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Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento

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Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento

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L’Associazione Nazionale Orientatori ha predisposto questo documento programmatico in base agli standard e ai riferimenti Comunitari vigenti in materia. Non si assume alcuna re-sponsabilità derivante dall’applicazione in ambito diverso dallo stesso, neanche da informa-zioni elaborate da terzi in base ai contenuti del presente programma. Data la complessità e la vastità dell’argomento, peraltro, ASNOR non fornisce garanzie riguardo la completezza delle informazioni contenute; non potrà, inoltre, essere considerata responsabile per eventuali erro-ri, omissioni, perdite o danni eventualmente arrecati a causa di tali informazioni, ovvero istru-zioni ovvero consigli contenuti nella pubblicazione ed eventualmente utilizzate anche da terzi.

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Nessuna parte di questo documento può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altri, senza l’autorizzazione scritta da Associazione Nazionale Orientatori.

INDICE

1. Flipped Classroom .......................................................................................................................... 4

1.1 Cos’è una Flipped Classroom ............................................................................................... 5

1.2 Quattro passi nel passato .................................................................................................... 13

1.3 Il docente e il discente ......................................................................................................... 14

1.4 Nuovi approcci metodologici ............................................................................................ 18

1.5 L’insegnamento capovolto: presupposti teorici .............................................................. 20

1.6 L’apprendimento efficace.................................................................................................... 26

1.7 L’apprendimento significativo .......................................................................................... 26

1.8 L’Apprendimento e la Peer Cooperative .......................................................................... 31

1.9 La ricerca-azione .................................................................................................................. 35

1.10 Obiettivi della Flipped Classroom................................................................................... 37

1.11 Il modello didattico della Flipped Classroom ............................................................... 43

1.12 Una scuola al passo coi tempi .......................................................................................... 45

1.13 La Comunicazione efficace per un apprendimento permanente ................................ 48

1.14 Modello flipped – fasi di esecuzione del lavoro ............................................................ 56

2. EAS: gli Episodi di Apprendimento Situato di Rivoltella .................................................... 61

2.1 Dal Mobile Learning all’EAS.............................................................................................. 63

3. Spaced Learning: l’apprendimento che aiuta a costruire memoria a lungo termine ....... 74

3.1 Materiali e Metodi................................................................................................................ 74

3.2 Le indicazione dell’INDIRE ............................................................................................... 76

4. Ambienti di apprendimento ....................................................................................................... 81

4.1 Andando intorno….............................................................................................................. 83

4.2 Le Avanguardie educative dell’Indire: alcune esperienze significative....................... 84

4.2 Alcuni esempi di riorganizzazione dello spazio educativo ........................................... 85

Bibliografia ......................................................................................................................................... 95

Sitografia ............................................................................................................................................. 97

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1. FLIPPED CLASSROOM

In questi ultimi dieci anni, è diventato frequente, se non necessario, per molti docenti creare contenuti educativi e didattici attraverso l’ausilio di video e mezzi tecnologici, da mostrare ai propri studenti o da realizzare con gli stessi. Si tratta di un approccio diverso che convoglia diverse attività e abilità. È innegabile riconoscere che ciò offre diversi spunti di riflessione.

I nuovi ausili tecnologici come smartphone, tablet, con annesse videocamere, hanno permesso di creare video mediante appropriati software di editing.

Gli scenari che lo sviluppo dei nuovi media, ha comportato nelle nuove generazioni, ha impo-sto sul piano educativo un cambiamento del paradigma dell’educazione.

Il diffondersi della produzione di contenuti aperti ha moltiplicato la libera accessibilità a risor-se digitali, mentre il loro utilizzo nei contesti scolastici, ha spinto la stessa scuola ad adeguarsi ai tempi, e ad abbandonare l’impostazione trasmissiva, a favore di un insegnamento parteci-pato e condiviso tra docenti e alunni. Si tratta di una pratica educativa che ha ricevuto diversi consensi e consente di capovolgere (to flip) quei momenti di attività disciplinare e didattica che si imponevano con lezioni frontali, distanti e granitiche.

Il modello della Flipped Classroom accorcia le distante tra alunno e docente e consente una sinergia dialogica unica nel suo genere.

Le videolezioni, i diversi prodotti multimediali, nonché gli strumenti di interazione online, hanno permesso di accedere a contenuti che possono essere prelevati anche fuori dalla scuola, ovvero anche tra le pareti domestiche.

Si tratta di contenuti che rielaborati consentono di creare nuclei tematici; questi, uniti a quelli di ogni singolo alunno, consentono di dar vita a un unico prodotto, sostanzialmente redatto insieme.

È la fase della elaborazione partecipata e progettuale che si realizza sul piano scolastico. Infatti, la elaborazione del contenuto avviene collettivamente, e consente di compiere una circolarità del sapere elaborando il contenuto in chiave collettiva, ma anche individuale, nel rispetto della soggettività e del pensiero di ognuno.

Il ruolo del docente in questo modello acquisisce una nuova dimensione, dato che, come men-tore, ne dirige processo e prodotto, spingendo ogni singolo alunno a fare ricerca e ad adope-rarsi nell’eseguire il compito.

La fase della esercitazione, della applicazione e della elaborazione si sposta a scuola, in un contesto collaborativo ideato e condotto dal docente, che ne assume in toto la regia.

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Le implicazioni pedagogiche di questa duplice inversione sono molteplici: dalla individualizzazione e

personalizzazione dell’apprendimento nella prima, all’apprendimento attivo e fra pari nella seconda, con-

sentendo di trasformare una didattica fondamentalmente istruzionista in una costruttivista e sociale. Que-

sto contributo intende fornire un’analisi dei presupposti psico-pedagogici, dei nodi problematici, delle

pratiche didattiche e degli strumenti operativi che vengono coinvolti in questa strategia1.

1.1 Cos’è una Flipped Classroom

La Flipped Classroom, o classe rovesciata, è un evidenziare e proporre a tutti i docenti un modello che dal classico sposta il suo baricentro rendendosi compatibile con la richiesta di sviluppare competenze sempre più ricche e meno imbrigliate.

Cominciamo con l’identificare il concetto di competenza. È indubbio che la parola competenza è la capacità di usare conoscenze (knowledge), abilità (skills) e attitudini (attitudes) in con-testi concreti, producendo risultati osservabili.

La didattica delle competenze guarda alla possibilità di dare a ogni soggetto dell’educazione l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità, favorendo attitudini personali e potenziale, im-mergendo lo studente in un contesto meno aleatorio, ma più concreto, nel quale tanto la cono-scenza quanto l’abilità e l’attitudine possano trovare espressione e riconoscimento.

Cominciamo con definizioni mutuate dalla Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio euro-peo sul Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l’apprendimento permanente (23 aprile 2008), per evitare confusioni in merito a termini.

• Conoscenze: risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative a un settore di lavoro o di studio. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.

• Abilità: indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le abilità sono descritte come cognitive (comprendenti l’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) o pratiche (comprendenti l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumen-ti).

• Competenze: comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.

1 Cecchinato G., Flipped Classroom. Innovare la scuola con le tecnologie digitali, «TD Tecnologie Didattiche», 22 (1), 2014, pp. 11-20

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Lo scopo principale è produrre risultati, ovvero un prodotto frutto di un processo negoziato e condiviso.

«È lamentela comune dei docenti l’impossibilità di lavorare su tutti i piani avendo a disposi-zione un tempo limitato»2.

La Flipped Classroom può, se impiegata come condizione ottimale allo sviluppo dell’appren-dimento e di un metodo di studio acquisito, aiutare gli studenti a leggere la scuola come un luogo che progetta, fucina d’idee, riservando allo studio a casa la sola acquisizione delle cono-scenze. Mentre le esercitazioni a casa acquistano una veste che aspira a potenziare abilità libe-rando il tempo d’aula per attività individuali e di gruppo in cui affrontare problemi concreti e produrre risultati osservabili.

Come? Anche attraverso i COMPITI DI REALTÀ.

Analizzando il concetto di competenza, avremo modo di chiarire altri aspetti educativi e didat-tici che convogliano a rendere l’apprendimento efficace.

La competenza può essere rappresentata da un insieme di cerchi concentrici e tra loro interdi-pendenti3:

• Un primo cerchio richiama le risorse cognitive, ovvero le conoscenze e le abilità necessarie per affrontare un dato compito;

• Un secondo cerchio riguarda il saper agire, ovvero la capacità di mobilitare le proprie risorse nell’affrontare il compito proposto e mette in gioco l’attivazione dei processi logi-co-cognitivi di base e complessi;

• Un terzo cerchio concerne il poter agire, ovvero la sensibilità alle risorse e ai vincoli che il contesto operativo pone;

• Un quarto cerchio si riferisce al voler agire, ovvero all’atteggiamento con cui il soggetto si pone di fronte al lavoro proposto, in riferimento al compito da affrontare, al contesto d’a-zione, a se stesso, agli altri soggetti coinvolti.

2 Cecchinato G., Flipped classroom, innovare la scuola con le tecnologie del Web 2.0, http://www.bodoni.pr.it/pdf/cecchinato.pdf3 Le Boterf G., Costruire le competenze individuali e collettive, Guida, Napoli, 2009

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Sapere – potere – volere = agire

L’insieme dei cerchi ci restituisce una visione di competenza come: la capacità di affrontare un compito di realtà mobilitando le proprie risorse in modo pertinente alle condizioni del contesto in cui si opera.

In sostanza, quello che si evince dai contenuti presenti nelle Raccomandazioni del 2008.

Alla luce di quanto detto, se volessimo sintetizzare il valore aggiunto riconoscibile nella rap-presentazione del sapere attraverso il costrutto della competenza in rapporto a concetti più tradizionalmente scolastici come quelli di conoscenza e abilità, potremmo identificare tre piani di analisi4:

• Il passaggio da una visione statica (prevalente nei concetti di conoscenza e abilità che fan-no riferimento al possesso di un certo bagaglio a disposizione del soggetto) a una visione dinamica delle conoscenze, veicolato dal concetto di competenza che ci richiama una mo-bilitazione di saperi in vista di un certo scopo, quindi di un saper agire;

• Il passaggio da un approccio analitico, orientato verso una scomposizione progressiva del sapere nei suoi componenti più elementari (basti pensare agli sterminati elenchi di co-noscenze e abilità propri della pedagogia per obiettivi), a un approccio olistico al sapere, riconoscibile nella visione della competenza intesa come integrazione delle risorse dell’in-dividuo e rappresentato nella struttura a cerchi concentrici del modello proposto;

• Il passaggio da un sapere decontestualizzato, veicolato dai concetti di conoscenza e abilità che ci restituiscono un sapere astratto, non rapportato a contesti specifici (ad esempio, il sa-per fare una moltiplicazione o conoscere le tabelline) e potenzialmente inerte, a un sapere situato, riferito a un determinato contesto operativo in cui agire.

È sempre la stessa Griseta, nell’esporre la sua analisi, ad affermare che, se dovessimo sintetiz-zare i principali tratti che qualificano la prospettiva di apprendimento veicolata dalle compe-tenze, potremmo indicarli con queste parole:

• Sapere per � In primo luogo, la competenza enfatizza la capacità di mettere in relazione i saperi pos-

seduti da un individuo con i contesti di realtà entro cui agisce; il sapere, in tutte le sue accezioni, cessa di essere un fine a sé stante, come spesso avviene nelle aule scolastiche, e recupera la sua ragion d’essere più autentica: uno strumento a nostra disposizione per comprendere e intervenire sulla realtà. L’espressione sapere per intende richiamare tale at-tributo, laddove la preposizione per non è da leggersi in termini riduttivamente funziona-

4 Griseta G., Scuola in…form…azione, progetto di formazione e ricerca in rete (Minervino M. 2014)

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listici e utilitaristici, bensì come opportunità di recupero del senso del sapere, in rapporto alla globalità dei bisogni esistenziali della persona.

• Centralità dei processi � La prospettiva relazionale di un sapere agganciato ai contesti di realtà richiama la centra-

lità dei processi nello sviluppo della competenza, ovvero quell’insieme di operazioni che consentono all’individuo di mobilitare i propri saperi per affrontare un determinato com-pito di realtà. Tale mobilitazione implica non solo l’attivazione di strategie e operazioni cognitive, ma anche di processi meta cognitivi, affettivi, sociali; si tratta di un eccezionale allargamento dello sguardo sull’apprendimento rispetto alla visione scolastica prevalente-mente centrata sull’acquisizione di risorse cognitive, ossia di conoscenze e abilità afferenti i diversi campi disciplinari. Imparare non significa solo accumulare mattoncini di sapere, bensì saperli integrare tra loro e mobilitarli in rapporto a determinati contesti di realtà.

• Sensibilità al contesto � Il richiamo ai contesti ci rinvia a una prospettiva di sapere situato, rapportato a un insieme

di risorse e di vincoli che definiscono una determinata situazione: di ordine temporale, eco-nomico, strumentale, relazionale, ecc. È ciò che viene indicata come sensibilità di contesto, ossia la capacità di adattare la propria azione alle condizioni contestuali in cui ci si trova. Si tratta, anche qui, di una dimensione essenziale della competenza, non a caso spesso ri-chiamata per segnalare ciò che fa la differenza tra un soggetto novizio, fresco di studi, e un soggetto esperto nei diversi ambiti professionali. Su questo piano la scuola mostra la sua distanza nel caratterizzarsi come ambiente protetto rispetto al mondo reale e orientato allo sviluppo di apprendimenti a valenza universale.

Nel dar voce al ruolo delle competenze la ricercatrice ci pone di fronte a un problema concreto e a un esempio chiarificatore, relativo alla risoluzione di problemi matematici. Esaminiamo quattro componenti in una competenza esperta5:

• le risorse cognitive, ovvero le conoscenze e le abilità necessarie alla risoluzione di un pro-blema;

• le risorse euristiche, cioè la capacità di individuare il problema, di metterlo a fuoco, di rappresentarlo;

• le capacità strategiche, vale a dire le modalità con cui progettare la risposta, monitorarne la soluzione, valutarne la plausibilità;

• il sistema di valori del soggetto, con particolare riguardo alla sua idea di matematica e di se stesso in rapporto alla matematica.

5 Schoenfeld

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La proposta di Schoenfeld ci aiuta a cogliere con evidenza la principale difficoltà che la cultura scolastica manifesta nell’approcciarsi al tema delle competenze: la scuola tende ad attribuire molto valore alla prima delle componenti richiamate dall’autore, il possesso di conoscenze e abilità; molta meno attenzione viene posta, sia nel momento didattico sia nel momento valu-tativo, alle altre componenti, spesso considerate alla stregua di doti innate nello studente, ma non tematizzate dalla cultura e dalla prassi scolastica tradizionale. Il passaggio verso le com-petenze, quindi, richiede di allargare lo sguardo all’insieme delle componenti che concorrono a formare la competenza: non solo ciò che lo studente sa, ma anche ciò che sa fare con ciò che sa.

Il punto fondamentale che l’irrompere delle competenze pone al mondo scolastico riguarda il ricondurre i saperi disciplinari al loro ruolo di strumenti per la formazione del soggetto, piut-tosto che di fini in sé. Occorre ribaltare la clamorosa inversione mezzi-fini che ha da sempre caratterizzato la scuola, e riportare le discipline al ruolo per cui si sono originate e sviluppate nella storia dell’umanità: fornire cioè strumenti culturali per comprendere e affrontare la re-altà naturale e sociale. Solo in questo modo è possibile assumere le competenze chiave di cit-tadinanza non solo come orpello che abbellisce una proposta formativa schiacciata sui saperi disciplinari, bensì come analizzatori dell’intera proposta formativa, in rapporto ai quali pre-cisare e strutturare il contributo che i vari saperi disciplinari possono fornire al loro sviluppo.

Il punto centrale su cui ripensare l’insegnamento scolastico è questo: come agganciare la scuo-la alla vita, come orientare la propria azione verso un apprendimento profondo, capace di trasferirsi alle situazioni di realtà, un apprendimento che non smarrisca mai il collegamento con l’esperienza del soggetto?

Difatti, non c’è niente di fumoso nella didattica per competenze, ma una attenzione e una cura consapevole per alcuni fattori, già presenti nelle esperienze didattiche di qualità, che predi-spongono con maggiore probabilità l’alunno a fare proprio, trasferire, utilizzare autonoma-mente nei contesti di vita ciò che viene imparato a scuola.

Vediamo, allora, alcune sfide professionali che il passaggio verso le competenze propone alle rappresentazioni culturali e alle prassi operative degli insegnanti:

• Considerare i saperi come risorse da mobilitare � La conoscenza non deve essere materia inerte, incapsulata all’interno delle discipline scola-

stiche, bensì materia viva, da mettere in relazione con le esperienze di vita e i problemi che la realtà pone; i saperi scolastici non sono qualcosa di auto consistente, richiedono di essere sempre pensati come delle potenziali risorse per affrontare contesti di realtà, non possono permettersi di perdere questo collegamento vitale.

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• Promuovere l’acquisizione di conoscenze � La didattica per competenze non solo non svaluta i contenuti, ma li coltiva e li approfondi-

sce. Non è sufficiente, infatti, accertarsi che l’alunno abbia memorizzato e sappia ripetere, ma è bene assicurarsi che abbia colto con chiarezza il senso di un concetto, di un processo, lo abbia interiorizzato nelle sue connotazioni essenziali, nella sua struttura, lo possieda e lo usi. È importante, quindi, non accontentarsi di un buon risultato ma invitare l’alunno a rappresentarsi con chiarezza i concetti, a ripercorrere mentalmente i processi, per diventar-ne consapevole, svincolarli dal qui e ora e usarli poi in altri contesti compatibili struttural-mente. Le domande che seguono sono esemplificative al riguardo: Che processo hai usato per affrontare questo problema? Prova a ripercorrerlo mentalmente. Cosa hai fatto innanzitutto…e poi? Cosa è cambiato rispetto a quando non riuscivi? Potresti usare queste strategie in altri compiti? In altre materie? In qualche gioco? In qualche altra situazione? Che significa questo concetto? Spiegalo con le tue parole. Possiamo ritrovarlo in altri ambiti?

� Se le competenze consistono nell’usare e trasferire conoscenze e abilità in contesti diversi da quelli in cui sono state apprese, stimolare intenzionalmente il transfer diventa una delle azioni cruciali della didattica quotidiana, un modo per abituare gli alunni a infrangere le barriere virtuali che imprigionano i contenuti, stimolandoli a cercare connessioni personali con la vita.

• Esercitare abilità � Il primo passo consiste nell’identificare le abilità che stanno alla base delle competenze

che si intendono suscitare, o almeno quelle peculiari ed essenziali, consapevoli che molte abilità, più generali, si acquisiscono anche in modo informale in contesti diversi da quello scolastico. Se si vuole che gli alunni arrivino a padroneggiarle, che esse divengano auto-matiche come prevede la loro definizione, non basta che gli studenti ne facciano esperienza una tantum, nel corso di un compito o di un breve progetto; è necessario, invece, che siano chiamati spesso a usarle, prima singolarmente, per evitare interferenze, poi appena possi-bile all’interno di compiti progressivamente più complessi e meno familiari che richiedano di esercitare le abilità alternandole fra loro in sequenze non fisse, ma random, e stimolino gli alunni a processi di raccolta e analisi delle informazioni, necessari a produrre risposte adeguate a situazioni che cambiano. Compito dell’insegnante è selezionare e proporre at-tività e situazioni significative che, dosando adeguatamente il livello di novità e comples-sità, permettano ai ragazzi di esercitare in forme non rigide né addestrative le abilità da acquisire.

• Lavorare per situazioni problema � La stretta connessione tra realtà e scuola, simboleggiata dalla metafora del ponte, si riflet-

te nell’appoggiare il lavoro didattico su attività in grado di integrare i diversi saperi, e di

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renderlo significativo proponendo situazioni problematiche da affrontare, attivando pro-cessi euristici in contesti reali; l’espressione situazioni-problema ben sintetizza un approccio esplorativo, di ricerca aperta, verso la conoscenza, coniugato con un riferimento a situazio-ni reali, a contesti operativi concreti e definiti, fatti inevitabilmente di risorse e di vincoli.

• Condividere progetti formativi con i propri allievi � Il ruolo di protagonista del proprio apprendimento affidato agli studenti si riflette nella

pratica della contrattualità formativa, funzionale a una condivisione di senso del lavoro didattico, non solo con gli studenti, ma anche con gli altri soggetti coinvolti (genitori, inter-locutori esterni, personale ATA); il punto focale è la ricerca di significato per il lavoro sco-lastico da parte dei diversi attori coinvolti (anche per il docente), una attribuzione di senso che promuova una disponibilità ad apprendere e favorisca una finalizzazione riconoscibile per il proprio impegno e i propri risultati.

• Adottare una pianificazione flessibile � L’aggancio con problemi di realtà richiede un approccio strategico alla progettazione, fon-

dato sulla messa a fuoco di alcune linee di azione da adattare e calibrare durante lo svi-luppo del percorso formativo; ciò implica un approccio flessibile, aperto alla progettazione didattica, non riconducibile a un algoritmo preordinato, bensì a una ricerca da impostare e adattare in corso d’opera, avendo chiaro dove si vuole arrivare e i traguardi formativi che si intendono promuovere.

