo-tendinee. Presentano varie localizzazioni e si manifestano clinicamente con dolore a livello dell’area

giunzionale interessata e con limitazione funzionale più o meno intensa del segmento sche-letrico colpito.

Tendinopatia inserzionale degli estensori della mano: epicondilite (gomito deltennista)

L’epicondilite è una patologia degenerativa infiammatoria della giunzione osteo-tendi-nea dovuta ad azione meccanica (in altri termini, a movimenti eccessivamente ripetuti o ef-fettuati con troppa intensità), frequente in coloro che seguono la pratica del tennis o del golfe spesso anche chiamata “gomito del tennista o del golfista” (tennis o golf elbow).

Questa patologia colpisce però, se pure in misura ridotta, anche altri sportivi (giocatoridi baseball, schermitori, nuotatori, ecc.) e lavoratori che utilizzano in modo eccessivo i ten-dini della parte esterna o interna del gomito come pittori, muratori, carpentieri, operatori delcomputer. La sua prevalenza è tra l’1 e il 3% (10) della popolazione generale e attorno al 15%dei lavoratori delle industrie a rischio. Tipicamente insorge in soggetti di età compresa tra i30 e 50 anni, essendo considerata una “overuse syndrome”, cioè una patologia la cui causa è ri-conducibile, oltre a un’abnorme sollecitazione, a un fisiologico logoramento involutivo del-le strutture tendino-inserzionali. Il sintomo classico è naturalmente il dolore localizzato nellaregione laterale del gomito, a livello dell’epicondilo, che si irradia a volte lungo il bordo ra-diale dell’avambraccio e viene risvegliato nei movimenti di estensione e supinazione.

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Può capitare anche che il paziente lamenti una sensazione di debolezza a livello del brac-cio, anche sollevando pesi modesti, ad esempio un bicchiere, oppure compiendo semplicimovimenti, come aprire una serratura o stringere la mano. Il dolore, in genere, tende co-munque a diminuire con il riposo notturno.

Considerate le difficoltà terapeutiche della patologia, che in alcuni casi può diventare in-validante, oltre alla frequenza di recidive, una valutazione clinica e diagnostica rigorosa e tem-pestiva favorisce eventualmente interventi preventivi efficaci e corretti.

Lo specialista, dopo un’accurata anamnesi, procede all’esame clinico, cercando di individuarei principali segni legati a tale patologia. In genere, si accerta la provenienza del dolore attraversola palpazione diretta dell’epicondilo radiale-omerale, verificando con tempo ra neamente chenon vi sia la presenza di una eventuale modesta tumefazione locale. Poi si constata l’insorgen-za del dolore, inducendo alcuni movimenti al paziente, quali, ad esempio:

• l’estensione del polso contro resistenza a gomito flesso (manovra di Cozen); • la supinazione contro resistenza sempre a gomito flesso; • la pronazione passiva forzata con polso flesso e gomito esteso (manovra di Mills).

Le indagini radiologiche convenzionali non sono molto utili nella diagnosi di epicondi-lite. Solo nella fase avanzata della malattia possono rivelare, infatti, formazione di calcificazionivicino all’inserzione dei tendini. Vi si ricorre, piuttosto, nel caso si sospetti che il dolore sia do-vuto a lesioni ossee o ad altra patologia intrarticolare.

Le cause scatenanti dell’epicondilite possono risalire a un singolo trauma piuttosto im-portante o, più frequentemente, a una serie di microtraumi (dovuti sia ad errori nell’esecuzio-ne di movimenti iterativi e di gesti tecnici, sia di origine endogena) che finiscono per indebolire,fino addirittura a lacerare, le fibre del tendine estensore radiale breve del carpo. Occorre con-siderare, però, che sintomi simili alla epicondilite possono essere dovuti ad altre cause, che lospecialista avrà cura di verificare. Ad esempio, patologie a carico del gomito (patologia artico-lare, instabilità legamentosa, sofferenza del nervo radiale, corpo mobile, ecc.), sindrome deltunnel carpale alla mano, tendinite della cuffia dei rotatori alla spalla, artrosi cervicale, ecc.

Sono numerose le terapie adottate per far fronte a questa patologia, spesso in modo com-binato e in relazione alla sua gravità.

I medici, soprattutto quelli di medicina generale, preferiscono somministrare farmaci an-tinfiammatori non steroidei (FANS) o prescrivere interventi di mesoterapia, attraverso l’in-filtrazione locale di un corticosteroide con o senza l’aggiunta di anestetico locale, nell’intentodi ottenere una rapida remissione dei dolori.

Oggi, però, anche grazie a precisi studi in tal senso, si è rivalutato l’approccio fisiotera-pico a lungo termine (con manipolazione del gomito ed adeguati esercizi di riabilitazione).Occorre, infatti, ricordare che questa patologia è un disturbo autolimitante e, in genere, pas-sa adottando un trattamento conservativo, in gergo “wait and see”. Per questo è opportuno cheoltre a ridurre al minimo il consumo di farmaci, i pazienti siano rassicurati che nella maggiorparte dei casi informazioni e consigli ergonomici (compreso l’eventuale uso di particolari tu-tori) possono risultare sufficienti. Infatti, un trattamento medico e fisioterapico ben condot-to è in grado di risolvere nel 90% dei casi la situazione dolorosa.

Accanto a terapie fisiche antalgiche (laser, ultrasuoni, ipertermia) non va sottovalutataun’opzione relativamente recente per la terapia del dolore nelle tendiniti croniche e nel-l’epicondilite in particolare – anche se i lavori scientifici che ne hanno valutato l’efficacianon sono sempre arrivati a risultati univoci – che riguarda il trattamento con cicli di onded’urto extra-corporee a bassa energia (ESWT).

Nei casi, comunque piuttosto rari, in cui non dovessero rispondere alla terapia medica èpossibile ricorrere a un intervento chirurgico, eseguibile anche in artroscopia.

Per il trattamento chirurgico dell’epicondilite sono state descritte numerose tecniche.Esse possono essere suddivise nei seguenti gruppi:

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Interventi praticati sui tendini dei muscoli estensori per ridurre la tensione sullagiunzione osteo-tendinea epicondiloidea.Hohmann(11) per primo descrisse questo intervento con buoni risultati: l’autore racco-manda il release laterale dell’origine tendinea dei muscoli estensori del polso e delle di-ta. Garden(12), invece, pratica l’allungamento a Z del tendine distale dell’estensore radialebreve del carpo.

Interventi rivolti alla rimozione di tessuti colpiti da processi flogistici e degenerativi.Osgood(13) propose la rimozione della borsa posta tra i tendini epicondiloidei e il pe-riostio dell’epifisi distale dell’omero. Franke(14) propose la decorticazione dell’epicondi-lo, partendo dal concetto che l’affezione fosse causata da una periostite.

Interventi praticati sull’articolazione omero-radiale.Bosworth(15), ritenendo che il legamento anulare fosse ispessito, ostacolando la normalemotilità dell’articolazione omero-radiale, ne propose la resezione parziale o l’asportazio-ne. Trethowan(16) propose invece l’asportazione di frange sinoviali, avendo osservato iper-trofia della sinovia dell’articolazione.

Denervazione.L’intervento si basa sull’idea di privare la regione epicondiloidea della sua innervazionesensitiva. Proposta da Kaplan(17), l’operazione consiste nella resezione dei filamenti sen-sitivi della seconda branca del nervo radiale.

Tendinopatia inserzionale degli extraruotatori della spallaÈ un’affezione frequente in adulti o in giovani dediti allo sport che comportano un eleva-

to impegno dell’arto superiore con sollecitazioni iterative nell’arco di movimento compreso tra80 e 120 gradi di abduzione (es. lancio del peso, giavellotto, etc.). La sintomatologia è caratte-rizzata da dolore riferito nella regione anteriore o superiore della spalla; di norma è conse-guente a uno sforzo in caso di tendinite del sovraspinoso; in caso, invece, di sindrome da conflittoacromion-omerale, il dolore è presente anche a riposo e si accentua durante la notte.

La tipica complicanza è rappresentata dalla pericapsulite adesiva con conseguente rigi-dità della spalla in adduzione (“frozen shoulder”).

Il quadro radiografico è generalmente negativo; talvolta permette di evidenziare calcifi-cazioni periarticolari. L’ecografia e/o la RMN offrono utili informazioni.

L’intervento chirurgico è preso in considerazione se non si ottiene un significativo mi-glioramento dopo circa 6-12 settimane di terapia conservativa o anche prima se si rilevano isegni di rottura completa della cuffia dei rotatori. Si possono effettuare interventi chirurgiciartroscopici o a cielo aperto. La pianificazione del trattamento chirurgico può essere in-fluenzata dai riscontri di un’accurata artroscopia diagnostica, che può rivelare una tendinitedel bicipite brachiale, una patologia del labbro, un’artrite gleno-omerale e una malattia dellacuffia dei rotatori. Il trattamento chirurgico si propone essenzialmente due scopi:

La rimozione di eventuali calcificazioni

La liberazione della cuffia dei rotatori da eventuali compressioni da parte dell’arco acro-mio-coracoideo

La decompressione sottoacromiale artroscopica è divenuta la pietra angolare del tratta-mento per i pazienti con impingement primitivo nei quali un trattamento conservativo ha fal-lito. Molte casistiche pubblicate hanno dimostrato risultati soddisfacenti in più dell’85-90%dei casi(18,19).

Tendinopatia inserzionale degli adduttori della coscia (pubalgia)Per pubalgia, in senso stretto, si intende generalmente una sindrome dolorosa della gri-

glia pelvica che rientra tra le “patologie da sovraccarico”, cioè la cui origine si fa risalire a una

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serie di microtraumi ripetuti nel tempo. In sostanza, la pubalgia è un dolore muscolare (mio-entesite) che riguarda diversi gradi di lesione dei muscoli della zona frontale e bassa dell’ad-dome e della sinfisi pubica. Questa patologia interessa soprattutto gli sportivi, in particolare iprofessionisti, cioè coloro che svolgono attività continuative e ad alto livello, come ad esem-pio i giocatori di calcio, e le donne in gravidanza. Ma non solo. Non è infrequente che taleproblema emerga anche in atleti che svolgono altre attività sportive come il tennis, la scher-ma, la pallamano, l’atletica, la danza, l’equitazione, discipline nelle quali è richiesta l’intensasollecitazione degli arti inferiori. A parte il tipo di sport praticato, non bisogna dimenticareche la pubalgia può sopraggiungere anche a seguito di un cambiamento del tipo di allena-mento o, anche, del terreno sul quale lo si svolge (troppo cedevole o eccessivamente irrego-lare, ad esempio), del tipo di scarpe utilizzate, oppure in relazione alle caratteristiche strutturalidell’atleta, come un’accentuata curvatura lombare, una dismetria degli arti inferiori, patolo-gie congenite dell’anca o problemi posturali che creano asimmetria del bacino. A seconda della zona interessata, si possono riscontrare forme diverse di patologia:

La “sindrome retto-adduttoria”, che riguarda l’infiammazione dei muscoli che si in-seriscono sulla parte antero-superiore dell’osso pubico, è di gran lunga la più frequen-te. In questo caso, la zona centrale del bacino (osso pubico) viene sottoposta a fortisollecitazioni e tensioni muscolari, provenienti dall’alto (muscoli addominali) e dal bas-so (muscoli adduttori della coscia) che possono, a lungo andare, creare una patologia dasovraccarico. In tale zona, inoltre, si trova il canale inguinale, che spesso è una parte de-bole e causa principale dei dolori, la cui origine è proprio un deficit della muscolaturaaddominale. In coloro che si dedicano all’attività calcistica si può presentare più fre-quentemente una infiammazione dei muscoli e dei tendini adduttori senza escludere, pe-rò, quelli addominali.

La “sindrome sinfisaria”, che riguarda il parziale cedimento della sinfisi pubica. In gra-vidanza, la griglia pelvica della donna è sottoposta a grandi stress per i movimenti di nu-tazione e contronutazione; inoltre, per effetto di un generale aumento della lassità deilegamenti a causa della produzione degli ormoni relaxina e progesterone, può verificar-si un rilasciamento (diastasi) della sinfisi pubica che può causare dolore, più o meno in-tenso, mentre si cammina o nei cambi di posizione, soprattutto a letto. Tale disturbo, ingenere, non deve destare preoccupazione in quanto legato a cause funzionali e destina-to a risolversi spontaneamente dopo il parto.

Principale sintomo della pubalgia è naturalmente il dolore, che parte dall’osso pubico, sidirama in tutta la regione e si localizza nell’inguine fino a interessare, in certi casi, la faccia in-terna della coscia. Nelle forme lievi, compare al risveglio e si manifesta all’inizio degli eser-cizi fisici, tendendo poi a scomparire una volta effettuato il riscaldamento. Nelle fasi più gravidella patologia, al contrario, il dolore può apparire anche in modo improvviso, durante losvolgimento dell’attività sportiva, tanto da impedirne la continuazione o, addirittura, rende-re difficile la semplice deambulazione. In questo caso, il dolore diventa persistente, continuo,e tende ad aggravarsi con l’attività mentre soltanto il riposo lo attenua.

Non è difficile individuare la parte dolente anche attraverso la semplice palpazione, inquanto i muscoli e i tendini interessati sono piuttosto superficiali, quasi sotto pelle. Il dolore,in genere, tende ad acutizzarsi quando il soggetto sottopone a sforzo i muscoli addominali ogli adduttori della coscia. Spetta al medico individuare la reale natura della pubalgia. Egli do-vrà stabilire se il dolore è unilaterale (patologia addominale) o diffuso (patologia degli ad-duttori). Nella prima valutazione diagnostica, si cercherà di individuare anche eventualitumefazioni, verificando attraverso la palpazione degli orifizi inguinali l’eventuale presenza diernie ed esaminando gli adduttori sotto sforzo alla ricerca di possibili adenopatie.

Nel caso di diastasi della sinfisi pubica in gravidanza, il dolore potrà manifestarsi anche so-lo sollevando o separando una gamba, per esempio per infilarsi i pantaloni o uscire dall’auto,

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ma anche nel salire le scale; molte donne in gravidanza hanno anche sensazioni di blocco a li-vello del bacino con difficoltà di movimento delle anche. Non è detto che i dolori inguinalisiano sempre dovuti a cause muscolo-tendinee. Vi possono essere, ad esempio, problemi osseidi sofferenza all’articolazione dell’anca (displasia) o vere e proprie fratture dell’osso pubico, fre-quenti soprattutto nei giovani che praticano sport. Da non escludere, secondo le diverse ca-ratteristiche dei pazienti, anche disturbi urinari, problemi ginecologici, ecc.

Per arrivare a una corretta diagnosi, il paziente affetto da pubalgia può essere sottopostoa un esame ecografico, che mostrerà, soprattutto se la patologia è recente, i tendini alterati nel-la forma e più spessi. Attraverso la radiografia del bacino è possibile, invece, rilevare l’esisten-za di eventuali lesioni a livello dell’osso pubico e di una pubalgia cronica, in quanto, nei puntidi maggiore infiammazione della sinfisi, si potrà notarne il contorno irregolare con eventua-le presenza di geodi e lo sviluppo di calcificazioni, specialmente nella parte inferiore.

Per ulteriori approfondimenti e quando la diagnosi appare ancora incerta, non si esclu-dono scintigrafia, TAC e risonanza magnetica, in grado quest’ultima di evidenziare ancheeventuali altre lesioni.

La pubalgia non va mai sottovalutata e occorre intervenire tempestivamente e con de-cisione per evitare che si cronicizzi. Infatti, la sindrome retto-adduttoria, dovuta a un’infiam-mazione dei tendini, presa in tempo e curata adeguatamente, regredisce in modo spontaneo.

Bisogna però che vengano immediatamente sospese tutte le attività fisiche cui lo spor-tivo si dedicava, iniziando un periodo di riposo che potrà variare da qualche settimana a qual-che mese, con l’accortezza di sottoporsi, contemporaneamente, in base alle indicazioni delmedico, a trattamento farmacologico antinfiammatorio locale e sistemico.

Nel coadiuvare l’intervento terapeutico, si potrà ricorrere eventualmente anche a mez-zi fisici come correnti laser, crioultrasuoni, ionoforesi, ossigeno-ozono terapia, mesoterapia, an-che se la loro efficacia è ancora da dimostrare. Piuttosto, il fisiatra potrà suggerire all’occorrenzaesercizi di streching dei muscoli adduttori, sempre però da svolgere al di sotto della soglia deldolore, in grado di favorire un corretto riequilibrio delle sollecitazioni muscolo-tendinee acui il bacino è sottoposto.

L’intervento chirurgico per risolvere la pubalgia è consigliato nei casi più gravi e croni-cizzati della patologia. In passato, si operava direttamente sul tendine per ripulirlo, oggi si usa-no sistemi cosiddetti “miniinvasivi” con l’uso di radiofrequenze e attraverso una sempliceincisione superficiale del tessuto interessato. La chirurgia resta un sistema efficace nel caso dipubalgia parietale addominale, cioè in quella forma di deficienza muscolare del canale addo-minale, attraverso la cura dell’eventuale ernia inguinale, o nei casi più ribelli, come la “sin-drome della guaina femorale”, causata dallo stiramento del nervo perforante per unafissurazione della fascia superficiale addominale, frequente nei calciatori.

Tendinopatia inserzionale dell’achilleo (achillodinia)Il dolore di tipo inserzionale è causato da:

presenza della deformità di Haglund (pump bump syndrome) che è il risultato di una pro-minenza a livello della tuberosità postero-superiore del calcagno con una pressione delcontrafforte posteriore della scarpa. Questo problema si manifesta nella sua forma purasolo nei giovani adolescenti;

borsite retrocalcaneare.

La patologia del tendine di Achille è alquanto frequente in persone che praticano sportbasati sulla corsa. Nei pochi casi resistenti al trattamento conservativo è indicata la terapiachirurgica, consistente nell’ablazione dei degenerati e delle eventuali calcificazioni, in perfo-razioni della zona giunzionale e scarificazioni praticate nel contesto del tendine vicino allagiunzione osteotendinea.

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Tenosinoviti ipertrofico-essudative

Sono interessati i tendini muniti di guaina sinoviale, ma non danno luogo a marcati fe-nomeni di iperplasia fibrosa, come invece accade nelle tenosinoviti stenosanti. Queste formemorbose non hanno sempre una chiara patogenesi meccanica e anche il substrato istopato-logico non è spesso nettamente definito. Esse infatti si manifestano molto spesso con una im-pronta essudativa sierosa, ma pure frequenti sono i casi con essudazione fibrinosa e notevoleiperplasia sinoviale. In ogni caso le tenosinoviti ipetrofico-essudative denunciano un mag-giore carattere di acuzie rispetto a quelle stenosanti. Altro importante elemento distintivo ri-spetto alle forme stenosanti è il mancato interessamento delle guaine fibrose e delle puleggiedi riflessione. I tendini più frequentemente interessati sono quelli più assoggettati alle solle-citazioni microtraumatiche. Essi sono:

Capo lungo del bicipite brachiale

Flessori della mano

Estensori della mano

Estensore ulnare del carpo

Flessore radiale del carpo

Estensore proprio dell’indice

Tendine popliteo

Tibiale posteriore

Tibiale anteriore

Peronieri

Flessore lungo dell’alluce

Rotture sottocutanee

Le rotture sottocutanee dei tendini rappresentano ancora un argomento estremamentecontroverso, non solo e non tanto per ciò che concerne il trattamento, quanto per ciò che ri-guarda il substrato eziopatogenetico, che è ancora mal definito.

Le ipotesi formulate per spiegare le rotture sottocutanee dei tendini si sono sempre orien-tate verso due poli opposti rappresentati dalla teoria traumatica e da quella degenerativa.Secondo la prima, la rottura è dovuta esclusivamente o prevalentemente all’azione di un trau-ma, mentre la seconda attribuisce il maggiore peso etiologico ad alterazioni degenerative re-sponsabili di una riduzione della resistenza meccanica. L’entità del trauma responsabile dellarottura è estremamente variabile. In alcuni casi, infatti, l’evento traumatico è di considerevo-le violenza, mentre in altri la lesione si produce per un trauma di modesta entità o a seguitodi una semplice contrazione muscolare. Nella maggior parte dei casi, peraltro, la lesione si ve-rifica per un allungamento brusco dell’unità muscolo tendinea, associato a una violenta con-trazione muscolare. Molto spesso ciò si verifica a seguito di un movimento in coordinato,durante il quale il tendine viene sollecitato secondo una direzione obliqua rispetto al suo as-se anatomico. Si possono distinguere 3 tipi di rotture:

Rotture patologiche: sono quelle in cui la resistenza meccanica del tendine è conside-revolmente compromessa per fenomeni di usura o per infiltrazione di tessuto infiam-matorio o neoplastico. In questi casi la rottura si può produrre a seguito di un eventotraumatico di modesta entità o addirittura in modo spontaneo, senza che il paziente sene accorga.

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Rotture su base tendinosica: in queste forme, che sono le più frequenti, il tessuto ten-dineo è sede di alterazioni regressive, che ne diminuiscono in varia misura la resistenzaalle sollecitazioni funzionali. Ciò determina una predisposizione alla rottura, che si puòverificare a seguito di un evento traumatico che, per intensità o modalità di estrinseca-zione, è in grado di vincere la ridotta resistenza meccanica del tendine.

Rotture traumatiche: si tratta di rotture, probabilmente molto rare, in cui il tessuto ten-dineo non è sede di alterazioni regressive significative, salvo quelle determinate dai fe-nomeni involutivi legati al processo di invecchiamento. In questi casi la responsabilità,unica o preponderante, della rottura è da attribuire alla violenza intrinseca e/o alle pe-culiari modalità di estrinsecazione dell’evento traumatico. Presumibilmente sono di que-sto tipo molte delle rotture che si verificano nei soggetti in età più giovanile.

Tendinosi

Il tessuto tendine, sotto l’azione di stimoli diversi, può andare incontro alle seguenti for-me di degenerazione:

Degenerazione ialina

Degenerazione mixoide

Degenerazione fibrinoide

Degenerazione grassa

Calcificazione

Condizioni morbose diverse possono causare le degenerazioni sopra elencate: l’artritereumatoide può, ad esempio, dar luogo a degenerazione fibrinoide, mentre una tenosinovitepurulenta può essere causa di degenerazione grassa. D’altra parte si deve tener presente cheanche processi fisiologici come l’invecchiamento possono provocare degenerazione del tes-suto tendineo. I fattori che più frequentemente sono responsabili di alterazioni degenerativesono invecchiamento, processi infiammatori, stimoli meccanici.

Tutti i processi degenerativi dei tendini sono completamente asintomatici a meno chenon coesistano fenomeni flogistici satelliti. Le calcificazioni sono talora sintomatiche. Le rot-ture sottocutanee rappresentano l’aspetto clinico più importante delle tendinosi a causa del-la diminuita resistenza del tessuto alle sollecitazioni meccaniche, per la presenza di tessutodegenerativo.

Tendinopatie nelle malattie dismetaboliche e nelle collagenopatie

Abbastanza frequente è l’interessamento dei tendini e dei loro annessi nel corso di ma-lattia gottosa, con quadri di tenosinoviti, peritendiniti, tendiniti. Ciò è dovuto alla precipi-tazione di cristalli di urati rispettivamente nel contesto delle guaine tenosinoviali, dei fogliettiperitendinei e del tessuto tendineo vero e proprio. Gli urati determinano poi un movimen-to infiammatorio che spesso è il solo responsabile della sintomatologia clinica. I precipitati pos-sono riassorbirsi completamente, soprattutto in seguito alla somministrazione di farmaciuricosurici, oppure continuare ad accrescersi, dando luogo alla formazione di tofi, che pos-sono a loro volta scatenare una sintomatologia clinica secondaria all’azione meccanica da es-si esercitata sia sui tendini colpiti, sia su altre strutture anatomiche adiacenti. Le forme acutesono caratterizzate da tumefazione locale con ipertermia della cute sovrastante il tendine o itendini interessati e dolore spontaneo e provocato, esacerbato dai movimenti; il segmentocolpito è piuttosto limitato dal punto di vista funzionale. Nelle forme croniche la sintoma-

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tologia è strettamente collegata alla presenza del tofo gottoso e alla reazione flogistica croni-ca circostante.

Nelle forme acute la terapia è essenzialmente medica. Si ricorre alla chirurgia nelle for-me croniche che non rispondono a terapia medica. Il trattamento chirurgico consiste nel-l’asportazione del tofo, tenendo sempre presente che non bisogna, in ogni caso, sacrificare lafunzione del tendine.

Le peritendiniti nella iperbetalipoproteinemia familiare tipo I e II sono state descrit-te da Shapiro (20) e da Glueck (21). Esse interessano essenzialmente i tendini di Achille e posso-no essere mono o bilaterali. Anche il tendine rotuleo e gli estensori delle dita della mano edel piede possono essere interessati. L’affezione si manifesta con eritema, tumefazione, caloree notevole dolore esasperato dai movimenti e dalla pressione. La cura è soltanto medica econsiste nella somministrazione di analgesici antiflogistici.

Per quanto riguarda le malattie del collageno, i tendini e i loro annessi sono frequen-temente interessati nell’artrite reumatoide (AR) e, più raramente, nel lupus eritematoso si-stemico (LES). La localizzazione alle, guaine tenosinoviali è la più frequente. Nell’AR sonodescritte le tenosinoviti e le tendiniti; colpiscono per lo più i tendini flessori ed estensori del-la mano e sono caratterizzate da tumefazione e dolore. La terapia è essenzialmente chirurgi-ca e consiste nell’asportazione della formazione nodulare e, nel caso di un dito a scatto,nell’asportazione contemporanea di un tratto di guaina sinoviale. Se l’asportazione del nodulocomporta un indebolimento del ventre tendineo, è indicata l’applicazione di punti di sutura.Nel LES sono state descritte tenosinoviti, tendiniti, tendinosi causa di rotture. Anche in que-sti casi la terapia indicata è quella chirurgica.

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Il trattamento delle lesioni dei tendini flessori e il pieno recupero della funzione digita-le rappresentano ancora un problema complesso e impegnativo per il chirurgo della mano.Numerosi protocolli sono stati sviluppati negli ultimi trent’anni per la riparazione dei tendi-ni flessori, delle strutture peritendinee e per la gestione post-operatoria delle dita lesionate(1).Molte tecniche di sutura elaborate, per garantire la tenuta necessaria, sono costituite da nu-merosi passaggi trans tendinei responsabili talvolta di una modificazione del diametro dei ten-dini trattati, di alterazioni della vascolarizzazione locale e di aderenze. L’esecuzione di questesuture richiede inoltre invariabilmente una notevole esperienza chirurgica(2).

La guarigione di una lesione di tendini flessori della mano è problematica perché con-dizionata da numerosi fattori peculiari dei flessori stessi(3,4). Tra questi ricordiamo:

Fattori anatomici: i tendini flessori della mano hanno morfologia e struttura diversa aseconda della sede. Per facilitare la classificazione e la descrizione del trattamento, i livel-li di lesione sono divisi in zone secondo la classificazione di Verdan del 1950 (Fig. 23),modificata negli anni ’70; tale classificazione è diversa se consideriamo le dita lunghe oil pollice (5).Per le dita lunghe distinguiamo cinque zone: • Zona 1: porzione situata tra l’inserzione del flessore profondo (FP) sulla falange dista-le e l’inserzione del flessore superficiale (FS) sulla falange intermedia;• Zona 2: porzione situata tra l’inserzione distale del FS alla porzione prossimale della pu-leggia A1 e rappresenta la porzione più estesa del canale digitale.• Zona 3: si estende dal margine prossimale della puleggia A1 al margine distale del le-gamento trasverso del carpo;• Zona 4: porzione contenuta nei limiti anatomici del canale carpale;• Zona 5: porzione che rimane prossimalmente all’imbocco del canale carpale e che ar-riva alle giunzioni miotendinee.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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Trattamento chirurgico delle lesioni dell’apparato flessore della mano

FIGURA 23Classificazione di Verdan per livellidi lesione dei tendiniflessori della mano

I

II

III

IV

V

Zona distale flessoreprofondo

Canale digitale

“Terra di nessuno”

Muscoli lombricali

Tunnel Carpale

Zona prossimale altunnel carpale

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Per il pollice la classificazione appare leggermente diversa per quanto concerne le pri-me tre zone, mentre le zone 4 e 5 corrispondono perfettamente a quelle per le dita lunghe:

• Zona 1: porzione di flessore lungo del pollice che va dalla sua inserzione distale finoal margine prossimale della puleggia A2;• Zona 2: parte posta fra la puleggia A2 e il margine prossimale della puleggia A1;• Zona 3: porzione che attraversa in profondità l’eminenza del tenar.

