introduzione al metodo degli elementi finiti

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Politecnico di Milano Corso di SCIENZA DELLE COSTRUZIONI (CIV L-Z) prof. Alberto Taliercio INTRODUZIONE AL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI Indice 1. Fondamenti teorici ..………………………………………………….….…. p. 1 1.1 Nozioni preliminari …………………………………………..………… p. 1 1.2 Caratteristiche del singolo elemento finito ….……….……..……..……. p. 2 1.3 Assemblaggio. Calcolo dell‟energia potenziale totale del sistema discretizzato …………………………………………………….……….. p. 4 1.4 Stazionarietà dell‟energia potenziale. Sistema risolvente ..…………….. p. 5 1.5 Convergenza del metodo ……………………………………………..…. p. 8 2. Alcuni elementi finiti per applicazioni strutturali …………………………… p. 9 2.1 Elementi finiti di trave …………………………………………………... p. 9 2.1.1 Cinematica del modello di trave „alla EuleroBernoulli‟ …………. p. 9 2.1.2 Elementi finiti di trave a 2 nodi ……………………………..…… p. 10 2.1.3 Esempio di applicazione ………………………………...…..…… p. 14 2.2 Elementi finiti bidimensionali per l‟analisi di problemi piani …………. p. 16 2.2.1 Richiami di teoria dell‟elasticità per problemi piani ………….…. p. 16 2.2.2 Elementi finiti triangolari a 3 nodi ……………………….……… p. 18 Bibliografia …………………………………………………………….……… p. 21

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Page 1: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

Politecnico di Milano

Corso di SCIENZA DELLE COSTRUZIONI (CIV L-Z)

prof. Alberto Taliercio

INTRODUZIONE AL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Indice 1. Fondamenti teorici ..………………………………………………….….…. p. 1

1.1 Nozioni preliminari …………………………………………..………… p. 1

1.2 Caratteristiche del singolo elemento finito ….……….……..……..……. p. 2

1.3 Assemblaggio. Calcolo dell‟energia potenziale totale del sistema

discretizzato …………………………………………………….……….. p. 4

1.4 Stazionarietà dell‟energia potenziale. Sistema risolvente ..…………….. p. 5

1.5 Convergenza del metodo ……………………………………………..…. p. 8

2. Alcuni elementi finiti per applicazioni strutturali …………………………… p. 9

2.1 Elementi finiti di trave …………………………………………………... p. 9

2.1.1 Cinematica del modello di trave „alla EuleroBernoulli‟ …………. p. 9

2.1.2 Elementi finiti di trave a 2 nodi ……………………………..…… p. 10

2.1.3 Esempio di applicazione ………………………………...…..…… p. 14

2.2 Elementi finiti bidimensionali per l‟analisi di problemi piani …………. p. 16

2.2.1 Richiami di teoria dell‟elasticità per problemi piani ………….…. p. 16

2.2.2 Elementi finiti triangolari a 3 nodi ……………………….……… p. 18

Bibliografia …………………………………………………………….……… p. 21

Page 2: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

1

Introduzione al metodo degli elementi finiti

1. Fondamenti del metodo

1.1 Nozioni preliminari

Dalla Meccanica Razionale è noto che le configurazioni di equilibrio di un sistema conserva-

tivo corrispondono ai punti di stazionarietà dell‟Energia Potenziale Totale (EPT) del sistema.

Nel caso di corpi in materiale elastico lineare in regime di piccoli cambiamenti di configura-

zione, l‟unico punto di stazionarietà dell‟EPT corrisponde a un minimo.

L‟EPT () di un sistema1 è definita, nello spazio delle configurazioni congruenti, come

differenza fra l‟energia di deformazione () in esso immagazzinata nel corso di un cambia-

mento di configurazione, meno il lavoro (W) compiuto dai carichi esterni per produrre tale

cambiamento:

= W.

Nel caso di sistemi piani di travi (in materiale omogeneo e isotropo), in assenza di effetti tor-

sionali si ha:

= strutt

dxTtNM )(2

1 =

strutt

dxtGAEAEJ222

*2

1 ,

dove M, N, T sono le azioni interne nella struttura, , , t le omologhe deformazioni genera-

lizzate, E, G il modulo elastico e il modulo di taglio del materiale, J, A e A* il momento

d‟inerzia rispetto all‟asse attorno a cui avviene la flessione, l‟area effettiva e l‟area di taglio

della sezione della generica trave.

Per travature reticolari (formate da n aste omogenee a sezione costante) soggette esclusi-

vamente ad azione assiale si ha semplicemente:

=

n

i

iEAL1

2)(

2

1 =

n

i

iLL

EA

1

2)(

2

1,

essendo Li la lunghezza della generica asta e Li la sua variazione di lunghezza.

Infine, nel caso di un solido tridimensionale generico si ha:

= V

ijij dV2

1 =

V

ijhkijhk dVD 2

1, W =

fS

jj

V

jj dSufdVuF ,

dove V è il volume occupato dal corpo, Sf la porzione libera del suo contorno, Dijhk le compo-

nenti del tensore elastico del materiale (costanti elastiche), F le forze di volume agenti nel

corpo e f quelle di superficie.

Il teorema di stazionarietà dell‟EPT risulta estremamente vantaggioso per la risoluzione di

problemi strutturali “discreti”, nei quali cioè il campo di spostamenti (e quindi la soluzione

del problema) dipende da un numero finito di parametri. Si consideri a titolo di esempio la

travatura reticolare in Fig. 1a: si tratta di un sistema “a un grado di libertà”, in quanto basta la

conoscenza dello spostamento orizzontale (u) dell‟unico nodo libero (A) per caratterizzare

1 A rigore si dovrebbe parlare di “variazione dell‟EPT”, , nel passaggio da una configurazione a

un‟altra. Poiché il valore dell‟EPT del sistema può essere arbitrariamente ritenuto nullo nella configu-

razione iniziale, è possibile porre .

Page 3: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

2

compiutamente qualunque cambiamento di configurazione congruente della struttura (v. Fig.

1b).

B

A P

C D

L L

L

(a)

u (b)

Figura 1 (a) Travatura reticolare iperstatica; (b) generico cambiamento di configurazione con-

gruente.

La variazione dell‟EPT del sistema in un generico cambiamento di configurazione congruente

è data da:

=

3

1

2)(

2

1

i

iLL

EA Pu

e risulta = (u) essendo le variazioni di lunghezza delle aste esprimibili in funzione

dell‟unica coordinata libera u. Supponendo che le tre aste che compongono la travatura abbia-

no la stessa sezione e indicando con 1, 2, 3 rispettivamente le aste AB, AC e AD si ha:

=

222

12

3

2

2

2

1

L

L

L

L

L

LEA Pu.