• Suscitare motivazione � Per produrre un comportamento competente di fronte a un compito scolastico o extrascola-

stico, non basta che il soggetto possieda conoscenze e abilità adatte ad affrontarlo; occorre anche che si senta motivato a metterle in gioco. Come alimentare, allora, questa componen-te energetico-motivazionale nella didattica quotidiana? Il discorso riguarda il senso stesso dell’insegnare e dell’apprendere. In estrema sintesi, riteniamo più probabile che un alunno faccia proprie, rielabori personalmente e riutilizzi, anche in contesti di vita, le conoscenze e le abilità acquisite a scuola, se il loro apprendimento è stato in qualche modo significativo e se risulta legato alla percezione di un rafforzamento di sé, della sua autostima. Pensiamo, quindi, sia importante, nella didattica quotidiana, far leva su questi due aspetti. Come? Per quanto riguarda il primo, è fondamentale far trasparire il significato, il valore che le atti-vità su cui vogliamo catturare l’attenzione dei ragazzi hanno innanzitutto per noi docenti: sensibilizzare gli alunni al fascino, alla bellezza, o anche solo all’utilità di certi contenuti, stimolarli a trovare un senso personale alle cose, alle azioni, senza togliere loro la fatica di cercarlo. Si può aprire, a questo punto, anche il vastissimo discorso relativo all’adozione di modalità didattiche che inducano alla ricerca, alla scoperta, al coinvolgimento attivo degli studenti, anche quando i contenuti da proporre non hanno un interesse immediato per

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loro. Passiamo, ora, al secondo punto. Il sostegno all’autostima del discente, nonostante la fatica e il timore legati generalmente agli apprendimenti più complessi, implica per gli insegnanti il dovere di essere esigenti, ma anche la capacità di proporre ai ragazzi sfide che si collochino, come direbbe Vygotskij, nella loro zona di sviluppo prossimale, ossia poco al di sopra del livello delle loro prestazioni autonome, perché possano, con buone probabilità, essere affrontate con successo e rafforzare negli studenti percezioni di fiducia. Il docente è anche il mediatore che con sapienza predispone le condizioni per il successo, per alimen-tare quel circuito virtuoso da cui l’apprendimento trae energia.

• Praticare una valutazione per l’apprendimento � La pratica consapevole in cui si esprime l’apprendimento amplifica il potenziale formativo

del momento valutativo, vero e proprio specchio attraverso cui conoscere e riconoscersi, risorsa meta cognitiva per il soggetto che apprende; la valutazione si connette strettamente alla formazione, non è pensata come un momento terminale e separato bensì come uno strumento attraverso cui promuovere e consolidare l’apprendimento.

• Andare verso una minore chiusura disciplinare � La realtà è per sua natura restia a essere rinchiusa nei recinti concettuali e metodologici

delle singole discipline, necessita di una pluralità di sguardi attraverso cui osservare e comprendere la propria esperienza; l’insegnamento-ponte implica necessariamente un su-peramento dei confini disciplinari, una capacità di connettere non solo la scuola con la vita, ma anche i diversi saperi disciplinari, pensati come strumenti di analisi di una realtà unica e scomponibile.

• Convincere gli allievi a cambiare mestiere � Una diversa modalità con cui avvicinarsi all’insegnamento non impatta solo con le resi-

stenze e le routine del corpo docente, ma anche con gli stereotipi, le aspettative, i modelli culturali degli studenti, delle loro famiglie, della comunità sociale. Un approccio per com-petenze richiede allo studente di porsi in modo diverso rispetto all’esperienza di appren-dimento, non come ricettore passivo e riproduttore di un sapere predigerito, bensì come co-produttore di una conoscenza da costruire e condividere. Quest’ultima avvertenza se-gnala con evidenza che la sfida non è solo tecnico-professionale ma soprattutto culturale, poiché investe l’intera comunità sociale che ruota intorno all’universo scolastico e ai signi-ficati che ciascuno degli attori attribuisce al fare scuola. La comunità scolastica, individuata come soggetto a cui affidare l’elaborazione del curricolo, pur nel rispetto dei reciproci ruoli e attribuzioni, è chiamata a confrontarsi nella sua totalità con la sfida delle competenze. Ciò significa un lavoro che non riguarda solo la comunità professionale dei docenti, ma si allarga alla relazione con gli allievi e i genitori e al confronto con gli attori sociali, portatori quanto i docenti di un insieme di stereotipi, pregiudizi, assiomi indiscutibili in merito al

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significato e ai modi della formazione scolastica. In gioco c’è un’idea di scuola che va de-co-struita, smontata e problematizzata pezzo a pezzo e ricostruita parzialmente su premesse diverse; un’idea di scuola che permea di sé le pratiche didattiche, le procedure organizza-tive, i comportamenti valutativi, i setting organizzativi.

1.2 Quattro passi nel passato

Afferma Graziano Cecchinato in una definizione più che esaustiva in merito alla Flipped Clas-sroom:

Gli sviluppi tecnologici e sociali della rete internet, che favoriscono la partecipazione attiva alla produ-

zione di contenuti multimediali interattivi, stanno moltiplicando la libera disponibilità di risorse digitali

educative e le modalità di rielaborazione e condivisione nei contesti scolastici. In questo scenario una

pratica che si sta diffondendo prevede di capovolgere (to flip) i momenti classici dell’attività didattica: la

lezione frontale e lo studio individuale. Grazie alla disponibilità di videolezioni, di prodotti multimediali,

di risorse informative, di strumenti interattivi, la fruizione dei contenuti viene svolta al di fuori delle mura

scolastiche, con i tempi e i ritmi che ogni studente può determinare, mentre la fase di approfondimento, di

riflessione, di esercitazione, di applicazione, si sposta a scuola, sotto la guida e il sostegno del docente. Le

implicazioni pedagogiche di questa inversione sono molteplici, dalla personalizzazione dell’apprendimen-

to nella prima inversione all’attivismo (Dewey) e al peer learning nella seconda, aprendo le porte al disco-

very learning (Bruner), all’inquiry learning (Rutherford), all’experiential learning (Kolb), al costruttivismo

(Jonassen) al connet-tivismo (Siemens).

In un dipinto datato 1350 (di seguito riportato) è stata riprodotta una classe, in una probabile lezione universitaria. Si tratta sostanzialmente di scene familiari, ancora molto vicine alla real-tà di oggi.

http://en.wikipedia.org/wiki/File:Laurentius_de_Voltolina_001.jpg

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È innegabile che tutti gli elementi presenti nella scena si rapportano bene a una realtà che è ancora osservabile nelle nostre aule. Della serie, nulla di nuovo sotto lo stesso sole.

Gli oggetti e i mobili sono distribuiti in modo da allocare il docente in cattedra, frontalmente a un auditorio che non sembra costituito da gente che ascolta se non nelle prime file, mentre spostando lo sguardo oltre la prima riga di persone, scorgiamo l’annoiato, il dormiente, lo scalda posto ecc.

Si compie di fronte ai nostri occhi, una allegoria, di una rappresentazione scenica statica e in-sieme dinamica che mette in luce interessi, motivazione, disinteresse degli studenti e del fare del docente, impegnato a vomitare contenuti monologando intorno alla disciplina.

Presuppone che ognuno dei figuranti, parli rispettando il proprio ruolo, da un posto fisso e statico. La comunicazione era costituita da una lezione frontale fatta da un oratore autorizzato e da un numero imprecisato di uditori.

È assodato che le istituzioni, tutte le istituzioni, proprio perché canoniche, preconfezionate, hanno, oltre alle funzioni per le quali sono state fondate, un obiettivo che è costituito dall’au-toreferenziarsi.

La scuola in quanto istituzione immola se stessa, presentandosi in chiave standard e opponen-dosi al cambiamento.

Innegabile la resistenza di molti docenti, considerati della vecchia guardia, ad assumere le tecnologie come fonte dalla quale attingere per interessare gli alunni.

Figli di Gutemberg, fortemente contrariati dalla rete e dai sistemi informatici, i docenti che fan-no la scuola, rischiano di apparire conservatori di un sistema istituzionale che chiede d’essere rinnovato previa esclusione dal marciare al passo coi tempi.

1.3 Il docente e il discente

La visione della scuola e la sua conseguente re-visione in prospettiva storica e longitudinale dell’istituzione per eccellenza, dopo la famiglia, ha finito per modificarne definizione e fun-zione.

A riguardo sono stati scritti interi trattati sulla comunicazione tra docente e discente, di cui ognuno di noi ha memoria. Di fatto, uscendo da una concezione rigida dell’essere docente, il ruolo a esso attribuito ha finito per corrispondere a una figura che sostiene, supporta, veicola il sapere, al minore che ne diviene comunque erede.

Oggi nel guardare al profilo dello studente si presume che questi abbia acquisito conoscenze, abilità nonché atteggiamenti, che, vissuti e agiti nel contesto scolastico, gli hanno consentito

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in modo integrato di entrare nei diversi campi del sapere. Si tratta di esperienza che ne hanno definito il progetto curricolare, a sua volta partorito dal docente, anche in chiave collegiale, al quale spetta poi il compito di certificarne l’avvenuta acquisizione.

Il profilo atteso, pertanto, risponde a una forte valenza progettuale (è un orizzonte di attesa che orienta l’azione della scuola e dei docenti e delimita il patto formativo con l’allievo).

L’istituzione scolastica rilascia al soggetto, ufficializzandone la validità, il riconoscimento dell’avvenuto percorso, e ne giudica il processo, attribuendone comunque una valutazione.

In una scuola in continua evoluzione qual è la funzione del docente?

Partiamo da una premessa doverosa. L’educazione consiste nello spronare e sollecitare lo svi-luppo cognitivo dell’alunno, e favorire l’incontro con il mondo e l’acquisizione di competenze e capacità. Affinché l’azione di educare si realizzi, vi deve essere qualcuno che guidi, sostenga, supporti il bambino quanto il fanciullo verso quella conoscenza, che arricchita nel corso degli anni, gli consenta di costruire il suo bagaglio esperienziale e cognitivo.

Egli ha il compito, quindi, di condurre l’alunno con le sue conoscenze e verso la cultura e non solo in chiave nozionistica.

Il suo compito è quello di andare oltre, oltre la semplice lezione spesso rispondente ai pro-grammi ministeriali. Insegnare è un’arte, al pari di qualunque altra virtù che alimentata e arricchita ha una ricaduta notevole per se stessi e per gli altri sia in termini di gratificazione che di aspettative.

Una precisazione in merito risulta necessaria: si deve però fare attenzione a non mettere al centro del processo educativo la funzione del docente rispetto a quella dell’alunno.

Ma qual è stato e come si è evoluto il ruolo del docente nel tempo? Mattia Scalas, in un articolo apparso in rete, ci offre una sua riflessione consentendoci di operare un’analisi anche del ruolo e del riconoscimento che questa figura ha assunto nel tempo.

In tempi antichi, a cavallo tra l’ ’800 e il ‘900, il professore era una delle pochissime figure intellettuali con

cui un ragazzo si relazionava, e appariva ai genitori come una sorta di “complemento” culturale ma anche

morale all’educazione da loro impartita. Questo spiega forse quell’aura quasi sacrale che ancora i nonni

tendono a dare ai propri docenti, quando nei loro racconti li ritraggono come “istituzioni” dotati di pari

dignità rispetto al parroco, al medico o al sindaco, grazie ai quali l’analfabetismo è stato quasi totalmente

sconfitto. In seguito, il progressivo aumento delle pubblicazioni cartacee prima, delle radio e telecomuni-

cazioni poi, hanno progressivamente tolto il monopolio della cultura alle scuole, e dunque ai professori.

Da allora il mestiere dell’insegnante ha perso gran parte del rispetto che prima gli era tributato, e si è tra-

sformato sempre più in un normale impiego statale. L’avvento di internet, infine, ha addirittura peggiorato

questa situazione, riducendo talvolta il docente, secondo alcuni genitori, a una sorta di computer deam-

bulante la cui unica funzione è quella di promuovere il proprio pargolo senza troppi intoppi. Il professore

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 16

è passato quindi nell’immaginario comune dal “luminare” paesano degli anni ’30 al laureato fallito del

XXI secolo. La presunzione dilagante infatti ha reso molte persone totalmente cieche di fronte all’operato

di questa classe di lavoratori. Ma se è vero che ormai si può studiare qualsiasi disciplina solo con l’ausilio

di un computer collegato a internet, è anche vero chi il docente ha la funzione, vitale, di formare il futuro

cittadino. Egli ha il compito di dare un metodo, una forma mentis allo studente, e deve porsi come faro

nell’oceano in tempesta nel quale si trovano sballottati i ragazzi dell’era internet, sempre più influenzati e

confusi da una molteplicità di messaggi contrastanti tra loro. Il professore deve saper trasmettere ai giova-

ni l’interesse per la cultura, e fare in modo che essi abbiano più voglia, davanti a un computer, di leggere

qualche articolo scientifico dal sito del CERN piuttosto che di connettersi su Facebook. L’utilità del profes-

sore, dunque, non è diminuita, ma semplicemente il suo compito è cambiato: un po’ meno “insegnante”,

sempre più psicologo e motivatore oltre che trascinatore.6

Ruolo del docente

Herbart afferma che all’uomo serva, almeno quanto il nutrirsi, «un’istruzione educativa» come trasmissione ed elaborazione della cultura, condizione che solo un docente può favorire nel suo ruolo, a condizione di crederci veramente.

Se cinque sono i valori che costituiscono i fini educativi generali, altrettanti sono i criteri metodologici

fondamentali per ogni tappa d’insegnamento:

• Preparazione (richiamare quanto già appreso e indicare l’aggancio con le nuove nozioni);

• Presentazione (avvio di un nuovo apprendimento mediante la concatenazione tra più nozioni);

• Associazione (sistemare le nuove nozioni all’interno del tessuto cognitivo già acquisito);

• Generalizzazione (formazione di regole generali per astrazione dal materiale appreso);

• Applicazione (esercizi di verifica e di consolidamento del sapere).7

Ma questi criteri non potrebbero funzionare se non ci fosse un legame con lo scopo educativo che favorisca la concatenazione tra i contenuti via via appresi. Questo legame è costituito dal-la multilateralità dell’interesse, che consente di evitare la dispersione delle attività educative orientandole verso la formazione della persona nella sua integralità.

Diversa è la visione di Vygotskij, il quale guarda all’ambiente sociale come fattore di promo-zione dello sviluppo, per cui tutte le relazioni intersoggettive con gli adulti possiedono una forte valenza educativa in quanto sono comunque percorsi culturali senza i quali l’uomo non può acquisire le sue qualità e funzioni specifiche.

Tra gli adulti di cui parla, annovera anche i docenti.

6 Scalas M., L’utilità del professore, http://siottino.altervista.org/1211/1211_11.html7 http://www.edurete.org/pd/sele_art.asp?ida=2147

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Compito del discente

Dewey proponeva la centralità dell’attività del fanciullo che, guidato dall’insegnante, apprende attraverso il fare, un programma che tiene presenti gli interessi, i bisogni e lo sviluppo fisico e psicologico dell’alunno. Il sapere per Dewey non è fisso e definito, ma è piuttosto un sistema elastico che si arricchisce e modifica progressivamente grazie all’esperienza. Con una simile impostazione, la scuola non può che essere scuola attiva, il che implica che lo stesso studente debba avere di sé una nuova visione, dato che concorre non solo al processo, ma alla stessa bozza educativa e che il suo operare è parte integrante del tutto.

La Flipped Classroom, impiegando le nuove tecnologie, assolve completamente a questa vi-sione di accostarsi al sapere come a un terreno che cela al suo interno una serie di semi, che chiedono di germogliare.

I principi del metodo di Dewey possono essere considerati ancora moderni e non obsoleti, dato che vestono i principi cardini sui quali ogni metodo deve tener conto:

• Partire dagli interessi infantili e da una reale attività d’esperienza; • Porre l’alunno in una oggettiva situazione problematica, perché venga stimolato il pensie-

ro; • Fornirgli il materiale informativo per consentirgli le opportune ricerche e indagini; • Stimolare nell’alunno lo sviluppo organico delle ipotesi che è in grado di formulare spon-

taneamente; • Metterlo in grado di verificare le sue idee per mezzo dell’applicazione.

Secondo Claparède, l’insegnante deve conoscere e analizzare i bisogni del fanciullo, suscitare i suoi interessi e rimuovere la sua repulsione per lo sforzo presentando il lavoro da eseguire in forma ludica e gioiosa. I bisogni e gli interessi sono però individuali, per cui la scuola deve essere una scuola su misura in quanto deve rispettare e valorizzare le diversità di ciascuno e deve selezionare i talenti.

L’organizzazione scolastica deve optare per soluzioni come:

• Le classi parallele (formate da alunni di capacità omogenee), • Mobili (dove gli alunni si spostano per ciascuna materia nella classe corrispondente al pro-

prio livello), • Le sezioni parallele (che offrono possibilità formative diverse), • Il sistema delle opzioni (porre accanto a un programma minimo comune un’ampia offerta di

possibilità di studio tra cui l’alunno possa scegliere).

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La didattica, più che insegnare contenuti specifici, deve stimolare attività in modo da educare alla vita, trasformando gli scopi futuri in interessi presenti per il fanciullo, utili anche sul piano sociale e per la crescita di un paese. Omologare gli apprendimenti, appiattirli, manda in stallo intelligenze che, potenziate, potrebbero invece sorprendere.

1.4 Nuovi approcci metodologici

La Scuola attiva, attesta Ferrière, deve essere educazione alla libertà e nella libertà: permettendo all’allievo o alunno la piena realizzazione di tale libertà, attraverso un ambiente in cui egli possa vivere ed essere operoso, procurandosi il sapere con una ricerca personale, da solo o in collaborazione.

La Flipped Classroom sembra rispondere a quanto già la scuola attiva suggeriva, in quanto era quella corrente, quella ventata innovativa che dava importanza al lavoro, inteso come attività di progettazione e realizzazione anche intellettuale.

Piuttosto che la lezione tradizionale, basata sulla passività dell’alunno e il protagonismo dell’insegnante, una scuola attiva, proiettata nel futuro e nel qui e ora, deve prevede che la lezione si strutturi in tre tempi:

• Raccolta dei documenti: sono gli alunni che compiono ricerche su svariati argomenti di loro interesse utilizzando non solo i libri ma anche visite nei luoghi di lavoro o in altre organizzazioni della società;

• Classificazione: le notizie raccolte vengono raccolte in schede e raggruppate per argomenti consentendo la facile consultazione agli altri;

• Elaborazione: i materiali raccolti vengono confrontati, analizzati e discussi in gruppo. L’in-segnante organizza le ricerche in base ad argomenti che tengano conto degli interessi spe-cifici delle singole età.

A tale proposito si noti come la centralità del fare costituisca il punto di vicinanza di Piaget con l’attivismo, in quanto il motore dell’intelligenza è il far fare. Perciò lo scienziato svizzero, se ha sempre insistito sulla necessità di un adeguamento della scuola alle scoperte della psi-cologia, ha esposto un nuovo profilo professionale degli insegnanti che conciliasse i contenuti disciplinari con una solida preparazione psicologica e un’adeguata capacità di gestione dei metodi e della scuola secondo valenze interdisciplinari.

La figura del maestro, secondo Freinet, deve spogliarsi della disciplina e dell’autoritarismo per diventare cooperatore dell’attività degli alunni.

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La scuola, ribadisce Bruner, deve fornire strumenti (ovviamente che rispondano ai tempi al-locandosi nella modernità) e sviluppare capacità che rendano gli individui disponibili ad ap-prendere. L’alunno deve innanzitutto imparare a imparare, e ciò sarà possibile attraverso l’ap-prendimento delle strutture disciplinari.

Posta questa premessa e tenendo conto delle tre forme di rappresentazione, Bruner evidenzia i vantaggi di una didattica strutturalistica che permette di salvaguardare l’unitarietà dell’ap-prendimento a tre livelli:

• Sul piano orizzontale, in quanto, mostrando le stesse strutture in materie o argomenti di discipline diverse, permette l’integrazione tra le discipline;

• Sul piano verticale, in quanto consente un insegnamento continuo e a spirale in cui l’a-lunno ritrova, a diversi stadi di crescita, altrettanti livelli di approfondimento dello stesso contenuto disciplinare, di cui resta invariata la struttura, mentre cambia la sua rappresen-tazione in rapporto all’età psicologica;

• Sul piano trasversale, in quanto presenta le strutture concettuali con l’utilizzazione di tutte le forme di rappresentazione.

Gli elementi fondamentali di qualunque metodologia si proponga allo studente e in qualun-que stadio della crescita si trovi, sono riassunti nel garantire:

• Un clima favorevole all’apprendimento • Un meccanismo mentale (di apertura) per la progettazione comune • Diagnosticando i bisogni di apprendimento di ognuno • Progettare un modello di esperienze di apprendimento • Mettere in atto il programma, o piano d’azione • Valutare il programma • Considerare il processo • Offrire un lascito al fare.

Flip teaching

Il ruolo del docente sarà quello di guida (che non è regia, dato che chi dirige esegue un copione già scritto, e non consente elaborazione dei contenuti, né approfondimenti), che incoraggia gli studenti alla ricerca personale e alla collaborazione e condivisione dei saperi appresi.

Non esiste un unico modello di insegnamento capovolto, anche se nel modello standard la classe capovolta è vista come un ambiente di lavoro in cui gli studenti sono indirizzati verso l’uso di selezionati materiali didattici.

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Sarebbe necessario creare un blog o una classe virtuale sul sito della stessa scuola, con una sezione archivio per ogni disciplina, da dove attingere i video e preparare le lezioni, nonché i quiz, che possono essere svolti per tastare l’avvenuto apprendimento e monitorare gli esiti della metodologia applicata.

I quiz online vanno strutturati per testare il livello raggiunto, ma devono anche prevedere dei quiz con feedback, per permettere di imparare dai propri errori. Gli studenti possono inoltre collaborare e in classe si possono avviare diverse discussioni tra loro, che permetteranno di chiarire meglio determinati concetti, appresi autonomamente. Il docente potrebbe anche sud-dividere gli studenti in piccoli gruppi e attribuire loro alcune specifiche situazioni problema-tiche da trattare.

Un numero sempre maggiore d’istituzioni educative, soprattutto in America, si stanno con-vertendo a questa nuova metodologia didattica. Per esempio presso l’Algonquin College sono state realizzate una serie di lezioni video per spiegare le procedure di editing dei software, procedure che non possono essere facilmente presentate in una semplice lezione frontale.

