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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected] INDICE GENERALE INDICE 1 Introduzione 4 CAPITOLO 1: LA VIGILANZA BANCARIA E IL RISCHIO DI CREDITO Premessa 11 1.1 I rischi dell’attività bancaria 16 1.2 Il rischio di credito e i coefficienti patrimoniali 26 1.3 Rischio di regolamento, di controparte e di concentrazione 31 1.4 Conclusioni 33 CAPITOLO 2: IL RISCHIO DI PRE-REGOLAMENTO E L’EQUIVALENTE CREDITIZIO Premessa 35 2.1 Rischio di regolamento e di pre-regolamento 36 2.2 Il rischio di pre-regolamento e l’approccio delle autorità di vigilanza 39 2.3 Il metodo dell’equivalente creditizio 41 2.4 Due brevi esempi di calcolo dell’equivalente creditizio 43 2.5 Elementi che influiscono sull’equivalente creditizio 46 2.6 Conclusioni 49 CAPITOLO 3: I DERIVATI CREDITIZI Premessa 50 3.1 Credit derivatives: la struttura del mercato e i limiti allo sviluppo dello stesso 53 3.2 Definizione ed elementi contrattuali comuni alle varie tipologie 56 3.3 I rischi nei derivati creditizi 63 3.4 Tipologie varie 65 3.4.1 Credit default swap 65 3.4.2 Credit default option 69 3.4.3 Total rate of return swap 70 3.4.4 Credit spread swap 74 3.4.5 Credit spread option 77 3.4.6 Credit linked note 79 3.4.7 Altre tipologie di derivati creditizi 83 3.5 Credit derivatives: considerazioni generali sulla gestione 1

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

INDICE GENERALE

INDICE 1 Introduzione 4

CAPITOLO 1: LA VIGILANZA BANCARIA E IL RISCHIO DI CREDITO

Premessa 11 1.1 I rischi dell’attività bancaria 16 1.2 Il rischio di credito e i coefficienti patrimoniali 26 1.3 Rischio di regolamento, di controparte e di concentrazione 31 1.4 Conclusioni 33

CAPITOLO 2: IL RISCHIO DI PRE-REGOLAMENTO E L’EQUIVALENTE CREDITIZIO

Premessa 35 2.1 Rischio di regolamento e di pre-regolamento 36 2.2 Il rischio di pre-regolamento e l’approccio delle autorità di vigilanza 39 2.3 Il metodo dell’equivalente creditizio 41 2.4 Due brevi esempi di calcolo dell’equivalente creditizio 43 2.5 Elementi che influiscono sull’equivalente creditizio 46 2.6 Conclusioni 49

CAPITOLO 3: I DERIVATI CREDITIZI Premessa 50 3.1 Credit derivatives: la struttura del mercato e i limiti allo sviluppo dello stesso 53 3.2 Definizione ed elementi contrattuali comuni alle varie tipologie 56 3.3 I rischi nei derivati creditizi 63 3.4 Tipologie varie 65 3.4.1 Credit default swap 65 3.4.2 Credit default option 69 3.4.3 Total rate of return swap 70 3.4.4 Credit spread swap 74 3.4.5 Credit spread option 77 3.4.6 Credit linked note 79 3.4.7 Altre tipologie di derivati creditizi 83 3.5 Credit derivatives: considerazioni generali sulla gestione

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efficiente di un portafoglio prestiti 86 3.5 La gestione del rischio di credito e le tecniche di utilizzo dei credit

derivatives 90 3.7 La disciplina dei requisiti patrimoniali e la situazione italiana 96 3.8 Conclusioni 98

CAPITOLO 4: SECURITIZATION Premessa 100 4.1 Definizione dell’operazione 102 4.2 Schema dell’operazione 103 4.3 Il supporto di credito 106 4.4 Vantaggi e rischi di una dell’Asset-Backed securitization 108 4.5 La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza 114 4.6 La legge sulla securitization in Italia 117 4.7 Un modello per l’analisi del rischio di credito di portafogli di mutui 120 4.8 Conclusioni 125

CAPITOLO 5: I MODELLI DI MISURAZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO

Premessa 127 5.1 Il rischio di credito e le sue componenti 132 5.2 La perdita attesa e il pricing di un prestito 135 5.2.1 Term structure degli spread 139 5.2.2 Modelli attuariali basati sul tasso di mortalità 143 5.2.3 Option pricing theory 148 5.3 La perdita inattesa 154 5.3.1 Il VAR di un’esposizione creditizia 157 5.3.2 Approccio “insolvenza vs non insolvenza” 162 5.3.3 Approccio basato su una distribuzione discreta dei tassi di insolvenza 165 5.3.3.1 La matrice di transizione e il rischio di migrazione 166 5.3.3.2 La perdita inattesa come deviazione standard della perdita attesa 169 5.3.3.3 La perdita inattesa come perdita massima potenziale con un certo

livello di confidenza: il VAR 172 5.4 CreditMetrics 174 5.4.1 Valutazione delle singole esposizioni 175 5.5 Il rischio di portafoglio e l’effetto diversificazione 180 5.6 CreditRisk+ 186 5.6.1 Input iniziali del modello 186 5.6.2 La valutazione del numero e della dimensione delle insolvenze 188 5.6.3 Il capitale economico 189 5.7 Il modello KMV 191 5.8 Il rischio di credito tra capitale economico e capitale regolamentare 194

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CONSIDERAZIONI FINALI 199

Bibliografia 203

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INTRODUZIONE

Il rischio di credito figura come il più importante e critico rischio

nell’ambito del business bancario. Le banche hanno assunto, nei

confronti di tale rischio, all’inizio un atteggiamento di accettazione

dell’inevitabilità dei danni derivanti da massicce insolvenze,

successivamente l’illusione di poter esattamente quantificare, gestire e

controllare tale rischio mediante tecniche di affidamento sofisticate e

di misurazione dello stesso.

Per quanto riguarda l’altra faccia del rischio, rappresentata dai

rischi di mercato, già da tempo le banche hanno utilizzato modelli

manageriali interni di controllo (in particolare modelli VAR),

anticipando gli orientamenti delle stesse Autorità di vigilanza.

Se gli anni ’80 sono stati caratterizzati, da parte del mondo

bancario e accademico, dall’attenzione ai rischi di mercato

conseguenti all’introduzione di strumenti derivati, che hanno fornito al

sistema bancario – finanziario la possibilità non solo di gestire e

controllare tali rischi ma anche di poter assumere posizioni

speculative, gli anni ’90 e successivi sono contraddistinti dal problema

della misurazione e gestione del rischio di credito. Ciò ha comportato

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una serie di conseguenze, quali: introduzione di sistemi di scoring

come strumenti di supporto alle decisioni di affidamento e

monitoraggio delle esposizioni creditizie; sviluppo di modelli diretti

alla quantificazione del rischio di credito di una singola esposizione

creditizia o di un portafoglio di crediti, estendendo a tale rischio la

logica del VAR (originariamente introdotto dalle istituzioni

finanziarie per gestire e controllare i rischi di mercato); diffusione

delle informazioni e di dati riguardanti il merito creditizio (rating) di

soggetti, imprese e governi richiedenti prestiti nelle diverse forme, da

parte di agenzie specializzate.

Anche le Autorità di vigilanza, in questi ultimi anni, sempre più

consapevoli dei limiti dei coefficienti di solvibilità connessi allo

schema di adeguatezza patrimoniale introdotto dal Comitato di Basilea

nel 1988, stanno sostituendo tali requisiti standard con modelli interni,

come già avvenuto per i rischi di mercato.

Infatti nel giugno 1999 il Comitato di Basilea ha pubblicato un

documento consultivo, intitolato A new capital adequacy framework,

contenente i principi generali che si propone di applicare al nuovo

quadro regolamentare. In particolare la nuova proposta di Basilea per

la misurazione del rischio di credito, e quindi nel calcolo dei fattori di

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ponderazione delle controparti, prevede il riconoscimento di modelli

interni opportunamente validati. I motivi principali che hanno spinto

le banche a interessarsi del rischio di credito, a parte la criticità di tale

rischio per le stesse istituzioni finanziarie, riguardano le opportunità

che tale rischio offre alle banche e al management per la creazione di

valore per gli azionisti. Le conseguenze di tale interessamento hanno

portato allo sviluppo di operazioni quali: cartolarizzazione degli attivi

bancari (securitization), crescita di mercati secondari dei prestiti

bancari (loan sales) e nascita degli strumenti derivati per la gestione

del rischio di credito (credit derivatives).

Tali innovazioni finanziarie, favorendo la negoziabilità degli

attivi bancari, hanno consentito di migliorare il grado di liquidità del

sistema e l’efficienza del circuito di intermediazione. In particolare la

securitization ha influenzato non solo la struttura dei mercati bancari

ma anche le scelte di composizione del portafoglio delle banche

stesse, modificando la distribuzione tra titoli e prestiti e la detenzione

delle attività a scopo precauzionale.

La securitization, come operazione di trasformazione di attivi

non negoziabili in titoli negoziabili sui mercati, è uno strumento che,

nato negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’70, negli ultimi anni ha

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conosciuto un notevole sviluppo. Per quanto riguarda il mercato

secondario dei prestiti questo ha avuto origine nei primi anni ’90,

soprattutto nei mercati anglosassoni, per alleggerire la posizione di

molti enti creditizi nei confronti dei paesi in via di sviluppo con rating

molto basso o ritenuti insolventi. Tale mercato è stato organizzato sia

in forma diretta che in forma dei titoli “derivati”. Analogamente si è

sviluppato un mercato secondario per i prestiti che consente alle

banche di ristrutturare e rivendere parte dei propri attivi non

negoziabili a investitori istituzionali e banche, alle banche che operano

in un contesto di alta concentrazione geografica e/o settoriale, come

le banche italiane, consentendo una diversificazione dei propri

portafogli prestiti.

I derivati creditizi rappresentano una nuova generazione di

prodotti dell’innovazione finanziaria importante per gestire il rischio

creditizio nelle sue varie componenti. Pur essendo il rischio di credito,

come probabilità che un debitore diventi insolvente e non riesca a far

fronte alle obbligazioni contratte, il più antico e più studiato nella

teoria finanziaria, fino a pochi anni fa non esistevano strumenti

finanziari che consentissero di gestirlo; ciò probabilmente derivava dal

fatto che buona parte dei rischi creditizi venivano scaricati sul sistema

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pubblico e che gli operatori fino a qualche anno fa erano interessati

più ad altre opportunità di investimento, e quindi ad altre fonti di

rischio.

Con i derivati creditizi si è creata una classe di prodotti che

consentono di trasferire singole componenti del rischio di credito in

maniera efficiente e a costi limitati. Questi strumenti, credit

derivatives nella terminologia anglosassone, hanno raggiunto un

volume iniziale di circa 40 miliardi di dollari e presentano un

potenziale di crescita unanimente considerato enorme.

Un’ultima considerazione concerne lo sviluppo di numerosi

metodi per la gestione del rischio di portafoglio di crediti. Su

quest’ultima materia il processo di approfondimento metodologico ha

proceduto più lentamente rispetto a quelli di mercato anche a causa di

obiettive difficoltà concettuali, tra cui la forma asimmetrica delle

distribuzioni dei rendimenti delle operazioni di credito e la mancanza

di ampie banche dati estese per un sufficiente arco temporale. Tra i

vari metodi figurano:

• Modelli basati sul concetto di VAR (Credit Metrics);

• Modelli econometrici;

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• Modelli attuariali (CrediRisk+).

La mancanza di una teoria generale della diversificazione dei

crediti comporta la caratterizzazione asimmetrica (downside) di tale

rischio in cui la probabilità di incremento di valore di un credito,

dovuto ad un miglioramento del rating del debitore, risulta nulla. Tale

problema muta nel momento in cui i crediti vengano concessi

originariamente anche a clienti rischiosi, rivenduti sul mercato

secondario e, infine, riesaminati durante la loro vita. A ciò seguirebbe

l’applicazione della teoria del portafoglio, dato che la distribuzione di

probabilità dei profitti tende a essere simmetrica, comportando la

logica conseguenza che ad una variazione migliorativa del rating di un

debitore dovrebbe corrispondere un aumento del valore di mercato del

credito in portafoglio. Tuttavia la mancanza di un mercato secondario

dei prestiti può rendere poco attendibile l’utilizzo di tali modelli, visto

che verrebbe a mancare un controllo del rischio di credito mediante la

negoziazione sul mercato; si verificherebbe la concentrazione dei

prestiti limitatamente alle aree in cui la banca ha accesso diretto e

quindi con scarsa diversificazione del portafoglio crediti.

Anche se la valutazione del rischio di credito implica l’analisi

congiunta di tre elementi - ammontare dell’esposizione, probabilità di

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default e perdita potenziale -, dal punto di vista metodologico tale

rischio è, e non potrebbe non essere, correlato al rischio di mercato; da

ciò dovrebbe conseguire una valutazione complessiva dei rischi che

una banca si trova ad affrontare quotidianamente, valutazione da

affrontare attraverso l’utilizzo di strumenti derivati, tradizionali e

creditizi, che permettano la gestione integrata dei rischi stessi. Con il

ricorso alle metodologie VAR, per un controllo integrato dei rischi, si

adotterebbe un evoluto sistema di risk management in grado di

misurare tutto il capitale assorbito all’interno delle singole aree di

attività della banca e si renderebbero confrontabili rischi differenti, sia

in termini di orizzonti temporali che di criteri di misurazione, di natura

creditizia e di mercato. In questo modo si metterebbe a punto un

processo di allocazione del capitale, fra le diverse aree di attività,

finalizzato alla massimizzazione della redditività corretta per il rischio

onde creare valore per gli azionisti.

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LA VIGILANZA BANCARIA E IL RISCHIO DI CREDITO

Premessa

La vigilanza sugli intermediari finanziari ha conosciuto negli

ultimi anni un radicale cambiamento in quasi tutti i paesi evoluti.

Questo cambiamento ha riguardato sia gli obiettivi perseguiti dalle

autorità di vigilanza e sia gli strumenti adottati per perseguire tali

obiettivi.

Con riferimento agli obiettivi si è passati da una vigilanza

orientata alla salvaguardia della stabilità dell’intermediario e, di

conseguenza, del sistema nel suo complesso, ad una vigilanza più

orientata al perseguimento di obiettivi di concorrenza fra gli

intermediari e, quindi, di efficienza del sistema. Questo ha portato

all’emanazione, in Europa, della seconda direttiva bancaria del 1989.

Mutati gli obiettivi, sono cambiati anche gli strumenti utilizzati

dalle autorità di vigilanza, facendo sì che si passasse da una vigilanza1

di tipo strutturale ad una di tipo prudenziale necessaria a garantire la

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

solvibilità e la liquidità degli intermediari finanziari coerentemente

con il rischio assunto.

Se quindi in passato gli strumenti adottati, e che quindi

riflettevano gli obiettivi della stabilità, erano specializzazione

funzionale e territoriale, controllo sui prezzi (tassi di interesse e

cambi), controlli all’entrata e alla successiva espansione nel mercato,

oggi tali obiettivi sono raggiunti indirettamente attraverso

l’applicazione del sistema dei coefficienti patrimoniali ponderati per il

rischio e altri coefficienti volti a limitare il rischio di concentrazione e

a garantire la solvibilità e liquidità delle banche. Ciò ha portato anche

al rafforzamento di altri strumenti (fair play regulation e vigilanza

protettiva) che da un lato favoriscono condizioni di trasparenza e di

diffusione corretta delle informazioni, dall’altro tendono a prevenire

crisi sistemiche.

Negli ultimi due decenni si è assistito ad un’evoluzione della

stessa politica di vigilanza, nel senso di una internazionalizzazione

della disciplina dell’attività degli intermediari che ha portato ad un

coordinamento fra le politiche di vigilanza dei diversi paesi.

1 CEE Direttiva 647/89 del Consiglio relativa al coefficiente di solvibilità degli enti creditizi, Bruxelles,1989.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

Grazie alla globalizzazione dei mercati finanziari, dovuta

all’eliminazione delle barriere normative all’attività bancaria

internazionale e all’adozione del modello dell’home country control,

si è evidenziata la necessità di una minima regolamentazione comune

tanto da poter parlare di un’autorità di vigilanza sovranazionale, nel

senso di organizzazioni sovranazionali che formulano delle regole

oggettive che formano il quadro normativo di riferimento per l’attività

degli intermediari finanziari. Si pensi al ruolo centrale svolto dallo

schema di adeguatezza patrimoniale originariamente formulato dal

Comitato di Basilea nel 19882 e successivamente recepito dalla CEE e

dalle autorità di vigilanza dei principali paesi sviluppati, come del

resto le proposte formulate dallo stesso Comitato per l’estensione

degli stessi coefficienti ai rischi di mercato, proposte recepite

dall’ordinamento comunitario e italiano; oppure il ruolo che la CEE

ha svolto negli ultimi anni nella definizione di condizioni comuni di

accesso all’attività bancaria, nei limiti alla concentrazione degli

impieghi e nell’assicurazione dei depositi. In Italia il Comitato

Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), con una

2 Basle Committee on Banking Supervision, July 1988, International Agreement on

the definition of capital and on minimum capital ratios, Basilea.

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delibera datata 23 dicembre 1986, determinò i principi fondamentali

relativi all’introduzione di coefficienti patrimoniali minimi

obbligatori, tenendo conto delle varie tipologie di rischio e delegò alla

Banca d’Italia il compito di definire la normativa di applicazione.

La Banca d’Italia, infatti, introdusse, all’inizio con Circolare del

31 marzo 1987, poi sostituita con altre fino a quella attualmente in

vigore, la Circolare n. 229 del 21 aprile 19993, i coefficienti di

rischiosità correlati a ciascun tipo di operazione e per ogni tipo di

controparte, ed un coefficiente patrimoniale minimo obbligatorio

collegato al rischio aziendale delle attività ponderate in base ai

coefficienti di rischiosità. Infine bisogna ricordare la pubblicazione

nel giugno 1999, da parte del Comitato di Basilea, di un documento

consultivo4, intitolato A new capital adequacy framework, contenente

nuovi principi generali da applicare al nuovo quadro regolamentare.

Questo documento si pone l’obiettivo di apportare una

evoluzione all’attuale regime, proponendo fattori di ponderazione che

meglio riflettano la rischiosità della controparte, ossia modelli basati

3 Banca d’Italia, Circolare n. 229 del 21 aprile 1999. 4 Basle Committee on Banking Supervision, Giugno 1999, A New Capital Adequacy Framework. Consultative Paper, Basilea.

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su ratings assegnati da agenzie esterne, ratings interni assegnati dalle

stesse banche oppure modelli interni validati.

Un’altra novità consiste nel fatto che il coefficiente patrimoniale

minimo dovrebbe coprire non solo il rischio di credito e di mercato,

ma anche il rischio di interesse, di liquidità, legale, di reputazione e

operativo.

Infine, il documento propone una supervisione da parte delle

Autorità di vigilanza della gestione, allocazione, misurazione e

politica della banca circa il capitale proprio.

Questo capitolo, dopo una breve elencazione dei principali rischi

bancari, tratterà i principali provvedimenti riguardanti il rischio di

credito, cioè lo schema di adeguatezza patrimoniale formulato dal

Comitato di Basilea nel 1988 (recepito dalla Comunità europea con

direttiva 647/89) con successive modifiche introdotte e aggiornate

dalla Circolare della Banca d’Italia del 21 aprile 1999 n. 229, e quelli

riguardanti il rischio di regolamento, il rischio di controparte e il

rischio di concentrazione.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

1.1 I rischi dell’attività bancaria

Il rischio rappresenta l’eventualità di accadimenti futuri

suscettibili di generare:

Perdite assolute (distruzione di ricchezza esistente);

Perdite relative (mancato conseguimento di ricchezza che si era

previsto di produrre).

Quindi per rischio si intende l’incertezza gravante sui risultati

futuri, misurati generalmente in termini di ROE, ROA, RAROC etc.

L’utilizzo di tale tipologia di coefficienti patrimoniali introduce

una correlazione tra rischio e dotazione patrimoniale, in accordo a

quanto richiesto dagli organi di vigilanza (nazionali ed internazionali):

si afferma, così, la logica di allocazione efficiente del capitale.

Il rischio può essere distinto in varie tipologie, e ogni tipologia

varia in funzione della causa che lo origina. Vi sono varie tipologie di

rischio le quali possiedono delle sottocategorie. Le principali categorie

di rischio sono:

rischio di credito;

rischio di interesse;

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

rischio di liquidità;

rischio di mercato;

rischio paese;

rischio operativo;

rischio non standard.

Il rischio di credito rappresenta il rischio di perdite dovute

all’incapacità della controparte – nei cui confronti si è assunta una

esposizione creditizia – di adempiere le proprie obbligazioni di

pagamento.

Esso è articolato in tre fattispecie5:

rischio di credito pieno, che consiste nel rischio che la

controparte non adempia la propria obbligazione di pagamento a causa

della propria insolvenza (e non sia rischio di consegna o di

sostituzione);

rischio di consegna, che può esistere soltanto qualora le parti abbiano

reciproche obbligazioni da eseguirsi contemporaneamente e consiste

nel fatto che una parte adempia al proprio obbligo di pagamento o

5Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, in Nassetti C. F., Fabbri A., Trattato sui contratti derivati di credito, Egea, Milano, 230.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

consegna non ricevendo contestualmente la consegna o il pagamento

del dovuto dall’altra parte;

rischio di sostituzione, che è presente nei contratti a termine con

prestazioni corrispettive, consiste nel maggior costo o nel mancato

guadagno che la parte solvente sopporta, qualora la controparte diventi

insolvente prima della scadenza pattuita. In questo caso, la parte

potenzialmente solvente si asterrà, ovviamente, dall’effettuare la

propria consegna, effettuando un nuovo contratto con una nuova

controparte. Il prezzo del nuovo contratto potrebbe essere diverso dal

precedente, comportando una perdita od un utile.

Poiché dal punto di vista regolamentare e contabile, il portafoglio di

una banca è distinto in portafoglio di investimento (valori mobiliari

detenuti per finalità di investimento) e portafoglio di negoziazione

(posizioni detenute in vista di una loro cessione a breve termine,

posizioni assunte a copertura di altri elementi del portafoglio di

negoziazione etc.), la precedente articolazione del rischio di credito si

riferisce ai rischi presenti nel portafoglio investimento, o banking

book.

I corrispondenti rischi di credito presenti nel portafoglio

negoziazione, o trading book, sono:

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

rischio specifico, che corrisponde al rischio di credito pieno,

consiste nel rischio di perdite causate da una sfavorevole variazione

del prezzo degli strumenti finanziari negoziati, dovuta a fattori

connessi con la situazione dell’emittente;

rischio di regolamento, che corrisponde al rischio di consegna,

limitato, solo, alle operazioni in titoli;

rischio di controparte, che corrisponde al rischio di sostituzione.

Il rischio di interesse si presenta nel momento in cui una banca

presenta una differenza nelle scadenze e nei tempi di ridefinizione del

tasso di interesse delle attività e delle passività. Queste differenze

espongono una banca ad un rischio potenziale sia di rifinanziamento

sia di reinvestimento. Il rischio di rifinanziamento sorge ogniqualvolta

la scadenza media delle passività è inferiore a quella delle attività, il

rischio di reinvestimento nel caso opposto. In entrambi i casi,

variazioni inattese dei tassi di riferimento sul mercato, provocano una

variazione inattesa del margine di interesse atteso nel breve periodo.

Il rischio di liquidità nella incapacità della banca (la quale è

maggiormente esposta, visto che detiene una parte del proprio attivo

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

investita in strumenti - prestiti - non negoziabili ed una parte rilevante

del passivo in strumenti immediatamente convertibili in moneta) di far

fronte tempestivamente ed economicamente alle uscite di cassa.

Quindi il rischio di liquidità rappresenta un rischio derivante

dalla mancanza o scarso spessore della domanda e offerta di strumenti

finanziari tale da rendere impossibile o difficile la liquidazione di una

posizione; illiquidità si riferisce, quindi, all’assenza di domanda e

offerta.

Il rischio di mercato rappresenta il rischio connesso agli effetti

che inattese variazioni nelle variabili di mercato potrebbero avere

sulla valutazione delle posizioni che la banca detiene in strumenti

finanziari, trattati sia sui mercati regolamentati che over the counter.

Le fonti di variazioni nei valori di mercato delle posizioni detenute in

portafoglio sono riconducibili alle seguenti6:

tassi di interesse;

tassi di cambio;

quotazioni azionarie;

6 Sironi A., 1995, La gestione dei rischi di mercato : il metodo del capitale a rischio, in AA.VV., Nuovi modelli di gestione dei flussi finanziari nelle banche ( a cura di Fabrizi P.L. ), Giuffrè, Milano.p.496.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

prezzi merci;

volatilità nei tassi (di interesse e di cambio) e nelle quotazioni (azioni

e merci).

Il tasso di interesse è quel fattore rischio che causa un rischio di

mercato, ogni qual volta interviene un cambiamento nel livello

corrente della struttura a termine dei tassi di interesse, con

conseguente variazione nel valore delle posizioni sensibili ai tassi di

interesse, in bilancio e fuori bilancio.

Esso assume tre forme: a) spostamento parallelo della curva dei rendimenti; b) modifica della forma della curva dei rendimenti, nel senso di una

variazione dei tassi a breve termine diversa da quelli a lungo termine;

c) modifica della relazione esistente tra i tassi di interesse di mercato e

quelli dello strumento in portafoglio.

Il tasso di cambio costituisce un altro fattore fonte del rischio di

mercato in cui, un movimento avverso dell’andamento dei tassi di

cambio, può produrre un effetto sulla dinamica patrimoniale e

reddituale della banca che detiene posizioni in valuta (è necessaria,

per ciascuna valuta, l’individuazione di una <posizione netta>.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

Altra componente che causa il rischio di mercato è presente nelle

quotazioni azionarie, nel senso di una detenzione di titoli azionari in

bilancio e fuori bilancio, queste ultime come sottostanti di contratti

derivati, anche in forma di indici azionari (es. FIB 30).