Essendo u piccolo per ipotesi, è possibile confondere la lunghezza di ciascuna asta deformata

con la sua proiezione sull‟asta indeformata. Con riferimento alla Fig. 1b, si ha allora:

L1 = u2/2, L2 = 0, L3 = u2/2,

da cui

=

220

222

122

L

u

L

uEA Pu =

22

12

L

uEA Pu.

Imponendo la stazionarietà dell‟EPT si ricava:

du

d = 0

2L

uEA P = 0 u =

EA

PL 2.

Nota la deformata, si può risalire alle deformazioni assiali e quindi alle azioni assiali nelle

aste:

N1 = EA1 = 2

1

L

LEA

=

22

2

L

uEA =

2

2P, N2 = EA2 = 0, N3 = ... =

2

2P.

Page 4: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

3

Si noti che, pur essendo la struttura esaminata due volte iperstatica, l‟equazione risolvente è

una sola. Anche se la struttura fosse stata più complessa, con n aste convergenti nel nodo A, la

complessità del procedimento di risoluzione non sarebbe cambiata. Utilizzando invece il

PLV, il numero di equazioni risolventi sarebbe aumentato col numero delle aste e sarebbe

stato pari a 2 già per la struttura di Fig. 1.

L‟esempio studiato mostra, come anticipato, che il teorema di stazionarietà dell‟EPT sia

un‟efficace strumento di risoluzione per sistemi con un numero finito di gradi di libertà. Nel

caso di sistemi di travi o di continui generici, l‟EPT risulta un funzionale del campo di spo-

stamenti: l‟imposizione della sua stazionarietà equivale alla risoluzione di un problema di cal-

colo delle variazioni, la cui soluzione in forma chiusa è generalmente impraticabile.

Si può peraltro pensare di risolvere in maniera approssimata un generico problema di ana-

lisi strutturale “discretizzandolo”, ovvero modellando a priori il campo di spostamenti in mo-

do che l‟EPT del sistema dipenda da un numero finito di parametri incogniti. Nel caso di soli-

di di forma generica, non è agevole proporre una singola funzione vettoriale congruente per

approssimare il campo di spostamenti sull‟intera struttura. Si può allora pensare di suddivide-

re la struttura in tante regioni, dette elementi finiti (v. Fig. 2) e di modellare indipendentemen-

te il campo di spostamenti su ciascuna regione. Successivamente, la congruenza viene ripri-

stinata garantendo (in maniera più o meno esatta) la continuità del campo di spostamenti fra

elementi adiacenti, nonché il rispetto delle condizioni al contorno cinematiche. Il grado di

accuratezza della soluzione approssimata può essere spinto al livello desiderato giocando o

sulle funzioni approssimanti, o sull‟infittimento del reticolo discretizzante (o “mesh”).

f

Su

s

F

V

n

Sf

(a) (b)

Figura 2 (a) Generico corpo bi o tridimensionale; (b) suddivisione in elementi finiti

In questo spirito opera il Metodo degli Elementi Finiti (o Finite Element Method, FEM), at-

tualmente il più diffuso fra i metodi di analisi strutturale2. Il FEM trova applicazione anche in

molte altre branche dell‟ingegneria (meccanica dei fluidi, aeroelasticità, ecc.), trattandosi, in

buona sostanza, di un metodo di integrazione approssimata di equazioni differenziali.

In generale, nella definizione del reticolo discretizzante si utilizzano elementi di forma e

dimensioni diverse, infittendo la suddivisione del corpo da analizzare dove si stima che il gra-

diente di sforzo sia più elevato (v. Fig. 3). Nelle zone dove il gradiente di sforzo è presumi-

bilmente basso, si eviterà invece un inutile aumento delle incognite nodali lasciando rada la

mesh. Nella fase di suddivisione è inoltre opportuno che gli elementi non siano eccessivamen-

te “distorti”; si deve cioè fare in modo che il loro rapporto di forma (= dimensione massi-

ma/dimensione minima) non sia troppo diverso da 1 per evitare errori di approssimazione di

origine numerica, legati al cattivo condizionamento del sistema risolvente. Inoltre si cercherà

di sfruttare eventuali simmetrie nella geometria del problema, evitando di discretizzarne le

parti non significative del corpo (v. Fig. 3).

2 Il metodo degli elementi finiti viene spiegato in dettaglio nel corso della Laurea Magistrale di Mecca-

nica Computazionale e Calcolo Anelastico delle Strutture.

Page 5: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

4

Nel seguito si descriverà per sommi capi il FEM nella sua formulazione “agli spostamen-

ti”, la più utilizzata e di immediata comprensione. Va peraltro segnalato che esistono anche

versioni alternative del FEM che prevedono la modellazione di componenti di sforzo (formu-

lazioni “miste” v. Bibliografia).

p

Figura 3 Esempio di suddivisione di una struttura in elementi finiti, con infittimento della mesh in

prossimità dello spigolo interno. Data la simmetria del problema, è stata discretizzata solo la parte di

sinistra della struttura, imponendo opportune condizioni al contorno cinematiche sull‟asse di simmetria.

1.2 Caratteristiche del singolo elemento finito Un‟analisi strutturale ad elementi finiti prevede anzitutto la suddivisione della struttura (o del

corpo) in esame in elementi, come mostrato nelle Figg. 2 e 3. Si immagina che i vari elementi

interagiscano fra loro e col “terreno” (ovvero col mondo circostante) solo in un numero finito

di punti, detti nodi. Su ciascun elemento (caratterizzato dall‟indice e) si esprime il campo di

spostamenti {ue(x,y,z)}3 in funzione di un certo numero di parametri (detti gradi di libertà,

g.l.), che coincidono solitamente con le componenti di spostamento dei nodi. Ciò si traduce

nella relazione

{ue(x,y,z)} = [Ne(x,y,z)]{Ue},

dove la matrice [Ne(x,y,z)] contiene funzioni note (dette funzioni di forma) e {Ue} è il vettore

dei g.l. nodali. Tutta la dipendenza del campo di spostamenti dal posto è contenuta nella ma-

trice di forma [Ne(x,y,z)]. Solitamente, le funzioni di forma sono di tipo polinomiale.