Nella zona 2, detta anche “terra di nessuno” (no men’s land), la guarigione è più difficileperché qui i tendini scorrono in un canale osteofibroso formato dalle falangi ossee, dalle plac-che volari e dalle pulegge, stanno in una cavità sinoviale formata da un foglietto viscerale e unoparietale, non hanno un vero meso e la loro nutrizione è assicurata solo dai vinicula (Fig. 24).

Fattori traumatici: sono legati al tipo di lesione e alla sede. Per classificare al meglio le lesio-ni dei tendini flessori e per fare una valutazione prognostica, oltre a considerare fattori ana-tomici e topografici, è importante considerare il tipo di lesione; così Pulvertaft e Tubiana(6)

hanno proposto una classificazione che tiene conto del tipo di ferita e delle lesioni associate:• Tipo 1: ferita cutanea netta, non contaminata e senza lesioni nervose;• Tipo 2: la lesione tendinea si accompagna a lesione dei nervi digitali o dei fasci vascolo-nervosi;• Tipo 3: lesione con interessamento scheletrico e contaminazione dei tessuti molli;• Tipo 4: la lesione si accompagna a schiacciamenti, perdita di sostanza e grave contaminazione.

Una lesione da taglio netto consentirà sia una sutura corretta che una buona mobilizza-zione con prognosi buona, mentre una lesione con schiacciamento, contaminazione, perditadi sostanza cutanea, associazione di lesioni ossee, vascolari e nervose, avrà comunque una pro-gnosi meno buona o addirittura cattiva.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 24Zona 2 della

classificazione di Verdan

A B

A5

C3

A4

C2

A3

C1

A2

A1

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Fattori iatrogeni: dipendono dalla capacità del chirurgo, dalla tecnica impiegata, dal ma-teriale di sutura, dal tipo e dalla precocità della mobilizzazione e rieducazione (1,7).

Fattori individuali: sono legati allo stato di salute generale del paziente, alla sua età, alsuo atteggiamento psicologico e alla sua cooperazione più o meno intelligente.

Fattori biologici dovuti all’infezione del tendine, che introduce un complesso di reazioni che por-tano in genere alla eliminazione di tendini sequestrati o comunque a una rigidità completa.

È noto che la quasi totalità delle lesioni dell’apparato flessore della mano si presentanocome lesioni acute e che i risultati ottenibili dopo la ricostruzione primaria di una lesione re-cente sono di lunga migliori di quelli che conseguono a una ricostruzione secondaria. Il trat-tamento ricostruttivo deve essere istituito nelle prime 72 ore per un miglior risultatofunzionale con un minor rischio cicatriziale, anche se non si tratta di una condizione di emer-genza, e dovrebbe essere eseguito in ischemia e con anestesia generale o di plesso.

Trattamento chirurgico

La riparazione delle lesioni traumatiche tendinee, secondo la Federazione internazionaledelle società di chirurgia della mano, può essere:

primaria quando avviene entro le prime 24 ore;

primaria ritardata tra il 1° e 13° giorno;

secondaria precoce tra il 14° e il 44°, giorno che rappresenta la data limite per una ripara-zione mediante sutura diretta;

riparazione secondaria tardiva a partire dal 45° giorno, utilizzando tecniche diverse dallasutura (innesto, ricostruzione delle pulegge ecc.).

Partendo dal presupposto che è vantaggioso per una lesione tendinea acuta una riparazio-ne primaria che permetta una mobilizzazione immediata delle dita interessate, la via di accessoalle lesioni e il tipo di riparazione dipendono dalla sede topografica e dal tipo di lesione.

Vie di accessoPer accedere alle lesioni profonde, nella maggior parte dei casi la cute viene allargata a

zig-zag secondo la tecnica di Brunner, ma in caso di lesione trasversale la cute può essere al-largata a L, prossimalmente o distalmente, a seconda che il trauma sia avvenuto in flessione oin estensione. Le vie di accesso assiali, quando praticabili, sono da preferire per una più age-vole riabilitazione e per una celere guarigione (Fig. 25).

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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FIGURA 25Accessi chirurgici

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Tecniche chirurgiche

Lesioni recentiÈ importante, in presenza di una ferita, esaminare sia il livello della lesione con il dito in

estensione, sia le caratteristiche della lesione, come la lunghezza, la direzione e il rapportocon le strutture adiacenti come le pulegge. Per esaminare e per esporre i monconi dei tendi-ni, il canale digitale va esposto per una lunghezza adeguata, in particolare nelle zone I e II.

Se si identifica la lesione a livello della guaina dei flessori, essa va aperta attraverso inci-sioni laterali oppure mediante piccoli lembi quadrangolari. L’incisione sarà minima se la lesio-ne è avvenuta con il dito in estensione. Nel caso di una lesione avvenuta con il dito in flessione,riportando il dito nella posizione in cui è avvenuto il trauma il moncone distale si ritroverà alivello della lesione della guaina. Se è possibile, le pulegge funzionalmente più importanti, cioèA2 e A4, devono essere risparmiate, ma in alcuni casi è necessario allo scopo sia di procederealla riparazione tendinea, sia, per favorire lo scorrimento del tendine riparato, effettuare un in-cisione longitudinale laterale (8). Dopo aver provveduto al recupero dei monconi tendinei at-traverso manovre atraumatiche per evitare la formazione di aderenze cicatriziali, essi vengonomantenuti con una fissazione temporanea mediante due aghi (artificio di Verdan). Si procede,poi, alla sutura che deve essere anatomica, fisiologica e resistente. Vi sono alcuni aspetti a cuiuna tecnica di riparazione di tendini mediante sutura deve prestare particolare attenzione:

1) evitare il rischio di necrosi e di infezioni; 2) garantire una cicatrizzazione senza formazioni di gap (ovvero il distacco fra i due mon-coni di tendine) anche in presenza di protocolli di riabilitazione attiva; 3) essere di facile applicazione da parte del chirurgo.

Il metodo di sutura è notevolmente progredito negli ultimi anni, attualmente è noto cheoccorre associare una sutura centrale (core suture) e un rinforzo periferico (peripheral suture) chesvolgono il duplice ruolo di tenere a contatto fra loro i lembi esterni del tendine e garantirela scorrevolezza del tendine stesso all’interno della sua guaina(9). (Fig. 26)

Questa sutura, inoltre, favorisce l’aumento della resistenza della riparazione se eseguita confili di spessore adeguato e con tecniche opportune. Infatti, fili di spessore eccessivo garanti-scono un aumento della tenuta a scapito però di un aumento della sezione riparata, mentrefili troppo sottili riducono la rigidità della riparazione.

La sutura centrale, possibilmente a fili multipli in monofilamento del calibro 3-0 (adul-ti) o 4-0 non riassorbibile, è composta da segmenti longitudinali, che assicurano una conti-nuità tra le estremità tendinee, e da segmenti trasversali, che garantiscono l’ancoraggio deimonconi tendinei su ogni lato della sezione. Il rinforzo epitendineo assicura il contatto pe-riferico, facilitando il passaggio sotto le pulegge e rinforzando la sutura nel suo insieme. Pertale rinforzo si utilizza in genere nylon monofilamento più fine e più morbido (Prolene 5-0o 6-0) rispetto a quello utilizzato per la sutura centrale. Diverse sono le tecniche di sutura ela scelta dipende dalla sede della lesione. Le suture adottate al momento si dividono in tre ca-tegorie principali in base al numero di fili che attraversano la zona di lesione(10). Nella Fig. 26possiamo notare la presenza di suture a 2 fili (modello A), suture a 4 fili (modelli B,C,D,F,G)e suture a 6 fili (modello E). L’adozione di un numero ridotto di fili (es. 2) contiene l’in-grossamento della sezione riparata limitando notevolmente il rischio di infiammazioni, a fron-te però di una bassa rigidità della sutura con conseguente formazione dell’elevato gap sottocarico ed elevati rischi di rottura della riparazione. Per questo le suture a 2 fili possono esse-re utilizzate solo con protocolli di riabilitazione passiva e controllata. D’altra parte le suturecon 6 fili presentano un rischio di flogosi talmente elevato da sconsigliarne l’uso.

Le tecniche maggiormente diffuse al momento sono dunque quelle a 4 fili che presen-tano caratteristiche variabili a seconda dello schema di sutura. Infatti, per quanto riguarda lasezione della zona riparata, ha molta importanza la posizione dei nodi che, se si trovano al-l’interno della superficie di lesione, possono favorire notevolmente l’insorgere di flogosi a

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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causa del conflitto generato dall’aumento del diametro di sezione(11). Terminata la sutura equindi ripristinata l’integrità tendinea, numerosi studi suggeriscono che è necessario chiudereil canale digitale per migliorare la tenuta e stabilire un piano di scorrimento con la pelle e perisolare il tendine in caso di mancata cicatrizzazione, accertandosi però che non ci sia un osta-colo allo scorrimento tendineo. Infine viene sia effettuata una buona emostasi che una sutu-ra della cute.

Casi ParticolariZona 1: Per le lesioni in prossimità dell’inserzione del flessore profondo, è indicata la rein-

serzione distale per via transossea. Tale tecnica prevede l’affrontamento del tendine al mon-cone residuo mediante punti staccati, con lo scopo di stabilire una continuità anatomica. Talesutura non avrebbe nessuna tenuta a causa dell’esiguità del moncone distale, pertanto deve es-sere associata a un pull-out, nel quale il filo è passato in tunnel transossei nella falange distalee annodato sulla superficie dell’unghia. La sutura è definita pull-out in quanto viene rimossadopo la cicatrizzazione.

Zona 2: I risultati delle riparazioni primarie delle lesioni acute trattate in urgenza (fino a1-2 settimane) e delle lesioni tardive-recenti (fino a 3-4 settimane) dei tendini flessori nel ca-nale digitale, e in particolare nella “no man’s land” di Bunnell, sono, ancora oggi, in larga misu-ra imprevedibili. L’insuccesso funzionale è dovuto principalmente alla particolare localizzazioneanatomica della lesione tendinea dentro il canale digitale, alla rottura della sutura durante la mo-bilizzazione attiva precoce e alla formazione secondaria di aderenze del callo tendineo. Questeevenienze sono aggravate a loro volta dalle difficoltà di guarigione biologica del tendine (deva-scolarizzazione e meccanismo traumatico) e dalla inadeguatezza delle tecniche chirurgiche di

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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FIGURA 26Modelli di sutura

A

B

C

D

E

F

G

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riparazione applicate alle specifiche e particolari caratteristiche della lesione. Le condizioni prin-cipali che avvantaggiano il ripristino funzionale del tendine suturato sono:

1) la mobilizzazione attiva immediata del dito, che tende a evitare il blocco dell’escur-sione e ad attivare la cicatrizzazione spontanea del tendine; 2) la prevenzione della formazione del gap fra i monconi tendinei durante la mobilizza-zione attiva con conseguenti aderenze peritendinee; 3) la possibilità di attivare i fattori che concorrono alla cicatrizzazione vascolare e sino-viale “per primam” dei monconi tendinei suturati; 4) l’utilizzazione di una sutura forte, compatta e con sufficiente resistenza meccanica cheeviti la rottura durante la mobilizzazione attiva precoce (12).

In questa zona, i risultati delle riparazioni primarie delle lesioni dei tendini flessori so-no, ancora oggi, imprevedibili ed è particolarmente difficile utilizzare le tecniche descritte inprecedenza (12). Buoni risultati si sono ottenuti sia con la “Double Armed Suture” a fil perdutosia con la tecnica del Tenofix®.

Double Armed Suture-post thread: fra i nuovi metodi di riparazione proposti recentemen-te (40,41,42) la DAS-LT presenta caratteristiche biomeccaniche rilevanti, sia per le condizionibiologiche di cicatrizzazione del callo tendineo da essa determinate, sia per la resistenzadella sutura che offre maggiori garanzie per la mobilizzazione attiva immediata delle dita.Si tratta di una sutura semplice, solida e sicura, particolarmente utile, per la sua struttura fi-ve strand e per la core suture, nel riparo primario delle lesioni tendinee nella zona 2 e 3.

Accesso chirurgicoL’accesso chirurgico ai tendini flessori viene effettuato mediante la via di accesso assiale

medio-laterale diretta al dito, che rispetta e preserva la lamina fibrosa digitale trasversa diLandsmeer e il legamento di Cleland(13) (Fig. 27).

Queste robuste strutture fibrose trasverse del dito, data la loro inserzione ossea comunecon le pulegge e con la guaina sinoviale, vengono utilizzate per l’allargamento laterale e lachiusura sul lato della guaina sinoviale e delle pulegge(13) (Fig. 27).

Tecnica chirurgicaLa tenorrafia viene effettuata con un filo monofilamento di nylon 3/0, intrecciato a zig-

zag sul tendine sezionato. La prima sutura inizia indifferentemente in uno dei due monconitendinei a 2 cm dalla superficie di sezione e specularmente finisce nell’altro moncone tendi-

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 27Vie di accesso

chirurgico ai tendiniflessori Guaina

fibrosa dei flessori

Tendiniflessori

Tendini flessori

Guaina fibrosadei flessori

Capsulaarticolare

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neo, allo stesso livello (grasping suture) (Fig. 28A). La seconda sutura viene eseguita pure a zig-zag, con nylon monofilamento 3/0; essa inizia un cm più prossimalmente e finisce un cm piùdistalmente alla prima sutura (Fig. 28B). Anche questa sutura, di rinforzo e di bloccaggio del-la precedente (locking suture), può essere iniziata indifferentemente in uno dei due capi tendi-nei; è sovrapposta alla precedente e passata negli spazi lasciati liberi dalle anse esistenti (DoubleArmed Suture). Essa permette di scaricare la prima sutura dalle tensioni muscolari durante lamobilizzazione attiva immediata del dito (Fig. 28C-D). La doppia sutura è posta rigorosamentein posizione mediana e laterale (core suture) allo spessore del tendine (a differenza della tecni-ca di Bunnell) e viene lasciata in-situ, a fil perduto; essa viene completata da una sutura epi-tendinea circolare, incavigliata, di nylon 5/0, interessante i bordi di sezione del tendine(simplelocking circumferential suture) (Fig. 28C).

Vantaggi Rispetto della vascolarizzazione dorsale, estrinseca (vinicula tendinum) e intrinseca (inter-fascicolare) del tendine, favorendo la cicatrizzazione primaria vascolare e sinoviale.

Diminuzione dell’impingement (14) anteriore del tendine durante l’escursione, a causa deldimezzamento della sua superficie di contatto sulle pulegge.

La posizione mediana e laterale dei fili protegge anche i nodi della sutura dal conflittocon le pulegge durante lo scorrimento.

Non richiede alcuna utilizzazione di tutori elastici per diminuire la tensione muscolaresulla sutura. Infatti la sutura DAS-LT, composta da 5 fili di nylon monofilamento 3/0, di-spone in totale di più di 60,5 Newton di resistenza, quasi il doppio di quella (35 Newton),necessaria alla sua rottura.(15,16,17)

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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FIGURA 28Tecnica chirurgica:tipologie di tenorrafia del tendine

A B

C D

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Tecnica Tenofix®

Il sistema è costituito da due ancorette metalliche che si inseriscono nel tessuto tendineoa livello dei monconi prossimale e distale del tendine reciso, attraversate da un multifilamentod’acciaio intrecciato del diametro 2/0. Ogni ancoretta è composta da una spirale avvolta at-torno a un fuso cavo. Le fibre longitudinali del tendine vengono catturate tra i due elementi,inseriti con moto rotatorio mediante un apposito applicatore. Lo strumentario si compone didue applicatori contenenti le ancorette, un filamento d’acciaio intrecciato dotato di ago rettoa una estremità e di un pallino di arresto sull’altra e una tenaglia contenente un secondo pal-lino deformabile da utilizzare per il bloccaggio finale del sistema (Fig. 29A). Il sistema vienemesso in uso inserendo le ancorette attraverso una piccola incisione longitudinale, eseguita sulversante volare dei due monconi del tendine reciso, a 5-10 mm dal margine sezionato. Tali in-cisioni devono penetrare circa la metà dello spessore del tendine, senza coinvolgere la porzio-ne più dorsale. La punta dell’applicatore viene inserita nel tessuto inciso e il complessofuso-spirale (ancoretta) si insinua tra le fibre longitudinali del tendine (Fig. 29B). Il filo in ac-ciaio viene quindi fatto scorrere attraverso la prima ancoretta, il primo moncone tendineo equindi il secondo moncone e la seconda ancoretta (Fig. 29C). Esso permette il ricongiungi-mento delle due porzioni tendinee allorché il sistema viene messo in tensione e bloccato conil piombino deformabile. Le due piccole tenotomie longitudinali eseguite per l’introduzionedel sistema sono chiuse con un punto di sutura 4/0 riassorbibile a nodo rovesciato. Una sutu-ra epitendinea circonferenziale in Nylon termina l’operazione. La riparazione tendinea conquesto sistema sembra possedere tutte le caratteristiche della riparazione tendinea ideale cioè:

Alta resistenza meccanica.Assenza di cedimento elastico.Minimo ingombro del canale digitale.Rispetto della vascolarizzazione locale.Possibilità di mobilizzazione precoce, evitando la formazione di aderenze(18,19,20,21).

Zona 3: si tratta di una zona facile, senza puleggia, ad eccezione di A0, che deve essererispettata, e di A1, che può essere aperta in caso di interferenza con le suture per evitare l’in-sorgenza di un dito a scatto.

Zona 4: in questa zona esistono diversi ostacoli anatomici: l’arcata arteriosa palmare super-ficiale e la ramificazione del nervo mediano, che vengono ovviamente risparmiati, e il retinacolodei flessori (legamento anulare anteriore del carpo), che invece è più spesso sezionato per neces-sità preferibilmente sul lato ulnare. In assenza di segni di compressione del nervo mediano evi-denti macroscopicamente o clinicamente, è consentito ricorrere a una sutura del legamento anulareanteriore del carpo dopo riparazione tendinea, utilizzando una plastica di allargamento.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 29Tecnica Tenofix®

A B C

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Zona 5: è soprattutto a livello dell’avambraccio che si possono effettuare riparazioni di-rette dopo più lungo tempo dal trauma. I rinforzi peritendinei non sono indispensabili.

Trattamento postoperatorio

Dopo la riparazione primaria, valutato lo scorrimento ed eventualmente ampliato le pu-legge, chiuso la guaina, effettuata una buona emostasi e suturata la cute, in sala operatoria lamano viene posizionata in una stecca gessata dorsale con il polso in posizione neutra, le me-tacarpo falangee flesse e le interfalangee estese o leggermente flesse. Diversi sono gli atteg-giamenti da assumere nel post-operatorio:

Immobilizzazione: mantenimento della stecca gessata dorsale per 4 settimane. Questapratica è abbandonata a causa delle importanti rigidità digitali e aderenze che può com-portare. Viene utilizzata essenzialmente nei bambini con età inferiore a 10 anni.

Mobilizzazione: Strikland ha dimostrato la netta superiorità della mobilizzazione rispet-to all’immobilizzazione in zona 2. Il giorno successivo all’intervento, si rimuove la medi-cazione e, se lo stato della cute e dell’edema della mano lo consentono, la stecca gessata vienesostituita con un tutore in materiale termoplastico che facilita la realizzazione delle tecni-che di mobilizzazione. Il polso viene stabilizzato in flessione a 30°, con metacarpofalangeea 60° e interfalangee in estensione. I protocolli attualmente in uso sono di due tipi:

1) Mobilizzazione precoce passiva: Kleinert per primo realizzò una mobilizzazione at-tiva in estensione e passiva in flessione, mediante l’uso di elastici applicati alla punta deldito operato e alla regione volare dell’avambraccio (Fig. 30).

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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FIGURA 30Mobilizzazione precoce passiva mediante l’uso di elastici

Muscolo estensore

Muscolo flessore

Muscolo estensore

Muscolo flessore

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Una puleggia di riflessione viene collocata a livello della piega palmare distale, facendo sìche la flessione del dito, la mobilizzazione dell’articolazione interfalangea distale (IFD) equindi la dissociazione flessore profondo/flessore superficiale siano il più complete possibi-le. La tecnica di Kleinert è una tecnica molto esigente (22,23). Se non viene rispettata in mo-do meticoloso, i rischi di complicanze sono importanti: rotture, aderenze, deficit di estensioneinterfalangea prossimale e dito a uncino. Ci sono anche delle controindicazioni legate al ti-po di trauma, al paziente o alla mancanza di un’adeguata sorveglianza post-operatoria:

Relative al tipo di trauma• Schiacciamento • Lesione apparato estensore• Reimpianto digitale

Relative al paziente• Assenza di collaborazione• Bambino

Relative alla mancanza di sorveglianza post-chirurgica

Le tecniche che si sono utilizzate in alternativa al protocollo di Kleinert sono state, ne-gli ultimi 40 anni, quelle di Duran e Houser che prevedono una mobilizzazione preco-ce passiva sia in flessione che in estensione. Il fisioterapista mobilizza alternativamentel’articolazione interfalangea prossimale (IFP) e l’IFD per mobilizzare i flessori superficialie profondi, l’uno rispetto all’altro e rispetto alle strutture vicine. Questa tecnica può es-sere modulata in funzione della difficoltà di cicatrizzazione cutanea. A partire dalla 5a settimana, al programma iniziale vengono aggiunti i movimenti attivi,senza resistenza, e l’ortesi viene mantenuta per altre due settimane. A partire dalla 7a set-timana è consentita la mobilizzazione attiva selettiva e, se necessario, si confeziona l’or-tesi dinamica di estensione. Il vantaggio della mobilizzazione passiva pura è rappresentatodalla sua semplicità. Essa ha contribuito a ridurre il tasso di rottura postoperatoria e diflessione interfalangea prossimale.

2) Mobilizzazione attiva immediata: viene anche definita mobilizzazione attiva con-trollata e rappresenta una Kleinart in cui si eliminano gli elastici. Gli obiettivi di una mo-bilizzazione attiva sono:• limitare la formazione di aderenze;• aumentare la resistenza della zona di cicatrizzazione tendinea sottoponendola a scorri-mento e a una leggera tensione;• favorire la nutrizione del tendine facendolo scorrere nella sua guaina evitando cosìl’esclusione.

Il principale problema è il rischio di rottura tendinea, per cui la mobilizzazione non puòessere applicata a ogni tipo di sutura; quelle che lo consentono sono:• sutura di Savage;• sutura Kessler modificata;• sutura di Tsuge;• sutura pull-out.

La tecnica prevede che venga indossato un tutore in modo continuativo per le prime 4-5 settimane (anche di notte), consentendo sia la flessione che l’estensione attiva contro un mi-nimo di resistenza possibile. A questo segue un periodo di altre 4-5 settimane in cui è previstoun graduale incremento delle forze e delle resistenze.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Complicanze suture

Le complicanze più gravi, che hanno un’incidenza del 5%, di una riparazione primariadei tendini flessori della mano sono (24):

Rottura: la rottura del tendine può avvenire nelle prime 5 settimane dopo la ricostru-zione primaria e, se diagnosticata immediatamente e trattata adeguatamente, può averesuccesso come una riparazione primaria seguita da un programma di mobilizzazioneprecoce. Il reintervento non è un compito facile anche per un chirurgo preparato: lestrutture tendinee appaiono aumentate di volume e questo non agevola lo scorrimentonel canale digitale dopo la riparazione secondaria e anche le superfici di sutura dovran-no essere rimodellate con un inevitabile accorciamento del tendine stesso. Pertanto, èbuona regola sacrificare il flessore superficiale per permettere uno scorrimento più faci-le del profondo e fissare una bandelletta per evitare una iperestensione dell’articolazio-ne interfalangea prossimale con deformità a collo di cigno. Nei casi in cui la rottura nonsia diagnosticata e trattata con tempestività (72 ore), è bene proporre una ricostruzionesecondaria mediante innesti, piuttosto che una risutura.

Blocco aderenziale (cicatriziale): può dipendere da molti fattori, sia legati al tipo di le-sione sia inerenti alla delicatezza dell’intervento. Queste aderenze possono essere parzia-li e limitare il movimento, o totali e abolire completamente lo scorrimento tendineo, ingenere provocano fissità del dito in flessione con grave impaccio della funzione globaledella mano. Le aderenze possono svilupparsi in profondità mentre la cute rimane scor-revole e in buone condizioni, oppure possono essere cicatrici a tutto spessore interessantila cute con una retarazione sclerotica.

Rilasciamento o disconnessione: può essere parziale, con allungamento del tendineche rimane in continuità per mezzo di una cicatrice inglobante i fili di sutura, oppuretotale. Nel rilasciamento parziale il tendine perde in gran parte la capacità di flettere.Nella disconnessione totale dei due monconi, il tendine perde completamente la suafunzione e il dito rimane esteso. Questa disposizione può dipendere da una sutura maleseguita, da un materiale di sutura fragile o da una rieducazione troppo energica (25).

Lesioni inveterateGrazie alle moderne tecniche chirurgiche, il tasso di insuccessi legati alla riparazione pri-

maria dei tendini è molto diminuito e con esso anche il numero di reinterventi. Dobbiamoperò ricordare che la prognosi quoad fonctionem delle riparazioni tendinee dipende da diversifattori, come ricordato in precedenza, per cui di fronte a un tendine precedentemente ripa-rato e che presenta un blocco del suo scorrimento sarà l’esame obiettivo a stabilire se si trat-ta di una nuova rottura ovvero di una rigidità, e il programma terapeutico varierà in funzionedella diagnosi raggiunta: si tratterà allora di affrontare una riparazione mirata a ristabilire lacontinuità tendinea oppure tenolisi.

Sutura secondariaLa sutura secondaria, quindi differita, è da consigliare:

nei casi in cui le condizioni generali del paziente e la coesistenza di traumi maggiori im-pongono la risoluzione di tutti quegli elementi che mettono in pericolo la vita del pa-ziente (26);

dopo una tempestiva tenorrafia, caratterizzata da irregolarità tecniche, o seguita da un’in-cauta mobilizzazione.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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Trasferimento tendineoCostituiscono una delle possibilità terapeutiche per le rotture secondarie dei tendini fles-

sori della mano. È evidente che il traferimento tendineo non potrà essere applicato in modoarbitrario, ma dovrà essere utilizzato seguendo dei principi generali. Da quanto detto apparechiaro che, per ripristinare una funzione persa, se ne deve comunque sacrificare una integra;si dovrà perciò scegliere opportunamente fra quei tendini che hanno un ruolo per così dire“accessorio” e la cui mancanza non causa privazione di movimenti fondamentali. Sarà op-portuno scegliere in quelle situazioni in cui la natura ha disposto un doppio apparato muscolo-tendineo che espleta una sola funzione (come nel caso del doppio apparato estensore di cuiè dotato il secondo e il quinto dito della mano) e comunque fare un’attenta valutazione delbilancio costo-benefici nell’economia del movimento della mano, affinché la cura non fini-sca per essere peggio della malattia (27). Sono sempre attuali i cinque principi già enunciati daS. Bunnel (padre della moderna chirurgia della mano):

Per quanto detto è evidente che risulta estremamente utile la conoscenza dello scorri-mento e della capacità di lavoro dei muscoli interessati al trasferimento tendineo. In tal sen-so i lavori di J.H. Boyes forniscono preziose indicazioni (28).