Durante una tradizionale lezione, gli studenti provano spesso a carpire il maggior numero possibile delle informazioni date dal docente, annotando, a volte, freneticamente, il maggior numero di parole possibile sui loro quaderni.

Ciò non permette loro di soffermarsi sui concetti, proprio perché sono concentrati su una scrit-tura forsennata, che li distoglie dalla comprensione di determinati nodi concettuali importanti. L’uso dei video, invece, permette agli studenti di ascoltare e riascoltare in qualsiasi momento le parole del docente. Le discussioni che verranno avviate in classe permetteranno agli studen-ti di socializzare e collaborare nella risoluzione di un problema comune.

1.5 L’insegnamento capovolto: presupposti teorici

Il concetto scuola capovolta, o insegnamento capovolto, sostanzialmente parla di un apprendimen-to ibrido.

Come abbiamo già evidenziato, questo approccio, o modello educativo, ribalta il sistema di apprendimento tradizionale costituito da lezioni frontali e studio individuale (alienante) a casa, con conseguente interrogazione a scuola.

Ne deriva che il rapporto docente-allievo si realizza e si identifica nella rigidità del ruolo e nella verticalità gerarchica, che lascia poco spazio alla relazione interagente tra i due soggetti dell’educazione. Ne deriva che la stessa scuola imposta la sua autorità, ponendo distanze.

In realtà, l’insegnamento capovolto nasce dall’esigenza di rendere il tempo-scuola più produttivo e fun-

zionale alle esigenze di un mondo della comunicazione radicalmente mutato in pochi anni. La rapida mu-

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tazione indotta dalla diffusione del web ha prodotto un distacco sempre più marcato di una grande parte

del mondo scolastico dalle esigenze della società, dalle richieste del mondo delle imprese e dalle abilità e

desideri degli studenti e delle loro famiglie. Si è osservato anche che gli interessi degli studenti nascono e si

sviluppano, ormai, sempre più all’esterno dalle mura scolastiche. L’insegnante trova sempre più comples-

so sostenere l’antico ruolo di trasmettitore di cultura perché il web si presta per tale scopo in modo molto

più completo, versatile, aggiornato, semplice ed economico.8

Con quale strategia metodologica si applica?

L’insegnamento capovolto punta a far lavorare lo studente prevalentemente a casa, in auto-nomia, apprendendo attraverso video e podcast, o leggendo i testi proposti dagli insegnanti o condivisi da altri docenti. In classe l’allievo cerca, quindi, di applicare quanto appreso per risolvere problemi e svolgere esercizi pratici proposti dal docente. Il ruolo dell’insegnante ne risulta trasformato: il suo compito diventa quello di guidare l’allievo nell’elaborazione attiva e nello sviluppo di compiti complessi. Dato che la fruizione delle nozioni si sposta nel tempo passato a casa, il tempo trascorso in classe con il docente può essere impiegato per altre atti-vità fondate sull’apprendimento, in un’ottica di pedagogia differenziata e apprendimento a progetto.

I primi esperimenti sono stati condotti negli anni Novanta da Eric Mazur, professore di fisica presso l’Università di Harvard.

Oggi questo metodo è usato per esempio dalla Khan Academy, che dà agli studenti la possibi-lità di seguire dei videotutorial da casa su Youtube e sono disponibili online anche degli interi corsi universitari come su Coursera, o interi corsi per materia della scuola superiore italiana come su TVscuola.

I veri fondatori della didattica capovolta sono generalmente considerati Jonathan Bergmann e Aaron Sams, autori del libro Flip Your Classroom: Reach Every Student in Every Class Every Day, edito negli Stati Uniti nel 2012.

A partire dal loro manuale e dai siti web della loro associazione, il flipped learning sta crescen-do in modo esponenziale in tutto il mondo. In Italia nel 2014 è nata FLIPNET9 l’associazione degli insegnanti che praticano la didattica capovolta.

Proviamo a fissare questi contenuti osservando le immagini che seguono:

8 De Mauro T., La scuola capovolta, «Internazionale», n. 975, 20129 http://flipnet.it - Sito ufficiale della associazione italiana per la promozione della didattica capovolta.

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1.6 L’apprendimento efficace

L’apprendimento può definirsi efficace quando viene vissuto come risorsa didattica e peda-gogica. È innegabile che quando un’azione si fa cooperativa, sia sul fronte collegiale che sul fronte che mette in campo gli studenti, permette da una parte di coinvolgere maggiormente insegnanti con gli studenti, dall’altra di migliorare la qualità della comunicazione in classe.

Pertanto parliamo di apprendimento efficace, quando i risultati attesi gratificano entrambi gli attori: docenti e studenti.

Di rimando, il livello di soddisfazione e gratificazione mette anche le figure genitoriali in coo-perazione con le scuole, con il personale docente, e la sinergia che ne nasce può solo dare frut-ti buoni.

1.7 L’apprendimento significativo

L’apprendimento significativo è quel tipo di apprendimento che consente di dare un senso alle conoscenze, permettendo l’integrazione delle nuove informazioni con quelle già possedu-te e l’utilizzo delle stesse in contesti e situazioni differenti, sviluppando la capacità di problem solving, di pensiero critico, di metariflessione e trasformando le conoscenze in vere e proprie competenze.

Secondo la pedagogia contemporanea l’apprendimento significativo, basato su teorie costrut-tiviste, ha come obiettivo principale quello di rendere autonomo il soggetto nei propri percorsi conoscitivi.

Esso è diametralmente opposto all’apprendimento meccanico che utilizza la memorizzazione per produrre conoscenza inerte.

Nell’apprendimento meccanico, basato su teorie comportamentiste, la ricezione delle informa-zioni è veicolata dal docente, le informazioni sono definitive, astratte e generiche e non pos-

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sono essere modificate dal discente per integrarle a informazioni precedenti o per negoziarne socialmente il significato.

Per avere un apprendimento significativo è, quindi, necessario che la conoscenza:

• Sia il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto; • Sia strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l’apprendimento; • Nasca dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.

Molti sono stati gli autori di impronta cognitivista e costruttivista a occuparsi dell’apprendi-mento significativo.

Carl Rogers pone al centro dell’apprendimento significativo la motivazione ad apprendere l’esigenza che l’insegnante riconsideri il proprio ruolo preoccupandosi di facilitare l’apprendi-mento attraverso il coinvolgimento e la motivazione dell’alunno: «è necessario

che lo studente venga posto di fronte a un problema da lui sentito come reale».

Ausubel, negli anni ‘60, identifica l’apprendimento significativo e quello meccanico (di memo-rizzazione) come gli estremi di un continuum. Elabora inoltre il concetto di apprendimento significativo, spostando l’attenzione dai metodi d’insegnamento, alle condizioni che lo rendo-no possibile. Ciò che una persona riesce a costruire è infatti correlato alle modalità di insegna-mento che gli sono state offerte o alle strategie che lui stesso adotta.

Novak definisce la metodologia delle mappe concettuali come strumento per generare ap-prendimento significativo. Per apprendere si segue così il processo di formazione e creazione del sapere, con un metodo che si rifà alla struttura della conoscenza umana.

Jonassen riconosce una pluralità di fattori importanti (contestuali, sociali, metodologici e stru-mentali) per generare apprendimento significativo: «sarà anche possibile far sì che le persone apprendano cosa noi vogliamo, ma in futuro ricorderanno e useranno solo ciò che ha un senso per loro». Sviluppa inoltre un approccio didattico basato sulle tecnologie e sul concetto di apprendimento significativo e intenzionale.

Le caratteristiche di un ambiente di apprendimento che facilita la costruzione significativa di conoscenza è quello in cui si ha la possibilità «di apprendere in modo attivo, costruttivo, in-tenzionale, autentico e collaborativo»10.

• È attivo: richiede uno sforzo concreto di colui che apprende nella costruzione della sua conoscenza in contesti significativi mediante la manipolazione di oggetti, l’osservazione e l’interpretazione dei risultati dei suoi interventi. In questo modo si verifica il principio del learning by doing (imparare facendo).

10 Jonassen D. et al., Meaningful Learning with Technology, Pearson, Merrill, 2007

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• È costruttivo: richiede di articolare ciò che è stato fatto e di riflettere sulle proprie attività e osservazioni. Le nuove conoscenze creano discrepanze tra ciò che si osserva e ciò che si comprende. Questo è quello che consente ai discenti di andare avanti integrando le vecchie conoscenze con le nuove. Si può fare riferimento ai processi di assimilazione e accomoda-mento, teorizzati da Piaget, che implicano la costruzione di nuove conoscenze. Secondo il pedagogista svizzero il vero apprendimento avviene nel momento in cui vi è la modifica degli schemi cognitivi (accomodamento).

• È cooperativo: prevede una dimensione conversazionale e collaborativa per favorire la comprensione, la quale avviene sempre attraverso il confronto, lo scambio, il dialogo e la negoziazione con gli altri.

• È autentico: perché è caratterizzato da complessità ed è fortemente contestualizzato. Si basa su complessi problemi della vita reale per favorire un coinvolgimento pratico degli studenti nei contesti concreti.

• È intenzionale: è lo studente che dà un’autogiustificazione all’impegno di perseguire e raggiungere uno scopo (goal directed). È compito dell’insegnante creare la motivazione all’impegno e al conseguente apprendimento.

L’apprendimento significativo e le tecnologie

«Chi utilizza questi strumenti, è obbligato a pensare in modo più profondo ai contenuti che sta apprendendo e sviluppare, di conseguenza, una sua maggior comprensione, un apprendi-mento più stabile»11.

Attualmente è opinione diffusa che il semplice utilizzo delle tecnologie nel mondo dell’istru-zione possa migliorare l’apprendimento degli studenti. Tuttavia, tramite l’esperienza diretta, si può facilmente notare che, in realtà, gli studenti non apprendono né di più né meglio tramite l’utilizzo delle tecnologie. Sicuramente il fatto di ritenere l’apprendimento significativo come il principio cardine del processo di insegnamento è un aspetto favorevole, perché dimostra l’elevato grado d’importanza che si vuole dare agli studenti e a strategie e metodologie utili per loro stessi. Un modo per mettere in pratica questo tipo di insegnamento-apprendimento è quello di utilizzare le tecnologie, anche se ciò può comportare costi elevati e difficoltà logi-stiche maggiori di semplici lezioni frontali in aula. Questo tipo di apprendimento può essere applicato in vari contesti e rivolto a fruitori diversi: primi tra tutti agli studenti dei vari gradi di istruzione, ma poi anche agli stessi insegnanti in corsi di aggiornamento, nelle riunioni azien-dali, con persone disabili, con extracomunitari etc.

11 Jonassen D. et al., Meaningful Learning with Technology, Pearson, Merrill, 2007

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Ecco l’elenco degli strumenti applicativi più diffusi:

• Browser, • Motore di ricerca, • Client di posta elettronica, • Word, • Forum, • Blog, • Wiki, • Programmi per mappe concettuali e mentali, • Programmi per simulazioni, • Ask system, • Moodle, • Condivisione di documenti, • Ipertesto, • LIM, • E-learning, • E-book, • Ambienti di apprendimento, • Computer, • Web, • Social network.

Sono emersi, inoltre, alcuni assunti generali riguardo all’apprendimento significativo e le tec-nologie. L’uso didattico delle tecnologie è giustificato se dal suo uso si possono ottenere degli apprendimenti non ottenibili altrimenti e a costi inferiori. Se le scuole vogliono promuovere apprendimento significativo, allora il modo di usare le tecnologie deve cambiare da tecnologia come insegnante a tecnologia come partner nel processo di apprendimento. Gli studenti non apprendono dalle tecnologie, ma le tecnologie possono sostenere negli studenti il pensiero produttivo e la costruzione di significato. Dunque come possono le tecnologie diventare part-ner degli studenti nel loro percorso di apprendimento?

I nostri assunti sono:

• La tecnologia è più di hardware; • Le tecnologie non sono nastri trasportatori o strumenti di comunicazione; • Le tecnologie possono essere una cassetta degli attrezzi; • Le tecnologie dovrebbero essere usate come attivatori e facilitatori del pensiero.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 30

Risulta importante, infine, evidenziare quali siano le dimensioni che rendono efficace l’uso degli strumenti tecnologici:

• La dimensione causale è relativa all’uso delle tecnologie con il fine di sviluppare il pen-siero deduttivo, la capacità di previsione e di ricerca delle cause e dei meccanismi alla base dei fenomeni. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione sono: software come SimQuest, WebQuest, strumenti di discussione in rete come i forum, strut-turazione di mappe concettuali.

• La dimensione analogica è relativa al trasferimento di conoscenze tra contesti diversi. È legata alla flessibilità cognitiva e alla costruzione di conoscenze a partire da ciò che già si conosce. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione: lavoro colla-borativo per la costruzione di un glossario mediante un wiki, partendo dalle analogie per produrre nuove conoscenze.

• La dimensione espressiva è relativa all’uso delle tecnologie come strumenti per esprimere ciò che gli studenti conoscono e stanno imparando. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione: produzione di un video, realizzazione di un ipertesto, co-struzione di una simulazione.

• La dimensione esperienziale richiama l’importanza del coinvolgimento diretto del sog-getto per recuperare esperienze pregresse. Esempi di strumenti per favorire lo sviluppo di questa dimensione: ricerca di storie, costruzione di narrazioni.

• La dimensione del problem solving è relativa all’utilizzo delle tecnologie come partner da utilizzare nella soluzione di problemi e nella strutturazione della rappresentazione del problema stesso.

Sono state individuati alcuni ambiti, in cui le tecnologie risultano efficaci:

• Costruzione di conoscenza non riproduzione, • Conversazione non ricezione, • Articolazione non ripetizione, • Collaborazione non competizione, • Riflessione non prescrizione.

Le operazioni chiave dell’apprendimento significativo con tecnologie sono:

• Investigare • Esplorare • Scrivere • Costruire modelli

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• Costruire comunità e comunicare con gli altri • Progettare • Visualizzare • Valutare

In conclusione, le tecnologie andrebbero usate come attivatori e facilitatori del pensiero; quin-di dovrebbero diventare un supporto all’apprendimento significativo e non il principale mez-zo.

http://lascuolachefunziona.pbworks.com/w/page/47754789/apprendimento%20significativo

1.8 L’Apprendimento e la Peer Cooperative

I cambiamenti che si registrano in fase evolutiva esercitano direttamente o indirettamente su tutti gli aspetti che riguardano la crescita nonché l’apprendimento dei nostri alunni.

Erick Erickson individua 5 fasi di sviluppo.

Analizziamole insieme.

I contenuti delle fasi evolutive in questione sono così sintetizzate:

• I fase – acquisizione della fiducia di base (primo anno di vita). Il bambino deve soddisfare alcuni bisogni personali che consentono di provare sensazioni di benessere fisico, che si è instaurato con un rapporto materno soddisfacente e insieme aperto, dove le esperienze di tensione siano ridotte al minimo;

• II fase – acquisizione del senso di autonomia. L’ambiente viene scoperto di volta in volta grazie alla esplorazione che il bambino compie durante la sua naturale crescita, il che im-plica l’uso del corpo, l’avvicinarsi alle cose, per sondarle, assaggiarle, farle proprie. È nel gioco spontaneo da solo o in compagnia che il bambino acquisisce una sicurezza personale e abilità sociali;

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 32

• III fase – acquisizione dello spirito di iniziativa. È una fase che porta all’intraprendenza, al pianificare, all’attivismo, laddove la volitività precedente ispira il più delle volte anche atti di sfiducia, che assomigliano a una protesta che ambisce all’indipendenza;

• IV fase – acquisizione del senso di industriosità. Il bambino è nella scuola dell’obbligo, è pronto per inserirsi nel gruppo dei coetanei, tradurre in programmi stadi della sua autono-mia e iniziativa. Freud chiama questo periodo fase di latenza;

• V fase – acquisizione del senso di identità. Nel costruire la sua identità, il ragazzo ha ab-bandonato la sua fanciullezza, è la fase in cui si ha bisogno di generatività, intimità.

È una fase quest’ultima che comporta un forte senso di disorientamento, ma che sfocia nella vita adulta, solo dopo aver passato gli anni della giovinezza.

La ragione per la quale è stato necessario richiamare queste fasi vuol essere un invito a cogliere la scuola primaria, se non addirittura la scuola dell’infanzia, come il periodo ideale per mettere i bambini nella condizione di lavorare tra loro, cooperando alla realizzazione di un compito comune.

Piaget rivolge, sin dalle prime ricerche, la sua attenzione al rapporto tra l’adattamento biologi-co dell’organismo e le forme più elevate dell’adattamento, vale a dire il pensiero logico-scien-tifico.

L’intelligenza è una forma di adattamento. Per cogliere i suoi rapporti con l’apprendimento e la vita in generale occorre dunque precisare quali relazioni esistono tra l’organismo e l’ambiente.

Si tratta di un adattamento-processo. In sostanza, quanto più un ambiente è accogliente, ospi-tante, più sarà possibile operare in armonia.

Il Cooperative Learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento, attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corre-sponsabili del reciproco percorso. L’insegnante assume un ruolo di facilitatore e organizzatore delle attività, strutturando ambienti di apprendimento in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di problem solving di gruppo, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti.

Tali obiettivi possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi di apprendimento gli studenti sviluppano determinate abilità e competenze sociali, intese come un insieme di abilità interpersonali e di piccolo gruppo indispensabili per sviluppare e mantenere un livello di co-operazione qualitativamente alto.

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Presupposti teorici-pedagogici

• Teorici dell’apprendimento cooperativo • John Dewey e l’ambiente sociale di apprendimento • Kurt Lewin, la teoria del campo e la teoria dei climi di apprendimento • Bion: la relazione tra affettivo e cognitivo, tra emozioni e apprendimento • Mugny e il concetto di intelligenza al plurale • Piaget e la cooperazione come fattore essenziale del progresso intellettuale • Vygotskij e la zona di sviluppo prossimale • M. Deutsch e il concetto di interdipendenza • Johnson & Johnson e le prime esperienze di Cooperative Learning • Ricerca in Italia

Il Cooperative Learning è un metodo didattico in cui gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi comuni, cercando di migliorare reciprocamente il loro ap-prendimento. Tale metodo si distingue sia dall’apprendimento competitivo che dall’apprendi-mento individualistico e, a differenza di questi, si presta a essere applicato a ogni compito, a ogni materia, a ogni curricolo. Il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola, ma la ricerca dimostra che gli studenti possono anche lavorare insieme senza trarne profitto. Può infatti ac-cadere che essi operino insieme, ma non abbiano alcun interesse o soddisfazione nel farlo. Nei gruppi di apprendimento cooperativo, invece, gli studenti si dedicano con piacere all’attività comune, sono protagonisti di tutte le fasi del loro lavoro, dalla pianificazione alla valutazione, mentre l’insegnante è soprattutto un facilitatore e un organizzatore dell’attività di appren-dimento.

Quali vantaggi presenta?

Rispetto a un’impostazione del lavoro tradizionale, la ricerca mostra che il Cooperative Lear-ning presenta di solito questi vantaggi:

• Migliori risultati degli studenti: tutti gli studenti lavorano più a lungo sul compito e con risultati migliori, migliorando la motivazione intrinseca e sviluppando maggiori capacità di ragionamento e di pensiero critico;

• Relazioni più positive tra gli studenti: gli studenti sono coscienti dell’importanza dell’ap-porto di ciascuno al lavoro comune e sviluppano pertanto il rispetto reciproco e lo spirito di squadra;

• Maggiore benessere psicologico: gli studenti sviluppano un maggiore senso di autoeffica-cia e di autostima, sopportano meglio le difficoltà e lo stress.

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Che cosa rende efficace la cooperazione?

I cinque elementi che rendono efficace la cooperazione sono:

• L’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si impegnano per migliorare il rendimen-to di ciascun membro del gruppo, non essendo possibile il successo individuale senza il successo collettivo;

• La responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi obiettivi e ogni membro è responsabile del suo contributo;

• L’interazione costruttiva: gli studenti devono relazionarsi in maniera diretta per lavorare, promuovendo e sostenendo gli sforzi di ciascuno e lodandosi a vicenda per i successi ot-tenuti;

• L’attuazione di abilità sociali specifiche e necessarie nei rapporti interpersonali all’inter-no del piccolo gruppo: gli studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di un clima di collaborazione e fiducia reciproca. Particolare importanza rivesto-no le competenze di gestione dei conflitti, più in generale si parlerà di competenze sociali, che devono essere oggetto di insegnamento specifico;

• La valutazione di gruppo: il gruppo valuta i propri risultati e il proprio modo di lavorare e si pone degli obiettivi di miglioramento.

L’efficacia della metodologia cooperativa è data inoltre dal supporto di alcuni comportamenti e valori specifici.

All’interno di questo quadro generale, le diverse interpretazioni del principio di interdipen-denza e delle variabili più significative nell’apprendimento (interazione, motivazione all’ap-prendimento, compito e ruolo dell’insegnante) hanno originato lo sviluppo di diverse correnti o modalità di Cooperative Learning.

Attualmente i maggiori gruppi di ricerca sul Cooperative Learning sono quelli di D. John-son e R. Johnson alla University of Minnesota di Minneapolis, quello di R. Slavin alla Johnns Hopkins University di Baltimora e quello di S. Sharan alla Tel Aviv University di Tel Aviv.

Alcuni aspetti del Cooperative Learning sono ancora oggetto di discussione e di approfondi-mento: la situazione dei più dotati, l’inserimento di alunni con handicap grave, le modalità in relazione a specifici obiettivi trasversali, la possibilità di sviluppare questo metodo combinan-dolo con altri e con l’uso delle nuove tecnologie.