Dalla modellazione del campo di spostamenti discende quella del campo di deformazioni

nell‟elemento, {e(x,y,z)}. Il legame deformazionispostamenti si può esprimere simbolica-

mente come

{e} = []{ue},

dove [] rappresenta un operatore differenziale (lineare, nel caso di piccole deformazioni) che

associa ad un campo di spostamenti un campo di deformazioni. Sostituendo in questa relazio-

ne la modellazione del campo di spostamenti si ha

{e(x,y,z)} = []([Ne(x,y,z)]{Ue}) [Be(x,y,z)]{Ue},

3 in tutto il testo verrà utilizzata la notazione matriciale: le componenti di sforzo, deformazione e spo-

stamento saranno raggruppate in matrici colonna (o vettori), le componenti del tensore elastico in una

matrice quadrata, ecc.

Page 6: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

5

dove [Be(x,y,z)] si ottiene per derivazione della matrice di forma e prende il nome di matrice

di congruenza. Tutta la dipendenza del campo di deformazioni dal posto è contenuta in

[Be(x,y,z)].

Infine, dalla modellazione del campo di deformazioni consegue quella del campo di sforzi.

Limitando la trattazione al caso elastico lineare si ha

{e} = [de]({e} {ae}) = [de]([Be]{Ue} {ae}).

essendo [de] la matrice delle costanti elastiche che definiscono il legame sforzideformazioni

in forma diretta nel generico elemento finito e {ae} la matrice colonna che contiene le compo-

nenti delle eventuali deformazioni anelastiche presenti nell‟elemento.

L‟espressione dell‟energia di deformazione che s‟immagazzina nel generico elemento, ap-

prossimata nello spirito del metodo degli elementi finiti, si scrive:

e =

eV

ee

T

e dVa }){}({}{2

1 =

eV

eee

T

ee dVada }){}]({[}){}({2

1

= ...}{]][[}{}{]][[][}{2

1

e

V

ee

T

ee

V

ee

T

e

T

e UdVBdaUdVBdBU

ee

espressione che, a meno di una costante inessenziale, può porsi nella forma

e = ½{Ue}T[ke]{Ue} {pae}

T{Ue}.

La matrice

[ke] = [ ] [ ][ ]

e

Te e e

V

B d B dV

prende il nome di matrice di rigidezza dell‟elemento. E‟ una matrice quadrata, simmetrica,

che ha tante righe e tante colonne quanti sono i gradi di libertà dell‟elemento finito.

Il vettore

{pae} = eV

ee

T

e dVadB }]{[][

può essere interpretato come un insieme di carichi applicati nei nodi dell‟elemento “equiva-

lenti,” in termini energetici, alle deformazioni anelastiche.

1.3 Assemblaggio. Calcolo dell’energia potenziale totale del sistema discretizzato

Una volta modellati gli spostamenti sul singolo elemento finito, si ripristina la congruenza

interna del campo di spostamenti nella struttura di partenza imponendo la continuità degli

spostamenti nodali fra elementi adiacenti (fase di assemblaggio). Si noti che imporre

l‟uguaglianza dei gradi di libertà dei nodi comuni a più elementi adiacenti non garantisce ne-

cessariamente la continuità del campo di spostamenti in tutto il corpo, a meno che le funzioni

di forma non soddisfino opportune condizioni (v. par. 5): a priori, si potrebbero avere discon-

tinuità negli spostamenti da elemento ad elemento e le deformazioni potrebbero non essere

definibili all‟interfaccia fra elementi adiacenti.

Supponiamo per semplicità che il contorno vincolato del corpo Su non sia sede di cedimen-

ti vincolari4. Introduciamo il vettore {U} contenente gli N gradi di libertà effettivamente inco-

gniti di tutti i nodi del corpo discretizzato:

4 anche se non presenta difficoltà concettuali, il caso di vincoli cedevoli non verrà affrontato in questa

sede poiché richiede alcune manipolazioni algebriche che appesantiscono la trattazione; per il suo stu-

dio, si rimanda alla bibliografia citata.

Page 7: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

6

{U} = {U1; U2;..... UN}T.

Ripristinare la congruenza interna equivale ad identificare gli spostamenti del singolo elemen-

to pensato libero, raggruppati nel vettore {Ue}, con quelli della struttura assemblata. A tal fine

si introducono delle matrici di connessione5 [Le], così da poter scrivere

{Ue} = [Le]{U}.

Si noti che così facendo anche la congruenza esterna risulta soddisfatta, essendo esclusi dal

vettore {U} i g.l. dei nodi vincolati (nulli, per ipotesi).

L‟espressione dell‟EPT del sistema in esame si scrive

= W

dove rappresenta l‟energia di deformazione immagazzinata nel corpo e W il lavoro dei cari-

chi esterni. può essere vista come somma delle energie immagazzinate nei vari elementi;

limitandosi al caso lineare si ha allora, in forma discretizzata:

= ee e(½{Ue}T[ke]{Ue} {pae}

T{Ue})

e in funzione dei g.l. della struttura assemblata:

½{U}T(e[Le]

T[ke][Le]){U} (e{pae}

T[Le]){U}

½{U}T[K]{U} (e{pae}

T[Le]){U}.

La matrice

[K] = e[Le]T[ke][Le]

è detta matrice di rigidezza della struttura assemblata. Contiene tante righe e tante colonne

quanti sono i g.l. complessivi del corpo discretizzato (N). E‟ simmetrica, al pari delle [ke], e si

dimostra essere definita positiva (v. par. 4).

Il lavoro dei carichi esterni si scrive:

W =

fS

T

V

T dSufdVuF }{}{}{}{ + {Q}T{U},

dove {F} = {Fx, Fy, Fz}T è il vettore che contiene le componenti delle forze di volume agenti

nel corpo, {f} = {fx, fy, fz}T è il vettore che raggruppa le componenti delle forze di superficie

agenti sul contorno libero del corpo e {Q} contiene le componenti di eventuali carichi concen-

trati (Qi, i=1...N) applicati direttamente nei nodi del modello (eventualmente Qi=0 se non agi-

scono carichi concentrati in corrispondenza dell‟iesimo g.l.)6.

In forma discretizzata, il lavoro dei carichi esterni si scrive:

W = e S

e

T

e

e V

e

T

e

fee

dSufdVuF }{}{}{}{ + {Q}T{U},

e

e

S

e

T

e

e

e

V

e

T

e UdSNfUdVNF

fee

}{][}{}{][}{ + {Q}T{U};

5 si tratta di matrici „Booleane‟, i cui termini valgono 0 o 1.

6 si trascurano, per semplicità, carichi concentrati applicati in punti diversi dai nodi.