È comunque evidente che sono trasferibili con successo muscoli di adeguata lunghezza discorrimento e adeguata forza. Va tuttavia notato che la lunghezza di scorrimento può essere au-mentata con un’opportuna preparazione chirurgica del muscolo da trasferire, quando questovenga liberato dagli altri muscoli per lungo tratto. Come dettaglio di tecnica, bisogna inoltre ri-cordare la scarsa idoneità al trasferimento di muscoli reinnervati, data la naturale perdita di for-za che essi subiscono in seguito a questo evento fisiopatologico. Un tendine trasferito èopportuno che sia utilizzato per compiere una sola funzione, solo in casi particolari può esseretrasferito su due tendini separati, deve comunque trattarsi di tendini con la stessa escursione.

Sinergismo

I muscoli che hanno tra loro azione sinergica presentano maggiore idoneità al trasferi-mento tendineo. Ad esempio, è noto che i flessori del polso lavorano in modo sinergico congli estensori delle dita, viceversa gli estensori del polso lavorano sinergicamente con i flesso-ri delle dita. Questi muscoli risultano relativamente intercambiabili (29).

È noto inoltre che muscoli come il flessore superficiale delle dita e gli estensori propri

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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1 - Il trasferimento tendineo non può mobilizzare articolazioni rigide. Condizione irrinunciabi-le per procedere con successo è quindi risolvere la rigidità articolare se presente.

2 - Si deve scegliere per il trasferimento un muscolo di forza idonea. Si consideri che il mu-scolo trasferito perde gran parte della sua forza

3 - Si deve scegliere un tendine con una capacità di scorrimento simile a quella che va a so-stituire.

4 - Il tendine deve lavorare possibilmente secondo un percorso più vicino possibile a una li-nea retta (con curve e pulegge si ha una notevole perdita di forza che deve essere conside-rata nel progetto dell’intervento).

5 - Non deve essere compromessa la funzione motoria del muscolo da trasferire per mano-vre azzardate durante l’intervento che possano provocare eccessiva devascolarizzazione odenervazione di esso.

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del 2° e 5° dito dispongono di un controllo corticale relativamente indipendente, che ne per-mette l’utilizzo anche in deroga al citato concetto di sinergismo. Di seguito si riporta la de-scrizione di alcune tecniche largamente utilizzate e sperimentate per la soluzione, medianteil trasferimento tendineo, di particolari casi di lesioni tendinee della mano.

Tra le indicazioni è ricorrente quella delle lesioni inveterate, con ampia perdita di sostan-za e soprattutto i danni all’apparato tendineo conseguenti ad artrite reumatoide. Questa ma-lattia, come è noto, aggredisce le articolazioni e i tendini (tenosinovite reumatoide), portandoalla loro distruzione, sia per un meccanismo diretto dovuto alla malattia stessa, sia per un mec-canismo di abrasione che i tendini subiscono scorrendo sulle deformità ossee conseguenti alprogresso dell’artrite reumatoide. Si tratta quindi di tendini danneggiati in modo tale da risul-tare totalmente distrutti o comunque irreparabili. È quindi evidente, in questi casi, l’indicazioneal trasferimento di un tendine intatto per il ripristino della funzione(30).

Esempi:

Flessore superficiale del 4° dito pro flessore lungo del pollice

Il flessore superficiale del 4° dito è un muscolo dotato di una certa autonomia di controllo cor-ticale. La disinserzione del suo tendine dal 4° dito non crea deficit molto evidenti, essendosufficiente il flessore lungo a ottenere una completa flessione di tutti i segmenti del 4° dito. Ilsacrificio di questo tendine priva tuttavia il 4° dito di parte della sua forza. Allo scopo di vica-riare la funzione del flessore lungo del pollice potrebbe essere utilizzato il flessore superficialedi una qualunque delle dita lunghe. Quello del 4° dito risulta tuttavia particolarmente versa-tile soprattutto per la direzione della trazione che esso esercita una volta trasposto.

IndicazioneRottura inveterata del flessore lungo del pollice, reintervento dopo fallimento della tenorra-fia primaria e rottura tendinea in artrite reumatoide.

TecnicaCon due piccole incisioni laterali prossimali all’articolazione interfalangea distale, si seziona-no le bandellette laterali del tendine che viene poi sfilato attraverso un’incisione mediopalma-re effettuata lungo il suo percorso, e ancora, se necessario, incisione a livello del polso fino allegamento trasverso del carpo. Il tendine, passato sotto il nervo mediano allo scopo di evitarefenomeni compressivi, può essere a questo punto raccordato con un percorso sottocutaneocon il segmento distale del flessore lungo del pollice. In qualche caso, se la lunghezza dei ten-dini da raccordare lo permette, può essere opportuno far passare il tendine flessore superfi-ciale del 4° dito intorno alla inserzione distale del tendine flessore ulnare del carpo, allo scopodi ottenere un effetto “puleggia”, che modifica l’azione muscolare nel senso di una più effica-ce opposizione del pollice (un simile dettaglio tecnico può essere indicato se si associa alla le-sione del tendine una paralisi dei muscoli tenari). Alla trasposizione tendinea deve essere datala giusta tensione, particolare questo molto importante per la riuscita dell’intervento. Essa de-ve essere tale che in dorsiflessione del polso sia possibile una totale estensione del 1° dito. Lalunghezza del tendine flessore superficiale del 4° dito è tale che esso può giungere fino alla in-serzione distale del flessore lungo del pollice. Se lo si utilizza per tutta la sua lunghezza, saràutile inserirlo distalmente mediante pull-out transosseo sulla falange distale del pollice.Immobilizzazione in doccia gessata in posizione neutra per 3-4 settimane.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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Flessore superficiale del 4° dito pro flessore lungo di un dito viciniore

IndicazioneLesione inveterata del flessore lungo non altrimenti riparabile, con perdita di sostanza o te-nomalacia (artrite reumatoide).

TecnicaPreparazione del flessore superficiale del 4° dito analoga a quella descritta precedentemen-te, sutura al flessore lungo del dito viciniore. Un’alternativa a questo intervento può essererappresentata dalla interessante tecnica proposta nel 1966 da Paneva Olevich.Essa si propone come una variante della tecnica dell’innesto tendineo finalizzata a prolunga-re il tendine flessore lungo lesionato irreparabilmente. In questo modo, opportunamente al-lungato, esso può raggiungere la falange distale dove verrà reinserito per lo più mediantepull-out. Trova indicazione nelle lesioni dei tendini flessori sia superficiale che profondo nelpalmo della mano. Si attua suturando in modo termino-terminale il flessore superficiale conil flessore profondo, fino a formare una specie di omega. Una volta che la tenorrafia sia con-solidata, viene tagliato prossimalmente il flessore superficiale, l’omega viene rettificata inmodo che il tendine flessore profondo così prolungato risulti sufficientemente lungo da poteressere inserito distalmente .Rispetto all’innesto tendineo, questa tecnica offre il vantaggio di praticare la tenorrafia fratendini vitali, l’innesto viene distaccato solo ad attecchimento avvenuto.

Flessore ulnare del carpo pro estensore delle dita

Il muscolo flessore ulnare (FUC) del carpo è innervato dal nervo ulnare e si inserisce trami-te un tendine piuttosto largo sull’osso pisiforme. Per quella regola del sinergismo già enun-ciata nella parte introduttiva, il (FUC) ben si adatta al trasferimento sui tendini estensori delledita. Data la sua conformazione anatomica, esso è infatti costituito da una struttura mio-ten-dinea nel tratto distale; per ottenere una buona possibilità di mobilizzazione e un sufficien-te scorrimento, esso va preparato chirurgicamente in modo esteso.In particolare va liberato ampiamente in senso prossimale, in questa manovra è opportunaagire con atteggiamento conservativo allo scopo di non danneggiare eccessivamente la va-scolarizzazione (pericolo di fibrosi del muscolo). Il rischio di denervazione del muscolo è in-vece modesto durante queste manovre, poiché il ramo motore principale entra moltopros simalmente nel ventre muscolare staccandosi dal nervo ulnare.

IndicazioniLesione ampia degli estensori al 3° medio-distale dell’avambraccio (passaggio mio-tendineo)con ampia distruzione di tessuti (schiacciamento) o, nelle lesioni inveterate, grande quantitàdi tessuto cicatriziale. Rottura patologica dei tendini non altrimenti riparabile per malattia de-generativa (artrite reumatoide).

TecnicaAmpia incisione cutanea dorsale dell’avambraccio con esposizione della zona di lesione.Asportazione del tessuto cicatriziale o necrotico o malacico per una estensione sufficiente a po-ter disporre di tendini estensori sicuramente resistenti da poter essere inseriti sul tendine tra-sposto. Attraverso una incisione volare sul versante ulnare del polso estesa prossimalmente,si prepara il muscolo flessore ulnare del carpo che, come già detto, deve essere ampiamenteliberato in senso prossimale. Preparato il FUC in questo modo, esso viene trasposto dorsal-mente facendolo ruotare attorno all’ulna fino a congiungersi con gli estensori delle dita lunghe.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Il tendine del FUC viene a questo punto fatto passare attraverso delle asole ottenute nei sin-goli tendini estensori e ad essi suturati. Importante il grado di tensione da dare alla sutura,con polso e dita in estensione. Anche in questo caso, come quasi sempre nei trasferimentitendinei, è opportuno nel regolare la tensione avere un atteggiamento ipercorrettivo allo sco-po di compensare il prevedibile successivo allentamento della tensione tendinea. Se neces-sario, anche il tendine estensore lungo del pollice può essere suturato insieme a quelli delledita lunghe con il FUC. Immobilizzazione in doccia gessata con polso e dita modicamente este-se per 3-4 settimane. Bisogna notare che l’immobilizzazione in estensione delle articolazionimetacarpo-falangee può lasciare una certa rigidità particolarmente in pazienti anziani.Va dunque prontamente iniziata una mobilizzazione cauta, principalmente attiva, appena tol-ta la doccia gessata. Un’alternativa all’intervento descritto può essere costituita dalla traspo-sizione sui tendini estensori delle dita del tendine flessore radiale del carpo dorsalizzatoattraverso lo spazio interosseo. Si tratta tuttavia di una tecnica che dà risultati meno validiche presenta maggiore tendenza alla formazione di aderenze che bloccano lo scorrimentotendineo. È anche possibile fornire di nuovo motore gli estensori delle dita, mediante traspo-sizione su di essi del tendine dell’estensore radiale lungo del carpo. Tuttavia la prima tecnicadescritta, se possibile, resta quella più affidabile.

Innesti tendinei

Gli innesti si dividono in applicati in un unico tempo o in due tempi e, inoltre, si divi-dono in base alla sede della lesione.

Innesti in un unico tempoVengono eseguiti in un periodo relativamente breve dal momento del trauma (4 setti-

mane), così da consentire la bonifica locale ove necessario e gli eventuali problemi connessialla mancanza di copertura cutanea da un lato, e mantenere intatta l’articolarità passiva del seg-mento interessato,(31) dall’altro.

Zona 2È imperativo rispettare le pulegge. Il flessore profondo deve essere resecato a 1 cm dalla sua

inserzione distale e, prossimalmente, in corrispondenza della porzione distale del lombricale inzona 3; il flessore superficiale viene conservato per i suoi 15 mm distali, consentendo così lo scor-rimento dell’innesto e evitando una deformità secondaria in iperestensione dell’interfalangeaprossimale. Uno dei criteri di scelta dell’innesto tendineo è la compatibilità delle dimensioni deltendine donatore e di quello ricevente. I tendini considerati potenziali donatori sono:

Palmare gracile.

Plantare gracile.

Estensore comune delle dita.

Estensore comune del pollice.

Il trapianto viene introdotto nel canale digitale, viene fissato a un’estremità di una bar-retta di silicone. Le tecniche di fissazione in zona 3 prossimale sono diverse. Tra le più elabo-rate, particolarmente solida è quella di Pulvertaft.(32) Distalmente la fissazione può essere fattasecondo diverse modalità:

Fissazione transossea mediante pull-out di Bunnel.

Fissazione ungueale di Littler: metodica che risparmia la falange distale facendo passare l’in-nesto attraverso l’inserzione distale del flessore profondo, che viene suturato intorno ad esso.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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Tecnica di Pulvertaft: prevede la creazione di un tunnel transosseo in corrispondenzadella base di P3 parallelo al piano articolare, in cui far passare l’innesto che viene sutu-rato su se stesso a cravatta. La tecnica però è sconsigliata in età pediatrica per il rischio dicompromissione del nucleo di accrescimento falangeo.

Sutura pull-out descritta da Mantero: la tensione del capo tendineo prossimale viene tra-sferita sull’apice del dito leso dove viene fissata a un bottone.(33) Un problema che si im-pone nella realizzazione dell’innesto è la regolazione della tensione da dare allo stesso.

È preferibile dare all’innesto una certa tensione ricordando che in posizione di riposo ledita si presentano, a polso normoesteso, in flessione, e che tale flessione si accentua progres-sivamente dai segmenti digitali radiali a quelli ulnari(33).

Zona 3-4-5Una lesione tendinea a questi livelli, a causa della retrazione troppo marcata dei monco-

ni, difficilmente può essere risolta mediante riparazione diretta e secondaria differita, anchese quest’ultima ha una prognosi più favorevole delle lesioni in zona 2. Se la lesione coinvol-ge sia l’FS che l’FP è preferibile cercare di ripristinare la continuità del solo FP utilizzandol’FS come donatore. La sutura termino-terminale verrà completata da una sutura continua pe-ritendinea. Bisogna però ricordare la vicinanza della puleggia A1 quando il tendine riparato èin estensione e la riparazione si trova in zona 2. In questo caso si consiglia il sacrificio della pu-leggia A1 convertendo una lesione in zona 2 in un problema di facile risoluzione in zona 3.

Zona 1Un intervento di innesto tendineo per ripristinare il movimento dell’interfalangea distale

deve essere ben valutato, a causa del rischio di aderenze tra l’innesto stesso e il flessore super-ficiale, compromettendo così il movimento dell’intefalangea prossimale. Per questo motivo sitende ad adottare un atteggiamento conservativo, a meno che il paziente non presenti ecce-zionali esigenze funzionali. Non è mai giustificabile il sacrificio del flessore superficiale cherisulta essere sempre intatto.

Innesto in due tempiQuesta scelta chirurgica si impone in casi particolarmente complessi.

Primo tempo: l’incisione cutanea eseguita secondo Bruner deve consentire l’esposizio-ne di tutto il segmento interessato fino alla zona 3 inclusa. Si preserva il moncone distaledell’FP per circa 1 cm di lunghezza così da anastomizzarlo alla barretta di silicone che servea fissare definitivamente i monconi tendinei. La fase cruciale è quella della preparazione delletto che accoglierà la barra asportando i tessuti cicatriziali, associando un’artrolisi dell’artico-lazione interfalangea prossimale (IPP), se necessario. I nervi collaterali vanno liberati o, se in-terrotti, riparati per recuperare la sensibilità. Se ancora presenti, le pulegge dovranno essereliberate da eventuali aderenze e suturate in caso di lesione. Viene quindi introdotta la barra disilicone che viene fatta scorrere al di sotto delle pulegge fino a raggiungere il moncone di-stale dell’FP e suturato ad esso. Prossimalmente si apre il canale carpale, si isola e si estrae l’FS,sezionandolo alla giunzione miotendinea per evitare la “sindrome della quadriga”(34). Il suomoncone tendineo potrà essere utilizzato per la ricostruzione delle pulegge. La ricostruzionesi impone per le pulegge A1 e A4, particolarmente importanti per evitare l’instaurarsi del fe-nomeno della corda d’arco durante la flessione del dito(32). L’FP viene estratto e suturato all’FS.Per la ricostruzione delle pulegge, tre sono le tecniche maggiormente utilizzate:

Tecnica di Kleinert (35)

Tecnica di fissazione transossea secondo Michond(36)

Tecnica di Lister(37).

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Secondo tempo: realizzato dopo almeno 8-9 settimane per permettere la formazionedella neoguaina. Si riprende l’incisione al polso dove era stata effettuata l’anastomosi tra FS eFP. I 2 tendini suturati vengono sfilati distalmente passando nel canale digitale e nel palmo;lo scorrimento viene eseguito mediante una contro-incisione palmare, previa solidarizzazio-ne dell’FS all’estremità prossimale della barra di silicone, che viene fatta fuoriuscire a livellodi P2. Distalmente l’innesto viene fissato all’unghia mediante la tecnica di Littler o tramite pull-out; prossimalmente si preferisce una sutura di Pulvertaft(38)

RiabilitazioneDopo ricostruzione in un unico tempo, il trattamento riabilitativo prevede un mobiliz-

zazione precoce protetta da uno splint, tipo Kleinert(39). Occorre segnalare che la fissazione se-condo Pulvertaft sicuramente ha il vantaggio di accelerare l’inizio della mobilizzazione. Dopo 4 settimane dall’intervento di pull-out, lo splint viene rimosso e il dito viene lasciato li-bero. La fisioterapia attiva va iniziata dopo 5-6 settimane. Nel caso di una ricostruzione in duetempi, il programma prevede una mobilizzazione in sindattilia dopo la guarigione della feri-ta successiva al primo tempo operatorio; la scorrimento ripetuto della barra durante l’escur-sione articolare può provocare il fenomeno del telescopage prossimalmente cui segue unasinovite reattiva. La riparazione del fascio vascolo-nervoso è l’unica condizione che preclu-de una mobilizzazione precoce.

Dopo il secondo tempo è prevista una mobilizzazione assistita che può cominciare già4-5 giorni dopo l’intervento, protetta da uno splint dorsale che mantiene il polso flesso di 30°e le metacarpo-falangee a 60°. Tale programma viene eseguito per 4 settimane. La ricostru-zione di una o più pulegge richiede che venga posizionato un anello protettivo in corri-spondenza della neo-puleggia, da mantenere per 4-6 settimane. Dopo la quarta settimana siinizia a rimuovere il tutore e si lavora per recuperare l’estensione. Dopo la sesta settimana, larieducazione attiva può essere intrapresa più intensamente così da recuperare la completaparticolarità delle interfalangee e metacarpo-falangee bloccate in estensione.

Complicanze

Infezione

Sinovite

Rottura dell’innesto o mancato scorrimento dell’innesto: inizialmente l’innesto non è ir-rorato, soprattutto se non è stato rieducato con estrema pazienza (nutrizione per mezzodel liquido sinoviale)

Innesto troppo corto: non consente la flessione completa

Innesto troppo lungo: rende difficile la flessione completa

Effetto a “corda d’arco”: si ha per la mancanza o per il cedimento di una puleggia rico-struita. La corda d’arco, oltre ad essere antiestetica, compromette lo scorrimento del ten-dine determinando un’atteggiamento in flessione permanente del dito.

Per queste ragioni gli innesti in un unico tempo sono quasi abbandonati e si eseguonoinvece quelli in due tempi evitando così i pericoli di aderenza. Il tendine intromesso nellapseudo-guaina è però ancora soggetto ai rischi di necrosi ischemica e rottura, di disconnes-sione ai suoi capi prossimali e distali.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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Tecniche di salvataggio

TenolisiLa tenolisi rappresenta una procedura secondaria nella chirurgia dei tendini flessori, uti-

le a migliorare la funzione e il movimento delle dita attraverso la liberazione del tendine dal-le aderenze che ne limitano lo scorrimento. È indicata nei fallimenti della chirurgia riparativae ricostruttiva dei tendini, ma anche in seguito ad aderenze dopo traumi chiusi o aperti a li-vello delle dita, quali schiacciamenti dei tessuti molli, fratture delle falangi, ustioni, infezioni.Nell’ambito della chirurgia dei tendini flessori questa procedura rappresenta un “interventodi salvataggio”(1), sicuramente maggiore(2) e probabilmente, come dice Strickland(3), il più im-pegnativo fra tutte le procedure per i tendini flessori.

I prerequisiti necessari per considerare l’eventuale praticabilità di tale metodica sono: laconsolidazione delle eventuali fratture, la guarigione della ferita (deve essere presente una mi-nima reazione attorno alla cicatrice), la riduzione delle rigidità articolari, che devono esserevinte fino a raggiungere la riduzione una articolarità passiva normale o quasi; inoltre deve es-sere presente una buona forza muscolare e una sensibilità soddisfacente.

Vi è indicazione alla tenolisi quando l’escursione articolare passiva supera quella attiva etutti i trattamenti incruenti praticati per aumentare l’escursione del tendine nelle 4-8 setti-mane precedenti al trattamento sono falliti.

È necesario che il paziente sia informato del tipo di trattamento a cui verrà sottopostoe della riabilitazione necessaria successivamente, dell’eventualità che l’intervento non otten-ga alcun miglioramento o addirittura un peggioramento del quadro clinico, che possa esserenecessario intraoperatoriamente cambiare indicazione chirurgica ed eseguire una eventualericostruzione in due tempi, una tenodesi o un’artrodesi.

Vi è accordo sul tempo minimo che deve intercorrere fra un evento primario a caricodel tendine e l’esecuzione della tenolisi: 3 mesi nel caso di una tenorrafia primaria, 6 mesi nelcaso di una ricostruzione con innesti tendinei; non è invece ancora definito il tempo massi-mo di attesa: secondo alcuni Autori(3, 13, 19) non deve superare un anno, perché un’attesa supe-riore comprometterebbe i risultati dell’intervento, mentre si evince da alcune importanticasistiche pubblicate(12, 18) come la tenolisi sia stata praticata anche dopo due anni.

Accessi chirurgiciLa tecnica chirurgica prevede per l’esecuzione della tenolisi dei flessori due diverse vie

di accesso: l’incisione secondo Bruner, che permette un’ampia visione del campo operatorio,e quella medio-laterale scelta da Strickland, che permette di lasciare dorsalmente il fascio va-scolo-nervoso, e dopo la sutura non esercita una tensione diretta sul flessore appena liberato,consentendo così una mobilizzazione precoce.

TecnicaLo scopo della tenolisi è quello di liberare il tendine e le pulegge dal tessuto aderenzia-

le. Nel caso di revisione tendinea, l’incisione cutanea è più ampia di quella iniziale così da ga-rantire una maggiore esposizione dell’apparato flessore. La tenolisi di un innesto comporta lasua revisione globale, con eventuale rimozione del tessuto ipertrofico della neoguaina nel ca-so di una sinovite reattiva.

Le pulegge vanno rispettate il più possibile, in particolare la A2 e la A4. Occorre elimi-nare accuratamente le aderenze situate tra il tendine e la parte interna della puleggia e tra idue tendini. Va asportato il materiale di sutura in eccesso presente sul tendine precedentementeriparato. Se i due tendini, profondo e superficiale, come spesso accade sono tenacemente ac-collati, può essere necessario il sacrificio di una bandelletta del FS o il tendine in toto a be-neficio del FP.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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ComplicanzeAnche le tenolisi sono soggette a insuccessi. Il più frequente è la recidiva del blocco ci-

catriziale che avviene quasi inesorabilmente se:

la cicatrice pre-operatoria e/o lo stato della cute sono cattivi;

il tendine viene troppo assottigliato e devascolarizzato;

la rieducazione non è corretta;

non si pone un mini catetere con rilasci periodici di anestetico per consentire la mobi-lizzazione indolore almeno per 7-10 giorni.

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE LESIONI DELL’APPARATO FLESSORE DELLA MANO

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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ClassificazioneLe lesioni traumatiche dei tendini estensori della mano vengono classificate topografi-

camente utilizzando la classificazione descritta da Verdan (1) (Fig. 31).Le lesioni vengono suddivise in lesioni delle dita lunghe, di cui abbiamo in totale 8 zo-

ne di possibile lesione, e in lesioni del pollice, di cui abbiamo 6 zone di possibile lesione, dicui 4 esclusive del primo dito e le rimanenti 2 comuni agli estensori del polso e delle dita lun-ghe. I numeri dispari indicano zone articolari, mentre quelli pari indicano zone diafisarie.

Epidemiologia, anatomia patologicae generalità sulle tecniche di sutura

Il 70% delle lesioni interessa le dita e il 30% il dorso della mano e il polso(2-3). Il medio èil raggio più frequentemente colpito (38%), seguito da indice (28%), anulare (18%), pollice(10%) e mignolo (10%). In particolare, la zona 1 è interessata nel 20% dei casi, le zone 2, 3, 4nel 50%, la zona 5 nel 20% e infine le zone 6, 7 nel 10% dei casi. Le lesioni si osservano pre-valentemente in soggetti in età giovanile e adulta.

LE LESIONI DEGLI ESTENSORI DELLA MANO

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Le lesioni degli estensori della mano

FIGURA 31Classificazonedi Verdan dei tendiniestensori della mano

7

8

4p

3p

2p

1p

6

5

12

34

1

23

4

1

23

4

1

23

4

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Le lesioni tendinee dell’apparato estensore hanno varia eziopatogenesi e dunque diver-si approcci di primo soccorso e trattamento. In particolare, le lesioni da taglio e a punta so-no facilmente indirizzabili a un trattamento definitivo, in quanto sono facilmente detergibili,con una minima contaminazione batterica e non presentano lesioni dei tessuti viciniori. Le lesioni tendinee con ferite lacero-contuse presentano invece spesso perdita di sostanza,con ampio interessamento dei tessuti viciniori, irregolarità dei margini tendinei, rischio di ne-crosi e necessità di valutazione per eventuale allestimento di lembi cutanei.

Le ferite con associazione di lesioni ossee, vascolo-nervose e cutanee, hanno una piùcomplessa risoluzione, con tempi di guarigione allungati, e un maggior rischio infettivo; in-fatti data la superficialità dei tendini estensori, il loro trattamento è condizionato dalla situa-zione della ferita. Quando è presente un’ampia contaminazione è sicuramente controindicatoun trattamento in prima intenzione.

Chirurgicamente i tendini estensori della mano presentano difficoltà intrinseche, in quan-to la loro prossimità allo scheletro provoca frequentemente un’associazione di lesioni ossee etendinee, che chiaramente presentano una maggiore complessità di trattamento e un maggiorrischio di aderenze post-chirugiche; sono inoltre poco resistenti alle suture e appiattiti, e lascarsità di sottocute è un ulteriore fattore di rischio per la formazione di aderenze.

Vi sono tecniche di sutura perdute ed estraibili. Le prime si utilizzano quando il tendine estensore sezionato presenta margini netti; fra

queste il punto di Bunnel (Fig. 32)(4), punto incrociato utilizzato per suturare tendini di ugua-le sezione, oppure il punto di Kessler (Fig. 32)(5), che invece è un punto a compressione chenecessita di un numero minore di passaggi attraverso il tendine, avendo quindi una minoretendenza a comprimere i monconi del tendine. Il punto di Kleinert (35), di Kleinert inverso(36),di Strickland(37) e di Brunelli (38) sono altre alternative per la sutura dei tendini estensori.

Le seconde, le suture estraibili, sono state ideate per diminuire le aderenze post-opera-torie e offrire una maggiore resistenza della sutura tendinea, consentendo così una più rapi-da riabilitazione. Tra queste, le più diffuse sono il pull-out estraibile di Bunnel(4) ampiamenteutilizzato nelle lesioni in zona 1 e utilizzabile per le tenorrafie, per le suture degli innesti ten-dinei e per il fissaggio del moncone distale del tendine all’osso, il barb-wire di Jenning(39), chepresenta un arpione e filo metallico e richiede un solo passaggio nel tendine, fissato tramiteuna rondella applicata sulla cute.

Zona 1L’interruzione del tendine estensore terminale a livello dell’IFD determina un atteggia-

mento in flessione obbligata di quest’articolazione (Fig. 33), con impossibilità all’estensioneattiva; questa lesione prende il nome di dito a martello (Fig. 34).

Il meccanismo di lesione è in genere una iperflessione su una IFD attivamente estesa o

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FIGURA 32Punto di Bunnel

e punto di Kessler

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un importante carico assiale. Questi traumi provocano un distacco del tendine dalla sua zo-na di inserzione, oppure una avulsione di un frammento osseo.

Un meccanismo di lesione meno frequente è una iperestensione con impatto della fa-lange distale sulla testa della falange media e conseguente frattura del bordo dorsale della fa-lange distale. Schweitzer e Rayan riportano che il dito medio è il sito a maggior rischio didito a martello data la sua posizione centrale, la sua maggiore lunghezza e una bassa tolleran-za all’allungamento(6). Il trauma si verifica più frequentemente durante l’attività sportiva, è in-fatti chiamato anche baseball finger(7), ma alcuni autori riportano incidenze ugualmente alte pertrauma durante le attività domestiche e nei traumi a basso impatto(8,9).