È importante che anche in Italia questa metodologia continui a essere approfondita, studiata e sviluppata e che non diventi una nuova moda che prima crea entusiasmo e poi viene presto accantonata per una presunta inefficacia dovuta più a un’inadeguata applicazione che non al metodo in sé.

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1.9 La ricerca-azione

La ricerca-azione è una modalità che, applicata anche nel settore educativo, aiuta il docente, quando, dovendo ribaltare il proprio modo di fare scuola e di impostare la lezione, opera una analisi soggettiva e collegiale intorno alle discipline da insegnare o reticolare con gli altri col-leghi.

La ricerca-azione favorisce approfondimenti consapevoli nelle diverse tematiche in vista della realizzazione di percorsi di azione e di riflessione in itinere, fornisce un supporto valido ed ef-ficace alla didattica e alla progettazione, nonché al processo in merito all’insegnamento o come lo si era impartito e a come va nuovamente ristrutturato. Ovviamente implica un arresto sul passato e un nuovo approccio con il futuro. Ma richiede grande apertura e una progettazione non attenta e scrupolosa.

Uno degli obiettivi principali risiede nel produrre un mutamento di prospettiva da innestare nel modo di educare, per quanto attiene le modalità e i risultati.

Una impostazione di questo genere migliora la prassi didattica e la professionalità docente, ri-chiede di dotare gli operatori della scuola di strumenti di comprensione profonda dei processi di insegnamento-apprendimento, per consentire loro di individuare meglio problemi e mette-re a punto, mediante un ventaglio di ipotesi, strategie tattiche e interventi preventivi, da speri-mentare e monitorare in funzione di un mutamento migliorativo della situazione in questione.

Essa si innesta su «tutto un percorso organico e sistematizzato, poiché riflettere, singolarmente o insieme, su blocchi di percorso o su un cammino effettuato conduce a capire meglio la pro-duttività dei cambiamenti apportati, a fare scelte oculate per il futuro e a ricreare riconversioni e nuove piste di lavoro»12.

Molto importante risulta quindi riuscire a mantenere una visione d’insieme, che ponga atten-zione alle molteplici componenti (cognitive e non), implicate nel processo educativo, tenendo sotto controllo le variabili che entrano in gioco.

12 Coonan C., La ricerca azione, in «Rivista dell’Istruzione», 4, 2012

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Verso la metacognizione

Insieme all’osservazione dei processi e all’analisi dei dati (punti focali) la riflessione rappre-senta uno snodo fondamentale per attivare forme di metacognizione.

La riflessione può realizzarsi, come accennato, singolarmente (autoriflessiva) o in coppia (ete-roriflessiva, cooperativa); entrambe possono verificarsi a distanza. La prima si situa in azione.

L’insegnante, partendo dal materiale a disposizione (annotazioni, diario di bordo, registratore video/registratore audio, scheda di osservazione, cronaca etc.), ripercorre quanto svolto e otte-nuto, interrogandosi ad esempio sulle diverse tappe attraversate dai bambini nella costruzione della loro conoscenza:

• Cosa è successo e perché? • Quanto hanno impiegato per impadronirsi di un determinato concetto? • Quale ostacolo cognitivo hanno incontrato? • Quali strategie affettive/ emozionali/ cognitive hanno messo in atto per risolvere un proble-

ma o superare una difficoltà? • Quali atteggiamenti osservativi, riflessivi hanno sviluppato? • Quali reazioni e coinvolgimenti emotivi/relazionali hanno manifestato? • Quali disponibilità hanno mostrato nell’apprendimento cooperativo?

Tutto ciò può aiutarlo a superare sia il gap tra pensare e fare (abbastanza diffuso) sostenendolo nella ricerca, sia la difficoltà ad aprirsi al confronto con spirito cooperativo, rimettendo in di-scussione, quando necessario, il proprio agito, pensato e percepito. È superfluo aggiungere che la documentazione si impone per tutte le fasi della ricerca. Essa è irrinunciabile da ogni punto di vista, dato che incrementa l’osservazione e la riflessione, sviluppando atteggiamenti meta-cognitivi, ma in particolare supporta la progettazione futura, costituendo una sorta di archivio didattico della scuola, che conserva la memoria della scuola, i cui attori-autori sono i docenti13.

13 Piscitelli M., La ricerca-azione nella didattica, in Cambi F. (a cura di), Ricerca-azione e scuola. Materiali di riflessione, Irre Toscana, Firenze, 2007, pp. 51-57.

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1.10 Obiettivi della Flipped Classroom

I docenti utilizzano diverse modalità per la realizzazione dei contenuti e degli obiettivi, non-ché per la realizzazione dei video. Pertanto, per le classi capovolte, ogni docente può e deve sentirsi libero di utilizzare nella maniera più congeniale tutti gli strumenti possibili per pre-sentare i contenuti.

Obiettivi:

• Soddisfare Bisogni; • Controllare la propria Comprensione; • Cogliere i punti di vista; • Discutere i processi; • Approfondire il sapere; • Essere parte integrante di un apprendimento in costruzione; • Cogliere il piacere di apprendimento in modo mirato; • Rivedere i percorsi per argomento; • Facilitare la metacognizione; • Facilitare il Pensiero Critico; • Ridurre il Disinteresse; • Rendere l’alunno protagonista e fautore del proprio sapere.

La prassi standard richiede:

• Uso della fotocamera per la registrazione di se stessi mentre si presentano i contenuti; • Uso del software di cattura dello schermo per la registrazione, passo passo, di ciò che si

scrive, accompagnato da un commento vocale; • Uso di un software di presentazione (PowerPoint, Keynote, etc.) con commenti vocali in-

clusi.

Quando si realizza il video è importante fare attenzione alle seguenti cose:

• Assicurarsi che il suono sia catturato efficacemente (magari effettuare diverse prove prima di iniziare);

• Utilizzare illustrazioni, schemi, disegni, così come si fa tradizionalmente in aula; • Non caricare eccessivamente il video di contenuti, è più efficace un video di pochi minuti

che riguardi singoli concetti chiave; • Non serve perdere eccessivo tempo nel raggiungimento della perfezione del video, biso-

gna considerare che l’unica cosa fondamentale è la trasmissione del concetto; • Intercalare alcune espressioni ironiche durante la lezione può tenere viva l’attenzione.

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Setting di apprendimento e contesto educativo

L’ambiente, quanto il contesto classe nel quale si opera, è molto importante. Sia per le relazio-ni significative che si instaurano con le diverse figure rotanti intorno allo studente, sia dal punto di vista organizzativo.

La maggior parte della letteratura sulle Flipped Classroom si concentra su come capovolgere l’aula nel senso strettamente tecnico, senza spiegare cosa dovrebbe essere programmato in quel tempo che si guadagna grazie alla natura di questa nuova metodologia.

A riguardo, sarà utile considerare il supporto che una didattica metacognitiva può fornire allo scopo.

Quest’ultima ha il vantaggio di:

• Fornire una organizzazione anticipata, • Descrivere le fasi della strategia, • Condurre pratica guidata e dialogo interattivo, • Condurre una pratica autonoma, • Fornire un feed-back ragionato.

Si segua lo schema di seguito riportato per ulteriori approfondimenti.

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Capovolgere, quindi, non vuol dire soltanto propinare video e schede di lavoro, ma va effet-tuato un lavoro di programmazione a monte che sia orientato più verso la scoperta del curri-colo, piuttosto che verso la trattazione sequenziale e sterile dello stesso. I docenti che iniziano l’anno scolastico senza pensare alla possibilità di attività di tipo flipped, programmano secon-do le modalità tradizionali, facendo prevalentemente riferimento ai libri di testo.

Qualora dovesse decidere di optare per la flipped, cambierà completamente il suo modo di progettare, in quanto deve avere ben chiari gli obiettivi finali, gli esiti desiderati e quindi sce-gliere le più opportune metodologie e risorse per far sì che gli studenti raggiungano nel modo migliore gli obiettivi prefissati.

Il modello di programmazione flipped è quindi composto dalle tre fasi:

• Identificazione dei risultati desiderati; • Determinazione delle prove accettabili; • Pianificazione delle esperienze e delle lezioni utili per l’apprendimento.

Come si vede, la prima cosa da identificare è ciò che alla fine gli studenti devono sapere e saper fare, ponendosi delle domande che funzionino da indicatori per gli esiti attesi e stabi-lendo quale possa essere il modo per verificare l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità coinvolte.

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La maggior parte delle nozioni e dei contenuti può essere fornita grazie al suggerimento di video reperibili in rete o creati ad hoc dal docente, consolidati grazie alla somministrazione di attività di lettura o di comprensione del testo.

Il docente potrà comprendere se gli studenti hanno realmente appreso quando questi saranno in grado di sintetizzare i contenuti da varie fonti e produrre, per esempio, un nuovo documen-to. In questo modo i discenti hanno la possibilità di discutere, confrontarsi, produrre congettu-re, argomentare e insegnare ai propri compagni quanto letto e compreso.

Diverse sono le operazioni che gli studenti possono fare in classe durante le lezioni e volte a fissare meglio quanto hanno avuto modo di vedere e comprendere a casa. Per esempio, do-vrebbero essere in grado di riferire le conoscenze acquisite e quindi si può lavorare sul miglio-ramento del lessico specifico, oppure dovrebbero essere in grado di produrre dei testi chiari e, quindi, saranno in grado di rispondere a eventuali domande poste dal docente.

La gestione di questi momenti, però, richiede un minuzioso intervento di pianificazione da parte del docente, che si troverà di fronte alla possibilità di utilizzare in maniera molto più proficua il tempo che ha a disposizione in classe con gli alunni.

Per garantire la conservazione delle informazioni e del pensiero a un livello superiore, è ne-cessaria una combinazione della tassonomia di Bloom con le strategie didattiche di Marzano.

Robert J. Marzano è un autore, trainer e speaker che ha trattato argomenti come l’istruzione, la valutazione, la scrittura e l’attuazione di norme, la cognizione, la leadership efficace e gli interventi scolastici. In un suo testo Marzano individua 9 strategie didattiche che favoriscono la conservazione delle informazioni e la comprensione da parte degli studenti.

Sembra importante guardare a queste strategie in collaborazione con la tassonomia di Bloom, tenendo inoltre conto di un modello di classe capovolto.

Le strategie individuate da Marzano sono le seguenti:

• Prendere appunti e sintetizzare; • Identificare analogie e differenze; • Provare e riconoscere; • Effettuare compiti a casa ed esercitazioni; • Favorire l’apprendimento collaborativo; • Effettuare rappresentazioni non verbali; • Identificare gli obiettivi e fornire feedback; • Formulare ipotesi; • Porre domande con suggerimenti e organizzatori avanzati.

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Ci sono tanti strumenti tecnologici a disposizione dei docenti e degli studenti che possono essere utilizzati per la produzione dei lavori finali. Sono tutti gratuiti e consentono spesso la collaborazione nel processo di creazione.

Essi sono stati raggruppati secondo le voci della tassonomia di Bloom e di seguito riportati in chiave analitica.

Creare

Gli studenti sono in grado di raggiungere il massimo livello della tassonomia di Bloom quan-do esprimono il loro apprendimento attraverso la creazione. Gli studenti possono lavorare in modo cooperativo per creare prodotti atti a mostrare il loro apprendimento. Si potrebbe chiedere agli studenti di creare un book trailer, creare un cartone animato per illustrare un processo (usando toondoo.com), creare un poster digitale su un argomento o un periodo sto-rico (Glogster.com), etc.

• Book Trailers sono ottimi modi per gli studenti per mostrare quello che hanno imparato. • Zooburst è uno strumento di narrazione digitale. • ToonDoo è uno strumento web 2.0 che permette a chiunque di creare i propri fumetti. • Glogster è uno strumento web 2.0 che permette agli studenti di creare poster digitali (che

incorporano testo, immagini o video). • Prezi è uno strumento web 2.0 che permette di realizzare presentazioni non lineari.

Valutare

Quando gli studenti valutano, sono coinvolti nel completamento dei compiti cognitivi com-plessi. A seconda dell’attività, gli studenti possono utilizzare organizzatori grafici per presen-tare ciò che vogliono esprimere.

L’autovalutazione è uno strumento utile per gli studenti, in quanto consente loro di ottenere risposte in relazione a quanto stanno facendo. Nella fase di valutazione, l’insegnante ha biso-gno di essere sicuro di poter fornire il riconoscimento giusto per un lavoro ben fatto. Quando gli studenti vedono che il loro livello di realizzazione è correlato all’impegno che mettono nel loro lavoro, si prestano maggiormente per raggiungere un livello sempre più alto.

Gli insegnanti possono trovare degli ambienti di apprendimento per far sì che gli studenti pos-sano discutere tra di loro. Inoltre, possono fornire delle griglie utili per l’autovalutazione. La riflessione è un ottimo strumento per l’apprendimento. Rubistar è un sito molto utile che può essere utilizzato per aiutare gli insegnanti a creare griglie di valutazione.

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Analizzare

In questa fase gli studenti possono identificare similitudini e differenze, creare rappresenta-zioni non verbali e creare sondaggi. L’identificazione di analogie e differenze aiuta gli studenti a comprendere meglio le informazioni acquisite. A tale scopo possono essere usate le attività che mettono a confronto, classificano e usano metafore / analogie per capire i contenuti a un livello più profondo.

A Double Bubble Map permette agli studenti di vedere visivamente le connessioni.

Classtools.net è un sito dove gli studenti possono lavorare in gruppo.

Applicare

Nella fase di applicazione, gli studenti possono risolvere nuovi problemi applicando le loro conoscenze e i fatti precedentemente acquisiti in modo diverso. Attraverso l’uso di spunti, do-mande, organizzatori grafici e rappresentazioni, gli studenti hanno la possibilità di mostrare le loro conoscenze. Fare i compiti a casa e le esercitazioni prevedono la possibilità per gli studenti di rivedere e applicare le loro conoscenze.

Comprendere e ricordare

Gli studenti sono in grado di dimostrare la comprensione attraverso una varietà di strategie e attività. Vedere gli studenti che prendono attivamente appunti e riassumono le informazioni può essere una strategia che gli insegnanti possono utilizzare per verificare la comprensione degli studenti. Riassumere richiede la capacità di sintetizzare le informazioni. Gli studenti devono essere in grado di analizzare le informazioni e organizzarle in un modo che catturi le idee principali e i dettagli di supporto. Gli studenti possono riassumere le informazioni in modi diversi, eliminando informazioni che non sono importanti per il significato globale del testo, sostituendo alcune informazioni. Riassumere permette di migliorare la loro capacità di comprendere i contenuti specifici per l’apprendimento.

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Ricordare e capire

I compiti a casa e le esercitazioni offrono l’opportunità di effettuare revisioni e applicare le conoscenze, migliorando anche le capacità di raggiungere un livello di competenza atteso per una abilità.

Ecco alcuni modelli e siti web per aiutare con i compiti e la pratica:

• Quizlet è un sito web che aiuterà gli studenti a trovare o creare flashcard. • Flashcard exchange è un sito web in cui è possibile trovare flashcard didattici già pronti

per diversi soggetti. • StudyStack è un sito web che permette di creare flashcard, cruciverba, giochi di corrispon-

denza, etc. • Hot Potatoes è una risorsa che permette di creare vari quiz e attività per gli studenti.

1.11 Il modello didattico della Flipped Classroom

Uno dei principali vantaggi dell’insegnamento capovolto consiste nell’avere a disposizione molto più tempo in classe per venire incontro alle esigenze degli studenti, creando attività efficaci e coinvolgenti.

Quando i docenti decidono di capovolgere la propria didattica, è essenziale che effettuino a monte un’attenta riflessione sulle modalità di impiego del tempo supplementare che hanno a disposizione. Inoltre, le attività da svolgere dopo che gli alunni hanno visionato a casa i mate-riali di studio devono essere strettamente collegate a quanto appreso a casa, in modo tale da chiarire i dubbi e rafforzare quanto appreso autonomamente.

Di seguito vengono proposte alcune idee su come utilizzare il tempo a disposizione in classe nel caso in cui gli insegnanti decidessero di sperimentare l’insegnamento capovolto.

Traditional Flipped

Il Capovolgimento Tradizionale (Traditional Flipped) si configura come quello più utilizzato in aula dai docenti. In questo caso gli studenti guardano un video della lezione, la imparano a casa e svolgono i classici compiti in classe insieme agli altri compagni, sotto la guida del docen-te. Alcuni insegnanti mantengono questa tipologia di capovolgimento come una costante negli anni, mentre altri preferiscono effettuare altri esperimenti che si rivelano ancor più efficaci.

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Flipped Mastery

Il Flipped Mastery si può considerare come la naturale evoluzione del capovolgimento tra-dizionale. In questo caso gli studenti lavorano individualmente e non in gruppo, rivedono la lezione a casa e utilizzano le ore in classe per effettuare esercizi alla presenza dell’insegnante, che attribuisce loro una valutazione. Quando almeno l’80% degli studenti ha raggiunto una valutazione positiva, è possibile passare all’obiettivo successivo, altrimenti è necessario soffer-marsi ulteriormente su quanto trattato, fornendo magari altri materiali di studio.

Peer Instruction Flipped Classroom

La Peer Instruction Flipped Classroom prevede invece che gli studenti studino i materiali di base forniti dal docente al di fuori della classe, mentre dibatteranno in classe circa i nodi concettuali appresi, cercando di convincere i propri compagni sull’esattezza di quanto soste-nuto. In questo dibattito continuo, il docente modera e valuta l’apprendimento dei concetti. Gli studenti in questo modo possono anche aiutarsi a vicenda, in quanto spesso i concetti più complessi hanno richiesto una maggiore concentrazione anche da parte di chi li ha successiva-mente compresi e quindi, alla luce delle difficoltà superate, possono rendersi più disponibili verso chi ha ancora il loro stesso problema.

Problem Based Learning Flipped Classroom

La Problem Based Learning Flipped Classroom prevede invece l’esplorazione di un proble-ma e il confronto delle strategie risolutive tra gli studenti. Gli studenti possono lavorare singo-larmente o in team, consapevoli del fatto che le loro strategie dovranno essere discusse in una fase successiva in classe. Il docente si porrà quale moderatore del processo e valuterà quanto svolto dagli studenti. Si fa notare che in questo caso gli studenti non guarderanno alcun video a casa.

Inqury Flipped Classroom

Il metodo più usato per le discipline è quello dell’Inqury Flipped Classroom. In questo caso gli studenti possono chiedere di guardare un video su un argomento che li incuriosisce, usare il tempo di classe per esplorare i concetti in esso contenuti e cercare di dare le più opportune spiegazioni dei fenomeni. Tuttavia, essi potranno avere ancora qualche idea confusa, quindi l’insegnante interverrà per eliminare ogni dubbio di sorta. Anche in questo caso, gli studenti non guarderanno alcun video a casa.

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1.12 Una scuola al passo coi tempi

Il cambiamento, che sta avvenendo in questi ultimi tempi, è un cambiamento di grande rile-vanza, segna non a caso la nascita di un’epoca moderna e fortemente digitalizzata.

Sono anni di scoperte, e di un riconoscimento che nel bambino non era stato considerato mai prima. Mi riferisco al potenziale che se la scuola non sfrutta, rimane dormiente.

Questa svolta nasce da una volontà di individuare, leggere e interpretare le condizioni del contesto di vita dei bambini, delle famiglie e delle scuole, nonché l’insieme delle attese che gli sono rivolte dagli adulti con cui relaziona dell’intera comunità, secondo una visione ecologica dello sviluppo.

L’immagine del bambino, del fanciullo, quanto dell’adolescente, viene riconosciuta come in-trinsecamente valida e attiva, interlocutore reali nei suoi rapporti con il mondo.

La ricerca psicopedagogica moderna e contemporanea non può rimanere indifferente.

Il significato da attribuire al potenziale offerto dalla modernità, dalla comunicazione e dalle nuove tecnologie può essere riportato a due punti di attenzione:

• Quello dei supporti materiali, cioè l’apparato fisico e meccanico dei mezzi (hardware); • Quello che riguarda le regole necessarie per usare la macchina, cioè: programmi, codici

(software).

Il primo campo è dominato dal mondo della ricerca e della produzione industriale; il secondo orizzonte investe direttamente l’ambito dei saperi e delle conoscenze, sempre più integrati da una pluralità di supporti differenti.

Siamo sempre più spinti dalle nuove tecnologie a ricercare, anche sul fronte didattico, nuove forme di elaborazione e rappresentazione delle conoscenze, che avvengono per immersione. In questo il modello della Flipped Classroom si presta in toto allo scopo.

Non si tratta tanto di andare contro una scuola tradizionale, quanto di integrarla con spazi che accolgano nuove metafore di conoscenza.

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Classe tradizionale e Flipped Classroom

L’apprendimento che si realizza per mezzo della classe capovolta è, quindi, basato sulle preco-noscenze che ogni ragazzo possiede (si ricordi la video lezione ascoltata a casa e realizzata dal docente, o il suo spontaneo interesse verso la disciplina) e come a sua volta lo può riversare sul e nel gruppo. Sorgono spontanee una serie di domande:

• Come può imparare dagli altri? • Come può integrare le proprie informazioni con quelle degli altri? • Come collaborare verso un compito comune, un ipertesto su questo tema, oppure un car-

tellone, oppure una ricerca con lucidi o con diapositive di PowerPoint?

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Tutto questo richiede tempi anche molto più lunghi.

In definitiva, non è facile attuare l’apprendimento con il modello della Flipped Classroom ri-manendo sempre nell’ambito dei tempi stretti della lezione frontale. Qualcuno fa l’obiezione e dice: l’apprendimento, a causa del nuovo modello da seguire, richiede troppo tempo, non abbiamo tempo e quindi lo si mette da parte. Niente di più errato.

Osservando questa immagine e avendo a mente quanto ribadito sino a ora, viene spontaneo ripensare al ruolo del docente oggi.