Anche per le quotazioni delle merci vale lo stesso discorso che

per le quotazioni azionarie.

Infine, abbiamo come ultima componente del rischio di mercato

il rischio di volatilità dei tassi e dei prezzi, riferibile alla

variazione del valore delle posizioni in opzioni a seguito di mutamenti

nel livello di volatilità attesa del prezzo dello strumento sottostante.

Il rischio paese è una categoria di rischio che si avvicina al

rischio di credito, ma differisce sottili distinzioni.

Non si è in presenza di un rischio paese nel caso in cui il debitore

sia il paese stesso: in tal caso si è in presenza di un rischio di credito

che dipende dalla solvibilità del debitore stesso, in quanto tale rischio

è analogo a quello presente nel privato (a parte de differenze di

standing creditizio) a cui si concede un prestito.

In generale, quindi, il rischio paese deriva dalla possibilità di

perdita dovuta ad eventi non dipendenti dalla solvenza del debitore,

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

ma riconducibili al paese, inteso in senso lato, in cui esso è residente;

il rischio paese e un rischio aggiuntivo rispetto al rischio di credito ed

è sempre presente ogniqualvolta il debitore ed il creditore siano

residenti in paesi diversi7.

Ci sono tre tipi di rischio paese, cioè:

rischio politico o sovrano, che consiste nel rischio di perdite

quando il debitore solvente non sia in grado di adempiere a causa di

un actum principis, quale, ad esempio, la sospensione unilaterale dei

pagamenti dovuti da privati verso l’estero imposta da una norma

locale, guerre contro gli altri stati, la confisca - senza un adeguato

indennizzo - di un investimento o di beni presenti in altri paesi, etc..8

Rischio sociale, cioè rischi derivanti dall’appartenenza del

debitore solvente in un paese in cui sono presenti eventi sociali, quali

scioperi, rivolte, sommosse etc..

Rischio naturale, cioè nel caso in cui il debitore non possa

adempiere, questa volta, per eventi naturali catastrofici.

Il rischio operativo rappresenta una tipologia molto varia e

7 Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, 235, cit. 8 Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, 236, cit.

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ampia di rischio, tuttavia dovrebbe contenere il rischio di perdite

causate da fenomeni patologici dei sistemi informatici (guasti , virus,

errori di programmazione, etc.), dei sistemi organizzativi (controlli

interni non adeguati, smarrimento di documenti, etc.) e dei

comportamenti umani (errori, frodi, etc.).

Infine abbiamo i rischi non standard, tra cui figurano:

rischio legale e fiscale, che sono riconducibili ad una scarsa

conoscenza delle normative nazionali ed internazionali, oltre alle

carenze legislative legate alla non standardizzazione delle

caratteristiche tecnico-giuridiche dei contratti;

rischio regolamentare, che è riconducibile alla possibilità che il

legislatore cambi le regole del gioco, alterando il valore dei contratti o

creando vincoli regolamentari che modifichino l’economicità

dell’operazione.

rischio di reputazione, consiste nel rischio di perdite che

l’azienda può subire quale conseguenza della pubblicità negativa,

indipendentemente dal fatto che essa sia fondata o infondata, che sia

causa di contenzioso, di perdita di quote di mercato, di perdita di

24

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clientela o di riduzione di entrate9.

9 Cfr. Nassetti C. F., 2000, Natura dei rischi presenti nei credit derivatives, 241, cit.

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1.2 Il rischio di credito e i coefficienti patrimoniali

Nel 1988 le autorità di vigilanza dei principali paesi sviluppati si

riunirono, nell’ambito del Comitato di Basilea, per la formulazione di

uno schema normativo uniforme in tema di adeguatezza patrimoniale

delle banche. Questo schema basato sull’imposizione dei capital

ratios, è stato recepito dalla Comunità europea con direttiva 647/89 e

da altri paesi anche esterni allo stesso Comitato di Basilea.

La scelta di tale impostazione, cioè l’imposizione di coefficienti

patrimoniali ponderati per il rischio, è basata sulla convinzione che i

capital ratios favoriscano condizioni di solvibilità, condizioni di

stabilità nei mercati finanziari internazionali e creino condizioni

concorrenziali uniformi per gli intermediari dei diversi paesi.

Tale schema di adeguatezza patrimoniale, elaborato dal Comitato

di Basilea, consiste in un rapporto minimo, pari all’8%, fra patrimonio

di vigilanza e la somma delle attività ponderate per il relativo grado di

rischio, analiticamente:

P=∑Ai*Pi≥8%

dove:

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P = patrimonio di vigilanza

Ai = attività i-esima

Ri = fattore di ponderazione dell’attività i-esima

Definiamo patrimonio di base un aggregato comprendente il

capitale azionario versato, le riserve da utili e, infine, la riserva

soprapprezzo azioni e patrimonio supplementare (un altro aggregato

che contiene le riserve di rivalutazione), il fondo rischi generali e gli

strumenti ibridi/debito subordinato; tale patrimonio supplementare

non può superare il 50% del patrimonio complessivo. La somma del

patrimonio di base e del patrimonio supplementare, meno

l’avviamento e le partecipazioni in altre istituzioni creditizie, ci

definisce il patrimonio di vigilanza.

Per quanto riguarda de ponderazioni per il rischio, la seguente

tabella riassume, esemplificativamente, i diversi fattori di

ponderazione attribuiti alle diverse poste dell’attivo (Tabella 1).

Tale distinzione fra le varie poste è basata sul grado di liquidità, la

natura dei mutuatari e l’area geografica di questi ultimi (zona A e

zona B).

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Tabella 1 Coefficienti di ponderazione del rischio per le attività in bilancio Ponderazione

0% Ponderazione

20% Ponderazione

50% Ponderazione

100% Ponderazione

200% Cassa e valori assimilati

Crediti verso banche multilaterali di sviluppo

Mutui assistiti da garanzia reale

Crediti nei confronti di enti del settore pubblico della zona B

Partecipazioni in imprese non finanziarie con risultati negativi negli ultimi 2 esercizi

Crediti verso banche centrali e assimilati della zona A

Crediti verso il settore pubblico della zona A

Contratti su tassi e su titoli di capitali verso settore privato

Crediti per cassa e operazioni fuori bilancio nei confronti del settore privato

Crediti per cassa nei confronti di governi o banche centrali della zona B

Valori all’incasso

Ratei attivi di cui non sia individuabile la controparte

Attività materiali

Per ciò concerne le attività fuori bilancio di tipo creditizio, le

banche devono utilizzare fattori di conversione necessari per

“trasformarle” in esposizioni creditizie per cassa, alle quali applicare i

coefficienti di ponderazione.

Queste operazioni fuori bilancio sono suddivise, da un lato, in

garanzie e impegni, e dall’altro, in contratti derivati.

I fattori di conversione per la determinazione degli equivalenti

creditizi delle garanzie e degli impegni sono (rimandando, per la

classificazione delle varie forme di garanzia e impegni, alla Circolare

della Banca d’Italia 21 aprile 1999, n. 229 ecc.):

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1. 100% per le garanzie e gli impegni a rischio pieno e per quelli in

sofferenza;

2. 50% per le garanzie e gli impegni a rischio medio;

3. 20% per le garanzie e gli impegni a rischio medio-basso;

4. 0% per le garanzie e gli impegni a rischio basso.

Per quanto riguarda i contratti derivati, gli equivalenti creditizi

sono calcolati con due metodologie: i metodi del esposizione corrente

o dell’esposizione originaria per le operazioni a termine collegate ai

tassi di interesse e di cambio; il metodo dell’esposizione originaria

per gli altri contratti derivati.

Con il metodo dell’esposizione corrente, o marking to market, il

valore di mercato di ogni esposizione, ossia il suo costo di

sostituzione, è sommato ad una percentuale fissa del valore nominale

del contratto, funzione della scadenza dell’operazione, corrispondente

all’esposizione potenziale. Il capitale ottenuto viene ponderato, come

in precedenza, per la singola controparte applicando successivamente

il coefficiente minimo dell’8%.

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Tabella 2 Percentuali per il calcolo dell’esposizione potenziale

Vita residua

Contratti su tassi di interesse

Contratti su tassi di cambio e

oro

Contratti su titoli di capitale

Contratti su metalli preziosi eccetto

oro

Contratti su altre merci

Fino a 1 anno

0% 1% 6% 7% 10%

Oltre 1 anno e fino a 5 anni

0,5% 5% 8% 7% 12%

Oltre 5 anni

1,5% 7,5% 10% 8% 15%

Il secondo metodo, definito dell’esposizione originaria, calcola

l’esposizione complessiva applicando al valore nominale di ogni

contratto determinate percentuali indicate nella tabella seguente:

Tabella 3 Fattori di ponderazione per il calcolo dell’esposizione originaria Durata originaria Contratti relativi ai

tassi di interesse Contratti relativi ai

tassi di cambio e oro Fino a 1 anno 0,5% 2% Oltre 1 anno e fino a 2 anni

1% 5%

Incremento per ogni anno successivo

1% 3%

Ovviamente, anche in tal caso, il capitale ottenuto deve essere

moltiplicato per il singolo peso riflettente il rischio della singola

controparte, applicando successivamente alla somma ottenuta il

coefficiente minimo dell'8%.

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1.3 Rischio di regolamento, di controparte e di concentrazione

Il rischio di regolamento costituisce il rischio relativo

all’insolvenza della controparte di una transazione in valori mobiliari

in sede di regolamento. Esso origina dalla possibilità di insolvenza

della controparte al momento del regolamento degli obblighi

contrattuali e riguarda transazioni in titoli azionari ed obbligazionari

che risultano non liquidate dopo la scadenza del contratto e che

presentano una differenza tra prezzo convenuto e prezzo di mercato

che possa comportare una perdita per la banca. Tale requisito

patrimoniale può essere determinato secondo due metodi alternativi:

CV=(Pm-Pc)*A

CV=Pc*B

Dove Cv rappresenta il capitale di vigilanza richiesto, Pm il

prezzo corrente di mercato del titolo oggetto della transazione e Pc il

prezzo contrattuale. A e B sono invece determinati in funzione dei

giorni trascorsi dalla scadenza del contratto senza che la controparte

abbia adempiuto ai propri obblighi di consegna dei titoli o di

pagamento degli importi dovuti.

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Tabella 4 Requisiti patrimoniali relativi al rischio di regolamento Numero di giorni dopo la scadenza

A B

5-15 8 % 0.5 %

16-30 50 % 4%

31-45 75 % 9 %

46 o più 100 % -

Il rischio di controparte ha per oggetto le transazioni rimaste

inadempiute, quelle cioè in cui le banche abbiano effettuato esborsi

per titoli prima di riceverli o abbia consegnato titoli prima di aver

ricevuto il corrispettivo. Il requisito relativo a tale rischio ha per

oggetto solamente il portafoglio di negoziazione, ed è pari all’8% del

valore di mercato dei titoli o della somma da ricevere moltiplicato per

la ponderazione secondo lo schema utilizzato per il calcolo del

coefficiente patrimoniale a fronte del rischio di credito.

Infine vi sono requisiti patrimoniali riferiti al grado di

concentrazione del portafoglio di negoziazione ed, in particolare, nel

caso risulti superato il limite previsto dalla direttiva 92/121/CEE o

direttiva <<grandi fidi>>; in tali casi è prevista una copertura

patrimoniale proporzionale al superamento del limite.

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1.4 Conclusioni

La diffusione di nuovi prodotti finanziari, quali derivati creditizi

e securitization, e lo sviluppo di modelli interni per la gestione del

rischio creditizio hanno da un lato messo in evidenza le carenze, i

problemi e la stessa staticità dello schema di adeguatezza patrimoniale

formulato originariamente dal Comitato di Basilea nel 1988, dall’altro

hanno offerto l’opportunità per una nuova riforma che estenda il

riconoscimento ai modelli interni quali strumenti necessari per una

misurazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche.

Lo schema di adeguatezza patrimoniale presenta particolari

limiti, tra cui il mancato riconoscimento della diversificazione di

portafoglio e il mancato riconoscimento della struttura per scadenze

del rischio di credito, così due esposizioni creditizie con diversa vita

residua presentano lo stesso grado di rischio; ma il problema

maggiore, che non è stato preso in considerazione dal Comitato di

Basilea, e che ha parzialmente ovviato a questo con il documento del

giugno 1999 intitolato A new capital adequacy framework, è

l’applicazione di un’unica ponderazione dei crediti verso il settore

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privato (pari al 100%), non considerando le differenze esistenti fra le

varie imprese in termini di standing creditizio.

Tali limiti inevitabili sono legati alla natura delle norme di

vigilanza, le quali assumono la natura di provvedimenti statici e

inevitabilmente non discriminanti, cioè estesi a tutte le banche, e

devono coprire l’intera gamma di rischi.

Quindi ci si auspica che i vari Paesi partecipanti al Comitato di

Basilea adottino tale nuovo regime regolamentare per le banche,

affinché il rischio di credito venga gestito con dinamicità, come lo è

del resto la stessa realtà economica.

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IL RISCHIO DI PRE-REGOLAMENTO E L’EQUIVALENTE CREDITIZIO

Premessa

L’attività in operazioni a termine che le banche negli ultimi

hanno effettuato con crescente ritmo, e cioè interest e currency swap,

options in cambi e tassi d’interesse, FRA etc., ha fatto sì che le stesse

autorità abbiano previsto requisiti patrimoniali per la gestione del

conseguente rischio di credito.

In questo capitolo analizzo il rischio di controparte connesso alla

negoziazione di strumenti che prevedono flussi di cassa differiti

rispetto alla data di stipula del contratto; in particolare sarà descritto il

metodo dell’<<Equivalente creditizio>> applicato alle operazioni a

termine in cui il rischio di credito può essere scisso in due parti:

rischio di pre-regolamento e di regolamento.

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2.1 Rischio di regolamento e pre-regolamento

Il rischio di credito per operazioni a termine può essere scisso in

due parti, rischio di pre-regolamento e rischio di regolamento.

Il rischio di pre-regolamento si riferisce all’eventuale insolvenza

della controparte prima della scadenza del contratto; tale rischio è

connesso all’eventualità che il valore di mercato della singola

posizione sia divenuto positivo in seguito all’evoluzione del prezzo

dell’attività sottostante e dunque che, in caso di insolvenza della

controparte, la parte solvente sia costretta a sostituire la posizione sul

mercato sopportando una perdita.

Il rischio di regolamento si riferisce all’eventuale insolvenza

della controparte al momento della scadenza del contratto o, più

precisamente, in sede di regolamento; esso deriva, specie nel caso

delle transazioni fra istituzioni residenti in paesi con fusi orari

differenti, dalla non contestualità delle due prestazioni: lo sfasamento

temporale genera infatti il rischio, per una delle due controparti, di

perdite connesse all’insolvenza della controparte nel breve intervallo

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di tempo intercorrente tra una prestazione e l’altra10.

Un esempio chiarirebbe meglio la distinzione tra il rischio di

regolamento e quello di pre-regolamento. Supponiamo che X acquisti

a termine da Y 1000 obbligazioni alfa a tre mesi al prezzo di

Lit.15.000.000 l’una; dal punto di vista di X, il rischio di pre-

regolamento si riferisce alla possibilità che necessariamente, durante i

tre mesi precedenti alla scadenza del contratto, la posizione abbia un

valore positivo e, contemporaneamente, Y divenga insolvente. Così se

dopo un mese i tassi di mercato sono scesi e conseguentemente le

obbligazioni alfa sono salite di Lit.100.000, X sarebbe soggetto ad una

perdita di Lit.100.000.000 nel caso di insolvenza di Y. Invece il

rischio di regolamento si riferisce alla possibilità che Y, una volta

giunta la scadenza del contratto, incassi il controvalore e sia dichiarato

insolvente prima di effettuare la propria controprestazione; in tale caso

la perdita riguarda l’intero ammontare della transazione.

Come si nota il rischio di regolamento è quantificato dall’intero

ammontare della transazione e quindi, non comporta nessun problema

10 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte: il metodo dell’equivalente creditizio, in AA.VV., 589.

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di valutazione dell’esposizione, al contrario del rischio di pre-

regolamento per il quale è necessario calcolare il costo di sostituzione

della posizione che l’istituzione sosterrebbe in caso di insolvenza della

controparte.

Infine mentre il rischio di regolamento nelle transazioni nazionali

e internazionali si è ridotto grazie alla diffusione di sistemi

centralizzati di compensazione delle posizioni (Euroclear, Cedel,

ecc.), il rischio di pre-regolamento è aumentato in seguito

all’incremento delle transazioni e della volatilità dei tassi di interesse e

di cambio11.

11 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,590, cit.

38

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2.2 L’approccio delle autorità di vigilanza

Le autorità di vigilanza (Cee, Direttiva 647/89 del Consiglio

relativa al coefficiente di solvibilità degli enti creditizi, Bruxelles,

1989) nei confronti del rischio di pre-regolamento hanno riservato

alle banche la scelta tra due metodi alternativi, il metodo

dell’esposizione originaria e quello definito marking to market.

Il primo metodo, in quanto lega la stima dell’esposizione del rischio

ad una percentuale prefissata del valore nominale con applicazione

del coefficiente minimo dell8% per ottenere l’ammontare del capitale

richiesto, presenta due limiti, cioè l’indipendenza della

quantificazione del rischio dal valore di mercato della posizione e la

stessa indipendenza rispetto alla volatilità del prezzo dell’attività

sottostante.

Il secondo metodo supera in parte tali limiti in quanto si fonda

sulla stima composta dalla somma delle due esposizioni, corrente e

potenziale. L’esposizione corrente risolve il primo limite perché muta

al variare del valore di mercato della posizione (costo di sostituzione),

mentre il secondo limite, cioè indipendenza del valore di mercato

39

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dalla volatilità del valore di mercato dell’attività sottostante, è

superato parzialmente dalla stima della esposizione potenziale (add-

on) che costituisce una percentuale prestabilita da applicarsi al valore

nominale del contratto a termine (in funzione della scadenza residua

dei tassi di cambio e di interesse).

Tuttavia il metodo del marking to market, nell’ambito del calcolo

dell’esposizione potenziale, costituisce un compromesso inevitabile

per le autorità di vigilanza le quali sono costrette a richiedere, pena

l’eccessiva discrezionalità di cui godrebbero i soggetti controllati,

requisiti di patrimonializzazione indipendenti dalle mutevoli

condizioni dei mercati; resta tuttavia il fatto che diversi tassi di

cambio, così come diversi tassi di interesse, presentano livelli di

volatilità differenti e mutevoli nel tempo10.

Tali limiti possono essere superati dal metodo dell’equivalente

creditizio.

10 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,594, cit.

40

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2.3 Equivalente creditizio

Il metodo dell’Equivalente creditizio seguendo la logica del

marking to market suddivide, per la valutazione del rischio di pre-

regolamento, l’esposizione al rischio in corrente e potenziale11.

L’esposizione corrente, come è stato detto, varia al mutare del valore

di mercato della posizione in essere; l’esposizione potenziale, invece,

è funzione della volatilità del prezzo (tassi di interesse e di cambio) di

mercato.

Quindi l’equivalente creditizio che altro non è che esposizione

complessiva, risulta dalla somma di entrambe le esposizioni.

Supponiamo che una banca abbia acquistato da un’altra banca a

termine, in data 1/1/2000, 10mln di dollari contro lire ad un tasso di

cambio di Lit.2000 il dollaro con scadenza 1/7/2000; supponiamo

inoltre che in data 1/4/2000 il cambio a tre mesi lire contro dollari sia

quotato 2100. Applicando il metodo dell’equivalente creditizio

avremmo:

Esposizione corrente (2100-2000) * 10mln= 1mld

11 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,594, cit.

41

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

Esposizione potenziale, fissato un livello di protezione del

99,5% (cioè un intervallo di confidenza pari a tre volte la deviazione

standard, che supponiamo pari al 2% nell’arco di tre mesi) tale

esposizione, in una logica VAR, sarebbe pari a 2100

*2%*10mln=420mln.

Equivalente creditizio 1mld + 420mln= 1,420mld

Questa metodologia può essere applicata anche ad altri contratti

come FRA e IRS.

42

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2.4 Due brevi esempi di calcolo dell’equivalente creditizio

Per un’applicazione concreta del metodo dell’equivalente

creditizio, saranno analizzati due contratti derivati molto usati nella

pratica bancaria, quali forward rate agreement (FRA) e interest rate

swap (IRS).

Supponiamo che la banca X, in data 15 marzo 2000, abbia

venduto un FRA (3,6) mesi alla controparte Y, con capitale nozionale

di lire 3mld e con tasso contrattuale pari al 5%.

Poiché la banca X incassa il fisso, se dopo due mesi, (cioè il 15

maggio) il tasso variabile scendesse per esempio al 4%, essa avrebbe

in portafoglio una posizione positiva, e solo in questo momento

sarebbe soggetta ad un rischio di pre-regolamento.

Ora supponendo che il tasso z. coupon a 4 mesi fosse pari a

4,5%, il rischio di pre-regolamento per la banca X si suddividerebbe

in due categorie:

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Esposizione corrente:

[(5% - 4%) * 90/360 * 3mld] / (1 + 4,5%*4/12) = Lire

7.390.000

Esposizione potenziale:

2*0,5%*90/360*3mld = Lire 7.500.000

avendo presupposto che la volatilità mensile del tasso Fra (1,4) fosse

0,5%, e che l’intervallo di confidenza, cioè la probabilità che

accadesse al 95%, fosse pari a 2.

Equivalente creditizio:

Lire 7.390.000 + Lire 7.500.000 = Lire 14.890.000

Se prendiamo, invece, come esempio la vendita di un IRS (riceve

variabile) con scadenza originaria di 4 anni, frequenza semestrale dei

pagamenti, tasso contrattuale 10%, vita residua 3 anni, nozionale

100mld, tasso swap a 3 anni 11,5% e tassi z. coupon (11% a 6 mesi,

11,2% a 1 anno, 11,5% a 1,5 anni, 11,7% a 2 anni, 12% a 2,5 anni e

12,3% a tre anni), avremmo:

valore di mercato di ogni flusso: (11,5% - 10%)*100mld*180/360

= Lire 750.000.000;

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Esposizione corrente:

750mln/(1+11%)^1/2+750mln/(1+11%)^1+750mln/(1+11%)^3/2+7

50mln/(1+11%)^2+750mln/(1+11%)^5/2+750mln/(1+11%)^3=

Lire 3.718.980.000

Esposizione potenziale:

0,5*2*1.500.000.000 = Lire 1.500.000.000

volatilità tasso swap = 0,5%

worst case scenario = 2 (95% probabilità di accadimento)

sensitività valore swap = 1%

Equivalente creditizio:

Lire 3.718.980.000 + Lire 1.500.000.000 = Lire 5218980000

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2.5 Elementi che influiscono sull’Equivalente creditizio

Prima di individuare gli elementi che influiscono

sull’Equivalente creditizio, c’è da dire che l’esposizione corrente di un

contratto a termine è nulla al momento della stipulazione del contratto,

se la posizione è posta in essere in un mercato efficiente; al contrario

l’esposizione potenziale è massima al momento della stipula del

contratto, supponendo una costanza della volatilità del prezzo

dell’attività sottostante, ed un conseguente rischio maggiore in caso

di una vita residua abbastanza lunga (ovviamente diminuito al ridursi

della stessa vita residua). Un’ultima considerazione riguarda il grado

di correlazione imperfetta dei prezzi, in cui tale componente è presa in

considerazione soltanto nel caso dei rischi di mercato, in quanto la

correlazione riduce il grado di rischio complessivo. Nel rischio di pre-

regolamento la correlazione imperfetta è presa in considerazione solo

per le transazioni con la medesima controparte12. Se ne desume che

l’esposizione ai rischi di mercato può essere ridotto con politiche di

hedging, mentre nel rischio di pre-regolamento l’unica possibilità

12 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,603, cit.

46

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d’incidenza è rappresentata da accordi di compensazione (netting)

bilaterale delle diverse posizioni nei confronti della medesima

controparte13.

Tra gli elementi contrattuali che influiscono sull’equivalente

creditizio, e quindi sull’esposizione al rischio di pre-regolamento,

abbiamo14:

La scadenza del contratto: contratti che presentano una scadenza

elevata, a parità di condizioni, presentano un’esposizione potenziale

maggiore, in quanto la stessa volatilità del prezzo ad essi associata

risulta più elevata.

La scadenza dello strumento sottostante: sempre a parità di

condizioni, contratti a termine aventi “sottostanti” con scadenza più

elevata presentano un’esposizione potenziale maggiore in quanto la

stessa volatilità del prezzo risulta maggiore.

La frequenza dei pagamenti: contratti che prevedono più flussi di

cassa futuri (IRS, interest rate cap, floor, etc.), a parità di altre

condizioni, presentano una minore esposizione potenziale. Questo

perché si ha un rientro più veloce di un eventuale valore di mercato

13 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,599, cit. 14 cfr.Sironi A., 1995, La gestione del rischio di controparte,600-601, cit.

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positivo della posizione, e poi perché i singoli flussi, avendo una

scadenza mediamente più ridotta, presentano una minore volatilità del

rispettivo valore di mercato.

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2.6 Conclusioni

Sembra, dunque, che l’equivalente creditizio come si è visto, a

differenza dei metodi tradizionali e statici, permette una valutazione

marking-to-market delle posizioni, e questo anche perché tale

metodologia fissa un legame tra il rischio di insolvenza della

controparte e la volatilità del prezzo dell’attività sottostante, facendo

sì che la stessa valutazione del rischio di credito cambi al variare dei

fattori di mercato.