Ci sono numerose classificazioni:

classificazione di Watson-Jones. Divide le possibili lesioni del dito a martello in tre ti-pologie: il I tipo consiste in una lesione parziale con diminuzione dell’estensione, il II ti-po consiste in una lesione completa del tendine, mentre il III tipo consiste nell’avulsionedi un frammento osseo richiamato dal tendine(10);

classificazione di Wehbe e Schneider. Descrive solo le possibili fratture e le divide intre tipi e in tre sottotipi che vanno a descrivere il grado di interessamento articolare: il ti-po I include le fratture senza sublussazione dell’articolazione, il tipo II include le frattureassociate a una sublussazione, il tipo III include invece le fratture epifisarie. I sottotipi con-sistono in A quando la lesione articolare è meno di 1/3, in B, quando il coinvolgimentoè tra il 1/3 e 2/3, in C, quando il coinvolgimento articolare è oltre i 2/3(11);

LE LESIONI DEGLI ESTENSORI DELLA MANO

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FIGURA 34Dito a martello

FIGURA 33Interruzione deltendine estensoreterminale a livellodell’IFD

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classificazione di Doyle. Descrive sia le lesioni ossee che dei tessuti molli e le divide inquattro tipi: il tipo I è una lesione tendinea che deriva da un trauma chiuso con o senzadistacco di un piccolo frammento osseo, il tipo II è una lesione tendinea con lacerazio-ne a livello della IFD, il tipo III consiste in una lesione tendina secondaria a una abra-sione profonda, il tipo IV è diviso in tre sottotipi: il sottotipo A consiste nelle fratturetransepifisali dei bambini, il sottotipo B consiste in fratture articolari con superfice tra il20% ed il 50% e con trauma in iperflessione, il sottotipo C consiste in fratture articolarioltre il 50% e con trauma in iperestensione (12).

Dal punto di vista clinico la diagnosi è semplice, ma è da considerare che nei primi gior-ni dopo il trauma la deformità è celata dalla reazione infiammatoria locale e che l’entità del-la deformità dipende dalla gravità della lesione e dal grado di squilibrio funzionale tral’apparato estensore e i flessori profondo e superficiale, rispettivamente per l’IFD e l’IFP.

Il trattamento varia a seconda del tipo di lesione. Quando abbiamo una rottura sottocu-tanea semplice, è sufficiente un’immobilizzazione mediante tutore di Stack o una stecca me-tallica modellata con IFD in estensione (Fig. 35). Il tutore va utilizzato per 8 settimane, di cui2 solo di notte; i risultati sono in genere buoni.

Il trattamento con tutore ha dato risultati soddisfacenti anche in casi di piccole fratturecon o senza limitato spostamento (13,14). Il paziente viene poi valutato frequentemente per sag-giare il corretto uso del tutore e la correzione della deformità, e anche per trattare eventualilesioni cutanee secondarie all’uso del tutore, anche con il cambio, in corso di terapia, del ti-po di tutore da utilizzare.

Nonostante l’efficacia del trattamento conservativo, molti autori consigliano di effettua-re interventi chirurgici per ottenere una più radicale correzione e una più rapida ripresa del-le attività. La tecnica del pull-out intertendineo (Fig. 36) consiste nell’inserire un ago dainiezione distalmente e 3 mm lateralmente alla lesione e facendolo emergere prossimalmen-te alla sede del danno tendineo. Si introduce successivamente un filo di nylon 2-0 attraversol’ago facendolo uscire prossimalmente e ritirando poi l’ago. Si reinserisce quindi l’ago facen-dolo passare al livello del tendine e inserendo il filo si fissa il primo bottone del pull-out allacute. Si procede poi con l’inserimento dell’ago da iniezione distalmente e 3 mm medial-mente introducendovi il filo che fissa il primo bottone, si estrae l’ago, e si passano poi i fili disutura attraverso il secondo bottone e fissandolo al polpastrello con l’IFD in iperestensione.Il dito viene protetto da un tutore di Stack e in 4 settimana viene rimosso il pull-out e si co-mincia la riabilitazione.(25, 26)

È possibile inoltre effettuare una tenorrafia sottocutanea ad ago che ricostruisce l’appa-rato estensore mediante un nodo sottocutaneo ed elimina i bottoni di ancoraggio cutaneo.Si inserisce un ago da iniezione sul margine radiale del dito a circa 5 mm distalmente alla IFP,

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 35Tutore di Stack

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con un’inclinazione di 45°, si procede tangenti alla superfice ossea e si esce controlateral-mente, distalmente alla IFD, e si fa passare il filo da sutura. Si introduce un ago trasversalmenteal terzo medio della falange ungueale, e con un’inclinazione di 45° si esce controlateralmen-te, a livello della IFP, completando la sutura con un ultimo passaggio trasversale, uscendo dal-la cute dal punto iniziale di introduzione del filo(27,16).

Quando ci sono lesioni da taglio con ferita aperta bisogna esplorare accuratamente la fe-rita e successivamente, se possibile, effettuare la tenorrafria. Se invece il segmento distale è bre-ve bisogna effettuare una reinserzione mediante Bar-wire di Jenning o con mini-ancore tipoMitek.

Quando le fratture della falange distale richiedono un trattamento chirurgico si può ef-fettuare un blocco in estensione mediante fili di K. In particolare, per via percutanea vieneposizionato dorsalmente un filo di K a 45° d’angolo attraverso il tendine terminale, appenaprossimalmente al frammento. La successiva estensione della falange distale riduce il fram-mento osseo, e la riduzione viene stabilizzata mediante un successivo filo di K inserito lon-gitudinalmente alla IFD. Alcuni autori inseriscono un ulteriore filo di K attraverso ilframmento (Fig. 37)(15,17,18).

Altri autori(40) preferiscono non utilizzare una metodica percutanea, bensì effettuare unariduzione in open del frammento, con esposizione e rimozione del tessuto fibroso presente nel-la lesione, e una fissazione con un filo di K che passi attraverso il frammento. Il paziente de-ve utilizzare un tutore, alla 4-5 settimana viene rimosso il filo di K e inizia la riabilitazione.

Le complicanze dei trattamenti conservativo e chirurgico sono comunque frequenti, in-fatti Stern e Kastrup(19) riferiscono un tasso del 53% di complicanze quando veniva effettua-to un trattamento chirurgico e un tasso del 45% di complicanze quando veniva effettuato untrattamento conservativo.

LE LESIONI DEGLI ESTENSORI DELLA MANO

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FIGURA 36Tecnica del pull-outintertendineo

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Le complicanze consistono in incongruità articolare, infezioni, deformità ungueali, fal-limento dei fili di K. Il trattamento conservativo tende a dare complicanze temporanee, co-me ulcere cutanee e una residua deformità in flessione che però, secondo alcuni autori(20,21),non risulta in una insoddisfazione nel giudizio del paziente.

Le lesioni inveterate consistono in una residua deformità che può provocare danno este-tico e funzionale ed è inoltre da tenere in conto che se non trattate possono evolvere in unadeformità a collo di cigno. È considerata cronica una deformità che persiste oltre le 4 settimane.

Alcuni autori trattano queste deformità mediante tutore di Stack, da utilizzare per 10 set-timane in maniera continua e per 2 settimane solo di notte, riportando discreti risultati(22). Se il trattamento conservativo è fallimentare bisogna effettuare un trattamento chirurgico(40);chiaramente molti autori optano direttamente per il trattamento chirurgico. Ci sono molte-plici alternative chirurgiche, ma la più utilizzata è l’intervento di tenodermodesi, descritto daIselin(24) che consiste in una escissione dorsale a livello della IFD, in modo che i margini del-la cute vengano a contatto durante l’estensione passiva completa. (Fig. 38)

L’escissione deve essere a tutto spessore della cute e del callo tendineo, dunque di circa3-4 mm, ponendo attenzione a non intaccare la capsula sottostante. Vengono quindi suturaticon lo stesso filo la cute, i capi tendinei e la capsula, ottendo un’estensione passiva dell’IFD(Fig. 38A). Una posizione di modica iperestensione deve essere mantenuta con un filo di Ktransarticolare che sarà poi rimosso a 3-4 settimane. L’iperestensione può anche essere otte-nuta mediante un tutore di Stack, ma è preferibile immobilizzare la IFD con un filo di K, es-sendo più tollerato dal paziente e non provocando decubiti(32,33).

Altro intervento descritto è l’artrodesi, che, eliminindo l’articolarità della IFD è indica-to quando si verificano problemi di copertura cutanea o di incongruenza articolare e presentadiscreti risultati. Thompson descrive inoltre una ricostruzione del legamento retinacolare obli-

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 37Posizionamento del

primo filo di K a 45° (A)

Filo di K inserito longitudinalmente

alla IFD (B)

A

B

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quo mediante greffe tendineo del palmare lungo, che viene fissato dorsalmente alla falangedistale mediante un tunnel osseo, e sempre mediante un tunnel osseo alla faccia volare dellafalange prossimale (Fig. 38B)(23).

Zona 2Le lesioni complete in zona 2 determinano un quadro clinico simile alle lesioni della zona 1

e il trattamento è equivalente, mentre le lesioni parziali vengono trattate con una tenorrafia conpunti staccati introflettenti. Le deformità a collo di cigno (Fig. 39) consiste in una iperestensione

LE LESIONI DEGLI ESTENSORI DELLA MANO

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FIGURA 38Tenodermodesi (A)

Ricostruzione del legamentoretinacolare obliquo (B)

A

B

FIGURA 39Deformità a collo di cigno

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dell’IFP e una flessione dell’IFD secondarie a una retrazione prossimale degli estensori che po-tenziano la loro azione a livello della falange media. Il trattamento consiste nel ripristino dell’ap-parato estensore e dunque, nel caso di una lesione della zona 1, deve essere trattata la rotturadell’apparato estensore a livello della IFD. Quando invece si presenta uno squilibrio funzionale trala IFP e la IFD, si effettua la ricostruzione del legamento retinacolare obliquo, eseguendo una te-nodesi che risulta nella formazione di una struttura che si contrae passivamente nell’estensione del-la IFP; avviene dunque l’estensione passiva della IFD quando si verifica l’estensione della IFP.Questo si può ottenere mediante innesto tendineo, come precedentemente descritto, o median-te l’intervento di tenodesi descritto da Littler, che si prefiggeva la ricostruzione del legamento re-tinacolare obliquo e una traslazione del tendine estensore verso un’asse più volare(34).

Zona 3Allorquando si verifica la sezione o la disinserzione della bendeletta centrale, con le fi-

bre spirali e la lamina triangolare integre, non risulta una deformità clinicamente apprezzabi-le, quando invece si verifica anche la lesione di queste strutture, compare nel tempo unalesione ad asola, ovvero una flessione dell’IFP e una estensione dell’IFD, con impossibilità aeffettuare l’estensione della falange media (Fig. 40).

Infatti, a seguito dell’interruzione della bendeletta mediale dell’estensore, si altera l’equi-librio funzionale tra questa ed il flessore superficiale che, inserendosi alla base della secondafalange, determina un atteggiamento in flessione dell’IFP.

Successivamente avviene una traslazione volare delle bendelette laterali, con incremen-to della flessione dell’IFP ed estensione dell’IFD, e seguentemente avviene una fuoriuscita del-la testa della falange basale attraverso l’apparato estensore. L’aggravarsi del posizionamento inflessione della IFP provoca una lussazione volare permanente delle bendelette laterali e degliestensori intrinseci, aumentando la flessione dell’IFP e l’estensione dell’IFD, in quanto gliestensori laterali invertono la loro azione trasformandosi in flessori della prima falange.

Inoltre il legamento retinacolare trasverso mantiene le bendelette laterali in una posi-zione di sublussazione palmare, mentre il legamento retinacolare obliquo tende a contrarsi au-mentando la flessione dell’IFP e l’estensione dell’IFD.

La lesione della bendeletta centrale può avvenire alla sua inserzione, o 5 mm prossimal-mente a questa. Il trattamento consiste in una immobilizzazione in estensione dell’IFP me-diante un filo di K e nella sutura della bendeletta centrale e delle bendelette laterali.

In particolare la bendeletta centrale può essere interrotta, retratta con perdita di sostan-za , o semplicente detesa. Si liberano le aderenze tra la bendeletta centrale e il collo della pri-ma falange, in modo che il tendine possa scorrere distalmente; si sutura dunque la bendelettacentrale approssimando ai margini quelle laterali mediante 2 o 3 punti staccati.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 40Lesione ad asola(en boutonniere)

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La lesione “en boutonniere” è chiaramente una lesione evolutiva con una riducibilità chevaria a seconda dello stadio fino alla rigidità completa. Zancolli ha ben descritto questa evo-lutività dividendola in quattro stadi:

il I stadio consiste in una lesione isolata della bendeletta mediana, con le bendelette la-terali dorsalizzate; all’esame clinico non si osserva deformità, e si presenta solo un’estensionelimitata, con dolore e tumefazione. Quindi, quando ci troviamo di fronte a questi pazienti, nelsospetto di una lesione dell’apparato estensore, si immobilizza il dito in estensione per una set-timana, prolungando l’immobilizzazione se il quadro clinico della lesione tendinea venisseconfermato.

Il II stadio presenta un’iniziale scivolamento delle bendelette laterali, con distensionedei legamenti retinacolari; clinicamente la IFP e la IFD sono riducibili passivamente. In que-sto stadio il trattamento è conservativo, utilizzando un tutore in estensione dell’IFP per 3 set-timane, lasciando libera la IFD; successivamente si applica uno splint dinamico tipo Capenerper tre mesi, da utilizzare la notte e alcune ore durante il giorno (Fig. 41). Se al termine deltrattamento consevativo è ancora presente la deformità è indicata una correzione chirurgica,utilizzando la tecnica di Caroli, ovvero si effettua una esposizione del rimaneggiamento fibrosodella bendeletta mediana e della sub-lussazione delle bendelette laterali; si sezionano le fibretraverse del legamento retinacolare ottenendo la dorsalizzazione delle bendelette laterali esuccessivamente si effettua una resezione a coda di rondine del tessuto fibroso di circa 3 mm,con conseguente fissazione articolare temporanea mediante filo di K e sutura in tensione del-la bendeletta mediana(28).

Nel III stadio si osserva una retrazione del legamento retinacolare trasverso con sublus-sazione palmare delle bendelette laterali; all’esame clinico si presenta un’iperestensionedell’IFD e un peggioramento della flessione dell’IFP.

Il trattamento è chirurgico, ed è utilizzabile la tecnica di rilasciamento retinacolare de-scritta da Zancolli, che prevede una sezione delle fibre oblique del legamento retinacolare euna sezione della porzione laterale della bendeletta laterale, ottendo una flessione passivadella IFD, a cui segue una ricostruzione dell’apparato estensore. Nei casi inveterati si posso-no adottare tecniche di rico st r uzione della bendeletta centrale. La tecnica di Snow prevedela derotazione di una porzione del l’esten sore a livello della falange basale con inserimentoalla base della falange media(29); la tecnica di Aiache (Fig. 42A) prevede una sezione longitu-dinale delle bendelette laterali e la sutura delle due metà mediali(30); la tecnica di Matev (Fig.42B) prevede una sezione delle due bendelette laterali a differenti livelli allungando quellainterrotta più distalmente e fissando alla base della seconda falange quella sezionata più pros-simalmente(31); la plastica di ribaltamento di Foucher prevede invece un ribaltamento e rad-doppio di un lembo tendineo prelevato in zona 6, poi fissato alla falange mediante un puntotransosseo o un’ancoretta.

LE LESIONI DEGLI ESTENSORI DELLA MANO

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FIGURA 41Splint dinamico tipo Capener

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Il IV stadio presenta una rigidità ed una irriducibilità delle IFP e IFD: è necessario dun-que effettuare prima una risoluzione della rigidità, seguita da fisioterapia e poi da una rico-struzione dell’apparato estensore.

Zona 4Le lesioni a livello della falange basale impediscono l’estensione delle metacarpo-falan-

gee a interfalangee flesse; infatti se le interfalangee sono estese l’apparato estensore riesce co-munque a provocare l’estensione della metacarpo-falangea. Queste lesioni, se avvengono nelleporzione distale della falange basale, vanno trattate come le lesioni della zona 3; quando in-vece avvengono a livello della porzione prossimale della falange basale devono essere trattatecome le lesioni della zona 5.

Zona 5Spesso alle lesioni tendinee in questa zona si associa una perdita di sostanza cutanea e so-

no inoltre frequenti le lesioni da morso umano e animale, con alto rischio di infezione, chevanno sempre ispezionate ed eventualmente trattate. Una lesione dell’apparato estensore aquesto livello causa il quadro clinico del “dito cadente”. Una lesione dell’estensore comunedeve essere trattata con una immobilizzazione di tutte le dita lunghe e del polso, mentre quan-do la lesione riguarda un solo estensore proprio è necessaria l’immobilizzazione del raggio in-teressato e del polso. Bisogna poi sempre porre attenzione a eventuali lesioni a carico dellemetacarpo-falangee. Le lesioni della porzione centrale possono essere riparate chirurgica-mente mediante sutura con filo 4-0 secondo Kessler modificato, in quanto il tendine è rela-tivamente spesso. Le lesioni della banda sagittale possono essere aperte o chiuse; se apertesono trattate mediante sutura con filo riassorbibile 4-0.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 42Tecnica di Aiache (A)Tecnica di Matev (B)

A

B

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Le lesioni della banda sagittale chiuse spesso si associano a una sublussazione dell’estensorea livello del solco intermetacarpale ulnare durante il movimento di flessione della metacarpo-fa-langea: se è riduciblile provoca uno scatto doloroso durante la flesso-estensione, mentre quandoè irriducibile avviene una deviazione ulnare delle dita, in quanto l’estensore, trovandosi in posi-zione volare, agisce come un flessore della metacarpo-falangea. Di conseguenza, quando le lesionidelle bande sagittale sono chiuse, il trattamento entro le prime 2 settimane è conservativo, me-diante splintaggio da utilizzare per 5 settimane; oltre le 2 settimane il trattamento è invece chi-rurgico, utilizzando la tecnica di Michon che fissa uno split tendineo del bordo ulnare derotatodi 90° al legamento intermetacarpale e alla capsula articolare. Dopo l’intervento l’articolazionemetacarpofalangea viene immobilizzata per 4 settimane in estensione con le IF libere.

Zona 6Le lesioni in questa zona hanno una prognosi migliore rispetto a quelle che avvengono

distalmente; probabilmente ciò è dovuto a una maggiore escursione tendinea e a una mino-re superficie di scorrimento. Il tendine sezionato in questa zona può essere suturato osservandoi principi classici della tenorrafia, ovvero utilizzando una sutura perduta tipo Bunnel o Kesslere successiva protezione con molla di Levame e tutore con polso in estensione di 45°, conl’estensore comune a riposo. Si può inoltre effettuare una tenorrafia classica associata a unpull-out intertendineo che evita le trazioni a carico della sutura durante i movimenti dellamano, permettendo dunque una rapida mobilizzazione.

Zona 7I tendini estensori si trovano in un canale osteo-fibroso simile a quello dei flessori, con un

alto rischio di aderenze e con la possibilità che il danno interessi anche il retinacolo dorsale,che, oltre a mantenere in sede i tendini, contribuisce alla nutrizione mediante le guaine sino-viali ed è quindi fondamentale preservarlo il più possibile. Chirurgicamente i tendini in questazona sono notevolmente spessi e dunque sono trattabili mediante suture tipo core con filo rias-sorbibile 4-0, se il segmento distale è sufficientemente lungo, altrimenti può essere necessarioun inserimento del tendine nell’osso mediante ancorette metalliche. Talvolta, per evitare le ade-renze, si può far passare il retinacolo al di sotto del punto di tenorrafia suturandolo sul bordoulnare.

Zona 8Le lesioni che avvengono in questa zona sono spesso secondarie a ferite notevoli con

trauma penetrante, ad esempio vetro o coltello. Se avvengono a dita estese, il moncone dista-le si troverà al di sotto del legamento anulare e possono quindi essere trattate come lesioni dizona 7; se invece la lesione avviene con il polso in flessione e la mano atteggiata a pugnochiuso, il moncone distale si retrae.

All’altezza del terzo medio di avambraccio si possono effettuare le suture con filo rias-sorbibile,mentre all’altezza del terzo distale di avambraccio è importante suturare a livello deisetti fibrosi muscolari, in quanto il ventre muscolare spesso non ha una buona tenuta. Quandosi verifica una eccessiva perdita di sostanza può risultare necessario effettuare trasferimentitendinei utilizzando il tendine del flessore ulnare del carpo. Le lesioni inveterate sono in ge-nere caratterizzate da abbondanti aderenze e presenza di notevole tessuto cicatriziale. In que-sti casi si effettua l’escissione di un tratto della fascia antibrachiale, delle aderenze e del tessutocicatriziale e successivamente si effettua una sutura con filo di nylon 3-0 dei piani muscola-ri, oppure, se è presente una notevole soluzione di continuità, si può effettuare un innesto delpalmare lungo o un trasferimento del flessore ulnare del carpo.

PolliceLe lesioni in 1P con lacerazione dell’estensore lungo del pollice impediscono l’estensio-

ne attiva dell’IF, anche se può sussistere un’escursione articolare in estensione, grazie all’ad-

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duttore del pollice. Se la retrazione del moncone prossimale non è eccessiva, si può effettua-re una sutura; se invece il moncone distale è troppo breve si effettua un avanzamento del seg-mento distale sulla falange ungueale con successiva tecnica di trasferimento tendineo. Lelesioni aperte vengono trattate come quelle della medesima zona delle dita lunghe.

Le lesioni in zona 2P e 3P sono in genere secondarie a ferite chirurgiche incomplete, conminima retrazione, e vanno trattate mediante pull-out intertendineo, oppure a punti staccatise la lesione tendinea è incompleta.

Le lesioni in 4P e in 7P implicano un’apertura della loggia di de Quervain e una ripa-razione dell’estensore breve del pollice e dell’abduttore lungo, mediante suture perdute o pull-out intertendineo.

Trattamento post-operatorioL’applicazione di ortesi dinamiche offre la possibilità di mobilizzare precocemente, evi-

tando quindi il rischio di aderenze e di mettere in tensione la sutura tendinea. L’ortesi posi-ziona il polso in estensione massima -20°, con le metacarpofalangee libere da 0° a 70° per lelesioni prossimali e flesse a 20° per le lesioni distali.

Nelle lesioni prossimali si effettua, nell’arco di 4 settimane, una flessione attiva delle me-tacarpo-falangee fino al blocco, seguita da una flessione attiva delle IFD e IFP; in un secondomomento viene effettuata una estensione attiva delle IFP e delle IFD, seguita da una esten-sione passiva delle metacarpo-falangee. Dopo 4 settimane viene regolata l’ortesi a 0° di esten-sione delle metacarpo-falangee, con la possibilità di effettuare una cauta estensione attiva.

Trasferimenti tendineiIl trasferimento tendineo più frequentemente eseguito è il trasferimento dell’estensore

proprio dell’indice per l’estensore lungo del pollice. La lesione di quest’ultimo è molto fre-quente ed è stata definita in passato “paralisi del suonatore di tamburo”. Può avvenire su ba-se cronica o come complicanza di una frattura dell’epifisi distale di radio, in particolare dellafrattura di Colles, oppure su base malacica nell’artrite reumatoide. Clinicamente la lesionedell’estensore lungo del pollice si manifesta come impossibilità improvvisa dell’estensionecompleta del pollice, con la falange ungueale atteggiata in flessione.

Anatomopatologicamente, la lesione tendinea è caratterizzata da note necrotiche e de-generative che rendono impossibile l’esecuzione di una sutura diretta; viene dunque preferi-to l’intervento di trasferimento dell’estensore proprio dell’indice, in quanto, rispetto all’innesto,si utilizza un tendine vitale con autonomia di controllo corticale, che topograficamente è an-che situata prossimamente a quella dell’estensore lungo del pollice.

Si effettua l’incisione alla base del II dito al di sotto dell’articolazione MF, viene identi-ficato l’estensore proprio dell’indice e sezionato distalmente. Il tendine viene poi isolato e ten-sionato rilevandosi nel sottocute, e viene poi sfilato mediante un’ulteriore incisione effettuatalungo il suo decorso. Il tendine viene successivamente fatto passare attraverso il retinacolo econdotto sottocute nel percorso dell’estensore lungo del pollice e suturato a questo median-te una sutura termino-terminale (Fig. 43).

Seguirà poi un’immobilizzazione per 3 settimane in estensione del pollice e in modicaestensione del polso e delle dita lunghe. È fondamentale un corretto grado di tensione del ten-dine trasposto, tale che alla flessione del polso si estenda il pollice e che alla estensione del pol-so il pollice si fletta completamente.

L’estensore proprio dell’indice è anche utilizzato nel trasferimento tendineo per l’esten-sore comune delle dita, ed è indicato in casi di lesioni massive, con perdita di sostanza note-vole, ed erosione dei tendini nell’artrite reumatoide. La preparazione del tendine è identicaa quella precedentemente descritta; il tendine viene poi suturato mediante punti a U con laparte distale dei tendini lesionati. Segue immobilizzazione in estensione per 4 settimane.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 43Trasferimento dell’estensore proprio dell’indice per l’estensore lungo del pollice

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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LE LESIONI DEGLI ESTENSORI DELLA MANO

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Parametri correlati agli outcome finali

La riparazione chirurgica delle lesioni della cuffia dei rotatori è una procedura ampia-mente diffusa che interessa un numero crescente di pazienti. Nel 2002, negli USA sono sta-ti eseguiti 40.000 ricostruzioni della cuffia dei rotatori con un costo medio per ciascunintervento di 16.000 USD.(1) Numerosi studi hanno dimostrato con alto livello di evidenzal’efficacia della terapia chirurgica per le lesioni tendinee della cuffia dei rotatori.(2)Al tempostesso, però, è stato evidenziato un alto tasso di recidiva associato, peraltro, ad un declino deirisultati a lungo termine.(3,4) I fattori prognostici associati ad una rirottura della cuffia dei ro-tatori sono molteplici e non tutti definiti con evidenza. Le dimensioni della lesione tendineae il grado di infiltrazione adiposa muscolare sono stati associati a un maggiore tasso di reci-dive e a risultati postoperatori peggiori. In particolare, mentre le lesioni che coinvolgonoesclusivamente il sovraspinato (SSP) presentano livelli di rerottura inferiori al 30%(5) e si as-sociano a un grado minore di retrazione tendinea e di degenerazione adiposa, le lesioni mas-sive che coinvolgono più di due tendini hanno un tasso di rirottura superiore al 50%(6) e unmaggiore grado di retrazione e infiltrazione muscolare adiposa.

L’infiltrazione muscolare adiposa, descritta da Goutallier(7), rappresenta la comparsa ditessuto adiposo nel contesto del ventre muscolare (Fig. 44A). Più che una vera e propria me-taplasia cellulare, il processo è legato alla perdita dell’architettura muscolare pennata o bipen-nata dei tendini della cuffia dei rotatori, con orizzontalizzazione delle fibre muscolari,retrazione tendinea e creazione di spazi intermuscolari occupati da tessuto adiposo.(8) Il pro-cesso di infiltrazione adiposa non è reversibile se non applicando una trazione progressivasulla struttura muscolo tendinea.(9) Il grado d’infiltrazione adiposa dei muscoli della cuffia deirotatori, in particolare del muscolo infraspinato, è un fattore indipendente predittivo del-l’outcome finale di riparazione tendinea chirurgica.(10)

IndicazioniMolti pazienti affetti da una rottura della cuffia dei rotatori sono asintomatici.(11) Inoltre,

la presenza di una lesione tendinea in un paziente affetto da dolore non indica necessariamenteche la lesione è la causa del dolore. Infine, è stato riportato che nonostante lo sviluppo di unarecidiva dopo trattamento chirurgico, i risultati clinici in termini di dolore, forza e funzionesono migliori rispetto al quadro clinico preoperatorio anche a distanza di diversi anni.(12)

Da queste evidenze è possibile dedurre come il quadro anatomopatologico e quello cli-nico dei pazienti affetti da rottura della cuffia dei rotatori sono spesso scarsamente correlatitra loro. Per questo motivo è spesso molto complesso porre la giusta indicazione terapeuticae, soprattutto nel caso delle lesioni degenerative, è l’insuccesso del trattamento conservativoa rappresentare l’indicazione più importante alla chirurgia. Ciò nonostante esistono alcuni cri-teri di selezione chirurgica ampiamente accettati. Le lesioni traumatiche dei tendini della cuf-fia dei rotatori hanno una progressione molto più rapida rispetto alle lesioni degenerative intermini di retrazione, sviluppo di infiltrazione muscolare adiposa e ampliamento della lesio-ne; inoltre il tasso di rirottura post-ricostruzione è inferiore rispetto a quello delle lesioni de-generative. Per questo motivo il trattamento chirurgico delle lesioni traumatiche deve essereanticipato il più possibile. Viceversa, una riduzione preoperatoria del ROM (Range of Motion)articolare passivo è considerata una controindicazione importante alla chirurgia.(13,14)

La valutazione radiologica è molto importante sia nella scelta dell’indicazione chirurgi-ca che nella decisione del tipo di intervento da condurre.

TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

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Terapia chirurgica delle lesionidella cuffia dei rotatori

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La misurazione della distanza acromion-omerale in una proiezione anteroposteriore ese-guita in ortostatismo con la spalla in rotazione neutra fornisce notevoli informazioni circal’estensione della lesione. Un esame RM o artro RM potrà evidenziare le dimensioni esattedella lesione, il grado di retrazione tendinea, il trofismo muscolare e il grado di infiltrazioneadiposa che, come già accennato, rappresentano i fattori prognostici più significativi nel pre-dire il risultato finale della ricostruzione chirurgica. Una lesione è definita irreparabile in ca-so di coinvolgimento di più di due tendini, in caso di infiltrazione adiposa muscolare >2 e inpresenza di una distanza acromion-omerale <7 mm (Fig. 44A-D).

Tecniche chirurgicheLe tecniche chirurgiche di ricostruzione della cuffia dei rotatori possono essere distinte

in open, mini-open e artroscopiche.

Chirurgia apertaLesioni posterosuperiori. Dopo la somministrazione di un anestesia interscalenica o ge-

nerale, il paziente è posizionato in decubito semiseduto. La via di accesso classica per le le-sioni postero superiori della cuffia dei rotatori (sovraspinato SSP e infraspinato IFP) prevedeun incisione cutanea “a spallina”, secondo le linee di Langer, centrata sull’acromion laterale.Tale incisione di circa 5-10 cm si estende dal margine anterolaterale dell’acromion al suomargine posterolaterale. Dopo lo scollamento della cute e del sottocute dal piano muscolaredel deltoide, il lembo cutaneo ottenuto a base distale può essere divaricato caudalmente edeventualmente fissato con punti di divaricazione.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 44Lesione irreparabile

della cuffia dei rotatori.Sezione parasaggittale

con infiltrazione muscolare adiposa di grado II nell’SSP,

III nell’IFP, I nell’SSCsecondo Fuchs. (A)

RX anteroposteriore dispalla in ortostatismo

con distanza acromion-omerale

< 7 mm. (B)Artro-RM sezione

coronale con lesionedell’SSP e IFP. (C)Artro-RM sezione

assiale con lesione dell’SSC. (D)

A B

C D

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Dopo aver scheletrizzato l’acromion dall’inserzione del trapezio, il deltoide è staccatodal suo margine laterale. È preferibile che il tendine prossimale del deltoide sia disinserito in-sieme a una bratta ossea del margine laterale dell’acromion in modo da facilitarne la succes-siva guarigione (Fig. 45A). Anteriormente e posteriormente all’acromion, il deltoide verràinciso lungo le sue fibre, in modo da separare il ventre muscolare laterale da quello anterio-re e da quello posteriore. Il distacco del deltoide permette la visualizzazione diretta dello spa-zio subacromiale e, in caso di rottura della cuffia dei rotatori, anche di quello articolare tramitela lesione tendinea. Per identificare meglio i muscoli della cuffia dei rotatori, un retrattoreautostatico può essere posto tra la testa omerale e la superficie inferiore dell’acromion o, al-ternativamente, può essere esercitata una trazione verso il basso sul braccio (Fig. 45B).

Una bursectomia subacromiale completa, l’asportazione dei tessuti molli dal trochite ela rimozione del tessuto tendineo degenerato permetterà una migliore valutazione delle di-mensioni della lesione. Il solco bicipitale e la spina della scapola dovranno essere identificatiper definire esattamente il numero di tendini interessati. Lesioni anteriori al solco bicipitale(lesioni anterosuperiori) interessano il tendine del sottoscapolare (SSC) e sono più facilmen-te valutabili e trattabili attraverso un accesso deltopettorale, soprattutto in caso di rottura to-tale di questo tendine.

Il tendine del capo lungo del bicipite se instabile dovrà essere disinserito prossimalmen-te in corrispondenza del margine superiore della glena e una tenotomia o una tenodesi po-trà essere eseguita. In caso di tenodesi il gomito dovrà essere portato in posizione di estensionecompleta e pronazione. Un’ancora non riassorbibile inserita nel solco bicipitale e caricatacon filo di sutura non riassorbibile verrà utilizzata per assicurare il tendine del bicipite alla cor-ticale anteriore della metafisi omerale.

TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

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FIGURA 45Riparazione aperta della cuffia dei rotatori. Distacco del deltoide con bratteossee dell’acromion. (A)Apertura spaziosubacromiale. (B)Passaggio delle suture. (C)Passaggio di tutte le suture. (D)Riparazione finale. (E)

A B

C D E

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Altre tecniche che prevedono l’uso di viti interferenziali e la costruzione di un tunnelosseo metafisario possono essere alternativamente utilizzate. Un acromioplastica anteroinfe-riore è indicata in caso di positività dei segni clinici di impingement preoperatori e di presen-za di un acromion tipo II o III secondo Bigliani nelle proiezioni radiografiche, ma dovràessere attentamente valutato il rischio di lussazione posterosuperiore associato al distacco dellegamento acromion-claveare. Nei pazienti con elevato acromion index (elevata estensione la-terale dell’acromion)(15) un’acromio plastica laterale è suggerita sia per facilitare il passaggiodelle suture attraverso il tendine leso che per proteggere la riparazione.

A questo punto può essere iniziata la fase di ricostruzione tendinea. Il primo passo sa-rà quello di valutare il grado di retrazione della lesione, trazionando i tendini dell’SSP edell’IFP. In caso di lesioni massive fortemente retratte sarà necessario mobilizzare i tendiniattraverso alcuni passaggi successivi. Innanzitutto occorrerà scollare i muscoli della cuffiadalle aderenze in prossimità della superficie posteriore della coracoide, dalla superficie infe-riore dell’acromion e dalla superficie superiore della glena. Quest’ultima manovra, in parti-colare, dovrà essere eseguita cautamente, evitando dissezioni mediali per il rischio di lesionedel nervo sovrascapolare. Una possibilità successiva consiste nel creare degli interval slide tral’SSP e l’SSC (anterior interval slide) e tra l’SSP e l’IFP (posterior interval slide) per aumentarela mobilità dei tendini lesi (Fig. 46A-B)(16). Infine, l’utilizzo di punti side-to-side può per-mettere di accostare i margini laterali della cuffia, riducendo l’area della lesione e la tensio-ne applicata per ridurre anatomicamente la lesione tendinea. Nel caso in cui la retrazione ele dimensioni della lesione impediscano una ricostruzione anche dopo le precedenti mano-vre, e in caso di atrofia muscolare >2 secondo Goutallier e Fuchs, è preferibile eseguire untransfer tendineo di gran dorsale.(17)

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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B

FIGURA 46Interval slide

(Burkhart SS).Anterior interval

slide: distacco delmargine anteriore

dell’SSP dallegamento

coraco-omerale e dall’intervallo dei rotatori. (A)

Posterior interval slide: distacco

dell’SSP dall’IFP e successiva

sutura con punti side-to-side. (B)

A

IFP

SSP

IFP

SSP

IFP

SSP

IRSACO

IRSACO

IRSACO

SA

CO

SA

CO

SA

CO

SA

COIFP

SSP

IFP

SSP

IFP

SSP

IFP

SSP

CO = coraco-omerale

IFP = infraspinato

IR = intervallo rotori

SA = subacromiale

SSP = sovraspinato

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Nel caso di lesioni riparabili, i tendini della cuffia saranno armati con molteplici sutu-re non riassorbibili N. 2, secondo la tecnica di Mason-Allen modificata, ossia attraverso undoppio passaggio nel tessuto tendineo con il filo posto perpendicolarmente alle fibre mu-scolari e un terzo passaggio mediale all’ansa prima formata (Fig. 45C-D).

Un elevato numero di suture riduce lo stress tensile a cui è sottoposta ciascuna sutura macomplica la procedura chirurgica. I fili di sutura transtendinei possono a questo punto esserefatti avanzare attraverso il trochite per ottenere una sutura transossea. I capi opposti di ciascunfilo dovranno passare attraverso due differenti punti del trochite in modo che il nodo creatoimpedisca il cedimento della sutura. Prima di annodare le suture transossee, un filo riassorbi-bile può essere usato per chiudere l’intervallo dei rotatori e permettere di valutare la posizio-ne corretta di re-inserzione dell’SSP. L’utilizzo di una placca in titanio forata su cui stringerei nodi permette di evitare il cut trough bone dei nodi sulla spongiosa tubeorsitaria e aumenta lastabilità biomeccanica dell’impianto (Fig. 45E). Un drenaggio in aspirazione può essere uti-lizzato nello spazio subacromiale. Il deltoide laterale sarà reinserito con suture riassorbibili. La sutura cutanea sarà eseguita con filo monofilamento riassorbibile 4-0.

Lesioni anterosuperiori. Si differenziano per l’interessamento dell’SSC associato o me-no a rotture dell’SSP. La via di accesso chirurgica migliore per queste lesioni è l’approccio del-topettorale in caso di lesioni ampie associate a retrazione muscolare, o il delta-split anteriorein caso di lesioni più piccole. Nel primo caso l’incisione cutanea inizia dalla superficie latera-le dell’apice della coracoide ed è diretta verso la piega ascellare; nel delta-split l’incisione è piùlaterale, originando all’altezza dell’articolazione acromio-claveare. Il piano intermuscolare, nelcaso della via deltopettorale, prevede la divaricazione laterale della vena cefalica e del musco-lo deltoideo. Nel delta-split il clivaggio muscolare avviene tra le fibre del deltoide. Si rimuo-ve la borsa sottoscapolare. Il sulcus bicipitale rappresenta il margine dell’inserzione anatomicadell’SSC. La sua identificazione permetterà di individuare la lesione tendinea (Fig. 47). Il ca-po lungo del bicipite risulta, soprattutto nelle lesioni più estese, sublussato o lussato medial-mente. Dopo aver repertato il margine laterale del tendine dell’SSC, saranno visualizzati anchequello superiore, in corrispondenza dell’intervallo dei rotatori, e quello inferiore. Particolareattenzione dovrà essere posta alla dissezione del margine inferiore dell’SSC per evitare danniall’arteria circonflessa anteriore e al nervo ascellare. In caso di lesione retratte dell’SSC, sarànecessario il distacco delle strutture dell’intervallo dei rotatori, come il legamento coraco-omerale e il distacco dei legamenti gleno-omerali superiore e medio. Infine, il distacco delleaderenze del ventre muscolare dalla fossa sovrascapolare potrà essere eseguito lussando la testaomerale posteriormente. L’allungamento del tendine del sottoscapolare con plastica a Z è dif-ficilmente eseguibile anche per lo spessore esiguo del tendine.

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FIGURA 47Riparazione aperta dell’SSC, con accessodeltopettorale

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In caso di lesioni tendinee non riducibili con le precedenti manovre e in caso di dege-nerazione adiposa ≥ 2 secondo Goutallier e Fuchs è preferibile eseguire un transfer di granpettorale.(18) Dopo aver mobilizzato il tendine e aver preparato la superficie del trochine, l’SSCpuò essere reinserito a mezzo di suture transosse o ancore non riassorbibili. In ambedue i ca-si dovranno essere usate suture non riassorbibili N. 2. Nel caso si utilizzino delle suture tran-sossee è preferibile usare dei punti in configurazione Mason-Allen modificata; i fili dovrannoessere introdotti appena medialmente al sulcus bicipitale e i nodi saranno stretti sulla superfi-cie del trochite, preferibilmente su di una piccola placca forata in titanio. Nel caso si utilizzi-no delle ancore, esse dovranno essere poste al centro del trochine, le suture attraverseranno iltendine del sottoscapolare e dei punti da materassaio potranno essere utilizzati per aumenta-re la pressione del tendine sul footprint. La sutura dell’SSC deve avvenire con l’omero in ro-tazione neutra per evitare uno stress eccessivo sulle suture e/o una riduzione della rotazioneesterna postoperatoria.

Chirurgia artroscopicaLe tecniche artroscopiche per la riparazione delle lesioni della cuffia dei rotatori richie-

dono la disponibilità di attrezzature specifiche, indispensabili per ottenere una buona visionedello spazio subacromiale e per il passaggio delle suture attraverso il tendine leso.

L’uso di cannule non è indispensabile per la riparazione chirurgica della cuffia dei rota-tori, ma nel caso in cui esse non siano utilizzate prima dell’esecuzione di ciascun nodo, le su-ture dovranno essere tirate insieme attraverso lo stesso portale per evitare l’interposizione ditessuti molli nel nodo. La riparazione delle lesioni posterosuperiori può essere eseguita siacol paziente in decubito laterale che in decubito semiseduto.

Le lesioni anterosuperiori richiedono invece una rotazione continua dell’omero duran-te le varie fasi della procedura ed è pertanto preferibile che siano riparate in beach chair conl’ausilio di un braccio meccanico per sostenere l’arto operato e consentire la sua mobilità el’esecuzione di trazione per allargare lo spazio subacromiale. Nonostante esistano precisi por-tali descritti per l’esecuzione della riparazione della cuffia dei rotatori, crediamo che ciascunportale debba essere sempre eseguito solo quando necessario e nel punto esatto determina-to dalla visione artroscopica di un ago repere.

Il portale posteriore di visione viene eseguito in corrispondenza del soft spot medial-mente e inferiormente all’angolo posterolaterale della acromion. Nel caso in cui sia indicataanche l’asportazione della clavicola distale per la presenza di artropatia acromion-claveare, ilportale posteriore può essere eseguito sulla perpendicolare dell’articolazione, altrimenti la suacollocazione leggermente più laterale faciliterà la visione dell’estremità anteriore dell’acro-mion in vista di un acromioplastica. L’artroscopia gleno-omerale permetterà di visualizzare lostato del capo lungo del bicipite, della pulley bicipitale, l’estensione posteriore della lesione del-la cuffia, l’interassamento dell’SSC, la presenza di eventuali lesioni cartilaginee. Un secondoportale può essere eseguito anterolateralmente in corrispondenza della lesione dell’SSP dopoaver controllato la posizione esatta mediante un ago.Attraverso questo portale potranno esse-re eseguite la tenotomia/tenodesi del capo lungo del bicipite, il debridement della lesione ten-dinea e del footprint mediante uno shaver.

In caso di lesione dell’SSC e dell’SSP, l’ottica verrà lasciata nello spazio articolare e sfrut-tando la lesione dell’SSP si provvederà a riparare in primo luogo il tendine del SSC. In casodi lesioni isolate dell’SSC, l’ottica sarà inserita nello spazio subacromiale attraverso un porta-le anterolaterale e tutta la riparazione verrà eseguita all’esterno dell articolazione. Tramite unospectrum, un filo PDS N.1 viene spinto attraverso il tendine lesionato e usato come filo di tra-zione. La borsa sottoscapolare verrà rimossa, mediante shaver e uno strumento a radiofre-quenza, per facilitare la visione e lo scivolamento delle suture. L’omero potrà essere portatoin lieve rotazione interna (10-30°) e flessione per permettere di meglio valutare l’estensionedella lesione. Un ulteriore portale anteriore verrà inciso per l’introduzione delle ancore. Noipreferiamo utilizzare ancore in titanio non riassorbibili caricate con doppio filo di sutura non

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riassorbibile, ma altri autori hanno utilizzato efficacemente ancore riassorbibili anche per lariparazione della cuffia dei rotatori. Una o due ancore possono essere utilizzate secondo le di-mensioni della lesione. Un filo dell’ancora prossimale può essere eventualmente utilizzato perla tenodesi del capo lungo del bicipite. Tramite un clever hook o una pinza specifica (scorpionArthrex©, espressew Mitek©, Johnson and Johnson), i 4 capi delle suture provenienti da cia-scuna ancora sono fatti passare attraverso il tendine leso. L’omero verrà riportato in rotazio-ne neutra. Le suture sono quindi annodate con dei punti a materassaio progressivamente dadistale a prossimale. In caso di lesioni posterosuperiori (SSP ed eventualmente IFP), l’ottica èportata nello spazio subacromiale attraverso il portale posteriore.

Un portale laterale eseguito al centro dell’acromion e 3-4 cm lateralmente al suo mar-gine, permetterà l’introduzione di uno shaver per l’esecuzione di una bursectomia che dovràessere estesa anteriormente, posteriormente e lateralmente.

Un’acromioplastica anterolaterale e laterale dovrà essere eseguita tenendo conto delle in-dicazioni preoperatorie (tipo di acromion secondo Bigliani, test clinici di impingement positi-vi, high acromion lateral index) tramite acromiazer. Al termine della fase preparatoria l’ottica èspostata nel portale laterale (Fig. 48A). La lesione tendinea è valutata per estensione e mobili-tà tramite una pinza ad anelli posta nel portale anterolaterale o in quello posteriore già eseguito.

In caso di lesioni retratte, la mobilizzazione della struttura muscolo-tendinea lesa avverràanteriormente dalla superficie posteriore della coracoide, superiormente dalla superficie in-feriore dell’acromion, inferiormente dalla superficie superiore della glena, facendo attenzio-ne al nervo sovrascapolare e posteriormente dalla superficie della spina scapolare.

Degli interval slide anteriore lungo l’intervallo dei rotatori e/o posteriore tra l’SSP e l’IFPpossono aumentare ulteriormente la mobilità dei tendini.

TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

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A B

C D

FIGURA 48Riparazione artroscopica dellacuffia dei rotatori. Ottica nel portalelaterale e visualizza-zione della lesionedallo spazio sub-acromiale. (A) Ancora impiantata almargine posterioredella lesione (B)Passaggio del cleverhook attraverso iltessuto tendineo (C)Passaggio delle suture (D)Nodo artroscopico (E)

E

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Infine, in caso di lesioni V-shaped o L-shaped delle suture side-to-side potranno essere uti-lizzate mediante uno spectrum e un clever hook per ridurre le dimensioni della lesione e faravanzare il tendine rotto.

La riparazione dovrà essere eseguita solo se si è certi della riducibilità del margine late-rale del tendine sul footprint, senza eccessiva trazione ed eccessiva abduzione dell’omero. Inquesto caso, tramite un ago repere, può essere valutata la corretta posizione delle ancore e unoo più portali specifici saranno eseguiti a seconda del numero di ancore richiesto. Una o piùancore potranno essere utilizzate a seconda delle dimensioni della lesione e del tipo di ripa-razione (one – double row). Le ancore dovranno essere poste innanzitutto ai limiti anteriore eposteriore della lesione (Fig. 48B), se necessario un’ulteriore ancora potrà essere posta tra leprime due; inoltre, tutte le ancore dovranno essere inserite nella parte mediale del footprint incorrispondenza del punto di passaggio con la cartilagine articolare. Una volta inserite nel tro-chite, i capi delle suture verranno passati attraverso i margini del tendine mediante clever ho-ok o strumenti specifici (Fig. 48B-C). Le suture a materassaio (Fig. 48D-E) sono risultateclinicamente e strutturalmente superiori rispetto ai punti semplici in uno studio prospetticorandomizzato.(19)

La tecnica di riparazione double row consiste nel posizionamento di una doppia file diancore (una fila mediale e una laterale) sulla superficie del trochite. Lo scopo di tale tecni-ca è aumentare la superficie contatto del tendine con il footprint e di conseguenza il po-tenziale di guarigione. Anche se biomeccanicamente superiore, tale tecnica non è risultatamigliore in termini clinici e strutturali al metodo single row in studi prospettici randomiz-zati.(20) Inoltre, non sempre è possibile posizionare una doppia fila di ancore per le dimen-sioni piccole del trochite.

L’uso della tecnica double row è quindi limitato al trattamento delle lesioni massive in cuil’aumento della tenuta meccanica della sutura potrebbe consistere in un vantaggio biologico,almeno teoricamente. Nel caso di una sutura double row, preferiamo utilizzare punti a mate-rassaio per la fila mediale di ancore e dei lasso-loop per la fila laterale come descritto da Lafosse(Fig. 49). In pratica, una volta fatto passare il filo di sutura attraverso il margine laterale del ten-dine leso, il clever hook è introdotto nell’ansa formatasi prima che il filo di sutura sia tiratocompletante all’esterno. Il clever hook afferrerà il capo della sutura rimasto intraarticolare e lofarà passare attraverso l’ansa creata. Il lasso-loop consente di esercitare una trazione ulteriore sultendine tra la fila mediale e quella laterale di ancore.

Chirurgia mini-openSi avvale di un misto delle tecniche a cielo aperto e artroscopiche. Dopo aver eseguito

tramite artroscopia tutta la fase preliminare alla sutura tendinea (tenotomia del bicipite, bur-sectomia subacromiale, acromioplastica, debridement della lesione e del footprint), è praticataun’incisione cutanea che origina dal margine laterale dell’acromion e si dirige in basso pa-rallelamente alle fibre del deltoide.

Dopo aver scollato cute e sottocute dal piano muscolare del deltoide, viene eseguitaun’incisione lungo le fibre del muscolo viene eseguita senza distaccare il tendine prossimaledalla sua inserzione. Tramite questo accesso saranno introdotte le ancore nella posizione cor-retta intra- o extra-ruotando l’omero a seconda della posizione più o meno anteriore dellalesione. I fili di sutura saranno fatti passare attraverso il tendine leso e saranno stretti i nodi.

Chirurgia aperta, artroscopica e mini-openI vantaggi teorici della chirurgia artroscopia e mini-open consistono, oltre che nell’uti-

lizzo di cicatrici chirurgiche piccole ed estetiche, nel risparmio del tendine del deltoide.La mancata cicatrizzazione del deltoide anche se rara è associata a pseudoparalisi del braccio,difficile anche da trattare, precludendo l’utilizzo di una protesi inversa.

Dal punto di vista pratico, numerosi studi hanno confrontato tra loro i risultati ottenutidalle diverse tecniche, anche se la maggior parte di essi è stato condotto in maniera retro-

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spettiva e non randomizzata. La maggior parte di questi studi sono d’accordo nell’evidenzia-re che non esistono differenze statisticamente significative in termini di risultati clinici e strut-turali a lunga distanza. La riduzione del dolore postoperatorio, la più rapida ripresa funzionale,il vantaggio della preservazione del deltoide e la spinta di pazienti e industrie hanno aumen-tato notevolmente le riparazioni artroscopiche.

Trattamento postoperatorioLesioni posterosuperiori. In caso di lesioni posterosuperiori è consigliabile proteggere

la riparazione ottenuta, indipendentemente dalla tecnica usata, mediante immobilizzazione inun tutore con 30° gradi di abduzione e 0° di rotazione. Tale posizione da un lato riduce latensione sulle suture eseguite, dall’altro aumenta il flusso vascolare al tendine. Tale immobi-lizzazione dovrà essere mantenuta per le prime 6 settimane post-operatorie. Durante tale pe-riodo potrà essere condotta una kinesiterapia passiva, evitando la flessione superiore a 90°. Alla rimozione del tutore seguirà un percorso riabilitativo più intenso con kinesiterapia pas-siva e attiva assistita e idrokinesiterpia. Lo scopo di questa fase è il recupero della mobilità pas-siva completa. Solo dopo 3 mesi potrà essere iniziato il rinforzo muscolare, che consisteràdapprima in esercizi eccentrici, quindi isometrici ed infine isotonici.

Lesioni anterosuperiori. In caso di lesioni dell’SSC, la spalla potrà essere mantenuta perle prime 6 settimane post-operatorie in un semplice reggibraccio. La kinesiterapia post-ope-ratoria passiva dovrà evitare una rotazione esterna superiore a 0°. Dopo 6 settimane, il reggi-braccio sarà rimosso e potranno essere iniziate la kinesiterapia passiva libera, la kinesiterapiaattiva assistita e l’idrokinesiterapia. Il rinforzo muscolare dovrà attendere 3 mesi.

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FIGURA 49Double row:in questo schemasono utilizzate soloun’ancora mediale e una laterale.I fili dell’ancora mediale sono statiusati per dellesuture side-to-side, quelli dell’ancoralaterale sono stati annodati contecnica lasso-loop

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Lesioni parziali della cuffia dei rotatori

Un capitolo a parte delle lesioni della cuffia dei rotatori è occupato dalle lesioni parzia-li. Tali lesioni consistono in un distacco non completo del tendine dalla sua inserzione per cuiuna porzione variabile di tendine rimane completamente inserita (Fig. 50).

Le lesioni parziali sono spesso riscontrate in giovani sportivi sintomatici e non sintoma-tici come risultato di microtraumi ripetuti e di microinstabilità (impingement posterosuperio-re, impengement interno, slap), nonchè in soggetti più anziani in assenza di traumi. Possonoessere localizzate nella porzione articolare del tendine dell’SSP (più frequente), in quella in-tratendinea o in quella bursale. La loro diagnosi non è semplice e richiede l’utilizzo di artro-RM. Allo stesso modo, il corretto trattamento di queste lesioni è complesso. Solo l’insuccessodi un prolungato trattamento riabilitativo pone l’indicazione chirurgica. Alcuni autori han-no proposto l’utilizzo di semplice debridement della lesione con o senza acromioplastica,(21) al-tri la trasformazione della lesione parziale in lesione completa, da riparare poi in manierastandard(22) e, infine, altri ancora la riparazione transtendinea che mantiene intatta la porzio-ne di tendine normalmente inserita.(23)

Alcuni autori hanno suggerito che una lesione superiore al 50% della superficie tendi-nea presenta l’indicazione alla riparazione piuttosto che al semplice debridement, ma in realtàè molto difficile stabilire con certezza la dimensione dell’inserzione tendinea anche durantel’artroscopia. Crediamo che l’età del paziente, la presenza di lesioni associate e il quadro cli-nico del paziente siano importanti per capire se la reale causa del dolore alla spalla sia legataalla presenza di una lesione parziale dell’SSP. Solo in questo caso la sua riparazione è giusti-ficata. La riparazione transtendinea è eseguita inserendo un’ancora attraverso deltoide, spaziosubacromiale e la restante porzione intatta del tendine. Le suture verranno fatte passare attra-verso la porzione mediale sana del tendine dell’SSP anteriormente e lateralmente alla lesio-ne mediante un clever hook inserito dallo spazio subacromiale. Difficoltà principale di taletecnica è che, dopo la bursectomia subacromiale, l’ottica sarà mantenuta per tutto il tempodella ricostruzione nello spazio articolare, rendendo impossibile la diretta visualizzazione delpunto di ingresso del clever hook attraverso la cuffia.

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FIGURA 50Lesione PASTA

(Partial ArticularSurface Tendon

Avulsion)Immagine

artro-RM in sezionecoronale (A)

Immagine artroscopica,

visione con l’otticanel portale

posteriore (B)

A B

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TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DELLA CUFFIA DEI ROTATORI

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Anatomia patologica

Le lesioni del capo lungo del bicipite (CLB) possono essere divise in:

Avulsione dell’ancora bicipitale dal margine superiore della glena (Superior Labrum AnteriorPosterior, SLAP lesion). Si tratta di lesioni traumatiche associate a microinstabilità dell’ar-ticolazione gleno-omerale, che si verificano spesso in atleti overhead (Fig. 51).

