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International Association for Art and Psychology Arte e Psicologia, Gruppo di studio interdisciplinare Sezione Piemontese Diritto al cuore Percorsi di elaborazione del lutto tra arte e vita 19 aprile 2010. Circolo Eridano - Circolo degli Artisti Torino IL VIAGGIO MISTERIOSO DELLA VITA TRA NATURA, CULTURA, RAPPRESENTAZIONE ARTISTICA Marcello Pedretti Federico bambino, futuro Federico II, in questa bella immagine di Irina Hale, viene rappresentato all’età di tre anni al funerale di sua madre, Costanza di Altavilla. Il suo sguardo è rivolto avanti, gli occhi parlano di voglia di vivere, ma anche di smarrimento; il peso della morte non coinvolge lui solo, ma tutto il popolo; i riti funebri accompagnano, ma non cancellano il mistero della vita e della morte. La morte è sempre uguale a sé stessa: cesura, interruzione, blocco. Parlare di lutto e di elaborazione del lutto è parlare del nostro essere vivi e creativi, di corpo, di eros, di relazioni. Non c’è possibilità di vita senza relazioni. Il caos interno che origina da una perdita, da un lutto, la perdita di riferimenti interni ed esterni, spinge a riorganizzare creativamente la propria vita, integrando l’esperienza dapprima sofferta e rifiutata, spostata altrove. La psicologia ha descritto come componente importante della nascita del pensiero, delle rappresentazioni, del linguaggio, la mancanza dell’oggetto amato, desiderato. È nella mancanza che nascono grandi opere artistiche, i sistemi filosofici, che trova sostegno il pensiero religioso, ma anche quel silenzioso processo di riorganizzazione creativa che permette a ciascuno di noi di sopravvivere ai propri lutti. Non bisogna comunque dimenticare che quando le riorganizzazioni creative sono a scapito della realtà e delle relazioni, permettono la sopravvivenza personale, ma ostacolano la partecipazione alla vita e diventano peso per quelli a noi vicini. La vita non finisce con la perdita, salvo quelle situazioni caratterizzate da un insufficiente sviluppo personale e dall’assenza di una rete di supporto adeguata, oppure dal rifiuto della perdita.

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International Association for Art and Psychology Arte e Psicologia, Gruppo di studio interdisciplinare

Sezione Piemontese

Diritto al cuore

Percorsi di elaborazione del lutto tra arte e vita

19 aprile 2010.

Circolo Eridano - Circolo degli Artisti

Torino

IL VIAGGIO MISTERIOSO DELLA VITA

TRA NATURA, CULTURA, RAPPRESENTAZIONE ARTISTICA

Marcello Pedretti

Federico bambino, futuro Federico II, in questa bella immagine di Irina Hale, viene rappresentato

all’età di tre anni al funerale di sua madre, Costanza di Altavilla. Il suo sguardo è rivolto avanti, gli

occhi parlano di voglia di vivere, ma anche di smarrimento; il peso della morte non coinvolge lui

solo, ma tutto il popolo; i riti funebri accompagnano, ma non cancellano il mistero della vita e della

morte.

La morte è sempre uguale a sé stessa: cesura, interruzione, blocco.

Parlare di lutto e di elaborazione del lutto è parlare del nostro essere vivi e creativi, di corpo, di

eros, di relazioni. Non c’è possibilità di vita senza relazioni.

Il caos interno che origina da una perdita, da un lutto, la perdita di riferimenti interni ed esterni,

spinge a riorganizzare creativamente la propria vita, integrando l’esperienza dapprima sofferta e

rifiutata, spostata altrove. La psicologia ha descritto come componente importante della nascita del

pensiero, delle rappresentazioni, del linguaggio, la mancanza dell’oggetto amato, desiderato. È nella

mancanza che nascono grandi opere artistiche, i sistemi filosofici, che trova sostegno il pensiero

religioso, ma anche quel silenzioso processo di riorganizzazione creativa che permette a ciascuno di

noi di sopravvivere ai propri lutti. Non bisogna comunque dimenticare che quando le

riorganizzazioni creative sono a scapito della realtà e delle relazioni, permettono la sopravvivenza

personale, ma ostacolano la partecipazione alla vita e diventano peso per quelli a noi vicini.

La vita non finisce con la perdita, salvo quelle situazioni caratterizzate da un insufficiente sviluppo

personale e dall’assenza di una rete di supporto adeguata, oppure dal rifiuto della perdita.

Parlare del nostro essere vivi è parlare in primo luogo del nostro essere “nati”, cioè di una

dimensione biologico – psicologico – relazionale, di una realtà che ci trascende e ci precede.