Page 8: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

7

la seconda sommatoria è estesa ai soli e.f. che possiedono lati in comune con il contorno libe-

ro del corpo. Sinteticamente:

W = e

e

T

fe

e

e

T

Fe UpUp }{}{}{}{ + {Q}T{U},

dove {pFe} e {pfe} sono vettori di carichi nodali, “equivalenti” rispettivamente alle forze di

volume e di superficie agenti sul generico elemento in termini di lavoro, definiti come:

{pFe} = [ ] { }T

e e

V

N F dV ; {pfe} = [ ] { }

fe

Te e

S

N f dS .

Essi rappresentano quei carichi concentrati nei nodi del modello che compirebbero lo stesso

lavoro dei carichi effettivi se la struttura si deformasse secondo la modellazione del campo di

spostamenti proposta.

In funzione dei g.l. della struttura assemblata:

W = { } [ ] { } [ ] { } { }T T TFe e fe ee e

p L p L Q U ,

il che consente in definitiva di esprimere l‟energia potenziale totale del sistema discretizzato

nella forma

= ½{U}T[K]{U} }{}{][}{}{}{ UQLppp T

e

e

T

aefeFe

.

Introducendo il vettore dei carichi nodali equivalenti a tutte le azioni esterne (carichi e de-

formazioni anelastiche), P, si può scrivere sinteticamente

= ½{U}T[K]{U} P

TU

con

{P} = e

aefeFe

T

e pppL }{}{}{][ + {Q}.

In questo modo l‟energia potenziale totale del sistema viene ad essere espressa in funzione di

un numero finito di parametri, raggruppati nel vettore {U}, che rappresentano tutti e soli i g.l.

effettivamente indipendenti del problema strutturale ( = ({U})). In sostanza, il corpo di

partenza è stato trasformato in un sistema discreto di elementi che interagiscono fra loro e col

mondo esterno solo nei nodi. I carichi distribuiti e le deformazioni anelastiche sono stati tra-

sformati in carichi concentrati P applicati nei nodi.

1.4 Stazionarietà dell’energia potenziale. Sistema risolvente. Ad assemblaggio effettuato, si cerca la “migliore” soluzione cinematica nella classe conside-

rata rendendo stazionaria (ovvero minimizzando, nel caso lineare) l‟EPT del sistema. Si ottie-

ne così

/{U} = {0} [K]{U} = {P}.

Se i vincoli sono tali da impedire i moti rigidi del corpo, la matrice [K] è definita positiva,

poiché la forma quadratica ad essa associata tramite il vettore {U} rappresenta l‟energia di

deformazione del corpo discretizzato ({U}), ed è > 0 {U}{0}. Essendo quindi det[K]

Page 9: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

8

0 (in particolare, det[K] > 0), il sistema algebrico ottenuto imponendo la stazionarietà

dell‟EPT può essere risolto, ottenendo

U} = [K]1

{P}.

Una volta ricavati i g.l. nodali incogniti, si possono ottenere le espressioni approssimate degli

spostamenti, delle deformazioni e degli sforzi nei vari elementi mediante le relazioni introdot-

te nel par. 1.2.

Si noti che la stazionarietà dell‟EPT non è stata imposta considerando tutti i possibili cam-

pi di spostamento congruenti, bensì nell‟ambito di una particolare classe di spostamenti, e

cioè quelli associati alla modellazione introdotta mediante le funzioni di forma. L‟equilibrio

del corpo risulta allora soddisfatto solo “in senso medio” (ovvero globalmente), mentre

l‟equilibrio in sede indefinita (ovvero locale) è in genere violato.

1.5 Convergenza del metodo

La soluzione del problema strutturale fornita dal FEM è, in generale, soltanto

un‟approssimazione della soluzione esatta. In effetti, come appena sottolineato, le equazioni

di equilibrio nodale sono state ottenute rendendo stazionaria l‟EPT del sistema non rispetto ad

un‟arbitraria variazione del campo degli spostamenti nel rispetto della congruenza (come si

richiederebbe per ricavare la soluzione esatta fra tutte quelle congruenti), ma soltanto rispetto

a una variazione del campo di spostamenti compatibile con le funzioni di forma scelte. Ricor-

dando che in elasticità lineare è minima in corrispondenza della soluzione vera, possiamo

dire che il valore di corrispondente alla soluzione {U*} delle equazioni di equilibrio nodale

/{U} = {0} è un maggiorante del valore esatto, *. Sinteticamente:

({U*}) = }{

minU

({u} = [N]{U}) ..}{

minacu

({u}) *.

In sostanza, il FEM ricerca il minimo di all‟interno della classe di spostamenti compatibili

con le funzioni di forma prescelte, al variare degli spostamenti nodali. Simbolicamente, que-

sto processo è visualizzato in Fig. 4. Il risultato del processo è a priori una delimitazione per

eccesso del valore di V in soluzione.

Si dimostra che, all‟aumentare del numero di g.l. del modello ad elementi finiti, la soluzio-

ne discretizzata tende alla soluzione vera (in termini di energia potenziale totale) se le funzio-

ni di forma sono in grado di descrivere i moti rigidi del singolo elemento e il più generico sta-

to a deformazione costante: un e.f. che soddisfi possieda tali requisiti è detto completo. Nel

caso di e.f. di travi (o altri elementi strutturali) queste condizioni vanno ovviamente soddisfat-

te in termini di “deformazioni generalizzate” (p.es. in termini di curvature nel caso di elementi

di trave alla EuleroBernoulli, v. par. 2.1). In sostanza, la convergenza del metodo è assicura-

ta se l‟elemento finito possiede le caratteristiche deformative di un elementino infinitesimo.

La convergenza è inoltre monotona (dall‟alto) se le funzioni di forma possiedono opportu-

ne caratteristiche di continuità. Detto m è il massimo ordine di derivazione con cui gli spo-

stamenti figurano nell‟espressione dell‟EPT, le funzioni di forma devono essere continue con

le loro derivate fino all‟ordine m (incluso) all‟interno degli elementi e devono garantire conti-

nuità di ordine m1 nel campo di spostamenti lungo le interfacce fra gli elementi. Elementi

che soddisfino tale condizione sono detti conformi. Nel caso di continui piani o tridimensiona-

li, si ha m=1; in questo caso è richiesta soltanto la continuità degli spostamenti lungo le inter-

facce (“continuità di tipo C0”). Nel caso di travi inflesse, dipende dalle curvature (cioè dalle

derivate seconde degli spostamenti); in tal caso m=2 ed è richiesta la continuità non solo degli

spostamenti, ma anche delle loro derivate prime attraverso le interfacce (“continuità di tipo

C1”).