Lesioni degenerative. Sono localizzate distalmente all’ancora bicipitale e sono solita-mente associate a lesione della cuffia dei rotatori. In particolare la rottura del tendi-ne del sottoscapolare (SSC) e del sovraspinato (SSP) creano un instabilità del tendinedel CLB che a sua volta può condurre a una sua sublussazione, lussazione o degene-razione. Le fibre anteriori dell’SSP e quelle craniali dell’SSC partecipano, infatti, al-la costituzione della puleggia di stabilizzazione del tendine del CLB al puntod’ingresso nel solco bicipitale.

TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DEL CAPO LUNGO E DEL BICIPITE

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Terapia chirurgica delle lesionidel capo lungo e del bicipite

FIGURA 51Lesione SLAPall’esame artro-RMin sezione coronale

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Slap lesion

La prima descrizione di una lesione dell’ancora bicipitale è datata 1985 ad opera diAndrews et Al.(1) Alcuni anni dopo Snyder ha coniato il termine SLAP per descrivere dellelesioni labrali superiori che si estendono da posteriore ad anteriore.(2) Il labbro superiore, a dif-ferenza di quello inferiore, si inserisce alla glena mediante un sottile tessuto connettivo ela-stico. Inoltre, la cartilagine articolare si estende per 5 mm oltre il bordo superiore della glena,creando un fisiologico recesso sublabrale tra il CLB, il labbro e la glena.

Tale morfologia rende spesso difficile, anche durante visualizzazione diretta del labbro, ladiagnosi di una SLAP lesion. Snyder nel descrivere le lesioni tipo SLAP ne ha anche fornitouna classificazione suddividendole in 4 tipi:

le lesioni tipo I sono caratterizzate da fibrillazioni e degenerazione del labbro superio-re senza distacco dal margine glenoideo;

le lesioni tipo II, più frequenti, consistono in un distacco del labro superiore e del ten-dine del CLB ad esso inserito, associato a lesioni degenerative simili a quelle descritte per lelesioni tipo I;

le lesioni tipo III consistono in un manico di secchia del labbro superiore con una por-zione restante di labbro ed ancora bicipitale normalmente inserita;

le lesioni tipo IV si caratterizzano per la presenza di un manico di secchia che si esten-de fino al tendine del CLB.

Lo schema di classificazione di Snyder è stato in seguito arricchito di altre tipologie dilesioni labrali da Maffet:(3)

le lesioni tipo V consistono in una lesione di Bankart che si estende superiormente, de-terminando anche il distacco del CLB;

le lesioni tipo VI sono simili alle lesioni tipo II, con l’aggiunta della presenza di un flapdi CLB instabile;

le lesioni tipo VII consistono in una lesione tipo II che si estende anteriormente, coin-volgendo anche il legamento gleno-omerale medio;

le lesioni tipo VIII consistono in un distacco completo a 360° del cercine glenoideo.

L’eziologia esatta delle SLAP lesion è dibattuta. Andrews ha inizialmente sostenuto chetali lesioni avvenivano negli atleti lanciatori nella fase di rilascio del braccio, immediatamen-te dopo il lancio, a causa di un sovraccarico tensile sul CLB, dovuto, a sua volta, all’estensio-ne rapida del gomito (avulsione). La teoria dell’impingement interno di Walch(4) prevede, invece,che la lesione si verifichi nella fase di carico del lancio, quando la spalla è in abduzione-rota-zione esterna. In questa posizione il trochite può sviluppare un artrito con il labbro posterosuperiore e l’impingement della cuffia dei rotatori tra la glena e la tuberosità stessa (Fig. 52).

In realtà l’impingement interno in abduzione-rotazione esterna è un fenomeno non pa-tologico che occorre anche in assenza di lesioni specifiche.

Tuttavia, quando all’impingement interno si associa una contrattura della capsula posteroinferiore, la testa omerale trasla anterosuperiormente.(5) Tale situazione si associa ad una rota-zione del tendine del CLB lungo il proprio asse con un successivo peel-back dell’ancora bici-pitale trazionato dalla testa omerale.

IndicazioniLa diagnosi di una SLAP lesion è complessa per diverse ragioni. È una lesione relativamente rara che si presenta con sintomi simili ad altre patologie, co-

me ad esempio le lesioni della cuffia dei rotatori, ed è inoltre spesso associata ad altre lesioni.Esistono numerose manovre cliniche utilizzate per confermare un sospetto anamnestico di unaSLAP anche all’esame obiettivo.

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Tra questi il grind test, simile al test di McMurray per le lesioni meniscali, l’O’Brien teste lo speed test sono tra i più utilizzati, ma sono tutti aspecifici e non determinanti nel percor-so terapeutico. L’unico esame strumentale in grado di confermare il sospetto clinico di unaSLAP è un artro-RM, anche se spesso in soggetti asintomatici un recesso sublabrale oltre cheun vero e proprio sublabral hole possono essere erroneamente classificati come una SLAP.L’indicazione chirurgica alla riparazione di una SLAP lesion è legata principalmente alla pre-senza di un quadro clinico-radiologico suggestivo. Infatti, il trattamento conservativo di que-ste lesioni può essere efficace solo nel caso di conflitto interno e contrattura della capsulapostero-inferiore, in cui un recupero completo della rotazione interna può migliorare la sin-tomatologia dolorosa. Il ritorno ad attività sportiva a un livello simile a quello presente pri-ma dell’infortunio, dopo la riparazione chirurgica, è elevato (dal 70% all’80%).(5)

Terapia chirurgicaLa procedura chirurgica è legata innanzitutto al tipo di lesione SLAP riscontrata. Mentre

il debridement è sufficiente per lesioni tipo I secondo Snyder, le lesioni tipo II richiedono lareinserzione dell’ancora bicipitale, le lesioni tipo III la rimozione del manico di secchio e, in-fine, le lesioni tipo IV una tenotomia/tenodesi del CLB o una semplice rimozione del ma-nico di secchio. Nelle lesioni tipo II, il solo debridement artroscopico ha mostrato risultatiinsoddisfacenti e lo sviluppo di una possibile instabilità dolorosa del CLB. Al contrario, lareinserzione del labbro glenoideo superiore e del CLB alla glena mediante ancore e suturenelle lesioni tipo II si è dimostrata efficace e con risultati clinici soddisfacenti.(5)

Alcuni autori hanno dimostrato come dopo i 50 anni di età e in presenza di una lesio-ne della cuffia dei rotatori, la riparazione di una lesione SLAP non si associa a nessuna van-taggio clinico.(6) Di seguito descriviamo la tecnica per l’esecuzione di una riparazioneartroscopica di una lesione SLAP tipo II. Dopo la somministrazione di un’anestesia generaleo interscalenica, il paziente è posto in decubito laterale con l’arto superiore in leggera trazione.

Il portale artroscopico posteriore è praticato in posizione standard nel soft spot caudal-mente e medialmente all’angolo posterolaterale dell’acromion. Un accesso di mezzo centi-metro inferiore a quello utilizzato per la riparazione della cuffia dei rotatori permette divisualizzare meglio la lesione, ed in particolare la sua componente posteriore. Un artroscopiadiagnostica è eseguita per confermare la diagnosi di lesione SLAP e valutare la presenza di le-sioni associate. Un portale anteriore praticato nell’intervallo dei rotatori deve permettere ilposizionamento di un ancora a ore 12 della glenoide con una buona angolazione. È benequindi valutare attentamente mediante un ago la corretta posizione del portale anteriore pri-ma dell’incisione cutanea, in modo tale che esso cada nella porzione superiore dell’interval-lo il più possibile in prossimità del CLB. Una cannula adatta al passaggio dell’ancora èintrodotta nel portale eseguito.

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TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DEL CAPO LUNGO E DEL BICIPITE

FIGURA 52Impingementinterno in abduzionerotazione esternadella cuffia deirotatori tra iltrochite e la glena.

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Un palpatore deve essere posto nel recesso sublabrale per differenziare una lesione SLAPtipo II da un eccessivo recesso sublabrale. Una volta confermata la diagnosi, si procederà al de-bridement della cartilagine articolare posta sopra al margine glenoideo superiore e dell’anco-ra bicipitale. Dopo il debridement, un ulteriore del l’estensione della lesione labrale dovrà essereeseguita per stabilire il numero di ancore necessario.

Nella nostra esperienza la maggior parte delle lesioni SLAP può essere riparata con unasingola ancora caricata con un doppio filo, anche se lesioni che si spingono posteriormentefino a ore 10 possono richiedere più ancore. Tramite un ago spectrum, un filo PDS N.1 è spin-to attraverso il labbro superiore posteriormente al CLB. Il filo PDS è utilizzato come shuttleper caricare il labbro con un filo non riassorbibile. Tramite lo stesso portale anteriore e dopoopportuna preparazione dell’alloggio glenoideo, un’ancora è fissata tra le ore 11 e le ore 12.Tale ancora sarà caricata con due fili non riassorbibili di diverso colore; in particolare il pri-mo filo sarà quello già fatto passare in precedenza attraverso il labbro. Alcuni autori preferi-scono eseguire un terzo portale artroscopico (portale di Wellington) medialmente al marginedell’acromion per il piazzamento dell’ancora.

Questo portale offre il vantaggio di un migliore angolo di posizionamento dell’ancorama causa una lesione della giunzione muscolo-tendinea del sovraspinato,(7) preferiamo per-tanto utilizzare il solo portale anteriore. Con un clever hook o con un secondo shuttle, il secondofilo di sutura è fatto passare attraverso la porzione anteriore dell’ancora bicipitale.

Dopo avere isolato i capi dei fili non riassorbibili, a due a due, una prima sutura può es-sere annodata per stabilizzare la parte posteriore dell’ancora bicipitale. Successivamente an-che la sutura anteriore è annodata. È molto importante valutare la giusta tensione che lesuture effettuano sull’ancora bicipitale: il CLB deve restare una struttura mobile sottopostaa forze di trazione lungo il proprio asse, un’eccessiva tensione della sua ancora potrebbe es-sere causa di dolore postoperatorio. Come già accennato, in caso di lesioni che si spingonoposteriormente potrebbe essere necessario impiantare un’ulteriore ancora a ore 10. In que-sto caso essa sarà la prima ancora ad essere posizionata e sarà necessario eseguire un portaleaccessorio posterolaterale all’incirca 2 cm lateralmente al margine dell’acromion.

Numerosi varianti tecniche sono state proposte per la riparazione delle lesioni SLAP II.Diversi autori preferiscono utilizzare più ancore caricate con un singolo filo per semplifi-care il passaggio delle suture ed evitare interposizioni dei due fili di sutura. Tale tecnica an-che se più semplice è più costosa.

Trattamento postoperatorioIn seguito alla riparazione di una lesione SLAP isolata il braccio sarà mantenuto in un reg-

gibraccio per le prime settimane in base al fastidio del paziente. Un protocollo riabilitativocon esercizi di mobilizzazione passiva e attiva può essere iniziato immediatamente. La contra-zione del braccio in flessione contro resistenza dovrà essere evitata per le prime 6 settimane.

Tenodesi artroscopica del capo lungo del bicipite

Una tenodesi del CLB è solitamente indicata nel trattamento delle lesioni della pulley oin caso di lesioni della cuffia dei rotatori associate ad una instabilità del CLB. Boileau et Alhanno già dimostrato l’efficacia di una tenotomia/tenodesi del CLB sulla sintomatologia do-lorosa in presenza di lesione della cuffia dei rotatori.(8) Il dibattito tra tenotomia semplice etenodesi del CLB in questi casi è ancora aperto, con argomentazioni a vantaggio e svantag-gio di ciascuna tecnica. Nel presente paragrafo ci limiteremo a descrivere la tecnica artro-scopica di esecuzione di una tenodesi. Durante la procedura artroscopica, dopo aver valutatola presenza di una indicazione corretta, può essere praticato un portale anterolaterale.

Se possibile, una leggera estensione del l’omero permetterà di allontanare il CLB dal del-toide aumentando lo spazio a disposizione per l’esecuzione della tenodesi, inoltre il gomito

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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dovrà essere posizionato in estensione completa. Tramite il portale anterolaterale è eseguitoil debridement del sulcus bicipitale. Un ancora caricata con due fili non riassorbibili è inseritaall’interno del sulcus. Tramite un clever hook, utilizzando, oltre al portale laterale di visione e aquello anterolaterale occupato dalle suture, il portale anteriore eseguito durante la fase in-trarticolare dell’artroscopia, le suture sono fatte passare attraverso il CLB. Per migliorare latenuta delle suture, preferiamo eseguire con almeno uno dei capi di ciascuna sutura un lassoloop come descritto da Lafosse. Le suture possono quindi essere annodate. Al termine della te-nodesi, verrà eseguita la tenotomia del CLB e, se necessario, l’asportazione della porzioneprossimale alla tenodesi. Il trattamento post-operatorio è simile a quello descritto per le SLAP,anche se spesso la tenodesi del CLB è eseguita in pazienti con una concomitante lesione del-la cuffia dei rotatori che richiedono l’uso di un tutore in abduzione.

Bibliografia

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2 Snyder SJ, Karzel RP, Del Pizzo W: SLAP lesions of the shoulder. Arthroscopy 6:274-279, 1990.

3 Maffet MW, Gartsman GM, Moseley B: Superior labrum biceps tendon complex lesions ofthe shoulder. Am J Sports Med 23:93-98, 1995.

4 Walch G, Boileau J, Noel E, et al. Impingement of the deep surface of the supraspinatus ten-don on the posterior superior glenoid rim: An arthroscopic study. J Shoulder Elbow Surg1992;1:238-243

5 Burkhart SS, Morgan CD: The peel-back mechanism: its role in producing and extending po-sterior type II SLAP lesions and its effect on SLAP repair rehabilitation. Arthroscopy 14:637-640, 1998.

6 Franceschi F, Longo UG, Ruzzini L, Rizzello G, Maffulli N, Denaro V. No advantages in repai-ring a type II superior labrum anterior and posterior (SLAP) lesion when associated with ro-tator cuff repair in patients over age 50: a randomized controlled trial. Am J Sports Med.2008;36:247-53.

7 Oh JH, Kim SH, Lee HK, Jo KH, Bae KJ. Trans-rotator cuff portal is safe for arthroscopic su-perior labral anterior and posterior lesion repair: clinical and radiological analysis of 58SLAP lesions. Am J Sports Med. 2008;36:1913-21

8 Boileau P, Baqué F, Valerio L, Ahrens P, Chuinard C, Trojani C. Isolated arthroscopic bicepstenotomy or tenodesis improves symptoms in patients with massive irreparable rotator cufftears. J Bone Joint Surg Am. 2007;89:747-57

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TERAPIA CHIRURGICA DELLE LESIONI DEL CAPO LUNGO E DEL BICIPITE

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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IntroduzioneLe rotture del tendine di Achille si verificano più frequentemente in soggetti tra terza e

quinta decade di vita(1,2). Il sesso maggiormente colpito è quello maschile con rapporto di5:1(3,4). I traumi diretti sono causa rara di rottura(5), mentre più frequentemente si tratta di rot-ture da trauma indiretto, combinazione di stress meccanici su un substrato degenerativo a ca-rico dell’Achilleo(6). Sono stati proposti tre diversi meccanismi di rottura da carico indiretto(3):

Dorsiflessione della caviglia improvvisa accoppiata a una forte contrazione del tricipitedella sura (caduta accidentale del piede in una buca)

Spinta sul piede portante con ginocchio esteso (affondi per effettuare un colpo di tennis)

Violenta forza in dorsiflessione esercitata su una caviglia flessa plantarmente (saltare dall’alto)

Tutti i meccanismi descritti comportano un caricamento rapido su un tendine già intensione. Le rotture dell’Achilleo frequentemente insorgono in soggetti che occasionalmen-te si dedicano ad attività sportiva dilettantistica(1,7). Le rotture per trauma diretto si possonolocalizzare in qualsiasi punto lungo il decorso del tendine; al contrario le rotture da traumaindiretto si verificano abitualmente in un area localizzata a 2-6 cm dall’inserzione calcanea-re(8). Tale area è definita da molti autori “zona vulnerabile”(8).

Come già detto le rotture dell’Achilleo raramente si verificano su un tendine sano, maspesso sussistono fattori predisponenti, sistemici o locali. Tra i fattori sistemici si ricordano leartropatie infiammatorie sistemiche (AR, LES, gotta)(9,10), le disfunzioni endocrine (IRC,Ipertiroidismo)(11), le infezioni (sifilide e infezioni batteriche)(12), i tumori(11) e l’utilizzo siste-mico e prolungato di corticosteroidi(9,11,12,13). Tra i fattori locali si annoverano le infiltrazionilocali di corticosteroidi(9,11,12,13) e la degenerazione intrinseca del tendine(3,7,14,15). Per quantoriguarda i fenomeni degenerativi intratendinei, studi istologici(3) hanno evidenziato la presenzadi alterazioni degenerative fibrinoidi e mixomatose e di calcificazioni tendinee sui siti di rot-tura. Per quanto concerne la degenerazione tendinea, un ruolo cruciale è svolto dalla vasco-larizzazione locale. Arner e coll.(3) hanno affermato che dopo la terza decade di vita l’apportovascolare al tendine si riduce, in special modo a livello della “zona vulnerabile”, dove i vasirisultano ridotti per numero e dimensione. Inoltre si è osservato che in questa regione la cir-colazione deriva da strutture peritendinee che possono essere ridotte o interrotte da una ten-dinite cronica.(16)

Le rotture sono state classificate in base alla sede da Lea e Smith(17) e da Shilds e coll.(18) in:

Rottura inserzionale (4%-14%)

Rottura intratendinea (73%-72%)

Rottura giunzione muscolo-tendinea (23%-14%)

Trattamento chirurgicoIl trattamento non chirurgico delle rotture del tendine di Achille predominava nel -

l’Ottocento e nel Novecento. Poi a partire dagli anni ’20 ha preso gradualmente piede la ri-parazione chirurgica. La base del trattamento conservativo prevede che ponendo il piede inequinismo i capi del tendine di Achille rotto vengano portati in apposizione.

TENDINE DI ACHILLE

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Tendine di Achille

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Secondo Lea e Smith(17), un’immobilizzazione in gambaletto gessato con piede in lieveequinismo per 8 settimane, seguita dall’applicazione di un rialzo di 2,5 cm al tacco della cal-zatura per 4 settimane, assicura risultati funzionali complessivamente soddisfacenti e parago-nabili a quelli della terapia chirurgica. In realtà il trattamento conservativo espone a unarecidiva della rottura in misura nettamente più elevata della terapia chirurgica. Nelle varie ca-sistiche l’incidenza della ri-rottura varia tra l’8% e il 39% (in media 18%)(17,19,20). Inoltre iltrattamento conservativo espone nel 20% dei casi a eccessivo allungamento del tendine conrisultati funzionali solo mediocri(20,21) (Tab. 1).

Sulla scorta di questi dati si ritiene che il trattamento conservativo possa costituire un’al-ternativa alla via cruenta solo nei soggetti anziani e in quelli in cui è controindicato l’inter-vento. Negli altri casi, in particolare negli sportivi, la necessità di assicurare una restitutio adintegrum, induce a preferire la via cruenta.

Inoltre un’importante indicazione chirurgica è il ritardo nella diagnosi, che determinanecessariamente retrazione dei capi del tendine leso.

Pertanto il trattamento chirurgico delle rotture dell’Achilleo segue le indicazioni ripor-tate nella tabella successiva (Tab. 2).

Vie di accessoLe vie di accesso comunemente adottate sono la longitudinale mediana e la paramedia-

na interna ed esterna. La via longitudinale mediana(7,22,23) ha lo svantaggio di aumentare l’in-cidenza di aderenze tra tendine e piano cutaneo e di essere spesso sede di dolenzia per l’attritocon la calzatura. La via paramediana interna(7,23) e la via paramediana esterna(7,22,23) consento-no entrambe una buona esposizione del tendine ed evitano che la cicatrice decorra lungo ilpiano di scorrimento tra cute e tendine; la prima è preferibile in quanto evita il decorso del-la piccola safena e del nervo surale.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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INDICAZIONI CHIRURGICHE PER LA ROTTURA DEL TENDINE DI ACHILLE

Indicazioni Assolute Indicazioni Relative Controindicazioni

• Rottura acuta • Tendinosi cronica • Età avanzata• Rottura parziale (> 6 mesi) • Inattività• Ampia rottura parziale • Peritendinite cronica • Mediocri condizioni • Recidiva della rottura con tendinosi (> 6 mesi) di salute• Rottura inveterata • Insuccesso di un • Scarsa integrità

trattamento conservativo della cutea lungo termine (> 6 mesi) • Malattia sistemica

TABELLA 2

TRATTAMENTO DELLA ROTTURA DEL TENDINE DI ACHILLE

Fattori Non chirurgici Chirurgici

MorbilitàComplicanze chirurgiche NessunaCosti ospedalieriCosti mediciForza e resistenzaPercentuale di recidiva 18% 2%

>>

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>>

>>

>

TABELLA 1

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Tecniche chirurgiche

Lesioni recentiQueste lesioni possono essere riparate mediante sutura termino-terminale ed eventuale

rinforzo dalla sutura con filo metallico di pull-out(8,20,25), ancorette di sutura(24), lembi di fascialata(7,25), lembi dello stesso Achilleo(8,25), tendine del plantare(7,8,25) e altri tendini vicini (planta-re breve, flessore lungo dell’alluce) (25). Infatti la sutura termino-terminale ha l’inconveniente dinon assicurare sufficienti garanzie di tenuta nei casi in cui i due capi tendinei sono sfilacciati elacerati. In questi casi si può tentare di recentare i margini fino ad ottenere tessuto sufficiente-mente compatto, ma si corre il rischio di accorciare eccessivamente il tendine e di dover ef-fettuare la sutura in eccessiva tensione. Fasi chirurgiche per la riparazione primaria(8):

Si posiziona il paziente in decubito prono, utilizzando un tourniquet per l’emostasi. L’arto controlaterale fornisce una buona comparazione intraoperatoria della lunghezzaa riposo del tricipite surale.

Si pratica via di accesso paramediana interna tramite incisione cutanea longitudinale dicirca 10 cm, estendendola prossimalmente a partire dall’inserzione del tendine.

Si approfondisce l’incisione direttamente sul peritenonio, esponendo la rottura.

Si flette plantarmente la caviglia per accostare i capi del tendine; si sbriglia l’ematoma.

Si utilizza la tecnica di Kessler modificata, di Bunnel o di Krackow(26) con filo di suturanon riassorbibile di grosso calibro per accostare i capi del tendine. (Fig. 53)

Si rinforza la riparazione con numerose suture staccate.

È possibile rinforzare la riparazione mediante le tecniche di seguito descritte.

TENDINE DI ACHILLE

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FIGURA 53Tecniche di sutura.

A: Doppia sutura di Bunnel

B: Sutura singola di Bunnel

C: Doppia sutura di Kessler

D: Sutura singola di Kessler

E: Doppia sutura di Krackow

A B

DC E

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Tecniche di rinforzoFilo metallico: può essere utilizzato sia come materiale di sutura secondo la tecnica del “pull-

out” alla Bunnel (Fig. 54A), oppure come rinforzo della sutura termino-terminale e lasciato in si-tu permanentemente. È preferibile utilizzare tecniche di plastica biologica, che consentono unamigliore cicatrizzazione, garantendo una eguale resistenza meccanica.

Lembi dell’Achilleo: può essere effettuato mediante diverse varianti, che prevedono l’uti-lizzo del largo lembo di aponeurosi dei gemelli ribattuto in basso e suturato al moncone distale,oppure di due lembi rettangolari scolpiti sulla faccia dorsale del moncone prossimale (Fig.54B).Tale tecnica è eseguibile solo se il tendine è sufficientemente compatto.

Tendine del plantare gracile: è il tendine autoplastico più comunemente utilizzato. Può es-sere sezionato prossimalmente e introdotto a 8 nello spessore dei due monconi (Fig. 55A); in al-ternativa può essere disinserito distalmente e fatto passare ad anello nella massa muscolare delpolpaccio e fissato in basso al calcagno; oppure, infine, può essere aperto a ventaglio nella sua estre-mità distale, che viene fissata a ponte sulla sutura termino-terminale.

Tendine del peroneo breve: Perez-Teuffer ha proposto di utilizzare questo tendine cheviene disinserito dal V metatarso, introdotto in un tunnel scavato nel calcagno e suturato in-fine al tendine di Achille (Fig.55B).

Lembi di fascia lata: utilizzata sia sotto forma di strisce a rinforzo della sutura, sia sot-toforma di lamine con cui vengono avvolte a tubo i due capi del tendine riparato (Fig. 56)

Nel 1977 Ma e Giffith(27) hanno descritto una tecnica in anestesia locale di riparazionepercutanea di rottura del tendine di Achille.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 55Rinforzo con

tendine del plantare gracile (A). Tecnica di

rinforzo secondo Perez-Teuffer

con tendine del peroneo breve (B).

A B

Tendineplantare

FIGURA 54Rinforzo con

pull-out in filo metallico di acciaio

inossidabile (A)

Rinforzo con due lembi tendinei

ribattuti in basso (B)

Pull-out Pull-out

Viteossea

Sito di sutura

Filo di grossocalibro in acciaio inossidabile

A B

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Nonostante l’entusiasmo iniziale, successivamente altri autori(9,28) hanno riferito un’eleva-ta percentuale di recidiva (12% Bradley e Tibone; 33% Aracil e coll). Inoltre sono state descrit-te lesioni del nervo surale(1,28).

Trattamento post-operatorioSi pone la gamba in un gambaletto gessato flettendo plantarmente la caviglia senza eser-

citare una tensione sulla riparazione. Ad ogni cambio di gesso la caviglia viene gradualmen-te dorsiflessa fino a raggiungere una posizione neutra.

A 4 settimane dall’intervento si applica un gambaletto gessato aggiungendo un tacco dadeambulazione. Sei settimane dopo l’intervento si rimuove il gesso e si sospende l’immobi-lizzazione(8,25).

ComplicanzeLe complicanze del trattamento chirurgico consistono in formazione di un cheloide(29),

lesioni del nervo surale(17), aderenze(17,27,29), infezione(17,20,27,29), necrosi dei margini della feritaoperatoria(17,27,29), trombosi venosa profonda(25), recidiva della rottura(8,25,27).

Per quanto concerne i fenomeni necrotici, questi possono interessare soltanto una pic-cola zona di cute, che cicatrizzano spontaneamente nel corso di qualche settimana o, rara-mente, possono estendersi a gran parte della ferita operatoria. La genesi di questa complicanzaè ancora in gran parte oscura. Si verifica più frequentemente nei soggetti operati dopo diversigiorni dalla rottura, probabilmente a causa dei disturbi trofici della cute conseguenti alle al-terazioni vascolari locali, e in quelli in cui la sutura cutanea è sottoposta a un’eccessiva ten-sione da parte del tendine o di un’eventuale ematoma. La recidiva della rottura, infine, è unacomplicanza piuttosto rara, la cui frequenza si aggira mediamente intorno al 2%(8,25,27). Essa siverifica nelle prime settimane dopo la rimozione del gesso ed è spesso determinata da un trau-ma violento. Per questo si consiglia la ripresa all’attività sportiva solo dopo un mese dalla ri-mozione del gesso.

Riparazione differitaLa necessità di una riparazione differita è poco comune, in quanto solo in un quarto delle

casistiche(3,5,22) è documentata una rottura dell’Achilleo trascurata. La mancanza di dolore conti-nuo e di una tumefazione significativa può portare il paziente a ignorare i sintomi, con conse-guente ritardo nella diagnosi e nel trattamento. Spesso il paziente lamenta instabilità nelladeambulazione, difficoltà nel salire o scendere le scale e difficoltà nel sollevarsi in punta di piedi.

La definizione di lesione inveterata o tardiva è controversa. Secondo Gabel e Manoli(30)

e Porter e coll.(31), la lesione è da considerare inveterata quando sono trascorse almeno 4 set-timane dalla rottura. Nelle rotture inveterate la presenza di diastasi interframmentaria rende

TENDINE DI ACHILLE

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FIGURA 56Rinforzo mediante lembo di fascia lata avvolto a tubo intorno ai due monconi tendinei.