La Nascita della vergine di Giotto, parte del ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni a

Padova, ci introduce al tema della nascita:

In questa scena, tutta di donne, è rappresentata la consegna alla madre Anna di Maria dopo il parto.

Tutto è avvolto in una naturalità priva di ombre, di sofferenza.

Ma la nascita è tutto qui?

La risposta non può essere che “No”. La ricchezza di una scena di parto, gli affetti che in essa si

muovono, non possono essere racchiusi in una singola immagine di pace e gioia, come nell’affresco

di Giotto. Anche il momento della nascita, come sa ogni donna, è inserito nel conflitto tra vita e

morte o, eliminando il termine conflitto, in una naturalità aperta sia alla vita che alla morte.

Accettare una gravidanza, sempre accettare un cambiamento e un allargamento creativo della

propria identità e delle proprie mete, spesso conflittuale, può divenire dare materialmente la propria

vita nel momento del parto. Quando le cose vanno male per il bambino, occorre confrontarsi con la

perdita del proprio progetto, una perdita spesso difficile da elaborare.

Il momento del parto è al centro del mistero della vita, inserito in una naturalità attentamente

osservata e riprodotta, forse con funzioni propiziatorie, fin dagli inizi della vita dell’uomo, come in

questo pittura rupestre conservato nel Museo di Tripoli (Tadrart Akakus libico, Periodo Pastorale,

5000 - 3500 a.C.)

L’elemento misterico collegato alla nascita e al parto, le angosce ad esso collegate, portano nel

tempo a un processo di sacralizzazione in cui gli aspetti più naturali vengono progressivamente

allontanati come si può osservare in queste due statuette di Dea Madre prodotte nell’Alta

Mesopotania, la prima risalente a circa 6500 - 7500 anni a. C., trovata a Catal Huyuk e conservata

al Museo archeologico di Ankara, la seconda risalente a circa 1400 - 1200 a. C., conservata nella

Collezione Norbert Schimmal a New York. La prima rappresenta una donna in trono e tra le sue

gambe si intravvede la testa di un neonato. Il trono è anche la sedia gestatoria, segno di potere.

La seconda immagine, che anticipa tante natività cristiane, porta ancora più avanti il processo di

sacralizzazione della donna e del figlio, oramai del tutto sottratti alla naturalità del parto, una

naturalità che obbligherebbe a confrontarsi nuovamente con le angosce di morte.

Un ulteriore passaggio creativo è lo spostamento del tema della nascita dal piano naturale a quello

spirituale. Questa copertina di un codice conservato nei Musei Vaticani illustra questo spostamento.

Il parto non è qui raffigurato, anche se tutta la scena lo sottintende. Il neonato avvolto nelle fasce e

posto nella cassa- mangiatoia vicino al bue e all’asino allude a una naturalità aperta alla morte, la

vera nascita, l’accesso alla vera vita avviene su un piano spirituale ed è collegata alla scena di

battesimo in fondo a destra.

Alcune immagini, tratte da un filmato con una scena di parto in casa, vengono proposte come

stimolo a un contatto più diretto ed emotivo con la realtà della nascita. Attraverso di esse possiamo

meglio percepire cosa significa per la donna partorire in termini di partecipazione, di impegno a

livello fisico, di fatica e sofferenza, di deformazione, spesso lacerante, di parti del proprio corpo, di

preoccupazione per sé e per il frutto del proprio grembo, di gratificazione, momento di gioia unico,

quando tutto va bene, e come sia importante che la donna non sia affettivamente e materialmente

sola in questo speciale momento. Occorre inoltre per molte donne accettare la separazione da ciò

che fino allora era stato sentito come parte di sé.

Le immagini parlano da sole: immagini che possono stimolare affetto, partecipazione, orrore,

ricche di un prendersi cura che non lascia la madre sola, piene della realtà della vita, eppure così

vicine alla realtà della morte, immagini che parlano di trasformazioni creative, della loro forza e

della loro fragilità, immagini che cui la sacralità non è cancellata, ma diviene apertura al mistero, a

ciò che ci trascende.

Ogni nascita riuscita è sconfitta della morte, ogni nascita fallita è confronto con la morte.Parlare di

elaborazione del lutto e di elaborazione artistica è confrontarsi con il tema della nascita, il luogo da

cui origina, a mio giudizio, ogni rappresentazione umana, anche quelle che precedono o si pongono

dopo di essa: la creazione del mondo, momento concepitivo iniziale, la cacciata dal Paradiso

terrestre, collegata alle trasformazioni differenziative e all’emergere delle identità e dei desideri

personali, i miti eroici, che parlano dell’avventura della vita, i miti dei santi, che parlano di energie

che ci trascendono, i miti di distruzione e di rinascita collegati alla morte, il Giudizio universale

come nuova nascita.