Ovviamente tale metodologia implica costi di organizzazione e

operativi non indifferenti, compresi i supporti informativi necessari

all’acquisizione di dati periodici relativi al valore di mercato delle

singole posizioni e volatilità dei prezzi; tuttavia i vantaggi che ne

derivano saranno ovviamente maggiori, soprattutto in termini

monetari, in quanto tale aspetto del rischio di credito, insieme ad altri

quali rischio di regolamento, rischio paese e di concentrazione,

costituisce ancora un costo rilevante per le banche.

49

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

I DERIVATI CREDITIZI

Premessa

Negli ultimi anni le banche hanno vissuto una rapida mutazione,

dovuta soprattutto all’innovazione finanziaria che ha permesso al

management bancario di coprirsi dai rischi, nei nuovi scenari di

mercato, e di sfruttarne le opportunità grazie all’introduzione dei

derivati finanziari.

Questi strumenti, che permettono agli operatori di coprirsi dai

rischi di mercato (quali rischio di interesse, cambio e prezzi) o,

eventualmente, di effettuare speculazioni su di essi, nati negli anni ’70

e sviluppatisi soprattutto negli anni ’80 e ’90 nei mercati anglosassoni,

sono diventati i mezzi più economici e più veloci con i quali poter

prendere posizione e coprirsi da eventuali variazioni sfavorevoli dei

fattori di mercato.

Tali strumenti, tuttavia, hanno attraversato un percorso di

espiazione per essere prima accettati e poi mitizzati15.

15 Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, 1999,Bancaria n.3, p.56.

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Lo stesso possiamo dire per i derivati creditizi, noti col termine

anglosassone credit derivatives16, che hanno raggiunto un volume

iniziale di 70 miliardi di dollari e che presentano un potenziale di

crescita enorme17. Secondo la stima della British

Banckers’Association, il solo mercato di Londra entro il 2000

potrebbe raggiungere 1.200 miliardi di dollari18.

In generale, i derivati creditizi rappresentano una famiglia di

contratti che consentono di isolare e negoziare il rischio di credito

relativo a una determinata attività finanziaria, senza che l’attività

stessa venga trasferita, come avviene con il factoring e la stessa

securitization, e senza ricorrere ad un contratto di garanzia personale o

reale.

I derivati creditizi sono destinati a diventare gli strumenti più

importanti per la gestione del rischio creditizio e, al pari dei derivati

finanziari per i rischi di mercato, sono operazioni caratterizzate da un

elevato grado di personalizzazione e operatività sui mercati over-the-

counter. Il rischio di credito, inteso come il rischio che un debitore

non sia in grado, in tutto o in parte, di ripagare il proprio debito, e’ il

16 Hattori P.K., The Chase guide to credit derivatives in Europe, Chase Manhattan International Ltd, 1996, Londra. 17 British Banckers’ Association, BBA Credit derivatives report, novembre 1996, Londra, p.7.

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rischio più antico e più pesante a cui è esposta una banca. Esso è

presente nelle tradizionali operazioni di prestito, nel peggioramento

del merito creditizio degli emittenti dei titoli detenuti in portafoglio e

anche negli stessi contratti derivati.

Infine possiamo affermare che se anche le crisi dei mercati in

Russia e in Indonesia, nella seconda metà del ’98, hanno raffreddato

l’entusiasmo di tali strumenti, il superamento di determinati ostacoli,

legati a problemi tecnici e giuridici delle operazioni stesse, potrebbe

consentire ai credit derivatives di ricoprire un significativo ruolo di

nicchia all’interno dei mercati finanziari19.

18 British Banckers’ Association, BBA Credit derivatives report,1996. cit. 19 Drago D., 1998, Gli strumenti per la gestione del rischio di credito: i credit derivatives, in AA.VV., La misurazione e la gestione del rischio di credito (a cura di Sironi A., Marsella M. ), Bancaria, Roma, p. 349.

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3.1 La struttura del mercato e i limiti allo sviluppo dello stesso

La valutazione del grado di diffusione e dei volumi scambiati dei

derivati creditizi non è molto semplice, poiché non è semplice la

stessa classificazione dei credit derivatives, ossia se una particolare

fattispecie rientra nei medesimi. Non è altresì facile valutare un

mercato non ancora globalmente regolamentato, ossia un mercato

over-the-counter: che risulta pertanto un mercato poco trasparente.

L’unica cosa certa è che il mercato tende a crescere in modo

esponenziale, così risulta da una stima della British Banckers

Association in un rapporto del 199620; infatti lo stesso mercato, che

fino a qualche anno fa risultava poco liquido, e causa di uno

scoraggiamento degli operatori, oggi risulta più attivo e liquido. La

spinta iniziale è venuta da grosse banche d’affari come Bankers Trust,

Chase Manhattan e JP Morgan, ma la recente liquidità è da attribuirsi

ad un consistente ingresso di altre banche, resesi conto delle

opportunità che tali prodotti offrono21.

20 British Banckers’ Association, BBA Credit derivatives report,1996. cit. 21 Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici, in AA.VV., (a cura di Szego G., Varetto F. ), Il rischio creditizio, UTET, Torino, p.496.

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Oggi negli Stati Uniti vi sono molte istituzioni finanziarie che

operano in qualità di market makers, e quindi rendono lo stesso

mercato liquido e appetibile; infatti i tagli delle operazioni vanno da

10 milioni di dollari a 1 miliardo di dollari.

Tuttavia tale mercato potrà raggiungere la “sua” vera

globalizzazione solo nel momento in cui gli stessi contratti saranno

standardizzati e potranno essere prezzati gli stessi premi che il

protection buyer (compratore di protezione) paga al protection seller

(venditore di protezione).

Nonostante ciò vi sono dei limiti allo sviluppo del mercato dei

credit derivatives, dovuti a22:

1. puntuale definizione del credit event e del trigger event;

2. regolamentazione, nel senso che la normativa in tema di

adeguatezza patrimoniale per il rischio di credito non riconosce ancora

i benefici effetti di hedging sul portafoglio crediti forniti dai derivati

creditizi.

3. difficile valutazione del pricing del premio da pagare o incassare

quando si acquista o si vende protezione.

22 Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, cit., p.67.

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4. cultura, in quanto il rischio di credito non sembra aver

guadagnato quell’attenzione prioritaria, essendo gestito con tecniche

tradizionali di valorizzazione della qualità degli impieghi e attraverso

l’applicazione di metodologie che non si evolvono alla stessa velocità

di cambiamento del mercato23.

Tuttavia tali limiti non hanno ostacolato, più di tanto, lo sviluppo

di quelli che, ad oggi, rappresentano efficienti strumenti di gestione e

controllo del più antico e problematico rischio che le banche

affrontano dalla loro nascita, il rischio di credito.

23 Scardovi C., Pellizzon L., Iannaccone M., 1998, Pianificare il credito e gestirne il rischio con i credit derivatives, in Banche e Banchieri n.1, p.103.

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3.2 Definizione ed elementi contrattuali comuni alle varie tipologie

Come abbiamo già detto sopra, i credit derivatives sono contratti

che hanno ad oggetto il trasferimento del rischio di credito senza il

trasferimento del credito sottostante. La parte che assume il rischio è

nominata protection seller, mentre l’altra parte è nominata protection

buyer.

Prima di passare alla definizione e classificazione delle varie

fattispecie, è necessario definire una serie di elementi comuni alle

varie tipologie; in ciò è necessario fare riferimento alle prescrizioni

dell’ISDA (International swap and derivatives association) che è

un’associazione, con sede a New York, che riunisce i principali

operatori del mercato dei derivati over the counter.

Protection buyer: è il soggetto che stipula il credit derivative, al fine

di eliminare o ridurre la sua esposizione al rischio di credito

dell’emittente l’attività sottostante.

Protection seller: è il soggetto che si espone al rischio di credito del

soggetto di riferimento (reference entity) vendendo protezione.

Titolo sottostante: costituisce l’attività finanziaria dal cui rischio di

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credito ci si vuole proteggere. Tale attività sottostante può essere un

credito commerciale, un prestito bancario, obbligazioni di imprese o

enti pubblici, titoli di Stati Sovrani, debiti delle economie emergenti o

anche lo stesso rischio di controparte generato da altri derivati.

Titolo di riferimento: costituisce l’attività finanziaria a cui il derivato

creditizio si riferisce, per determinare l’an e il quantum del

pagamento, qualora l’attività sottostante, dal cui rischio di credito ci si

vuole proteggere, non si è quotata sul mercato; in questo caso

l’oggetto del credit derivative non è più l’attività sottostante ma un

titolo similare, facilmente quantificabile.

Soggetto di riferimento (reference entity): il soggetto emittente il

titolo di riferimento. Se il titolo di riferimento, come suesposto,

differisce dal titolo sottostante, allora può accadere che il soggetto di

riferimento differisca dal soggetto emittente il titolo sottostante.

Credit event: l’evento al cui verificarsi è condizionato il sorgere

dell’obbligazione di pagamento previsto nel contratto; è rilevante solo

in alcuni credit derivatives, come credit default swap, tror swap e certi

tipi di credit linked note.

Recovery value: è il valore che il titolo di riferimento ha dopo il

verificarsi del credit event.

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Credit event payment: costituisce l’ammontare dovuto dopo il

verificarsi del credit event, le cui modalità di calcolo sono definite nel

contratto.

La descrizione di qualunque contratto derivato comporta

l’indicazione dell’attività sottostante che, come detto sopra, può essere

qualsiasi attività finanziaria, e nel caso dei credit derivatives essa altro

non è che un <<nome>>, ossia un soggetto, impresa o anche Stato

Sovrano nei confronti del quale esiste un’esposizione creditizia24. Tale

soggetto è denominato reference entity, che solitamente è tradotto in

soggetto di riferimento o nominativo di riferimento.Esso normalmente

non è parte del contratto derivato creditizio, anzi la maggior parte

delle volte è all’oscuro dell’avvenuta transazione. A differenza dei

financial derivatives, il payoff del derivato creditizio non dipende dal

movimento dei prezzi del sottostante ma dal verificarsi di un credit

event della reference entity, ossia un evento che esprime la potenziale

o attuale insolvenza del soggetto di riferimento, o anche il

peggioramento del suo merito creditizio. L’ISDA ha individuato otto

ipotesi di credit event, cioè:

24 Drago D., 1998, Gli strumenti per la gestione del rischio di credito, cit. p.351.

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Banckruptcy, cioè l’assoggettamento del soggetto di riferimento

a una qualsiasi forma di procedura concorsuale o la cessazione della

sua attività.

Credit event upon merger, fa riferimento a eventi come fusioni e

incorporazioni, che comportino un peggioramento sostanziale del

rischio di credito relativo al nuovo soggetto nascente dalla fusione o

incorporazione.

Cross acceleration: ogni inadempimento contrattuale, diverso dal

mancato pagamento di denaro, che abbia portato la perdita del

beneficio del termine in relazione a obbligazioni di pagamento a

chiunque e sempre che tali obbligazioni risultino inadempiute dopo la

decadenza del beneficio del termine.

Cross default: ogni inadempimento contrattuale, diverso dal mancato

pagamento di denaro, che comporti la possibilità della perdita del

beneficio del termine in relazione a obbligazioni di pagamento a

chiunque dovute.

Downgrade: perdita del rating o sua diminuzione al di sotto di un

livello predeterminato.

Failure to pay: mancato pagamento di un’obbligazione, di norma al di

sopra di un certo ammontare ritenuto significativo dalle parti.

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Repudiation: disconoscimento o contestazione della validità di

obbligazioni di pagamento.

Restructuring: cioè eventi come moratoria, posticipazione, proroga,

rinegoziazione di obbligazioni di pagamento aventi l'effetto di

peggiorare il rischio di credito o il rendimento del detentore delle

obbligazioni stesse.

Le parti, quindi, possono scegliere una di queste ipotesi come

credit event, al verificarsi del quale sorge un obbligazione di

pagamento in capo al protection seller, il quale assume il rischio di

credito in favore del protection buyer contro pagamento di una

commissione all’inizio del contratto o “spalmata” durante la vita dello

stesso25. Non è nemmeno necessario che il protection buyer abbia

un’esposizione creditizia nei confronti della reference entity, il

compratore, infatti, potrebbe volere effettuare speculazioni al

verificarsi del credit event.

I flussi di cassa generati dal credit derivative dipendono dalla

variazione di prezzo del titolo di riferimento indicato nel contratto, e il

compito di effettuare tali valutazioni è effettuato dal calculation agent,

25 Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, cit., p.57.

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indicato nel contratto, che può essere esterno ad esso o può coincidere

con una delle parti.

In realtà il credit event è riferito all’attività sottostante e quindi,

come è naturale per ogni contratto derivato, i flussi di cassa generati

dal credit derivative dipendono dalla variazione di prezzo del titolo

sottostante; tuttavia qualora la valutazione del titolo sottostante non

possa essere effettuata perché, per esempio, lo stesso non è un titolo,

come può essere un prestito, o non è un titolo quotato sul mercato,

oggetto del credit derivative è il titolo di riferimento, che è similare

all’attività sottostante, e quindi il soggetto di riferimento differisce

dall’emittente l’attività sottostante.

I credit derivatives si suddividono in due gruppi:

credit-default products

replication products

La prima categoria di strumenti consente il trasferimento del solo

rischio di credito al verificarsi di un credit event che colpisca un

determinato soggetto indicato nel contratto. I credit-default products

originano un payoff soltanto in conseguenza di un credit event. Lo

strumento più diffuso è il credit default swap.

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I replication product consentono di creare sinteticamente una o

più attività sensibili al rischio di credito con vantaggi in termini di

efficienza e di abbattimento dei costi. Il payoff dei replication product

dipende dai flussi di cassa e dall’andamento del prezzo del titolo di

riferimento e quindi non si verifica solo in caso di credit event. Lo

strumento più diffuso è costituito dal total return swap26.

26 Drago D., 1998, Gli strumenti per la gestione del rischio di credito, cit. p.354.

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3.3 I rischi nei derivati creditizi

I derivati creditizi, come tutti i derivati, presentano determinati

profili di rischio, quali:

rischio operativo: esso consiste nella possibilità che un operatore

assuma, di sua iniziativa, posizioni speculative non autorizzate con

effetti dirompenti; da ciò si capisce l’importanza della costituzione di

un rigoroso sistema di controlli interni che non dia eccessiva

discrezionalità e potere a singoli soggetti27;

rischio di controparte: il rischio di controparte, paradossalmente, è

presente anche nei credit derivatives che, appunto, coprono il rischio

di credito presente nelle varie posizioni creditorie, e ciò in quanto una

delle parti del contratto derivato potrebbe non adempiere la sua

obbligazione, se in posizione debitoria. Tuttavia questa è una

eventualità remota perché dovrebbe essere insolvente anche

l’intermediario che ha curato il buon fine della transazione;

rischio di liquidità: è presente in coloro che emettono contratti

derivati, o assumono posizioni speculative, e non vi è l’esistenza di un

27 Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici, cit, p. 498.

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mercato secondario liquido che permetta lo smobilizzo di posizioni

diventate eccessivamente onerose oppure soddisfacenti per

monetizzare i guadagni;

rischio legale: si ha nel momento in cui non vi è regolamentazione di

un prodotto, così un eventuale azione giudiziale promossa da una

controparte può comportare la nullità del contratto28.

È necessaria, quindi, una disciplina di tali prodotti che possa

risolvere il primo e il quarto rischio, affinchè il mercato dei derivati

creditizi possa svilupparsi globalmente, cossicchè anche lo stesso

rischio di liquidità venga meno.

28 Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici, cit, p. 499.

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3.4 Tipologie varie

Tenteremo di classificare le varie tipologie di derivati creditizi

fra i più comuni e più utilizzati tra i vari operatori nelle varie

negoziazioni.

3.4.1 Credit defaul swap

Il credit default swap semplice è un contratto in base al quale il

promittente, verso il pagamento di un premio, si impegna ad eseguire

un pagamento predeterminato in favore di un promissario al

verificarsi di un evento futuro e incerto, che esprime il deterioramento

del profilo creditizio di un terzo29.

Quindi da tale definizione si rileva che, nel credit swap default, il

promissario (protection buyer) paga un premio periodico espresso in

punti base rispetto al nozionale e funzione della probabilità del

verificarsi dell’evento, e riceve dal promittente (protection seller), che

acquista un’esposizione creditizia (rischio di riferimento) nei confronti

29 Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, Giuffrè, Milano, p.19.

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della reference entity, un pagamento condizionato al verificarsi di un

evento creditizio (credit event) riguardante la reference entity.

Tale evento creditizio può consistere, non solo in un mancato

pagamento del soggetto di riferimento o di una dichiarazione

giudiziale di insolvenza, oppure dell’instaurarsi di una procedura

concorsuale, ma anche nella variazione del suo rating creditizio;

inoltre il protection buyer riceve copertura solo dal rischio di credito

ma non dal rischio di prezzo.

L’importo nozionale è il valore di riferimento dello swap che

consente la determinazione dell’ammontare dovuto dal protection

seller al verificarsi del credit event.

Generalmente il credit event si considera avvenuto soltanto

quando esistono informazioni pubbliche diffuse da quotidiani a larga

diffusione o reti di informazioni elettroniche, quali Reuters o

Bloomberg30. Tuttavia ciò non basta a rendere dovuto il credit event

payment, ma è necessaria la cosiddetta materialità (materiality), cioè il

credit event deve produrre una perdita di valore del titolo di

riferimento; tale perdita di valore, necessariamente per ridurre

elementi di discrezionalità, non deve essere inferiore ad una certa

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percentuale del titolo stesso, altrimenti non scatta l’obbligo del

protection seller.

Se l’evento si verifica si ha il regolamento del contratto, che può

essere effettuato in due modi: pecuniario e fisico.

Secondo il metodo di regolamento pecuniario il credit payment

default può essere calcolato con due diversi procedimenti, cioè in base

al valore che ha perso il titolo di riferimento (credi default swap

floating), oppure in base ad una percentuale stabilita del valore del

nozionale (credit default swap fixed).

Secondo il primo procedimento (floating), una volta determinato

il valore che il titolo di riferimento ha dopo il credit event (recovery

value), l’ammontare che il protection seller deve corrispondere al

protection buyer (credit event payment) è pari, per i titoli quotati, al

prodotto del valore del nozionale del contratto per la diminuzione

percentuale subita dal titolo di riferimento:

CEP= N*(Vi-Rv)/100

CEP= Credit event payment;

N = Valore nozionale del contratto (titoli quotati hanno valore nominale pari a 100);

30 Monti E., Credit derivatives: anatomia di un successo, cit., p.57.

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Vi = valore iniziale del titolo di riferimento al momento della

stipulazione del contratto;

Rv = recovery value. Per quanto riguarda i titoli non quotati:

CEP=Pi-Rv

Pi = valore iniziale del credito di riferimento

Rv= recovery value del credito di riferimento

Secondo il procedimento fixed, che è attuato qualora non è

possibile stimare la perdita, perché trattasi di titoli non quotati o di

prestiti bancari, il credit payment event è calcolato a priori ed è una

percentuale del valore del nozionale, pari, cioè, alla differenza tra il

valore iniziale del titolo di riferimento e il recovery value atteso. Il

metodo di regolamento fisico consiste nella consegna fisica, da parte

del protection buyer, del titolo di riferimento al protection seller,

contro un ammontare pari al valore nominale del credito. È irrilevante

che le parti abbiano rapporti creditizi con la reference entity, ben

potendo il contratto costituire uno strumento di speculazione e non di

copertura.

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3.4.2 Credit default option

La credit default option può essere definita come un contratto in

forza del quale le parti rendono irrevocabile la proposta del contraente

vincolato (protection seller), lasciando all’altra parte (protection

buyer), che è obbligata a pagare il premio, il diritto di concludere il

contratto subordinatamente al verificarsi di un evento futuro ed

incerto, che esprime il deterioramento del profilo creditizio di un

terzo31.

Generalmente la option è put, e ciò sta a significare che nel

momento in cui si verifica il credit event, il protection buyer ha il

diritto, ma non l’obbligo, di trasferire il titolo di riferimento al

protection seller contro il ricevimento del valore nominale dello

stesso. Se il credito da trasferire non riguarda un titolo ma un

determinato credito, al verificarsi del credit event il protection seller

diviene cessionario dello stesso. Tuttavia la credit swap option può

essere anche di tipo call, facendo sì che al verificarsi del credit event il

protection buyer può esercitare tale opzione e acquistare, a suo

31 Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito,cit.,p.47.

69

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piacimento, titoli primari, diversi dal titolo di riferimento, ad un

prezzo scontato.

3.4.3 Total rate of return of swap

Il tror swap consiste in un accordo in base al quale il protection

buyer (total return payer) si impegna ad effettuare dei pagamenti il cui

ammontare equivale a) ai pagamenti eseguiti da un terzo (rischio di

riferimento) in relazione ad uno specifico debito (titolo di

riferimento); b) alle variazioni del valore di mercato del titolo di

riferimento in aumento rispetto al valore che esso aveva alla

conclusione del contratto di swap. In cambio il protection seller (total

return receiver) si impegna ad effettuare dei pagamenti il cui

ammontare consiste: a) in una somma periodica determinata

applicando un tasso di interesse di riferimento ad un capitale

nozionale pari all’ammontare del titolo di riferimento; b) nelle

variazioni del valore di mercato del titolo di riferimento in

diminuzione rispetto al valore che esso aveva alla conclusione

70

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del contratto di swap32.

Gli elementi essenziali del Tror swap sono:

capitale nozionale;

frequenza dei pagamenti;

modalità di determinazione dei due distinti flussi di pagamento;

scadenza del contratto.

Generalmente la struttura finanziaria più utilizzata di tale

contratto è quella che prevede due flussi finanziari, di cui uno

indicizzato ad un tasso di riferimento (Libor o un altro tasso

interbancario) maggiorato di uno spread, e l’altro indicizzato ad

un’attività finanziaria, titolo di riferimento, solitamente un prestito

bancario o un titolo di debito.

Il soggetto che paga il rendimento del titolo di riferimento e

riceve pagamenti indicizzati ad un tasso di riferimento (Libor) è

nominato total return payer, mentre l’altro che esegue pagamenti

indicizzati al Libor e riceve, dal total return payer, il rendimento del

titolo di riferimento, è nominato total return receiver.

32 Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit., p.52.

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Il total return swap, che significa scambio del rendimento totale,

può essere effettuato secondo due varianti: la prima prevede, nel caso

di un titolo obbligazionario come attività di riferimento, pagamenti

periodici con un pagamento finale del rendimento totale (total return),

l’altra prevede pagamenti periodici del rendimento totale. In base alla

prima variante al termine di ogni periodo il payer e il receiver si

scambieranno i flussi di interesse, mentre alla scadenza del contratto

swap, o in caso di credit event del soggetto di riferimento, il payer

pagherà il capital gain al receiver se il titolo di riferimento si sarà

apprezzato, oppure riceverà il capital loss se il titolo di riferimento si

sarà deprezzato.

Un esempio potrà chiarirne la struttura: supponiamo che una

società ALFA abbia in portafoglio titoli obbligazionari per un valore

di 10 milardi emessi dalla società BETA, e voglia proteggersi dal

rischio di una svalutazione di tali titoli stipulando un Tror swap con la

società GAMMA; il titolo obbligazionario (titolo di riferimento) è

quotato sul mercato a 102 nominale e corrisponde interessi periodici

semestrali del 5%, il tasso di riferimento indicizzato che il receiver

GAMMA (protection seller) dovrà pagare al payer ALFA (protection

buyer) è il Libor maggiorato di uno spread pari al 1% e infine il

72

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

contratto ha la durata di 3 anni. Ora ogni semestre il payer riceve dal

receiver Lit. 10 miliardi*(Libor+1%)/2 e paga allo stesso Lit. 10

milardi*5%/2=Lit. 250.000.000; se alla fine dei 3 anni il titolo valesse

98 nominali, oltre allo scambio di pagamenti, il payer riceverà dal

receiver, come total return, ((102-98)/102)*10

miliardi=Lit.392.156.000, mentre se il titolo valesse 103, per esempio,

il payer dovrà pagare al receiver ((103-102)/102)*10 milardi=Lit.

98.039.000.

La seconda variante, utilizzando lo stesso esempio, prevede che il

total return, alla fine di ogni semestre, sia pari, per il payer, alla

somma algebrica degli interessi (Lit. 250.000.000.) e della variazione

percentuale positiva (capital gain) del titolo di riferimento, mentre per

il receiver alla somma algebrica degli interessi (Lit. 10

miliardi*(Libor+1%)/2) e della variazione percentuale negativa

(capital loss) del titolo di riferimento. Da tale esempio si può dedurre

che il tror swap non trasferisce solo il rischio di credito, ma anche

il rischio di mercato; infatti le variazioni di prezzo non derivano solo

dalle variazioni del rating della reference entity, ma anche dalla

variazione della struttura dei tassi di interesse (risk free) e, se il titolo è

in valuta, da variazioni del rischio di cambio.

73

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Generalmente si prevede che il Tror abbia fine anche prima della

scadenza, qualora si verifichi un credit event; quindi l’ultimo flusso

deriva dalla valutazione del titolo di riferimento dopo il credit event.

Un’ultima considerazione riguarda i soggetti che stipulano

contratti Tror swap in qualità di receiver; questi hanno l’opportunità di

sfruttare l’effetto leverage in quanto investendo poco capitale (flussi

di capitale indicizzati al Libor) riescono a ottenere un rendimento su

un pool di assets: è il caso degli hedge funds.

3.4.4 Credit spread swap

Il credit spread swap è il contratto in forza del quale una parte si

obbliga ad effettuare il pagamento di una somma di denaro, qualora

aumenti il differenziale tra il valore di un titolo di riferimento ed un

indice che rappresenta il profilo creditizio di un terzo, e l’altra parte si

obbliga ad effettuare il pagamento di una somma di denaro qualora

detto differenziale diminuisca33.

33 Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit.,p.62.

74

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La descrizione della fattispecie necessiterebbe un esempio.