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di solito necessario l’allungamento del tendine, previa rimozione del tessuto che occupa lospazio fra i monconi e recentazione dell’estremità di questi. Bosworth(32) ha osservato infatti,che già entro 3-4 giorni dalla rottura avviene una contrattura del complesso del tricipite del-la sura che comporta difficoltà ad accostare i capi tendinei lesi intraoperatoriamente. Dalton(33)

ha diviso le tecniche di riparazione differita in autologhe e sintetiche come segue:

Riparazione primariaIdealmente è sempre preferibile, ma di fatto la contrattura del complesso gastrocnemio-

soleo rende improbabile il successo di questa metodica. Infatti dopo l’escissione del tessutocicatriziale intervallare la notevole discontinuità tra i capi preclude la sutura termino-termi-nale. Sebbene alcuni autori(31) hanno documentato buoni risultati dopo riparazione prima-ria, Bosworth(32) ha osseravato che i tentativi di riparazione primaria in questi pazienti possonoportare ad accorciamento della reale lunghezza del tricipite della sura.

Tecniche di aumentoTecnica secondo Bosworth: Bosworth(32) ha proposto una tecnica in cui una striscia lon-

gitudinale di tendine larga 1,5 cm e lunga circa 20 cm veniva distaccata dalla porzione cen-trale della fascia del gastrocnemio-soleo. Ancora inserita sull’estremo distale del segmentoprossimale veniva poi intrecciata attraverso i monconi prossimale e distale del tendine, col-mando a ponte il difetto (Fig. 57A).

Tecnica di Arner e Lindholm: in questa tecnica(3) si ricorre all’uso di due lembi fasciali,ciascuno di 1x8 cm circa, lasciati inseriti a 3 cm dal margine prossimale del sito di rottura, ruo-tati in basso per aumentare la riparazione del tendine di Achille. Altri autori hanno apporta-to delle modifiche alla metodica originale. Inglis e coll.(5) hanno utilizzato lembi leggermentepiù lunghi (10 cm), che venivano intrecciati attraverso il moncone distale e ribattuti nuova-mente sul moncone prossimale. Gardes e coll.(34) hanno invece utilizzato un unico lembo abase centrale ruotato in basso.

Plastica a V-Y: utilizzando un’estesa incisione longitudinale, la fascia del gastrocnemio-soleo viene sezionata a livello della giunzione muscolo-tendinea. La tecnica per l’avanza-mento richiede che i bracci obliqui dell’incisione a V-Y debbano essere una volta e mezza piùlunghi del difetto tendineo, in modo da consentire un’appropriata apposizione dopo lo scor-rimento distale dell’innesto fasciale(35).

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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AUTOLOGHE

• Riparazione primaria (rara)

• Aumento1 Innesto fasciale libero di tendine

a Fascia latab Tendini donatori

(Semitendinoso, gracile e rotuleo)2 Avanzamento fasciale

a Plastica a V-Yb Innesto fasciale di gastrocnemio

soleo ruotato in basso3 Trasferimento di tendine locale

a Flessore lungo dell’alluce (FLA)b Flessore lungo delle dita (FLD)c Peroneo breve (PB)d Peroneo lungo (PL)e Plantaref Tibiale posteriore

SINTETICHE E ALLOINNESTI

• Riparazione con fibra poliglicolica

• Riparazione con maglia in Marlex

• Riparazione innesto vascolare in Dacron

• Riparazione con fibra di carbonio

• Riparazione sostituzione con alloinnesto di tendine

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Tecnica di Bugg e Boyd: i due monconi del tendine vengono uniti mediante alcunestrisce di fascia lata e il tendine viene poi avvolto con un ampio lembo fasciale sagomato atubo (Fig. 57B)(36). Secondo Tobin(37) la fascia lata può essere utilizzata anche sotto forma diuna lamina arrotolata su se stessa, le cui estremità vengono introdotte nei due capi tendinei esuturate a ventaglio ai due monconi e tra di loro.

Trasferimenti tendineiL’impiego del tendine del tibiale posteriore(38) e del tendine plantare(39) sono stati proposti

per il trattamento delle rotture sia acute che inveterate dell’Achilleo, tuttavia entrambi nonhanno garantito risultati soddisfacenti. Pertanto si preferisce attualmente l’utilizzo di altri ten-dini che provocano minori deficit residui e assicurano una riparazione più valida. I tendinimaggiormante impiegati sono quelli del FLA, FLD, PB.

Trasferimento del peroneo breve: i primi a descrivere l’uso del tendine del PB neltrattamento differito della rottura del tendine di Achille sono stati White e Kraynick(40).

Tale tecnica è stata successivamente modificata da Teuffer(41) e più tardi da Turco eSpinella(42). Dopo aver isolato e distaccato il PB dal V metatarso, lo si trasferisce in senso late-ro-mediale attraverso un foro praticato nel calcagno. Successivamente si sutura il tendine a sestesso e al tendine di Achille prossimalmente e distalmente.

Trasferimento di FLA e FLD: tecnica introdotta da Mann e coll.(43), i quali hanno rite-nuto che questo trasferimento riproducesse la trazione mediale del tendine di Achille e che per-tanto fosse preferibile al trasferimento del PB. Si pratica l’accesso al tendine di Achille medianteun’incisione paramediana interna. Si espongono i tendini del FLA e FLD mediante un’ulterio-re incisione cutanea ad arco, effettuata inferiormente e distalmente allo scafoide ed estesa lungoil bordo superiore dell’abduttore dell’alluce. A seconda del tendine scelto per il trasferimento, losi seziona distalmente e lo si porta alla ferita posteriore in prossimità del tendine d’Achille.

A questo punto il chirurgo può tenodesizzare il moncone distale del FLA o del FLD (a se-conda del tendine scelto precedentemente) al tendine adiacente, procedura da effettuarsi con ledita minori o l’alluce atteggiati in posizione neutra (FLA pro FLD, oppure FLD pro FLA). Si pra-tica un foro trasversale posteriormente nel calcagno, e si passa il tendine in direzione medio-la-terale, suturandolo al tendine di Achille con filo non riassorbile. Si può associare una plastica dirinforzo con un piccolo lembo (1x3 cm) prelevato dal moncone prossimale dello stesso tendined’Achille e ribaltato in basso, colmando l’intervallo della rottura(25).

Trattamento post-operatorioIn seguito alla riparazione chirurgica delle lesioni inveterate si immobilizza la gamba in

un gesso femoro-podalico con ginocchio flesso a 45°; la caviglia è atteggiata in equinismo per

TENDINE DI ACHILLE

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FIGURA 57Riparazione secondoBosworth (A)Riparazione secondoBugg e Boyd (B)

BA

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gravità. Dopo 4 settimane si confeziona gambaletto gessato da carico con il piede atteggiatoin posizione neutra e si inizia la deambulazione; si prosegue l’immobilizzazione per 12 setti-mane, al termine delle quali si incrementa l’attività e la fisioterapia(8).

Riparazione sinteticaPer la riparazione delle rotture inveterate del tendine d’Achille sono stati proposti diversi

materiali sintetici che offrono il vantaggio di risparmiare le altre strutture tendinee attive e dievitare dissezioni chirurgiche. Lo svantaggio principale è quello di introdurre un corpo estra-neo nel sito di rottura che presenta già scarse capacità intrinseche di guarigione. Ozaki ecoll.(44) hanno impiegato una maglia in Marlex raccogliendo buoni risultati dopo 6 anni dal-l’intervento. Liebe rmann e coll.(45) hanno utilizzato un innesto vascolare in Dacron intrecciatoattraverso il tendine con sutura tipo Bunnel. Altri autori(46) che hanno utilizzato questa tec-nica hanno riferito che così facendo era possibile evitare l’immobilizzazione post-operatoria.Schedl e Fasol(47) hanno utilizzato fibre poliglicoliche riportando risultati soggettivi e fun-zionali buoni o eccellenti nei due terzi dei casi. Howard e coll.(48) hanno proposto l’utilizzodi una maglia sintetica in fibra di carbonio. Altri autori(49) ne hanno proposto l’impiego sia perle lesioni croniche che per quelle acute.

ComplicanzeRispetto alla riparazione delle lesioni acute, l’eventuale uso di materiale sintetico e l’am-

pia dissezione chirurgica necessaria in caso di lesioni inveterate possono comportare un ri-schio maggiore di necrosi della ferita, guarigione tardiva, recidiva della rottura, infezioni,reazione da corpo estraneo, neuroma surale e in alcuni casi ampia perdita di tessuto (cute,sottocute e sostanza del tendine d’Achille), provocando notevole danno delle parti molli.In passato diversi autori(23) hanno affermato che i risultati dopo ricostruzione differita sonoinferiori rispetto a quelli ottenuti dopo riparazione acuta; in altri lavori(50) più recenti i risul-tati di entrambe le tecniche di riparazione sono comparabili. A nostro parere l’esperienza el’abilità del chirurgo in questo contesto giocano un ruolo fondamentale.

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TENDINE DI ACHILLE

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE ROTTURE DEL TENDINE TIBIALE ANTERIORE

Trattamento chirurgico delle rotture del tendine tibiale anteriore

Le rotture del tendine tibiale anteriore non sono evenienze comuni. Sono stati propostitrattamenti sia di tipo chirurgico sia di tipo conservativo, i quali dovrebbero essere adattati alsingolo paziente a seconda dell’età, del livello di attività, del tempo trascorso dalla rottura,dell’attuale livello di disabilità e delle controindicazioni locali e sistemiche della chirurgia.

Nei pazienti anziani o con minori richieste di attività, è una valida opzione il tratta-mento conservativo(1,2). Può essere prescritto l’uso di un tutore o di un’ortesi piede-cavigliaoppure un tutore con doppio sostegno vericale.

Nel soggetto anziano, tuttavia, la tolleranza può essere difficile. Al trattamento non chi-rurgico si possono associare una ridotta forza di dorsiflessione(3,4), una mancanza di coordi-nazione o un passo schiaffeggiante(5) e un piede piatto a carattere progressivo(3). Sebbene nonsia possibile ottenere un pieno recupero funzionale, nei pazienti più anziani e meno attivi lafunzione e la deambulazione possono essere accettabili(1,2,6,7,). Per i pazienti più giovani o perquelli che comunque desiderassero un più alto livello funzionale, è indicato il trattamento chi-rurgico. L’intervento chirurgico può comportare una riparazione diretta della rottura acutao, per un trattamento differito, la ricostruzione del tendine del tibiale anteriore con trasferi-mento tendineo o innesto tendineo di interposizione.

Trattamento chirurgico in acuto

Con la lacerazione del tendine del tibiale anteriore, il segmento prossimale può essere re-perito ovunque lungo il decorso del tendine. Spesso si ritrae a livello dell’articolazione tibio-tarsica. In caso di rottura, spesso il moncone prossimale viene individuato profondamente alretinacolo inferiore degli estensori ed è adeso alla guaina sinoviale. Il sito della rottura è tipi-camente appena prossimale al sito di inserzione del tendine(1,5,8-11) e appena distale al bordoinferiore del retinacolo superiore degli estensori.

Molti autori(5,10-15) raccomandano una riparazione diretta del tendine del tibiale anteriore.La tecnica di riparazione o di ricostruzione dipende dalla patologia presente e dal tempo in-tercorso dalla lesione alla diagnosi.

Ouzounian e Anderson(10) preferiscono una riparazione diretta con la reinserzione deltendine nell’osso. La reinserzione sullo scafoide tarsale è un’alternativa in presenza di una frat-tura da avulsione o di una rottura distale. In caso di un ritardo diagnostico o di retrazione delmoncone prossimale del tendine, la riparazione può essere impossibile. Un’opzione può es-sere rappresentata dalla ricostruzione mediante il trapianto di un tendine estensore, la traspo-sizione di un tendine(10) o un parziale avanzamento del tendine(14).

Tecnica della riparazione primaria

Il paziente è messo in posizione supina con una fascia a scopo emostatico. Si praticaun’incisione curvilinea, estesa prossimalmente dal livello del primo cuneiforme sino a livel-lo del retinacolo superiore degli estensori. Si seziona poi il retinacolo antero-inferiore degliestensori e si identifica il tendine del tibiale anteriore seguendolo fino alla sua inserzione sulprimo cuneiforme.

Dopo la rottura, il moncone prossimale del tendine si retrae a livello dell’articolazionetibio-tarsica. Si incide longitudinalmente la guaina del tendine e si drena l’ematoma.

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Dopo lo sbrigliamento dei capi del tendine, si utilizza una sutura n. 1 non riassorbibileper riaccostare il tendine con tecnica di Bunnel o di Kessler modificate. Si ripara la guaina si-noviale, non riparando però il retinacolo inferiore degli estensori per evitare la formazionedi aderenze. Si chiude la cute come di routine.

Trattamento postoperatorioSi prescrive un gambaletto gessato con il piede in posizione neutra per 6-8 settimane, do-

podiché si dà inizio a esercizi nell’arco di movimento. Il carico è concesso dopo 3 settimanedall’intervento. Si consiglia al paziente di evitare salti, corse o attività atletiche energiche per12 settimane.

Tecniche alternativeIl tendine del tibiale anteriore può essere allungato usando un innesto a scorrimento del

tendine del tibiale anteriore mobile che abbraccia il sito della rottura anastomizzando i seg-menti prossimale e distale del tendine(9,14). Forst e coll.(18) hanno effettuato una riparazione dif-ferita utilizzando come innesto il tendine del peroneo breve. Moberg(15) ha utilizzato il tendinedell’estensore lungo dell’alluce (ELA) trasponendolo al moncone distale del tendine del ti-biale anteriore (ELA pro tibiale anteriore).

Risultati e complicanzeLa ricostruzione chirurgica è raccomandata per un paziente sintomatico con livelli mo-

derati o maggiori di attività fisica. Oltre a un insuccesso della ricostruzione, in letteratura nonsono riportate complicanze significative.

Il paziente va informato della possibilità di aderenze, recidive alla rottura, formazione dineuromi e riduzione della funzione, non solo a livello del sito di rottura ma anche a livellodel sito donatore, laddove sia stato utilizzato un innesto.

Riparazione differita

Si utilizza un approccio analogo a quello utilizzato per la riparazione immediata.Spesso non è possibile una riparazione termino-terminale dei monconi dopo la mobi-

lizzazione del segmento prossimale retratto di molti centimetri.

Trapianto di un innesto a scorrimento del tendine del tibiale anteriorePer colmare un intervallo di 2-4 cm potrebbe essere effettuato un innesto a scorrimen-

to. Si preleva metà della larghezza del tendine trasferendola distalmente. La lunghezza del tendine dovrebbe essere sufficiente a chiudere a ponte il difetto. Si uti-

lizza una sutura modificata di Bunnel o di Kessler per anastomizzare l’innesto tendineo almoncone prossimale e distale. Si ripara la guaina del tendine, non riparando però il retinaco-lo inferiore degli estensori per prevenire la formazione di aderenze. Si sutura la cute come diroutine. Quando il moncone prossimale del tendine del tibiale anteriore è di lunghezza in-sufficiente per la riparazione, come innesto può essere usato il tendine adiacente dell’ELA odell’ELD(15,16).

Trasposizione dell’estensore lungo dell’alluceSi utilizza un’esposizione analoga a quella descritta per la tecnica di riparazione prima-

ria o per l’innesto tendineo a scorrimento. Dopo lo sbrigliamento del tessuto fibroso e del-l’ematoma nel sito di rottura, il tendine dell’ELA viene liberato distalmente a livello dellaprima articolazione MTF e distaccato. Si sutura il moncone prossimale del tendine del tibia-le anteriore al tendine adiacente dell’ELA.

Distalmente, il tendine dell’ELA (precedentemente sezionato) è tenodesizzato all’ELD.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Un’alternativa consiste nel praticare, con un trapano, un foro orizzontale o verticale nelprimo cuneiforme e il tendine è fatto passare attraverso un tunnel osseo e fissato con un’an-coretta ossea o un filo metallico a pull-out.

In presenza di un’avulsione del tendine dall’inserzione sul cuneiforme mediale o di unaminima retrazione del tendine, il tendine può essere avanzato e reinserito attraverso un foropraticato nel primo cuneiforme(17).

Trattamento postoperatorioSi prescrive un gambaletto gessato con il piede in posizione neutra per 6-8 settimane, do-

podiché si dà inizio a esercizi nell’arco di movimento. Il carico è concesso dopo 3 settimanedall’intervento. Si consiglia al paziente di evitare salti, corse o attività atletiche energiche per12 settimane.

Tecniche alternativeKelikian e Kelikian(18) hanno proposto il trasferimento del tendine dell’ELD del secon-

do e terzo dito al moncone distale del tendine del tibiale anteriore. È poi eseguita una teno-desi dell’estensore breve delle dita ai monconi distali dell’ELD del secondo e terzo dito.

Forst e coll(3) hanno utilizzato la trasposizione del tendine del peroneo breve, tenodesiz-zando prossimalmente il peroneo breve, e il peroneo lungo. Quindi è stato prelevato un seg-mento di 9 cm dal peroneo breve utillizzandolo come innesto libero per colmare il difettonel sito della rottura del tendine del tibiale anteriore

TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE ROTTURE DEL TENDINE TIBIALE ANTERIORE

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Anatomia

Il tendine quadricipitale è derivante dalla confluenza di tre lamine sovrapposte, rappre-sentate da una lamina superficiale costituita dal retto femorale superficialmente, una laminaintermedia formata dai tendini dei due vasti mediale e laterale, e una lamina profonda costuitadal vasto intermedio. A circa 2 cm dalla base della rotula si fondono, costituendo una sola la-mina tendinea. (Fig. 58) Le fibre tendinee a livello della rotula prendono destini diversi: la mag-gior parte si inseriscono sul polo superiore della rotula; la componente superficiale copre lafaccia anteriore della rotula, continua col tendine rotuleo e porta espansioni verso i condilitibiali (espansione quadricipitale). La faccia profonda del tendine è rivestita dalla membranasinoviale; tale rapporto di contiguità spiega la quasi costante presenza di un emartro in que-ste lesioni per lacerazioni concomitanti della membrana.

Il tendine rotuleo, morfologicamente considerato come una continuazione del tendinequadricipitale, è uno spesso nastro tendineo di 5 o 6 cm che si estende dal polo inferiore del-la rotula, con inserzione sulla faccia anteriore, e si va ad inserire distalmente sulla tuberositàtibiale. Il tendine non è in contiguità con la sinoviale ma separato posteriormente da un ba-tuffolo adiposo e una borsa pretibiale di scorrimento.

LESIONI DELL’APPARATO ESTENSORE DEL GINOCCHIO

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Lesioni dell’apparato estensore del ginocchio

FIGURA 58Anatomia del ginocchio

Muscolorettofemorale

Muscolovasto

laterale

Tendinerettofemorale

Retinacololaterale

Tendine rotuleo

Muscolovasto mediale

Rotula

Retinacolomediale

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Caratteristiche cliniche

Le rotture dei tendini dell’apparato estensore sono tra le più frequenti lesioni tendineesottocutanee. La frequenza relativa delle lesioni del tendine quadricipitale rispetto a quelle delrotuleo è estremamente variabile nelle diverse casistiche.

Il meccanismo lesivo generalmente consiste in un sovraccarico eccentrico sul meccani-smo estensore con il piede piantato al suolo e il ginocchio parzialmente flesso. Di solito la le-sione è determinata da un trauma indiretto rappresentato da una violenta e improvvisacontrazione del quadricipite, quale si verifica nel tentativo di evitare una caduta all’avanti oall’indietro, di rialzarsi bruscamente dalla posizione accovacciata, di effettuare uno scatto du-rante la corsa. Talora la rottura può derivare da un trauma diretto con muscolo in fase di con-trazione. Statisticamente le lesioni riguardanti il tendine rotuleo sono più frequenti in pazientidi età inferiore a 40 anni e atleti. Lesioni del tendine quadricipitale sono più frequenti in pa-zienti anziani e/o affetti da patologie sistemico-degenerative (LES, diabete, gotta, iperparati-roidismo, uremia, obesità, uso di corticosteroidi).

La sintomatologia algica spesso viene riferita antecedente alla rottura, evidenziando unatendinopatia degenerativa preesistente. Il decorso può avvenire in maniera subclinica.

All’esame radiografico è diagnostico per patologia degenerativa quadricipitale il “segnodel dente” visibile nelle proiezioni assiali di rotula. All’esame clinico-anamnestico il pazientetipo risulta essere di mezza età o anziano con tumefazione, dolore e impotenza funzionale delginocchio,soprattutto se riferisce di aver sentito uno schiocco dopo essersi accovacciato, do-po aver fatto un salto o dopo essere inciampato.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 59Esame obiettivo

del ginocchio

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Alla palpazione è evidenziabile una soluzione di continuo palpabile nel contesto del ten-dine quadricipitale, con abbassamento della rotula; il ginocchio risulta tumefatto o ecchimo-tico. (Fig. 59) È evidente un deficit nel sollevamento della gamba a ginocchio esteso rispettoal controlaterale. Nelle lesioni del quadricipitale vi è quasi sempre un emartro più o meno im-ponente dovuto alla concomitante lacerazione della membrana sinoviale. Le lesioni del ten-dine rotuleo presentano gli stessi segni ma la rotula è risalita, come si può osservare nellaradiografia in proiezione laterale, in particolare a ginocchio flesso. (Fig. 60)

Rottura recente del tendine rotuleo

Solitamente la rottura del tendine rotuleo avviene in corrispondenza del polo inferioredella rotula. La riparazione del tendine rotuleo deve avvenire entro le 3 settimane dall’even-to per minimizzare retrazioni prossimali della patella, formazione di adesioni e contratture delquadricipite, prestando particolare attenzione al posizionamento della rotula sul piano sagit-tale per evitare problemi relativi al posizionamento in alto o in basso rispetto all’articolazio-ne. La posizione della rotula è confrontata con quella dell’arto contro laterale. L’indagineradiografica preoperatoria deve includere una proiezione anteroposteriore, laterale, assiale delginocchio interessato (Fig. 60); inoltre va considerata la visione di radiogrammi laterali del gi-nocchio contro laterale per la comparazione dell’altezza della rotula. Da considerare una pro-iezione postero anteriore a 45° di flessione per valutare concomitanti anomalie. L’esame RMNpuò aiutare a localizzare il sito specifico di rottura e lesioni associate. Da ricordare che l’ap-parato estensore è rinforzato su entrambi i lati da retinacolo laterale e mediale.

LESIONI DELL’APPARATO ESTENSORE DEL GINOCCHIO

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FIGURA 60Radiografia del ginocchio con evidenza di lesione al tendine rotuleo

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Trattamento chirurgicoLe rotture parziali dei tendini possono essere trattate in alcuni casi non chirurgicamen-

te. In uno studio è stata valutato il risultato su casi di lesioni del tendine inferiori a 10 mm(US) che erano stati trattati non chirurgicamente: si è avuto una percentuale di fallimento del6,6%; se la distanza tra i monconi era superiore ai 20 mm la percentuale saliva a 38,5%.

Indicazioni chirurgiche• Lesioni tendinee al polo inferiore della rotula• Lesioni tendinee al ventre mediale della rotula• Lesioni tendinee alla tuberosità tibialeVie di accesso La via di accesso più comunemente utilizzata è rappresentata da un’in-

cisione cutanea longitudinale mediale dal polo superiore della rotula fino al di sotto della tu-berosità tibiale. Nei casi inveterati, l’incisione può essere estesa prossimalmente per evidenziareformazioni di tessuto cicatriziale e contratture quadricipitali.

Si procede successivamente alla dissezione del tessuto sottocutaneo e ad esporre il sito dirottura del tendine. Se rimasto integro si procede a dissezione del peritenonio in linea conl’incisione cutanea. La dissezione deve procedere anche in senso mediale e laterale alla rotu-la per valutare l’integrità dei retinacoli. Quando sospettato è possibile osservare, attraverso lasoluzione di continuo del tendine, la superficie articolare del ginocchio sottostante per rile-vare eventuali lesioni associate.

Tecniche chirurgicheLesioni tendinee al polo inferiore della rotula (Fig. 61A) Il paziente viene posto in po-

sizione supina e applicato un tourniquet alla radice della coscia. Viene praticata un’incisione lon-gitudinale cutanea mediale. Dopo accurata dissezione sottocutanea, si espone l’area di rotturae si identifica il ramo infrarotuleo del nervo safeno in modo da proteggerlo durante la proce-dura. Con una luer si pratica una piccola trincea ossea orizzontale nel polo inferiore della ro-tula e imbastire il tendine con due punti di Krackow intrecciati con filo non riassorbibile n. 2.Il punto va praticato in senso prossimo-distale e disto-prossimale sia sulla metà mediale che la-terale del moncone così da trovarsi ad avere due suture separate. (Fig. 61B) Si praticano tre tun-nel longitudinali paralleli in senso disto-prossimale alla rotula. A questo punto vengono passatiattraverso i tunnel laterali un capo del filo di sutura e due nel tunnel centrale.

Si pone in flessione,quindi, il ginocchio di 45° e si posiziona una pinza emostatica pa-rallela al tetto della gola intercondiloidea per essere sicuri di non aver dato origine a una ro-tula bassa; il polo inferiore della rotula deve trovarsi a livello della pinza o appena al di sopra.È importante riparare il tendine patellare preservando la lunghezza originaria cosicché ven-ga ripristinata la normale biomeccanica dell’apparato estensore.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 61Tecnica chirurgica:

lesione tendinea al polo inferiore

della rotula (rottura recente)

A B C

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A questo punto si stringono i punti sul polo superiore della rotula e si affondano neltendine quadricipitale. (Fig. 61C) Importante passaggio è quello della verifica della tenutadella sutura in flessione del ginocchio misurando i gradi ai quali è possibile effettuare la ma-novra in sicurezza senza porre in tensione eccessiva il sito riparato: questo dato sarà di mol-to aiuto successivamente nell’indirizzare il punto di partenza per la riabilitazione.

Nel caso di lesione dei retinacoli mediale o laterale si procede a loro successiva sutura confilo n. 1 non riassorbibile. La ricostruzione dei retinacoli riduce la tensione a livello della le-sione tendinea riparata. È necessario porre attenzione al serraggio dei retinacoli poiché un’ec-cessiva tensione provoca un aumento di forze a livello patellare e rischio di sviluppo di doloree artrosi. Si procede quindi a ricostruzione dei piani peritenonio, sottocutaneo e cutaneo.Si pone drenaggio in aspirazione. Esistono varianti di questa tecnica che approcciano questalesione con accorgimenti o materiali diversi:

Alcuni autori raccomandano l’uso di un cerchiaggio passato attraverso un tunnel tran-sosseo nel tubercolo tibiale e nella patella o prossimalmente alla patella, al fine di ridur-re la tensione al livello del sito di lesione. Particolare utilità si riconosce a questo approccionel caso di pazienti con scarsa qualità dei tessuti. La tecnica prevede un secondo inter-vento per la rimozione.

Recenti studi propongono l’uso di suture anchors non riassorbibili infisse nel polo infe-riore della rotula, mostrando un pull out comparabile alla tecnica standard con i tunneltranspatellari.

Si possono sostituire il punto di Krackow con punti orizzontali da materassaio, garan-tendo però una tenuta minore.

Lesione tendinee al ventre mediale della rotula. Le lesioni nel contesto del tendine pos-sono essere riparate con suture continue interbloccate. Si procede ad iniziale débride dei capi pros-simali e distali del tendine leso. Si applicano punti Krackow intrecciati non riassorbibili al versantemediale e laterale del moncone prossimale e distale del tendine rispettivamente. Si flette il gi-nocchio a 30° e si legano le suture ripristinando la lunghezza originaria del tendine. (Fig. 62A)

Lesioni tendinee alla tuberosità tibiale. È importante effettuare dapprima una prepa-razione con una luer della superficie della tuberosità tibiale così da avere un letto osseo di buo-na qualità e rimuovere tessuti degenerati dal bordo tendineo. Si pratica una punto tipoKrackow intrecciato sul versante mediale e laterale del tendine leso. Due tunnel trasversali os-sei vengono ricavati nella tuberosità ossea. Si fanno passare in direzione opposta dai due ver-santi del tendine i fili di sutura in direzione opposta e prima di legarli si verifica la correttaaltezza della rotula. (Fig. 62B)

LESIONI DELL’APPARATO ESTENSORE DEL GINOCCHIO

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FIGURA 62Tecnica chirurgica:lesione tendinea al ventre medialedella rotula (A)(rottura recente)

Tecnica chirurgica:lesione tendinea alla tuberositàtibiale della rotula(B) (rottura recente)

A B

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Trattamento post-operatorioSi confeziona un apparecchio gessato con il ginocchio in estensione e si concede il carico

secondo tolleranza. Dopo tre settimane si iniziano gli esercizi di sollevamento della gamba. Alla sesta settimana si applica tutore articolato da 0° a 45°; ogni settimana si aumenta il movi-mento di 10-15 gradi. Fino al recupero di una buona forza muscolare si utilizzano stampelle perla deambulazione con tutore.