Tra le funzioni fondamentali che il docente dovrebbe avere vi sono:

• Quella di istruire, cioè di aiutare gli allievi ad acquisire padronanza di abilità e di cono-scenze disciplinari;

• Quella di condurre la classe, cioè di definire regole e procedure, tenendo costante l’atten-zione e la partecipazione durante la lezione;

• Quella di socializzare gli studenti e mantenere un buon clima di classe.

Spesso succede che non tutti gli studenti reagiscano in maniera positiva agli interventi d’istru-zione, gestione della classe o socializzazione e che sia necessario un lavoro suppletivo, che richiede ulteriori abilità.

Per rispondere agli interrogativi sovraesposti, infatti, sono necessarie la capacità di analizzare la situazione, di decodificare le diagnosi dei diversi specialisti, di condurre interviste finalizza-te a raccogliere le informazioni utili alla costruzione di un piano di intervento.

Ma prima ancora è indispensabile l’apertura ad accorgersi che c’è un problema e che su que-sto problema è possibile intervenire efficacemente, anche se risulta difficile; è vitale pensare che sia effettivamente possibile risolvere il problema e che il primo passo per fare ciò consista nell’affrontarlo, superando l’ansia, l’impotenza, l’inadeguatezza o la rabbia, che coglie chiun-que di fronte a una situazione nuova, complessa e stressante.

Vantaggi e obiettivi per insegnanti e studenti

Vantaggi:

• Soddisfazione immediata di studenti e famiglie. • Tempo scuola interamente utilizzato alla applicazione e al perfezionamento delle compe-

tenze. • Stimola l’indipendenza dei ragazzi e la creatività. • Possibilità di dedicare più tempo agli studenti in difficoltà mentre il resto della classe lavo-

ra su problemi e progetti più complessi. • Possibilità di fare esercitare gli alunni più dotati su attività diversificate e complesse.

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• Soddisfazione per i docenti nel momento in cui ci si accorge di poter lavorare con risultati di apprendimento molto superiori alla norma.

Svantaggi:

• Necessità di rivoluzionare completamente il metodo di lavoro (abolizione di lezioni fron-tali e interrogazioni).

• Esigenza per il docente di un lungo training pedagogico e didattico e di discrete compe-tenze informatiche.

• Necessità di un aumento del lavoro preparatorio delle lezioni e dei tempi di correzione delle verifiche scritte.

1.13 La Comunicazione efficace per un apprendimento permanente

L’apprendimento cooperativo, afferma Silvia Andrich14, è un’impostazione molto conosciuta e che si sia diffusa in molte scuole non dovrebbe stupire.

Molti insegnanti nella loro pratica educativa e didattica, inseriscono segmenti di apprendi-mento cooperativo, che arricchisce il già consolidato lavoro di gruppo. Una piccola precisa-zione a questo proposito. Per evitare equivoci, dobbiamo imparare a distinguere tra lavoro di gruppo e apprendimento cooperativo.

• Il lavoro di gruppo consiste nel collaborare verso un obiettivo comune: si tratta di una pra-tica molto conosciuta e diffusa.

• L’apprendimento cooperativo, invece, è una modalità un po’ diversa dal lavoro di gruppo, in quanto è focalizzato sull’apprendere insieme l’uno con l’altro, l’uno dall’altro, l’uno per l’altro. È un approccio che comincia a essere conosciuto apprezzato e praticato.

Stimolare l’apprendimento

È opportuno fare una precisazione. Nella Flipped Classroom, non si desidera annullare il valo-re della lezione frontale. Essa possiede una lunga tradizione e indubbi vantaggi, specialmente quando si vogliono offrire molte informazioni a un gran numero di persone.

Tuttavia, per quanto riguarda la rielaborazione, la discussione, il confronto, lo scambio, l’ap-prendimento l’uno dall’altro, la lezione frontale presenta dei limiti, che possono essere supera-ti, introducendo, a fianco alla lezione frontale, altri approcci, tra questi la Flipped Classroom, e l’approccio dell’apprendimento cooperativo.14 Tratto dal Workshop n. 6 Silvia Andrich, Lidio Miato e Mario Polito © 2001 Erickson Portale Internet - www.erickson.it Materiali del 3° Convegno La Qualità dell’integrazione nella scuola e nella società

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Vi sono molte ricerche che spingono verso il superamento della preponderanza della lezione frontale, che è ancora molto forte e preminente in molte scuole, in molte attività didattiche. Possiamo elencare alcune di queste indicazioni teoriche che invitano a superare tale prepon-deranza della lezione frontale.

Approfondimento:

• Il costruttivismo. Cominciamo con il costruttivismo. Secondo tale teoria, la conoscenza è costruzione, meglio ricostruzione delle conoscenze che ognuno di noi possiede. Si tratta di una ricostruzione individuale, ma soprattutto sociale. Partendo da questa impostazione, la lezione frontale è ancora poco costruttivistica, anche se molte lezioni frontali sono oggi correlate da una buona impostazione pedagogica e didattica, che utilizza schemi, lucidi, codici molteplici come quello verbale, quello visivo, quello audiovisivo. C’è maggiore co-struttivismo nella preparazione delle lezioni frontali, ma è ancora insufficiente. Il costrut-tivismo sottolinea che l’apprendimento avviene attraverso il confronto delle varie mappe cognitive presenti in ciascuno degli studenti e nel gruppo classe. L’insegnante può stimo-lare l’apprendimento, attraverso la pratica del prendersi cura, di come ciascuno e di come la propria classe elabora, costruisce e ricostruisce le mappe cognitive comuni. Perrenoud sostiene che sia il successo scolastico, sia l’insuccesso scolastico, sono dovuti a un processo di costruzione da parte di tutti gli attori dell’attività educativa-didattica.

• L’autobiografia intellettuale e narrazione del sé. Un altro filone, che spinge verso il supera-mento della lezione frontale, è conosciuto come autobiografia intellettuale o narrazione del sé15. Tale approccio suggerisce l’idea che l’apprendimento non è meccanico, ma si intreccia con la narrazione del sé. A uno studente possiamo chiedere più efficacemente come lui ha appreso, come si è coinvolto nello studio di un determinato problema e far emergere l’intreccio tra un argomento studiato e la sua narrazione esistenziale, la sua biografia intel-lettuale. All’interno del gruppo classe, abbiamo dunque molte biografie, molte forme di coinvolgimento, che possono essere espresse e raccolte come ricchezza di apprendimen-to. Invece, la lezione frontale basata sulla spiegazione e sull’interrogazione impedisce di cogliere e di valorizzare le numerose pieghe narrative di ogni studente del gruppo classe.

• La metacognizione. La metacognizione è un altro filone che suggerisce di superare la lezio-ne frontale, spingendo ogni alunno, e il lavoro di gruppo, verso la riflessione e il controllo di come si apprende, mettendo in evidenza le proprie mappe cognitive, le proprie strategie di controllo, le proprie valutazioni su come si è appreso16. È noto che gli studenti metaco-gnitivi apprendono di più e sono più disposti al lavoro di gruppo, basato su un controllo

15 Pask G., Conversation, cognition and learning, Elsevier, Amsterdam, 197516 Cornoldi C., Metacognizione e apprendimento, il Mulino, Bologna, 1995

Ianes D. (a cura di), Metacognizione e insegnamento, Erickson, Trento, 1996

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reciproco di come apprendere, di quali strategie utilizzare e di come verificare insieme i risultati ottenuti.

• L’insegnante come ricercatore e come professionista riflessivo. Un’altra indicazione verso il superamento della preponderanza, della lezione frontale, è data da un filone della ricer-ca, basato sull’insegnante come ricercatore, come professionista riflessivo17.

Schön ha sottolineato l’importanza di modificare la figura dell’insegnante da semplice tra-smettitore delle informazioni a ricercatore, a professionista che riflette sul proprio modo di insegnare e che apprende da questa riflessione, a migliorare la sua qualità professionale.

L’insegnante ricercatore si impegna, utilizzando ciò che sa, ciò che ha appreso nel suo currico-lo informativo, per impostare nuove ricerche. Ricerche fatte insieme con i propri alunni grazie alla Flipped Classroom.

Questa impostazione dell’insegnante ricercatore ha una lunga tradizione.

È presente, ad esempio, in Freinet, il quale, fin dagli anni ’30, aveva provocatoriamente elimi-nato i libri di testo ufficiali, e cominciato a costruire insieme ai propri alunni, i propri libri di testo, costituiti da ricerche fatte insieme.

Questo filone è stato approfondito in Italia da Mario Lodi (1974) che, nel libro Insieme, descrive il lavoro raccolto accuratamente dai propri alunni giorno per giorno. È un esempio di supe-ramento della didattica frontale e di un modello di insegnante, che insieme ai propri alunni, diventa ricercatore.

Bisogna passare da metodologie dove l’attore principale risulta essere l’insegnante, di matrice tradizionale, a metodologie dove gli attori siano i ragazzi e il docente diventi sempre più il regista-guida del processo apprenditivo.

È per questo che dovremmo cambiare il modello di insegnamento-apprendimento, da uno di tipo individualistico-competitivo a un altro di tipo collaborativo-democratico18.

Per costruire un clima adatto, occorre che l’insegnante:

• Sia autocritico e riflessivo e favorisca la comunicazione interattiva tra i ragazzi (abilità di discussione), affinché essi possano passare da un ruolo più passivo inteso come ascoltatori e fruitori di informazioni, a uno più attivo e partecipativo;

• Modifichi la convinzione che la principale fonte di apprendimento per gli alunni sia l’in-segnante; ci sono agenzie e reti informative più potenti della scuola, pensiamo ad esempio alle possibilità di internet;

17 Schön A.D., Il Professionista riflessivo, Edizioni Dedalo, Bari, 201018 Dewey, J., Democracy and Education. An introduction to the philosophy of education, Free Press, New York, 1916

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• Possieda buona autostima, sappia autoregolarsi, ottimizzare e monitorare il proprio tempo e quindi accetti le sfide educative, anche quelle difficili da realizzare, e che prevedono un forte impegno, si aggiorni continuamente e studi le strategie più efficaci di insegnamento, imposti il suo lavoro come occasione di ricerca-azione;

• Conosca e favorisca modi diversi di apprendere e di fare esperienza; pensiamo ai diversi stili apprenditivi e allo sviluppo delle diverse intelligenze duttili (Gardner), all’importanza di variare le tipologie dei linguaggi utilizzati e dare continuità al lavoro, richiamando alla memoria le conoscenze pregresse e attivando organizzatori logici e anticipati (Ausubel); facciamo fare esperienze ai ragazzi di lavoro di gruppo, di laboratorio, di stage al di fuori della scuola, di cooperative scolastiche, dove l’esperienza è vista come esercizio del com-portamento che incarni un valore (situated learning);

• Cerchi di valorizzare i punti di forza dei ragazzi; non sottolineando subito i punti deboli, ma cominciando dalla valorizzazione, dal positivo e non dalla svalorizzazione; affianchi il ragazzo, lo aiuti, lo orienti, lo sostenga, lo incoraggi ad accettare le sfide, a vivere l’errore come risorsa per capire meglio il processo apprenditivo attuato e l’efficacia o meno delle strategie utilizzate per raggiungere l’obiettivo; è importante far prendere coscienza ai ra-gazzi delle proprie capacità, delle proprie potenzialità, di quanto potrebbero fare con l’im-pegno. Lo sforzo, la fatica (cosa sono capace di fare, dove potrei arrivare se solo lo volessi e mi sforzassi di più…);

• Permetta a tutti di esprimersi, apprezzi i suggerimenti degli alunni, non giudichi e non va-luti tutto ciò che viene detto dagli alunni; in una comunità educante tutti devono avere la possibilità di esprimere le proprie idee e opinioni, senza paura di sbagliare, di essere giudi-cati o essere censurati, anzi in una comunità del genere l’insegnante stimola con domande aperte e valorizza la partecipazione con lodi e apprezzamenti;

• Valorizzi la partecipazione con lodi e stimoli i ragazzi a intervenire indicando quali abilità trasversali ci si aspetta vengano apprese (es. ascoltare, parafrasare, incoraggiare i compa-gni, dare il proprio contributo, aiutare i compagni, non reagire in modo valutativo, impara-re a superare i conflitti e raggiungere il consenso, rispettare il proprio turno di discussione, parlare pacatamente e con gentilezza, rispettare gli altri; abilità queste che innanzitutto devono essere agite dall’insegnante);

• Stimoli con domande aperte e richieste di pensare insieme a un argomento in piccoli grup-pi, per poi riferire le proprie idee a tutta la classe; le domande chiuse del tipo sì o no oppure quelle a completamento, dove bisogna trovare la parola giusta mancante, non favoriscono il confronto e lo scambio di opinioni, cosa che avviene con domande aperte da sviluppare nel piccolo gruppo;

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• Sappia ascoltare attivamente, mostrando interesse, empatia e ricercando soluzioni mediate e condivise; la verità non sta mai tutta da una parte, occorre comprendere le ragioni dell’u-no e dell’altro, per poi cercare quella mediazione che trovi una nuova posizione dove cia-scuno ritrova parte delle proprie argomentazioni, ma non tutte; la ricerca di questo equili-brio condiviso è molto importante nelle risoluzioni dei conflitti, dove non ci sono perdenti, ma dove si è un po’ tutti vincitori;

• Progetti la sua lezione in modo flessibile, prevedendo momenti di contrattazione dove gli alunni possano scegliere tra una gamma di alternative (autonomia di scelta); pensiamo a come può essere formativa la scelta fatta insieme degli obiettivi, del tema, delle modalità di lavoro, dell’ordine di esecuzione, dei tempi, delle ricompense, dei momenti di confron-to e di elaborazione a piccoli gruppi, di riflessione metacognitiva a livello di intergruppo (alternanza tra momenti di relazione insegnante-alunni e momenti di relazione solo tra compagni);

• Agisca in modo coerente; l’insegnante è un modello per gli alunni, quindi deve dare l’e-sempio e agire di conseguenza. La scarsa coerenza, invece, crea disagio e disaffezione nella classe, comportamenti negativi e distruttivi, insoddisfazione e crisi d’identità. Quando il modello di gestione della classe non è condiviso dall’intero consiglio di classe, si possono verificare incoerenze didattiche che portano spesso a situazioni conflittuali con i ragazzi e le famiglie: per questo utili possono essere i contratti formativi tra docenti che chiariscano bene il modello di gestione della classe e i comportamenti da attuare per rispettare e far rispettare le regole concordate con i ragazzi (pensiamo a regole e sanzioni riparatorie con-divise da tutti, sottofirmate da tutti gli insegnanti e da tutti i ragazzi e appese in classe in un posto ben visibile);

• Condivida con i ragazzi le scelte educative e i criteri di valutazione degli apprendimenti; coinvolge i ragazzi nelle scelte, permette di farli sentire parte attiva nella progettazione curricolare e favorisce la motivazione all’impegno; anche nella valutazione è importante far vedere come si reperiscono i dati che saranno oggetto di giudizio e quale peso viene a questi attribuito (ad esempio 5 punti se non ci sono errori ortografici, 4 punti se ce ne sono da uno a cinque, 3 punti se ce ne sono da 6 a 10, 2 punti se ce ne sono da 11 a 15 e 1 punto se ci sono più di 15 errori); è questo un passaggio molto utile per insegnare ai ragazzi ad autovalutarsi e confrontare la propria autovalutazione con quella dell’insegnante; quando l’autovalutazione e la valutazione coincidono, allora vuol dire che c’è sintonia tra insegnan-ti e alunni;

• Attui il monitoraggio, insieme agli alunni, del percorso apprenditivo e dei processi cogni-tivi dei singoli alunni e di ogni gruppo; per far questo occorre costruire degli strumenti di controllo del processo apprenditivo del gruppo e di ciascun alunno; utili a tal fine possono

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essere delle semplici domande metacognitive, alle quali rispondere al termine di ogni fase del lavoro programmato (ci sembra che il lavoro fin qui svolto sia soddisfacente? Perché? I tempi programmati sono stati rispettati? Se no, perché?);

• Si metta in gioco per primo, funga da modello positivo esperto e stimoli la generalizza-zione; se vogliamo, ad esempio, che i ragazzi imparino un metodo di studio, iniziamo col far vedere loro come studiamo, poi confrontiamo il nostro metodo di studio con il loro e cerchiamo di individuare i punti forti e deboli di ciascun metodo in modo che poi ciascuno costruisca quello più adatto a se stesso; se viceversa vogliamo aiutare i ragazzi a scrivere testi regolativi, dobbiamo per primi metterci in gioco facendo vedere come noi scriviamo un testo di questo genere; poi attraverso la discussione di quali possibilità avevamo a di-sposizione e del perché è stata fatta proprio quella scelta, abituiamo i ragazzi al confronto e a prendere maggior consapevolezza di quanto si sta facendo; attraverso l’analisi dei punti forti e dei punti deboli del modello proposto, si possono cercare insieme altri contesti dove quel modello può essere utilizzato in modo efficace; in tal modo si aiutano i ragazzi a com-piere una generalizzazione del modello e costruire modelli più adatti alle caratteristiche della loro personalità e più rispondenti ai loro bisogni e capacità;

• Favorisca l’identità, il lavoro di gruppo e l’interdipendenza positiva; l’interdipendenza positiva viene vissuta dal ragazzo come convinzione di aver bisogno dei compagni per raggiungere l’obiettivo, ma che questo non può essere raggiunto senza il proprio apporto; unendo le forze e le idee si possono superare meglio i vari problemi, inoltre ci si sente im-portanti per gli altri (non posso mancare, perché senza di me il lavoro non può essere con-cluso). L’interdipendenza positiva favorisce la costruzione dell’identità, nel senso che aiuta il ragazzo a scoprire chi è, a sentirsi accettato e riconosciuto dagli altri a scuola, in classe, nel gruppo di amici, nello sport. In famiglia e nei vari gruppi sociali. Ciascun ragazzo ha bisogno di costruire qualcosa di riconoscibile dagli altri che sia stabile nel tempo. Anche le caratteristiche attribuite al ragazzo devono avere la valenza della stabilità. Tutti devono dire: «È un bravo ragazzo». Oppure «È un ragazzo svogliato, che va male a scuola». Ci deve essere una certa coerenza tra le attribuzioni di identità e i comportamenti attuati dal ragazzo, perché queste attribuzioni creano aspettative che condizionano i comportamenti: «faccio quello che gli altri si aspettano da me»; «devo essere me stesso, una persona sola, ri-conoscibile agli altri, ben identificato (nel bene e nel male) e non “uno, nessuno, centomila” come nella commedia di Pirandello». È importante, quindi, avere aspettative positive nei confronti dei ragazzi, aiutare il formarsi dell’identità sociale positiva nel gruppo dei pari, enfatizzare le capacità e le potenzialità di ciascuno e fare in modo che il gruppo le ricono-sca e le utilizzi per raggiungere i propri obiettivi. Ciascuno deve avere un ruolo attivo e riconoscibile all’interno del gruppo. Dobbiamo cercare di evitare il pericolo di instradare i

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ragazzi all’insuccesso, prospettando delle aspettative negative o delle sfide di basso livello, per non incorrere nell’effetto Pigmalione, ovvero della profezia che si autoavvera19;

• Favorisca l’autoconsapevolezza individuale e di gruppo e aiuti la riflessione metacognitiva sui processi attuati20; è importante che il gruppo riveda insieme all’insegnante come ha lavorato e come ha migliorato il proprio stile cooperativo (riflessione che può avvenire sia discutendo insieme, sia scrivendo prima singolarmente le proprie valutazioni, per poi con-frontarsi insieme); è attraverso il confronto stimolato con domande aperte che si promuove la consapevolezza metacognitiva, dando la possibilità ai ragazzi di precisare meglio il pro-prio pensiero, di sostenerlo e rispondere ai dubbi degli interlocutori, di vagliarlo alla luce delle obiezioni, delle contrapposizioni, di analizzare le alternative. Anche l’errore diventa occasione di riflessione e confronto su quali siano le strategie più efficaci o per prendere maggior consapevolezza dei processi cognitivi attuati;

• Sia democratico, entusiasta, positivo, motivato; è importante che al docente piaccia inse-gnare, stare con i ragazzi, aiutarli a valorizzare i loro talenti, a sperimentare la democrazia, la libertà delle scelte consapevoli, la condivisione e il rispetto reciproco, la solidarietà; solo chi fa con entusiasmo il proprio lavoro riesce a trasmettere questo entusiasmo ai ragaz-zi. La pedagogia democratica è la pedagogia della proposta, del ricercare insieme, dove ciascuno mette in campo le proprie competenze per aiutare gli altri21. È una pedagogia dell’aiuto e del rispetto reciproco, del dare agli altri, della responsabilità individuale, ri-spetto al proprio apprendimento e a quanto si fa per gli altri, e di gruppo, rispetto alla partecipazione, all’ottimizzazione del tempo a disposizione, all’aiuto reciproco, al rispetto delle regole concordate, al rispetto di tutti e di ciascuno, alla valorizzazione delle differenze e dei diversi apporti per il conseguimento dell’obiettivo comune. La democrazia richiede meno competizione all’interno del gruppo classe e più cooperazione, più condivisione dei valori e delle norme di solidarietà attiva, positiva, partecipata e non passiva. Questo vale per l’insegnante, ma deve valere anche per ciascun ragazzo.