La nascita è iscritta in primo luogo nel corpo biologico. È infatti presente in esso un impulso che

trascende la singola persona, una spinta verso la vita che prende la forma del dono. Ciò sia che il

concepimento sia frutto di violenza, passione dei corpi, o scelta partecipata e cosciente.

La rappresentazione allegorica della Carità di Lucas Cranach (1472- 1473), una donna che allatta ed

è circondata dai suoi figli, in una nudità che rimanda alla naturalità, seduta su una pietra che allude

a un sarcofago, alla sconfitta della morte, trae origine in questo substrato biologico.

La nascita è pure iscritta in un piano relazionale, in cui la madre è al contempo madre terra,

rappresentante della realtà in tutta la sua estensione, che madre reale, portatrice di immagini di

mondo e di relazione, anticipatrici di trasformazioni future.

Elaborazione del lutto ed elaborazione artistica divengono in questa ottica espressione dell’ arte del

vivere, un arte del vivere che richiede di dare un posto al dolore, di poterlo pensare, di poterlo

esprimere e rappresentare, di guardare a tutto ciò che si era lasciato in sospeso, di ripartire ogni

volta in una relazione profonda con la realtà interna ed esterna, anticipatrice di trasformazioni

creative.

Vita e morte sono oggetto di rappresentazione artistica fin dalla antichità, anzi il processo artistico

può essere visto come una rappresentazione simbolica di un processo ciclico naturale, al cui centro

è il continuo rinnovarsi e arricchirsi in senso evolutivo della vita, attraverso la trasformazione

continua di esperienze in ricordi, nel confronto con una morte che rimane sempre uguale a sé stessa.

Nella fede e nell’arte cristiana i temi della nascita e della morte sono i temi centrali con la natività,

la passione di Gesù, il cordoglio rappresentato nelle Pietà, la resurrezione alla vita, il giudizio

universale. Sicuramente più che le parole possono dire le immagini. Una visita virtuale agli

affreschi del Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze permette una visione unitaria di

questi temi.

La Natività si presenta come scena di adorazione. Nella iconografia cristiana primitiva la Madre di

Dio non viene mai rappresentata con rimandi diretti alla scena del parto, solo successivamente sarà

accettata una posizione sdraiata simile a quella delle puerpere. Nello stesso tempo la stalla rimanda

alle urine e alle feci, alla famosa frase di Agostino “Inter urinas et faeces nascimur”, al biologico.

La mangiatoia, rappresentata da una cassa vuota, allude alla morte e alla sua sconfitta. Gli angeli

sopra la stalla, nel gioco degli sguardi rivolti sia in basso che verso l’alto, alludono alla profonda

unione tra il piano delle realtà materiali e quello delle realtà spirituali.

La scena della Crocefissione, con il teschio ai piedi del crocefisso, è un invito alla meditazione

sulla morte. È meditando su di essa che per il cristiano la vita assume tutto il suo spessore e il suo

valore, è meditando sulla morte che ogni momento della vita diventa dono e occasione di dono.

La Pietà è sia il momento del cordoglio e del dolore per chi rimane, disorientato nei suoi affetti, ma

esprime anche nel Beato Angelico la pietà per colui che è morto, l’onore del sepolcro che l’umanità

dà, da sempre, al corpo e che esprime simbolicamente il ritorno nel ventre della terra in attesa di una

nuova nascita.

Nella Discesa agli inferi, il battente della porta, divelto, diventa prefigurazione dello scoperchiarsi

dei sepolcri. Gesù che unendosi a noi nella morte ci conduce verso una nuova vita è raffigurazione

di tutti quelli che non si ritraggono di fronte alla morte, ma accettando di raggiungere la persona

sofferente nel suo drammatico isolamento, riaprono una via alla speranza. Il battente divelto,

raffigurazione delle paure che ci costringono nelle tenebre, schiaccia un demone, altri sono in fuga,

la morte è sconfitta. L’esultanza dei santi segna la fine della lunga attesa nel ventre della terra,

siamo di fronte a una nuova nascita.

In Le Marie al sepolcro l’Angelo ci a distogliere il nostro sguardo da ciò che non è più, a superare il

dolore del cuore legato all’assenza, al distacco, al disorientamento, e ad aprirci nella fiducia e nella

speranza alla visione delle realtà future, una visione che trova il suo sostegno nel ricordo delle realtà passate.