Supponiamo che l’impresa ALFA abbia in portafoglio titoli

obbligazionari dell’impresa BETA, e che tali titoli gli fruttino un

interesse annuo superiore del 2% rispetto a titoli senza rischio,

espressi nella stessa divisa, come potrebbero essere i titoli di stato. Se

ALFA vuole assicurarsi un’adeguata remunerazione nel tempo,

in modo che la stessa variazione del profilo creditizio di BETA gli

assicuri lo stesso rendimento, può concludere un contratto di credit

spread swap con GAMMA in base al quale quest’ultimo si obbliga a

pagare a ALFA la differenza positiva tra il margine iniziale esistente

tra i titoli emessi da BETA e i titoli di stato (in questo caso il 2%) e lo

stesso margine esistente in una data successiva; ALFA nello stesso

tempo si obbliga a pagare a GAMMA la stessa differenza se negativa.

Se alla data prefissata nel contratto il rating di BETA fosse

peggiorato, e quindi lo spread richiesto fosse del 2,5%, GAMMA

dovrebbe pagare ad ALFA il margine dello 0,5% calcolato sui titoli

BETA, per ricompensargli della perdita di valore dei titoli; e

viceversa, nel caso in cui la differenza fosse positiva a causa di un

miglioramento del profilo creditizio di BETA. In tale credit derivative

il pagamento dovrebbe essere calcolato utilizzando il concetto di

75

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duration dello spread, ossia la variazione del titolo di riferimento al

variare di un punto % dello spread. Nell’esempio sopra citato,

supponiamo che la duration sia 4, il controvalore dei titoli BETA

50.000.000 di sterline e la variazione 0.5%, come nell’esempio, il

pagamento di GAMMA in favore di ALFA sarà:

50.000.000 sterline * 4* 0,5%= 1.000.000 sterline

Da tale esempio si intuisce che ciò che le parti si scambiano è il

margine creditizio tra il rendimento di un’attività finanziaria rischiosa

e un’altra che non lo è, come potrebbe essere il caso dei titoli di Stato.

Tuttavia il credit spread swap potrebbe essere utilizzato, come è

il caso di un’impresa che si finanzia sul mercato, per evitare che il

deterioramento della propria struttura finanziaria comporti un

incremento dei costi di finanziamento; il modo di coprirsi da tale

rischio fa sì che tale credit derivative differisce dall’IRS in quanto

è indipendente dai tassi di mercato. Un esempio potrà chiarire ciò

detto. Supponiamo che l’impresa ALFA abbia bisogno di finanziarsi

per un periodo di quattro anni chiedendo finanziamenti alla banca X, e

immaginiamo che in base al suo profilo creditizio la banca gli potrà

concedere un prestito ad un tasso pari ad un BTP a 5 anni più uno

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spread del’1% rivedibile ogni anno. ALFA, accettando, se vuole

coprirsi dal rischio che un deterioramento del suo rating comporti una

revisione delle condizioni contrattuali, e quindi la richiesta di uno

spread maggiore, può stipulare un credit spread swap con un terzo, per

un periodo di quattro anni o comunque per il tempo in cui vuole

tutelarsi, in cui paga l’1% e riceve, annualmente, la differenza tra il

rendimento di un’attività con rischio analogo e quello di un BTP. Se

lo spread a fine anno è aumentato, supponiamo sia il 2%, potrà coprire

tale aumento del costo di finanziamento, pari all’1%, con il guadagno

derivante dallo swap, pari all’1%; nel caso contrario il guadagno, cioè

il minor costo di finanziamento, sarà compensato dalla perdita sullo

swap.

Come si evince, anche tale fattispecie, come il Tror swap, non

è legata direttamente ad un credit event.

3.4.5 Credit spread option

La credit spread option è il contratto in forza del quale una parte

acquista il diritto, ma non l’obbligo, di concludere un credit spread

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swap a condizioni predeterminate, la cui perfezione dipende

esclusivamente dalla sua scelta, senza necessità di ulteriore intervento

da parte del venditore dell’opzione34.

Questo contratto non necessariamente è legato ad un credit event

che può condizionare le relative obbligazioni, come succede nel credit

default option e nel credit default swap. Generalmente un’opzione può

essere call oppure put, e questo è anche il caso della credit spread

option. Nel caso dell’ultimo esempio del paragrafo precedente,

l’impresa ALFA avrebbe potuto acquistare una call sullo spread, con

uno strike dell’1%, esercitandola nel momento in cui lo spread tra

titolo di riferimento e il BTP fosse aumentato, oppure non

esercitandola nel caso contrario, beneficiando, quindi, di una

riduzione, al netto del premio pagato per l’opzione, del costo del

finanziamento.

Nel caso di un’opzione put il compratore può anche speculare

sulle aspettative degli spread, esercitando l’opzione nel caso in cui lo

spread diminuisse.

34 Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit., p.73.

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3.4.6 Credit linked note

La credit linked note risulta assimilabile ad un titolo

obbligazionario, la cui particolarità sta nel fatto che il pagamento del

capitale a scadenza e degli interessi è condizionato dal pagamento del

capitale e degli interessi di un titolo di riferimento emesso da un terzo

(rischio di riferimento)35.

Le credit linked note sono assimilabili ai cosiddetti titoli strutturati,

che sono titoli derivanti dalla combinazione di un’obbligazione con

uno strumento derivato. Gli strumenti derivati generalmente utilizzati

sono il credit defaul swap ed il Tror swap. L’emittente della “note” è

un intermediario ad altissimo rating, oppure Special Purpose Vehicle

(SPV), che è una società creata ad hoc. La peculiarità di tale

operazione consiste nel fatto che una SPV emette delle obbligazioni

(notes), solitamente a breve termine, acquistate dagli investitori, e

utilizza i proventi acquisiti dall’emissione per l’investimento in titoli

ad elevatissimo rating (condizione importantissima di cui ne

parleremo in seguito) come lo sono i titoli di Stato, a garanzia

dell’emissione stessa. Nello stesso istante lo SPV stipula un credit

35 Nassetti C. F., 1998, I contratti derivati di credito, cit., p.77.

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default swap con un terzo che possiede crediti in portafoglio e vuole

tutelarsi dal rischio di credito, nel senso che teme un degrado del

profilo creditizio dei suoi debitori. In tale modo il terzo (che è un

protection buyer) paga un premio allo SPV che è un protection seller

in nome proprio ma per conto degli investitori.

Gli investitori ricevono, come compenso del loro investimento,

gli interessi derivanti dall’investimento effettuato dallo SPV in titoli

ad elevatissimo rating (titoli di Stato), più il premio che il terzo

(protection buyer) versa allo SPV.

Con questa struttura l’investitore avendo incorporato il rischio di

credito (rischio di riferimento) del titolo di riferimento (i crediti del

terzo) riceve un rendimento molto alto rispetto alla somma investita.

Quindi dal punto di vista dell’investitore l’acquisto di una note

equivale alla sottoscrizione di un’obbligazione ordinaria e, nello

stesso istante, alla stipulazione di una credit default swap in qualità di

protection seller. Se si verifica il credit event, ad esempio il terzo

fallisce, la note si estingue anticipatamente e gli investitori, ciascuno,

ricevono una somma pari alla differenza tra il valore nominale della

note e il pagamento dovuto dallo SPV, in qualità di protection seller,

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al terzo. Un esempio è necessario per agevolare la comprensione della

fattispecie.

Supponiamo che la banca ALFA abbia in portafoglio prestiti

obbligazionari emessi dalla società X del valore di 1mld di yen aventi

rating BBC, e voglia tutelarsi da un eventuale deterioramento del

profilo creditizio degli stessi creando ad hoc uno SPV la quale emette

credit defaul notes a due anni del valore di 200 mln di yen, che

vengono acquistati dalla società BETA (investitore). Nello stesso

tempo SPV investe questi 200mln di yen in titoli di Stato, a garanzia

dell’investitore, con rendimento pari al 2% annuo e versato

direttamente a BETA. Supponiamo che il contratto abbia come credit

event il fallimento del soggetto di riferimento (società X) e come CEP

(credit event payment) la differenza tra il valore iniziale delle

obbligazioni, 1mld di yen, e il recovery value. SPV riceve come

premio da ALFA, e trasferisce a BETA, 1,5% annuale di premio, in

modo che BETA faccia un investimento con una leva finanziaria

(leverage) pari a 5 (1mld/200mln) e un rendimento pari a 9,5%

(15.000.000 di premi pagati da ALFA più 4.000.000 di rendimento dei

titoli di Stato, il tutto diviso 200.000.000).

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In realtà non è casuale che SPV abbia emesso 200.000.000 milioni di

notes e non un miliardo, in quanto è stato supposto, quindi a nostro

piacimento, che per i titoli della società X avente rating BBC c’è solo

una piccola percentuale, ad esempio del 3%, che il valore della perdita

sia superiore a 200.000.000 di yen, cioè il 20%. Se per esempio il

valore della perdita fosse superiore al 20%, SPV non sarebbe in grado

di onorare in pieno, in qualità di protection seller, le obbligazioni

derivanti dal credit defaul notes, e quindi fallirebbe (Figura 1).

Fig. 1 Esempio di Credit Default Note.

Da tale struttura si può notare che quando la “note” prevede una

leva, la copertura non sia totale. Il meccanismo di emissione di un

total return credit linked note è uguale al credit default note.

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3.4.7 Altre tipologie di derivati creditizi

Con l’innovazione sempre più crescente le varie tipologie di

derivati creditizi stanno aumentando col passare degli anni;

elenchiamo sotto alcuni dei più recenti36:

Basket linked credit default swap: trattasi di una variazione

rispetto al credit default swap in quanto offrono una protezione

maggiore, verso un paniere di titoli di emittenti diversi, ad un prezzo

basso, visto che il protection buyer riceve il pagamento (credit event

payment) non appena almeno uno di tali emittenti divenga insolvente.

One or zero notes: tali titoli sono venduti ad un forte sconto

rispetto al valore nominale e si differenziano dalle basket linked per il

payoff binario (se per un titolo di riferimento si verifica, prima della

scadenza, il credit event previsto nel contratto il protection buyer

perde il suo capitale, altrimenti il rimborso avviene alla pari).

Leveraged notes: tali sono titoli caratterizzati dal fatto di essere

molto sensitivi alla variazione del prezzo del titolo di riferimento.

36 Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici,cit.,p. 511.

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Substitution options: sono opzioni che conferiscono al protection

buyer il diritto di scambiare un titolo con un altro specificato nel

contratto al verificarsi di un evento creditizio.

Fixed rate bond options: sono opzioni che hanno come

sottostante il prezzo di un titolo a reddito fisso, elemento questo che

rende la loro natura ibrida, in quanto assommano in sé le

caratteristiche proprie di derivato creditizio e di uno sui tassi

d’interesse consentendo così di coprirsi da entrambi i rischi.

Dynamic credit swap: si tratta di un credit swap in cui il

nozionale non è fisso; il compratore della protezione si garantisce nel

caso si verifichi un determinato evento creditizio un pagamento

basato sul valore di mercato in quel momento di uno specifico

strumento finanziario. Tale caratteristica è molto utile in caso ci si

voglia proteggere contro il rischio di credito derivante da un

contratto derivato, come ad esempio uno swap a lungo termine in cui

l’esposizione dei contraenti è molto volatile durante la vita del

contratto.

Downgrade options: sono in tutto simili alle credit defaul option,

con l’unica differenza che in questo caso l’evento creditizio è definito

come il declassamento del rating di una particolare attività sottostante.

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Currency inconvertibility agreements: è un tipo particolare di

credit default swap che serve a coprirsi contro il rischio paese cui sono

soggetti gli investimenti esteri. La peculiarità consiste nel fatto che

l’evento creditizio che fa scattare il pagamento pattuito da parte del

venditore è costituito dalla dichiarazione di inconvertibilità della

propria valuta da parte del paese specificato nel contratto.

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3.5 Credit derivatives: considerazioni generali sulla gestione efficiente di un portafoglio prestiti.

L’analisi dei modelli di credit risk management (Cap.5)

metterebbe in risalto l’importanza di una gestione efficiente del

portafoglio prestiti.

Per gestione efficiente s’intende la ricerca di un rendimento

massimo a parità di rischio di credito (volatilità del tasso di perdita

attesa). Uno dei metodi più utilizzati per ottenere questo obiettivo è la

diversificazione. Infatti solo una efficiente diversificazione

consentirebbe di ridurre il rischio di portafoglio, in modo tale che il

rischio complessivo risulti inferiore alla somma dei rischi relativi a

ciascun prestito (la diversificazione tende a eliminare il rischio

specifico ma non quello sistematico).

La diversificazione nella realtà, soprattutto per un portafoglio

prestiti, non è facilmente raggiungibile perché non è semplice

diversificare un portafoglio. Scopo del management di una banca è

quello di creare una frontiera efficiente, cioè una curva nella quale

siano presenti tutti i portafogli a varianza minima, quindi caratterizzati

dalla massimizzazione del rendimento atteso, dato un certo livello di

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varianza. La frontiera efficiente serve come benchmark per la

valutazione dell’efficienza degli investimenti effettuati.

Infatti in un determinato portafoglio sono presenti sia attività che

presentano un rendimento atteso più che proporzionale rispetto al

rischio apportato (risk contribution), sia attività (mispriced) che

apportano un rischio maggiore rispetto al rendimento atteso.

Rispetto a queste ultime, dovrebbero essere utilizzati i credit

derivatives, cercando di colmare le inefficienze (mispriced) dovute

spesso a fenomeni di eccesso di concentrazione. In particolare

diminuendo il peso, attraverso il trasferimento del rischio, per quegli

investimenti caratterizzati da un risk contribution maggiore rispetto al

rendimento e, contestualmente, aumentando il peso relativo agli

investimenti con rendimento atteso maggiore del risk contribution.

Questo meccanismo è attuabile in questo modo. Una banca vende

protezione su Reference Entities relativi a Paesi e/o settori in cui esiste

una minore esposizione a livello di portafoglio, aumentando in questo

modo il livello di esposizione verso questi Paesi e/o settori, e, nello

stesso momento, acquista protezione su Paesi e/o settori dove esiste

un maggiore livello di concentrazione.

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Naturalmente queste decisioni sono prese tenendo conto del

livello di correlazione tra il contribution risk derivante dal nuovo

investimento effettuato con i credit derivatives e il rischio sistematico

del portafoglio detenuto. Ovviamente, per aumentare il livello di

diversificazione del portafoglio prestiti, sarà necessario che la banca

investa in settori e/o Paesi caratterizzati da un livello di correlazione

basso rispetto ai prestiti già esistenti nel suo portafoglio.

L’effetto di tutto ciò è quello di un ribilanciamento delle

posizioni a cui consegue un aumento del rendimento atteso a livello di

portafoglio ed un mantenimento entro livelli costanti del rischio

complessivo.

Da ciò si desume che ad un utilizzo efficiente dei credit

derivatives deve seguire una valutazione del rendimento atteso e del

risk contribution di ciascuna posizione creditizia.

In sintesi, una gestione ottimale di un portafoglio prestiti

comporta varie fasi, tra cui37:

costruzione di una frontiera efficiente, tramite la fissazione di un

rapporto rendimento-rischio in base al grado di avversione del rischio;

37 Fabbri A., 2000, Gestione del rischio di credito e capitale economico, in Nassetti C. F., Fabbri A., Trattato sui contratti derivati di credito, Egea, Milano, 397-398.

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rilevazione del livello di rischio e rendimento atteso per ogni

singola esposizione, con lo scopo di rilevare fenomeni di mispricing

all’interno del portafoglio; ribilanciamento delle posizioni, da realizzare con operazioni di swap

su esposizioni con basso livello del rapporto rendimento-rischio con

altre che presentano un livello più elevato di tale rapporto.

L’importanza dell’utilizzo dei credit derivatives nasce, quindi,

proprio dalla necessità di diversificare il portafoglio prestiti e

stabilizzare la volatilità del suo tasso di perdita atteso.

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3.6 La gestione del rischio di credito e le tecniche di utilizzo dei credit derivatives

Molte aziende di credito presentano il problema di dover gestire

portafogli creditizi che presentano un elevata concentrazione nei

confronti di un settore, di un’area geografica o, caso un po’ delicato,

nei confronti di un solo cliente. In queste situazioni la banca potrebbe

limitare la sua sovraesposizione creditizia, ad esempio nei confronti di

un singolo cliente importante per la banca, entrando in un credit

derivative specifico e pagare un premio al protection seller in modo

tale da trasferire il rischio di credito e assicurarsi, comunque, il

rendimento del singolo prestito o comunque, nel caso specifico, la

fedeltà e i buoni rapporti col cliente, senza dover rifiutare il prestito.

Questo può essere uno degli esempi, o dei campi, in cui possono

essere utilizzati i derivati creditizi, cioè limitare l’esposizione

creditizia nei confronti di un settore, area geografica o determinati

clienti.

Un'altra tecnica di utilizzo dei credit derivatives consiste

nell’utilizzare gli stessi per diversificare un portafoglio crediti o di

investimenti facendo in modo che una banca, per esempio, acquisisca

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esposizioni nei confronti di emittenti o settori di mercato poco

rappresentativi nel proprio portafoglio, vendendo un credit default

swap, cioè acquisendo un’esposizione creditizia, senza la necessità di

finanziarsi come nel caso di un semplice prestito, in qualità di

protection seller e quindi incassando premi come remunerazione di

tale investimento. Ci sono molti modi di utilizzo dei derivati creditizi

per diversificare il proprio portafoglio, data la flessibilità degli stessi,

come possono testimoniarlo i seguenti esempi:

• Un soggetto che voglia assumere un’esposizione creditizia verso

un determinato paniere di soggetti, che gli consenta di guadagnare un

rendimento maggiore rispetto ad una esposizione nei confronti di un

singolo emittente, ma ad un rischio non molto alto, potrebbe investire

in un basket linked credit default swap in cui le perdite sono riferite

soltanto al fallimento di uno solo degli emittenti che fanno parte del

paniere di riferimento (il primo che fallisce).

• Se una banca vuole modificare un’esposizione creditizia verso un

soggetto (supponiamo che la banca abbia in portafoglio prestiti

obbligazionari) nei confronti del quale è parzialmente garantita (e

quindi vuole modificare il tasso di recupero per tale esposizione), e

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immaginiamo che secondo la banca non sia possibile che l’emittente

fallisca nei primi due anni, essa può vendere protezione contro il

fallimento dello stesso soggetto, stipulando un credit default swap che

abbia come attività di riferimento un’emissione subordinata dello

stesso soggetto. In tale modo la banca aumenterebbe il suo rendimento

senza l’onere di acquistare l’attività sottostante, nella convinzione che

il soggetto non fallirebbe entro la data prevista.

• Un altro modo di utilizzare i derivati creditizi è quello di riuscire a

ottimizzare le linee di credito che la banca concede senza ottenere

rendimenti adeguati al costo e al rischio del capitale stesso. Ad

esempio se una banca è costretta a inseguire investimenti rischiosi a

causa del suo basso rating, e quindi a causa di un elevato costo di

accesso ai finanziamenti, per poter inseguire anche una clientela ad

elevato rating, senza per questo ridurre a “niente” il suo margine di

guadagno, potrebbe vendere un credit defaul swap su crediti di

emittenti ad elevato rating. In tale modo l’esposizione non è finanziata

e quindi il margine creditizio non è ridotto a niente, poichè la banca

guadagna premi senza doversi finanziare sul mercato a costi elevati a

causa del suo rating.

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• Infine i derivati creditizi possono essere utilizzati per opportunità

di arbitraggi derivanti dall’attuale regolamentazione in materia di

coefficienti patrimoniali richiesti nella misura dell’8% ponderata in

base alla rischiosità della controparte. Un esempio risulta utile;

supponiamo che due banche, ALFA e BETA, abbiano rating differenti

e che quindi possano accedere ai finanziamenti a tasso differente38:

1. ALFA con rating AA si finanzia ad un tasso pari al LIBOR+1%;

2. BETA con rating BB LIBOR+3%.

Se un soggetto ha bisogno di finanziarsi per 10mln USD, e sul

mercato tale somma garantisce un rendimento pari a LIBOR+5%, le

due banche avrebbero, supponendo che l’8% del finanziamento

costituisca il capitale proprio di entrambe le banche e che il LIBOR

sia pari al 5%, la seguente situazione:

ALFA BETA Interessi attivi (10mln USD*(LIBOR+5%))

1.000.000 1.000.000

Interessi passivi (9,2mln USD*(LIBOR+spread))

552.000 736.000

Margine creditizio 448.000 264.000 Rendimento sul capitale proprio impiegato

56% 33%

38 Esempio basato su Zullo F., 1999, I derivati creditizi: aspetti tecnici,cit., p.523-524.

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Anche se il migliore rendimento appartiene ad ALFA (56%),

entrambe le banche potrebbero migliorare il proprio rendimento con la

seguente operazione:

• ALFA concede il prestito;

• ALFA nello stesso tempo acquista un credit defaul swap da BETA

il quale si assume il rischio di credito del soggetto di riferimento in

cambio di un premio pari a 2%.

Entrambi aumentano il proprio rendimento:

ALFA Margine creditizio 448.000 Premi pagati per la protezione

200.000

Guadagno netto 152.000 Rendimento sul capitale proprio impiegato

95%

In tale caso il rendimento sul capitale proprio, come rapporto tra

guadagno netto e capitale proprio utilizzato, deriva dal rapporto tra

152.000 e 160.000 e non con 800.000 come nel primo caso, in quanto

questa volta la banca ALFA ha un’esposizione nei confronti di

un’altra banca, cioè BETA, entrambe appartenenti all’OCSE e quindi

con un coefficiente di ponderazione pari al 20%.

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BETA Premi 200.000 Interessi attivi (800.000*LIBOR) 400.000 Guadagno netto 600.000 Rendimento sul capitale proprio impiegato

75%

In quest’ultima ipotesi abbiamo considerato che BETA abbia

investito al tasso LIBOR gli 800.000 USD che avrebbe dovuto

accantonare per effettuare il prestito direttamente.

Come si è visto entrambe le banche hanno migliorato il proprio

rendimento utilizzando il credit derivative.

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3.7 La disciplina dei requisiti patrimoniali e la situazione italiana

Lo sviluppo dei derivati creditizi, oltre che da un nuovo

atteggiamento culturale delle banche nei confronti del rischio di

credito e della sua gestione, dipende anche dalla regolamentazione

degli stessi, e allo stato attuale non ci sono molte convergenze, tra

Comitato di Basilea, Banche centrali, Board of the Governors of the

Federal Reserve System e Bank of England, sulla metodologia da

applicare, inerente ai requisiti patrimoniali.

Al momento vi sono due fronti opposti, cioè quelli che sono

propensi ad assimilare i derivati creditizi a delle garanzie, come la

lettere di credito e stand-by, e quindi ai rischi di controparte, e quelli

che sono favorevoli all’applicazione del regime previsto per i rischi di

mercato; la soluzione non è così facile da risolvere in quanto nel

primo caso il requisito patrimoniale sarebbe maggiore. Tuttavia le

varie Autorità, pur consce del fatto che la mancata regolamentazione

di tali strumenti limiti lo sviluppo di tali prodotti, hanno lo stesso

incoraggiato le varie istituzioni finanziarie all’utilizzo di tali strumenti

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

finanziari39; è necessario, comunque, che le varie banche siano dotate

di un managment competente e con l’esperienza necessaria nonché di

un sistema di monitoraggio e di controllo sui vari limiti imposti.

Infine, riguardo all’esperienza italiana, la Banca d’Italia non ha

ancora preso posizione, e bisogna dire che il nostro quadro normativo

non è molto favorevole all’innovazione finanziaria.

Infatti solo poche banche si sono affacciate sul mercato dei

derivati creditizi e pochissime hanno investito in tale settore, complice

anche la mancanza di un mercato secondario dei crediti; un altro

fattore che limita lo sviluppo de credit derivatives in Italia è la

presenza di un differente trattamento fiscale rispetto agli altri partners

europei. In tale contesto delineato si capisce quante difficoltà e

problemi devono essere superati per poter arrivare ad una disciplina

organica e articolata dei derivati creditizi.

39 Board of Governors of the Federal Reserve System, 1996, Supervisory Guidance for Credit Derivatives, “SR letter”,96-17.

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3.8 Conclusioni

I benefici che sono stati evidenziati nel paragrafo relativo alla

gestione del rischio di credito sono destinati a rimanere senza

applicazione se non sarà risolto il problema della valutazione dei

prestiti necessaria per la stessa valutazione e liquidazione delle varie

tipologie di credit derivative. È necessario un accurato studio in

materia per favorirne l’utilizzo, così come è già successo per i rischi di

mercato e i relativi derivati finanziari.

Quindi le banche da parte loro dovrebbero iniziare ad aderire alle

nuove tecniche di gestione del rischio, sulla scia del rischio di

mercato, che permettano di superare le tradizionali tecniche di

monitoraggio e di controllo. È necessario anche che le stesse Autorità

di vigilanza si accorgano dei benefici che tali strumenti portano nel

portafoglio crediti delle banche, e possano disciplinare il trattamento

dei derivati creditizi, ai fini dei coefficienti patrimoniali bancari, in

modo tale da poter ridurre gli stessi coefficienti previsti per le

esposizioni creditizie, incentivando lo sviluppo di tali strumenti. Nello

stesso momento la regolamentazione del sistema finanziario,

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soprattutto in Italia, deve evolversi di pari passo con l’innovazione

finanziaria se vogliamo che tale rischio, pesante e problematico per le

banche, sia gestito e controllato per poter assicurare stabilità alle

banche e allo stesso sistema finanziario.

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SECURITIZATION

Premessa

La securitization, ossia la trasformazione di attivi non negoziabili

in titoli negoziabili sui mercati, è uno strumento finanziario che ha

conosciuto negli ultimi anni un notevole sviluppo.

Tale tecnica, in realtà, è nata più di venti anni fa in America e

solo nell’ultimo decennio si è sviluppata, non in maniera omogenea, in

Europa.