• Insegni le abilità sociali anche attraverso l’interdipendenza dei ruoli; una classe dove si sta bene è quella organizzata, dove ognuno ha ben chiari i compiti e i ruoli da giocare al suo interno; per questo è importante dedicare un congruo tempo all’organizzazione dove ciascuno partecipa con ruoli diversi al benessere di tutti (pensiamo ai vari incarichi come il distributore e il raccoglitore dei quaderni, il responsabile del ricambio dell’aria in classe, il responsabile del segnalare i compiti agli assenti, il responsabile della raccolta dei buo-ni pasto per la mensa, il responsabile dell’organizzazione dei compleanni, il responsabile del benessere delle piante,…); l’insegnante, oltre a insegnare le abilità sociali, le deve rin-

19 Rosenthal R., Jacobson L, Pigmalione in classe, trad it, Angeli, Milano, 197220 Cornoldi C., Metacognizione e apprendimento, il Mulino, Bologna, 199521 Freire P., La pedagogia degli oppressi, EGA, Torino, 2002

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forzare continuamente, sottolineando i comportamenti prosociali22 e cercando di trovare alternative a quelli antisociali; nel piccolo gruppo i ruoli sociali da attivare possono essere il controllore del volume della voce, il controllore del tempo, il responsabile dei materiali, l’incoraggiatore, il chiarificatore, il moderatore;

• S’instauri un rapporto costruttivo con le famiglie e con il territorio; solo lavorando in si-nergia con le famiglie e le altre agenzie educative territoriali, possiamo rendere più efficace il progetto formativo e aiutare i ragazzi a costruirsi un’identità sociale. A tal fine possono essere utili i contratti formativi che si instaurano con le famiglie dei ragazzi e i patti territo-riali, che hanno lo scopo di creare sinergie tra le varie agenzie formative e aiutare il ragazzo a costruirsi un proprio progetto di vita.

La mediazione. La prospettiva di Vygotskij, esemplificata da Dixon-Krauss, e quella di Feuer-stein sottolineano l’importanza della mediazione. La cultura è mediazione. L’insegnante è un mediatore, non un trasmettitore, una persona che prende per mano i propri allievi dal punto dove sono in questo momento e li porta, li conduce verso nuove prospettive, utilizzando me-diazioni culturali.

La conoscenza come costruzione sociale. Alcuni autori, come Doise e Mugny, Perret-Cler-mont, hanno sottolineato nelle loro ricerche il carattere sociale della conoscenza. Partendo da questa impostazione, si può ampliare la lezione frontale prendendosi cura di come la cono-scenza sia un lavoro condiviso. Attraverso la lezione frontale, passano alcune informazioni, ma la costruzione e la rielaborazione delle informazioni giunge attraverso una condivisione comune, che deve essere ancora estesa in ambito scolastico.

Consideriamo poi il filone dell’apprendimento cooperativo a partire da quello europeo, a co-minciare appunto da Freinet, Lodi e da quello americano, a partire dei fratelli Johnson, da Sharan e molti altri (si veda la rassegna di Comoglio e Cardoso23), che hanno sottolineato l’importanza dell’apprendere insieme, come una strategia metodologica, che permette un ap-profondimento più duraturo, più coinvolgente, più stabile.

Le risorse formative e didattiche del gruppo classe. Possiamo quindi considerare il grup-po classe come un gruppo formativo24. Molto spesso si fa lezione davanti al gruppo classe, ma non si coinvolgono le risorse educative e didattiche che il gruppo classe possiede. Se noi guardiamo al gruppo classe come a un insieme di persone che portano nella classe prospettive culturali, risorse conoscitive, strategie e metodologie, è più facile superare la lezione frontale, recuperando ciò che gli studenti già possiedono come preconoscenze o acquisizione degli anni scolastici precedenti. È riversare tutto in un progetto di approfondimento più ampio. Anche 22 De Beni M., Prosocialità e altruismo, Erickson, Trento, 199823 Comoglio M., Cardoso M.A., Insegnare e apprendere in gruppo, LAS, Roma, 199624 Polito M., Attivare le risorse del gruppo classe, Erickson, Trento, 2000

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il computer come tutor può permettere un ampliamento della lezione frontale e l’insegnante può utilizzare questo strumento come strumento di ricerca, ma anche di apprendimento e di controllo degli errori. Il computer può essere usato come strumento di insegnamento. L’inse-gnante può organizzare le lezioni attraverso il computer e assegnare, a un gruppo di studenti, un tipo di attività diversa da quelle assegnate agli altri.

La metodologia della ricerca-azione. Un altro filone che permette di ampliare e superare la preminenza della lezione frontale è la metodologia della ricerca-azione. Essa è stata avviata da Kurt Lewin25 negli anni ’40 in America e si è diffusa notevolmente in Europa; sostiene l’importanza dell’apprendimento attraverso una ricerca che abbia una ricaduta nell’attività quotidiana, nel comportamento. La capacità di intrecciare ricerca e azione permette di supe-rare la separazione tra apprendimento teorico e apprendimento pratico. Questa impostazione permette di integrare le lezioni frontali con delle esercitazioni adeguate, che non sono semplici esercizi di ciò che si è appreso nelle lezioni frontali, ma sono delle esperienze che permettono di intrecciare l’apprendimento teorico e quello pratico. Per tutte queste varie considerazioni, è possibile pensare a un superamento della lezione frontale, salvaguardandone il valore specifi-co che deve essere riconosciuto, rispettato, ma nello stesso tempo anche ampliato, utilizzando tutti questi suggerimenti, sia della ricerca teorica, che di quella pratica.

1.14 Modello flipped – fasi di esecuzione del lavoro

Gli alunni vengono suddivisi per gruppi, i membri del gruppo non devono superare le 3/4 unità. Se volessimo operare in modo coerente, dovremmo somministrare agli stessi alunni un questionario sociometrico, che consentirebbe o di disporli per livello o per affinità elettiva. Equiparare le forze aiuterebbe non poco. Realizzati i gruppi, vanno affidati i ruoli a ogni mem-bro. I ruoli in questione hanno la seguente carica:

• Alunno-tutor, con il compito di monitorare e coordinare i lavori; allo stesso viene richiesto di consigliare i compagni e di fare in modo che le consegne vengano rispettate nei tempi previsti. Lo stesso tutor deve annotare una sorta di cronaca di quanto il gruppo sta realiz-zando, in questo modo chiarirà a nome di tutti come avvenga il processo che convoglia al compito loro assegnato.

• Esprime e relaziona su ogni compagno. • In certi casi e per facilitare e velocizzare i lavori, è possibile creare su whatsApp una classe

virtuale, dove il docente controlla messaggi e vi partecipa suggerendo possibili soluzioni e consigli su materiali da cercare, adottare e sulle procedure da impiegare.

• Inviando bozze e materiali elaborati, il docente procede a dispensare dritte utili al compito.25 Si veda Trombetta C., Rosiello L., La ricerca-azione: il modello di Kurt Lewin e le sue applicazioni, Erickson, Trento, 2000

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Fase II - Fase frontale…. E di confronto

È questa la fase di spettanza del docente con il campito di argomentare e inquadrare il tema della lezione. La stessa avrà cura di spiegare quali conoscenze l’attività che sta per iniziare deve favorire, nonché quali criteri di valutazione verranno impiegati per le prove.

Ipotizziamo di aver creato 6 gruppi e di aver lanciato un ipotetico tema, in una classe secon-daria, e i seguenti sottotemi:

• Le Fonti Storiche • Le Fonti Scritte • Le Fonti Visive • Le Fonti Iconografiche • Le Fonti Orali • Il Ruolo dello Storico

Insegniamo loro cosa sia la metodologia collaborativa e la necessità di guardare al compito assegnato come a un problema da risolvere. Il tutor del gruppo suddivide a sua volta l’argo-mento per 6 gruppi, tanti quanti sono coloro che devono agire.

Indicazioni utili verranno poi passate dallo stesso tutor, il quale si fa portavoce dei siti da visionare, dei manuali da adottare, dei filmati da cercare e di eventuali ricerche da effettuare. Tutte cose che confluiranno a potenziare le competenze, a esercitare le abilità e che diverranno il contenuto del compito.

Le fonti iniziali di consultazione a carico dei gruppi e degli studenti verranno fornite dal do-cente.

Le modalità di lavoro a casa di spettanza dei gruppi precedentemente costituiti lavoreranno in rete, creando anche dei sottogruppi (ovvero si potrà lavorare anche da soli).

È essenziale avere o approntare delle schede o mappe riassuntive sulle quali aggiungere per nucleo il contenuto trovato e negoziato tra i membri dei gruppi.

Il prodotto finale (redatto insieme) verrà poi esemplificato e presentato in PPT o con una rela-zione scritta.

Utile in questi casi creare anche un Lapbook.

Il tutor indica cosa studiare quali conoscenze vanno fissate e apprese.

Il docente vigila, coordina e suggerisce sia in fase di progettazione che in avvio dei lavori di gruppo cosa desidera focalizzare per garantire i contenuti utili a quel determinato sapere.

Sollecita i gruppi a depositare il lavoro finito in rete, oppure a creare una biblioteca digitale, suddividendo per discipline gli argomenti.

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Fase III - Lavoro a casa

• Indagine; • Ricerca; • Ipotesi progettuale; • Raccolta delle conoscenze; • Tempi: 2 Settimane.

Fase IV - Discussione in classe

• Brainstorming; • Brainwriting e metacognizione; • Continuazione e fissazione dei contenuti prelevati; • Pulizia di questi ed eliminazioni di ridondanza; • Tempi: 3 – 4 ore

Fase V - Inizio elaborazione del prodotto finale da realizzare con quale

criterio?

• Video; • Presentazione PowerPoint; • Mappe Concettuali; • Mappe Sonore Ecc; • Tempi: 1 Settimana.

Fase VI - Esibizione pubblica degli elaborati

• Discussioni e approfondimenti, • Possibili reticoli e collegamenti; • Tempi: 2 ore per gruppo; • Al docente il compito di valutare gli elaborati.

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Fase VII - Studio individuale dei prodotti

• 6 gruppi che costituiranno il contenuto redatto insieme, negoziato e contrattato con i pari e con il docente.

Fase VIII - Verifica delle conoscenze acquisite

• Totale tempo per argomento 3 settimane.

Strumenti impiegati

• Tecnologie Digitali; • LIM; • Siti Web; • Immagini; • Video; • Presentazione PowerPoint; • Cd; • Dvd; • Biblioteche Digitali; • Biblioteche Cittadine; • Dispense; • Fotocopie; • Facebook; • Whatsapp.

Metodi:

• Metodo Cooperativo e Metodo Significativo; • Peer Cooperative; • Problem Solving; • Brainstorming; • Brainwriting; • Tutoraggio; • Master Learning.

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Valutazione:

• Test a domanda aperta; • Test a domanda multipla; • Test con enunciato vero falso; • Valutazione del prodotto finale; • Linguaggio consono e ben articolato; • Competenze digitali e narrative; • Imparare a imparare; • Spirito collaborativo; • Coerenza o incoerenza sul tema assegnato; • Competenze sociali e civiche.

Test di soddisfazione

• Elaborazione di un test di gradimento.

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2. EAS: GLI EPISODI DI APPRENDIMENTO SITUATO DI RIVOLTELLA

Dopo aver approfondito il metodo della Flipped Classroom, di matrice statunitense26, ci piace sottolineare come anche in Italia si lavora alacremente per strutturare possibili metodi didattici che impieghino con profitto le tecnologie e il digitale in classe.

Parliamo di EAS, il metodo messo a punto da Pier Cesare Rivoltella, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, così come descritto nel libro Fare didattica con gli EAS27, che prendiamo come riferimento per introdurre il tema.

Si parte da una riflessione: quanto il lavoro in classe riesce a promuovere negli studenti co-noscenze e competenze che li possano attrezzare adeguatamente rispetto alle trasformazioni sociali in corso.

Il riferimento è Celestin Freinet, padre del Movimento di Cooperazione Educativa, attivo in una congiuntura storica simile a quella attuale, segnata dalla rivoluzione digitale. Si afferma con decisione che il problema non si risolve solo aggiornando i formati, o cercando di rendere

più attraente la scuola grazie all’adozione di strumenti e linguaggio giovanili:

Il maestro spiega: «Certo, il leitmotiv della pedagogia moderna è quello di rendere interessante il lavoro

scolastico, basta dare uno sguardo ai libri di testo, con tutte le loro illustrazioni a colori...». Il nostro giu-

dizio è meno benevolo: infatti, se tutta questa messa in scena ha l’unico scopo di far ingerire una pillola

che continua a essere insipida o addirittura amara, siamo lontani dall’aver trovato una valida soluzione. E

il maestro ritorna alla carica: «Possiamo servirci di nuovi mezzi: le passeggiate, le visite, la radio, i video,

i dischi e, adesso, anche la televisione...». Tutto questo, però, non modifica assolutamente la natura di ciò

che la scuola ha il compito di insegnare. I ragazzi sono avidi di spettacoli cinematografici e televisivi, ma

ciò non fa sì che essi amino di più, grazie a questi, gli studi prettamente scolastici28.

Per rispondere a questa esigenza (oggi sarebbe sufficiente sostituire a cinema e televisione, internet o i videogiochi) e innovare effettivamente la didattica così da renderla adatta a soddi-sfare le esigenze anche degli studenti meno attrezzati, Freinet elabora il suo metodo, di cui tre sono gli elementi principali:

• I piani di lavoro individuali; • Le schede didattiche, le conferenze degli studenti, il testo libero; • La lezione a posteriori.

26 L’idea viene negli anni ’90 a Eric Mazur (1991), dell’Università di Harvard: la usa per spiegare la funzione del computer nel processo di apprendimento; negli anni successivi viene ripresa e sviluppata secondo definizioni affini come inverted instruction e inverted classroom (Lage, Platt, Treglia, 2000) o classroom flip (Baker, 2000).27 Rivoltella P. C., Fare didattica con gli EAS, La Scuola, Milano, 2013.28 Freinet C. La scuola del fare. Principi (Vol 1), Metodi e tecniche (Vol 2), Tr. It., Emme Ed., Milano, 1977-78

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Il piano di lavoro individuale è un curricolo individualizzato, ovvero l’insieme delle azioni che lo studente prevede di porre in essere per portare avanti il proprio percorso personale di formazione. Questo vuol dire che nella classe freinetiana non esiste un programma uguale per

tutti, ma tanti programmi quanti sono gli studenti (in anticipo su tutti i discorsi sull’indivi-dualizzazione e la personalizzazione che la didattica e le politiche scolastiche elaboreranno negli anni successivi). Non solo, il piano individuale decreta la centralità dello studente, il suo protagonismo: è lui il vero responsabile della propria formazione.

Questa centralità si sostanzia in una vera e propria scuola del fare, il cui fulcro non sono le le-zioni del maestro, ma le attività degli studenti. Tra queste attività una particolare importanza riveste il testo libero.

Nella scuola freinetiana sono gli studenti che scelgono di scrivere su quello che vogliono, quando vogliono. L’occasione può essere offerta da una delle frequenti visite didattiche or-ganizzate da Freinet, o dalle necessità della corrispondenza scolastica con altre classi di altre scuole. Il meccanismo di correzione è sociale: uno legge ad alta voce il proprio testo, o lo scrive sulla lavagna, e tutti gli altri lo correggono, fanno osservazioni, suggeriscono varianti e inte-grazioni. Solo dopo svariate redazioni si giunge al testo definitivo.

Tutti i testi e i materiali che ciascuno studente produce e sviluppa nella realizzazione del pro-prio piano di lavoro individuale vengono condivisi nella forma di schede didattiche che vanno ad arricchire lo schedario didattico di classe. Lì, nello schedario didattico (come durante le conferenze), i piani individuali si incontrano e favoriscono la costruzione del piano di lavoro di classe.

Il maestro interviene solo a questo punto, dopo che gli studenti hanno svolto le loro ricerche, hanno prodotto e discusso i loro testi, hanno realizzato le loro schede. La sua lezione è sempre a posteriori: non fornisce informazioni, commenta; non indica il da farsi, corregge e integra; non sostituisce il lavoro dello studente, lo completa attivandone il momento riflessivo e, attra-verso di esso, gli esiti metacognitivi.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 63

2.1 Dal Mobile Learning all’EAS

Con tutta evidenza, il punto di arrivo frenetiano è l’inversione dei compiti tra insegnante e studenti che non restano, passivi, a ricevere informazioni ma diventano attivi, sperimentando in prima persona.

Siamo sulle tracce della Flipped Lesson che, attualmente, acquisisce senso e significato in rela-zione al moltiplicarsi di Learning Unites (pacchetti digitali autoconsistenti, fatti per essere fru-iti in autoapprendimento senza l’intervento dell’insegnante, spesso videoclip di pochi minuti o brevi animazioni). In rete se ne trovano molti, spesso disponibili gratuitamente anche se in inglese. Ci sono canali dedicati come I-tunes University e libraries di lezioni digitali di univer-sità americane (l’Open Courseware Program del MIT di Boston, ad esempio).

Questi contenuti sono alla base del fenomeno dei MOOC (Massive Online Open Courses), corsi online gratuitamente disponibili che stanno spopolando negli USA. La disponibilità cre-scente di questi contenuti solleva l’insegnante dalla preoccupazione di far lezione, affidando allo studente il compito di operare proprio grazie al contenuto digitale una prima ricognizione dell’argomento su cui si sta lavorando.

Il ruolo del docente non è affatto sminuito: tutto ciò che viene ricavato dal web non può che essere analizzato, discusso e ampliato proprio da ulteriori e specifici contenuti costruiti ad hoc, che fissino le fasi e i punti salienti di ogni sessione formativa. Anche da noi, il MIUR supporta concretamente le scuole e le reti di scuole che hanno cominciato ad allestire repository di conte-nuti didattici digitali o a produrre in self publishing.

Siamo ad un altro punto importante del percorso che sta facendo il Mobile Learning, da ven-ti anni a questa parte: gli smartphone prima e i tablet poi, unitamente allo sviluppo della connettività wireless e mobile, modificano in profondità funzionalità e significato del Mobile Learning.

Anzitutto esso si riconfigura da metodologia della didattica a distanza a metodologia della di-dattica in presenza.

Il dispositivo mobile, il tablet in particolare, non serve tanto a rimanere in contatto anytime e everywhere con la propria classe, quanto piuttosto a rendere accessibili one-to-one strumen-ti, contenuti e servizi. Il dispositivo mobile diviene strumento ordinario di lavoro accanto al quaderno (che progressivamente sostituisce) e agli altri materiali scolastici. La sua leggerezza e manovrabilità ne garantiscono l’integrazione, gli consentono di essere tenuto sul banco in modo assolutamente non ingombrante. Da tecnologia della distanza, il computer e i suoi di-scendenti mobili divengono sempre di più tecnologie di gruppo29.

29 Cfr. Parmigiani D., Tecnologie di gruppo. Collaborare in classe con i media, Erickson, Trento, 2009.

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Il significato più profondo del Mobile Learning, quello che più lo riconduce alla Flipped, è rin-venibile nella portabilità dei dispositivi mobili: sappiamo quali siano le applicazioni di Smar-tphone e tablet, ne apprezziamo capacità di archiviazione ed elasticità di creazione di con-tenuti. Tutto questo materiale, insieme agli ebook scaricati, alle clip didattiche preparate dai docenti, a tutti i contenuti prodotti in classe e fuori della classe sono sempre a portata di ogni studente: ogni momento della giornata, quindi, diventa buono per apprendere, al di là di spazi e ambienti specificamente a ciò adibiti.

Da queste riflessioni sul Mobile Learning e, in particolare, sulle attività di microlearning che dalla digitalizzazione ricevono forte impulso, nasce l’idea dell’Episodio di Apprendimento Situato. Quando si parla di microlearning (o delle sue varianti: microcontents, micromedia, microworlds) si fa riferimento ad un processo di apprendimento informale che ha a che fare con la modalità sempre più contratta che abbiamo di fruire informazioni tramite le applica-zioni Mobile; possiamo pensare agli SMS, a WhatsApp e alle diverse forme di apprendimento accidentale favorito dai media digitali (come accade quando si videogioca o si naviga su piat-taforme Social.

Ciò detto, è necessario puntualizzare che per attuare una didattica per Episodi di Apprendi-mento Situato non è indispensabile il Mobile Learning: certo, nel caso dell’utilizzo di dispo-sitivi digitali mobili, trova la propria applicazione preferenziale, ma funziona a prescindere dalla loro presenza.

Un EAS, quindi, è una porzione di azione didattica, ovvero l’unità minima di cui consta l’agi-re didattico dell’insegnante in contesto; in quanto tale, esso costituisce il baricentro a partire dal quale l’intero edificio della didattica si organizza.

La struttura di un EAS consta di tre elementi:

1. Un momento anticipatorio: il docente consegna alla classe un framework concettuale, una situazione-stimolo (video, immagine, esperienza, documento, testimonianza). Il momento anticipatorio può risolversi nello spazio di pochi minuti di lezione o assumere consistenza richiedendo allo studente un più o meno ampio lavoro di preparazione;

2. Un momento operatorio: è il cuore del sistema. In questa fase il docente chiede alla classe di risolvere il problema o di lavorare comunque sulla situazione-stimolo attraverso la pro-duzione di un contenuto;

3. Un momento ristrutturativo: consiste nel debriefing riguardo a quanto accaduto/realiz-zato nei due momenti precedenti. Il docente ritorna sui processi attivati e sui concetti fatti emergere in modo che la classe abbia consapevolezza di quanto emerso e fissi gli aspetti importanti.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 65

Facciamo qualche considerazione.

I tre livelli

Possiamo notare che nella struttura dell’EAS si concretizza quello che si può considerare il ritmo ternario della didattica (non solo di quelle assistite dalle nuove tecnologie). Questo ritmo negli ultimi tempi, in modo particolare a causa della diffusione dei dispositivi mobili, è testi-moniato dalla diffusione di approcci che in forma di slogan hanno provato a sintetizzare per l’insegnante e lo studente l’essenza del lavoro didattico.

• Trova, elabora, condividi; • Smonta, rimonta, pubblica; • Comprendi, agisci, rifletti; • Search, Share, Show.