Il Giudizio universale, con il tema dei sepolcri scoperchiati e del giudizio finale è un grande

affresco della nascita, una nascita con al centro un’altra volta il mistero della vita e della morte.

Al centro è la nascita non nella dimensione biologica, ma in quella spirituale e in quest’ultima

dimensione assume importanza centrale la partecipazione dell’uomo, una partecipazione che si

manifesta nel suo farsi a sua volta dono.

“Allora i giusti diranno: Signore quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da

mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo

ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti

a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a

uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Mt. 25, 37-40

È facile vedere in queste parole come le opere di carità non sono altro che le attenzioni che una

madre e un padre “sufficientemente buoni” rivolgono ai loro figli, sostenendo in loro la vita e la

speranza, e come da un punto di vista spirituale l’umanità diventi una qualità relazionale che va

oltre ogni appartenenza.

La presenza del tema della morte è costante nella storia dell’arte e rappresenta lo sfondo che dà cui

essa emerge, in un percorso dal non-essere all'essere. Non c’è infatti alcuna opera d’arte che

divenga dono all’umanità se essa non passa attraverso il confronto con la morte, l’elaborazione di

un lutto, il tentativo di dare forma rappresentativa all’indicibile, l’esultanza intima quando ciò

accade. È una presenza che diviene ammonimento come nelle danze macabre medioevali o nel

quadro Et in Arcadia ego del Guercino, segno di vita di santità, come nel San Francesco in

meditazione di Guido Reni, segno delle qualità eccezionali dell’artista, come nell’Autoritratto con

la morte che suona il violino di Bocklin.

Nell’arte contemporanea la morte è spesso presenza traumatica, frammentazione, imprigionamento

e violazione, in cui la persona è ridotta a corpo, corpo che interpella il fruitore dell’opera

direttamente obbligandolo a un non facile lavoro di contenimento e di elaborazione delle proprie

angosce nel confronto con quelle dell’artista. Siamo qui di fronte a un tentativo di rappresentazione

di sofferenze profonde, a una disperata richiesta di dono al fruitore dell’opera: una richiesta di presa

di posizione, di contrasto delle angosce, di reinserimento delle stesse in un percorso di donazione di

senso. Sono opere in cui sono rappresentate le dimensione personali e collettive delle angosce

relative a ogni nascita e la sofferenza legata ad ogni fallimento. Due quadri di Bacon, Painting

1946 and Study for a Crouching Nude possono rappresentare questo cambiamento di prospettiva.

Il primo è il dominio dell’inumano, un inumano che interpella ogni umano in una disperata richiesta

di un dono che renda possibile il passaggio dall’inumano stesso all’umano. Il secondo parla di una

dignità umana schiacciata, umiliata, mutilata, tutti significati compresi nel termine crouching

(piegato sulle ginocchia), nel quadro rappresentata, ma continuamente ri-attualizzata dall’autore

nei maltrattamenti al suo amante e modello che finirà per suicidarsi. Angosce solo parzialmente

contenute dalle forme meccaniche e dalle linee sottili che delimitano spazi di rappresentabilità.

Parlare di arte è anche parlare del processo della conoscenza, infatti esso condivide con l’arte, il

confronto continuo vita ↔ morte: non può infatti sorgere nuova conoscenza se non nel

superamento, almeno parziale, delle forme preesistenti. È un processo che ricorda quello della

nascita con le sue angosce: occorre lasciare precedenti abitudini, accettare i cambiamenti del

proprio corpo, la lacerazione del parto, nella povertà della speranza, una speranza che tutto spera,

ma nulla possiede. Qui torna la reale possibilità di vicoli ciechi mortiferi, di nascita di mostri

incapaci di reggersi da soli, di mancanze di riconoscimenti amorosi, di fallimenti che non possono

essere assunti se non nel dono di sé in funzione di una vita che possa svilupparsi sempre più.

Tutto ciò che abbiamo sottolineato attraverso immagini, trova espressioni equivalenti negli altri

sensi. Come non ricordare che ciò che garantisce la madre della nascita di suo figlio è il suo primo

grido, un suono che progressivamente evolverà verso la musica e il canto, la parola? E che la voce

materna, se appropriata, è fonte di calma? Come dimenticare il gusto e l’olfatto, portatori delle

capacità discriminatorie più fini, il tatto che richiede per svolgere la sua funzione vitale il contatto

(con-tatto), la sensibilità cenestesica alla base dell’equilibrio, del movimento, del tono muscolare,

della danza.