Il concetto di securitization è utilizzato per indicare varie attività,

ossia, in generale, uno spostamento da un tipo tradizionale di attività

di intermediazione ad una più orientata sui mercati. In particolare si

possono distinguere tre tipi di securitization a seconda del tipo di

attività a cui è legata40:

1. Emissione di titoli che possono essere considerati a tutti gli

effetti sostitutivi di prestiti bancari;

2. L’attività di vendita e di scambio di prestiti bancari;

40 La Torre M., 1995, Securitisation e banche, il Mulino, Bologna, p.14.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

3. L’emissione di titoli a fronte di prestiti cartolarizzati (asset-

backed securitization).

Il primo tipo non è altro che una semplice attività di brokeraggio

in cui l’intermediario predispone, sottoscrive e colloca titoli di credito.

Il secondo tipo di securitization riguarda l’attività di vendita e scambio

di prestiti bancari ma non la trasformazione degli stessi in titoli

negoziabili sul mercato, in particolare le banche di piccole dimensioni

hanno assunto il ruolo di acquirenti di obbligazioni emesse da

operatori commerciali con elevato rating. Infine vi è il terzo tipo di

securitization in cui le banche cartolarizzano un portafoglio crediti

avente caratteristiche simili; infatti con la tecnica dell’ABS le banche,

non potendo vendere un portafoglio di crediti poco liquido, lo

trasformano in titoli scambiabili sul mercato.

Da tutto ciò si deduce che la securitization costituisce una delle

innovazioni finanziarie che più si sta sviluppando in molti paesi e che

va incontro a un crescente successo anche in Italia. D’altra parte la

securitization prevede che i titoli emessi ottengano un rating, e ciò

richiede l’analisi del rischio di credito della stessa operazione che

analizzerò nei successivi paragrafi.

101

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

4.1 Definizione delle operazioni

Le varie operazioni di securitization, cioè la trasformazione di

flussi di cassa derivanti dal futuro ripagamento di crediti o di altre

attività finanziarie non liquide, allo scopo di supportare l’emissione di

titoli di credito facilmente negoziabili e con elevato rating (il cui

rimborso è garantito principalmente da tali flussi), prevedono che il

portafoglio di attivi da cartolarizzare, composto da mutui ipotecari o

da crediti commerciali, venga acquistato da una società appositamente

costruita denominata special purpose vehicle (SPV) la quale finanzia

tale acquisto con l’emissione di titoli sul mercato. Ovviamente il

rendimento di tali titoli è collegato al rendimento del portafoglio

cartolarizzato, cioè al rating di quest’ultimo; da ciò risulta che il

rischio di credito di tali titoli, che verranno collocati presso gli

investitori, dipende dal rischio di credito degli attivi originariamente

presenti nel bilancio dell’originator, cioè il soggetto che effettua

l’operazione. Quindi allo scopo di rendere appetibili tali titoli, dal

punto di vista dell’attenuazione del rischio di credito, è necessario

prevedere delle tecniche di supporto del rischio di credito.

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IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

4.2 Schema dell’operazione

Premesso che ogni operazione di securitization ha in sé

caratteristiche proprie, si può, tuttavia, descrivere uno schema

generale che illustri gli aspetti essenziali di tale operazione.

Il soggetto cedente (originator) costituisce un pool di crediti da

cartolarizzare, aventi caratteristiche omogenee (in particolare

scadenze, rischi e tassi di interesse), che viene ceduto ad uno SPV, il

quale finanzia tale acquisizione con l’emissione di titoli che vengono

collocati presso il mercato e quindi acquistati dagli investitori e

rimborsati, per interessi e quote di capitale, con i flussi provenienti dal

portafoglio cartolarizzato (fig.sotto).

Schema di un’operazione di cartolarizzazione. Fonte : La Torre M., 1995.

103

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Tale schema mette in risalto il fatto che, solitamente, SPV si

affida ad una Investment Bank per poter collocare i titoli presso gli

investitori, e che è necessario una Rating Agency per poter emettere

tali titoli, ossia l’agenzia di rating analizza il rischio di credito insito

nei titoli e quindi presente nello stesso portafoglio cartolarizzato.

Ovviamente per far sì che l’operazione avvenga con successo e quindi

preliminarmente venga emesso un buon giudizio sull’operazione e

sugli stessi titoli, sono previste delle tecniche di supporto (credit

enhancer) realizzate dallo stesso originator.

Se vi è, come avviene spesso soprattutto nella cartolarizzazione

di mutui ipotecari, un disallineamento tra i flussi di interesse ricevuti

dal portafoglio cartolarizzato e i flussi di interesse pagati sui titoli, tale

disallineamento viene coperto attraverso contratti derivati quali IRS o

Caps conclusi tra lo SPV e adeguate controparti.

I flussi provenienti dal portafoglio cartolarizzato sono raccolti

dall’originator e depositati in un conto bancario dello SPV e

successivamente trasferiti agli investitori a ogni data di pagamento; in

particolare viene previsto un “servicing agreement” fra il cedente e lo

SPV in base al quale lo stesso cedente è incaricato di amministrare e

curare l’incasso dei crediti, usando le medesime procedure e lo stesso

104

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grado di diligenza usata per l’amministrazione del portafoglio di

proprietà. Infine bisogna dire che le modalità di cessione e successiva

gestione dei crediti ceduti sono tali da rendere neutra l’operazione nei

confronti dei debitori ceduti, poiché gli stessi continueranno ad avere

rapporti unicamente con l’originator (vedi fig. sotto).

Il flusso di fondi di un’operazione di securitization. Fonte : La Torre M., 1995.

105

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4.3 Il supporto di credito

Il supporto di credito (credit enhancement) costituisce una delle

caratteristiche più salienti dell’intera operazione di cartolarizzazione, e

costituisce una definizione a priori del livello di rating, in accordo con

le Agenzie di Rating, che l’originator desidera ottenere per ogni

classe di titoli emessa dallo SPV. In particolare l’analisi del rating

dell’operazione e dei titoli dipende dal rischio di credito degli stessi, e

tale rischio può essere modificato con varie tecniche di supporto di

credito. Esse si distinguono in interne ed esterne41:

• Le tecniche interne sono quelle che prevedono particolari

meccanismi di allocazione per rimborsare le diverse categorie di titoli

emessi dallo SPV. Ad esempio si potrebbero emettere diverse

categorie di titoli, aventi diverso rating, in modo tale che le classi con

rating più elevato vengano rimborsate prioritariamente rispetto a

quelle con rating meno elevato. Un’altra tecnica interna è quella che

prevede che l’ammontare del portafoglio cartolarizzato sia maggiore

41 Zanelli M., 1999, La cartolarizzazione: strutture e rating, in AA.VV., (a cura di Szego G., Varetto F. ), Il rischio creditizio, UTET, Torino, p.473.

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dell’ammontare dei titoli emessi, in modo tale che i flussi provenienti

dal portafoglio cartolarizzato, anche se ridotto da perdite relative alle

sofferenze, siano sufficienti a rimborsare i titoli.

• Invece le tecniche di supporto esterno prevedono l’intervento di

aziende di credito e di compagnie di assicurazione che garantiscono il

puntuale rimborso dei titoli.

Per poter emettere il loro giudizio correttamente e quindi per

poter “salvaguardare” la loro reputazione, le Agenzie di Rating

solitamente verificano sia gli aspetti operativi relativi alle procedure di

concessione del credito, di incasso e di recupero crediti e sia alla

stessa struttura legale dell'operazione, ossia la struttura giuridica

necessaria per poter preservare e assicurare gli investitori finali da un

eventuale rischio di fallimento delle varie controparti dell’operazione.

Naturalmente maggiore è il rating assegnato e maggiore è la

probabilità di successo dell’operazione.

107

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4.4 Vantaggi e rischi di una dell’Asset-Backed securitisation

Il ricorso ad un’operazione come l’asset-backed securitisation,

cioè cartolarizzazione degli attivi, può apportare all’intermediario una

serie di vantaggi di gestione, quali42:

1. accesso a nuove e meno costose forme di finanziamento;

2. una gestione alternativa del rischio di credito rispetto a quelle

tradizionali;

3. una gestione flessibile del conto economico;

4. attenuazione delle rigidità di “gestione” dei coefficienti di

solvibilità;

5. “elusione” della vigilanza bancaria.

Rispetto al 1° punto, l’asset-backed securitization offre il

vantaggio di poter assicurare all’intermediario sia nuove fonti di

finanziamento e sia finanziamenti più economici. Questo perché, nel

primo caso i titoli emessi dallo SPV sono molto più sicuri, grazie

all’intervento di più credit enhancer e al conseguente miglioramento

42 La Torre M., 1995, Securitisation e banche, cit., p. 61.

108

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

del rating dell’originator, rispetto a eventuali titoli di debito che

avrebbe potuto emettere; nel secondo caso perché il costo marginale

sostenuto nell’emettere Asset-backed securities (ABSs) è più basso

rispetto a quello necessario per attrarre nuovo capitale con le forme

tradizionali di finanziamento, come i depositi. Infatti se una banca

aumenta il tasso sui depositi, ad esempio dal 3% al 4%, essa dovrà

applicarlo a tutti i depositi, nuovi e vecchi; mentre nel caso delle

ABSs, anche un tasso superiore, ad esempio 5%, può essere

conveniente.

Per ciò che concerne il 2° punto la tecnica ABS tende anche a

migliorare la gestione del rischio creditizio, e questo in due modi.

Un primo modo di gestire tale rischio può essere effettuato con la

tecnica ABS. Generalmente, quando si pone in essere una

securitization, il rischio viene ripartito in tante parti quanti sono i

partecipanti; una prima quota di rischio, pari generalmente al tasso di

perdita atteso, viene assunta dall’originator, una seconda parte più

consistente dai credit enhancer ed il rischio residuo dagli investitori.

Da ciò si può notare che con la securitization si può ripartire il rischio

entro predeterminate soglie a differenza del pieno rischio assunto

mantenendo in portafoglio un pool di prestiti.

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Un secondo modo di gestire il rischio creditizio con l’ABS è

quello di diversificare il portafoglio crediti affinchè un rischio di

concentrazione creditizia venga meno, pur continuando a concentrare i

prestiti in determinati settori lavorativi o in determinate aree

geografiche, e quindi non rinunciando ai rendimenti che tali settori e/o

tali aree offrono, in modo tale da investire i ricavi derivanti

dall’operazione in altre aree o settori, eseguendo in tal modo una

diversificazione del proprio portafoglio crediti.

La gestione flessibile dell’ABS comporta la possibilità di

sfruttare una politica di tassi di interesse realizzando guadagni nel

caso di ribasso dei tassi di interessi, e quindi vendendo attivi ad un

prezzo maggiore del valore nominale degli stessi o, viceversa,

mantenendo in portafoglio i propri crediti nel caso di un rialzo dei

tassi di interessi.

Per ciò che concerne il 4° punto, il Comitato di Basilea nel 1988

ha stabilito che il rapporto tra patrimonio di vigilanza e le attività

ponderate per il relativo rischio non deve essere inferiore all’8% e

quindi nel caso in cui tale rapporto diminuisse, devono essere poste in

essere determinati interventi per superare tale soglia, cioè aumentare il

numeratore o diminuire il denominatore; la securitization offre questa

110

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

seconda alternativa. Infatti una banca che voglia ristabilire tale

rapporto potrebbe cartolarizzare attività ad alta ponderazione con

contestuale ridimensionamento dell’attività della banca, e questo

anche nel caso di una banca sottocapitalizzata.

Infine l’elusione della vigilanza attraverso la securitization offre

la possibilità di abbattere obblighi di riserva di liquidità a fronte della

rischiosità del volume dei loro depositi oltre che il sostenimento di

ridurre determinate spese, in particolare sotto forma di premi di

assicurazione, per protezione dei depositi stessi. Ora con la tecnica

ABS si potrebbe eludere tale vigilanza nel caso in cui i guadagni

derivanti dall’Abs non vengano considerati depositi, e quindi le

banche non sia obbligate a costituire riserve di liquidità e a pagare

premi su tali depositi.

Dopo aver tessuto le lodi della securitization non si possono non

mettere in evidenza i rischi che un’operazione del genere comporta.

Infatti, anche se un’operazione di ABS tende a gestire e/o trasferire

meglio determinati rischi, essa ne comporta certamente altri, tra cui43:

43 La Torre M., 1995, Securitisation e banche,cit., p.102-104.

111

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

rischio di credito: è stato detto che l’originator con la securitization

riduce di parecchio la sua esposizione al rischio di credito, in quanto

se ne assume solo una parte relativa al tasso di insolvenza previsto,

mentre il restante rischio viene ripartito tra compagnie di

assicurazione che offrono il loro supporto creditizio e gli investitori

finali. A questo punto si dovrebbe pensare che in caso di insolvenza

dei debitori principali l’originator dovrebbe subire una perdita già

prevista e “contabilizzata”, e tutto ciò si riverserebbe sugl’investitori

finali, facendo sì che il rischio di credito sia “immunizzato”, come già

è stato evidenziato tra i vantaggi della securitization; tuttavia non è

così semplice in quanto l’originator ha una moral obligation nei

confronti degli investitori, nel senso che si pone sempre come

prestatore di ultima istanza in caso di insolvenza del debitore

principale, e questo per due motivi: il primo riguarda il fatto che

un’esperienza di insolvenza non consentirebbe più all’originator di

poter utilizzare in futuro tale strumento, e il secondo riguarda

l’immagine dell’originator che ne risulterebbe screditata.

Quindi si può dire che la moral obligation, risultante da un’ABS,

è essa stessa fonte di rischio di credito che la banca deve tenere in

considerazione.

112

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Rischio relativo all’elusione delle tasse di vigilanza bancaria: se la

securitization rappresenta uno dei migliori strumenti per poter eludere

tali tasse (assicurazione sui depositi, costo opportunità delle riserve

obbligatorie di liquidità e vincoli di capital adequacy), è pure vero che

ciò incoraggia le banche ad assumere nel proprio portafoglio attività

ad alto rischio per poter ottenere un alto rendimento così da poter

compensare lo svantaggio competitivo derivante da tali tasse, perché

comunque tali attivi verrebbero cartolarizzati e i relativi rischi

trasferiti.

113

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4.5 La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza

Per le banche, uno dei problemi più difficili da gestire riguarda lo

stock di sofferenze presente nei bilanci, soprattutto per quelle che

operano a livello locale e che quindi non possono attuare una strategia

di diversificazione del proprio portafoglio crediti. Tale stock di

sofferenze, che negli ultimi anni supera il dieci per cento dei crediti

vivi, rappresenta un peso insostenibile soprattutto per l’impossibilità

di poter assicurare un’attività a condizioni di equilibrio economico,

finanziario e patrimoniale per molte banche.

Esso è un problema presente in molte aree di molti Paesi, e

quindi richiede uno studio approfondito per poter gestire e controllare

questa massa ingente di crediti in sofferenza. Vi sono, attualmente,

varie soluzioni di gestione delle sofferenze, tra cui quelle indicate

nella seguente tabella:

Soluzione Interna Esterna Negoziale Ristrutturazione

Revisione Trasformazione in

partecipazioni

Liquidazione mediante accordi di natura

privatistica con ricorso esclusivo a professionisti

esterni. Giudiziale recupero legale con ricorso

a legali interni o coadiuvati da legali

Recupero legale con ricorso a legali esterni.

Di mercato Cartolarizzazione e Credit derivatives

Cessione definitiva

Soluzioni gestionali delle sofferenze. Fonte Zen F., 1999.

114

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Come si vede tra le soluzioni possibili vi è anche la

securitization. La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza prevede

caratteristiche particolari in relazione alla scelta del pacchetto crediti

da trasferire e di conseguenza in relazione agli obiettivi che il

management bancario si pone; tali obiettivi possono consistere nella

massimizzazione del prezzo di cessione, eliminazione delle aree

creditizie maggiormente problematiche, riduzione degli oneri di

gestioneo, infine, miglioramento del grado di patrimonializzazione44.

Una volta individuati gli obiettivi da raggiungere è necessario

scegliere il pacchetto crediti da cedere; è indispensabile la scelta di

crediti garantiti, in particolare i crediti ipotecari e ciò per la stessa

esistenza di un’operazione di cartolarizzazione dei crediti in

sofferenza, cioè è necessario che il credito in sofferenza abbia almeno

una garanzia per poter assicurare un flusso monetario, altrimenti

sarebbe incompatibile porre in essere un’operazione di securitization

di crediti in sofferenza senza garanzia e quindi senza una

programmazione di base dei futuri flussi monetari. Si potrebbe che

basti un credito di supporto per poter titolarizzare crediti non

44 Zen F.,1999, La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, in Banche e Banchieri n.3, p.235.

115

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

garantiti, ma ciò risulterebbe troppo costoso per via dei premi da

pagare ai vari credit enhancer.

Dopo aver analizzato i vari crediti da cedere, e quindi la loro

attitudine a generare flussi monetari oltre, ovviamente, le garanzie e i

tempi di recupero in caso di insolvenza e quindi la loro efficacia

giuridica, si pone, infine, il problema del prezzo di cessione, e ciò non

è facile, in quanto manca un modello di definizione del prezzo di

cessione per tali crediti; inoltre segue spesso ad un prezzo definito una

riduzione forfettaria dello stesso, per una compensazione

dell’eventuale deterioramento creditizio e/o ritardi nell’incasso dei

flussi monetari.

116

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4.6 La legge sulla securitization in Italia

Con la legge n.130/1999 è stata introdotta una legge ad hoc per la

securitization in Italia.

Questa legge, in particolare, prevede che il cessionario (o

l’emittente titoli) sia una società che abbia come oggetto esclusivo la

cartolarizzazione dei crediti, e che i titoli emessi siano considerati

strumenti finanziari ai quali applicare le disposizioni del testo unico

sulla finanza (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58). In base a

questa legge, se i titoli emessi (asset backed securities) sono offerti

agli investitori professionali, il prospetto informativo deve contenere

determinate informazioni (società cedente, società cessionaria,

caratteristiche e costi dell’operazione, eventuali rapporti di

partecipazione fra cedente e cessionario, etc.), mentre nel caso siano

offerti agli investitori non professionali, l’operazione deve essere

sottoposta alla valutazione del merito creditizio da parte di operatori

terzi; in quest’ultimo caso la CONSOB stabilisce i requisiti di

professionalità e i criteri per assicurare l’indipendenza degli operatori

che svolgono la valutazione del merito creditizio.

117

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I soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti e dei

servizi di cassa e di pagamento, sono banche o intermediari finanziari

iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del testo unico

bancario (decreto legislativo n.385/1993). Un fattore importante è che

i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscano patrimonio

separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo

alle altre operazioni; infatti, su di esso, non sono ammesse azioni da

parte di creditori diversi dai portatori dei titoli stessi.

Per la modalità ed efficacia delle disposizioni trovano

applicazione i commi 2, 3 e 4 dell’art. 58 del testo unico bancario; in

particolare l’art.58 del T.U. bancario dispone un regime di favore per

il cedente, riguardo alla pubblicità dell’avvenuta cessione nei

confronti dei debitori ceduti con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale

della notizia, sia in ordine al trapasso delle garanzie ipotecarie che

avviene automaticamente (e quindi “saltando” l’ostacolo economico

previsto dall’art.2843 del c.c. in tema di annotazione in margine

all’iscrizione dell’ipoteca) senza formalità e oneri di annotazione.

La legge 130/1999 è applicata sia alle operazioni di

cartolarizzazione realizzate mediante l’erogazione di un finanziamento

118

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

al soggetto cedente, da parte della società cessionaria, sia alle cessioni

a fondi comuni di investimento.

119

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4.7 Un modello per l’analisi del rischio di credito di portafogli di mutui45

L’analisi del rischio di credito del portafoglio cartolarizzato può

essere effettuato in vario modo, in base alle caratteristiche del

portafoglio e delle informazioni disponibili. Una delle metodologie

più utilizzate frequentemente da Moody’s è quella che analizza il

rischio di credito di portafogli di mutui ipotecari in base alle

informazioni che generalmente compongono il portafoglio crediti.

Esso permette di valutare il rischio di credito dei titoli emessi dallo

SPV in base ad un’analisi di ognuno dei mutui che generalmente

compongono il portafoglio cartolarizzato.

Tale analisi prevede che ognuno dei mutui ipotecari da cartolarizzare

venga confrontato ad un mutuo ipotecario di riferimento definito in

base al mercato di riferimento. Tale confronto è necessario per

definire il livello di credit enhancement per ciascun prestito. Questo

avviene in base a vari procedimenti. Il primo consiste nella

valutazione per ogni prestito del loan to value (LTV), ossia il rapporto

45 Questo paragrafo e il successivo esempio sono tratti da Zanelli M., 1999, La cartolarizzazione: strutture e rating, in AA.VV.,cit. p.482-485.

120

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

tra l’ammontare del prestito e il valore dell’ipoteca, che è necessario

per determinare un’approssimazione del livello del credit

enhancement per poi modificarlo con un’analisi di altre caratteristiche

del prestito (duration, tasso di interesse ecc.) e alcune caratteristiche

generali relative all’intero portafoglio cartolarizzato (concentrazione

geografica ad esempio).

Questo parametro (LTV) è il primo dato esaminato nei mercati

anglosassoni, in quanto si è evidenziata una forte correlazione tra il

LTV e la probabilità di insolvenza del debitore. Quindi da ciò si può

affermare che il livello del LTV costituisce una prima stima della

probabilità di insolvenza del singolo debitore. Ovviamente maggiore è

tale parametro e maggiore sarà la probabilità di insolvenza (vedi

grafico).

I livelli di probabilità di insolvenza associati ai livelli di LTV per il

mercato francese.

LTV% 100 95 90 85 80 75 70 65 60 55

Mercato francese

Prestito di riferimento

16.5 15 13.5 12 10.5 9.94 9.38 8.8 8.25 8.25

Fonte : Zanelli M., 1999.

121

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Una volta calcolata la probabilità di insolvenza viene definito il

l’ammontare di perdita attesa, che è calcolato, per ciascun prestito,

tenendo conto di una serie di fattori quali: valore dell’ipoteca, capitale

investito dal debitore e spese necessarie per il recupero dell’immobile

ipotecato. Si tiene conto, per poter arrivare a un rating soddisfacente,

anche della perdita di valore che l’immobile ipotecato possa subire nel

lasso di tempo tra il momento in cui viene concesso il mutuo e il

momento in cui viene esercitata l’ipoteca per poter vendere

l’immobile.

I livelli di perdita attesa associati ai livelli di LTV per il mercato

francese. LTV% 100 95 90 85 80 75 70 65 60 55

Mercato francese

Prestito di riferimento

12.79 11.21 9.68 8.19 6.77 5.97 5.17 4.35 3.52 2.87

Fonte : Zanelli M., 1999.

Definito un primo livello di perdita attesa e quindi di supporto

creditizio per ciascun prestito ipotecario, vengono definite altre

caratteristiche che riguardano sia i singoli mutui che il portafoglio

crediti nella sua totalità.

Tali caratteristiche riguardano:

122

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

• il grado di copertura del mutuo, dato dal rapporto tra l’ammontare

della rata e il reddito del debitore (risulta evidente che maggiore

sarà tale rapporto rispetto a quello di riferimento più il debitore è

soggetto al rischio di insolvenza e, quindi, maggiore sarà il

supporto creditizio);

• categoria del mutuo (i mutui che beneficiano di sovvenzioni statali

sono più rischiosi di altri, poiché tali sovvenzioni sono erogate a

persone con un basso reddito);

• tipo di ammortamento (i mutui che prevedono un incremento della

rata sono più rischiosi, dal punto di vista della probabilità di

insolvenza, rispetto a quelli a rata costante);

• scopo del mutuo (i mutui necessari al finanziamento della prima

casa sono più rischiosi di quelli erogati per il finanziamento della

seconda casa);

• profilo socio-professionale del debitore (i redditi dei lavoratori

dipendenti nelle amministrazioni pubbliche sono più stabili di

altri dipendenti, in quanto il rischio di disoccupazione è

inferiore).

123

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

Tra le caratteristiche generali che riguardano il portafoglio da

cartolarizzare, e che devono essere prese in considerazione, sempre

per determinare il grado di rischiosità di un portafoglio e quindi il

livello di credit enhancer, figurano il grado di concentrazione

gegrafica dei mutui e la qualità del cedente. Il primo perché una forte

concentrazione geografica aumenta il rischio a livello sistemico-locale

nel caso in cui una forte recessione colpisca l’area interessata; il

secondo perché solo una banca di grandi dimensioni, dotata di

procedure di gestione e controllo dei rischi riguardanti ogni singolo

mutuo, oltre ad una efficiente procedura di recupero crediti, può essere

considerata meno rischiosa di altre banche che non hanno tali

procedure di controllo e recupero crediti.

124

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

4.8 Conclusioni

La securitization costituisce per le banche uno strumento direi

necessario per la gestione e il controllo del rischio di credito, in

quanto gli stessi strumenti tradizionali non hanno saputo evitare, da

soli, le forti perdite che il sistema bancario ha subito in questi ultimi

anni, proprio per la mancanza di strumenti innovativi.

In Europa il mercato dei prestiti cartolarizzati si presenta

fortemente differenziato, a causa sia della diversità di mentalità

presente nei management dei vari intermediari finanziari, e sia della

diversa disciplina presente nei vari paesi europei; infatti troviamo

paesi che possiedono una propria regolamentazione della

securitization (l’Italia, da poco, con la legge 130/1999), paesi che

hanno solo previsto una disciplina puntuale riguardante disposizioni

contabili e fiscali e, infine, paesi in cui manca totalmente qualsiasi

riferimento.