In tutte queste formule, pur con diversità di accenti e di peso, sono chiaramente riconoscibili le azioni-chiave che sopra abbiamo richiamato: c’è un momento in cui si entra in contatto con le informazioni (trova, search) e criticamente se ne produce appropriazione (comprendi); a esso ne segue un secondo in cui quelle informazioni servono a sostenere una produzione (elabora, smonta e rimonta, agisci); infine, occorre che quanto elaborato a partire dalle informazioni di cui si dispone sia sottoposto a verifica metacognitiva (rifletti) attraverso la condivisione (share, condividi) e la pubblicazione.

Le neuroscienze

Possiamo considerare il concetto di EAS dal punto di vista delle neuroscienze cognitive, della neurodidattica e della bioeducazione30: è possibile verificare come il metodo impieghi e otti-mizzi tutti i livelli di apprendimento che queste ricerche stanno dimostrando essere alla base del nostro sistema cognitivo.

Innanzitutto l’EAS è costruito sull’esperienza, modalità di apprendimento su cui la ricerca riguardo al ruolo delle emozioni e la Embodied Cognition31 hanno confermato quanto la tradi-zione attivistica e la psicologia dell’apprendimento post-piagetiana avevano già messo a fuoco. L’esperienza è all’opera:

• nel momento anticipatorio, quando viene affidato allo studente il compito di andare in avanscoperta, di confrontarsi con le difficoltà legate all’acquisizione del dato, di riflettere su quanto sia o non sia direttamente comprensibile,

30 Cfr. Frauenfelder E., Santoianni F., Striano M., Introduzione alle scienze bioeducative, Laterza, Bari, 200431 https://linguaggionaturale.wordpress.com/2012/01/18/embodied-cognition-cognizione-incarnata/

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• nel momento operatorio quando gli si chiede di risolvere un problema attraverso un’atti-vità di produzione.

Occorre tuttavia fare attenzione. Come già Dewey32 osservava:

un’esperienza è valida nella misura in cui conduce a percepire certe connessioni o successioni e ha valore

di conoscenza nella misura in cui è cumulativa o ammonta a qualcosa, o ha un significato. Nelle scuole si

pensa troppo spesso che gli allievi siano lì per acquisire conoscenze da spettatori teorici, come menti che si

impadroniscono della conoscenza per mezzo dell’energia diretta dell’intelletto.

E tuttavia: «La sola attività non costituisce esperienza. È dispersiva, centrifuga, dissipante». Questo significa – contro la tentazione di ritenere che a scuola basti fare e automaticamente si produca apprendimento – che il semplice fare podcast o produrre ebook non configura di per sé un’esperienza, anzi può portare anche molto lontano dagli obiettivi didattici che invece si intende perseguire.

Una seconda modalità attraverso la quale il nostro cervello apprende è il modellamento, l’i-mitazione, che trova nella scoperta dei neuroni specchio e delle loro funzionalità un valido supporto scientifico33. Come è noto, si tratta in questo

caso di un tipo particolare di neuroni senso-motori che hanno la prerogativa di attivarsi non solo quando il soggetto compie una determinata azione, ma anche quando vede compiere quell’azione da qualcun altro, o quando ne simula lo svolgimento a livello mentale. Utilizzati per giustificare la natura spaziale della nostra cognizione, per spiegare la genesi del linguag-gio verbale dalla gestualità o le origini del comportamento morale, i neuroni specchio con-sentono anche di capire perché l’apprendistato sia una delle forme più antiche ed efficaci di formazione: in un certo senso, già il semplice veder fare qualcosa da un esperto, rappresenta sul piano neurale una prima forma di allenamento dei circuiti che sono coinvolti nell’esecuzione diretta di quell’azione.

Ora, se ci si pensa bene, il modellamento opera in tutti e tre i momenti strutturali dell’EAS: nel momento anticipatorio, grazie agli esempi portati dall’insegnante, alle situazioni-stimolo proposte, al modo in cui un concetto può essere introdotto o richiamato; nel momento opera-torio, soprattutto se questo prevede delle attività collaborative o cooperative grazie alle quali modalità di risposta o di elaborazione dei problemi possano essere proficuamente messe a confronto tra gli studenti; infine, nel debriefing, ancora una volta grazie alle indicazioni di sintesi dell’insegnante o alle considerazioni degli studenti. In tutti questi casi sono comunque le nostre esperienze che modellano l’attività dei nostri neuroni specchio mentre osserviamo

32 Cfr. Pezzano T., L’assoluto in John Dewey. Alle origini della comunità democratica educante, Armando, Milano, 2007.33 Iacobini M., I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 67

altri che eseguono determinate azioni: questo evidenzia la forte relazione esistente tra le due modalità di apprendimento cui abbiamo fatto cenno finora.

Veniamo alla ripetizione. La plasticità neurale – ovvero la flessibilità con cui il sistema delle relazioni sinaptiche che legano i nostri neuroni si modifica incessantemente dalla nascita alla morte sulla base degli stimoli che provengono dal nostro contesto socio-culturale – mentre sostiene l’educabilità permanente dell’essere umano e la possibilità di specializzare allo svolgi-mento di determinati compiti aree della corteccia normalmente non preposte allo svolgimento di questi compiti, indica d’altra parte la necessità di rinforzare e mantenere le relazioni sinap-tiche attivate. Il nostro cervello, infatti, obbedendo a un principio di economia metodologica, ottimizza continuamente il numero delle sinapsi eliminando quelle inattive per creare spazio alle nuove sinapsi abilitate dalle continue nuove esperienze cui la vita ci espone. In questo senso, la ripetizione (dello stimolo, dell’esperienza, di un compito, di una prestazione) svolge un’importante funzione di consolidamento sinaptico: grazie agli studi di Eric Kandel34 è stato possibile dimostrare che proprio la ripetizione svolge la funzione principale nell’attivazione del processo di trasformazione biochimica che guida il passaggio dalla memoria a breve termi-ne a quella a lungo termine. Si tratta di un dato interessante nella prospettiva del rapporto tra tecnologie e didattica. Contrariamente a quanto spesso si crede, il problema in questo caso non

è tanto quello di alleggerire la lezione, di far apprendere divertendo, di attrarre, incuriosire, motivare, quanto piuttosto di rendere accettabile la ripetizione.

La metodologia EAS lavora in questa direzione a due livelli:

• in primo luogo consente allo studente di ritornare ricorsivamente sullo stesso concetto: prima nel lavoro domestico, poi grazie al framework presentato dal docente, ancora nel momento dell’attività, infine nel debriefing che chiude l’episodio;

• in seconda istanza, nella presentazione/condivisione in classe del risultato dell’attività svolta, attraverso la discussione delle singole attività si ha la possibilità di tornare più volte sullo stesso problema favorendone implicitamente la persistenza.

34 Cfr. edizione italiana a cura di Giustetto M., Traduzione di Olivero G., Kandel E. R., Alla ricerca della memoria. La storia di una nuova scienza della mente, Codice Edizioni, Torino, 2010.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 68

Semplicità e complessità

Didatticamente parlando, il valore di un EAS consiste nella sua natura di attività semplessa. Secondo la terminologia concettuale di Alain Berthoz35 è semplessa una soluzione che consente a un organismo vivente di agire in modo rapido ed efficace di fronte a un problema:

in una realtà sempre più complessa l’unica via d’uscita possibile non consiste nella semplifi-cazione (che banalizza e tradisce la complessità), ma nella predisposizione di strategie – molte delle quali complesse – di fronteggiamento della complessità.

Se ci si pensa bene, questo è oggi il problema principale della scuola, sia per l’insegnante che per lo studente: il primo necessita di nuove ed efficaci strategie per fronteggiare la complessità del proprio compito cresciuta a dismisura negli ultimi anni (classi sempre più numerose e

difficili); il secondo ha bisogno di nuove modalità di approccio al reale e alle sue interpre-tazioni governando un numero sempre crescente di informazioni. L’EAS, in quanto attività semplessa, costituisce sia per l’insegnante che per lo studente una possibilità di soluzione. Esso si costruisce su tre principi operatori efficaci in tal senso:

1. La creazione per inibizione. Come abbiamo già osservato, la pancia dell’EAS, quel che ne rappresenta il momento centrale, è l’attività di produzione che l’insegnante chiede di svolgere alla classe. Quell’attività viene preceduta da una prima ricognizione informativa condotta in domestico dallo studente e/o da una cornice concettuale predisposta dall’inse-gnante. In entrambi i casi quello cui lo studente perviene non è una conoscenza compiuta del problema che nell’attività gli si chiede di affrontare, ma solo una vaga precompren-sione. Il risultato è che quanto gli viene chiesto qui è di operare per decisioni anticipato-rie – come è tipico dell’apprendimento motorio36 e dell’esperienza videoludica37 – e non mediante l’applicazione di un apprendimento già insegnato ed esplicitamente appreso. In queste decisioni anticipatorie gioca un ruolo chiave l’inibizione, ovvero la nostra capacità di escludere alcune soluzioni, di evitare di compiere determinate azioni: scegliamo cosa non fare, piuttosto che andare alla ricerca di cosa esattamente ci serva;

2. La rapidità. Un EAS vive nello spazio di una lezione o di una sua porzione. È limitato sia il tempo a disposizione dell’insegnante per introdurre l’attività e per discuterla, sia quello a disposizione dello studente per svolgerla. Questo richiede la mobilitazione di precise competenze, da una parte e dall’altra: l’anticipazione, la previsione delle conseguenze di una determinata scelta, la capacità di scomporre i problemi complicati in sottoproblemi più semplici grazie a moduli specializzati.

35 Cfr. edizione italiana a cura di Niola F., Berthoz A., La semplissità, Codice Edizioni, Torino, 2011.36 Sibilio M., Caratteristiche e vincoli dell’approccio comportamentista nella didattica della attività motorie e sportive. Quaderni del Dipartimento 2007-2008. Università degli Studi di Salerno Dipartimento di Scienze dell’Educazione. Pensa Editore, Lecce, 2008.37 Gee J. P., Come un videogioco: insegnare e apprendere nella scuola digitale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 69

3. La selezione. La logica della Flipped Lesson che la didattica per EAS fa propria richiede allo studente lo sforzo costante di individuare tra le informazioni disponibili o tra le solu-zioni possibili di un problema, solo quelle che sono pertinenti al proprio Umwelt, ovvero al suo mondo, pensato come l’insieme degli indicatori che nella realtà che lo circonda hanno senso per lui.

La presa di decisione implica la scelta delle informazioni del mondo pertinenti rispetto ai fini dell’azione.

È un principio di parsimonia, lo stesso che opera nell’arte della guerra, nella politica o nel ragionamento,

che la saggezza popolare esprime in proverbi e detti come «Chi troppo vuole nulla stringe» o «Meglio un

uovo oggi che una gallina domani»38.

Lo stesso principio di parsimonia, nella didattica per EAS, guida l’insegnante che viene costretto a scegliere, a decidere (cioè a escludere qualcosa), a concentrarsi su quel che veramente con-ta dal punto di vista didattico lasciando sullo sfondo (o evitando) quel che didatticamente è meno rilevante.

Concludendo questa parte introduttiva, fissiamo alcuni punti importanti:

1. In questo tipo di didattica è evidente la centralità della guidance dell’insegnante: è lui che detiene il controllo della situazione didattica.

2. Questa centralità implica che lavorare con gli EAS richieda all’insegnante una notevole ca-pacità di fissare chiaramente quali siano, di volta in volta, gli obiettivi dell’agire didattico.

3. La didattica per EAS ci conferma che l’agire didattico e l’apprendimento facciano parte di un processo in fieri e non possano costituire un prodotto pianificabile: questa idea cambia sensibilmente il modo di pensare la progettazione didattica.

Riportiamo di seguito due schemi che riassumono in maniera immediata e intuitiva la strut-tura di un EAS.

38 Cfr. Berthoz A., La semplissità, cit.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 70

Fasi Eas Azioni Docente Azioni Studente Logica Didattica

1. Preparatoria

In classe:

Assegna compiti

Disegna ed espone un fre-

mework concettuale

Fornisce uno stimolo

Dà una consegna

A casa:

Studia: ascolta, legge e

comprende

Problem solving

2. Operatoria

Definisce i tempi dell’attività

Organizza il lavoro indivi-

duale/di gruppo

In classe:

Produce e condivide un

artefatto

Learning by doing

3. Ristrutturativa

Valuta gli artefatti

Corregge le misconception

Fissa i concetti

In classe:

Analizza criticamente l’ar-

tefatto

Sviluppa riflessioni sui

processi attivati

Reflective learning

Fasi Eas Situazione - Stimolo Azioni Studente Logica Didattica

1. Preparatoria

Situazione stimolo

Designed

Video

Immagine

Documento in rete

Capitolo manuale

A casa:

Studia: ascolta, legge e

comprende

Cerca e trova: entra in

contatto con le infor-

mazioni già codificate

(designed)

2. Operatoria

Produzione

Designing

Artefatto (microproduzio-

ne): video, mappa, glossario,

presentazione, ppt, podcast...

In classe:

Produce e condivide un

artefatto

Elabora e agisce:

scompone e rimonta i

concetti, li rende visi-

bili/comunicabili

Designing

3. Ristrutturativa

Debriefing

Valutazione

Redesigned

Discussione sugli artefatti

Fissazione dei concetti

Valutazione degli artefatti

Riflessione sul processo

messo in atto

In classe:

Analizza criticamente

l’artefatto

Sviluppa riflessioni sui

processi attivati

Riflette attraverso la

condivisione: ricom-

posizione del sapere

(redesigned) (versan-

te cognitivo e meta-

cognitivo)

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 71

Qualche esempio

La struttura teorica in sé può apparire farraginosa. Entriamo nel merito del sistema riportando alcuni esempi trovati sul web:

• sulla rivoluzione francese: eccessivamente strutturato (12 ore per un solo argomento si-gnifica inaugurare una stagione di apprendimento situato che imballa completamente la programmazione lineare).

• una lista di attività suddivise per materia. Ce ne sono di geografia, matematica, storia, ita-liano e statistica.

• strutturazione di un’attività di lingua francese per la prima media.

Ogni mese la rivista Scuola Italiana Moderna mette a disposizione, per ciascun livello scolasti-co, un KIT di attività EAS e i relativi materiali didattici.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 72

Di seguito riportiamo un esempio di EAS relativo alla lezione XX pensato per gli studenti del-la scuola superiore e uno schema vuoto utilizzabile in fase di progettazione.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 73

Adesso che ci è più chiaro come funzioni la cosa, vediamo in pratica come si costruisce una lezione seguendo i dettami di questo metodo.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 74

3. SPACED LEARNING: L’APPRENDIMENTO CHE AIUTA A COSTRUIRE MEMORIA A LUNGO TERMINE

Parliamo ancora una volta di neuroscienze per introdurre una metodologia, anche questa esal-tata dall’utilizzo del tablet, che si basa sullo studio relativo ai sistemi di memorizzazione del nostro cervello.

Il presupposto sarebbe quello per cui stimoli ripetuti e separati da intervalli cronometrati (in cui non c’è la trasmissione di alcuno stimolo) possono avviare un meccanismo di costruzione di memoria a lungo termine (LTM).

Questi processi avvengono in pochi minuti e hanno oramai ricevuto numerose dimostrazioni.

La prima relativa all’ambito scolastico è stata registrata dal prof. Paul Kelley.

In una classe della scuola secondaria superiore, sono stati forniti stimoli mediante la presen-tazione di tanti contenuti condensati in 15 minuti, intervallati con attività di distrazione della durata di 10 min.

Questo, in sostanza, è lo Spaced Learning; è stato l’unico metodo di insegnamento utilizzato in quella classe, durante tutto l’anno scolastico, per insegnare il curricolo di Biologia.

Gli studenti hanno imparato i concetti molto più rapidamente e i punteggi nei test sono stati significativamente più alti rispetto al curricolo tradizionale.

3.1 Materiali e Metodi

Riportiamo di seguito quanto descritto dal prof. Paul Kelley in un articolo scritto alla fine di un lungo ciclo di ricerche, per illustrarne i risultati.

Il metodo si è sviluppato attraversato due fasi: una fase iniziale per le prove preliminari e una seconda fase focalizzata ad esperimenti formali e alle prove d’esame.

Nella prima fase, le sfide per gli insegnanti sono state complesse e hanno richiesto tempo. Si sono chiesti:

1. Se poteva essere creata una tecnica e come poteva essere implementata in modo efficace;2. Come valutare se l’apprendimento si fosse verificato e, in caso affermativo, come estendere

tale tecnica in contesti diversi.

Centrale era la preoccupazione di determinare se lo Spaced Learning avrebbe potuto dimo-strare un apprendimento significativo misurabile dai risultati degli esami.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 75

Le differenze con l’insegnamento tradizionale sono state notevoli per una serie di fattori, a partire dalla prima azione che si è deciso di intraprendere: ripetere lo stesso contenuto per tre volte nella stessa sessione, con piccole modifiche.

Si è pensato a due intervalli di 10 minuti con attività di distrazione (di tipo fisico-manuale, ideali per minimizzare possibili interferenze nella codifica sinaptica e nei processi di memo-rizzazione che si stavano verificando). Per riempire queste pause, gli insegnanti hanno dovuto inventarsi diverse opzioni: hanno pensato al basket, alla modellazione di argilla, al ballo.

Altro punto nevralgico è stata la brevità delle sessioni didattiche (15-20 minuti) che hanno richiesto un’attenta pianificazione delle risorse didattiche, costruite appositamente.

Riassumendo, lo Spaced Learning utilizzato nello studio è stato strutturato in tre momenti di istruzione intensiva dello stesso contenuto con piccole variazioni ciascuno della durata di 20 minuti o meno (stimoli), intervallati da due attività di distrazione di 10 minuti (intervalli esenti da stimoli).

Già i dati preliminari hanno confermato che la metodologia è fruttuosa:

• i momenti molto intensi di formazione non sono mai stati un ostacolo alla comprensione, • i test, svolti molte settimane più tardi, hanno dimostrato che le informazioni sono state

mantenute dagli studenti.

Le reazioni dei docenti sono state diverse: per molti è stata un’esperienza positiva, sia per gli insegnanti che per gli studenti. I dubbi sono stati relativi a:

• le teorie scientifiche che sono alla base del metodo, • la preoccupazione per il maggiore carico di lavoro, • il timore che dirigenti e ispettori scolastici giudicassero negativamente una metodologia

davvero divergente da quelle classiche.

Gli studenti sono stati entusiasti. Riportiamo una testimonianza:

Le lezioni sono molto compresse. Ad esempio, il ripasso di tutto il lavoro di Biologia è stato completato in

circa 12 minuti. Il sistema nervoso, le carenze nella dieta, gli ormoni e il ciclo mestruale, la droga, e la di-

fesa da agenti patogeni, tutti questi argomenti sfrecciavano sulle diapositive mostrate al ritmo vertiginoso

di 7-8 min. Durante i 10 minuti di pausa facciamo lavorare il fisico, piuttosto che la mente. Cosa cambia

rispetto ai metodi tradizionali? Ecco la mia sensazione: io non cerco di imparare; non scrivo nulla e non

rivedo i miei appunti. Ricordo ciò che ho visto nella sessione formativa come se avessi visto un film, che

richiamo facilmente alla mente.

Acquisito il metodo, nella seconda fase, si sono fatti studi specifici su un numero molto mag-giore di studenti.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 76

I dati finali suggeriscono che lo Spaced Learning è più efficiente rispetto all’insegnamento tradizionale, anche se il metodo necessita di ulteriori verifiche e affinamenti che da più parti si stanno attuando.

3.2 Le indicazione dell’INDIRE

In Italia, l’INDIRE ha emanato delle direttive in relazione a questo metodo, fornendone una cornice sintetica e precisa a supporto di ogni insegnate/educatore che voglia impiegarlo in pratica. Vediamole assieme.

1. È un metodo che propone un nuovo uso del tempo-lezione ma l’approccio con gli studenti resta quello tradizionale.

2. Il metodo non può essere usato in ogni lezione ma in precisi momenti stabiliti dal docente:• Quando si introduce un nuovo argomento;• Per attività di rinforzo in previsione di una verifica;• Per alleggerire una lezione lunga (più di due ore).

3. Lo standard prevede cinque fasi:• Tre momenti di input;• Due intervalli.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 77

Gli intervalli servono a far risalire la curva dell’attenzione che cala dopo 10-15 minuti.

Vediamo come si svolge nello specifico una sessione.

Primo input: l’insegnante fornisce le informazioni previste per la lezione; dura massi-

mo 15 minuti.

Intervallo: dura massimo 10 minuti, durante i quali non si fa alcun riferimento ai con-

tenuti della lezione.

Secondo input: l’insegnante ripropone il contenuto della prima sessione cambiando il

modo di presentarlo: usa esempi differenti, fa interagire gli alunni.

Intervallo: dura massimo 10 minuti, durante i quali non si fa alcun riferimento ai con-

tenuti della lezione.

Terzo input: l’insegnante ripete ancora i contenuti già presentati nelle fasi precedenti

ma concentra l’attività sugli studenti, proponendo loro esercitazioni in cui dimostrino

di aver acquisito i contenuti trasmessi.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 78

4. Essendo questo lo schema, si ritiene che gli esiti siano esponenzialmente maggiori impie-gando setting che promuovano la cooperazione e l’inclusione (disposizione degli alunni in cerchio, ad esempio), e device tecnologici, come LIM e tablet.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 79

5. Chiuso il ciclo, il docente monitora il livello di apprendimento, impiegando ad esempio test a risposta multipla per rapide verifiche; anche in questo caso il supporto tecnologico può essere determinante per la buona riuscita dell’azione. In questo modo, è possibile veri-ficare rapidamente il livello di apprendimento di ogni alunno, verificando l’appropriatezza del percorso impiegato: gli esiti del test, infatti, faranno comprendere all’insegnante se sia necessario:• ritarare i contenuti della lezione; • soffermarsi su punti che si sono dimostrati più ostici per gli alunni, • proseguire con un approfondimento, un riallineamento o con attività di recupero per-

sonalizzate.