Abbiamo preso la nascita, in tutto il suo spessore biologico, come riferimento principale, luogo da

cui origina ogni rappresentazione umana, la parola dell’uomo. È lì raffigurata la sorgente

dell’umanità, non intesa come specie, ma come qualità delle relazioni interumane e delle relazioni

dell’uomo con il suo ambiente. Lo sguardo dello psicoterapeuta permette con facilità di cogliere che

le atrocità più efferate non sono altro che il rivolgimento dell’amore in odio e come il peccato

originale abbia a che fare con le profonde ferite che si aprono ogni qualvolta la crescita dell’uomo

sia segnata dalla violenza o dall’abbandono: colpevoli, colposi o accidentali che siano. Ciò in

particolare nelle fasi precoci della vita dove l’amore è tutto, la mancanza è morte, dove la presenza

dell’altro non è ancora regola, specchio al nostro essere, ma sostegno che se viene a mancare

precipita nel nulla.

Così come la donna nel parto, così l’arte e la conoscenza, aprono nuove possibilità alla vita, nel

riconoscimento del dono di vita da noi stessi ricevuto.

Il percorso che stasera ci apprestiamo a fare è quello di affrontare i temi dell’elaborazione del lutto

e della elaborazione artistica, della vita e della morte, dell’eros, attraverso parole, immagini,

riflessioni, con al centro quel patrimonio immenso dell’umanità che è l’arte, intesa come poesia,

musica, raffigurazione, espressione mitica. Un percorso che cercheremo di rendere il più possibile

partecipativo, che nella sua genesi ha visto la partecipazione a vario titolo di artisti, psicoterapeuti e

gente comune, con le proprie difficoltà che sono le difficoltà di tutti. Un percorso che vuole essere

un tenerci per mano nel difficile ed entusiasmante cammino della vita, così che chiunque cada

abbia una possibilità di rialzarsi o di lasciare testimonianza del proprio essere.

Due brevi poesie una di Tagore e una di Ada Merini ci invitano, la prima, a considerare il dolore

come dotato di un valore, la seconda, ci confronta con il nostro limite. Al di là di ogni possibile

comprensione la vita che così fortemente ci appartiene ci travalica, è mistero.

La lezione più importante che l’uomo possa

imparare in vita sua non è che nel mondo esiste il

dolore, ma che dipende da noi trarne profitto, che ci

è consentito trasformarlo in gioia.

Tagore

Se tu potessi come un ala spiegarti, anima mia,

il mio povero occhio nel suo lago non ti raccoglierebbe.

Alda Merini

Opere presentate Irina Hale, Federico bambino al funerale della madre, da Sognando Federico, Ed. Progetti per comunicare, 2007

Giotto (1267 – 1337), Cappella degli Scrovegni (1303 – 1305), La Nascita della vergine Padova

Graffito rupestre, Museo di Tripoli (Tadrart Akakus libico, Periodo Pastorale, 5000 - 3500 a.C.)

Dea Madre, Museo archeologico di Ankara, Catal Huyuk, Alta Mesopotania, 6500 - 7500 a. C.

Dea Madre, New York, Collezione Norbert Schimmal, 1400 - 1200 a. C

Natività, copertina di codice, Musei Vaticani

Lucas Cranach (1472- 1473), Allegoria della Carità

Scena di Parto: www.dailymotion.com%2Fvideo%2Fx9xby0_home-birth

Beato Angelico (1395 - 1455) - Convento di San Marco a Firenze

Natività

Crocefissione

Compianto sul Cristo morto

Discesa agli inferi

Le Marie al sepolcro

Giudizio universale

Simone Baschenis de Averara, Danza macabra (1539), Chiesa di San Vigilio, Pinzolo (Trento)

Guido Reni (1575 – 1642), San Francesco in meditazione

Guercino (1591 – 1666), Et in Arcadia ego

Arnold Böcklin (1827 - 1901), Autoritratto con la morte che suona il violino

Francis Bacon (1909 -1992):

Painting 1946

Study for a Crouching Nude.

Riferimenti bibliografici ad opere dell’autore

M. Pedretti, La memoria e il sacro, Rivista Italiane di Gruppoanalisi, Vol. XV –n. 3/2001, M. Pedretti, In onore del corpo vivente, Rivista Italiane di Gruppoanalisi, Vol. XIX – n. 3/2005

M. Pedretti, Lo straniero nello spazio analitico. Incontri tra pensiero bioniano, miti e religioni, Bergasse 19. Cultura e cura psicoanalitica, Anno 1, n. 0, Ed. Ananke

M. Pedretti, Luce e conoscenza. Un percorso tra arte e psicoanalisi, Bergasse 19. Cultura e cura psicoanalitica, Anno 2008, n. 2, Ed. Ananke