Nonostante la presenza di una legge ad hoc, la realizzazione

di una politica di securitization per la gestione efficiente del rischio di

credito si presenta difficilmente attuabile in Italia. Questo perché

125

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

un’operazione di securitization, che possa essere conveniente in

termini di costi dell’operazione, ha ad oggetto un pool di prestiti

aventi un certo grado di omogeneità in termini di caratteristiche

tecniche e flussi finanziari (mutui ipotecari, prestiti al consumo e

leasing); quindi affinché una istituzione finanziaria possa essere

presente sul mercato continuamente (in modo tale da migliorare la

reputazione in un determinato mercato, standardizzare le stesse

operazioni e quindi contenere costi legati al supporto di garanzie),

deve presentare un portafoglio prestiti da cartolarizzare abbastanza

ampio e omogeneo. In Italia le banche presentano nei propri portafogli

prestiti di dimensioni unitarie molto grandi e con caratteristiche

eterogenee, quindi ciò impedisce una certa standardizzazione delle

operazioni facendo sì che gli investitori, per mancanza di

informazioni, chiedano garanzie maggiori che si traducono in un

maggior supporto di credito, ossia maggiori costi per la banca.

126

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

I MODELLI DI MISURAZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO

Premessa

Prima di procedere alla descrizione dei vari modelli di

misurazione del rischio di credito risulta necessaria una definizione

dello stesso. Per rischio di credito si intende la possibilità che una

variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei

confronti della quale esiste un’esposizione generi una corrispondente

variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditoria46.

Da questa definizione risulta chiaro che il rischio di credito non è

composto dal solo rischio di insolvenza della controparte, ma anche

dal rischio di un deterioramento creditizio (rischio di migrazione).

Infatti qualora il merito creditizio subisse un declassamento, il tasso di

sconto da applicare ai singoli flussi di cassa attesi, appunto per

conoscere il valore di mercato della posizione creditizia in essere,

dovrebbe essere più alto in quanto includente un premio per il rischio

corrispondente al nuovo livello di rating. Il nuovo valore di mercato

127

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

della esposizione creditizia verso la controparte sarebbe minore del

precedente.

Quindi il rischio di credito non è altro che variazione inattesa del

merito creditizio, in cui il rischio d’insolvenza costituisce l’evento

estremo, preceduto dai vari livelli di probabilità che questo evento

estremo possa in futuro manifestarsi (in questo senso dovrebbe essere

interpretato il nuovo documento di Basilea, A new capital adequacy

framework giugno 1999, nella parte in cui prevede che, nella

determinazione dei coefficienti di rischiosità delle controparti, le

banche più sofisticate possano adottare i ratings dei propri modelli

interni, approvati dalle Autorità di vigilanza, per stabilire i

corrispondenti fattori di ponderazione).

In quanto inattesa la variazione non deve essere prevista, perché

quella prevista è riflessa nel pricing che la banca, in sede di giudizio di

affidamento, applica al cliente nella determinazione del tasso di

interesse da applicare.

Come risulta evidente da quanto fin qui esposto, il rischio di

credito dovrebbe essere trattato alla stessa stregua di un rischio di

46 Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza al VAR di un portafoglio: obiettivi, approcci alternativi e applicazioni, in AA.VV., La misurazione e la gestione del rischio di credito ( a cura di Sironi A., Marsella M. ), Bancaria, Roma, p. 31.

128

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

mercato, e cioè come se, in ogni momento, fosse possibile

smobilizzare la posizione in bilancio realizzando una perdita o un

guadagno.

Da molti anni studiosi e operatori bancari hanno sviluppato vari

modelli di misurazione del rischio di credito, o meglio della

probabilità di default dei singoli prenditori. Questi modelli sono

principalmente utilizzati nella fase di monitorig (controllo dei singoli

crediti in portafoglio) delle singole esposizioni, e solo ultimamente,

alcuni di essi, sono utilizzati per il controllo del rischio di portafoglio.

Tali modelli possono essere suddivisi a seconda che misurino la

perdita attesa di una singola esposizione, la perdita inattesa della

stessa o il rischio di portafoglio47.

I modelli che misurano la perdita attesa sono i seguenti48:

1. Term structure degli spread;

2. Modelli basati sul tasso di mortalità;

3. Theory Option pricing.

47 Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza al VAR di un portafoglio, cit. p.34. 48 Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p.40.

129

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

Questi modelli misurano la probabilità di insolvenza di una

singola esposizione e quindi, attraverso una stima del recovery rate

(tasso di recupero), sono utilizzati per il pricing del singolo prestito.

I modelli che misurano la perdita inattesa sono basati sulla logica

VAR (value at risk), e misurano la variazione inattesa delle varie

componenti della perdita attesa, ossia tasso di insolvenza e tasso di

recupero. I modelli sono49:

• basati su una distribuzione binomiale;

• basati su una distribuzione discreta dei tassi di insolvenza.

Infine, per la stima dei rischi di credito associati all’intero

portafoglio prestiti, si utilizzano modalità applicative come

CreditMetrics (sviluppata dalla banca JP Morgan) e CreditRisk+

(sviluppata dalla banca Credit Suisse Financial Products). Queste

metodologie si propongono di misurare il valore a rischio di un

portafoglio crediti inteso come la massima perdita potenzialmente

associata al portafoglio stesso per effetto del rischio di credito50.

49 Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p. 45. 50 Anolli M.,Gualtieri P., 1999, La misurazione e la gestione del rischio di credito nella gestione delle banche, Mulino, Bologna, p.25.

130

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In realtà l’adozione di modelli VAR non serve, soltanto, a

misurare le singole esposizioni, ma anche per porre in essere un

controllo integrato dei rischi di credito e di mercato. Infatti solo i

modelli VAR permettono di impostare un sistema di risk

management, tale da misurare in maniera omogenea l’assorbimento di

capitale all’interno delle diverse aree di attività della banca, così da

conoscere, preventivamente, un livello massimo di rischio e quindi di

capitale assorbito.

Le finalità che i metodi VAR possono raggiungere riguardano il

pricing, la reddività corretà per il rischio, il controllo preventivo del

rischio e l’allocazione del capitale a rischio. Come per la misurazione

dei rischi di mercato, un sistema Credit Risk Management non copre

solo la misurazione dei rischi di credito, ma anche altre aree connesse

a quest’ultima.

131

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5.1 Il rischio di credito e le sue componenti

Dalla precedente definizione del rischio, si possono individuare

tre componenti del rischio di credito, cioè perdita attesa, perdita

inattesa ed effetto diversificazione51.

Il tasso di perdita attesa (expected loss) è il valore medio della

distribuzione dei tassi di perdita. Questa componente, come suesposto,

non rappresenta il vero rischio di credito perché, in quanto attesa,

viene riflessa nel pricing di un prestito attraverso lo spread creditizio

aggiuntivo al tasso risk-free (tasso privo di rischio).

La perdita attesa (expected loss), in quanto valore medio della

distribuzione dei tassi di perdita, non può essere eliminata attraverso

una diversificazione di portafoglio in termini di settori produttivi e/o

geografici, ma solo stabilizzata ampliando il portafoglio prestiti

(anche se questa potrebbe essere una diversa forma di

diversificazione).

Infatti [Markowitz ,Portfolio Selection, 1952]:

σD={[σPOP^2+TDPOP/N]^1/2 }

51 Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p. 34-35.

132

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σD = volatilità del tasso di default sperimentato dal portafoglio

bancario;

σPOP^2TDPOP = livello e volatilità del tasso di perdita della popolazione

da cui è estratto il portafoglio della banca;

N = numero degli impieghi in portafoglio.

Come si può notare dalla formula (e seguendo il grafico

sottostante), aumentando il numero degli impieghi in portafoglio fino

all’infinito (N tende a + infinito), la volatilità del tasso medio di

default del portafoglio diventa uguale a quello della popolazione.

La perdita inattesa (unexpected loss) non è altro che la variabilità

della perdita intorno al suo valore medio, cioè il rischio che la perdita

attesa stimata a priori risulti, a posteriori, maggiore di quella stimata

133

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(potrebbe essere minore, tuttavia si parla di rischio in un accezione

negativa). In quanto variabilità della perdita attesa, la perdita inattesa

potrebbe essere eliminata o, quantomeno, contenuta mediante una

diversificazione di portafoglio in termini di settori produttivi,

dimensioni e aree geografiche.

In altre parole, la terza componente del rischio di credito è

rappresentata dall’effetto diversificazione che corregge il rischio di

perdita inattesa, minimizzandolo attraverso una politica di selezione

degli impieghi caratterizzati da una bassa correlazione. Quindi, come

ogni diversificazione che tende a correggere il rischio specifico di

‘posizione’, con la stessa si otterrebbe un effetto di riduzione, a parità

di rendimento atteso, dello stesso rischio di portafoglio.

134

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5.2 La perdita attesa e il pricing di un prestito

La perdita attesa relativa ad una esposizione creditizia può, a sua

volta, essere scomposta in due componenti: probabilità di insolvenza

della controparte e tasso di recupero in caso di insolvenza. In

formula52:

PA = E(t)*[1-E(TR)]*Esp

PA = perdita attesa (o tasso di perdita atteso)

E(t) = probabilità di insolvenza attesa (o tasso di insolvenza atteso)

E(TR) = tasso di recupero atteso in caso di insolvenza

Esp = esposizione creditizia

Un esempio chiarisce meglio la formula. Se, ad esempio, una

banca avesse in portafoglio una esposizione creditizia del valore di

Lire 5.000.000 nei confronti di un soggetto con probabilità di

insolvenza dell’8%, ed il tasso atteso di recupero fosse pari al 70%, la

perdita attesa sarebbe pari a Lire 120.000 [5.000.000*8%*(1- 70%)].

La probabilità di insolvenza dipende da molti fattori riguardanti la

controparte, cioè condizioni economico-finanziarie, prospettive di

52 Sironi A., 1998, Dalla probabilità di insolvenza, cit. p. 35.

135

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evoluzione, capacità del management, settore di appartenenza e

congiuntura economica.

Il tasso di recupero, invece, dipende dalla forma tecnica del

prestito, dalle varie garanzie che lo assistono, dalla qualità o gravità

dello stato di insolvenza e dal grado di liquidità della controparte. Però

anche in questo caso, il tasso di recupero deve essere inteso in senso

finanziario. Infatti esso potrebbe essere stimato con la metodologia

discounted cash flows approach. Questa si basa sui cash flows

effettivamente percepiti dalla banca in caso di default della

controparte o emittente del debito e consiste nel valutare tutti i cash

flows percepiti dal creditore (banca), riportandoli alla data di default

mediante un idoneo tasso di sconto e rapportandoli all’ammontare

nominale dell’esposizione creditizia originaria. Analiticamente53:

E(TR) = [VA(I)+VA(P)+VA(C)]/ VND

E(TR) = tasso di recupero atteso;

VA(I) = valore attuale dei flussi d’interesse rimborsati post-default;

53 Fabbri A., 2000, La valutazione dei credit derivatives: strumenti rilevanti e approcci alternativi alla stima delle probabilità di default, in Nassetti C. F., Fabbri A., Trattato sui contratti derivati di credito, Egea, Milano, p.143.

136

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VA(P) = valore attuale dei flussi derivanti dal rimborso del principale

post-default;

VA(C) = valore attuale degli utilizzi del prestito post-default;

VND = valore nominale dell’esposizione alla data di default.

Occorre in ogni caso osservare come, indipendentemente dagli

approcci utilizzati per il calcolo del recovery rate, l’unica e forse

obiettiva distinzione ai fini della stima del recovery rate, è che i

prestiti bancari presentano un recovery rate maggiore rispetto a quello

riguardante le obbligazioni.

La stima del tasso di perdita attesa viene utilizzata dalla banca,

dopo la decisione di concessione del prestito ad un soggetto, per il

pricing del prestito. In termini analitici54:

[1-E(t)]*(1+ip)=(1+if)

E(t) = probabilità di insolvenza;

ip = tasso di interesse comprensivo del premio per il rischio di credito;

if = tasso privo di rischio (tasso risk-free).

Poiché sono noti sia E(t) che if (tasso sui titoli di Stato), si può

ricavare ip:

137

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ip={(1+if)/[1-E(t)]} -1

Come risulta evidente, aumentando la probabilità di insolvenza

della controparte, aumenta il tasso di interesse richiesto (ip). Tuttavia

questa relazione non tiene conto della circostanza che, in caso di

insolvenza della controparte, una parte del credito viene recuperata.

Infatti la parte del credito che viene recuperata è pari a E(t)*E(TR)*

(1+ip), quindi la relazione precedente potrebbe essere riscritta nei

seguenti termini:

E(t)*E(TR)*(1+ip)+[1-E(t)]*(1+ip)=(1+if)

da cui si ricava ip:

ip={(1+if)/[E(t)*E(TR)+1-E(t)]} -1

dove qui si evidenzia che, un aumento del tasso di recupero, segue una

diminuzione del tasso di interesse da applicare alla clientela.

54 Anolli M.,Gualtieri P., 1999, La misurazione e la gestione del rischio., cit. p.15.

138

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5.2.1 Term structure degli spread

Con questa metodologia viene stimata la probabilità di default

dei prenditori osservando i premi per il rischio di credito impliciti nei

rendimenti delle obbligazioni. In particolare si confrontano per le

diverse scadenze temporali i rendimenti dei titoli rischiosi con quelli

dei titoli privi di rischio aventi la medesima durata e le stesse

caratteristiche, in termini di modalità di rimborso e di pagamento degli

interessi.

I dati necessari per lo sviluppo di tale metodologia sono55:

• curva tassi zero-coupon dei titoli risk-free;

• curva tassi zero-coupon dei titoli rischiosi;

• tassi di recupero in caso di insolvenza.

Sul piano procedurale si dovranno prioritariamente determinare i

tassi di rendimento a termine (tassi forward) sia per i titoli risk-free

che per quelli rischiosi. Analiticamente:

55 Sironi A.,1998, I modelli per la stima dei tassi di insolvenza basati sui dati del mercato dei capitali, in AA.VV., La misurazione e la gestione del rischio di credito (a cura di Sironi A., Marsella M. ), Bancaria, Roma, p. 157.

139

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R(t,t+1)={[1+R(0,t+1)]^t+1/[1+R(0,t)^t]}–1 (1)

dove R(t, t+1) è il tasso a termine del periodo che va da t a t+1; R(0,

t+1) è il tasso z. coupon relativo alla scadenza t+1; R(0,t) relativo alla

scadenza t.

Poi si calcolano i tassi di perdita attesa in base agli spread fra i

tassi a termine relativi alle due categorie di titoli. Analiticamente:

PA(t,t+1)=1-{[1+RF(t,t+1)]/[1+RR(t,t+1)]} (2)

dove RF e RR sono i tassi a termine dei titoli risk-free e dei titoli

rischiosi.

Infine, dalla perdita attesa, si ricavano sia le probabilità di

insolvenza marginali che quelle cumulate. In formula:

TDM(t,t+1)=PA(t,t+1)/(1-TR) (3)

TDCT=1-∏TS (4)

TDM(t,t+1) è il tasso di default marginale; TR è il tasso di recupero

(ipotizzato costante); TDCT è il tasso di default cumulativo relativo

alla scadenza T (pari al complemento a 1 del prodotto dei tassi di

sopravvivenza marginali TS [il tasso di sopravvivenza marginale è il

complemento a 1 del tasso di default marginale]).

140

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Un esempio potrebbe chiarire la metodologia. Supponiamo di

avere i tassi di rendimento zero-coupon (con relative scadenze fino a 4

anni), sia dei titoli risk-free che dei titoli rischiosi.

Tabella 1 - Tassi zero-coupon

Scadenza Tassi dei titoli

risk-free Tassi dei titoli

rischiosi Spread

1anno 3,00% 3,10% 0,10% 2 anni 3,30% 3,50% 0,20% 3 anni 3,60% 4,00% 0,40% 4 anni 4,00% 4,50% 0,50%

In base ai dati riportati nella tabella 1 si calcolano i rendimenti a

termine di entrambi i titoli, utilizzando la formula (1). Così nella

tabella 2.

Tabella 2 - Tassi a termine

Scadenza Tassi dei titoli

risk-free Tassi dei titoli

rischiosi Spread

0-1 3,00% 3,10% 0,10% 1-2 3,60% 3,90% 0,30% 2-3 4,20% 5,00% 0,80% 3-4 5,20% 6,00% 0,80%

Dai tassi a termine, utilizzando le formule (2) (3) e (4), si

ricavano i tassi di perdita. Ipotizzato un tasso di recupero del 60%, i

tassi di insolvenza marginale e i tassi di insolvenza cumulativi

sarebbero quelli riportati nella tabella 3.

141

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Tabella 3 – Tassi di default marginali e cumulativi Scadenza PA TDM TS TDC

1 0,09% 0,23% 0,9977 0,23% 2 0,29% 0,73% 0,9927 0,96% 3 0,76% 1,90% 0,9810 2,84% 4 0,75% 1,86% 0,9814 4,65%

Tuttavia i tassi di default marginali possono essere calcolati

anche partendo dagli spread a termine. Infatti, utilizzando la formula

per il calcolo del pricing di un prestito, cioè:

TDM*TR*(1+TRR)+(1-TDM)*(1+TRR)=1+TRF (5)

dove TRR e TRF sono rispettivamente i tassi a termine dei titoli

rischiosi e risk-free calcolati precedentemente, si perverrebbe con una

serie di passaggi alla formula:

TRR-TRF(spread a termine) ={(1+TRF)/[TR+(1-TDM)-(1-TDM)*TR]}–(1+TRF)

Sostituendo alla formula lo spread a termine, si ricaverebbe le

probabilità di default marginali (TDM).

142

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5.2.2Modelli attuariali basati sul tasso di mortalità56

Questi modelli seguono un approccio di tipo attuariale, basandosi

su dati prodotti dalle agenzie di rating, relativi ai tassi di insolvenza

storicamente registrati dagli emittenti di titoli obbligazionari sottoposti

ad una valutazione in termini di rating.

Le probabilità di insolvenza di un’impresa calcolate seguendo

questo procedimento si fondono su 2 informazioni:

1. classe di rating dell’impresa stessa;

2. tasso di insolvenza storicamente registrato dalle imprese della

medesima categoria.

Anche qui, come nel modello precedente, vengono calcolati i

tassi di insolvenza marginali, cumulati e di sopravvivenza.

TDMt=DEt/POPt=1-TSt (1) TDCT=1- TSt (2)

TDMt = tasso di default marginale relativo all’anno t;

DEt = insolvenze verificatesi nell’anno t;

56 Paragrafo basato sui seguenti testi Sironi A., 1998, cit. p.167-171; Anolli- Gualtieri, 1999, cit. p.42-47; Fabbri, 2000, cit. p.122-142.

143

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POPt = popolazione complessiva all’inizio dell’anno t;

TSt = tasso di sopravvivenza marginale relativo all’anno t;

TDCT = tasso di default cumulato relativo all’anno T.

I tassi di default marginali rappresentano una proxy della

probabilità di insolvenza in uno specifico anno successivo

all’emissione. Quindi TDMt misura la probabilità che, sulla base

dell’esperienza storica di un gruppo di obbligazioni simili, un dato

titolo obbligazionario manifesti insolvenza al t-esimo anno di vita. La

tabella seguente è un esempio di calcolo dei tassi di default.

Tabella 1- Tassi di default marginali annuali (1971-1994) Rating 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 AAA 0.0 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 AA 0.0 0.05 1.06 0.09 0.00 0.00 0.01 0.00 0.06 0.04 A 0.0 0.19 0.07 0.21 0.06 0.06 0.20 0.19 0.00 0.00 BBB 0.4 0.25 0.32 0.55 0.89 0.39 0.09 0.00 0.59 0.23 BB 0.5 0.58 4.15 4.84 1.13 0.33 0.94 0.23 0.64 0.58 B 1.5 7.12 6.80 7.29 3.40 3.40 2.80 2.13 2.83 3.43 CCC 8.3 10.69 18.53 10.26 9.18 5.56 2.49 2.97 12.28 1.35 Fonte: Altman e Saunders [1997,1730]

Da questa tabella di può notare come i tassi di insolvenza

marginali risultino crescenti al crescere degli anni per le classi di

rating migliori, mentre decrescenti per le classi di rating peggiori. Ciò

perché nel corso degli anni le imprese “migrano” in altre classi di

rating (upgrading/downgrading). Ovviamente è più probabile che tali

variazioni di rating avvengano in senso peggiorativo per le imprese

144

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appartenenti a classi di rating migliori, ed in senso migliorativo per

quelle appartenenti a classi di rating peggiori. Utilizzando la tabella 1

si possono calcolare, in base alla formula 2, i tassi di default cumulati.

Se vogliamo calcolare la probabilità di insolvenza cumulata a 4 anni

delle obbligazioni di classe BBB, avremo:

Tabella 3-Tassi di default marginali, di sopravvivenza, e cumulati della classe

BBB ANNI TDM TS TDC

1 0,41% 99,59% 0,41% 2 0,25% 99,75% 0,66% 3 0,32% 99,68% 0,97% 4 0,55% 99,45% 1,51%

Il tasso di default cumulato relativo al terzo anno, per esempio, si

ottiene tramite l’impiego della formula:

TDC3 = 1-(0,9959*0,9975*0,9968)=0,97%

Quindi applicando questa formula a tutte le classi di rating si

avrebbe la tabella seguente

145

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Tabella 1- Tassi di default cumulati (1971-1994) Rating 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 AAA 0.00 0.00 0.00 0.00 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 AA 0.00 0.05 1.11 1.20 1.20 1.20 1.20 1.20 1.26 1.30 A 0.00 0.19 0.26 0.47 0.53 0.59 0.78 0.98 0.98 0.98 BBB 0.41 0.66 0.97 1.51 2.39 2.77 2.86 2.86 3.44 3.66 BB 0.50 1.08 5.19 9.78 10.79 11.26 13.64 13.87 14.55 15.21 B 1.59 8.60 14.82 21.02 23.71 28.21 30.22 31.70 33.63 35.91 CCC 8.32 18.13 33.30 40.14 45.63 48.66 49.94 51.42 57.39 58.31 Fonte: Altman e Saunders [1997,1730]

I tassi di default cumulati TDCt dovrebbero essere utilizzati dalle

banche, insieme ai tassi di recupero, per la determinazione dei premi

per il rischio connessi all’attività creditizia. Tuttavia, qualora l’attività

creditizia si riferisca ad un periodo maggiore dell’anno, le perdite

attese necessarie per il pricing dei prestiti non potrebbero basarsi solo

sui tassi di default cumulati.

I TDC esprimono la probabilità di insolvenza nel periodo che va

dall’emissione alla scadenza dell’attività, e quindi non sono espressi

su base annua come è necessario per il calcolo del premio di

rendimento del prestito.

Risulta quindi necessario ricavare i tassi di insolvenza su base

annua. Ponendo:

(t=1 T)=(1-TDA)^T (3) si avrebbe

TDAT=1-( TSt)^1/T (4)

146

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TDAT = Tasso di default annualizzato relativo al periodo T.

La tabella che segue offre una dimostrazione di calcolo dei tassi

di insolvenza annualizzati.

Tabella 5 – Tassi di default annualizzati della classe BBB.

Anno TDM TDC TDA 1 0.41% 0.41% 0.41%

2 0.25% 0.66% 0.33%

3 0.32% 0.97% 0.30% 4 0.55% 1.51% 0.38%

Come risulta evidente, i tassi di insolvenza annualizzati sono

inferiori a quelli cumulativi.

147

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5.2.3 Option pricing theory57

La misurazione del tasso di insolvenza può essere stimata in base

all’approccio derivante dall’Option Pricing theory; di conseguenza, il

contesto teorico è quello relativo alla teoria delle opzioni sviluppata a

partire dal contributo di Black e Scholes e applicata poi all’analisi del

rischio di default da Merton. Questa teoria si basa sull’idea che gli

azionisti di una determinata società equivalgono ad acquirenti di

un’opzione call sul valore di mercato delle attività della stessa, il cui

prezzo di esercizio è pari al valore contabile del debito della società. Il

valore del capitale azionario può, quindi, essere considerato come il

valore di un’opzione call di tipo europeo sul valore di mercato delle

attività della società. Dal punto di vista intuitivo tale modello dice

questo: l’insolvenza di un’impresa avviene nel momento in cui il

valore delle attività risulti inferiore al valore delle passività. Le

variabili rilevanti nella determinazione della probabilità di insolvenza

dell’impresa sono:

57 Paragrafo basato sui seguenti testi Sironi A., 1998, cit. p.161-164; Anolli- Gualtieri, 1999, cit. p.47-55; Fabbri, 2000, cit. p.115-122

148

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1. valore delle attività (cioè valore attuale dei flussi di cassa che

l’impresa produrrà in futuro);

2. valore delle passività (valore contabile del debito che si

presuppone pari all’emissione di un titolo zero-coupon);

3. volatilità del valore delle attività.

L’unica variabile nota è il valore contabile del debito. La

probabilità di insolvenza sarà pari all’area rossa del grafico seguente:

P = valore contabile del debito; A = Valore di mercato delle attività.

Il pay-off a scadenza dell’opzione call per gli azionisti è

illustrato nella seguente figura n.1:

149

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Fig.1 Pay-off degli azionisti a scadenza

Osservando il grafico si nota che se il valore delle attività (A1) a

scadenza fosse pari o inferiore a quello del debito (P), il pay-off degli

azionisti risulterebbe nullo (nella figura risulta –S in quanto perdono il

valore dei loro conferimenti). Se, invece, il valore dell’attivo (A2)

fosse maggiore del debito, il pay-off degli azionisti risulterebbe

positivo e pari alla differenza tra attività e debito. In termini analitici

entrambe le situazioni sono simboleggiate da questa uguaglianza:

Call = MAX (0, A-P)

Un approccio alternativo è quello di considerare il pay-off del

creditore: la posizione del creditore è quella di chi vende una opzione

put sul valore delle attività dell’impresa, con prezzo d’esercizio pari

al valore del debito (capitale+interessi). In figura:

150

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Fig.2 Pay-off dei creditori a scadenza

L’ordinata L rappresenta il rimborso totale del debito ai creditori

nel momento in cui il valore delle attività dell’impresa (A2) fosse

uguale o maggiore del debito (P); nel caso in cui il valore delle attività

(A1) fosse minore del debito (P), il rimborso di quest’ultimo andrebbe

sempre più diminuendo fino ad aversi una perdita totale rappresentata

dall’ordinata w. Quindi in termini simbolici:

Put = min (P, A).