Rottura inveterata del tendine rotuleo

Se la rottura del tendine è avvenuta da più di sei settimane, la rotula si retrae prossimal-mente, al punto da rendere necessaria l’esecuzione di un ampio release chirurgico per poter-la riportare al livello appropriato. Importantissimo il planning pre-operatorio attraversoradiogrammi in proiezioni laterali dell’arto contro laterale con ginocchio flesso a 45°, in mo-do da valutare la corretta altezza rotulea al tavolo operatorio.

Trattamento chirurgicoIndicazioni chirurgiche. Lesione inveterata con retrazione quadricipitale e rotula risalitaVie d’accesso. Via mediale longitudinale

Tecniche chirurgicheRicostruzione della rottura inveterata con autograft. Il paziente viene posto in posi-

zione supina e applicato un tourniquet alla radice della coscia. Viene praticata un’incisione lon-gitudinale cutanea mediale. Dopo accurata dissezione sottocutanea, si espone l’area di rotturae si identifica il ramo infrarotuleo del nervo safeno in modo da proteggerlo durante la pro-cedura. Si procede a rimozione dei tessuti cicatriziali dalle docce mediale e laterale dellosfondato sovra rotuleo e dal tendine e muscolo quadricipitale.

Se presente una retrazione piccola quadricipitale muscolare o tendinea, un release da ade-renze può far guadagnare qualcosa in lunghezza. Se la retrazione è più importante bisogna pra-ticare incisioni a Z o V-Y di allungamento. Questo passaggio risulta decisivo ai fini del risultatopoiché condizionerà la tensione del sito da riparare. La successiva riparazione tendinea consutura termino-terminale può fornire dati importanti. Si procede poi al prelievo dei tendinigracile e semitendinoso dalla zampa d’oca. Misurato il diametro dei tendini stessi, si procedea praticare un tunnel patellare trasverso in posizione mediale e un secondo tunnel in tubero-sità tibiale. Si fanno passare successivamente i tendini attraverso i tunnel ricavati così da ri-sultare incrociati sul piano coronale e si suturano le estremità embricandoli reciprocamente.(Fig 63A) Il passaggio obbligato in questa riparazione come in tutte le precedenti è il pen-sionamento opportuno dell’autograft in funzione dell’altezza patellare.

Ricostruzione della rottura inveterata con allograft. Il paziente viene posto in posizionesupina e applicato un tourniquet alla radice della coscia. Viene praticata un’incisione longitudi-nale cutanea mediale iniziando 3-4 cm sopra il polo superiore della rotula ed esten dendola ap-pena inferiormente alla tuberosità tibiale.

Dopo accurata dissezione sottocutanea, si espone l’area di rottura e si identifica il ramoinfrarotuleo del nervo safeno in modo da proteggerlo durante la procedura. Se presente unaretrazione piccola quadricipitale muscolare o tendinea, un release da aderenze può far gua-dagnare qualcosa in lunghezza. Se la retrazione è più importante bisogna praticare incisionia Z o V-Y di allungamento. Si procede a successiva esposizione della residua porzione ditendine rotuleo. Valutata la necessità di utilizzare un allograft, il tendine calcaneare si prestabene per la riparaazione date le sue caratteristiche. Il tendine è preparato con una bratta os-sea di circa 10x20 mm.

Mediante un osteotomo da 10 mm si prepara lo scasso a livello dalla tuberosià tibiale an-teriore corrispondente alla taglia della bratta ossea. Si valuta inoltre la stabilità della bratta os-

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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sea nel suo alloggio e si fissa tramite vite corticale da 3,5 mm. Successivamente si effettua tun-nel patellare mediano scavato in senso disto-prossimale tramite fresatura progressiva fino a 9mm di diametro. La porzione tendinea dell’allograft viene diviso in tre sezioni, di cui la par-te centrale viene passata attraverso il tunnel patellare in senso disto-prossimale e suturataprossimalmente al tendine quadrici pitale. Le due porzioni mediale e laterale dell’allograftsono suturate al bordo rispettivamente mediale e laterale della rotula e ai retinacula media-li e laterali con ginocchio flesso a 30°, controllare lo scorrimento rotuleo e l’angolo qua-dricipitale. (Fig 63B)

Trattamento post-operatorioSi confeziona doccia gessata in estensione per circa dieci giorni. Successivamente si con-

feziona gesso chiuso per tre settimane. Dopo 4-6 settimane si sostituisce apparecchio gessatocon tutore di ginocchio articolato e si inizia la mobilizzazione attiva e passiva. La valutazio-ne dei gradi di flesso-estensione massima in fase riabilitativa precoce viene fatta intraopera-toriamente. Si concede il carico con stampelle nella misura tollerata. Seguirà un programmariabilitativo di rafforzamento ed escursione articolare progressivo.

Rottura recente del tendine quadricipitale

Il tendine quadricipitale si rompe trasversalmente a livello della giunzione osteo-tendineae la rottura si estende al tendine del vasto intermedio appena prossimalmente alla rottura delretto femorale. Queste lesioni si verificano in aree tendinee degenerate in soggetti di età su-periore ai 40 anni. La RMN è utile nei casi dubbi per valutare se la rottura è parziale o com-pleta. Alcune lesioni parziali del tendine quadricipitale possono essere trattate incruentamentein individui non sportivi con bassa richiesta funzionale. Le rotture unilaterali solitamente av-vengono mentre il ginocchio è flesso e il tendine resiste a una con tra zione eccentrica, spessoquando l’atleta compie uno sforzo nel tentativo di recuperare l’equilibrio.

Le rotture bilaterali si verificano in un caso su tre e avvengono solitamente in pazienticon patologia sistemica o che hanno fatto uso di cortisonici.

Trattamento chirurgicoIl trattamento chirurgico è indicato per lesioni complete del tendine quadricipitale

in individui sportivi attivi. Le lesioni parziali tuttavia sono passibili di trattamento con-servativo in individui a bassa richiesta funzionale, mentre risultano necessariamente chi-rurgiche in atleti. L’esame clinico denota un difetto di continuità palpabile alla giunzioneprossimale della rotula.

LESIONI DELL’APPARATO ESTENSORE DEL GINOCCHIO

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FIGURA 63Tecnica chirurgica:ricostruzione rotturainveterata del tendine rotuleo con autograft (A) (rottura inveterata)

Tecnica chirurgica:ricostruzione rotturainveterata del tendine rotuleo con allograft (B) (rottura inveterata)

A B

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La maggior parte degli individui riferisce impossibilità all’estensione attiva; tuttavia al-cuni conservano la capacita di mantenere l’estensione in quanto risultano intatte le strut-ture dei retinacula. Nel planning pre-operatorio fondamentali risultano le proiezioni AP eLL e assiali di rotula. Nelle proiezioni laterali è possibile evidenziare avulsioni o calcifica-zioni. Importante risulta la comparazione con l’arto controlaterale in quanto si possono va-lutare variazioni dell’altezza della rotula. La RMN risulta l’esame più sensibile nelle lesionidel tendine quadricipitale.

Vie di Accesso. Incisione longitudinale mediana centrata sul polo superiore della rotu-la. Si pratica incisione cutanea a tutto spessore con buona dieresi del tessuto sottocutaneo.L’esposizione deve includere i retinacula mediale e laterale. Attraverso la lesione di continuodel tendine è possibile valutare la supericie articolare della femoro-rotulea.

Tecnica Chirurgica. (Fig. 64) Il paziente è posto in posizione supina. Il tourniquet è po-sto alla radice della coscia, quanto più in alto possibile. Il quadricipite va distratto manualmenteverso il basso prima di gonfiare il tourniquet, perché questo limita la mobilità del quadricipi-te durante la riparazione. Il tessuto tendineo viene valutato e si pratica debridment delle estre-mità. Si prepara il moncone prossimale del tendine con 2 o 3 fili non riassorbibili suturati conpunto di Krackov intrecciato. Se è presente sufficiente tessuto tendineo prossimale e distaledi aspetto vitale si pratica sutura termino-terminale con punto di Krackov.

Se il tessuto tendineo distale risulta degenerato o insufficiente, si pratica trincea ossea alpolo superiore della rotula con luer esponendo osso spongioso. Succes sivamente vengonopraticati tre o quattro fori paralleli in senso prossimo-distale di 2 mm a livello patellare, at-traverso i quali vengono passati in senso prossimo-distale i fili di sutura che emergono dalmoncone prossimale del tendine. Al polo distale della rotula i fili vengono tensionati, anno-

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 64Tecnica chirurgica:

rottura recente del tendine

quadricipitale

Sito di riparazione deltendine quadricipitale

Tunnel

Sito di riparazione del retinacolo mediale

Punti di sutura neltendine rotuleo

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dati e affondati nel tendine con ginocchio posto in estensione completa. I retinacoli media-li e laterali, qualora risultino lesi, vengono suturati con filo riassorbibile o non riassorbibile.Si pone drenaggio in aspirazione.

Trattamento post operatorioL’apparecchio gessato con ginocchio esteso viene indossato per 4-6 settimane. Alla ter-

za settimana si concede il carico con stampelle. Alla rimozione del gesso si applica ginoc-chiera articolata da 0 a 60°. L’arco di movimento è incrementato di 10°-15° ogni settimana.

Per un buon recupero funzionale è necessario un aggressivo programma riabilitativo dirinforzo muscolare.

Rottura inveterata del tendine quadricipitale

Se si trascura la rottura del tendine quadricipitale per lungo tempo, la sua riparazione èestremamente difficile.

Trattamento chirurgicoVie di Accesso. Incisione longitudinale mediana centrata sul polo superiore della rotu-

la. Si pratica incisione cutanea a tutto spessore con buona dieresi del tessuto sottocutaneo.L’esposizione deve includere i retinacula mediale e laterale. Attraverso la lesione di continuodel tendine è possibile valutare la supericie articolare della femoro-rotulea.

Tecnica Chirurgica. (Fig. 65) Il paziente è posto in posizione supina. Il tourniquet è po-sto alla radice della coscia, quanto più in alto possibile. Il quadricipite va distratto manualmenteverso il basso prima di gonfiare il tourniquet, perché questo limita la mobilità del quadricipi-te durante la riparazione.

Dopo l’esposizione del sito di rottura è necessario mobilizzare il moncone tendineo qua-dricipitale dalle aderenze con opportuna dissezione. Qualora la retrazione dei monconi ten-dinei non sia eccessiva si può tentare la sutura di accostamento con punti di Krackovpre ce dentemente descritta per le lesioni acute. Se la mobilizzazione e il release dei tessuti mol-li è inadeguato all’accostamento dei monconi tendinei, allora si procede a plastica di allunga-mento tendineo a V-Y invertita, oppure a riparazione con autograft con la finalità di colmareil gap residuo, rinforzare la sutura o allungare il tendine quadricipitale per migliorarne la fun-zionalità. La tecnica di allungamento tendineo prevede l’incisione a V rovesciata a tutto spes-sore nella porzione prossimale del tendine quadricipitale, con le estremità inferiori della V cheterminano 1,5 – 2 cm dalla rottura.

LESIONI DELL’APPARATO ESTENSORE DEL GINOCCHIO

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FIGURA 65Tecniche di riparazione del tendine quadricipitale in seguito a rotturainveterata

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Modellato il lembo triangolare, viene diviso in una parte anteriore (1/3) e una posteriore(2/3). Si affrontano i margini tendinei con punti staccati e si ribalta e si sutura distalmente laporzione anteriore. La parte superiore aperta della V viene chiusa con punti staccati.

L’utilizzo di autograft prevede l’impigo dei tendini prelevati dalla zampa d’oca (semi-tendinoso e gracile). Si estende la dissezione in basso e medialmente repertando l’inserzionedella zampa d’oca. Vengono prelevati i tendini e opportunamente preparati e fatti passare at-traverso un tunnel mediale trasversale alla rotula. Le estremità dei tendini gracile e semiten-dinoso vengono ribattute in alto e suturate al tendine quadricipitale con punti staccati. Talemetodica è frequentemente impiegata per rinforzare suture termino-terminali. L’integritàdella riparazione viene valutata dopo la sutura.

ComplicanzeLa complicanza della rottura del tendine quadricipitale più frequente è la perdita del

movimento, in particolare della flessione. È possibile osservare anche una perdita di forza delmeccanismo estensore, rappresentata dall’atrofia. A causa del posizionamento sottocutaneo dipunti di sutura sutura non riassorbibili o di fili metallici, si possono osservare episodi infetti-vi e problemi di chiusura della ferita. Talvolta i fili devono essere rimossi.

Si può evitare l’insorgenza della rotula bassa o alta facendo attenzione al posizionamen-to della stessa sul piano sagittale durante l’intervento. Il malallineamento può causare altera-zioni degenerative a carico della femoro-rotulea. Un’altra potenziale complicanza è la recidivadella rottura.

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LESIONI DELL’APPARATO ESTENSORE DEL GINOCCHIO

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Tibiale posteriore

Patologia rara che colpisce entrambi i sessi con particolare predilezione per le età mediedella vita. I principali fattori predisponenti sono l’artrite reumatoide(1,2) e la flogosi cronica del-la guaina tenosinoviale che si associa costantemente al piatto-valgismo del piede.

Si tratta, nella maggioranza dei casi, di lesioni che colpiscono il ventre tendineo in sederetro o sottomalleolare a cui si associa spesso un ispessimento della guaina sinoviale, special-mente in quei pazienti con sintomatologia tenosinovitica. Raramente, invece, la lesione è par-ziale con interessamento della metà dello spessore del tendine.

ClinicaIn alcuni pazienti l’esordio è improvviso, con dolore vivo e sensazione di strappo in re-

gione retromalleolare, sintomi questi che seguono un trauma distorsivo del collo del piede.In altri casi l’esordio si manifesta come una esacerbazione della sintomatologia tenosinoviti-ca con sintomi di modesta entità. Il quadro clinico generale è caratterizzato da:

Tumefazione in regione retromalleolare o sottomalleolare

Limitazione o addirittura abolizione della supinazione attiva dell’avampiede

Impossibilità di deambulare in punta di piedi

Appiattimento della volta plantare

TrattamentoSi tratta di lesioni difficili da trattare; infatti, se la terapia conservativa non è in grado di

fornire risultati quantomeno discreti, la chirurgia non garantisce preventivamente la totalescomparsa della sintomatologia e restituito ad integrum sul piano funzionale. Le possibili stra-tegie terapeutiche sono:

Innesto tendineo, se i monconi sono troppo retratti.

Allungamento a zeta del moncone prossimale.

Triplice artrodesi(3): per l’invalidità che comporta questa metodica va presa in considera-zione soltanto quando gli altri trattamenti abbiano fallito.

Adduttori della coscia

Si tratta, nella maggior parte dei casi, di rottura-disinserzione completa secondaria a untrauma distorsivo che si verifica in seguito a una brusca adduzione della coscia contro resi-stenza. La lesione può interessare sia l’adduttore lungo che quello breve(4). Le possibili strate-gie terapeutiche dipendono dalla sede della lesione:

Se la lesione (rottura-disinserzione) interessa il tendine distale, il muscolo va trazionatoe reinserito al tubercolo degli adduttori mediante due fori transossei.

Se la lesione interessa il tendine prossimale, il quadro clinico è caratterizzato da ampia ec-chimosi in sede pubica, tumefazione sottoinguinale, dolore all’adduzione attiva della coscia.

ROTTURE RARE: TIBIALE POSTERIORE, ADDUTTORI DELLA COSCIA E PERONIERI

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Rotture rare: tibiale posteriore, adduttori della coscia e peronieri

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Il trattamento consiste nel trazionare il muscolo prossimalmente e poi suturarlo all’ad-duttore breve in prossimità dell’inserzione pubica. Dopo l’intervento va applicato un ap-parecchio gessato pelvi-condiloideo per 25 giorni.

Peronieri

È frequente osservare, nell’ambito delle lussazioni, rotture parcellari da usura di questi ten-dini. In assenza di queste lussazioni, le rotture primarie dei peronieri appaiono, invece, estre-mamente rare(5).

ClinicaNel caso di una rottura completa il quadro clinico è caratterizzato da dolore, tumefazione

retromalleolare e da riduzione della forza di abduzione e pronazione del piede. Nelle lesioniparziale prevale la sintomatologia delle sinoviti croniche dei tendini peronieri(6).

TrattamentoNei pazienti con rottura completa viene effettuata una sutura diretta dei due monconi.

In quelli con rotture parziali, la zona viene escissa e se è interessato il peroniero breve i duemonconi vengono suturati al peroniero lungo, mentre se ad essere interessato è il peronierolungo allora i monconi verranno suturati prossimalmente al peroniero breve secondo la tec-nica di Thompson e Patterson e distalmente al cuboide.

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LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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IntroduzioneLe lussazioni tendinee interessano quei tendini che decorrono in un canale osteofibro-

so, e in particolare i peronieri e il capo lungo del bicipite, che si riflettono su una superficieossea che agisce a guisa di troclea. Oltre a questi, possono subire una dislocazione i tendiniestensori delle dita che a livello della metacarpo-falangea sono contenuti in una sorta di ca-nale formato dalla superficie ossea e dalle aponeurosi estensorie.

ClassificazioneSotto il profilo etiopatogenetico le lussazioni vengono classificate in:

Lussazioni congenite: quasi mai presenti alla nascita. Determinate da alterazioni conge-nite della componente ossea e/o fibrosa del canale in cui decorre il tendine.

Lussazioni traumatiche: secondarie a un evento traumatico in assenza di alterazioni con-genite.

Lussazioni patologiche: causate da alterazioni degenerative delle componenti del canaleosteo-fibroso.

Dobbiamo ricordare che le lussazioni pure, cioè quelle legate a una sola delle cause sumenzionate, sono estremamente rare. Nella maggior parte dei casi le dislocazioni sono il ri-sultato dell’azione sinergica di diversi fattori; infatti, la lussazione tendinea consegue ad unevento traumatico, il cui effetto dislocante non potrebbe manifestarsi, se non fosse favorito dacondizioni malformative locali, congenite o acquisite (lussazioni miste).

Tendini peronieri

La lussazione dei tendini peronieri si osserva di solito tra i 20-50 anni, colpendo i duesessi in maniera pressoché uguale. Nella maggior parte dei casi si tratta di lesioni sportive, piùfrequentemente incriminati sono lo sci seguito dal calcio e dal rugby.

Le lussazioni possono essere:

Traumatiche: il trauma può avvenire in modo indiretto, cioè a seguito di una bruscacontrazione dei peronieri associata a un movimento di flessione dorsale e adduzione-supinazione del piede, oppure diretto come avviene di norma.

Congenite o patologiche: le forme congenite sono generalmente bilaterali e possonocomparire subito dopo la nascita o, come avviene di solito, nel corso dell’infanzia o del-l’adolescenza. Le lussazioni patologiche sono generalmente determinate da fratture malridotte o mal consolidate del malleolo esterno.

I tendini peronieri possono lussarsi all’interno della loro guaina tendinea , come descrittoda McConkey e Favero, ma più comunemente al di fuori della guaina e del solco. In questocaso i muscoli peronieri si contraggono e superano la resistenza offerta dai tessuti molli, in mo-do che, da dietro la porzione distale del perone, i tendini si lussano anteriormente.

Il meccanismo lesivo solitamente è rappresentato dalla dorsiflessione contro resistenzaassociata a una vigorosa contrazione dei peronieri, come avviene nella caduta in avanti men-tre si scia.

LUSSAZIONI TENDINEE

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Lussazioni tendinee

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ClinicaIl quadro clinico varia a seconda che si tratti di una lesione recente, di una forma inve-

terata o di una forma recidivante caratterizzata dal frequente ripetersi della lussazione a se-guito di banali traumi distorsivi.

Lussazione recente: caratterizzata da tumefazione in regione malleolare, eventuali ec-chimosi in sede retromalleolare, marcata limitazione funzionale del collo del piede e do-lore alla palpazione in sede retromalleolare. I pazienti riferiscono una sensazione di scattoal momento del trauma, segno dell’avvenuta lussazione.

Lussazione inveterata: il dolore e la limitazione funzionale sono ridotti, consentendo alpaziente di riprendere la deambulazione. Questa risulta, però, dolorosa con senso di in-stabilità della caviglia.

Lussazione recidivante o abituale: dopo una lussazione iniziale, frequentemente il tendi-ne si riporta nella sua sede normale, spontaneamente o a seguito di manovre riduttive. Dopoqualche giorno la sintomatologia soggettiva e obiettiva scompaiono, consentendo spesso laripresa anche dell’attività sportiva. A distanza di tempo dall’episodio iniziale si determina unanuova lussazione, generalmente a seguito di un trauma distorsivo relativamente modesto.

La diagnosi è confermata dalla sensazione di scatto dei tendini, soprattutto salendo lescale e, da test specifici come la dorsiflessione, l’eversione e rotazione esterna del piede con-tro resistenza. La lussazione dei tendini può essere apprezzata anche palpando il bordo ante-riore del solco peroneale mentre si fa ruotare il piede al paziente.

TrattamentoIl trattamento dipende dalla lesione e dall’anatomia ossea e dei tessuti molli. Si consiglia

di riparare subito il retinacolo superiore dei peronieri, immobilizzando il piede con uno sti-valetto non da carico per 2-3 settimane, per poi cominciare gli esercizi di rinforzo della mu-scolatura. Il trattamento chirurgico viene riservato ai casi in cui non si riesce a ridurre lalussazione o la riduzione si rivela instabile. Esistono diverse tecniche chirurgiche a cielo aper-to che si dividono in tre gruppi a seconda che siano dirette a:

ricostruire la porzione fibrosa del canale peroneale;

approfondire la doccia retromalleolare;

ricostruire la porzione fibrosa e ad approfondire la superfice ossea.

Tecniche di ricostruzione della componente fibrosa. Comprendono la sutura dei dueframmenti del retinacolo e le metodiche di sua ricostruzione plastica. Tra queste la più anticama ancora utilizzata è quella di Lannelongue che consiste nello scolpire sulla faccia esterna delmalleolo peroneale un lembo periostale a cerniera posteriore. Questo lembo viene ribattuto dor-salmente e suturato al periostio calcaneare o al frammento posteriore del retinacolo.

Tecniche di approfondimento della doccia malleolare. La più antica è la tecnica diKausmine, che consiste nel prelevare dalla faccia esterna del malleolo un frammento osteo-periostale, che viene disposto perpendicolarmente al davanti dei tendini peronieri e poi fis-sato con dei chiodi. Allo stesso principio sono ispirate le metodiche di Kelly, che sezionasagittalmente il malleolo peroneale ruotando posteriormente il frammento esterno e fissan-dolo con due viti (Fig. 66A) e quelle di Watson-Jones e di Du Vries.

Watson-Jones ricava dalla superficie del malleolo uno spesso lembo osteoperiostale e lolascia inserito prossimalmente con un peduncolo di periostio e tessuti molli; questo lembo vie-ne poi traslato posteriormente sui tendini e suturato sui tessuti molli. Du Vries, invece, rica-va dal malleolo laterale un cuneo di osso di circa 2 cm che viene spostato posteriormente di0,5 cm, in modo che il suo margine posteriore ricopra i tendini peronieri; il cuneo viene poifissato con una piccola vite (Fig. 66B).

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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Altre tecnicheTecnica di Zoellner e ClancyVia di accesso: si pratica un’incisione curvilinea a J, lunga 7 cm, posteriormente al mal-

leolo laterale, lungo il decorso dei tendini; incidere la guaina tendinea e divaricare anterior-mente i tendini (Fig. 67A).

Procedura chirurgica. Ricavare dalla faccia postero-mediale del terzo distale del pero-ne e dal malleolo laterale una finestra osteoperiostale corticale di 3x1 cm, lasciandone intat-to il margine postero-mediale che funge da cerniera. Dalla parte posteriore della breccia osseaasportare l’osso spongioso(Fig. 67B). Trasferire i tendini nella doccia di scorrimento e farcompiere alla caviglia tutti i movimenti per valutare la persistenza della tendenza a lussarsi.Infine si ribalta il lembo periostale e si sutura sulla parte mediale del retinacolo dei peronie-ri (Fig. 67C). Si sutura e si confeziona uno stivaletto gessato.

Post-operatorio. Dopo 3 settimane si sostituisce l’apparecchio gessato con un tutore chepermetta i movimenti quali la flessione dorsale e plantare del piede. Questo tutore va tenu-to per altre tre settimane. Non si possono intraprendere attività sportive fino a quando nonsia ottimale il recupero muscolare.

Tecnica di JonesVia di accesso: si pratica un’incisione longitudinale lunga 5 cm, posteriormente al mal-

leolo laterale. Senza intaccare le guaine, riposizionare i tendini dietro al malleolo. Procedura chirurgica. Esporre il tendine di Achille e ricavare un lembo lungo 5 cm e

LUSSAZIONI TENDINEE

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FIGURA 66Tecniche di approfondimentodella doccia malleorare: metodica di Kelly (A)e Du Vries (B)

FIGURA 67Tecnica di Zoellner e Clancy

A B

BA C

Tendine delperoneo breve

Tendine delperoneo lungo

Cuneo osseotraslato posteriormente

Malleololaterale

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largo 0,6 cm dal suo margine laterale. Praticare un foro nel malleolo laterale, in direzione an-tero-posteriore, e farvi passare all’interno il lembo del tendine calcaneare che poi viene su-turato sul periostio. (Fig. 68) Se si tratta, invece, di una lussazione dei tendini peronieriall’interno della loro guaina tendinea(come descritta da McConkey e Favero), in cui il pero-neo breve fuoriesce dal solco peroneale in seguito all’eversione e alla dorsiflessione del pie-de, causando la lussazione del tendine del peroneo lungo, il trattamento chirurgico consistenel creare dei lembi dal retinacolo e suturarli sul tendine del peroneo breve (Fig. 69).

Post-operatorio. Il trattamento post-operatorio è identico a quello descritto in prece-denza per la tecnica di Zoellner e Clancy.

Tibiale posteriore

Nella regione malleolare il tendine del tibiale posteriore decorre in un canale osteofi-broso. Nel complesso la posizione di questo tendine è analoga a quella dei peronieri, rispet-to ai quali ha un decorso più profondo che può spiegare la sua minore tendenza alla lussazione.

Il meccanismo patogenetico è rappresentato da una violenta flessione dorsale del piede,associata ad una leggera supinazione, e soprattutto ad una energica contrazione del muscolotibiale posteriore. Va ricordato che la lussazione del tibiale posteriore può avvenire sia in fles-sione dorsale che plantare, e sia in adduzione-supinazione che in abduzione-pronazione.

LA CHIRURGIA RIPARATIVA DEI TENDINI

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FIGURA 68Tecnica di Jones

FIGURA 69Si suturano i lembi

ricavati dal retinacolodei peronieri sopra

il tendine del peroneo breve

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La sintomatologia è analoga a quella della lussazione dei peronieri: dolore sotto e retro-malleolare, tumefazione locale e soprattutto sensazione di scatto al momento della disloca-zione. Il trattamento di elezione è sicuramente chirurgico. La riparazione può essere attuatamediante sutura dei due frammenti del legamento, mediante reinserzione al bordo malleola-re con fori transossei o mediante tecniche di ricostruzione plastica, analoghe a quelle de-scritte per i tendini peronieri.

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LUSSAZIONI TENDINEE

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