Page 10: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

9

Uj

Ui

sottospazio

s=NU

spazio delle

soluzioni

ammissibili

U*

ampliamento del sottospazio

all‟aumentare dei g.l.

U*)

*

Figura 4

Questa condizione garantisce l‟assenza di singolarità nell‟integrando del funzionale EPT, poi-

ché fa sì che le deformazioni siano definibili all‟interno di ogni elemento e non assumano va-

lori infiniti lungo le interfacce. Va comunque tenuto presente che il rispetto di questo criterio

garantisce solo che le deformazioni assumano ovunque valori finiti, ma non la loro continuità

nel passaggio da un elemento all‟altro: le deformazioni possono dunque non essere definibili

lungo le interfacce fra gli elementi. Stesse considerazioni valgono per gli sforzi, che discen-

dono dalle deformazioni attraverso le equazioni di legame.

2. Alcuni elementi finiti per applicazioni strutturali

2.1 Elementi finiti di trave

2.1.1 Cinematica del modello di trave ‘alla EuleroBernoulli’

Le travi snelle vengono solitamente analizzate adottando il classico modello cinematico basa-

to sull‟ipotesi di EuleroBernoulli (E.B.), ovvero ipotizzando che, a deformazione avvenuta,

le sezioni della trave si mantengano piane e perpendicolari all‟asse deformato della trave (o

“linea elastica”). Di conseguenza, le rotazioni (x) delle sezioni della trave sono legate agli

spostamenti trasversali v(x) della linea d‟asse, coincidente con l‟asse x di un riferimento locale

alla trave, dalla relazione

( )dv

xdx

(v. Fig. 5). v(x) risulta pertanto l‟unica variabile spostamento indipendente nel modello di tra-

ve alla E.B.:

u = v(x)

Page 11: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

10

x

y,v

B

A

A'

B'

v(x) (x)

dv/dx

Figura 5 Cinematica del modello di trave alla EuleroBernoulli

La modellazione del campo di sforzi e di deformazioni nella trave viene fatta in termini di

quantità generalizzate, ovvero momenti M(x) e curvature (x). Il vettore delle deformazioni

(generalizzate) per una trave alla EuleroBernoulli contiene, come unica componente non

nulla, la curvatura flessionale:

= (x) = d/dx = d2v(x)/dx

2 []u

L‟operatore differenziale che lega deformazioni e spostamenti è quindi semplicemente

[] = d2/dx

2.

Il vettore degli sforzi (generalizzati) associati alle deformazioni del modello contiene, come

unica componente significativa, il momento flettente attorno all‟asse z:

= M(x).

In assenza di effetti anelastici, momenti e curvature sono legati dalla relazione (di Bernoul-

liNavier)

M = EJ

con EJ = rigidezza flessionale della trave (N.B. M > 0 tende le fibre a y > 0). La matrice delle

costanti elastiche che legano deformazioni e sforzi generalizzati attraverso la relazione =

[d] contiene pertanto un unico termine:

[d] = EJ

Un e.f. di trave alla E.B. dovrà essere in grado di modellare almeno un campo di deformazio-

ne (ovvero di curvatura) costante (v. par. 5): pertanto, il più semplice elemento proponibile

dovrebbe prevedere una modellazione di v(x) mediante un polinomio del second‟ordine. Nel

paragrafo successivo, verrà considerato un elemento a 2 nodi nel quale i libertà sono sia gli

spostamenti che le rotazioni nodali. La presenza delle rotazioni, e non solo degli spostamenti,

fra i g.l. nodali consente di rispettare la continuità interelementale delle derivate degli sposta-

menti (continuità di classe C1, v. par. 5), garantendo così la convergenza monotona alla solu-

zione esatta in termini di EPT all‟aumentare del numero dei g.l. del modello.

2.1.2 Elementi finiti di trave a 2 nodi

Si consideri un e.f. di trave con 2 nodi collocati nelle sue estremità. L‟elemento possiede 4

g.l., che sono gli spostamenti trasversali e le rotazioni degli estremi

{Ue} = {v1, 1, v2, 2}T

Page 12: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

11

(v. Fig. 6). Nel seguito, si utilizzerà un sistema di assi locali (x,y) con origine nel primo

estremo della trave (nodo 1) e si indicherà con L la lunghezza dell‟elemento (v. Fig. 6).

Il campo di spostamenti sull‟elemento, ve(x), risulta allora modellato attraverso la relazione

ve(x) =

2

2

1

1

4321 )()()()(

v

v

xNxNxNxN = [Ne(x)]{Ue}

L

v1 2

x

y

v2 1

1

2

Figura 6 Elemento di trave a 2 nodi e 4 g.l.

Si omette nel seguito l‟indice (e) che caratterizza il generico elemento finito.

Poiché v(x) viene a dipendere da 4 parametri, utilizzando una modellazione polinomiale le

funzioni di forma sono delle cubiche. Per la determinazione delle espressioni delle funzioni di

forma, si pone anzitutto

v(x) = 1 + 2x + 3x2 + 4x

3

da cui consegue

22 3 4'( ) 2 3

dvv x x x

dx .

I coefficienti della cubica vengono legati ai g.l. dell‟elemento imponendo l‟eguaglianza fra i

valori di v(x) negli estremi e gli spostamenti nodali. Inoltre, come detto precedentemente, nel

modello di trave di E.B. le rotazioni delle sezioni sono legate alle derivate dell‟abbassamento

v(x), ovvero alla pendenza locale dell‟asse della trave deformato. In definitiva, le relazioni che

consentono l‟identificazione dei coefficienti i (i = 1…4) si scrivono:

v(0) = v1; v(0) = 1; v(L) = v2; v(L) = 2.

Esplicitando si ha

v1 = 1

1 = 2

v2 = 1 + 2L + 3L2 + 4L

3

2 = 2 + 23L + 34L2

Risolvendo questo sistema rispetto a 1 ... 4, si ottiene

1 = v1; 2 = 1; 3 = 1 2 1 2

2

3( ) (2 )v v L

L

; 4 = 1 2 1 2

3

2( ) ( )v v L

L

.

Sostituendo le espressioni ottenute nella modellazione cubica di v(x), si possono identificare

le funzioni di forma nei coefficienti che moltiplicano v1 ... 2:

Page 13: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

12

N1 = 13(x/L)2+2(x/L)

3; N2 = x2x

2/L+x

3/L

2; N3 = 3(x/L)

22(x/L)

3; N4 = x

2+x

3/L

2.