� Facciamo alcuni esempi: • se la maggior parte delle risposte errate del test sono in una stessa domanda, l’inse-

gnante deve verificare la forma della domanda o riaffrontare e riproporre il tema alla classe;

• se c’è equilibrio tra chi ha superato il test e chi non lo ha superato, si può dividere la classe in due gruppi: uno approfondirà l’argomento con altri input o informazioni, l’altro dovrà ripetere la stessa lezione col docente che deve utilizzare altri strumenti o metodi per trasferire gli stessi contenuti. Segue la necessaria verifica;

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 80

• se il test non è stato superato dalla maggior parte degli studenti, l’insegnante dovrà organizzare una sessione di riallineamento; in questo caso, gli alunni che hanno su-perato il test, potranno svolgere il ruolo di tutor per aiutare i compagni a recuperare l’argomento critico;

• se la grande maggioranza non ha superato il test, la lezione va riprogettata nei conte-nuti e riproposta in toto;

• se la grande maggioranza ha superato il test, l’insegnante concentra la propria attenzio-ne su chi sia rimasto indietro, assegnando specifiche attività di recupero.

Insegnare in modo nuovo: aspetti metodologici, setting, progettazione e realizzazione di unità di apprendimento 81

4. AMBIENTI DI APPRENDIMENTO

Per quanto le nuove tecnologie ripropongano con forza il tema, si parla da tempo di spazio dell’apprendimento: i teorici dell’attivismo pedagogico avevano già compreso e illustrato un ruolo chiave dell’ambiente nei processi formativi e educativi.

Tutti, da Don Milani alla Montessori e Dewey, da Freinet a Malaguzzi e chiunque altro abbia compreso quanto importante sia mettere lo studente al centro dell’attività pedagogica ha da sempre avvertito come la cattedra, la predella su cui è collocata e i banchi allineati siano un segno emblematico dell’idea che, per molto tempo, si è avuta dell’educazione: attività formale, strutturata e omologata, da erogare frontalmente per favorire un atteggiamento di ascolto da parte degli studenti, in un clima fortemente gerarchizzato.

Un’organizzazione di questo tipo rispecchia il modello della società industriale, espressione della massificazione dell’informazione negli anni dei media uno-a-molti (la televisione e la radio). Volendo approfondire, si potrebbe dire che il modello si rifà direttamente a quello militaresco, messo a punto, in chiave positivistica, dal cinquecento in poi per gestire i grandi eserciti nazionali europei.

Rivedendo il materiale storico delle nostre classi, è facile trovare arredi, quaderni e sussidi didattici, tutti pensati per omologare metodi di insegnamento e processi di apprendimento.

Se pensiamo al banco scolastico nel primo dopo guerra, comprendiamo immediatamente che era strutturato così proprio per dispensare il maestro dal governo della disciplina, contenendo l’esuberanza del bambino.

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In questo modello, al centro è l’Istituzione, non la persona.

La nostra cultura, immersa nella tecnologia, sta sovvertendo questa logica.

Per riacquistare il proprio ruolo nella società, la scuola deve assumere un ruolo guida in que-sto processo di cambiamento:

il fare scuola oggi significa mettere in relazione la complessità di modi radicalmente nuovi di apprendi-

mento con un’opera quotidiana di guida, attenta al metodo, ai nuovi media e alla ricerca multi-dimensio-

nale.

(…) La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della

singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle

sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione.

(…) La scuola si deve costruire come luogo accogliente, coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi.

Sono, infatti, importanti le condizioni che favoriscono lo star bene a scuola, al fine di ottenere la partecipa-

zione più ampia dei bambini e degli adolescenti a un progetto educativo condiviso. (…) L’organizzazione

degli spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo e pertanto deve

essere oggetto di esplicita progettazione e verifica. (…) L’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile

degli spazi, a partire dalla stessa aula scolastica, ma anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino

approcci operativi alla conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue comunitarie, la produzione musi-

cale, il teatro, le attività pittoriche, la motricità39.

La centralità della persona, il nuovo umanesimo e l’apertura al territorio trovano nell’ambien-te di apprendimento il contesto idoneo per organizzare i saperi e per stare bene: benessere e accoglienza, flessibilità, identità ma anche socialità sono le parole chiave che emergono con forza dalle linee guida. L’aula con i banchi allineati è sempre meno adatta per questo scenario di riferimento.

La lezione frontale acquista senso in continuità e complementarietà con altri momenti didattici che possono richiedere attività individuali o da svolgere in gruppi di pari, di piccole o medie dimensioni, restituzioni e presentazioni in plenaria, discussione e brainstorming…

È chiaro che questa varietà di azioni non può essere ospitata nella classe mono-setting che tutti conosciamo.

39 Cfr. Indicazioni per il Curricolo della Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo d’Istruzione.

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4.1 Andando intorno…

Andare intorno è il significato originale ed etimologico della parola ambiente. Parlando di ap-prendimento, quindi, dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti che possono ruo-tare attorno al fulcro del sistema: l’acquisizione di informazioni e competenze da parte degli studenti.

Un ambiente di apprendimento, quindi, è:

• un luogo fisico; • un luogo virtuale; • uno spazio mentale e culturale; • uno spazio organizzativo; • uno spazio emotivo/affettivo.

È evidente che l’ambiente non può essere neutro, anzi; per Loris Malaguzzi, struttura, confor-mazione, qualità e predisposizione equivalgono ad un altro insegnante.

In questo ambito, peraltro, il docente acquisisce un ruolo determinante, a partire dal principio per cui la motivazione degli studenti passa attraverso la loro relazione: affinché l’ambiente sia propizio, il clima disciplinare in classe deve essere positivo, l’atteggiamento del docente otti-mistico e, come accennato, la relazione con gli studenti sempre costruttiva.

Ma aldilà di questi principi, è oramai indiscutibile che, per partecipare attivamente al rinnova-mento del sistema, ogni docente deve uscire dal proprio isolamento per fare sistema e creare una vera e propria comunità professionale che deve apprendere, prima di trasferire contenuti agli alunni, essendo consapevole che tale trasferimento è solo l’esito di un processo che preve-de fasi a corollario:

• deve prendersi cura di ogni suo discente; • deve saper incoraggiarlo; • deve progettare con attenzione; • deve saper motivare gli alunni.

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4.2 Le Avanguardie educative dell’Indire: alcune esperienze significative

Per fornire esempi concreti, riprendiamo alcune esperienze sviluppate nell’ambito dall’inizia-tiva Avanguardie educative di Indire: si tratta di progetti messi a punto da scuole che hanno deciso di ripensare gli ambienti interni, in linea con quanto prospettato nel Manifesto per l’Innovazione.

Sono proposte operative (descritte come idee per l’innovazione) che mettono in pratica i con-tenuti nevralgici del Manifesto.

Nello specifico, il terzo punto dei setti previsti è creare nuovi spazi per l’apprendimento. Queste scuole hanno quindi modificato il setting, a partire dal cambiamento della didattica (spazio, tempo e didattica sono coordinate fortemente interconnesse tra loro).

Tutte le esperienze dimostrano che una scuola d’avanguardia:

• nasce da un nuovo modello di apprendimento e di funzionamento interno, nel quale la centralità dell’aula viene superata;

• rende duttili i suoi ambienti affinché vi siano spazi sempre abitabili dalla comunità scola-stica per lo svolgimento di attività didattiche, per la fruizione di servizi, per usi anche di tipo informale; spazi dove lo scambio di informazioni avviene in modo non strutturato, dove lo studente può studiare da solo o in piccoli gruppi, dove può approfondire alcuni argomenti con l’insegnante, ripassare, rilassarsi;

• si apre all’esterno e diventa baricentro e luogo di riferimento per la comunità locale: au-mentando la vivibilità dei suoi spazi, diventa un civic center in grado di fare da volano alle esigenze della cittadinanza e di dare impulso e sviluppo a istanze culturali, formative e sociali (dal Manifesto).

La galleria delle idee è il documento che riassume le esperienze fatte in questo senso dalle scuole capofila; ognuna ha interpretato e messo in atto uno dei molteplici aspetti in cui si può declinare il concetto di innovazione in questo ambito.

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4.2 Alcuni esempi di riorganizzazione dello spazio educativo

Vediamo alcuni dei migliori esempi tratti dall’esperienza della scuole del Movimento Avan-guardie Educative, concentrando l’attenzione su specifici obiettivi40:

• scuole che hanno marcato una specializzazione dell’aula in chiave disciplinare; • scuole che hanno ripensato gli spazi di accoglienza, connessione e transito; • scuole che hanno allestito una o più aule flessibili (aula 3.0) e polifunzionali; • scuole che hanno potenziato gli spazi per supportare attività extra didattiche in sinergia

col territorio.

Scuole che hanno marcato una specializzazione dell’aula in chiave

disciplinare

All’ITIS “Volta” di Perugia, quando suona la campanella, gli studenti lasciano l’aula mentre il docente si prepara a ricevere la classe successiva. È stato messo in atto, quindi, un modello simile a quello universitario: sono i ragazzi che si spostano al cambio dell’ora per andare a seguire un’altra materia.

Tra le conseguenze più importanti c’è quella per cui ogni ambiente classe diventa lo spazio del docente lo occupa senza soluzione di continuità, potendo personalizzare gli arredi, l’organiz-zazione, il setting e le strumentazioni (digitali e non) ad uso e consumo della disciplina inse-gnata. L’aula si fa laboratorio disciplinare anche per le materie di base, alla stregua delle mate-rie di indirizzo.

40 Si rimanda al documento citato per conoscerle tutte (N.d.R.).

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I ragazzi, dal canto loro, soprattutto grazie all’introduzione delle ICT in classe, sono chiamati, di volta in volta, a lavorare alla soluzione di problemi, alla produzione di materiali digitali, alla simulazione di fenomeni che hanno necessità e specificità che variano a seconda della disciplina. Le scuole che stanno sperimentando l’utilizzo di questi ambienti rilevano benefici relativi al livello di collaborazione tra docenti della stessa materia.

Scuole che hanno ripensato gli spazi di accoglienza, connessione e transito

Un altro elemento importante di questa riorganizzazione degli spazi riguarda le zone di con-nessione tra i diversi ambienti della scuola (le aule, i laboratori, le sale per i docenti, gli uffici amministrativi, ecc.). I principi che hanno guidato l’intervento sono stati:

• il rafforzamento del senso di identità e appartenenza da parte della comunità scolastica; • il miglioramento della funzionalità dei corridoi e delle aree di raccordo e smistamento del

flusso degli utenti dell’edificio scolastico.

L’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore “Paciolo-D’Annunzio” di Fidenza, nel 2014, ha avviato il Collabora(c)tive Design Paciolo, collaborando con gli architetti Filios e Arnaldi di Nor-malearchitettura. L’allora dirigente, dott.ssa Aimi, ha spiegato il senso dell’intervento: «L’idea è stata quella di trasformare gli spazi inutilizzati in piazze e luoghi di incontro, considerati cuore della scuola e luogo affettivo, portatore di valori e funzionale all’apprendimento».

L’iniziativa ha previsto tre gruppi di lavoro impegnati in tre distinti workshop:

1. Progetto/layout.2. Comunicazione.3. Wayfinding/segnaletica.

Con il supporto degli architetti è stata attivata, per ciascuno dei tre temi, una indagine dello stato degli spazi e una analisi dei bisogni, finalizzata alla concreta riconfigurazione degli am-bienti interessati.

Il primo gruppo ha lavorato sui flussi di passaggio e sui punti di aggregazione del piano terra della scuola, presentando una proposta basata sulle esigenze individuate dai ragazzi.

Il secondo si è concentrato sugli elementi strutturali e di arredo che avrebbero dovuto caratte-rizzare l’identità della scuola nel percepito degli studenti e della comunità scolastica.

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Il terzo gruppo ha analizzato i percorsi di spostamento in base alla loro natura e alla loro fina-lità, evidenziandone le necessità in considerazione dei diversi momenti di passaggio e le mete dei transiti.

Sono stati gli architetti a guidare le diverse fasi del progetto e a gestire l’intervento degli stu-denti.

In primo luogo, gli studenti sono stati chiamati ad esprimersi riguardo ad una nuova configu-razione spaziale all’interno della scuola, in base a specifiche criticità e problematiche.

Successivamente sono state individuate possibili soluzioni: dall’ottimizzazione degli spazi all’integrazione di arredi fissi che ne arricchiscono o completano i contenuti, dall’eliminazione di barriere o ostacoli fino alla convalida del layout attuale.

Le proposte, in questa fase, sono state libere e senza limitazioni di budget o di fattibilità tec-nica per consentire al massimo l’espressione del modello spaziale desiderato. In un secondo momento, sono state interpretate, indirizzate e trasposte in un progetto integrato con gli altri ambiti di intervento.

In secondo luogo, insieme agli studenti sono state definite le strategie di “wayfinding” all’in-terno della scuola: sono stati identificati i modi e i metodi attraverso cui le persone si orientano all’interno dello spazio fisico allo scopo di spostarsi da un luogo a un altro, in relazione ai meccanismi di percezione sensoriale dell’ambiente e alle condizioni qualitative dello stesso. Tale analisi è stata svolta partendo dalla configurazione di partenza e in relazione al comporta-mento tipico degli utenti, prendendo in analisi anche le condizioni di emergenza. Gli obiettivi di questa fase di lavoro sono stati:

• la comprensione dei sistemi di identificazione delle vie d’uscita, • lo studio dei meccanismi di percezione cognitiva dell’ambiente,

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• l’identificazione di diversi percorsi in relazione agli indirizzi di studio presenti nel nostro Istituto,

• la sovrapposizione dei flussi di tutti gli attori della scuola.

I risultati del workshop sono stati analizzati e interpretati dai progettisti per formulare il pro-getto realizzato. L’utilizzo degli spazi così modificati risulta sicuramente positivo per quanto riguarda la socializzazione e la condivisione tra tutti gli utenti.

Il contributo sociale del progetto può essere, infatti, individuato in un migliore senso di appar-tenenza scolastica e in una percezione della scuola come luogo di incontro vivo e “colorato”, in cui trascorrere parte della giornata in spazi moderni, adeguati allo status di adolescenti.

Il nuovo allestimento potrà trovare una valenza anche dal punto di vista didattico, consenten-do di uscire dai confini delle singole aule per attività di gruppo o di piccoli gruppi.

Scuole che hanno allestito una o più aule flessibili (aula 3.0) e polifunzionali

Questa direttrice di sviluppo emerge dall’osservazione di aule a spazi flessibili progettate e realizzate da un crescente numero di istituti in particolare di scuola secondaria di secondo grado. Si tratta di un intervento che riguarda specificamente l’ambiente di apprendimento in cui ha luogo la didattica ordinaria e che rappresenta spesso un passo ulteriore rispetto alla cosiddetta aula 2.0.

Se il termine classe 2.0 è stato introdotto grazie a una specifica azione promossa dal MIUR nell’ambito del Piano Scuola Digitale nel 2009, la dicitura aula 3.0 è un termine promosso dalle scuole stesse come risultato di un processo di innovazione dal basso. Questo proliferare di ini-ziative rivolte alla configurazione d’aula ha trovato in Avanguardie educative un contesto di

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rete e diffusione e in Indire un collante culturale in grado di attivare un processo di riflessione critica e ulteriore sviluppo.

In generale, realizzare un’aula 3.0 ha significato definire una proposta concreta di setting di-dattico in grado di andare oltre la disposizione frontale dell’aula tradizionale. Per molte scuo-le tale soluzione ha coinciso con una configurazione d’aula ottimizzata per una determinata metodologia didattica. È il caso delle aule TEAL o delle aule progettate per lo svolgimento di attività previste da altre metodologie come lo Spaced Learning o il Debate. Se l’aula 2.0 poneva l’accento sull’integrazione delle tecnologie digitali nella didattica quotidiana, l’aula 3.0 vuole estendere la riflessione alla dimensione spaziale evidenziando l’esigenza che il potenziale del-le tecnologie di rete potrà concretizzarsi a pieno solo se utilizzate nell’ambito di una didattica attiva e dunque in un ambiente di apprendimento progettato per lo svolgimento di attività centrate sullo studente.

L’Istituto di Istruzione Superiore “Luca Pacioli” di Crema è stato uno dei primi, in Italia, ad organizzare aule a spazi flessibili. Al di là dell’iniziativa dei dirigenti coinvolti, prima Giusep-pe Strada poi Paola Viccardi, anche in questo caso è stato determinante l’intervento di esperti di settori diversi: architettura e didattica. L’importante ruolo di raccordo è stato svolto dalla prof.ssa Nayla Renzi, docente del “Pacioli” e architetto: il fine era quello di creare spazi capaci di soddisfare le diverse esigenze di docenti e studenti, alle prese con attività e percorsi diver-sificati e metodologie che prevedono un ampio utilizzo di tecnologie di rete.

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Il primo esperimento è stato fatto su un’aula della sede più nuova, un ex laboratorio discreta-mente ampio (60 metri quadrati), idealmente divisibile in due. Gli elementi che caratterizzano lo spazio sono arredi appositamente progettati, in particolare tavoli rotondi scomponibili e assemblabili, due tribunette su ruote, carrelli di servizio in sostituzione della cattedra. Il se-condo elemento di rilievo è la dotazione tecnologica: 4 isole composte da pc e videoproiettore con pannelli attivi analoghi a LIM consentono di organizzare le lezioni sia condividendo le schermate che lavorando con gruppi autonomi. La rete WiFi ed il carrello porta pc consento-no di fare lavorare gli studenti anche con i propri computer o con quelli dell’aula. Una scelta che riteniamo interessante è stata quella, verificato che non comportava maggiori costi, di far realizzare gli arredi ad artigiani locali, in questo modo c’è stata una ricaduta anche economica sul territorio, la possibilità di una forte personalizzazione degli elementi e la garanzie di un supporto a livello di manutenzione.

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Scuole che hanno potenziato gli spazi per supportare attività extra didattiche

in sinergia col territorio

Un ulteriore elemento che rientra nel discorso in atto, è quello relativo alla centralità che l’I-stituto scolastico deve riacquisire nell’immaginario collettivo: deve tornare ad essere un polo in grado di offrire servizi al territorio e alla comunità non solo in età scolare e non solo rela-tivamente all’offerta formativa curricolare: perseguendo questa prospettiva, si auspica che la scuola possa divenire un moderno centro civico. Se è vero che la scuola si pone come centro culturale, le deve essere riconosciuto quel ruolo di polo di aggregazione sociale che oltrepassa la dimensione dell’offerta formativa in senso stretto. Gli stessi utenti e gli altri soggetti del territorio diventano in questo caso portatori di interesse da coinvolgere nella definizione e progettazione di servizi e ambienti da aprire alla comunità esterna. Gli studenti possono fruire delle strutture della scuola al di fuori dell’orario scolastico per attività musicali, sportive, lu-diche o altro ancora. Nel caso più semplice, un auditorium, una palestra e altri spazi possono essere strutturati in modo da rendersi disponibili all’esterno per eventi, seminari e convegni. In casi più complessi possono essere adibite aree ad hoc e strumentazioni specializzate per attività organizzate dall’ente locale o da altri stakeholder del territorio.

Un esempio concreto di ripensamento degli spazi in funzione di un servizio da offrire all’inte-ra collettività è la proposta dell’Istituto Comprensivo di Roveleto di Cadeo, in provincia di Piacenza.

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L’istituto ha deciso di realizzare una biblioteca che servisse non solo la scuola ma il territorio circostante.

L’obiettivo iniziale è stato quello di fornire un servizio alla comunità scolastica e al territorio e arrivare all’i-

dentificazione della scuola come centro culturale e piazza del paese. Oggi, raggiunto l’obiettivo iniziale, lo

spazio viene anche e soprattutto proposto e utilizzato come setting flessibile per azioni e sperimentazioni

di didattica attiva e centro culturale del territorio […].

La biblioteca è oggi il biglietto da visita dell’istituto; è il luogo da cui si parte per presentare la scuola, dove

avvengono i primi incontri tra docenti, alunni, famiglie, dove si fa formazione e si organizzano attività

di vario genere, dove prendono forma idee e progetti. I ragazzi diventano qui protagonisti: il docente o il

personale bibliotecario accompagna il lettore, suggerisce percorsi di lettura sulla base di gusti e preferenze,

consiglia chi è indeciso o in difficoltà.

Le quattro direttrici lungo cui si sviluppano i processi di ripensamento degli ambienti della scuola attivati dalle scuole dimostrano come sia oggi necessario affrontare il tema dello spazio educativo in modo ampio ed articolato. La visione dell’aula-classe come unica unità di riferi-mento per l’apprendimento a scuola sembra ormai superata. L’aula si apre al resto della scuo-la, si estende e contamina gli spazi circostanti fino a farsi paesaggio didattico in grado di confi-gurare zone annesse da usare per compiti individualizzati, attività di progetto o discussioni di gruppi di alunni. Sono gli stessi protagonisti della vita scolastica a promuovere iniziative volte ad abbattere pareti divisorie, tanto culturali quanto fisiche, e a integrare zone per il relax, aree per l’accoglienza, biblioteche ed auditorium aperti al territorio. Tutti gli spazi della scuola sono complementari tra loro e contribuiscono a configurare un unico ambiente di apprendimento dove è necessario poter disporre di luoghi e strumenti per attività diversificate, ma anche per l’incontro, lo scambio, il riposo e il raccoglimento.

La scuola si sta muovendo autonomamente attingendo ai finanziamenti esistenti e, soprattut-to, mettendo a fattore comune le proprie risorse e alimentando un substrato culturale in grado di estendersi gradualmente attraverso forme di contaminazione reticolari promosse dal basso.

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