Come già detto, l’unica variabile nota è il valore contabile del

debito. Per conoscere le altre due variabili (valore dell’attivo e

volatilità di quest’ultimo) necessarie per la stima del tasso di default, è

necessario assimilare il valore del capitale azionario a quello di

151

IL RISCHIO DI CREDITO E I MODELLI DI MISURAZIONE Autore: Lorusso Vincenzo Email: [email protected]

un’opzione call. Poiché il valore di un’opzione è funzione di 5

variabili (prezzo d’esercizio, prezzo di mercato dell’attività

sottostante, tempo a scadenza, tasso di interesse e volatilità

dell’attività sottostante), il valore del capitale azionario risulterebbe:

C =ƒ(P,A,σA,T,i)

‘C’, ‘T’ e ‘i’ rappresentano rispettivamente il valore di mercato

del capitale azionario, la scadenza del debito e il tasso di interesse

risk-free. La funzione “f” rappresenta la formula di pricing di

un’opzione. Di queste 6 variabili sono note ‘C’ (prezzo di mercato

delle azioni), ‘P’ (debito contabile), ‘T’ ed ‘i’. Non sono note le altre

due, cioè valore e volatilità dell’attivo. Per poter conoscere queste due

variabili sarà necessario porre in essere un’altra equazione, e poiché vi

è un legame teorico tra volatilità del valore di mercato del capitale

azionario e volatilità del valore delle attività di un’impresa,

l’equazione risulta:

σC =ƒ(A,σA,P,i) ;

152

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poiché la volatilità del capitale azionario può essere stimata mediante

la volatilità del prezzo delle azioni dell’impresa, anche in questa

equazione non sono note il valore e la volatilità degli attivi

dell’impresa e quindi possono essere conosciute mediante un sistema

a due equazioni con due incognite.

153

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5.3 La perdita inattesa

La perdita inattesa, come è stato detto, è la perdita che dipende

dalla volatilità della perdita attesa, ossia la perdita derivante dalla

differenza tra la perdita corrispondente al worst case scenario e la

perdita attesa. Mentre quest’ultima trova copertura nel pricing del

prestito, la perdita inattesa implica accantonamenti e capitale

economico assorbito in relazione all’ammontare stimato della stessa.

L’esistenza di una perdita inattesa dipende dai due elementi che

compongono la perdita attesa: recovery rate e tasso di insolvenza

dell’impiego.

In altri termini la perdita inattesa è legata alla possibilità che il

tasso di insolvenza effettivamente registrato a posteriori risulti

superiore di quello stimato e/o, in caso di insolvenza, il tasso di

recupero risulti inferiore a quello stimato. In una logica VAR ciò

potrebbe essere rappresentato in questo modo:

154

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Fonte:Sironi Marsella [1998,42]

Questo grafico aiuta a comprendere la natura della perdita attesa

e della perdita non attesa. Come si può notare la perdita attesa è pari al

prodotto del tasso di insolvenza medio atteso E(T) con il tasso di

perdita atteso in caso di insolvenza 1-E(TR): quindi l’area tratteggiata in

rosso equivale alla perdita attesa. La perdita inattesa viene calcolata

decidendo il livello di confidenza (grado di avversione al rischio);

quindi nel grafico sono stati indicati i valori che tagliano le

distribuzioni in corrispondenza di un livello di confidenza del 99% (si

è supposto una distribuzione normale del tasso di insolvenza). Il

155

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prodotto tra i lati T99% e (1-TR99%) rappresenta la perdita complessiva

che si avrebbe, con un intervallo di confidenza del 99%, se entrambe

le variabili subissero una variazione sfavorevole (worst case scenario)

rispetto ai valori attesi. Quindi la perdita non attesa è pari alla

differenza tra queste due aree, cioè l’area tratteggiata in verde. Il

calcolo del VAR di un’esposizione creditizia comporta, naturalmente,

la stima della distribuzione di probabilità del tasso di perdita; il valore

medio di quest’ultimo è maggiore di zero, a differenza dello stesso per

i rendimenti dei fattori di mercato che è presupposto nullo58.

58 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, in AA.VV., p.184.

156

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5.3.1 Il VAR di un’esposizione creditizia

I modelli per la stima della perdita inattesa (VAR) di

un’esposizione creditizia possono essere classificati in base alla

variabile di cui viene stimata la distribuzione di probabilità: tasso di

default oppure mark-to-market59.

Generalmente si usa il modello basato su una distribuzione di

probabilità del tasso di default quando il fine relativo all’esposizione

creditizia è l’investimento (banking book), in quanto risulta più

coerente con l’obiettivo della banca. Il secondo modello, invece, viene

utilizzato qualora l’esposizione creditizia fosse legata al fine di trading

(trading book); e anche in quest’ultimo caso ciò sarebbe coerente e,

come si vedrà, incorpora anche i cambiamenti di valore delle

esposizioni dovute a variazione degli spread creditizi.

In base all’ipotesi di distribuzione della probabilità si potrebbe

avere sia una distribuzione continua (metodologia CrediSuiss+), che

una distribuzione discreta60.

59 Fabbri A., 2000, La gestione del rischio di credito: dall’approccio tradizionale ai modelli di portafoglio, in Nassetti C. F., Fabbri A., cit., p.350. 60 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, cit., p. 185.

157

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La prima metodologia parte da una stima della volatilità dei tassi

di insolvenza e da questa calcola l’intera distribuzione di probabilità.

Gli inputs sono, oltre alla volatilità dei tassi di default, il ratings delle

controparti e i Recovery rate.

La seconda metodologia si basa, principalmente, su una

classificazione dei debitori per classi di rating e la distribuzione di

probabilità viene costruita in base a questi inputs: tassi di insolvenza

delle relative classi di rating, probabilità di migrazione da una classe

di merito ad un’altra e recovery rate (come vedremo in seguito, la

metodologia CreditMetrics richiede anche la curva degli spread

creditizi).

Altro aspetto rilevante è la scelta dell’orizzonte temporale di

valutazione. Indipendentemente dal modello utilizzato, l’orizzonte

temporale di riferimento può essere comune a tutti i tipi di esposizione

creditizia, oppure può coincidere con la scadenza dell’esposizione in

essere (hold-to-maturity)61.

Anche in questo caso la scelta dipende dagli obiettivi che la

banca ha riguardo alle posizioni creditizie presenti in portafoglio.

Il primo approccio è coerente con la frequenza di trading delle

158

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posizioni creditizie in portafoglio, e un holding period annuale

sarebbe adatto alle politiche di accantonamenti e di utilizzo del

capitale economico.

Un approccio hold-to-maturity, invece, è coerente con l’obiettivo

di investimento oppure con il condizionamento di un mercato

secondario poco liquido.

Le banche generalmente utilizzano il primo approccio, tuttavia lo

stesso non prende in considerazione una maggiorazione del rischio

presente in esposizioni creditizie con vita residua maggiore di un

anno. Per ovviare a questo inconveniente, e a date condizioni che

vedremo in seguito, è necessario trasformare il VAR annuale in un

VAR relativo al periodo che insistente sulla esposizione creditizia.

Dunque è necessario tenere conto del modello di credit risk

management adottato. Se il VAR annuale è stato calcolato su una

distribuzione continua dei tassi di default e sull’utilizzo della volatilità

del tasso di default, allora si dovrà utilizzare questa formula62:

σDT =σDt(T/t)^2

61 Fabbri A., 2000, La gestione del rischio di credito:, cit. p. 355. 62 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, cit., p. 190.

159

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σDT = volatilità del tasso di default relativa al periodo T.

Nel caso in cui il modello utilizzato si basa su una distribuzione

discreta dei tassi di default, con utilizzo di matrici di transizione che

misurano le frequenze con le quali si possono verificare variazioni del

merito creditizio, occorre trasformare la matrice di transizione annuale

in una matrice di transizione relativa al periodo d’interesse (come

vedremo in seguito). Se ciò non fosse possibile, ossia dovessero venire

meno determinate condizioni e ipotesi che permettano la validità di

tali trasformazioni delle volatilità e delle matrici annuali (comunque

basate su stima) occorrerà stimare per entrambi gli approcci le relative

volatilità e le matrici di transizione.

In questa procedura essenziale risulta essere la scelta

dell’intervallo di confidenza. Diversamente per i rischi di mercato in

cui la distribuzione di probabilità assume una forma gaussiana e

quindi normale, la distribuzione di probabilità dei tassi di insolvenza

(e quindi di perdita) risulta non normale e quindi la scelta

dell’intervallo di confidenza per il rischio creditizio non può basarsi

sull’utilizzo di un fattore scalare come per i rischi di mercato63.

63 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia, cit., p. 192.

160

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Si possono prospettare varie ipotesi. Ipotizzare una forma di

distribuzione di probabilità diversa da quella normale (è il caso della

metodologia CreditSuiss+), ricavata dalla stima della volatilità dei

tassi di insolvenza. Oppure non formulare nessuna ipotesi, e tagliare il

tasso di perdita in corrispondenza del livello di confidenza desiderato

in una logica del percentile.

161

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5.3.2 Approccio “insolvenza vs non insolvenza”

Una delle metodologie di valutazione del rischio di credito è

quella che prende in considerazione esclusivamente il fenomeno del

default.

Questo modello risulta più aderente alla valutazione del rischio di

credito relativo ai prestiti bancari, in quanto il rapporto contrattuale tra

banca e cliente non è così rigido come può esserlo tra quello di una

banca e l’emittente di obbligazioni.

La rischiosità creditizia può ricondursi alla categoria degli eventi

binomiali, caratterizzati da una probabilità ‘p’ e una probabilità

contraria e complementare ‘q’. Nella distribuzione binomiale di

probabilità l’esito di una singola prova presenta un valore atteso

(media) pari a p e scostamento quadratico medio (standard deviation)

pari a (p*q)^1/2 (la media di una distribuzione binomiale di probabilità è

pari a n*p, la sua varianza n*p*q, dove n rappresenta il numero di

prove)64.

64 Cicardo G., 1999, Controllo del rischio di credito: profili di regolamentazione prudenziale, in AA.VV., p152-153.

162

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Secondo questo modello una perdita avviene soltanto qualora si

verifichi l’insolvenza della controparte. Quindi la perdita in caso di

insolvenza, con una probabilità pari a E(t), sarà 1-E(TR) (loss given

default); mentre nel caso di non insolvenza la perdita, con probabilità

1-E(t), sarà 0.

Quindi in base a questi dati, utilizzando un approccio binomiale

di una variabile casuale, si possono calcolare media (che identifica la

perdita attesa) e volatilità (che identifica la perdita inattesa) della

distribuzione di probabilità delle perdite65:

E(PA)=E(t)*[1-E(TR)] (perdita attesa)

σ^2(PA)=E(t)*[1-E(t)]*[1-E(TR)]^2

Calcolata la varianza della perdita attesa si potrà conoscerne la

volatilità, cioè la perdita inattesa:

σ(PA)={E(t)*[1-E(t)]*[1-E(TR)]}^2=[1-E(TR)]*{E(t)*[1- E(t)]}^1/2

65 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p.197-198.

163

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Visto che la volatilità della perdita attesa non dipende solo dalla

volatilità del tasso di insolvenza, ma anche dalla volatilità del tasso di

recupero σTR, si avrà:

σ(PA) =E(t)*[1- E(t)]*[1-E(TR)]^2 +E(t)*σ^2(TR)

Esempio di calcolo della perdita inattesa. Si ipotizzi una

probabilità di insolvenza del 2%, un tasso di recupero del

70% e una volatilità di quest’ultimo pari al 5%.

Analiticamente:

σ(PA) = 0,02*(1-0,02)*(1-0,7)^2+0,02*0,05^2= 0,18%

164

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5.3.3 Approccio basato su una distribuzione discreta dei tassi di insolvenza

Questo tipo di approccio per la misurazione del VAR di una

esposizione creditizia, in contrapposizione al precedente, non tiene

conto del solo rischio di insolvenza ma anche del rischio di

migrazione, ossia della probabilità che un determinato soggetto

appartenente ad una classe di merito resti, in un orizzonte temporale di

riferimento (holding period), nella stessa classe oppure “migri” verso

altre classi. Inoltre, sempre differentemente dal modello precedente,

evita di trascurare il diverso grado di rischio associato alla diversa vita

residua degli impieghi in portafoglio.

Necessari all’attuazione di tale approccio sono:

1. i tassi d’insolvenza attesi per ogni classe di merito creditizio

(tassi di insolvenza cumulati);

2. la matrice di transizione che esplichi la probabilità di migrazione

verso altre classi.

165

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5.3.3.1 La matrice di transizione e il rischio di migrazione

Come è stato detto, la matrice di transizione descrive il

comportamento evolutivo del tasso di insolvenza, legato ad una

determinata classe di rating in un certo periodo di riferimento. Un

esempio di matrice di transizione è questa:

Tabella 1 Matrice di transizione a un anno

Rating a fine anno (%)

Rating iniziale

AAA AA A BBB BB B CCC Defaul

AAA 88.5 8.1 0.7 0.1 0.1 0 0 0

AA 0.6 88.5 7.6 0.6 0.1 0.1 0 0

A 0.1 2.3 87.6 5 0.7 0.2 0 0.4

BBB 0 0.3 5.5 82.5 4.7 1 0.1 0.2 BB 0 0.1 0.6 7 73.8 7.6 0.9 1

B 0 0.1 0.2 0.4 6 72.8 3.4 4.9

CCC 0.2 0 0.3 1 2.2 9.6 53.1 19.3

Default 0 0 0 0 0 0 0 100

Fonte: Standard&Poor’s,1997. Come si vede, il risultato più probabile, da un anno all’altro, sarà

la permanenza nella classe di rating iniziale; tuttavia non vengono

escluse probabilità di migrazione verso altre classi. Ad esempio, un

soggetto di classe A ha una probabilità dell’87,6% di restare nella

stessa classe, mentre ha minori probabilità di migrare in altre classi.

166

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L’unità di analisi all’interno delle matrici di transizione è la

singola società emittente debito a lungo termine, indipendentemente

dall’ammontare nominale del debito emesso e dal numero di emissioni

effettuate.

Le banche utilizzano un orizzonte temporale di riferimento

solitamente annuale. Tuttavia, qualora il periodo di riferimento fosse

superiore all’anno, la matrice di transizione annuale dovrebbe essere

trasformata in una avente orizzonte temporale più lungo. In pratica la

matrice annuale dovrebbe essere moltiplicata per se stessa tante volte

quanti sono gli anni da considerare meno uno. Analiticamente la

probabilità che un soggetto di classe A resti per due anni consecutivi

nella stessa classe è pari a:

87,6*87,6+2,3*7,6+0,1*0,7+5*5,5+0,7*0,6+0,2*0,2=77,5.

Quindi, generalizzando, la matrice di transizione a t anni si

ottiene con la seguente formula66:

N

jPMi,t=∑ jPMi,t*iPMj,t

i=1

66 Anolli-Gualtieri, 1999, La misurazione del rischio di credito, cit. p.73.

167

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jPMi,t rappresenta la probabilità che un soggetto di classe j migri verso

i durante il periodo t. N rappresenta il numero delle classi di rating.

Come è stato detto all’inizio, affinché da una matrice (e quindi da

un periodo di riferimento) sia possibile ricavarne un’altra per un

periodo più lungo (poiché sarebbe più corretto averne una originaria,

cioè stimata e non ricavata) occorrerà che si verifichino determinate

condizioni. In riferimento al singolo impiego, la probabilità di

movimento da una classe ad un’altra deve essere indipendente67:

1. indipendente dalla propria storia passata, cioè indipendente dal

fatto che in passato abbia subito upgrading o downgrading;

2. temporalmente stazionaria, ossia costante nel tempo;

3. la stessa per tutti gli impieghi classificati in una certa classe,

indipendentemente dalle caratteristiche del singolo impiego;

4. indipendente dai movimenti cui sono soggetti gli altri impieghi.

Se una delle precedenti condizioni non dovesse essere verificata,

la matrice costruita porterebbe a stime della perdita inattesa molto

lontane dalla realtà.

67 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 205.

168

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5.3.3.2 La perdita inattesa come deviazione standard della perdita attesa

Come è stato detto per il calcolo della perdita inattesa, in base ad

un approccio basato su una distribuzione discreta dei tassi di

insolvenza, è necessario calcolare le probabilità di insolvenza

cumulate e la matrice di transizione rispetto ad un relativo periodo di

riferimento. In questo paragrafo analizzeremo la perdita inattesa come

una semplice deviazione standard della perdita attesa.

Prendendo in considerazione la seguente tabella di probabilità di

insolvenza cumulate:

Tabella 1 Tassi di default cumulati (1971-1994) Rating 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 AAA 0.00 0.00 0.00 0.00 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 0.08 AA 0.00 0.05 1.11 1.20 1.20 1.20 1.20 1.20 1.26 1.30 A 0.00 0.19 0.26 0.47 0.53 0.59 0.78 0.98 0.98 0.98 BBB 0.41 0.66 0.97 1.51 2.39 2.77 2.86 2.86 3.44 3.66 BB 0.50 1.08 5.19 9.78 10.79 11.26 13.64 13.87 14.55 15.21 B 1.59 8.60 14.82 21.02 23.71 28.21 30.22 31.70 33.63 35.91 CCC 8.32 18.13 33.30 40.14 45.63 48.66 49.94 51.42 57.39 58.31 Fonte: Altman e Saunders [1997,1730]

la perdita attesa di un impiego a 7 anni di classe BBB, con un holding

period di un anno e un recovery rate pari al 60%, è:

PABBB,7=2,86%*(1-60%)=1,144

169

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Per il calcolo della perdita inattesa come semplice deviazione

standard di quella attesa, si deve tener conto che i possibili eventi sono

rappresentati dai tassi di insolvenza cumulata a 6 anni relative alle 7

classi di rating. Le probabilità che questi eventi succedano sono

rappresentate dalle frequenze con cui il soggetto finanziato migra, nel

corso di un anno, verso altre classi di rating. In base alla seguente

matrice di transizione:

Tabella 2 Matrice di transizione a un anno Rating a fine anno (%)

Rating iniziale

AAA AA A BBB BB B CCC Defaul

AAA 88.5 8.1 0.7 0.1 0.1 0 0 0

AA 0.6 88.5 7.6 0.6 0.1 0.1 0 0

A 0.1 2.3 87.6 5 0.7 0.2 0 0.4

BBB 0 0.3 5.5 82.5 4.7 1 0.1 0.2 BB 0 0.1 0.6 7 73.8 7.6 0.9 1

B 0 0.1 0.2 0.4 6 72.8 3.4 4.9

CCC 0.2 0 0.3 1 2.2 9.6 53.1 19.3

Default 0 0 0 0 0 0 0 100

Fonte: Standard&Poor’s,1997.

la perdita non attesa di un impiego di classe BBB a 7 anni con vita

residua di un anno è pari a:

{0*[0.08(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+0.3*[1.20(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+5.5*[0.59(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+82.5*[2.77(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+4.7*[11.26(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+1*[28.21(1-60%)-2.77(1-60%)]^2+0.1[48.66(1-60%)-2.77(1-60%)]^2}^1/2 = 13.96%

170

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Generalizzando e ponendo le classi di rating AAA=1, AA=2, A=3,

BBB=4, BB=5, B=6 e CCC=7, si avrà68:

Pij,t ={ jPMi,t*(PAi,t-1-PAj,t-1)^2}^1/2

dove

PIj,t =perdita inattesa relativa ad un impiego di classe j e vita residua t;

PAi,t-1 = perdita attesa di un impiego di classe i e vita residua t-1;

PA j,t-1 = perdita attesa di un impiego di classe j e vita residua t-1.

Questa formula prende in considerazione solo la volatilità del

tasso di insolvenza come causa principale della perdita inattesa, ma

sappiamo che la perdita inattesa dipende anche dalla volatilità del

tasso di recupero. In termini analitici69:

Pij,t ={ jPMi,t*[(PAi,t-1+σTR)-PAj,t-1]^2}^1/2

68 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 207. 69 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 208.

171

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5.3.3.3 La perdita inattesa come perdita massima potenziale con un certo livello di confidenza: il VAR

Il paragrafo precedente calcola la perdita inattesa come semplice

volatilità (deviazione standard) dei fattori che compongono la perdita

attesa, cioè recovery rate atteso e tasso di default atteso. Il valore a

rischio di una posizione finanziaria è differente dalla semplice

deviazione standard, in quanto include la perdita potenziale attesa, al

variare del tasso di insolvenza atteso ed il tasso di recupero atteso

(entro un certo livello di confidenza).

Per far ciò è necessario tagliare la distribuzione dei tassi di

insolvenza (dei tassi di perdita, se si dovesse tener conto anche dei

tassi di recupero) in corrispondenza del livello di percentile (livello di

protezione desiderato e, quindi, grado di avversione del rischio). Se

volessimo calcolare il VAR a un anno per un impiego a 7 anni di

classe 4 (cioè BBB), dovremmo prima calcolare la perdita attesa che si

avrebbe alla fine dell’anno, cioè:

PA4,6 = 2,77%*(1-60%) = 1,108

172

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Per il calcolo del valore a rischio della posizione creditizia

considerata sarà necessario stabilire il livello di confidenza

considerato, isolando le probabilità di migrazione a 1 anno

dell’impiego di classe 4 (BBB). Ad esempio, un livello di protezione

del 99% implica l’esclusione dell’1% (probabilità cumulata a un anno

di un downgrading al rating CCC degli eventi, attribuendo ad una

percentuale minima (1%) la probabilità che il soggetto affidato

“migri” al di sotto della classe B (nell’esempio, la probabilità di

migrazione dell’impiego di classe 4 verso la classe 7 CCC. In questo

caso, il VAR dell’impiego, con un livello di confidenza del 99%, è

pari a70:

VAR4,7,99% =PA6,6-PA4,6 =11,284- 1,108 =10,176%

Il valore a rischio trovato non prende però in considerazione la

variazione che il tasso di recupero atteso possa subire durante l’anno.

Quindi se si dovesse supporre che il recovery rate possa scendere, con

una probabilità del 99%, al 20%, il VAR sarebbe pari a:

VAR4,7,99% =PDC6,6*(1-TR99%)-PA4,6 =22,568 - 1,108 = 21,46

70 Sironi A.,1998, La misurazione del VAR di una esposizione creditizia,cit., p. 209.

173

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5.4 CreditMetrics71

Il modello di misurazione del rischio di credito CreditMetrics è

basato su una distribuzione dei valori di mercato. Questa metodologia,

messa a punto dalla banca americana J.P. Morgan, mira a stabilizzare

il valore di un portafoglio di crediti bancari facendo leva sulle

correlazioni esistenti tra i diversi Paesi e i diversi settori merceologici.

In particolare CreditMetrics misura, in un ottica di portafoglio, il

cambiamento di valore degli strumenti di debito a seguito dei

cambiamenti nel merito creditizio del debitore (upgrading,

downgrading e default). Rispetto al modello precedente CreditMetrics

introduce una variabile di rischio addizionale, cioè la variazione degli

spread richiesti dal mercato.

Ma prima di parlare del rischio di portafoglio, introducendo la

terza componente di rischio di credito (effetto diversificazione), sarà

opportuno esporre la valutazione del valore a rischio di una singola

esposizione creditizia.

71 Questo paragrafo e i successivi esempi sono basati sui seguenti testi: Fabbri A., 2000. La gestione del rischio di credito, cit. p. 356-366, Anolli – Gualtieri, 1999, La misurazione del rischio di credito, cit. p.89-102, Resti A., 1999, Credit Metrics: insolvenze e altri eventi creditizi, in Il rischio creditizio, (a cura di Szego, Varetto), cit., p.306-319.

174

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5.4.1 Valutazione delle singole esposizioni

Per la misurazione del valore a rischio di una singola esposizione

creditizia sono necessari i seguenti passaggi:

Rilevazione del rating del prenditore, cioè probabilità di default o di

migrazione verso altre classi di rating entro un determinato orizzonte

temporale (matrice di transizione);

Stima del tasso di perdita in caso di default (stima dei recovery

rate);

Stima dei credit spread;

Calcolo della volatilità o del valore a rischio della singola

esposizione.

La prima fase prevede la stima delle probabilità di migrazione e

quindi della matrice di transizione. Supponendo di avere la seguente

matrice di transizione:

…alla classe Dalla classe A B C Default A 97% 1,5% 1% 0,5% B 2% 94% 3% 1% C 2,5% 3,0% 90% 4,5% Tab.1 Matrice di transizione ad 1 anno: Fonte personale (valori di fantasia)

175

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Dopo aver stimato i tassi di migrazione sarà necessaria una stima

dei recovery rate. CreditMetrics, in questo caso, si basa sui dati storici

registrati nel mercato dei bond pubblici dalle agenzie rating, le quali

riportano il valore assunto dai titoli quando l’emittente diviene

insolvente. Nella tabella 2 sono riportati esempi di recovery rate.

Tab. 2 Tassi di recupero

Tipologia Senior secured

Senior unsecured

Senior subordina

ted Subordina

ted Junior

subordinated

Recovery rate

53.80% 51.13% 38.52% 32.74% 17.09%

Fonte : Sironi, 1998.

Dopo aver stimato i tassi di recupero, la successiva fase prevede

il calcolo dei tassi forward. Un esempio a questo punto risulta

necessario.