Ciascuna di queste funzioni rappresenta fisicamente la deformata secondo cui si atteggia

l‟elemento di trave quando si impone ad uno degli estremi un cedimento unitario (spostamen-

to o rotazione), mantenendo bloccati i restanti gradi di libertà (v. Fig. 7). Va detto comunque

che il procedimento generale per la derivazione delle funzioni di forma ricalca quello appena

illustrato: l‟approccio fisico può essere di aiuto per l‟interpretazione del significato delle fun-

zioni di forma, ma non per la loro derivazione nel caso di elementi pluridimensionali o per

elementi aventi come g.l. variabili dal significato geometrico meno evidente di quelle qui uti-

lizzate.

Note le funzioni di forma, è possibile calcolare la matrice di congruenza interna, che lega

deformazioni (cioè curvature) e gradi di libertà nodali, dalla relazione (v. par. 2):

[B(x)] = [][N(x)] = [N1(x) N2(x) N3(x) N4(x)],

con

N1(x) = 6/L2 + 12x/L

3; N2(x) = 4/L + 6x/L

2;

N3(x) = 6/L2 12x/L

3; N4(x) = 2/L + 6x/L

2;

(a)

N1(x)

x

v1=1

1=1

(b)

N2(x)

x

(c)

N3(x)

v2=1

x

2=1(d)

N4(x) x

Figura 7 Deformate dell‟e.f. di trave a due nodi corrispondenti a ciascuna delle funzioni di forma

La matrice di rigidezza dell‟elemento è quindi data da (v. par. 2):

[k] = L

T dxxBxdxB0

)]()][([)]([ .

Nel caso di elemento a sezione costante in materiale omogeneo, integrando si ricava

[k] =

2

22

3

4.

612

264

612612

Lsimm

L

LLL

LL

L

EJ

Page 14: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

13

Nel caso generale, l‟elemento sarà soggetto a carichi distribuiti p(x) agenti perpendicolarmen-

te al suo asse; si suppone che eventuali forze o coppie concentrate siano applicate direttamen-

te ai nodi di estremità dell‟elemento; l‟espressione dell‟EPT dell‟elemento è allora

= L

dxxvxp0

)()( (lavoro delle reazioni negli estremi)

Sostituendo la modellazione operata su v(x) nella precedente espressione, l‟EPT dell‟elemento

viene ad assumere l‟espressione

V = {p}T{U} (lavoro delle reazioni negli estremi)

dove {p} è il vettore dei carichi nodali equivalenti ai carichi agenti lungo l‟asse dell‟elemento.

S‟immagini che l‟elemento sia soggetto ad un carico trasversale distribuito, d‟intensità q(x)

(v. Fig. 8a). Il vettore dei carichi nodali equivalenti al carico distribuito è dato da (v. par. 3):

{pf} =

dx

LxLxq

LxLxq

LxLxxq

LxLxq

dxxqxN

LL

T

0

232

32

232

32

0

//

)/(2)/(3

/)/2

)/(2)/(31

)()]([ .

In particolare, nel caso di carico uniformemente distribuito (q(x)=q0), l‟espressione del vettore

dei carichi nodali equivalenti è

{pf} = TLL

Lq6/16/1

2

0

che mostra come, nella modellazione effettuata, gli effetti del carico distribuito vengano con-

globati in reazioni q0L/2 normali alla trave e momenti q0L2/12 applicati negli estremi (Fig.

8b).

Utilizzando le espressioni di [k] e pf ora determinate per un generico elemento, è possi-

bile calcolare la matrice di rigidezza e il vettore dei carichi nodali equivalenti per una struttura

composta da travi inflesse e discretizzata in elementi finiti. Una volta calcolati gli spostamenti

nodali, si può poi risalire all‟intero campo di spostamenti sulla struttura e alle azioni interne

nei vari elementi. In particolare, si noti che, essendo lineare la variazione delle curvature (v.

l‟espressione delle derivate seconde delle funzioni di forma), anche i momenti risultano va-

riabili linearmente su ciascun elemento. Ne consegue che, per ottenere una modellazione sod-

disfacente dei momenti flettenti lungo travi soggette a carichi distribuiti, è necessario suddivi-

dere tali travi in più elementi (v. anche Fig. 9c,d). Le azioni taglianti non possono essere rica-

vate tramite le equazioni costitutive (poiché il modello cinematico adottato prevede scorri-

menti medi ovunque nulli), bensì per derivazione delle equazioni dei momenti come T=dM/dx

(in sostanza, sulla base di v); in ciascun elemento, il taglio così valutato risulterà costante.

L

v1 2

x

y

v2 1

1

2

q0

(a)

q0L/2

(b)

1 2

q0L/2

q0L2/12

q0L2/12

Page 15: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

14

Figura 8 (a) E.f. di trave alla EuleroBernoulli soggetta a carico uniformemente distribuito e (b) cor-

rispondenti carichi nodali equivalenti

2.1.3 Esempio di applicazione

Si voglia analizzare ad e.f. la struttura di Fig. 9a. La trave di sinistra ha inerzia doppia rispetto

a quella di destra ed è soggetta a carico uniforme d‟intensità q0. Sulla sezione di discontinuità

agisce inoltre un carico concentrato Q = q0L. La struttura viene discretizzata con un e.f. a 2

nodi per ciascun tratto a inerzia costante. Il vettore dei g.l. incogniti comprende solo due ter-

mini, che sono lo spostamento trasversale e la rotazione della sezione comune ai due elemen-

ti:

{U} = {U1, U2}T

(v. Fig. 9b).

Le matrici di rigidezza dei due elementi si scrivono:

[k1] =

2

22

3

4.

612

264

612612

2

Lsimm

L

LLL

LL

L

EJ ; [k2] =

2

22

3

4.

612

264

612612

Lsimm

L

LLL

LL

L

EJ

I rispettivi vettori dei carichi nodali equivalenti sono

{pf1} = q0L/2{1, L/6, 1, L/6}T; {pf2} = {0, 0, 0, 0}

T

e il vettore dei carichi esterni concentrati sui nodi è

{Q} = {q0L, 0}T

Le matrici di connessione che legano i g.l. di ciascun elemento (numerati come in Fig. 6) a

quelli della struttura assemblata (numerati come in Fig. 8b) sono:

[L1] =

0 0

0 0

1 0

0 1

; [L2] =

1 0

0 1

0 0

0 0

.

La matrice di rigidezza della struttura si scrive allora:

[K] =

23 126

636

LL

L

L

EJ

e il vettore dei carichi nodali equivalenti è

{P} =

12/

2/32

0

0

Lq

Lq.

Risolvendo il sistema [K]{U}={P} si ottiene

Page 16: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

15

{U} =

1

12/35

66

3

0L

EJ

Lq

(N.B. U1 > 0 è un abbassamento; U2 > 0 è una rotazione oraria v. Fig. 9b). Noti gli sposta-

menti nodali, è possibile risalire alle azioni interne M e T nella struttura. Per ogni elemento,

ciò richiede la valutazione delle derivate

v = 2

2

23

2

21

2

13

2

2326634166

L

x

L

xv

L

x

L

x

L

x

L

xv

L

x

L

x

v = 2223212132

62

126

64

126

L

x

Lv

L

x

LL

x

Lv

L

x

L

= [B(x)]u

v = 1 1 2 2

3 2 3 2

12 6 12 6v v

L L L L

L L

2EJ

EJ

Q=q0L

x

y

(a)

q0 2 1

(b)

U1

U2

+

(c)

+

39/132q0L2

31/66q0L2

27/66q0L2

43/132q0L2

+ M

+

29/33q0L

41/66q0L

+ T

73/132q0L

91/66q0L

25/66q0L

2 1

(d)

3 4 5

M

Figura 9 (a) Struttura formata da due travi ad inerzia diversa; (b) suddivisione della struttura in due

e.f., numerazione dei g.l. del nodo libero e deformata qualitativa; (c) azioni interne ottenute con 2 e.f.

(in tratteggio: risultati esatti); (d) miglioramento dell‟andamento del momento flettente sotto il carico

distribuito con un aumento del numero di e.f. sulla trave di sinistra.

Si ricava allora, per il primo elemento (v1=1=0, v2=U1, 2=U2):

M1(x) = (EJ)11 = 2EJv1 = 2

2

L

EJ [(612x/L)v2 + (2L +6x)2] = LxqLq 0

2

033

29

66

31 ,

T1(x) = dx

dM 1 = 2

2

L

EJ (12v2 + 6L2) = Lq0

33

29,

Page 17: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

16

e per il secondo (v1=U1, 1=U2, v2=2=0):

M2(x) = (EJ)22 = EJv2 = 2

L

EJ [(6+12x/L)v1 + (4L+6x)1] = LxqLq 0

2

066

41

132

43 ,

T2(x) = dx

dM 2 = 2

L

EJ (12v1 + 6L1) = Lq0

66

41 .

Da queste espressioni si ottengono i diagrammi di Fig. 9c; per confronto, sono anche riportati

in tratteggio i diagrammi delle azioni interne „esatti‟, determinabili ad esempio con la teoria

della linea elastica. Si lascia come esercizio quello di verificare che la soluzione approssimata

rispetta le equazioni di equilibrio globale di ciascun elemento e dell‟intera struttura (a patto di

sostituire i carichi effettivi con i carichi nodali equivalenti), mentre l‟equilibrio locale risulta

in genere violato (ad es., d2M1/dx

2q0). Poiché nella realtà lungo la parte di sinistra della

struttura il momento varia quadraticamente (e il taglio linearmente), sarebbe opportuno suddi-

videre tale parte in un numero di elementi maggiore in modo da ottenere una miglior appros-

simazione delle azioni interne (v. Fig. 9d).

2.2 Elementi finiti bidimensionali per l’analisi di problemi piani

2.2.1 Richiami di teoria dell’elasticità per problemi piani

Un problema si dice piano quando è compiutamente caratterizzato dalla conoscenza delle

componenti dei campi incogniti (sforzi, deformazioni, spostamenti) appartenenti ad un certo

piano. Nel seguito indicheremo con (x,y) il piano nel quale viene formulato il problema. Le

incognite sono allora:

le componenti u(x,y), v(x,y) del campo di spostamenti nel piano, raggruppate nel vettore

{u} =

),(

),(

yxv

yxu;

le componenti di deformazione x(x,y), y(x,y), xy(x,y), raggruppate nel vettore

,

,

,

x

y

xy

x y

x y

x y

;

esse sono legate alle componenti del vettore spostamento dalle relazioni

x = x

u

; y =

y

v

; xy =

y

u

x

v

,

per cui, posto = u, l‟operatore differenziale ha la forma

=

/ 0

0 /

/ /

x

y

y x

;

le componenti di sforzo x(x,y), y(x,y), xy(x,y), raggruppate nel vettore

Page 18: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

17

,

,

,

x

y

xy

x y

x y

x y

.

Si osservi che non si dice nulla riguardo alle componenti di spostamento, deformazione e

sforzo fuori dal piano, che possono quindi essere diverse da zero; in ogni caso, queste non

figurano fra le incognite primarie del problema. Si può comunque dimostrare che, nel caso di

corpo in materiale isotropo, deve risultare yz = zx = 0 e yz = zx = 0.

Nel caso elastico lineare e isotropo, il legame fra le componenti non nulle dei tensori di

sforzo e di deformazione si scrive:

1 0

1 01

0 0 2 1 0

0 1

x x

y y

xy xy

z z

E

.

Di particolare importanza pratica sono i casi in cui è possibile ritenere nulla o la componente

z del tensore degli sforzi o la componente z del tensore delle deformazioni: si parla allora,

rispettivamente, di stato piano di sforzo e di stato piano di deformazione. Il primo si incontra

ad esempio nel caso di lastre sottili caricate nel proprio piano; il secondo quando si trattano

problemi di corpi che possano ritenersi indefinitamente lunghi in una certa direzione (dighe,

gallerie, ecc.), di modo che le deformazioni secondo tale direzione sono impedite, soggetti a

carichi non variabili in tale direzione.

Indichiamo nel seguito con [d] la matrice delle costanti elastiche del materiale e con [c] la

sua inversa, “ridotte” al piano (x,y). Esse consentono di esprimere il legame fra le componenti

dei tensori di sforzo e di deformazione nel piano (x,y) come

{} = [d]{}; {} = [c]{}

Nel caso di stato piano di sforzo, imponendo z = 0 nell‟espressione generale del legame in-

verso ed eliminando z dal problema, si ricava:

[c] =

)1(200

01

011

E;

2

1 0

1 01

10 0

2

Ed

.

Si noti che in generale risulta z (= (x + y)/E) 0, a meno che non sia =0.