Supponiamo di voler valutare un’obbligazione a tasso fisso del

7%, valore nominale 10mln e vita residua pari a cinque anni, emessa

da un emittente di classe di rating A. Il valore attuale di questa

obbligazione è pari al valore attuale dei futuri flussi di cassa scontati

ai relativi tassi di sconto associati alla categoria di rating a cui

appartiene l’emittente. Nell’esempio i futuri flussi sono scontati

secondo i tassi spot della tabella seguente:

176

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Tabella 3 Tassi spot annui Anni 1 2 3 4 5

Classe A 5.00% 5.20% 5.70% 6.40% 7.20%

Classe B 5.20% 5.50% 6.20% 7.00% 8.00%

Classe C 6.00% 6.40% 7.20% 8.40% 9.50% Fonte personale (valori a fantasia)

Ammesso che il valore attuale dell’obbligazione sia 9.996.000

Lit., se volessimo sapere quale sarà il valore futuro dell’obbligazione

tra un anno (orizzonte di riferimento=1anno), dovremmo ricavare i

tassi forward annui. Questi tassi si ricavano in base al principio di

assenza di arbitraggio, cioè secondo la seguente formula:

[1+ i(0, 1)]*[1+i(1, t)]^t-1=[1+i(0, t)]^t

Tabella 4 Tassi forward

Anni i(1,2) i(1,3) i(1,4) i(1,5) Classe A 5.40% 6.05% 6.87% 7.76%

Classe B 5.80% 6.70% 7.61% 8.71% Classe C 6.80% 7.81% 9.21% 10.39%

Fonte personale (valori a fantasia

Dopo aver calcolato i tassi forward si dovranno calcolare i

valori futuri dell’obbligazione, sia che rimanga in A e sia che “migri”

verso altre classi incluso lo stato di default (si supponga un tasso di

recupero del 70% per la classe A). I possibili valori che l’obbligazione

potrà assumere, associati alle relative probabilità di migrazione, sono i

seguenti:

177

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Tabella 5 Distribuzione dei valori futuri Stato futuro Valore Probabilità

Classe A 9.795.000 97%

Classe B 9.500.000 1.5%

Classe C 9.000.000 1.0%

Default 7.000.000 0.5%

Elaborazione personale. (Una metodologia alternativa, per derivare la variazione del

valore di mercato della singola posizione creditizia in relazione a

ciascun cambiamento di rating, potrebbe essere quella di moltiplicare

per la duration modificata della relativa posizione creditizia la

differenza tra lo spread di rendimento della classe di rating iniziale e

quella raggiunta dopo la migrazione.)

La tabella n.5 rappresenta la distribuzione di probabilità dei

valori dell’obbligazione, quindi è possibile calcolare il valore medio e

la deviazione standard, che risultano rispettivamente pari a 9.768.000

e 2.887.000.

La volatilità del valore dell’esposizione al rischio condizionata

all’evoluzione del merito creditizio dell’emittente l’obbligazione può

essere sintetizzata, oltre che dalla deviazione standard, anche dal

percentile. Il primo percentile è dato dal valore sotto il quale

l’obbligazione scenderà con probabilità pari all’1%, il secondo

percentile è dato dal valore sotto il quale lo strumento scenderà con

178

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una probabilità del 2%. Ora nell’esempio precedente un secondo

percentile sta a significare che nel 98% delle probabilità il titolo potrà

al massimo subire un declassamento a B, e quindi il valore

dell’obbligazione potrà oscillare tra il suo valore medio (9.768.000) e

9.500.000. Il VAR98% sarà pari a questa differenza, cioè 268.000

(9.768.000 - 9.500.000).

179

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5.5 Il rischio di portafoglio e l’effetto diversificazione

Nel paragrafo precedente abbiamo calcolato il valore a rischio

della singola esposizione creditizia. In questo paragrafo si cercherà di

dimostrare che l’effetto diversificazione corregge, riducendola, la

somma delle perdite inattese delle singole esposizioni.

Supponiamo di avere in portafoglio un’altra obbligazione,

insieme alla precedente, di rating C del valore di 15mln, cedola 6% e

vita residua triennale. Ora in base ai tassi spot e forward

precedentemente calcolati, la distribuzione dei valori futuri (a un

anno), ipotizzando un tasso di recupero del 30%, è rappresentata nella

seguente tabella:

Tabella 6 Distribuzione dei valori futuri Stato futuro Valore Probabilità

Classe A 14.991.000 2,5%

Classe B 14.816.000 3%

Classe C 14.522.000 90% Default 4.500.000 4,5%

Elaborazione personale. Con valore atteso pari a 14.091.000, deviazione standard

2.083.000 e VAR98% 9.591.000.

A questo punto è necessario conoscere la distribuzione di

probabilità di transizione congiunta delle due obbligazioni, per poter

180

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calcolare VAR e deviazione standard del portafoglio composto da

entrambi i prestiti, tale da rilevare l’effetto diversificazione.

Immaginiamo di avere una previsione sulle probabilità di

transizione congiunta di entrambe le obbligazioni, e cioè:

Tabella 7 Distribuzione delle probabilità di transizione congiunte delle due obbligazioni

Stato della seconda obbligazione A B C Default Totale

A 2.43 2.91 87.3 4.36 97.00 B 0.04 0.05 1.35 0.07 1.51 C 0.03 0.02 0.90 0.05 1.00

Default 0.01 0.02 0.45 0.01 0.49

Stato della prima obbligazione

Totale .51 3.00 90.00 4.49 100.00 2Elaborazione personale

Come si può notare, la percentuale evidenziata in giallo è la più

alta, perché alta è la probabilità che entrambe le obbligazioni (come

somma dei due prestiti) continuino a restare nelle rispettive classi di

rating. La tabella seguente mostra, invece, i possibili valori futuri del

portafoglio:

Secondo prestito Stato A B C Default

A 24.386.000 24.611.000 24.317000 14.295.000 B 24.091.000 24.316.000 24.022.000 14.000.000 C 23.591.000 23.816.000 23.522.000 13.500.000

Primo prestito

Default 21.591.000 21.816.000 21.522.000 11.500.000

In base a questi dati si potrà conoscere il rischio di portafoglio

espresso dalla deviazione standard e dal valore a rischio.

181

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Analiticamente:

Tabella 9 Valore a rischio di un portafoglio obbligazioni Obbligazione 1 Obbligazione 2 Portafoglio Valore atteso 9.768.000 14.091.000 23.859.000 Deviazione standard

2.887.000 2.083.000 4.953.000

Secondo percentile

9.500.000 4.500.000 14.295.000

VAR98% 268.000 9.591.000 9.564.000 Elaborazione personale

Da quest’ultima tabella si può notare che l’effetto

diversificazione comporta un rischio di portafoglio minore rispetto

alla somma dei rischi delle due posizioni creditizie; infatti la

deviazione standard del portafoglio è minore della somma delle altre

due, e lo stesso vale per il valore a rischio. Quindi la diversificazione,

a parità di rendimento medio, riduce la varianza di portafoglio

attraverso una riduzione del rischio specifico o idiosincratico.

Quando si parla di rischio di portafoglio non si può fare a meno

di parlare del problema della stima delle correlazioni, e in questo caso

della costruzione delle matrici di transizione congiunte di più

esposizioni creditizie.

182

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Ci sono vari modi per stimare le correlazioni tra le variazioni dei

di mercato delle posizioni creditizie. Tra gli approcci più utilizzati

figurano i seguenti:

1. misurazione delle correlazioni tra le variazioni degli spread di

rendimento, rispetto ai titoli privi di rischio, dei diversi titoli

obbligazionari;

2. analisi delle migrazioni delle imprese da una classe di rating a

un’altra. I dati di riferimento sono le matrici di transizione delle

principali agenzie di rating;

3. modello Merton.

Su quest’ultimo modello si basa la metodologia CreditMetrics. In

particolare, poiché il modello sviluppato da Merton parte dalla

considerazione che il valore delle attività di un impresa determinino la

sua capacità di solvenza, il modello CreditMetrics non si limita solo a

conoscere il valore al di sotto della quale l’impresa diviene insolvente,

ma ipotizza che esistano diverse soglie che determinano, una volta

varcate, il cambiamento della classe di rating. Il modello si basa su

183

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una distribuzione di probabilità del valore delle attività secondo una

curva normale.

Fonte: Anolli-Gualtieri,1999, p.99.

Se, ad esempio, al superamento della soglia CCC è associata una

probabilità di –60%, una svalutazione delle attività del 60% porterà

l’impresa a non essere più classificata BBB ma CCC. Vantaggio di

questo modello è che sulla base del rendimento delle attività (e quindi

del valore atteso e della deviazione standard) risulta possibile

calcolare la probabilità di accadimento degli eventi creditizi.

Una volta trovate le probabilità di migrazione dei singoli debitori

è possibile calcolare la matrice varianza-covarianza dei debitori

(sempre in base all’ipotesi che i rendimenti delle attività siano

distribuiti normalmente) onde potersi calcolare la probabilità di

transizione congiunte. Le variazioni di valore delle attività di due

imprese, ad esempio, verranno rappresentate con una curva normale

184

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doppia, così che sarà sufficiente conoscerne il coefficiente di

correlazione per poter ricavare qualunque distribuzione. CreditMetrics

stima le correlazioni fra i valori delle attività degli emittenti

calcolando le correlazioni sulla base di indici settoriali di rendimenti

azionari. Tuttavia, al crescere del numero di posizioni non è più

conveniente derivare le matrici di probabilità congiunte, ma è

preferibile approssimare i risultati attraverso una simulazione Monte

Carlo.

185

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5.6 CreditRisk+72

CreditRiskPlus è un modello di valutazione e gestione del rischio

creditizio sviluppato dal Credit Suisse. Questo modello è volto a

stimare l’ammontare di capitale economico a rischio a fronte di un

determinato portafoglio di esposizioni creditizie detenute. È un

modello attuariale in quanto riprende tecniche di risk management e

algoritmi di calcolo in gran parte mutuati dalla gestione dei portafogli

di polizze vita delle compagnie di assicurazione.

5.6.1 Input iniziali del modello

Il CreditRisk+ tende a concentrarsi sul rischio di insolvenza,

ovvero sulla perdita che un’azienda di credito sostiene a seguito della

possibile inadempienza delle controparti. In questo modo i singoli

debitori vengono classificati in base ai rating e all’ammontare delle

esposizioni creditizie.

72 Paragrafo basato su Micocci M.,1999, I modelli attuariali: Credit Risk Plus, in AA.VV, (a cura di Szego-Varetto),cit. p.361-378.

186

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Gli input necessari per costruire questo modello sono:

1. ammontare esposizione;

2. ratings delle controparti;

3. tassi di default;

4. recovery rates;

5. volatilità tassi di default.

Tuttavia, a differenza del modello CreditMetrics, viene stimato in

modo diretto, solo l’impatto dell’insolvenza sul valore delle

esposizioni detenute in portafoglio, mentre solo indirettamente

vengono stimati fenomeni di Upgradings/downgradings delle

posizioni creditizie. Precisamente, mentre nel modello CreditMetrics

una variazione del rating di una posizione creditizia comporta una

variazione del valore economico del portafoglio, con CreditRisk+ un

variazione di valore del portafoglio si ha solo nel momento in cui la

variazione di rating produce una variazione del tasso di default

implicito nei diversi nominativi presenti nel portafoglio.

187

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5.6.2 La valutazione del numero e della dimensione delle insolvenze

I dati precedenti sono necessari per individuare la distribuzione

del numero degli adempimenti e, sulla base di questa, la distribuzione

di probabilità delle perdite per insolvenza.

Se prendiamo in considerazione il solo caso di tassi di default

costanti nel tempo, il numero delle insolvenze di un portafoglio, in un

periodo definito (un anno), può essere descritto da una distribuzione di

Poisson. Nel caso in cui si prenda in considerazione anche la volatilità

dei tassi di default, allora il numero delle insolvenze può essere

descritto da una distribuzione gamma.

Le differenze possono essere rappresentate dalla seguente figura.

188

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La diversità nella forma delle due distribuzioni e soprattutto nelle

“code” evidenzia, a parità di numero di inadempimenti, maggiori

probabilità di risultati positivi (basso numero di inadempimenti) e

negativi (alto numero di inadempimenti) nell’ipotesi di tassi variabili.

5.6.3 Il capitale economico

Una volta costruito il modello di distribuzione delle perdite,

sulla base dei modelli precedenti di distribuzione delle probabilità del

numero degli inadempimenti, è possibile gestire il rischio di credito in

base ai valori ottenuti. Così, in base ad un modello di distribuzione

delle perdite come il seguente,

189

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si potranno individuare le grandezze necessarie per attuare una

politica di gestione del rischio di credito. Infatti dal grafico

distinguiamo:

• perdita attesa (potrebbe essere gestita mediante una politica di

pricing e di accantonamenti);

• perdita inattesa, corrispondente alla zona rossa della figura, che è

pari alla differenza tra la perdita corrispondente al 99° percentile

e il livello medio delle perdite (verrebbe colmata dal Capitale

Economico, cioè accantonamenti a fondi riserva e fondi rischi);

• perdita corrispondente ad un livello superiore al 99° percentile

(anche questa perdita, aggiuntiva rispetto alla precedente, la si

potrebbe gestire mediante un’opportuna diversificazione dei

prestiti nei vari settori).

Gli accantonamenti dovrebbero essere periodici, in particolare

annui.

190

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5.7 Il modello KMV73

Un’applicazione interessante per la determinazione dei tassi di

insolvenza è quella proposta dalla società di consulenza e analisi

finanziaria statunitense KMV Corporation.

L’approccio KMV pur basandosi sul modello CreditMetrics, nel

senso che si basa anch’essa sulla teoria del valore delle opzioni per il

calcolo del valore e della volatilità delle attività di un’impresa, se ne

discosta da per determinati accorgimenti. In particolare, per la stima

della probabilità di insolvenza, il modello KMV parte dalla

considerazione che l’impresa non diviene automaticamente insolvente

nel momento in cui il valore delle sue attività scende al di sotto di

quello del debito (come può essere per il modello CreditMetrics);

questo perché non tutto il debito scade nello stesso istante, ma una

parte di esso è costituito da passività a medio-lungo termine che

garantiscono un certo margine di sopravvivenza nel momento in cui il

valore dell’attivo scende al di sotto di quello del debito.

73 Paragrafo basato sui seguenti testi: Sironi A., 1998, cit., p.164-166; Anolli – Gualtieri, 1999, cit., p.55-58; (a cura Szego-Varetto), 1999, cit., p.326-331; Nassetti-Fabbri, 2000, cit., 155-122.

191

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Secondo il modello KMV sarebbe più corretto parlare di punto di

insolvenza (Default point uguale a passività correnti + ½ passività

lungo termine), ossia quel valore dell’attivo in corrispondenza del

quale si verifica il fallimento dell’impresa. In generale il fallimento si

verifica nel momento in cui:

A-DP 0

dove DP rappresenta il punto di insolvenza.

A questo punto il modello KMV introduce il concetto di distanza

dall’insolvenza (distance to default) per la misura del rischio di

insolvenza:

DD=(A-DP)/(A*σA)

La distanza dall’insolvenza è, appunto, distanza del valore

dell’attivo, espressa in termini di multiplo della deviazione standard

del valore di mercato delle attività, dal punto di insolvenza (default

point).

Per esempio, un valore DD pari a 4 significa che la distanza dal

punto di insolvenza è pari a 4 volte la deviazione standard del valore

dell’attivo, cioè è necessario che il valore dell’attivo di un’impresa si

riduca di quattro volte la propria deviazione standard prima che si

192

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verifichi lo stato di insolvenza. Quindi, a parità di differenza tra A e

DP, l’impresa con un attivo meno volatile risulta avere una probabilità

di insolvenza minore.

Una volta calcolata la distanza dall’insolvenza, il calcolo della

probabilità di insolvenza, EDF (Expected Default Frequency), avviene

facendo corrispondere, sulla base dell’esperienza storica, la distanza

dall’insolvenza alla probabilità di insolvenza. In particolare si

individua la probabilità di insolvenza storica delle imprese

caratterizzate da distanza dal punto insolvenza omogeneo. Ad

esempio, se il DD di una data impresa è pari a 4, la sua probabilità di

insolvenza a tre anni è stimata osservando il tasso di insolvenza, su un

dato periodo, di imprese aventi DD pari a 4 e che dopo tre anni si

siano risultate insolventi.

Il servizio CreditMonitor della KMV fornisce stime delle

probabilità di insolvenza a partire dal 1993, sulla base di un campione

di 100.000 imprese statunitensi quotate contenente più di 2000 casi di

insolvenza. In corrispondenza di questi dati, anche la KMV

Corporation fornisce matrici di transizione.

193

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5.8 Il rischio di credito tra capitale economico e capitale regolamentare

Il capitale economico (ammontare di capitale detenuto per

necessità di copertura del rischio di credito) e il capitale regolamentare

(previsto dalle autorità di vigilanza) possono differire tra loro.

Questa premessa è necessaria per mettere in evidenza che una

errata valutazione di quale debba essere l’esatto ammontare di capitale

da detenere in portafoglio, può portare a delle perdite per gli azionisti.

Il capitale proprio di una banca comporta un costo, cioè un premio al

rischio la cui entità rispetto ai tassi risk-free dipende da vari fattori74.

Quindi gli interessi sui crediti di un portafoglio devono

remunerare il capitale proprio, oltre i costi di provvista e le perdite

attese. Se ciò non succedesse, gli utili netti della business unit che si

occupa del settore crediti non sarebbero sufficienti a remunerare lo

stesso capitale azionario, e ciò significherebbe distruzione del valore

da parte del portafoglio crediti. In questo caso la business unit

avrebbe dinanzi a sé tre possibilità75, cioè aumentare i tassi di

interesse migliorando la redditività, diversificare il portafoglio crediti

74 Ci si riferisce al BETA di un classico CAPM.

194

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oppure non rinnovare i prestiti. Qualora il Top Management non

facesse tutto ciò, continuando a prestare nella convinzione di avere un

portafoglio redditizio, distruggerebbe valore agli azionisti.

I modelli VAR tentano, appunto, di calcolare il capitale

economico in modo adeguato a differenza del capitale regolamentare

proposto dalle autorità di vigilanza.

Come è stato detto (cap.1), i requisiti richiesti dalle autorità di

vigilanza non prendono in considerazione ne il merito creditizio della

controparte ne il grado di diversificazione del portafoglio crediti.

Riguardo al merito creditizio delle controparti, si consideri il

seguente esempio76. Supponiamo che una banca abbia in portafoglio le

seguenti esposizioni creditizie:

Tabella 1 Composizione del portafoglio crediti (USD) Caratteristiche del portafoglio

Ammontare nominale 1.069.750.000 Numero nominativi 109 Paesi di appartenenza USA Settore economico Corporate Scadenza media esposizioni (anni) 3,3 Seniority nominativi Senior Unsecured Rating medio (Moody’s) A2 Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 382.

75 (a cura Szego-Varetto), 1999, cit., p. 324. 76 Paragrafo ed esempi basati su Fabbri, 2000, Gestione del rischio di credito e capitale economico,cit. p.379-392.

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In base a questo postafoglio creditizio, di buona qualità visto il

suo rating medio A2, se volessimo calcolare il capitale economico e

quello regolamentare, avremmo la seguente tabella:

Tabella 2 Misure alternative di rischio relative al portafoglio analizzato. Percentili distribuzione perdite Ammontare (USD)

Expected Loss 1.756.865

99 (Credit Risk Capital) (Worst case scenario) 14.553.196

Capitale Economico (Unexpected loss) 12.796.331

Capitale regolamentare 85.580.000

Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 383.

Il capitale regolamentare, come si può notare, rappresenta circa 6,7

volte il capitale economico. Quindi, non prendendo in considerazione

la qualità creditizia delle controparti e applicando un coefficiente di

ponderazione pari al 100%, l’attività creditizia risulta penalizzata. Per

quanto riguarda il fattore diversificazione, non preso in considerazione

dalle autorità di vigilanza per valutare il rischio di credito di un

portafoglio, un altro esempio risulta chiarificante. Immaginiamo che la

stessa banca attui una diversificazione geografica

tale da presentare la seguente situazione contabile:

Tabella 3 Composizione del portafoglio crediti Composizione del portafoglio

Ammontare nominale 1.069.750.000 Numero nominativi 109 Composizione per paesi di appartenenza USA 9,6% UK 30,5% Italia 36,7%

196

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Germania 23,2% Paesi di appartenenza USA Settore economico Corporate Scadenza media esposizioni (anni) 3,3 Seniority nominativi Senior Unsecured Rating medio (Moody’s) A2 Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 385. In base al nuovo portafoglio crediti, il capitale regolamentare risulta

pari a 6,8 volte il capitale economico in quanto quest’ultimo è

diminuito per effetto della diversificazione geografica a differenza del

primo che è rimasto immutato (Tab. n.4).

Tabella 4 Misure alternative di rischio relative al portafoglio analizzato. Percentili distribuzione perdite Ammontare (USD) Expected Loss 1.756.865 99 (Credit Risk Capital) (Worst 14.553.196 Capitale Economico (Unexpected 12.582.210 Capitale regolamentare 85.580.000 Fonte: Nassetti-Fabbri, 2000, 385. Anche il nuovo documento di Basilea, cioè A New Capital Adequacy

Framework, presenta determinate lacune. Infatti, pur dedicando una

maggiore attenzione alla qualità creditizia delle controparti (vengono

proposti fattori di ponderazione basati sui ratings delle controparti),

non sono presi in considerazione gli effetti della diversificazione e

della durata delle esposizioni creditizie. Questo documento prevede

che in futuro determinate banche (some sophisticated banks) possano

197

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adottare modelli interni di credit risk management per il calcolo del

capitale economico a fronte del portafoglio crediti.

198

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CONSIDERAZIONI FINALI

La fine del vecchio millennio e l’inizio del nuovo ha portato ad

un acceso dibattito sull’adeguatezza delle misure prudenziali di

prevenzione del rischio di credito posti dal Comitato di Basilea sin dal

1988.

Questo dibattito sull’adeguatezza delle misure prudenziali, in

particolare sul coefficiente di solvibilità, deriva dal fatto che ci si è

resi conto che gli stessi vincoli patrimoniali e controlli prudenziali

comportano pericolose distorsioni dell’attività creditizia. E questo lo

si può notare dal fatto che le stesse banche e intermediari finanziari

hanno dovuto aumentare le stesse esposizioni creditizie nei confronti

del settore privato (appunto per non vedere ridotte le opportunità di

guadagno) rispetto lo stesso settore pubblico. Quale potrebbe essere la

causa di tutto ciò? Certo, si potrebbe rispondere affermando che la

stessa evoluzione del sistema bancario, conducendo ad un processo di

disintermediazione e di deregolamentazione dell’attività bancaria,

inevitabilmente spinge le banche verso una maggiore esposizione nei

confronti di attività creditizie più rischiose, e quindi più “appetitose”,

199

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con la conseguenza di un sistema bancario maggiormente esposto al

rischio di insolvenza.

Tuttavia non si dovrebbe escludere che gli stessi vincoli

patrimoniali che le Autorità di vigilanza hanno imposto all’attività

creditizia, abbiano le loro “colpe”. Infatti lo stesso Comitato di

Basilea, in un documento consultivo pubblicato nel giugno del 1999 e

intitolato A New Capital Adequacy Framework. Consultative Paper,

ha previsto l’importanza di una maggiore flessibilità dei controlli di

vigilanza, appunto dando spazio alle stesse banche di adottare propri

modelli interni di Credit Risk Management validati dalle stesse

Autorità di vigilanza.

La diffusione di prodotti finanziari, derivati creditizi e

securitization, ha messo in evidenza le carenze, i problemi e la

staticità dello schema di adeguatezza patrimoniale formulato

originariamente dal Comitato di Basilea nel 1988.

Riguardo a questi ultimi prodotti finanziari, cioè securitization e

credit derivatives, è proprio il nostro Paese ad avere il maggiore

potenziale di sviluppo.

La struttura finanziaria delle imprese italiane, le forme di

finanziamento che queste adottano (ricorso al debito bancario,

200

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autofinanziamento e prassi del <<multiaffidamento>>) e un sistema

bancario caratterizzato da molte banche regionali e locali (con la

conseguenza “naturale” della costituzione di portafogli creditizi

fortemente concentrati in aree geografiche e/o settori economici)

dovrebbero incentivare il ricorso a operazioni finanziarie, come la

securitization, ed a prodotti innovativi come i credit derivatives.

Infatti entrambi gli strumenti, con le relative differenze,

producono benefici potenziali per le banche che possono essere

sintetizzati nella maggiore disponibilità di liquidità, nel maggiore

livello di diversificazione, nella possibilità di ottenere una riduzione

del costo del funding, nella disponibilità di strumenti efficaci di asset-

liability management etc.

Nonostante l’opportunità che questi strumenti offrono al mercato

italiano il loro sviluppo resta ostacolato.

Lo sviluppo dei credit derivatives è legato alla presenza di dati

necessari alla loro valutazione. In Italia la stessa struttura del mercato

e la mancanza di metodologie volte ad ottenere dati storici

impediscono il passaggio da una gestione tradizionale del rischio di

credito a modelli di Credit Risk Management e di pricing dei derivati

creditizi.

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Anche lo sviluppo di operazioni di securitization è

“compromesso” da un sistema bancario come quello italiano. Le

operazioni di securitization sono convenienti, in termini di costo, solo

nel momento in cui le banche siano continuamente e sistematicamente

presenti in questo mercato. Ora il sistema bancario italiano è

caratterizzato dalla presenza di prestiti non omogenei tra loro dal

punto di vista tecnico, e ciò non si accorda con un’operazione, come la

cartolarizzazione dei prestiti, la cui struttura prevede la cessione di

crediti aventi un elevato grado di omogeneità, in termini di

caratteristiche tecniche e flussi finanziari (mutui ipotecari, prestiti al

consumo e leasing).

Quindi, solo attraverso l’adozione di questi strumenti innovativi

le banche italiane potranno uscire da una situazione, tipica del mercato

italiano, di concentrazione dei prestiti, affinché lo stesso rischio

creditizio (il più problematico tra i rischi che investono l’attività

creditizia delle banche) possa essere controllato adeguatamente

evitando massicce insolvenze creditizie che sono abbastanza “letali”

per le banche.

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