Nel caso di stato piano di deformazione, imponendo z = 0 nell‟espressione generale del

legame diretto ed eliminando z dal problema, si ricava:

[d] =

2 0

2 0

0 0

G

G

G

=

1 0

1 01 1 2

1 20 0

2

E

,

Page 19: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

18

[c] =

200

01

011

E.

Si noti che in generale risulta z (=(x + y)) 0, a meno che non sia = 0.

A parte la diversa definizione delle matrici delle costanti elastiche ridotte, la formulazione

del problema elastico piano negli sforzi o nelle deformazioni è analoga. In entrambi i casi, il

problema può essere studiato come bidimensionale, nel piano (x,y), considerando solo le

componenti di sforzo e di deformazione relative a tale piano, cioè quelle da cui dipende l‟EPT

del sistema, anche se possono non essere le uniche diverse da zero.

2.2.2 Elementi finiti triangolari a 3 nodi

Come esempio di elemento finito per l‟analisi di problemi piani, si consideri un elemento

triangolare i cui nodi siano collocati nei vertici. S‟immagini di percorrere i nodi in senso an-

tiorario, numerandoli progressivamente da 1 a 3 (Fig. 10). Siano x1, y1, ecc. le coordinate dei

vertici del triangolo. Nel seguito, l‟indice (e) che caratterizza l‟elemento finito verrà omesso

per brevità. Ci preoccupiamo di costruire la matrice di rigidezza e il vettore dei carichi nodali

equivalenti per il generico elemento.

I gradi di libertà dell‟elemento sono le 6 componenti degli spostamenti dei nodi nelle dire-

zioni x e y (v. Fig. 10) e vengono raggruppati nel vettore

{U} = {u1, v1, u2, v2, u3, v3}T.

Il campo di spostamenti all‟interno dell‟elemento viene modellato in modo da essere univo-

camente definito sulla base dei 6 g.l. La più semplice modellazione proponibile è ovviamente

un‟approssimazione lineare del tipo

u(x,y) = 1 + 2x + 3y; v(x,y) = 4 + 5x + 6y.

x

y

u1

v1

u2

v2

u3

v3

e

1

2

3

Figura 10 Elemento finito triangolare a 3 nodi

Sinteticamente, la modellazione proposta del campo di spostamenti può scriversi nella forma

{u(x,y)} = [(x,y)]{}

dove

{} = {, , , , }T

e [] contiene i termini dei polinomi scelti per la modellazione:

Page 20: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

19

[(x,y)] = 1 0 0 0

0 0 0 1

x y

x y

Per esplicitare la dipendenza del campo di spostamenti dai g.l. nodali, meccanicamente più

espressivi dei coefficienti i (i=1...6), si impone che in ciascun nodo le componenti di {u} si

identifichino con i g.l.:

u(x1,y1) = 1 + 2x1 + 3y1 u1;

v(x1,y1) = 4 + 5x1 + 6y1 v1;

v(x3,y3) = 4 + 5x3 + 6y3 v3.

Sinteticamente:

[C]{} = {U}

dove la matrice [C] si scrive

[C] =

1 1

1 1

2 2

2 2

3 3

3 3

1 0 0 0

0 0 0 1

1 0 0 0

0 0 0 1

1 0 0 0

0 0 0 1

x y

x y

x y

x y

x y

x y

Invertendo tale matrice si ricavano i parametri i (i = 16) in funzione dei g.l. e quindi

{u(x,y)} =[(x,y)]{} = [(x,y)]([C]1

{U}) [N(x,y)]{U}

La matrice di forma [N] = [N(x,y)] è quindi calcolabile come

[N] [][C]1

e ha la seguente struttura:

[N] = 1 2 3

1 2 3

0 0 0

0 0 0

N N N

N N N

.

Sviluppando i calcoli, si ricava che la generica funzione di forma Nj(x,y) (j=1,2,3) si può

esprimere come:

Nj(x,y) = 1

2A(aj + bjx + cjy)

dove A è l‟area dell‟elemento. I coefficienti aj, bj e cj sono legati alle coordinate dei nodi e

sono dati da

aj = xhyk xkyh; bj = yh yk; cj = xk xh

dove ciascuno degli indici j, h, k prende successivamente il valore 1,2 o 3.

Page 21: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

20

Ottenuta la matrice di forma, si possono ricavare le espressioni delle deformazioni nel pia-

no (x,y) conseguenti alla modellazione del campo di spostamenti proposta. La matrice di con-

gruenza interna si ottiene applicando l‟operatore (v. par. 2.2.1) alla matrice di forma:

B = 1 2 3

1 2 3

1 1 2 2 3 3

0 0 01

0 0 02

b b b

c c cA

c b c b c b

Va notato che [B] non dipende dalle coordinate (x,y), per cui in un elemento triangolare a 3

nodi le deformazioni sono costanti. Da questa circostanza deriva la sigla CST (= Constant

Strain Triangles) con cui spesso vengono individuati questi elementi.

La matrice di rigidezza dell‟elemento è data da

[k] = T

V

B d B dV

Nel caso di materiale omogeneo, essendo [B] e [d] costanti rispetto al posto, si ha semplice-

mente

[k] = [B]T[d][B]Ah

dove h è lo spessore dell‟elemento.

Restano infine da determinare i vettori dei carichi nodali equivalenti a forze di volume,

{pF}, e a forze di superficie, {pf}, agenti sull‟elemento. A titolo di esempio, si considera solo

il primo contributo:

{pF} = T

VN F dV

essendo {F} il vettore che contiene le componenti delle forze di volume agenti nel piano (x,y):

{F} = {Fx, Fy}T

Poiché [N] non è costante, in generale l‟integrazione che consente il calcolo di {pF} va effet-

tuata numericamente. Se in particolare le forze di volume sono costanti sull‟elemento (come

nel caso della forza peso per corpi a densità costante), si verifica facilmente7 che risulta

pF = 1

3Fx, Fy, Fx, Fy, Fx, Fy

TAh

(Ah = V = volume dell‟elemento). In sostanza, le risultanti delle forze di volume vengono ri-

partite in ugual misura fra i tre nodi dell‟elemento (v. Fig. 11).

7 il calcolo si semplifica assumendo l‟origine degli assi nel baricentro dell‟elemento.

Page 22: Introduzione Al Metodo Degli Elementi Finiti

21

x

y

e1

2

3

Fx

Fy

(a)

1

2

3

FyV/3

(b)

FxV/3

FxV/3

FxV/3

FyV/3

FyV/3

Figura 11 (a) Forze di volume uniformemente distribuite e (b) corrispondenti forze nodali equivalenti

nell‟e.f. a tre nodi

Bibliografia

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